Iride/Nora
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Paolina | ► |
Nora
Ma chi di noi sul proprio cammino |
Quanto ero lieto in quel mattino di maggio!
Il trotto moderato della mia cavalla saura mi portava attraverso la campagna romana come sull’ali del vento incontro all’orizzonte azzurro. La mia felicità tuttavia era più vicina dell’orizzonte ed anche più azzurra — se con questo colore si vuol dipingere i sogni della giovinezza.
Possedevo la prima delle ricchezze — venticinque anni — nè mi mancavano le altre. Tutti i fiori della vita spuntavano sul mio sentiero; non avevo che a chinarmi per raccoglierli; ed uno... quel bel fiore, Elisa, tu lo sai, un angelo me lo aveva gettato dal cielo! Esso solo sarebbe bastato per farmi pienamente felice.
Però, ne ringrazio vivamente Iddio, l’esuberanza della gioia non mi ha mai reso egoista. L’anima mia si alzava pura e lieta verso un ideale di bene; la pietà traboccava dal mio cuore gonfio d’amore. Avrei voluto abbracciare con una immensa stretta tutti i miei simili, farli buoni e felici come me; seminare nel mondo la mia gioventù, il mio oro e il mio amore. Cristo senza Golgota sognavo una nuova redenzione.
La virtù, in quell’ora, mi sembrava tanto facile! Vedevo ogni cosa più grande del vero; Fede e Bellezza mi stavano davanti, splendide. Sentivo dai campi lontani le cornamuse dei pastori e tra le siepi vedevo volteggiare colle farfalle i capelli d’oro delle ninfe.
Pensai a lungo un verso che mi rendesse nelle soavi cadenze della poesia quello che io avevo nell’anima; ma non lo trovai. I miei poeti prediletti sfilarono, evocati dall’ardente desiderio, ed io li contemplai con profonda compassione. O vati, correte, voglio farvi l’elemosina di una scintilla; io lo posso. — amo.
Hop! Hop! mia dolce cavalla. Hop!
Roma, ch’io mi lasciava indietro, si bagnava voluttuosa nei vapori del mattino. Una nebbia rosea la cingea tutta — pareva un rossore sui bianchi veli della vestale. Ma il rossore scompariva a poco a poco. Il sole le metteva sulla testa un diadema di raggi; alzando la fronte in mezzo a quel fulgore, la gran colpevole diceva: Perdonatemi, ho tanto amato.
Il cielo, il bel cielo di Raffaello e della Fornarina, si illuminava di tinte accese. Una colonna spezzata, un arco coperto di musco mi facevano balzare il cuore; in quella armonia d’ombre e di luce il passato si mesceva al presente; io fondevo il pensiero dei secoli in un unico pensiero. Avevo sulle labbra Clelia e Veturia — e nell’anima Elisa.
Oh! tutti coloro che hanno amato nella calda primavera della vita, conosceranno queste ore di immensa ebbrezza in cui pare che le forze si raddoppino e che il nostro essere sia riscaldato da una fiamma soprannaturale. Ore divine in cui siamo volte a volte poeti ed eroi, apostoli e soldati.
Avanti Roberto duca di Niscemi... Sì, io sarò duca un giorno; e frattanto quale più brillante carriera che questa mia di giovine diplomatico? È una parola che piace alle signore. Elisa deve pronunciarla con orgoglio, arrossendo un poco nella sua bella verecondia.
Avanti. Hop! Hop! Hop!
⁂
Ecco la villa. Mi batte il cuore.
Veramente è la prima volta che faccio il mio ingresso in famiglia col titolo di fidanzato.
Un servitore in piccola livrea mi apre il cancello; mi inoltro sotto una doppia fila di melagrani fioriti.
In fondo al viale un fiocco di neve svolazza in mezzo agli alberi — il sole mi sta davanti e non posso veder bene. Ah! ora distinguo perfettamente; è una fanciulla che si dondola sull’altalena. Ha un vestito di lana bianca con guarnizioni di velluto verde.
Al mio apparire ferma l’altalena puntando sulla sabbia l’estremità del suo stivaletto di pelle bronzata — e così, in quella positura un po’ eccezionale, colle braccia allargate intorno al canape, colla testina sporgente, mi guarda — ed io la guardo.
È di una bellezza rara; penso subito che non può avere più di dodici anni. Elisa mi ha parlato di una sorellina; potrebbe bene esser lei; tuttavia non le assomiglia.
Il casto volto della mia fidanzata non si ritrova in questa fanciulla dal tipo di zingara, dai grandi occhi audaci, pieni di scintille. Ha i capelli neri, come Elisa, ma corti e un po’ ricciuti — non le oltrepassano l’orecchio. Un cerchio d’oro le stringe la testa come una corona... o come una catena. I lineamenti accentuati, eppure gentili, vestono una grazia tutta muliebre dalla carnagione pallida senz’ombra di rosa; la si direbbe anzi leggermente bruna. La passione e l’orgoglio prestano l’espressione più rilevante alla sua fisonomia, ma le ultime incertezze dell’adolescenza la adombrano ancora; a vent’anni questa creatura sarebbe forse poco simpatica: a dodici è adorabile.
La saluto sorridendo ed ella mi risponde seria, accompagnandomi col suo sguardo indagatore.
Fatti pochi passi mi pento di non averle diretta la parola; mi volto indietro — l’altalena è vuota.
— È la signorina?... — domando al servitore.
— La signorina Eleonora.
Ma già non penso più a lei. Da una finestra m’è apparso l’angelico volto di Elisa. Affretto il passo, salgo lo scalone, m’inchino alla principessa e con Elisa ricambio uno sguardo che valeva un abbraccio d’amore, intanto che l’etichetta mi costringeva alla solita banale stretta di mano.
La principessa è una buona donna e una tenera madre. Ella si accorge del nostro imbarazzo e per darci agio a rimetterci parla in fretta di cento cose. Mi chiede notizie della città e della Corte — non per saperle, almeno — perchè subito dopo mi tesse l’elogio del suo pappagallo e del cactus della sua serra.
La mamma parla e noi ci guardiamo; il tempo scorre deliziosamente.
— Oh, ma — dice la principessa — e Nora che non si vede?
— Vado a cercarla? — domanda Elisa, alzandosi.
— Sì, figlia mia, va.
Elisa esce. I miei occhi e il mio cuore la seguono.
— Andiamo — dice la mamma ridendo — signor diplomatico!
Dopo un tempo abbastanza lungo, occupato dalla principessa a intrattenermi in quel modo piacevole delle matrone che non sono cascate nel bigottismo, Elisa ritorna sola.
— E Nora?
La mia fidanzata si dava una pena immensa per nascondere una viva contraddizione.
— Nora... sai, ha la lezione d’inglese...
— Come, ancora? — esclamò la principessa.
Io — povero diplomatico affascinato dai begli occhi di Elisa — ebbi la dabbenaggine di dire:
— Madamigella Eleonora stava sull’altalena quando sono arrivato.
La principessa diede una crollatina di spalle:
— Bimba mia, a lui si può dire la verità. Tanto un giorno o l’altro la scoprirebbe.
Elisa non rispose nulla e la mamma continuò volgendomi direttamente la parola:
— La mia piccola Nora è capricciosetta.
— Ne ha la fisionomia.
— Buona, veh? Ma santo Dio, una testina che farebbe ammattire mezzo mondo. Quando fissa un chiodo, è inutile; novanta volte su cento la guadagna lei. Spesso si impuntisce a non voler venire in sala; le persone nuove la infastidiscono, piange, si dispera, grida in modo da passar l’anima. Noi siamo d’accordo di chiamare tutto ciò la sua lezione d’inglese... per gli estranei, s’intende; voi avete il diritto di conoscere la verità. Usatele un po’ di compatimento, caro Roberto, è una ragazzetta!
Il cieco amore materno traboccava da ogni espressione. Ella amava questa sua bella fantastica, questa seconda ed ultima figlia, non più dell’altra, ma certamente con una dose maggiore di indulgenza; con una specie di civetteria retrospettiva che la faceva rivivere in quel vispo demonietto.
— Spero che sarò abbastanza fortunato per poter distruggere le cattive prevenzioni della signorina Eleonora. L’ho forse spaventata mentre era sull’altalena?
— No, no — si affrettò a soggiungere Elisa — mia sorella è tanto nervosa che non può mai dar ragione de’ suoi capricci. Il medico dice che è un isterismo precoce; lei non ne ha colpa.
Ho capito. Erano tutti infatuati della piccola zingara. Il caso d’altronde non mi riusciva nuovo; solo mi rallegrai che le due sorelle non si somigliassero punto punto.
Come passasse poi il resto del giorno, non saprei dire veramente. L’ora del pranzo mi giunse inaspettata; la campana della villa echeggiando in squilli prolungati sotto i melagrani mi riduceva a un solo pensiero: Ricordati, fratello, che devi partire.
— Mi permettete di tornar presto, Elisa?
Inchinandomi verso la mia fidanzata per raccogliere il dolce sì che spuntava sulle sue labbra, vidi due occhi neri che mi guardavano intensamente. Nora era entrata allora.
La principessa, disinvolta sempre, sorvolò l’impaccio di una presentazione ufficiale. Disse appena:
— Dà la mano, bimba, a questo signore. È un caro amico.
La fanciulla mi presentò in silenzio la sua manina; ardeva in modo singolare.
Durante il pranzo io la guardai poco, ma quelle poche volte incontravo immancabilmente il suo sguardo fisso e scintillante. Il cerchietto d’oro che le tratteneva i brevi capelli era meno lucente dei suoi occhi. Non parlò quasi mai e finito il pranzo scappò via.
Partii senza rivederla.
Le visite ch’io feci poi, molto frequentemente, alla villa indussero un po’ di dimestichezza fra me e la mia futura cognatina. Elisa, felice di questo buon successo, ci lasciava volentieri insieme; io mi ingegnavo di piacere alla zingarella poichè era un modo indiretto di piacere a lei.
La cosa tuttavia non sembrava molto facile.
In quel caratterino di dodici anni si manifestavano geroglifici complicatissimi abissi profondi. Molte volte si era tentati di credere che una vera donna si nascondesse sotto quell’abitino di lana bianca — una donna appassionata e fantastica — tanto lo sguardo era carico di scintille e la fronte di pensieri. Aveva dei sorrisi da civetta consumata; ma sorrideva così anche alla sua bambola.
Non era molto alta, nè molto complessa; la struttura fisica era proprio da bambina, le mosse no.
Salutava come una signora, piegando la testa; sedeva con una grazia somma; si alzava con dignità. Camminando, non si vedeva in lei quel portamento dinoccolato oppure ligneo delle altre fanciulle. Un’armonia seducente la dominava tutta. Qualche cosa della mollezza orientale piegava il suo agile fianco e dietro il tessuto dell’abito, il disegno delle spalle si presentava già con una finezza da scalpello greco.
Che braccini delicati uscivano dalle sue maniche un po’ corte! Le mani erano un portento.
Io domandavo molte volte a me stesso che meraviglia sarebbe diventata e quale uomo mai avrebbe avuto la presunzione di amarla. Per me, una bellezza tanto singolare mi faceva quasi paura.
Assolutamente la principessa era troppo indulgente colla sua ultima figlia; si lasciava affascinare e le perdonava qualsiasi capriccio. Nora cresceva libera e superba come un palmizio del deserto.
— Io so — le dissi un giorno — perchè non vi sono mai venuti i capelli lunghi come alle altre ragazzine.
— E perchè dunque?
— Perchè avete troppi capricci. Guardate un po’ vostra sorella Elisa...
Ella mi interruppe:
— Oh! Elisa...
Ma con tale accento curioso che non potei raccapezzarci nulla.
Un momento dopo mi disse:
— Volete vedere il lago verde?
— Cos’è questo?
— È un lago che papà fece fare appositamente per me; un altro capriccio!
Appoggiò vivamente il sostantivo, guardandomi con tutta la malizia dei suoi occhi neri.
— Non sono punto sorpreso — risposi serio.
Pensavo tra me e me: Se potessi educare questo cervellino bizzarro? Tutta la famiglia dovrebbe essermi riconoscente e non sarebbe poi fatica sprecata... È un modo di fare esperienza per il futuro!
Sorrisi all’imagine di quel futuro.
Nora intanto s’era mutata. Cogli occhi bassi, malinconica, strappava punto per punto i merletti del suo fazzolettino.
— E dunque?
Rispose senza guardarmi:
— Ho riflettuto che forse non siete degno della mia confidenza.
— Davvero, madamigella Eleonora? Non vi ispiro abbastanza fiducia? Ne sono proprio mortificato; credete, è la prima volta che mi capita di ascoltare una frase simile. È ben vero che il senno che la detta non è che il senno di una bambina.
— Non voglio che vi facciate beffe di me, capite, signore? Sono ben libera di pensare e di dire quello che mi pare e piace.
— Fin troppo! Non v’è alcuno che lo ignori. Quando il pappagallo di vostra madre dice qualche scioccheria si indovina subito che gliel’avete insegnata voi.
Mi venne incontro furente. Sulla sua pallidezza di donna il rossore della bimba mortificata faceva un contrasto nuovo. Ho creduto per un momento che volesse graffiarmi; invece si fermò di botto lanciandomi dal fondo delle sue pupille uno sguardo di regina offesa.
Feci l’atto di accarezzarla, ma era già fuggita. In quel momento entrò Elisa.
— Che cosa avete fatto a Nora? Piange lagrime grosse come nocciuole; la mamma, che era con me, si è fermata a consolarla.
— La consolerà, non dubitate. Voi potreste ben fare altrettanto col vostro tenero adoratore...
Eravamo soli e non volevo perdere l’occasione.
— Siete così infelice? — domandò Elisa timida ente.
— Infelice no, perchè vi vedo, ma ho bisogno che mi aiutiate a portar pazienza...
Pensavo che m’aiuterebbe assai un qualche cosa che vedevo volteggiare intorno ai freschi labbri di Elisa — parola, sorriso, bacio, non so — stavo per accertarmene quando entrò la principessa.
Rimasi un po’ stizzito.
— Ebbene — esclamai — è finita la lezione d’inglese?
— Povera piccina! — disse la principessa con commozione. — Voi non la conoscete ancora. O che credete che piangesse per capriccio? S’è punta, m’ha detto, con un lungo spillo e il dolore fu più forte di lei.
Una bugia! certo; una bugia di Rosina senza l’attenuante di Almaviva. Ma perchè quella bugia? Oh che testina romanzesca! Per fortuna Elisa non le somiglia.
⁂
I fanciulli viziati non mi piacciono proprio; non vedevo nessuna ragione perchè avessi a sopportare le stranezze della mia cognatina.
Ero disposto alla guerra.
Con mia sorpresa Nora si mostrò discretamente buona nei giorni che seguirono. Evitava di parlarmi, questo sì, ma siccome a rigor di termine potevo farne a meno, non pensai a rammaricarmene.
I buffetti sulle guancie non le piacevano, le carezze sotto al mento neppure; m’ero messo a levarle il cappello e a dirle con gravità: «Buon giorno, signorina». Ella mi rispondeva sullo stesso tono. Voleva essere trattata come una persona grande.
Passò circa un mese a questo modo. Tuttavia io non l’osservavo attentamente perchè Nora subiva un cangiamento notevole e fui l’ultimo ad accorgermene. È però naturale; non pensavo che ad Elisa.
— Vedete come la mia sorellina mette giudizio?
— Hum! Ne mette troppo; finirà col diventare giudiziosa al pari di voi.
Queste parole io le scambiavo ridendo colla mia fidanzata in uno di quei brevi momenti che la mamma ci lasciava soli.
Elisa ricamava, seduta nel vano della finestra aperta. A’ suoi piedi, sulla gradinata di marmo, si intrecciavano i rami del caprifoglio e sopra la sua testa una bruna ed esile pianticella di gelsomini imbalsamava l’aria intorno a lei.
Questa figlia di principi aveva nel suo insieme, nell’espressione dolcissima della fisonomia, una grazia pura, direi quasi villereccia. Il diadema di brillanti che le regalerò per le nozze non la renderà più bella; non è adattato per la sua fronte verginale troppo timida e troppo modesta.
Così, com’eri in quel giorno, seduta sotto i gelsomini vorrei dipingerti o Elisa, cara metà dell’anima mia!
Il suo sguardo sereno, innocente, errava su di me avvolgendomi in un fluido soave tutto amore e poesia.
Non mi ero mai sentito tanto vicino al cielo.
— Elisa, tralasciate di lavorare; sono geloso di questo ricamo che vi occupa troppo.
— Oh! non mi occupa; anche lavorando penso a...
— Ebbene, cara fanciulla, perchè vi interrompete?
Le presi le belle mani candide:
— A chi pensate?
— Lo sapete bene! — rispose, tingendosi di un rosa vivo e tremando sotto la stretta della mia mano.
— Cara, cara!
Non potevo dirle altro; cioè, avrei potuto benissimo, solamente a lasciar parlare intero il mio cuore; ma davanti a quel pudore ombroso mi sentivo timido anch’io; i desiderî più cocenti sotto i suoi occhi si vestivano di verecondia.
Osai, nondimeno, baciarle le mani.
— Oh! Roberto, lasciatemi.
Non ne feci nulla. Ella aveva il polso più delicato che si possa imaginare, morbido, con una adorabile pozzetta dove incomincia il palmo della mano; la mia bocca l’aveva scoperta e le apparteneva per diritto di conquista. Insensibilmente l’ebbrezza mi saliva al cervello; di seduto che ero scivolai ai suoi ginocchi; la mano non mi bastava più; la cinsi colle mie braccia e la baciai sugli occhi bellissimi.
Un grido acuto mi svegliò dall’estasi. Elisa giaceva immobile, col petto oppresso per l’emozione, colla testa rovesciata sulla spalliera, quasi svenuta — ma il grido non lo aveva gettato lei.
La camera era vuota; guardai ansiosamente in giardino. A venti passi da noi, l’abito bianco di Nora correva sotto i melagrani ed il suo cerchietto d’oro luccicava tra le foglie come un fuoco fatuo.
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⁂
L’osservazione che facevano tutti e che alla lunga dovetti fare anch’io, è che Nora soffriva.
Il suo visino, già pallido, aveva acquistato delle trasparenze di camelia. Intorno agli occhi, così neri e profondi, un cerchio bruno ne accresceva lo splendore febbrile; la bocca era mesta e la fronte preoccupata.
Cambiamenti dell’età; diceva qualcuno.
La principessa non si contentava di questa spiegazione. Il suo istinto di madre la metteva in allarme; taceva, ma osservava.
Elisa mi confidò che sua sorella piangeva spesso e che nessuno poteva strapparle il segreto di quelle lagrime. La si vedeva malinconica e sola passeggiare in giardino; oppure accovacciata in una poltrona del salotto, mentre gli altri stavano riuniti a parlare, sfogliando degli album che i suoi occhi non guardavano.
La principessa, unica fra tutti, riusciva qualche volta a farla sorridere e a farsi abbracciare. Con Elisa affettava un contegno freddo, quasi sarcastico; se la buona giovinetta tentava di intenerirla con parole o con baci, la respingeva duramente schermendosi.
Eranle venuti a noia i trastulli: sull’altalena non saliva più; suonava, certe sere, sul pianoforte le romanze più tristi e più disperate. Faceva pietà il sentirla.
Il principe che si vedeva di rado alla villa perchè infinite occupazioni lo trattenevano in Roma, restò colpito dal cambiamento della sua giovane figlia e le mandò dalla città un medico famoso.
Ero presente anch’io quando venne.
Nora si lasciò guardare e riguardare, rispondendo con svogliatezza alle domande di quel signore e mostrando chiaramente nello sguardo distratto la sua poca venerazione per la scienza.
— La signorina mi sorprende — disse il dottore. — il suo sviluppo morale è così... così... come dire?... avanzato... che non vidi mai l’eguale. Ciò spiega d’altronde i fenomeni che la signora principessa ha osservati. L’equilibrio essendo il perno della salute induce naturalmente quando viene a mancare i più deplorevoli sconcerti. La signorina legge romanzi?
Questa domanda fatta a bruciapelo mi fece sorridere; la mamma rispose:
— Oh! Dio, Manzoni, De Amicis, che vuol mai che legga questa bimba?
Guardai Nora. L’attitudine superba e sprezzante del suo labbro, diceva netto: Che bon’uomo quel dottore!
Infatti, se non ci fossero romanzi al mondo la testina di Nora li avrebbe inventati.
Quando il medico se ne andò la principessa volle accompagnarlo fuori del salotto. Parlarono ancora per dieci minuti a bassa voce. Nora intanto aveva presa un’attitudine di sfinge; sprofondata sulla poltrona di sua madre, collo sguardo fisso, intento, pareva affascinata da abissi misteriosi.
La principessa comparve sulla soglia e chiamò Elisa colla mano.
— Ditele qualche cosa — mi susurrò all’orecchio la mia fidanzata prima di uscire. — Da me non vuole ascoltar nulla. Ditele voi che l’amo tanto, che mi fa pena vederla così!
La fanciulla non si era mossa; non aveva visto nè udito nulla. Aveva l’immobilità di una statua.
— Nora! — chiamai ad alta voce.
Si scosse, volse attorno una rapida occhiata e fermò sopra di me le sue pupille scintillanti.
Presi uno sgabello e sedetti vicino a lei; restavo molto più basso; la mia testa era a livello delle sue spalle.
— Nora — continuai — perchè fate tante stranezze? Non amate più vostra madre e vostra sorella? Sapete che ci addolorate molto?
Un lieve rossore le passò sulle guance, ma non rispose.
— Siete una bella ragazzina, cara, intelligente; potreste essere anche buona... come vi si amerebbe allora! Rispondete dunque, volete essere buona?
Uno scoppio di pianto altissimo, irrefrenabile, l’agitò tutta. Mi buttò le braccia al collo, premendo sulla mia bocca la sua faccia inondata di lagrime e mormorando:
— Non posso, non posso!
Mi era quasi sui ginocchi.
Le presi la vita con una mano e la sollevai, ricomponendola sulla poltrona, rifacendole intorno ai piedi le pieghe della veste, agitato io pure e commosso da quell’impeto selvaggio.
— Da brava, non piangete più.
— Parlatemi ancora!
— Avete visto lo scacchiere nuovo che mandò vostro padre?
— Non così, no, parlatemi come prima!
Si era appoggiata con un braccio sulla mia spalla e mi guardava dentro gli occhi.
— Che dicevo prima? Vi ho esortato ad essere buona, ma questo vi fece piangere... Ho detto che siete una bella ragazzina, cara, intelligente, vi piaciono i complimenti? Oh! ve ne farò ancora. Avete i più begli occhi del mondo. Sorridete? Ecco dunque le figlie d’Eva. Madamigella, siete troppo civetta!
Ero deciso a rabbonirla a qualunque costo e vidi con piacere che il sistema camminava.
Da vero diplomatico poi mi ripromettevo di cavarne tutto il profitto possibile, rappresentando ad Elisa i miei sforzi eroici, la mia pazienza e il mio trionfo.
— Vorrei sapere una cosa da voi, Roberto!
La mia cognatina pronunciò queste parole con una grazia incantevole, tirandomi dolcemente il baffo sinistro che si trovava dalla sua parte.
— Eccomi pronto. Desiderate che vi spieghi un quesito d’alta politica, un capitolo di filosofia della storia o la teoria di star bene a cavallo? Ah! Ah! indovino; volete sapere qual è la molla che fa camminare e parlare le bambole.
La fronte di Nora si corrugò all’improvviso, mi privò dell’onore di tirarmi i baffi e rispose seria seria:
— Sapete che non mi piacciono gli scherzi; non sono più una bambina.
— Perdonatemi, donna Eleonora.
Le presi gravemente una mano e l’accostai alle labbra con tutta la cortesia di un paladino.
Ella parve placata. Strinse nella mia la sua piccola manina e mi disse:
— Vorrei sapere se gli uomini amano allo stesso modo delle donne.
Confesso che rimasi di sasso e fui lì lì per rispondere che sua madre avrebbe potuto informarla meglio di me. Ma capii che era un prendere la cosa troppo sul serio. Certe birichinate da ragazzi non bisogna toglierle dalla loro sfera di ingenuità — si sciupano. Mi accontentai dunque di ridere, affermando che non conoscevo l’argomento.
Nora si morse le labbra con un dispettuccio tanto comico che non potei resistere al desiderio di baciarla, cosa che feci immediatamente, alla presenza della principessa che ritornava in quel punto battendomi le mani.
Il resto del giorno fummo tutti lieti. Nora non ci regalò nessuna romanza malinconica ed Elisa mi rese beato colla sua riconoscenza.
Ahimè, bel tempo d’aprile! La pioggia ci stava alle spalle; la vidi scendere in forma di lagrime dagli occhi di Elisa!
— Mia sorella non mi ama più!
Così dicendo la mia fidanzata mi abbandonò le mani, con un accasciamento doloroso, come se le restassi io solo sulla terra.
— È egli possibile, Elisa, che i capricci di una bimba vi turbino a questo modo? Tutti qui dànno troppa importanza a una ragazza male educata e cattiva.
— No, cattiva; vi assicuro che Nora non è cattiva. Ci siamo sempre amate intensamente; io con eguale dolcezza: lei alla sua maniera, con impeti di passione, con gelosie, con smanie... Guardate, sono persuasa ch’ella ora è in collera con me perchè... perchè vi amo.
Un delizioso turbamento aveva separato quei due perchè — ci sarebbe stato un posto per un bacio — ma Elisa continuò:
— Ieri sera m’ha fatta una scena; dice che non vuol più dormire nella mia camera; non si lascia più pettinare da me. Una volta, io sola toccavo i suoi bei capelli; il cerchietto d’oro glielo mettevo sempre io; mi chiamava la sua giovane mamma. Ci amavamo, Roberto, oh! ci amavamo tanto! Ed ora, mio Dio, non so resistere al pensiero di perdere quel piccolo cuore ardente...
Calmatevi, Elisa, sono burrasche passeggiere. Vostra sorella vi amerà ancora e quando mai... sollevate gli occhi, fissateli attraverso i miei sguardi nel mio cuore, dite, non ci trovate abbastanza amore?
Un lieve sorriso rischiarò il volto d’Elisa; mi strinse la mano in silenzio e per un istante dimenticammo ogni cosa, guardandoci: indi a poco riprese:
— Le è tornata la smania del suo lago.
— Che lago?
— Non vi ha mai parlato del lago verde?
— Sì, mi pare, ma non mi disse che cosa sia.
— Ah! dovreste vederlo. È un vero lago, lungo cinque o sei metri, coll’acqua profonda e verde come lo smeraldo, circondato di grotte, d’erba, d’alberi, di fiori, che so io, non mi ricordo nemmeno più. Da qualche mese Nora sembrava dimenticarlo, ma il gusto le è tornato perchè vi passa ore ed ore, sola.
— La principessa non dovrebbe permettere queste emancipazioni.
— Che male c’è — domandò Elisa la quale, come il resto della famiglia, non comprendeva che si potesse negare qualche cosa a Nora.
— La solitudine non fa bene ai ragazzi e i capricci poi, per quanto innocenti, non vanno tollerati.
— Ma è stato il babbo a farle la sorpresa del lago.
— Come! anche lui?
Io volevo dire: anche lui acciecato a tal punto? Ma Elisa non me ne lasciò il tempo.
— Sono già quasi due anni. Nora si destò una mattina tutta esaltata e commossa per un sogno che, al dire di lei, era durato tutta la notte e l’aveva riempita di una felicità tale che la febbre dell’ebbrezza le faceva battere ancora i polsi. Le pareva di riposare in mezzo a un lago verde, galleggiando come una naiade, sulla superficie lucente dell’acqua e mirando nel fondo uno scintillìo di gemme, un bagliore profondo e misterioso, fra una quiete altissima, tra profumi ignoti di fiori strani, — io non so raccontare, Nora ci meravigliò tutti colla sua descrizione. Era così innamorata di quel lago visto in sogno, che babbo per il suo onomastico gliene fece il regalo.
— Che!
— Davvero. Fuori del giardino, a destra, se Nora volesse darvene la chiave... ma è gelosa del suo lago; i profani non sono ammessi all’onore di vederlo.
Scossi il capo, compassionando non so se più le stranezze della figlia o l’indulgenza dei genitori.
— È da allora che la vostra graziosa sorella si veste di bianco e di verde?
— Ah! questa è un’altra cosa — disse Elisa ridendo. — Nora pretende che nessuna donna osa vestirsi di verde e che lei sola può farlo.
Era orgogliosissimamente vero; al temuto confronto la bellezza straordinaria di Nora trionfava.
Quando si parla della rosa spunta il bocciolo. Stavo per fare questo complimento alla mia cognatina, ma mi accorsi ch’ella, entrando, non mi aveva veduto. Sedetti allora sulla poltroncina bassa, accanto alla finestra, nel posto favorito di Elisa; l’ampia tenda di damasco mi nascose completamente.
⁂
Nora si buttò svogliata sul divano.
Era un divano molto largo, antico, coperto di seta pavonazza a fiorami gialli, coi cuscini ornati di nappe pesanti. La figura giovanile di lei vi faceva un contrasto simpatico, stesa in un molle abbandono, privo d’arte ma non di grazia. Credendosi sola colla sorella non aveva studiato le sue solite pose di donna che la rendevano un po’ ridicola e non posando, singolare a dirsi, era più donna che mai. La morbidezza delicata del suo busto aveva un palpito sensuale, come di persona che i desideri avvampano; il suo collo bianco e pieno si piegava indietro tra le ciocche brune dei capelli quasi per respirare nell’aria la voluttà di un bacio. C’era un dolore profondo, un vero dolore sotto le sue palpebre socchiuse, attraverso le quali gli occhi nuotavano in misteriosi languori.
Mi faceva, a guardarla, un effetto nuovo. Non l’avevo mai vista così; la trovai interessante in sommo grado, per la prima volta ne sentii compassione.
— Elisa!
La sorella, chiamata dolcemente, corse a lei.
— Elisa... mi ami?
— Se t’amo, cara, e puoi dubitarne?
Sedette anch’ella sul divano e l’abbracciò.
— Tu piuttosto...
Nora le chiuse la bocca col dito.
— Se sapessi come soffro!
— Ma di che cosa, mio angelo? Parla. Lo vedo bene che non sei più la mia Norina, che non mi apri più il tuo cuore come una volta. Ho pianto tanto, sai, ieri sera...
— Perdonami, che vuoi ch’io ti dica! Sono stanca di vivere.
— Nora, alla tua età!
— Io non ho età. Capisco che non sono mai stata una bambina come le altre. Mi sento vecchia di cent’anni; mi sembra di aver veduto tutto, di saper tutto e sono sempre le medesime cose. Io, vedi, non posso ridere, nè correre, nè giocare, nè essere felice. Ho un gruppo qui, qualche cosa che mi soffoca, che mi opprime. Non mi trovo bene in questo mondo; ne ho in mente un altro, diverso, non so come, ma diverso.
Si rizzò sul gomito. Era un po’ rossa, di un rossore direi quasi interno, una fiamma chiusa in un globo d’alabastro.
— Sei ammalata, poverina!
Nora affermò col capo.
Le due sorelle stettero un bel pezzo abbracciate, confondendo in un gruppo la loro gioventù e la loro bellezza. In quel momento Elisa sembrava la minore. Elisa, colla sua fronte di vergine e i suoi occhi di bambina era l’innocenza. Nora era l’amore.
— Vorrei pregarti di un piacere — disse la fanciulla.
— Parla, rispose Elisa baciandole la manina.
— Dovresti cantare quella romanza che mi piace tanto... sai!
— Oh! è triste.
— Mi piace appunto per ciò.
— Ma non è da ragazzina, lo dice anche la mamma.
— Cantala egualmente!... Ti accompagnerò.
L’accento di Nora era supplichevole; Elisa cedette.
Le due sorelle si posero al piano. Elisa che ha una voce incantevole incominciò pianissimo; le piccole dita di Nora la seguivano sulla tastiera.
Io conoscevo assai bene quella romanza, tuttavia mi destò una commozione straordinaria.
Forse l’ora malinconica del tramonto, forse quelle due fanciulle biancheggianti nella penombra della sera, non so... tremava agitato da una tenerezza nervosa.
Quando Elisa disse:
«Ma quel bacio su cui semispento
Il tuo labbro s’univa col mio,
Nè tu stesso, nè il tempo,
nè Dio Mi potranno quel bacio rapir.»
Nora mise un gemito; Elisa volle fermarsi ma la sorella ne implorò la fine con una violenza disperata.
«Io l’ho qui sulle labbra, lo sento
Caldo ancora dall’ultima sera:
Esso allora dicevami: spera,
Or mi dice: ti resta morir.»
Non potè continuare.
Nora era caduta sul piano, piangendo e singhiozzando. Elisa, a’ suoi ginocchi, l’abbracciava piena di desolazione e di sgomento.
⁂
Con un balzo fui presso a loro.
Elisa si ritrasse un poco ed io restai ritto, in piedi davanti a sua sorella.
Sulle prime non mi vide, non osavo chiamarla, poi alzò la testa e riconoscendomi, tese le braccia verso di me con un movimento rapido e angoscioso; poteva essere egualmente per attirarmi che per respingermi. Io l’interpretai nel primo senso e prendendola per le mani la strinsi contro il mio petto.
Che pensavo? Nulla. Fu un impeto istintivo; ma appena sentii la sua gracile persona appoggiata al mio cuore, ebbi come una vertigine, gli occhi mi si copersero di un velo, vacillai, la strinsi più forte e le nostre bocche si incontrarono.
Dio santo, che rivelazione!
Cercai Elisa collo sguardo — era scomparsa.
Le ombre della sera si addensavano nel salotto, reso più oscuro dagli ampi cortinaggi delle finestre. Fra poco sarebbe venuta la principessa; non dubitavo che Elisa fosse andata a chiamarla e Nora restava sempre immobile, singhiozzando sul mio petto.
La cinsi con un braccio, trasportandola di peso. Avevamo bisogno entrambi di ricomporci.
Fuori del verone, un’auretta deliziosa sollevava i profumi del giardino.
— Nora, venite, andiamo incontro a vostra madre.
Ella mi segui senza parlare. Povera fanciulla!
Non sarei uomo se dicessi che io camminavo al suo fianco impassibile. No! Quell’amore di donna sbocciato come un fiore prematuro in un seno di bambina, non poteva lasciarmi indifferente. Sentivo il suo respiro caldo, affannoso e mi domandavo quali arcani nascondeva quell’angelo di dodici anni; tentazioni bizzarre mi spingevano verso l’abisso delle sue pupille nere, ardenti, piene di tenebre e di passione.
Ella era affatto cambiata per me. Ogni traccia di fanciullaggini e di capricci scompariva davanti a un sentimento di profonda pietà e di inenarrabile simpatia.
Se qualche volta un sospetto, un dubbio si era prima d’allora affacciato al mio pensiero, lo avevo respinto come una sciocca vanità; ma ora tutto mi si faceva chiaro — le sue malinconie, le stranezze, le lagrime. Non avevo mai arrischiato nulla che potesse destarle amore; ma chi semina i fiorellini sulle vette rocciose e nei burroni inaccessibili? Chi dice all’aquila: vola in alto, l’orizzonte è per te?
Erano cresciute insieme, quelle due sorelle, sotto gli occhi della madre, eppure quanto diverse!
Vicino a Nora, in quel momento, sentivo il bisogno di pensare ad Elisa — come quando si è in pericolo si pensa al cielo — ma non avevo il coraggio di vederla, così subito.
Ero turbato, distratto.
Nora, sentite la voce di vostra madre sullo scalone? Da brava, correte a raggiungerla. Io vado a far sellare il cavallo. C’è una luna stupenda questa sera.
Chi sa che cosa avrei aggiunto ancora; forse nulla, forse troppo.
Ella mi stese la mano in silenzio, guardandomi col raggio investigatore de’ suoi occhi dove l’innocenza si mesceva stranamente a un vago desiderio di colpa.
— Addio, Nora, addio. Dormite bene.
Fatti pochi passi, mi voltai per vedere se ella era ancora là. C’era. La luna l’avvolgeva tutta; in mezzo a’ suoi capelli neri un punto d’oro brillava.
Pareva una piccola fata delle foreste d’Irminsul.
Gridai un’altra volta: Addio, Nora!
⁂
Dormii male nel mio elegante quartierino del Macao. Mi accorgevo proprio che sul principio d’agosto Roma diventa inabitabile — tuttavia l’avevo sempre abitata.
Il giorno seguente non potei recarmi alla villa. Gli affari e una quantità di occupazioni relative al matrimonio mi rubarono tutto il mio tempo — no, diciamo meglio, me lo comperarono pagandomi con un po’ d’oblio. Nel mettermi a letto alla sera ero stanco ma calmo, e quando sotto i primi raggi del sole presi la strada della villa mi sentivo leggero e felice.
Le donne hanno pur ragione di dire che l’amore degli uomini è composto metà di orgoglio e l’altra metà d’egoismo — raro esempio coloro a cui sfugge qualche frazione da consacrare all’affetto puro.
Preso dalla vaghezza del paesaggio e dalla soavità de’ miei pensieri, non affrettavo il passo della mia cavalla; lasciavo che le redini le ondeggiassero sul collo e lasciavo pure ondeggiare la mia fantasia nell’ignoto mare del futuro, mare sì dolce a vent’anni che tutti vorremmo annegarci.
Una sorpresa mi aspettava alla villa.
La principessa era uscita in carrozza con tutte e due le figlie, senza dire dove andava nè quando sarebbe tornata.
Nessun domestico aveva ricevuto ordini speciali. Doveva essere più ammalata del solito la signorina Eleonora perchè il giorno prima non s’era vista e tutta notte la principessa aveva vegliato presso di lei.
Quella mattina poi la signora aveva ordinato la carrozza con un fare tanto serio e reciso, con quel fare proprio da «imperatrice romana», diceva la cameriera da non permettere un tentativo di domanda qualsiasi.
L’opinione generale era che sarebbe tornata per il pranzo.
Accettai l’opinione e mi posi a passeggiare nel giardino. Non l’avevo mai visitato per intero, avendo poca simpatia per la botanica e trovando il posto migliorefra le due tende del salotto terreno presso la poltroncina d’Elisa.
Ora, poichè non mi restava di meglio a fare, percorsi quattro volte il viale dei melagrani, mi fermai davanti una siepe di rose del Bengala, ammirai col sigaro in bocca e il frustino in mano dei bellissimi tulipani d’Olanda, scambiai una poenia per un girasole, e finalmente posi il piede davanti a una misteriosa porticina, elegante, verniciata di fresco, che il giardiniere mi disse essere il terreno privato di madamigella Eleonora, il famoso lago dunque? Sì, il famoso lago.
Bisognava essere una bambina per tenersi la chiave di quel luogo incantato come fosse una fortezza inaccessibile. Aveva un muricciuolo così basso che io mi ricordai subito di averne scavalcati parecchi durante le odissee del collegio, e in fatti, senza quasi uno sforzo, mi trovai al di là.
Quantunque avvisato non potei frenare un moto di sorpresa scorgendomi sotto gli occhi un lago perfettamente verde, lucido, profondo, scintillante — pareva uno smeraldo vivo.
Il fondo era stato preparato apposta per dare all’acqua quel riflesso, e delle rive l’erba vi si specchiava così folta e lussureggiante che l’illusione riusciva completa.
Una grotta artificiale lo cingeva per metà; era anch’essa tutta verde, coperta e tappezzata di muschio, con un tavolino rustico e una sola sedia. La capricciosa eremita non vi riceveva visite. In quel piccolo eden la donna aveva preceduto l’uomo.
Vi regnava il più profondo silenzio; non mi venne fatto di trovare traccia alcuna di colei che soleva abitarlo.
Appena vicino molto vicino alla riva un posto, dove l’erba si mostrava alquanto calpestata, sembrava indicare che Nora vi si coricasse spesso. Quelle fitte foglie piegandosi l’una sull’altra dolcemente avevano conservato l’impronta del graziosissimo corpo; io mi vi gettai alla prima senza pensarci molto, ma poi mi parve di aver commesso un sacrilegio e me ne scostai arrossendo, mosso da un senso bizzarro di pudore.
Quell’erba coricata, quell’erba che l’aveva avvolta tutta, assorbito il suo respiro, baciato i suoi capelli, accolti forse, i sospiri della sua giovane anima, aveva una fisionomia propria, una voce, un accento.
Tutto ciò che Nora non aveva detto a me, quell’erba lo sapeva.
Cara fanciulla, il mondo intero potrebbe accusarti, ma non io, non io!
Pensai allora — come non pensarvi? — alla romanza da Nora prediletta:
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Perdonami, Elisa!
⁂
Alle 5 precise la carrozza della principessa entrò nella corte.
L’aspettavo. Corsi ad aprire lo sportello, porgendo la mano alla mia futura suocera. Ella discese con una certa vivacità insolita, così insolita che la rammento perfettamente come era in quel giorno e in quel momento. Aveva un vestito di velluto nero e un mantello chiaro a ricami; teneva in mano un ventaglio chinese che mi picchiò sul braccio.
Elisa le venne dietro, un po’ mesta, cogli occhi rossi.
— Dov’è la piccina?
— Ah! — disse la principessa appoggiandosi, anzi abbandonandosi sul mio braccio — siamo andate a trovare mia cugina di Tersis e Nora è rimasta là.
— Non è ammalata dunque?
La principessa mi guardò in mezzo agli occhi.
— Ammalata! Perchè?
— Da molto tempo non si sente troppo bene, noi tutti lo sappiamo.
— E sapete anche il motivo, voi?
L’intenzione era di mostrarsi calma, ma la voce le tremava. Risposi con sicurezza:
— So che io non ci ho colpa.
— Da uomo d’onore?
— Da uomo d’onore.
— Bene. Mostriamoci lieti; dopo quindici giorni di assenza la bambina ci tornerà guarita da tutti i suoi capricci. Intanto tenete un po’ allegra quella povera Elisa... vedetela!
Elisa infatti sembrava abbattuta; me ne ero accorto subito. Ci precedeva di alcuni passi, silenziosa, senza voltarsi indietro per guardarci o prender parte ai nostri discorsi.
Giunti sulla scalinata che mette al salotto terreno, la principessa si sciolse dal mio braccio:
— Vi raggiungerò miei cari. Vado a cambiare questo abito che mi soffoca; stamattina non credevo che dovesse fare caldo.
Mi volse uno dei suoi buoni sorrisi che era questa volta anche eloquente e ci lasciò soli.
Non sono mai imbarazzato quando mi trovo solo con Elisa; nemmeno allora, quantunque una nube leggerissima alitasse sopra noi e nel sereno occhio della mia fidanzata tremolasse, indistinto, un vago dubbio.
Il primo movimento mi spinse ad aprire le braccia — se io la presi o se ella vi si gettò non muta nulla alla situazione che parve ad entrambi dolcissima — così che quando Elisa sedette sulla sua poltroncina, in mezzo alle tende, era tornata la solita Elisa, la mia vergine campestre.
Il gelsomino appunto la incorniciava, come sempre, e come sempre io trovavo accanto a lei una pace profonda, un senso intimo e completo di ineffabile felicità.
⁂
La principessa non parlava mai di Nora, come se non esistesse. Oh le madri!
Il pensiero di quella sua prediletta doveva occuparla da mattina a sera; cercandolo lo si sarebbe scoperto in una piega della fronte, in una distrazione dello sguardo, ma nessun altro sintomo lo tradiva.
Ella voleva che Elisa si preparasse alle nozze in una atmosfera tutta di gioie. Io stesso che, molte volte, l’avevo accusata di favoritismo per la sua ultima figlia, dovetti convincermi che se una debolezza di simpatia l’attirava maggiormente verso quella, non restava però alterato l’amore vero e santo ch’ella portava ad entrambe.
Evitava con premura l’argomento malinconico dell’assenza; se Elisa nella sua serena innocenza vi faceva allusione, subito una parola gaia, uno scherzo, troncavano le investigazioni. Una volta poi le disse in confidenza (ed io lo so per lo stesso motivo) che non s’addiceva ad una bambina svegliata come Nora la vista quotidiana di due fidanzati...
Fors’anche la principessa, compiendo questo sacrificio, si preparava la gioia purissima ed esclusiva di riprendersi la cara fanciulla e tutta in essa concentrare i suoi affetti quando Elisa non sarebbe più là.
Elisa intanto non dubitava di nulla. Turbata, commossa, vedeva ogni cosa attraverso il velo immacolato del suo candore che l’amore appena tingeva di riflessi vermigli.
In quel periodo delizioso che si può chiamare il sonnambulismo dell’anima, una donna è troppo assorta nel celeste mistero che deve trasformarla per poter pensare lungamente ad altra cosa. È una condizione eccezionale — alta troppo per guardare sulla terra e non ancora abbastanza per spaziare in cielo.
Coloro che sono partigiani dell’amore colpevole non sanno — e se lo meritano — quante ebbrezze prepara la virtù ai suoi seguaci. Non parlo delle ebbrezze mistiche, ma pure dirò, cara fanciulla, che nessuna delle donne che si acquistano o si conquistano nel mondo della galanteria mi fece mai battere il cuore come te quando ti guardavo e tu arrossivi.
Tutti e due in quegli ultimi giorni dimenticammo un poco la povera Nora. Elisa tuttavia se ne ricordò in tempo per domandare a sua madre:
— O che Norina non verrà per il matrimonio?
— Ma! — rispose la principessa. — Ella si diverte immensamente dai nostri cugini che hanno bimbe della sua età; non so quanto bene le farei conducendola qui ad assistere alla vostra partenza e alla mia solitudine.
— Appunto per questo. Tu sarai troppo malinconica allora...
— Lasciami scegliere il sacrificio, Elisa. Mi consolerò pensando a lei ed a te.
Elisa fu molto dispiacente di questa disposizione che le teneva lontana la diletta sorella; ma la principessa seppe dipingerle così bene il lieto soggiorno di Nora dai Tersis, e come avrebbe cambiato male tornando a casa in quei giorni di eccessive commozioni che alla fine parve rassegnata.
Un lutto nella mia famiglia doveva togliere alle nozze ogni apparenza di festa; si era scelto il soggiorno della villa appositamente.
Sembrava dunque che tutto camminasse liscio. Un’ombra, nondimeno, offuscava e rendeva sforzato il sorriso che la principessa conservava d’obbligo sulle labbra.
— Mi nascondete qualche brutta notizia? — le chiesi una volta, dopo che la lettura di una lettera del Tersis l’aveva rabbuiata. — Nora...?
— Nulla, nulla. La bimba sta bene. Dopodomani, dunque? Siete pronto? V’accomoda l’ora scelta? Sì? grazie.
Mi strinse la mano con una gentilezza convulsa, senza darmi tempo di farle altre domande e si ritirò nella sua camera colla lettera in mano.
— Come porterete, mia dolce Elisa, quello strascico regale? Si può credere che faranno buona amicizia queste trine superbe colla vostra bellezza ingenua? Via, scommetto che sarete impacciata.
— Oh! impacciata proprio non credo; mi parrà di essere sul palco scenico; ma vedrete, signor critico, che la dilettante si farà onore.
— Sì, voi dovete essere capace di fare anche questa parte. Smanio però di vedervi al mio fianco, sulle montagne della Svizzera, col vostro abitino da viaggio e la veletta grigia.
— La veletta grigia non sta bene a tutte.
— D’accordo, quando non hanno le vostre rosee guancie e i vostri occhi brillanti. Vi assicuro che sarete incantevole; oh! allora proprio dovrò ripetere:
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Si parlava di veli — se ne metteva dappertutto. Io ero impaziente e affrettavo col desiderio quell’ora che doveva darmi Elisa per sempre.
Venne anch’essa. Vengono tutte «l’ore dai tetri mortali contate», le ore del delirio, le ore dello spasimo, le ore sante, le ore maledette. Venne, serena, come s’addiceva alla circostanza.
— Che bel sole! — disse Elisa. — Vuol farci festa.
— Troppo onore. Lo vedete, Elisa, il cielo si illumina per noi. Ringraziamolo con un bacio. Non è amando le creature che si dà lode al Creatore?
Eravamo beati.
La principessa incominciava a lasciar scorrere le sue lagrime: di gioia, diceva, ma non lo credetti, perchè dietro al pensiero di Elisa stava quello di Nora.
Una letterina della bimba giunse appunto quel mattino, diretta alla sorella. Era molto affettuosa, piena di espressioni tenere e meste, piena di ricordi; non una sola parola per me.
Nessuno mostrò accorgersi di questa lacuna — io meno degli altri — si lasciò Elisa tutta intera al piacere di leggere e rileggere la lettera. Si parlò di quando saremmo ancora riuniti, facendo i più lieti pronostici e i più graziosi progetti.
Il nostro viaggio doveva compiersi per la fine di settembre; il principe promise di passare l’ottobre con noi alla villa. Soltanto per l’apertura del Parlamento egli doveva trovarsi a Roma e noi tutti insieme.
I gusti della mia sposa erano semplici e casalinghi. La fantasmagoria delle feste, dei balli, dei ricevimenti a Corte non entrava nel suo programma e neppure nel mio; noi lo avevamo limitato ai confini del nostro salottino color perla, nel crocchio geniale dei parenti e dei vecchi amici; un po’ di teatro, un po’ di musica, tutto intimo, tutto in casa. Il sogno più caro non lo si diceva; ma quando i bruni occhi di Elisa si fissavano incerti e pensatori dentro i miei, forse ch’ella non vedeva al pari di me biancheggiare lontano una culla?
⁂
Molti parlano male del viaggio di nozze. Perchè? Io l’ho trovato delizioso.
Si fugge, si abbandona ogni cosa, persone e abitudini; si rapisce il nostro tesoro e lo si porta via dagli occhi curiosi, tutto nostro.
Dicono: si va a seminare in terra straniera le memorie dell’amore. In terra straniera? Qual è la terra straniera per un uomo felice? Io vorrei stringerti o alma terra dalle tue cime nevose fino ai caldi mari dove si specchiano le palme; vorrei stringerti al mio cuore come donna amata e chiamarti a testimonio del mio trionfo.
Non è che spazzandogli l’orizzonte davanti che si ingigantisce l’amore; albero superno gli abbisogna toccare coi piedi le viscere del suolo e colla fronte le nubi — tutto il mondo è per esso.
Tutto il mondo era mio e d’Elisa.
Due anime che s’incontrano, due corpi che si abbracciano, ecco il paradiso.
La principessa scriveva quasi ogni giorno. Ci diceva che Nora insisteva per tornarle vicina, che sembrava affatto guarita e che alla fine del nostro viaggio avremmo trovato la famiglia raccolta e in pace.
Elisa si rallegrava. Io no.
M’era occorso di vedere nel baule della mia sposa, mischiata coi libri e colle carte, una delle lettere che la signora Tersis mandava a mia suocera prima dei mio matrimonio. La principessa, che si era assunta il materno impegno di disporre per il viaggio gli oggetti della figlia, l’aveva smarrita e confusa insieme a quelli.
Tremai al pensiero che Elisa potesse leggerla; me ne impadronii, e per tutto quel giorno ebbi, lo giurerei, l’aria di un colpevole.
La signora di Tersis si esprimeva così:
«Non so cos’abbia la nostra Nora; ammalata non è, credetemelo; ho pratica di ragazze. La studio, la sorveglio e... mi preme di non precipitare un giudizio; aspettiamo.
«È buona, sapete? Vuol tanto bene a me e alle mie figlie, ma non giuoca mai con queste; preferisce restare in mia camera, sfogliando libri, pestando il cembalo; oh! a proposito, scusatemi, cara cugina, avete permesse alla vostra ragazza certe romanze che mi sorprendono: se pure, può darsi anche questo, ella non le ha imparate malgrado il vostro divieto...
«Noi, è certo, abbiamo avuta un’educazione diversa; ve ne ricordate? Da bambine eravamo proprio e null’altro che bambine. Ogni sforzo è nocivo alle giovani piante; mi pare che adesso si sfruttino troppo presto, ohimè! con quanto danno, i germi delicati e fatali del pensiero.
«Il male di Nora è nella testa. Riflettete e sappiatemi dire qualche cosa per mia norma. Vengono dei giovanotti in casa vostra?... Perdono, cara cugina, la mia domanda è sconveniente — ma se sapeste, se aveste osservato voi stessa certi sintomi ai quali noi donne e mamme non possiamo ingannarci!...
«V’ho parlato di testa, non di cuore; appunto perchè la credo e la spero una scappata del cervello.
«Sapete la mia compassione per i fiori di serra. Io amo le nevi immacolate dello inverno, perchè dopo quel gelido squallore mi torna più caro il bocciolo che germoglia spontaneo e profumato. State di buon animo, amica, noi manderemo fuori dalla serra il vostro fiorellino, gli diremo di dormire ancora i suoi sonni vergini sotto la neve.»
Povera madre! Come doveva avere sofferto nel vedere scoperto da altri quel segreto che essa sola credeva di conoscere.
Era questa certamente la lettera che le avevo veduto fra le mani. Povera madre!
Ed io?
Settembre finiva.
Salutammo i monti, i laghi, muti e cari testimoni della nostra luna di miele.
Lasciammo i nostri nomi intrecciati sulla corteccia di un pino in Savoia; due ciocche dei nostri capelli, strettamente uniti, in fondo al lago di Costanza; baciammo tutti e due al medesimo posto una roccia poetica e solitaria dell’Ercinia, e in una deliziosa vallicella presso Chamounix crescerà ancora, ai venti dei nord, un eliotropio che abbiamo piantato insieme, simbolo del nostro amore?
Il viaggio del ritorno fu dolce, di una dolcezza diversa.
Si stava per riabbracciare i nostri cari. Elisa aveva sempre sulle labbra la mamma e Nora. Quale vedrebbe prima? Che accoglienza le preparava la piccola zingarella fantastica?
Per parte mia non mi sentivo tranquillo.
Un presentimento no, nemmeno un sospetto: ma un’ombra tuttavia, un cruccio insistente, un malessere mi dominava.
Capivo che la cosa non era finita. Mio malgrado mi appariva nel futuro una minaccia ignota; temevo per Elisa, temevo per Nora... Oh! sventura ch’io non potessi formare la felicità dell’una senza distruggere quella dell’altra!
Ci aspettavano alla villa. Lettere e telegrammi si erano incrociati per una settimana, facendosi interpreti delle nostre impazienze. Credevamo di trovare qualcuno che ci venisse incontro fuori del cancello.
Elisa sporse con impazienza la testa dalla carrozza:
— Non si vede la mamma?
Nessuno.
La carrozza arriva nella corte deserta. Scendo. Elisa si precipita senza aspettare la mia mano.
Sulla scalinata di marmo incontriamo un servo cogli occhi spaventati, cogli abiti in disordine; è un vecchio cameriere che ha visto nascere le signorine.
— Dov’è la mamma?
Il pover’uomo si mette davanti a noi per impedirci di entrare; la sua lingua si rifiuta a proferir parola, ma i suoi gesti sono eloquenti. Una grande disgrazia è avvenuta.
Entriamo finalmente nel salotto terreno. Sull’ampio divano, dove per l’ultima volta avevo visto Nora abbandonata così bella nel fascino del suo occulto amore, giaceva ancora la fanciulla, immobile, col pallore della morte.
La principessa, accasciata, col volto nascosto su quel caro corpo, non ci vide entrare; udì il grido di Elisa e sollevò la testa.
Che sguardo fu il suo! Ne sostenni! la disperata angoscia con un coraggio che l’immensità stessa del dolore mi dava. Elisa si gettò nelle sue braccia.
Il principe, ritto accanto al divano, mi additò il piccolo cadavere con un gesto solenne.
Mi avvicinai, e la vidi nella sua veste bianca, cogli orli verdi, tutta intrisa d’acqua, sparsa di lunghi fili d’erba. Il cerchietto d’oro brillava ancora fra i neri capelli, ma lo splendore degli occhi era spento.
Non osai toccarla.
Sentivo lo sguardo della madre fisso su di me; era uno sguardo terribile, spietato; sembrava chiedermi: Perchè mi hai rapito tutte due le mie figlie?
E che potevo io fare se non cadere in ginocchio e piangere con lei?
Nora aveva chiesto vivamente di tornare presso la madre; la principessa che non desiderava altro ne era stata oltremodo lieta.
Quei pochi giorni trascorsi insieme resteranno scolpiti eternamente nel mio cuore — diceva — Nora non si mostrò mai così tenera, così affettuosa. Era un baciarla a tutte l’ore, un venirle presso, un chiederle amore e carezze. La povera bimba si struggeva in abbracci e in proteste appassionate.
Quando le annunciarono il nostro ritorno non si mostrò nè contenta, nè turbata. Si fece seria e pregò la madre di dire ad Elisa che lei le voleva tanto, tanto bene. Avendole risposto: Ma non glielo dirai tu? — soggiunse: — Non si sa mai!
La mattina del nostro arrivo sembrava assai mesta: pianse in segreto — la madre se ne accorse guardandola — poì si calmò, sorrise anche.
Un po’ prima dell’ora attesa, scomparve.
Dopo averla cercata trepidanti, coll’ansia nel cuore, la trovarono distesa che pareva dormisse, nel suo lago verde, e dalla pace della composta fisonomia si potè credere ch’ella era felice nella realtà del suo sogno — che in fondo a quelle acque scorgesse i misteriosi bagliori che l’avevano attirata.
Elisa singhiozzava sempre accanto alla madre; il principe pareva impietrito. Io non trovavo parole di consolazione per alcuno — Dio santo! avrei dovuto prima consolare me stesso — e mi sentivo inconsolabile.
Verso sera, una pietosa curiosità mi condusse nel recinto favorito da Nora, là dove era il suo lago verde, dove era morta, dove ogni cosa ancora doveva parlare di lei.
Il silenzio vi dominava assoluto, quel silenzio materiale che lascia ascoltare così bene le voci del cuore. Non c’era un’eco in quella grotta solitaria? Nessun fiore, nessun sasso aveva ritenuto i sospiri della poveretta? E quelle onde immobili non lasciavano sfuggire il segreto della innamorata fanciulla che vi si era annegata?
Tutto taceva, tutto era muto.
Sedetti sull’erba e diedi libero corso alle lagrime. Un’ombra grigia, disegnandosi elegante e leggera sullo specchio dell’acqua, mi fece balzare in piedi.
— Elisa, tu qui?
La mia sposa sorrise con una dolcezza malinconica che sembrava dire: Il mio posto è vicino a te. Mi prese le mani e conducendomi pochi passi lontano, mostrommi sulla sabbia del viale alcune parole che la brezza della sera stava per cancellare.
Mi chinai, ma al debole raggio della luna non potei leggere.
— Ro-ber-to: disse Elisa lentamente, quasi sillabando.
Elisa dunque sapeva chi aveva scritto il mio nome sulla sabbia? O inutile silenzio, o inutili precauzioni!
Eppure, meglio così.
Strinsi Elisa fra le braccia, tremava tutta e piangeva.
— Elisa — proruppi con tutta la sincerità dell’anima mia — questo segreto che forse ci avrebbe divisi ci congiungerà di più. Ora non ho nulla da celarti.
Presi una foglia d’edera e cancellai interamente le traccie del mio nome. Elisa, curvandosi a sua volta scrisse: Nora.
— Verremo qui a pregare, amico mio. Dove gli altri non vedranno che una tomba noi sentiremo aleggiare lo spirito dell’amore che non muore.