Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
376 | l'ombra del passato |
s’apri, le lagrime stillarono dalle palpebre aride come l’acqua purissima dal granito nero.
Egli ebbe come l’orrida e pietosa impressione di aver veduto piangere un cadavere.
E provò uno struggimento simile a quello provato in una sera lontana. I suoi piedi scivolarono sul pavimento, la sua testa s’abbandonò sulla coltre tiepida.
Figli non svenne, come l’altra volta, ma sentì nuovamente un senso di buio, gli parve d’avere innanzi agli occhi un imbuto nero, nella cui profondilà brillava appena un punto biauco, lontano, una scintilla di speranza: la speranza della morte!
— Perdono, zia, — egli disse, come tra sè. — Non piangere, non piangere... Anch’io morrò. E tutto è vano; tutto è inutile. Io so, lo so! Tutto, tutto! Il bene e il male, tutto, tutto! Morremo; cadrà l’ombra su tutti, il mondo s’oscurerà... Tutto sarà finito... Tutto. Perchè tormentarci?
Tognina riaprì gli occhi e singhiozzò forte.
Egli allora si scosse, s’alzò, si domandò che cosa voleva, e ricordandoselo ebbe come vergogna della sua ingenuità, della sua ridicola ribellione alla potenza fatale del dolore.
La donnina non disse una parola: ma l’espressione del suo viso diventava sempre più sarcastica. E il suo sguardo ripeteva:
— Tutto è inutile: nè il male nè il bene conducono alla felicità.
Adone stette un altro momento curvo sul guanciale. Qualcuno battè all’uscio. Allora Tognina