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Roma, ch’io mi lasciava indietro, si bagnava voluttuosa nei vapori del mattino. Una nebbia rosea la cingea tutta — pareva un rossore sui bianchi veli della vestale. Ma il rossore scompariva a poco a poco. Il sole le metteva sulla testa un diadema di raggi; alzando la fronte in mezzo a quel fulgore, la gran colpevole diceva: Perdonatemi, ho tanto amato.

Il cielo, il bel cielo di Raffaello e della Fornarina, si illuminava di tinte accese. Una colonna spezzata, un arco coperto di musco mi facevano balzare il cuore; in quella armonia d’ombre e di luce il passato si mesceva al presente; io fondevo il pensiero dei secoli in un unico pensiero. Avevo sulle labbra Clelia e Veturia — e nell’anima Elisa.

Oh! tutti coloro che hanno amato nella calda primavera della vita, conosceranno queste ore di immensa ebbrezza in cui pare che le forze si raddoppino e che il nostro essere sia riscaldato da una fiamma soprannaturale. Ore divine in cui siamo volte a volte poeti ed eroi, apostoli e soldati.

Avanti Roberto duca di Niscemi... Sì, io sarò duca un giorno; e frattanto quale più brillante carriera che questa mia di giovine diplomatico?