L'ombra del passato/Parte II/Capitolo VI
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V.
Passò il mese d’agosto: l’aria si rinfrescò, giunsero a Casalino gli ospiti che ogni anno, al tempo dell’uva, non mancano di onorare con la loro presenza l’alacre paese. Gli abitanti di Casalino sono arditi e intraprendenti. Essi vanno a Parigi, a Londra, in America. Molti sono fortunati. Anche le donne si fanno onore. La modista di lusso, che ogni autunno veniva a Casalino e alle sue clienti faceva credere di esser andata a Parigi «a prender la moda», quell’anno comprò una possessione di cento biolche di terra: ed era partita a piedi, senza un soldo, alla ventura. Meno fortunato fu un suo cugino, un albergatore stabilitosi a New York. Anch’egli, riuscito a farsi una discreta fortuna, era venuto in luglio a Casalino, ma al ritorno in America, era rimasto vittima del disastro del Sirio.
Da un mese, a Casalino, non si parlava d’altro. Anche Adone, steso sul suo tettuccio, nella cameraccia piena di zucche e di patate, leggeva e rileggeva con attenzione quasi morbosa i particolari del naufragio del Sirio.
Da qualche tempo in qua egli si compiaceva di letture tristi; sentiva come un bisogno di soffrire, di tormentarsi. Tornava a provare quel desolato senso di solitudine che lo aveva oppresso da bambino. Gli pareva di esser solo al mondo. Anche Caterina aveva dubitato di lui. Ella non lo conosceva: nessuno penetrava sino in fondo alla sua anima solitaria. Egli allora, come per distrarsi dalla sua solitudine, cercava la compagnia di altre creature lontane, malate come lui: e non si accorgeva che andava verso coloro che soffrivano, per confortarsi del suo dolore! E leggeva le notizie della rivoluzione russa, comeimmerso in un sogno di pietà e di terrore, senza più accorgersi che intorno a lui ferveva una vita di lavoro e di speranza.
⁂
In settembre, a Casalino, tutti lavorano.
Fin dalla mattina presto le aje sono animate da voci, grida, rumori diversi. Tutti son già al lavoro: anche i bambini dimostrano un’attività straordinaria; non si contentano dei soliti giuochi, vogliono anch’essi lavorare, e scavano buche, girano le mole da arrotare, vanno a molestare il fabbro, il falegname, lo scoparo, che lavorano all’ombra dei fienili, sotto i grandi portoni nel cui sfondo si vede il verde della vite e il giallo del granone maturo. Una voce si alza tra i gridi dei bimbi e i canti striduli dei galli. È una voce d’uomo, melanconica, quasi triste, che par venga di lontano:
Ci han promosso una dimane...
La diman s’aspetta ancor..
E il motivo triste di questi versi, accorato, ma quasi dolce, e la nota melanconica di questa voce che sembra quella di un uomo stanco fin dall’alba, spandono intorno come un senso di grave nostalgia. Eppure il tempo è bello, la gente è allegra e lavora con piacere.
Forse l’uomo che canta non sa neppure quello che dice; ma è tutto un popolo, tutta una terra che canta per mezzo suo, senza che egli se ne accorga.
Il tempo è fin troppo bello; non piove da cinquanta giorni, i fossi sono asciutti, dagli alberi cadono le foglie come nell’autunno inoltrato; l’erba riarsa non ha più profumo; il fiume è così basso che si vede solo da qualche punto dell’argine, attraverso i salici ingialliti. Pare che il fiume di tanto in tanto si interrompa, formando grandi stagni rosei e verdi circondati di banchi di sabbia e di macchie. Sull’argine e nelle strade la polvere è così alta che ci si affonda come nella neve: l’atmosfera ne è velata, i carretti che passano veloci sembrano avvolti da una nube di fumo giallastro.
L’argine in settembre è frequentatissimo: passano carri, carrozzini, uomini in bicicletta. Sono uomini che non hanno troppa fretta, ma che neppure si attardano a guardarsi attorno o a turbarsi per la polvere, se non per preoccuparsi della siccità.
Sono mercanti di stoffe, che vanno di paese in paese, sono negozianti o fabbricatori di scope, in viaggio per l’acquisto delle saggine, mercanti di stuoje, di grano, di uva, mediatori, sensali, mercanti di cavalli, che vanno incontro ai mercanti di cavalli della Croazia; uomini tutti che fanno bene i loro affari, che afferrano il cliente per la giacca, quando questi accenna ad allontanarsi prima di concludere il negozio: uomini che pensano più ai denari che alla poesia, più alla salute terrena che alla salute celeste.
Anche le donne lavorano, e se non sono occupate nei campi per la raccolta dell’uva e del granone, lavorano in casa, intessono stuoje, intrecciano corde di giunco, cuciscono le scope, tessono la tela.
Lavorano anche i vecchi e i bambini; questi intrecciano la sottile scorza del salice, in trecciuole per cappelli: i vecchi levigano i bastoni per le scope, girano la macchina per sgranare il frumentone, spremono la conserva del pomodoro, densa e rossa come sangue coagulato. Sono vecchi sani e robusti, che hanno un odore vegetale ed il colore della terra da loro lavorata.
Di tanto in tanto, tra l’accordo delle voci umane, dei rumori delle macchine e degli strumenti da lavoro, s’ode ancora il motivo dell’«Inno».
Ora è una voce femminile, fresca, alquanto beffarda, che dà ai versi melanconici una nota nuova.
O. Dkmu»i»a. — L’ombra dei passalo. 81
Pare una musica vecchia suonata da uno strumento nuovo, ancora stridulo e scordato. Poi risuona ancora la voce dell’uomo; quella voce che par venga di lontano, che par la voce stessa delle cose, la vibrazione dell’aria, la musica degli strumenti da lavoro.
E mentre negli atrî, nei campi, nelle case ferve il lavoro, nelle strade polverose si vedono gruppi e file di bimbi piccolini, vestiti di rosso o di nero, con le faccine tinte dal succo dell’uva: il paese pare popolato solo da questi diavoletti rossi e neri dal visetto violaceo; le case e le strade ne son piene, come i nidi a primavera son pieni di uccellini.
Lungo i muri è stesa ad asciugare la saggina gialla e rossa, le cui cime sembrano intinte nel sangue.
Nei crepuscoli rossi, la luna che sorge grande e vermiglia dai vapori dell’orizzonte violaceo, par che lasci tutta la sua tinta sanguigna sulle distese melanconiche della saggina non ancora mietuta. Poi la luna sale, sale, gialla e lucida sul cielo vaporoso. La vegetazione è immobile. Solo gli steli dell’avena selvatica, in riva al fiume, tra i banchi di sabbia e i boschetti di salici, attraverso i quali brilla ancora il cielo infocato, tremano lievemente e si curvano gli uni sugli altri come per comunicarsi il segreto di tutto quel silenzio, di quell’immobilità, di quei vaghi splendori crepuscolari.
E in alto, nel bosco ceduo, solo un pioppo si muove, come per forza propria, protestando contro l’immobilità e lo stupore delle cose intorno. La luna sale; ha già varcata la zona dei vapori colorati e luminosi che fasciano l’orizzonte.
In nessun luogo della pianura la poesia della sera è così misteriosa come in riva al fiume, fra la sabbia, i pioppi nani, sotto l’argine che così, visto dal basso, dà l’illusione di una collina. Tutto è illusione; pare che il mondo finisca lì, lasciato da un cerchio magico di silenzio e di pace. Soltanto la sonorità dell’acqua porta, di tanto in tanto, la vibrazione di un suono lontano; ma questo suono par che venga da un altro mondo, da un’isola scomparsa sotto il fiume. Ad accrescere la bellezza magica della sera qualche volta succede un fenomeno vaghissimo; dopo il tramonto del sole, quando ancora intorno alle isolette di sabbia l’acqua è d’un violetto dorato, appare sull’occidente un’irradiazione bizzarra, formata da otto larghi raggi rosei che si stendono a ventaglio fino allo zenit: ad oriente si riflette la stessa irradiazione, d’un roseo più pallido: tutto il cielo ha un aspetto fantastico.
Sul fiume scende un barcone carico di legname: i barcaiuoli accendono il fuoco per la cena, uno di loro suona la fisarmonica, un altro canta:
Dch, vieni nel mio giardino...
E anche sulla linea nera dell’argine si profila una figura e trema un fischio melanconico che ripete ancora il motivo dell’inno dei lavoratori.
La voce stanca fin dall’alba pare siasi spenta del tutto, riducendosi ad un fischio; e anche il fischio si allontana, si spegne nel gran silenzio della sera, come vinto dalla pace dell’ora.
⁂
In una di queste sere, Adone si trovava in riva al fiume, quando vide Pigoss correre tutto preoccupato verso la sua barca, pulirla, preparare l’asse e i remi.
Qualche personaggio importante doveva imbarcarsi: forse il referendario di Stato coi suoi bambini, forse il consigliere di prefettura, che vantava la sua parentela coi Dargenti, forse Davide!
Adone si allontanò, fra le macchie della riva, e sedette sulla sabbia ancora tiepida.
Sì, da due giorni egli evitava l’incontro col figlio del zolfanellajo. Voleva che Davide si accorgesse ch’egli lo disprezzava.
Passarono alcuni minuti, La luna saliva sul cielo ancora solcato di raggi rosei, riflettendosi nitida e rotonda nell’acqua tranquilla.
Sulla sabbia, che stendevasi bianca ed intatta fino alle macchie di gaggia fra le quali serpeggiava un sentieruolo, crescevano radi ciuffi di scope dal verde chiaro, e alte piante di gigli palustri dai fiori d’oro, i cui calici pareva accogliessero la luna come una grande ostia insanguinata.
A un tratto egli udì le voci di parecchie persone che s’avvicinavano alla riva.
Sì: una era la voce nasale e rauca di Davide: e l’altra una voce chiara e vibrante di uomo sano, soddisfatto di sè e della vita.
— Per me i croati son sempre i croati, — diceva questa voce. — Secondo loro il torto è degli italiani. Ma la polizia, dico, la polizia...
— Ci vorrebbe una buona guerra, secondo te? Ah, una buona guerra!... — disse la voce nasale e ironica.
— Buffone! — disse Adone sottovoce. — Eccolo lì, il figlio del zolfanellajo. Egli se ne va a spasso col consigliere e la signorina Dargenti, e se occorre difende i croati!
Le voci si avvicinavano: ora si udiva anche la voce di Maddalena: quella voce alquanto velata, che pareva venir di lontano, e aveva come delle note melanconiche.
Benchè lontano dal punto d’imbarco, Adone si stese sulla sabbia, dando le spalle al sentiero. Non voleva esser veduto. Quelle voci di gente felice lo irritavano; gli pareva rendessero più melanconico il silenzio che regnava attorno a lui, entro di lui. Gli pareva di esser solo nel mondo, come quella sera nell’isoletta deserta: sulla sabbia vergine egli scorgeva solo le orme di qualche uccellino e di qualche lepre, lievi come impronte di foglioline e di fiori.
Ma ad un tratto, mentre le voci risuonavano accanto alla riva, egli sentì un fruscio, un lieve scricchiolar della sabbia intatta; e provò un vago turbamento, come se quel piccolo rumore indicasse il passaggio di un essere misterioso. Volse il capo, balzò in piedi. Sì, davanti a lui, fra i cespugli fioriti, stava Maddalena.
Ella sembrava davvero un essere misterioso, un fantasma del crepuscolo, apparso per un incanto naturale, come appare in cielo la stella della sera.
La luna faceva aureola al suo capo, avvolto in una sciarpa di crespo rosa che pareva una striscia dei vapori dell’orizzonte. In una mano ella teneva un mazzo di fiori gialli; con l’altra staccava un giglio, torcendone il gambo resistente.
Adone la guardò: ella lo guardava già, senza meraviglia, senza esitanza, con occhi dolci, quasi sorridenti. Pareva lo invitasse ad aiutarla a strappare il fiore che resisteva alle sue dita lievi.
Fu un momento: ma a lui parve un lungo periodo di tempo che bastò a fargli dimenticare il luogo dove si trovava, i pensieri che poco prima lo rattristavano. Poi ella se ne andò, lieve e silenziosa come era venuta.
Egli si gettò di nuovo sulla sabbia: non pensò a seguirla, non pensò a rivederla. Ella era lì, davanti a lui: egli non vedeva altro nel mondo. Non aveva mai provato una cosa simile. Per qualche tempo stette immobile, ascoltando le voci che si allontanavano dalla riva. Gli pareva di sognare, e quando tutto fu di nuovo silenzio, egli si domandò se l’apparizione di Maddalena fosse stata reale. Ad un tratto si sollevò, con la folle speranza che l’illusione si rinnovasse. Ma non vide che le orme dei piedi di Maddalena, incise nitidamente sulla sabbia. Allora si alzò e seguì quelle orme, curvandosi a guardarle: così arrivò oltre i cespugli, oltre le macchie, fino al sentiero, dove le piccole orme si confondevano con altre impronte di grosse scarpe maschili. Di tratto in tratto si scorgeva anche l’orma di un piede ignudo, grande. Ed egli ricordò i grossi piedi di Caterina, e le parole che ella gli aveva detto una sera. Ecco, la profezia di lei cominciava ad avverarsi: egli andava dietro le orme delle scarpette come il gatto dietro le orme dell’uccello.
⁂
Finalmente piove. Nel camino brilla una fiammata gialla; nell’atrio i bambini, prigionieri chiassosi, stanno rannicchiati sotto l’ombrellone cremisi del Pirloccia.
— Io sarò il pulcino più grande e vi beccherò, — gridava il primogenito di Carissima. — Ho certi dentini fini fini, io, che sembrano becchi. State attenti; ora vi becco, eh?
Ed egli dovette eseguire il suo progetto, perchè si udirono subito due strilli, e l’ombrellone rotolò fino all’uscio di cucina.
— Dio ve strabenediss, puttini! Ora vengo io e vi dò il beccare!
Fiorina, rossa e scarmigliata, rincorse i bamhini, ma subito dopo si mise a ridere con loro. Carissima cuciva e cantava ancora, quasi al buio.
Gli anni passano; il crepuscolo può cader melanconico e torbido: lo persone allegre non si accorgono di nulla. La canzonetta allora in voga era molto birichina e la sarta la cantava con piacere:
La vegna de chi
La vegna de là;
S’assenti de chi,
S’assenti de là
Il mio cor fa ti-che-ta
— Nessuno è venuto a cercarmi?
— Nessuno.
Egli sedette, mentre le sue vesti cominciavano a fumigare, e gli parve di aver freddo. Non ventiquattro ore, ma mesi e mesi gli pareva fossero trascorsi dopo l’apparizione di Maddalena in riva al fiume. Ora tutto era buio e freddo: solo qualche lampo illuminava, a tratti, con un bagliore roseo, lo sfondo grigio della finestra.
Adone tendeva l’orecchio. Gli sembrava di udire un passo nell’aja, fra lo scrosciar della pioggia. Se fosse lui? Egli non voleva vederlo e lo sfuggiva; eppure lo aspettava, e l’idea d’incontrarlo ancora gli dava un’inquietudine quasi morbosa. Ma Davide certo non pensava a lui. Nessuno veniva.
Solo, alcuni momenti prima della cena, Tognina, aiutata dalla sorella, scese pian piano dalla sua camera e sedette in un angolo della cucina. Ella stava un po’ meglio: Adone la guardò alla sfuggita e ancora una volta gli parve ch’ella Io fissasse con tristezza. Egli volse di nuovo gli occhi alla fiamma e riprese il suo fantasticare. Egli non odiava la zia: non odiava più neppure il Pirloccia. Erano uomini degni di odio, quelli? No, più che di odio erano degni di pietà.
Essi non sapevano quello che si facevano: non erano neppure uomini; erano esseri d’una razza inferiore, gnomi di foreste primordiali, guidati solo dall’istinto rapace. Nessuno li aveva educati. Egli doveva serbare tutto il suo rancore per altri!
— Sei stato da Caterina? — domandò la zia, guardando le scarpe infangate ch’egli parava alla fiamma.
— No, — egli rispose seccamente.
Ella non apri più bocca: piccola, rannicchiata nel suo seggiolino, pareva una bambina malata.
Carissima canticchiava ancora. Ed egli rivedeva Caterina, intenta a intessere le stuoje, all’ombra del portone. Anche lei cantava la canzonetta birichina.
Col suo fazzoletto nero legato sulla nuca, le gonne corte e volanti, i piedi nudi entro le pianelle di legno e di stoffa, ella aveva un’aria zingaresca: le sue mani forti, che intrecciavano i giunchi come fili di seta, rivelavano in lei una creatura di forza che, volendolo, poteva afferrare, senza bisogno d’aiuto, la sua parte di bene nella vita.
— Anche lei, anche lei! — egli pensava. — Tutti cercano il proprio bene: io soltanto sono uno stupido, un inetto.
E l’immagine respinta gli tornò al pensiero: sparvero il fazzoletto nero e la stuoja di giunco: sullo sfondo luminoso della fiamma riapparve la sciarpa color di tramonto, sorrisero gli occhi dolci che egli conosceva da tanto tempo, da tanto tempo! Ed egli questa volta non li respinse: provò di nuovo una dolce vertigine, un senso di oblio: ma a questa dolcezza seguì un dolore sottile. Egli si accorse della sua capacità di tradire, gli parve d’essere astuto, calcolatore, simile a quelli ch’egli considerava infinitamente inferiori a lui. Ma fu un momento: egli si accorse di soffrire e tornò a sperare in sè stesso. Non si accorse, però, che nella sua speranza, oramai, v’era più orgoglio che bontà.
⁂
Dopo cena i bimbi andarono a letto, e per un momento restarono soli in cucina la zia, Fiorina e Adone. Egli capiva che Tognina, la quale non cessava di guardarlo coi suoi occhi strani, voleva dirgli qualche cosa.
— Aiutami ad andar su, — ella disse alzandosi a stento. Egli la prese subito per il braccio, ma
Fiorina, che doveva aver anche lei la consegna, prese il lumino e li segui fino all’atrio.
— Dà il lume, — disse Adone.
— No, no, vengo: devo salire in camera, rispose la ragazza.
E li precedette per la scala fattasi umida. La donnina strinse il braccio del nipote.
— Come piove! — disse con la sua voce monotona. — Quest’umido mi farà proprio bene!
— Perchè non state a letto, quando piove? egli disse, tirandola su pazientemente.
— Oh. ci starò! Ci starò: non dubitare!
Fiorina ascoltava, china sull’alto della scaletta come sull’orlo di un pozzo.
Egli fu assalito da un impeto di rabbia: appena furono sul pianerottolo stese ancora il braccio e ripetè:
— Dammi il lume!
Ma la ragazza apri l’uscio della camera di Tognina, depose il lume sul cassettone e poi cominciò ad accomodare le coperte sul letto disfatto.
— Chiama Elena, — le disse Tognina.
— V’aiuto io, zia: ora vi levo le scarpe.
— Ma vattene! — gridò Adone, spingendola.
Fiorina si rizzò, coi capelli sugli occhi verdi rabbiosi.
— Vattene tu! — rispose.
Si guardarono: parevano ritornati bambini, pronti a lottare ed a graffiarsi.
— Andatevene; faccio da me, — disse allora la donnina. E chiamò: — Elena? Elena?
Adone uscì. Ma il cuore gli batteva forte, di rabbia e di speranza. E da quel momento non ebbe che un pensiero: trovarsi solo con la zia.
— Che farò poi? — si domandava. — Ella ha paura di morire e vuol rimediare al mal fatto. Che farò poi?
Vegliò a lungo, fantasticando, ed anche sofisticando. Si domandava se, evitando di scoprire la verità, egli non si rendesse, benchè a scopo apparentemente nobile, complice di volgari delinquenti. E, senza volerlo, di pensiero in pensiero, come nei piccoli viali d’un laberinto, egli s’inoltrava con la mente in luoghi tristi ed oscuri.
E la notte passò, come passano tutte le notti dell'anno: il vento e la pioggia tacquero e cantarono i galli. Vera una nota fresca nel loro canto rauco: ed egli, ancor prima di svegliarsi bene, capì che era una bella giornata, gli parve di aver dormito a lungo, più di una notte, e di svegliarsi fresco e leggero come da bambino. Balzò dal lettucolo, slegò la cordicella della finestra. Una nuvola d’oro brillava sopra i tetti dei fienili: ed era così vivida che pareva uno strappo del cielo, attraverso il quale si scorgesse una lontananza dorata.
⁂
I bambini mattinieri guazzavano già nel fango assieme con le anitre basse e lente e con le tacchine gobbe.
Sison il cordaio parlava a voce alta col fabbro, al quale aveva affittato il portone: il mantice nero e giallastro soffiava già, il metallo infocato scintillava sotto il martello dell’uomo alto e rosso che pareva anch’egli fatto di ferro e di fuoco: la vita intorno si risvegliava, e c’era nell’aria, nei gridi dei bimbi, nella voce dei vecchi una vibrazione di gioia. Tutti dovevano provare la stessa impressione di freschezza e di giovinezza.
Adone scese nell’aja, a piedi nudi, e uscì anche nella strada: gli alberi parevano pieni di perle; un’oca bianca, in lontananza, sembrava un cigno. Com’è bella la vita! E noi, stupidi, ci vergogniamo di guardarla in viso, come l’adolescente che ha paura di una donna affascinante.
Adone ebbe voglia di saltare il fosso: ma fu proprio in quel momento che il portone del vicino si aprì e ne uscì un uomo scarno e giallognolo, dagli occhi infossati che parevano lontani, smarriti entro due buche profonde. Adone guardò e arrossì. Gli parve di vedere il zolfanellajo resuscitato; senonchè l’ometto era cresciuto, nell’altro mondo, e s’era vestito da signore, e per non esser riconosciuto aveva messo una barba nera finta.
— Come la va, selvaticone? Son due giorni che ti cerco!
Adone si lasciò anche abbracciare: gli parve di sentire un odore di morte uscir dalla bocca grigiastra dell’infelice. Ah, come serbar rancore contro quel morto che camminava ancora?
Egli mentì, per scusarsi.
— Sono stato fuori... Ora volevo venire da lei. Come sta? E la sua signora?
— Camminiamo, — disse l’altro, avviandosi lungo la strada solcata da due strisce di fango lucente. Benissimo. Mia moglie è rimasta a Salsomaggiore. Vieni.
— Sono scalzo.
— E che hai paura d’andar scalzo? E che hai paura? Fa bene. Dimmi dunque: come va, come va?
Egli quasi correva: pareva volesse riscaldarsi al sole. Adone lo seguiva, turbato, sorpreso, scalzo, a testa nuda, coi capelli arruffati sulla fronte rosea.
Pensava:
— Ora mi parlerà della lettera. Ecco perchè non mi ha risposto! Voleva parlarmene.
Davide camminava e parlava rapidamente, domandando e non ascoltando le risposte del vicino. La sua voce era alta e rauca, ma a momenti pareva spegnersi come la voce d’uno che ha troppo gridato: il suo viso non sorrideva.
Dopo molte domande ne fece una che impressionò Adone:
— Fai le recite, quest’anno? Vuoi recitare al palazzo Dargenti, domenica?
— Recitare? Che cosa? Quest’anno niente recite! — rispose Adone, guardando Davide con occhi spaventati.
— Ma no, caro mio, vogliono te solo! Vogliono fare una recita nel teatrino del palazzo. Hai capito?
Egli aveva capito: e guardava i suoi piedi scalzi, chiazzati di fango, con lo sguardo turbato e spaurito di uno che ha ricevuto una proposta dalla quale può dipendere tulto il suo avvenire.
— Mi vogliono! — disse a un tratto, sollevando la lesta con fierezza. — Io però non voglio. Non ho alcun desiderio di divertirmi!
— Che ti è accaduto? — domandò l’altro, volgendosi a guardarlo. — Se non ti diverti ora, quando ti divertirai?
— Che cosa mi è accaduto? Lei lo sa.
— Io lo so? Come posso saperlo?
— Le ho scritto una lettera, ai primi di luglio.
Davide si fermò: corrugò le sopracciglia.
— Ai primi di luglio? Io non ho ricevuto nulla. Ma nulla! Che cosa mi scrivevi?
— Ah, glielo dirò un’altra volta; sciocchezze! disse Adone con disprezzo.
E scosse i riccioli sulla fronte impallidita come un orizzonte al calar delle ombre: e vide che gli alberi invece di perle sgocciolavano acqua torbida, e che l’oca rassomigliante al cigno era una bestiaccia infangata. Egli pensava:
— Costui mentisce. Tutto è menzogna.
⁂
Eppure nei pochi giorni che Davide stette in paese, egli andò a cercarlo di nuovo, lo seguì nelle sue passeggiate, discusse con lui. Lo disprezzava e ne sentiva pietà. E arrivò un giorno in cui egli, credendosi superiore all’uomo che gli aveva destato una soggezione quasi religiosa, oltre che a disprezzarlo e compatirlo, cominciò a deriderlo.
— Egli parla come un contadino che legge l’Avanti! — pensava. E non ricordava che Davide aveva «parlato così» prima ancora che i giornali socialisti fossero letti dai contadini.
Del resto Davide parlava anche di altre cose. Non era allegro, ma era tutt’altro che taciturno. Pareva che avesse bisogno di chiacchierare, per distrarsi, per dimenticare i suoi pensieri. Adone osservò che egli parlava di sua moglie con lieve ironia, come parlava di Maddalena e della vecchia marchesa: ed ebbe l’impressione che al figlio del zolfanellajo morto nella miseria fosse rimasto, come era rimasto nel cuore della matrigna, un fondo di rancore e un desiderio di vendetta contro i «felici della terra».
Tuttavia egli ascoltava intensamente quando l’altro parlava di Maddalena.
— È un tipino, mio caro! Fra lei e la nonna c’è tutta un’epoca storica. La vecchia è bigotta: ha paura di tutto ciò che è nuovo, ed ha il feticismo del passato. Ed è frivola ancora, nonostante i suoi ottantanni! Maddalena non le perdona queste debolezze: ed a sua volta la nonna ha poca fiducia nella nipote. Io credo che abbia paura che un giorno o l’altro le scappi di casa.
— Prenderà marito. — disse Adone con finta indifferenza. — Non dicevano ch’era fidanzata?
— Pare che tutto sia andato a monte.
— Ma in che consistono le sue stranezze?
— Eh, tu forse ne sai qualche cosa!
— Io? Se non le ho mai rivolto la parola?
— Lo sguardo sì, però! — disse l’altro con malizia.
Adone arrossì. Ah, dunque, quello che egli non osava confessare a sè stesso era già un segreto conosciuto da altri?
— Le giuro... le giuro... lo non la conosco; io non l’ho mai guardata in viso.
— Se tu vuoi conoscerla, allora, vieni con noi in barca, domani; andremo a far colazione nel bosco! Siamo in pochi. Verrai?
— Verrò, — egli rispose, per mostrarsi indifferente. Ma si sentiva turbato. Un pensiero strano gli passava in mente. S’immaginava che Davide volesse avvicinarlo a Maddalena per compensarlo in qualche modo del male che gli aveva fatto.
— E perchè non dovrei conoscerla? — diceva a sè stesso con orgoglio. — Devo aver paura? S’ella vuol divertirsi, perchè non devo anch’io imitarla? In fondo, però, sentiva una dolcezza morbosa. Maddalena era per lui un mistero: le parole incerte di Davide, invece di lumeggiare la figura di lei, la coprivano d’un velo interessante. Ed egli sentiva una curiosità malaticcia di conoscer da vicino Maddalena, come un tempo desiderava conoscere l’interno del palazzo e le profondità del parco.
Al ritorno dalla passeggiata Davide lo invitò a cena, e gli disse cose un po’ insolite e strane; Adone ascoltava con diffidenza, ma gli pareva di divertirsi come quando si ascolta un monologo ben detto.
Fra le altre cose Davide disse:
— Carissimo: noi dobbiamo metterci al disopra di noi stessi, salire sulla nostra testa, se è possibile. Di lassù vediamogli altri e ci dimentichiamo di noi. Di lassù vediamo bene in faccia la vita. La vita, carissimo, è una astuta venditrice di illusioni e d’inganni; ne ha di tutte le qualità e di tutti i prezzi: illusioni di lusso, inganni a un soldo l’uno. Bisogna stare attenti a non comprare simili sciocchezze. Ci vuol altro! Perchè hai dubitato della vita, tu? Perchè senza dubbio da ragazzo hai comprato da lei qualche giocattolo credendo di comprare un oggetto che ti divertisse, ma ti fosse anche utile. Un bel momento il giocattolo s’è rotto. L’hai rotto tu, anzi! Tu credevi che fosse un pallone rosso, un piccolo sole: era una vescica colorata. E te la prendi con la vita! Ma lei fa il suo mestiere, carissimo; altrimenti non sarebbe la vita. Insegnare queste cose ai tuoi ragazzi: ecco la ltua via. E tu dici: che via! Ma che via vorresti prendere? Ma che via, dico? Che cosa volevi diventare? Un poeta? Bella roba, carissimo! Un poeta! Ecco uno dei più grossi e attraenti giocattoli della vita. Che volevi diventare? Un apostolo? Diventalo: sei ancora in tempo!
— Ma io sono ignorante!
— Tanto meglio. Te la intenderai con glfignoranti. La gente colta s’infischia degli apostoli!
Poi gli suggerì quello che doveva insegnare ai suoi scolari.
— La verità. Niente illusioni. Non c’è peggior bagaglio dell’illusione. L’uomo non deve avere un così detto ideale, ma una meta precisa. Tu devi dire ai tuoi ragazzi: «Guardate l’orizzonte: quella è una nuvola che sembra una montagna. Guardatevi bene dal mettervi in mente di andarci: non arrivereste mai. Restate qui; vedete, intorno a voi la terra è solida. Lavoratela, e se il pero e la vite da voi coltivati daran frutti, mangiatevi la pera, bevetevi il vino, e guardatevi bene dal leggere libri fantastici!» Ti raccomando questo!
Adone rideva con ironia: eh, siamo in tempi nei quali anche i bambini vedono che le nuvole non sono montugne. Tuttavia, appena fu nella sua cameraccia egli aprì la finestra e si mise a fischiare ed a sognare.
Le stelle dell’Orsa brillavano sul cielo vellutato; l’aria odorava di mosto e di saggine tagliate. E da lontano arrivava un coro di spannocchiatrici che pareva un canto religioso, un coro di vergini silvestri riunite sotto i boschi di salici in riva al fiume.
— Che accadrà domani? — egli pensava; e si meravigliava che un’avventura simile potesse accadere così semplicemente.
Poi si coricò, spense il lume, ma non potè addormentarsi. Gli pareva di esser già nel bosco, tra i fusti dei pioppi dritti e grigi, così eguali e numerosi che a guardarli offuscavano gli occhi. A un tratto egli si trovava solo con Maddalena: ella cercava fiori e di tanto in tanto lo guardava. Egli osava avvicinarsele e dirle:
— Non lo sa che devo prender moglie? Posso dire, anzi, di averla già. È quella povera bambina contro la quale un giorno lei ha sbattuto la sua scarpetta.
Ma poi si stizzì del suo sogno. Erano cose da dirsi, quelle?
— No, veh, caro! Dormiamo! — disse a sè stesso. E cercò di pensare ad altre cose. Come riuscire ad aver un colloquio segreto con la zia? La cosa era difficilissima. Progetti fantastici gli passavano e ripassavano nella mente. Il primo giorno che la zia si sentiva bene egli si faceva prestare il carrozzino dell’oste e, giocando d’astuzia, riusciva a condurre Tognina a passeggio. Così nessuno poteva spiarli. Se occorreva, ed ella acconsentiva, egli era pronto a condurla da Caterina, o in altro luogo, e nasconderla e proteggerla. Che accadeva poi? E i suoi fratelli? Egli si disponeva dunque allegramente a rovinarli. No, bisognava aspettare, operare con prudenza. Il tempo è maestro e padrone.
Egli lo sapeva già. E meditando sulle cose imprevedute che potevano accadere, egli pensò di nuovo al domani...
⁂
Prima dell’alba si svegliò. La giornata gli parve umida, quasi fredda: forse la gita verrebbe sospesa. La luce dell’alba rischiarava il soffitto basso e rozzo della cameraccia impregnata d’un odore vegetale come un orto chiuso: negli angoli in penombra le zucche color d’oro parevano mucchi di brage; e i manichi di scope, appoggiati alla parete, davano l’idea che molti vecchioni fossero passati lassù, dimenticandovi ciascuno il proprio bastone!
Adone si guardò attorno con tristezza: sentiva in bocca un sapore amaro, come uno che la sera prima s’è ubbriacato. E pensò ancora a Maddalena, ma con rancore. Ella era chiusa in una camera azzurra e tiepida, come devono essere le camere delle fanciulle ricche; oppure in una sala antica, ornata di arazzi, come egli immaginava ancora le sale del palazzo Dargenti. Egli si svegliava fra le zucche e i bastoni. Egli non invidiava Maddalena e non la riteneva felice perchè il letto di lei era coperto di seta; ma non le perdonava di aver turbato la pace della sua coscienza.
E fu per non andare. Ma poi si decise. Gli pareva d’essere ricaduto nella cupa indifferenza dei giorni scorsi. Andava, appunto perchè non sentiva più nulla. Sull’argine, sebbene fossero già le nove passate, non si vedeva nessuno: ma Pigoss ripuliva la barca, entro la quale aveva collocato due sedie; la gita non era rimandata.
Adone dovette aspettare un bel po’. Ui giornata era tiepida; il cielo velato, l’acqua lattiginosa. Tutte le cose intorno, in quel silenzio profondo di giornata quasi autunnale, avevano un incanto fantastico. Le macchie delle isole e i boschi della riva si riflettevano taciti nell’acqua lattea, con profili indecisi, come nelle sere di luna. I colori della vegetazione, il grigio dei pioppi, il verdolino chiaro degli scopeti, il giallo di qualche salice, la figura stessa del barcaiuolo, dai capelli argentei e gli occhietti verdastri, avevano sfumature delicate da pastello.
— Vieni tu pure? — domandò il vecchio, collocando un’asse attraverso la barca. — Hai letto il foglio, ieri? Che diceva di quel bastimento naufragato?
— Hanno trovato il cadavere d’un vescovo, ora. Lo hanno riconosciuto dalle vesti.
— Anche un vescovo! — disse l’altro con meraviglia. — Una cosa terribile così non s’era mai sentita, dacchè son vivo. E il cadavere del nostro compaesano! Si trova?
Adone non ascoltava più. Vedeva Jusfin, alto e imponente nel suo costume da caccia, avanzarsi, con due cestini in mano.
— Viene anche la marchesa? — domandò Pigoss.
Jusfin depose i cestini sulla sabbia, e per tutta risposta si battè sulla fronte la punta di un dito. Nè egli salutò Adone, nè Adone lo salutò. Subito dopo giunse svolazzante il seminarista: era allegro, ansante, come un cane giovane, coi grandi occhi castanei pieni di gioia. Non vedendo chi cercava tornò di corsa sul l’argine.
— Eccoli! — annunziò finalmente Jusfin, riprendendo i cestini.
La comitiva s’avanzava. C’era il referendario, ch’era un uomo allegro e vivace, e la figlia del consigliere di Prefettura, una biondina silenziosa, dagli occhi furbi. Ella si stringeva a Maddalena, e pareva gloriarsi della sua compagnia, sebbene l’altra, avanzandosi col suo passo leggero e la sua aria distratta, non le porgesse troppa attenzione.
Adone si sentiva calmo; solo si domandava se Davide l’avrebbe o no presentato a Maddalena, alla quale egli non aveva mai rivolto la parola.
Ma Davide si preoccupava per i cestini: volle che fossero ben collocati sulla barca, e disse che li prendeva sotto la sua protezione.
La barca si mosse. Jusfin aiutava Pigoss a remare. Le donne presero posto sulle sedie e gli uomini sull’asse e sulle sponde della barca.
Nessuno parlava: tutti sembravano vinti dalla suggestione del silenzio che regnava sul fiume.
Adone guardava in lontananza e pensava:
— Ella è qui, davanti a me. Eccola, lo non provo più niente. È una donna come tutte le altre.
Quel giorno Maddalena sembrava brutta: il suo viso era accigliato. E il referendario cominciò a scherzare, domandandole a che cosa pensava.
— Pensa alla sua parte. — disse il seminarista, che fissava arditamente le signorine e specialmente la biondina.
— Oh, no! Ho paura che tutto vada a monte. La nonna non sta troppo bene, — disse Maddalena: poi guardò verso un’isola di sabbia ed esclamò, animandosi: — C’è un bellissimo uccello ferito, là: guardate!
— Sì, è sdraiato sulla sabbia. È nero, col petto bianco. Ma non è ferito.
Cominciarono a discutere. Che uccello era? Nessuno lo conosceva, neppure Jusfin.
— Io vado a prenderlo, — disse Pigoss. Accostiamoci alla sabbia.
— Ê più sano di noi! Sì, va e prendilo, — disse Jusfin con ironia mentre Pigoss si rimboccava i calzoni sulle gambe aree.
L’uccello restava immobile, con le zampine verdi abbandonate sulla sabbia: e parve non accorgersi del barcaiuolo che s’avanzava sull’acqua bassa della riva; ma ad un tratto si alzò, saltellò di qua e di là, spiccò il volo.
Jusfin gli fece addio con la mano: Maddalena disse con ironia:
— Sono contenta!
E Adone fu per domandarle perchè allora aveva permesso a Pigoss d’andare a prender l’uccello; ma non osò parlare.
La barca risaliva il fiume: trovata la corrente vi si abbandonò, ridiscese un tratto, obliquamente, fino alla riva sabbiosa del bosco. Sbarcati, i gitanti cercarono il sentiero che doveva condurre ad un casotto vicino al quale volevano fermarsi per la colazione.
Tutti pretendevano di sapere ove cominciava il sentiero: nessuno riusciva a trovarlo. Finirono con lo sbandarsi. Adone seguiva da lontano Jusfin che dondolando i cestini allargava i rami delle gaggìe per far strada a Maddalena. Ella seguiva l’alta figura dell’ex-cacciatore, e non dimostrava nè piacere, nè noia, nè stanchezza.
Adone, come aveva scritto nella sua novella, non amava il bosco ceduo, il cui suolo molle e sabbioso è coperto d’erbe grasse e di fiori spinosi, e dove pare si stenda sempre un velo di nebbia. Ma quel giorno egli si sentiva vinto dalla poesia della giornata melanconica, e quelle due figure, che apparivano e sparivano davanti a lui fra il grigio ed il verde del bosco, lo attiravano come due figure fantastiche.
Dove si andava? Egli non lo sapeva. Si udivano fischi, voci, colpi d’accetta, al di là delle macchie. In lontananza Davide gridava richiamando i compagni. La figura nera del seminarista apparve e scomparve tra i fusti grigi dei pioppi: Jusfin si fermò, si guardò attorno solennemente, vide Adone e lo attese. L’ex-cacciatore, offeso perchè egli solo conosceva il sentiero e nessuno gli aveva dato retta, meditava un tiro per vendicarsi.
— Il sentiero comincia qui; eccolo. — disse. Loro due vadano avanti, fino al casotto; se gli altri arrivano dicano che non mi hanno veduto più. Così si spaventeranno; crederanno che mi sono smarrito coi cestini!
E guardava Maddalena, richiedendone l’approvazione.
Ella approvò, ma disse, con una sincera vivacità che stupì Adone:
— Sì, ma non tardate! Ho fame, io! E lei? — domandò poi, rivolgendosi al giovine.
— Anch’io, — egli disse, arrossendo.
E si trovò solo con lei, come aveva sognato! Ma ella non pensava a coglier i fiori, che d’altronde non c’erano.
Il sentiero tagliava dritto il bosco, che da quel punto preciso apparteneva alla famiglia del seminarista. Si vedeva il casotto di rami secchi, e al di là una distesa di sabbia che indicava l’altra estremità dell’isola.
— Non è stato mai qui? — domandò Maddalena.
— No, mai! — egli rispose. E la seguiva, spaventato di trovarsi solo con lei. Suo malgrado il cuore gli batteva forte.
— Ora mi guarderà, — egli pensava. E temeva e sperava quello sguardo.
Ed ella, che cominciò a parlare con lui come l’avesse conosciuto da molto tempo, di tauto in tanto lo guardava; ma non con lo sguardo temuto e sperato da lui. Era mai possibile che quegli occhi dolci e amichevoli di bambina fossero gli stessi che lo avevano già fissato con ardore profondo?
Egli si meravigliava delle cose ingenue ed inutili ch’ella diceva:
— Justin ha ragione di castigarli! Sono contenta; specialmente per il seminarista, che non conosce neanche il suo bosco!
— Egli pensa ad altro! — disse Adone con malizia.
Ma ella finse di non capire. E parlò del l’uccello che s’era burlato del vecchio Pigoss. Ella conosceva gli altri uccelli che abitano le rive del Po: l’arzagola, i merli, le gazze, i pivieri; quello non l’aveva mai veduto. Ella amava molto la storia naturale. Ne aveva una bellissima, tedesca, con tavole colorate. Anche la fisica, le piaceva, ma sopratutto la chimica. Aveva anche desiderato studiar medicina. La signora Maria, ch’era stata direttrice infermiera d’una clinica, le aveva insegnato molte cose.
— Di nascosto dalla nonna ho anche frequentato una scuola di infermiere. I bambini malati mi volevano molto bene; ma avevano un cattivo odore!
— È stata molto tempo a questa scuola? — egli domandò, grave e serio.
— Due giorni! — ella rispose. E scoppiò a ridere, come ricordando un’avventura molto divertente. — Dopo m’han fatto la spia!
S’udiva la voce di Davide. Adone si fermò, Maddalena si volse. Si trovarono di fronte a un passo di distanza. Ella rideva ancora, e sembrava molto bella.
Egli diceva a sè stesso:
— È questa la sfinge che io ho desiderato di sentir parlare? Se fosse stata meno bambina l’avrei creduta un po’ sciocca. — E si domandò che cosa avrebbe fatto Maddalena s’egli l’avesse abbracciata. Una tentazione perversa lo investiva, come un’onda di nebbia improvvisa, offuscandogli la ragione. Maddalena gli pareva una bambina annoiata, pronta a tutte le avventure. Ella era davanti a lui: egli non aveva che a stendere le braccia... Ma non potè. La guardò, solamente, con occhi mutati, tragico in viso. Ed ella corrispse subito a questo sguardo che pareva di odio: ma gli occhi di lei, anch’essi mutati, erano dolci, profondi, ardenti. Allora d’un tratto, egli sentì la tentazione cambiarsi in desiderio. Ma i compagni s’avvicinavano.
⁂
Da quel momento egli fu colto da una specie di ossessione. Era ebbrezza? Era dolore? Era l’una, era l’altro: una paura, un desiderio di cose ignote.
Come il primo e l’ultimo degli amanti, egli desiderò di trovarsi completamente solo con lei all’ombra amica del bosco; e nello stesso tempo fu contento per l’arrivo dei compagni. Tutti gridavano, bisticciandosi; Davide notò subito l’assenza di Jusfin.
— Non l’abbiamo più veduto! — disse Adone con voce turbata.
Ma Davide intuì subito la burletta e cominciò a gridare:
— Ora basta, vecchione! Venite fuori! Perdono, perdono, padre!
Durante la rustica colazione sotto i pioppi Adone e Maddalena evitarono di guardarsi. Ella mangiava e beveva tranquillamente, e sorrideva per gli scherzi del referendario; ma Adone osservava ch’ella parlava poco, mentre con lui, nei brevi momenti passati assieme, aveva chiacchierato tanto.
Anch’egli sembrava ma non era tranquillo; la vedeva davanti a sè, adagiata su un mucchio di giunchi, osservava le sue labbra umide di vino, e non gli pareva più la creatura misteriosa dei suoi sogni romantici, la fanciulla vestita di bianco, vagante sotto gli alberi d’un parco, e per la quale la sua fantasia s’era esaltata forse per un nostalgico ritorno ai sogni infantili. Ma non poteva calmarsi.
E la sua agitazione crebbe quando il referendario cominciò a scherzare a proposito della novella di Paride e di Elena. Una copia era giunta fino a lui. Copia e ricopia, le ammiratrici della novella avevano mutato comicamente il senso delle frasi appassionate.
Adone finse di riderne; ma anche Maddalena disse d’aver letto la novella, ed egli s’irrigidl, ebbe quasi voglia di piangere.
Sdraiato sul fieno palustre, mentre la comitiva s’inoltra nel sentiero, in cerca di un punto dal quale si scorge lo sbocco del fiume Parma, egli finge a sè stesso una gelida indifferenza e si sforzò di pensare a Caterina. Il ricordo della sua prima avventura amorosa lo ha come offeso e richiamato in sè. Se Caterina sapesse! Ma ella non saprà mai niente.
Chiudendo gli occhi egli la rivede nel bosco, seduta ai piedi di un tronco, col piede enorme abbandonato sulla sabbia. Ma il ricordo del loro primo bacio non lo esalta più. Si direbbe, anzi, che un vago rancore gli salga dal cuore, come un profumo amaro dal calice d’un fiore velenoso. Egli se ne accorge e se ne domanda il perchè. Forse perchè il legame che lo avvince a Caterina gl’impedisce di amare Maddalena? No, egli avvolge anche Maddalena nel suo rancore. Egli ricorda che una notte, nel silenzio della melonaja, ha desiderato di urlare come il cane perseguitato, perchè Maddalena e l’ex-cacciatore, il vecchio barbaro, hanno percosso Caterina!
Egli odia anche Jusfin; anche il referendario che ha tirato fuori la storiella di Paride. Gli pare che tutti si burlino di lui; tutti si son burlati di lui, sempre. Anche Maddalena, che non sa come passare il tempo, vuole divertirei, come quando curava i bambini poveri «che avevano un cattivo odore».
L’odore della miseria.