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la smorzò, la riaccese. Diventava incosciente, ebbro di collera. Si accorse che Carissima lo osservava, seguendolo con gli occhi lieti e luminosi. Egli si fermò accanto a lei; disse:

— Senti, ho bisogno assoluto di parlare in segreto con la zia. Se Fiorina non va via dalla camera, e se altri viene a disturbarmi, stesserà non rispondo di me! Falla venir giù, subito!

E ritornò su. Ma con sorpresa vide che Fiorina, senza dubbio consigliata dalla zia, usciva dalla camera. Egli depose la candela sul camino, e s’accostò al letto. Tognina lo guardava, silenziosa, immobile sotto le coperte: gli occhi di lei, fissi e vitrei, non erano più indifferenti nè supplichevoli; avevano un’altra espressione ancora: pareva che, invece di Adone, scorgessero un fantasma e lo guardassero con terrore ma anche con beffe.

Davanti a quel visetto bronzeo, sul quale il dolore aveva impresso quasi una maschera sarcastica, egli sentì svanire la sua rabbia. Quello sguardo gli diceva tutto ciò che la donna non sarebbe mai stata capace di dirgli. Ed egli capiva tutto. Lo sguardo gli diceva: — So cosa vuoi. Ma è inutile che tu mi tormenti: è come se bastonassi un cadavere. Tutto ciò che tu vuoi dirmi lo so. Ma tu non sai quello che potrei dirti io. Io ho sotferto più di te: io ho seminato il male, ho raccolto frutti velenosi. Sono stata più povera dei mendicanti, e non ho saputo neanche domandare l’elemosina come loro. Io sono morta: sono morta da lunghi anni. Da lunghi anni ho vissuto in compa-