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l'ombra del passato 373


Rientrando vide che Pirloccia se n’andava, a sua volta, ad impostare lo sue cartoline. Allora egli salì dalla zia. Ma appena fu sul pianerottolo sentì, nella scaletta, il passo saltellante di Fiorina. Preso da una specie d’istinto selvaggio, egli aprì e chiuse l’uscio con violenza. La zia era già a letto, al buio, e trasalì al rumore improvviso.

Zia, sono io. Devo dirti una cosa.

Fiorina battè all’uscio, lo spinse, gridò:

— Zia, vi porto da mangiare! Perchè avete chiuso?

— Adone, apri! — disse la donnina con voce tremula. — Che cosa vuoi?

— Devo dirvi una parola! — egli gridò. — Possibile che non vi si possa mai parlare?

E siccome Fiorina batteva ancora all’uscio egli riaprì, ergendosi minaccioso davanti alla ragazza.

— Devo parlare con la zia. Vattene! Hai capito, si o no? Ora accendo il lume, e lascio aperto, qui. E se non te ne vai, o stai lì ad origliare, ti do tanti ceffoni che ti mando a rotolare per le scale. E che, non sono più padrone di dire due parole alla mia zia? Vattene!

Ella entrò, al buio, s’accostò al letto. Ed egli accese un fiammifero, ma non trovò il lume. Allora ridiscese nell’atrio, prese una candela, l’accese,