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E facile rimettere a posto il femore, — disse la Suppèi. — Basta un bagno d’orzo bollito, e un cataplasma di gaggie.

— Puoi dirglielo alla tua amica! — disse Caterina, beffarda. Egli finse di non sentirla. Poi entrambi si beffarono della nonna Suppèi e delle sue medicine: ma finirono col bisticciarsi, e la vecchia disse:

— Eccoli, i gatti! Prima giocano, poi si graffiano!

Caterina infatti, da qualche tempo in qua, aveva come delle mosse feline: si mostrava tenera con l’amante, poi ad un tratto lo guardava con occhi selvaggi, adombrandosi e offendendosi per ogni parola di lui. Ed egli si accorgeva benissimo ch’ella era gelosa e diffidente, ma non le domandava perchè.

Un giorno, verso la metà di ottobre, egli trovò Caterina che lo aspettava nel viottolo. Era insolitamente vestita bene, incipriata, con un nodo di velluto nero sui capelli: le sue scarpe nuove scricchiolavano ed ella di tanto in tanto batteva al suolo uno dei suoi grossi piedi stretti dalle incomode calzature. Egli le chiese dove andava.

— A fare una visita. Vieni.

— E la nonna? — egli disse meravigliato.

— Abbiamo litigato. E le ho detto che voglio fare quello che mi pare e piace. Non sono più una bambina. Andiamo.

— Non far sciocchezze, Caterina!

Ella batteva il piede al suolo, s’aggiustava il nastro sui capelli, e fissava Adone con ocelli corruscanti, pieni di rabbia e di dolore represso.