Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
l'ombra del passato | 377 |
chiuse ancora gli occhi e in un attimo il suo viso si ricompose.
Egli allora comprese tutta la potenza di finzione della piccola donna. Ella frugò sotto il guanciale e gli diede una busta grigia ripiegata in due, accennandogli di nasconderla.
Egli aprì l’uscio, dietro il quale la zia Elena, con un piatto in mano, aspettava inquieta. Egli passò oltre senza guardarla, risalì ancora nella sua cameraccia e aprì la busta. Trovò una striscia di carta ingiallita, bucata nelle pieghe: era la metà, per lo lungo, del testamento dello zio.
Dietro, Tognina aveva scritto col lapis: «L’altra metà ce l’ha P.».
Adone esaminò a lungo, da una parte e dall’altra, lo strano documento che i due complici s’eran diviso, conservandone ciascuno la metà come un’arma di difesa: e si domandò cosa doveva farne. In mani sue quell’arma era spuntata: soltanto, egli si feriva stringendola. E la punta, anche la punta, egli la sentiva entro il suo cuore, avvelenata dalla ruggine dei lunghi anni passati.
Allora egli ricadde nella sua tristezza morbosa. Senza accorgersene imitava talvolta il contegno della zia nei suoi lunghi anni di muto accasciamento. Tutto gli sembrava inutile e vano o, peggio ancora, ridicolo. Smise ogni idea di vendetta e di ribellione; si pentì di aver scritto a Maddalena e si profuse di non più rivederla. Ma intanto aspettava la risposta al suo strano biglietto, e non ricevendola s’irritava, ritornava a credere che