Storia della vita e del pontificato di Pio VII/Libro II - Sommario VII

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LIBRO VII





SOMMARIO



I cardinali lasciando Fontainebleau vengono confinati in varie città della Francia. Il pontefice riceve omaggi dovunque passa. Il colonnello Lagorse, che vede impossibile frenare il pubblico entusiasmo, domanda al papa il favore di presentargli i suoi genitori. Giunge in Savona, ove Napoleone lo volea confinato per attendere gli avvenimenti di guerra. Resa impossibile la custodia di un tanto ostaggio, ordina la restituzione dei dipartimenti di Roma e del Trasimeno. Scortato dai soldati francesi, giunge al Tago, ove è consegnato al reggimento Radetzki, che in trionfo lo accompagna a Parma e a Modena. Murat cerca invano di far nascere ostacoli al viaggio di Pio. Entra in Bologna, ove riceve un dono inviatogli dal reggente dell'Inghilterra: celebra in Imola le feste di pasqua: prosiegue il viaggio per Cesena, ove è raggiunto da molti cardinali e prelati. Lo visita Gioacchino, che tenta con nuove arti impedire la sua partenza. Pio resiste e invia Rivarola a prender possesso di Roma. Visita Ancona, va a Loreto, ove riceve il cardinal Fesch, e accorda ospitalità a madama Letizia e alla famiglia di Bonaparte. Va Consalvi a Vienna per sostenere innanzi al congresso le ragioni della chiesa. Si ristabilisce il governo pontificio e si preparano grandi feste nella capitale, ove giunge Pio VII benedetto e acclamato da tutti. Narra [p. S7 modifica]il papa in pubblico concistoro le pene sofferte e ricorda le prove di tenerezza ch'ebbe in Francia. Pubblica la scomunica contro i liberi-muratori; ai sudditi accorda amnistia; avvisa ai mezzi di purgare dai crassatori le provincie di Marittima e Campagna. Mentre l’ Italia del mezzo giorno è in fermento, ristabilisce la compagnia di Gesù. Benedice in Castel Gandolfo una bandiera, che invia al reggimento Radetzki; favore contracambiato con ricco dono dall'imperatore. Stabilisce le sorelle ospitaliere; invia missionari in regioni lontane; provvede allo stato; protegge le scienze e le arti. Napoleone fugge dall’isola dell'Elba. Gioacchino, che prosiegue negli armamenti per la conquista d'Italia, domanda il libero passaggio delle truppe per Roma. Il pontefice glie lo ricusa.

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LIBRO VII.


I
principi di santa chiesa, ospiti nel castello per comando di Napoleone, dopo la partenza del papa voleano abbandonare quella residenza, ma nol fecero, sicuri, che avrebbe la loro risoluzione provocato l'imperiale risentimento. Dissero per altro al custode che, venuti a Fontainebleau per assistere il santo padre, vedeano omai cessata la causa, che sola potea ritenerli in palazzo. Rispose questi: attendessero da Parigi le risoluzioni governative, che non si fecero desiderar lungamente. Comandava Napoleone, che un dopo l’altro in quattro giorni dovessero i cardinali lasciare la città: scorta assegnavasi un gendarme: termine al viaggio e stanza sceglievansi varie città della Francia1. Incerte e contradittorie correano in [p. 88 modifica]Parigi le voci sul destino del papa e dei cardinali. Gli aderenti al governo diceano fermata la concordia, promessa alla chiesa la restituzione degli stati, meta assegnata al viaggio del santo padre e dei porporati la città eterna: quelli, che le arti conoscevano di gabinetto e gli sforzi vedevano di un impero, omai cadente, «dicevano con più ragione, che paura e vergogna imperiosamente quel passo avea suggerito. Avvalorava questa opinione l'aria di mistero di cui voleasi circondato il pontefice allontanato dal castello, e la lunga via imposta ai cardinali che, confinati nelle città nella bassa Linguadoca e di Provenza, non vi pervennero che dopo aver traversato l'Orleanese, il Limosino e quasi toccati i monti che la Spagna dividono dalla Francia. Questa inutile severità procurò nuove simpatie alla causa di Roma e nuovi trionfi alla religione: Gappoichè la rassegnazione dei porporati ridestò nelle provincie francesi il sentimento della pietà e il nome di vescovo d' Imola dato a Pio VII non giunse a nascondere ai popoli la maestà del pontefice massimo.

II. L'ammirazione destata in Francia dal capo visibile della chiesa, che gloriosamente avea combattuta la “guerra del signore, bastò a dissipare le precauzioni, le arti segrete adoperate verso l’augusto prigioniero e a rendere inefficaci gli ordini severi dati al colonnello Lagorse. Partito Pio VII da Fontainebleau al meriggio giunse sul far della sera in Orléans, ove riconosciuto, benediceva alla città. Mosse quindi per la Ferté, La Motte, Salbris, d'onde ripiegando verso Limoges, lunghesso la via a gran distanza dall'abitato, vide il clero preceduto dal vescovo, che inginocchiavasi per giurîre sommissione ed obbedienza alla santa sede. Amorevolmente risposegli il santo padre, che proseguendo il viaggio toccava Pierre

[p. 89 modifica]Ruffière benedicendo ai francesi che lo applaudivano, e su quel volto, solcato dai patimenti, leggevano le conseguenze della lotta terribile durata da cinque anni. Traversò Uzerche, pervenne a Brives-la-Gaillarde, ove udita la messa del Bertazzoli arcivescovo, ammise al bacio dell'anello gli ecclesiastici, tre volte benedì il popolo, accordò indulgenze e spirituali favori. Lagorse, che sino a quel momento avea a tutti i mezzi avvisato di frenare l’entusiasmo dei popoli, e che, dimenticando la gentilezza francese, osò con uno schiaffo respingere duramente nobil signora ansiosa di avvicinarsi al venerando pontefice, vide non essere opportuni i tempi a tanta burbanza, e trascinato dalla opinione, abbassando l'animo altero, pregò ed ottenne dal papa il favore di presentargli i vecchi suoi genitori, venuti da Vivret a fargi omaggio. Amorevolmente li accolse e passò a Cahors. ove due dame, non potendo traversare la folla, vestite da contadine, penetrarono nell'albergo, servirono a tavola il santo padre. Crescea il concorso del popolo, vagavano quà e là i francesi per vederlo, per essere benedetti. Quando la carrozza del papa avvicinavasi a cospicue città, faceasi partire un corriere per avvisarne il passaggio: tanto la pubblica opinione avea l'alterigia del carceriere abbassata! Era un affollarsi di popolo, un correre affannoso, un domandare a vicenda, un attendere con ansietà per offrire all'augusto prigioniero testimonianze di una pietà interessante. In Montauban dicevasi: egli rassomiglia al Signore, che passa benedicendo: ecco il più grand’uomo del secolo: ovunque viva Pio VII: viva il pacificatore della chiesa. Crescea meraviglia in vedere cattolici e protestanti affratellarsi, confondersi insieme per tributare omaggi al capo della chiesa che solo, vecchio, indebolito dal peso degli anni e dai ceppi vinse colui, innanzi alla cui potenza impallidivano i più grandi monarchi d'Europa. Costeggiando le mura di Toulouse, strinse la mano all'arcivescovo venuto ad incontrarlo e benedì alla moltitudine, che lo seguiva. Giunto al di là del Castanet fu forza fermare la carrozza per soddisfare alla devozione del popolo. A due leghe da Carcassonne il [p. 90 modifica]vescovo, preceduto dagli alunni del seminario, fecesi innanzi al papa, che amorevolmente lo accolse2. Da Beziers seguì la strada di Montpellier. Una viva emozione impedì a quel vescovo il pronunciare una sola parola. Intenerito da questa prova eloquente d'amore, il papa gli stese la mano e dissegli: io v'intendo e antecipatamente vi accordo tutto quello, che potete desiderare per la vostra diocesi. Lo seguì quel prelato e una parte del clero sino a Lunel, ove celebrò la messa alla presenza del papa ed ottenne la facoltà di parlare al popolo dopo il vangelo. La sua pietà, il suo entusiasmo religioso commosse gli astanti. Suonavano a festa le campane di Beaucaire e di Tarascon, echeggiava di lieti plausi e di grida la doppia sponda del fiume quando il santo padre, con gli occhi bagnati di lacrime, traversò il ponte di barche sul Rodano. Lagorse, che non comprese come al di sopra delle baionette sta il potere morale e il principio religioso, mal frenando lo sdegno, al vedere tanto affollarsi di popolo, gridò ad alta voce: e che farebbesi se passasse l’imperatore? Arditamente indicando il Rodano, risposero molte voci: noi gli daremmo da bere3. Fu il suo passaggio ad Aix una festa, a Tourves un trionfo. Provò quel viaggio che era ancor viva nel cuor dei francesi la fede. Così dall'amore dei popoli e dalla speranza di un migliore avvenire confortato Pio VII giungeva al Varo. Lungo la via che mena a Nizza attendeanlo confraternite devote, giovani alunni, sacerdoti in abito di chiesa e lietissimo un popolo, che vista appena la vettura del papa, staccò i cavalli e santamente esultando, condusse il santo padre alla chiesa, indi al palazzo della prefettura. [p. 91 modifica]Emularono quella gioia solenne gli abitanti dell’altra sponda del Varo sulla costiera di Genova e di san Remo. Città assegnata dall'imperatore alla pontificia dimora era Savona: dappoichè fra i progetti napoleonidi grandeggiava quello di nol rendere libero interamente, per decidere sul di lui conto al terminare della guerra. Provò quest'ultimo affronto portato al mitissimo Pio, nulla aver egli imparato dalla sventura.

III. E di Savona, felice di rivedere fra le sue mura il vicario di Gesù Cristo, di cui avea per tanti mesi onorate le sovrane virtù, universale, inesprimibile fu l’allegrezza. Suonavano a gloria le campane della città, strepitosa musica precedeva la carrozza tratta da una moltitudine di cittadini fra le pubbliche acclamazioni. La memoria degli affanni sofferti e del coraggio apostolico, con cui avea resistito al più formidabile dei Cesari accresceva tenerezza e rispetto. Con entusiasmo religioso scendevano dalle alpi marittime, accerrevano dalla Liguria persone di ogni età, di ogni condizione per esser da lui benedette. Affabile, tranquillo mostravasi Pio, che in tanto movimento di gioia, in tanta commozione di affetti, quasi compenso delle sostenute amarezze, destava col suo aspetto la meraviglia e l'amore. Nè solo ecclesiastici, magistrati, nobili, cittadini, ma gli stessi fautori dell'arti napoleoniche andavangli prodigando in Savona rispettose e tenere cure. In questa città attese Pio VII il momento, in cui mezza Europa in armi dovea combattere la volontà di colui, che in pochi anni fece quello, che appena Roma avea ottenuto con tre secoli di perseveranza. E il momento decisivo era giunto. Ben comprese Napoleone, che il custodire un prigioniero qual'è il papa era fatica piena di pericoli e di sospetti, e sino dal giorno dieci marzo mille ottocento quattordici decretò, che gli fossero restituiti i dipartimenti di Roma e del Trasimeno. Le imperiali ordinanze giungevano in Savona il dì dieciannove e immediatamente il pontefice, scortato da Lagorse e dai soldati di Francia, proseguiva il viaggio al di quà delle alpi per Aqui, Asti, Alessandria, Tortona e il dì ventitre giungeva, non aspettato, ai posti avanzati, [p. 92 modifica]che l’esercito alleato aveva sul Tago. Lagorse e il prefetto dipartimentale consegnarono il papa al valoroso Probaska colonnello del reggimento Radetzki. Austriaci, Inglesi, Napolitani lietissimi di un avvenimento di tanta importanza, resi gli onori militari al pontefice, lo accompagnarono come in trionfo a Parma e di là a Modena. Intanto mentre per ogni dove era grande rumore di uomini, armi e cavalli, il suono delle rotte napoleoniche empiva il mondo: le vecchie dinastie tornavano su i troni, che la rivoluzione e la guerra avea rovesciati: disponevasi Pio VII a rientrare nei suoi domini, A Gioacchino Murat che, forzati Barbon generale francese a cedere la fortezza di Ancona e Miollis ad abbandonare castel sant'Angelo, occupava quasi tutto lo stato pontificio, e tenea stanza in Bologna, portò il pubblico grido l'annunzio, che gli avvenimenti stringevano, che gli alleati erano su Parigi, che avvicinavasi il papa. Avrebbe egli volentieri impedito o ritardato almeno quel movimento, che abbatteva le sue segrete speranze di regno italico: ma con quali arti poteva egli creare inciampi all'uomo portato dalla provvidenza, accolto e acclamato dall'amore dei popoli? Inclinava sulle prime al partito del non riceverlo, ma spaventavasi della pubblica opinione tanto pronunciata. Mancando tempo a deliberare, gli parve miglior progetto adoperare l’arte e al generale Carascosa affidava la missione segreta di creare ostacoli, da far nascere impedimenti atti ad arrestarne il viaggio. Giungeva l'inviato murattiano sul Taro nel momento in cui dalla sponda opposta vi arrivava Pio VII. Lo vide protetto dai cavalieri ungaresi, festeggiato dal popolo, che devoto circondava la vettura e ansioso il seguiva, benedicendo a Dio, che, quando meno speravasi, avea ai figli il comun padre, alla chiesa restituita la pace. Disperò Carascosa di riuscir nell intento, dacchè vide soldati ed ufficiali delle armi napolitane, capitanate da Nugent, gareggiare col popolo, far pressa intorno alla carrozza del papa, spingerla, più clamorose degli altri sollevando le grida. Andavano disordinati, ma con lo splendore delle divise aggiungevano meraviglia e interesse allo spettacolo straordinario. [p. 93 modifica]Comprese non esser quello tempo e luogo a parlamentare e postosi in comitiva con gli altri, seguì il movimento, giunse in Reggio, ove poco dopo era ammesso all'udienza del papa. Molti, ma non gravi furono gli argomenti addotti dal Carascosa per obbligarlo a non proseguire il viaggio: asseriva ignorar Gioacchino il suo arrivo e perciò non preparato a riceverlo: dicea impossibile, senza anticipate provvidenze, trovar cavalli pei servigi di posta, perchè tutti destinati ad uso dell’armata. Rispondeagli Pio nulla chiedere al re di Napoli, e quanto occorreva al viaggio sperarlo dall'amore dei figli, dalla pietà dei fedeli: ma da gran tempo, soggiungea il generale, desideroso di servire ai progetti del suo re, i cavalli dei privati si requisirono per noi: ebbene conchiudeva il papa e troncava con una sola parola le noiose insistenze: andrò a piedi: vorrà Iddio darmi la forza. Prima fu breve silenzio fra loro; quindi il generale, inchinandosi, implorò ed ottenne di presentargli il di seguente gli ufficiali superiori dell'esercito napolitano. Poco dopo era informato Gioacchino del colloquio, e pregato ad ottemperarsi all'impero delle circostanze. Quando il dì seguente i generali dell'esercito vennero innanzi a lui, affabilmente li accolse, parlò con tutti, disse bellissime le schiere vedute, nò li licenziò dalla sua presenza se prima non li ebbe benedetti e lodati.

IV. Mentre da Reggio muoveva per Modena, che si mostrò sinceramente devota alla causa della santa sede4, giungevano in Roma prima incerti rumori, quindi sicure novelle di Pio VII Il dominio soldatesco di tanti anni, la presenza delle armi napolitane, che teneano la città, i nuovi usi, i bisogni creati da un governo invasore non aveano [p. 94 modifica]spento in cuore ai romani l'antico affetto pel papa. Grande era la mole dei fatti verificati in breve volgere di giorni, grandissima di quelli, che andavansi maturando. Sapeasi vinta in Francia dalle armi straniere la guerra, da cui dipendevano le sorti non che d' Italia d' Europa: che il buon Pio, passato il Taro, avvicinavasi ai suoi stati protetto dall’esercito degli alleati: che a Ferdinando VII appianavasi la strada di Madrid: che Milano e Venezia cedevano a Francesco I imperatore; il Piemonte e Genova a Vittorio Emmanuele re: aggiungevasi, che a Giuseppe Rospigliosi principe era dato l' incarico di prender possesso della Toscana a nome del gran duca Ferdinando NI. Tutto ciò rialzava le speranze romane, di quelli specialmente che, non parteggiando pei francesi o aveano propugnati i diritti della chiesa in modo da meritare odi, persecuzioni ed esili, o deploravano la perdita dei loro cari. Doleva ad altri ed erano moltissimi, quel vedere per le strade di Roma in aria di conquistatori i soldati di Napoli, che Gioacchino dicevano re d'Italia, Roma provincia del nuovo regno, essi operatori di metamorfosi tanto stupende5. L’ annunzio, che il papa avvicinavasi ai suoi stati venne a smentire le iattanze, a dissipar le paure. Intanto provvidenza, che regge gli umani eventi dispose, che il giorno istesso, in cui le porte di Parigi si aprirono ad Alessandro di Russia rientrasse Pio nei suoi stati. Era l' alba del trentuno marzo mille ottocento quattordici quando videsi col clero, con le autorità municipali, governative e i patrizi accorrere il popolo bolognese lungo le vie della vasta città per andare incontro al papa che attendeasi da Modena. Lo strepito [p. 95 modifica]dei cannoni, il suono delle campane, l’accorrere, il gridar della gente esultante e festosa annunciò l'avvicinarsi del papa. Nei trasporti della gioia, si distaccarono i cavalli dalla carrozza e portate dall'amore del popolo, entrò in città, giunse alla chiesa metropolitana, ove disceso, rese a Dio grazie, benedì alla popolazione, si diresse all'episcopio, ove ammise le autorità al bacio del piede. Intorno al re Gioacchino, ondeggiante fra varî pensieri, stavano generali e ministri per consigliarlo a conformarsi all'opinioni dei popoli, a favorire il viaggio del papa, ma questi negl’impeti della guerra ardentissimo, dissennato nei propositi della pace, decise secondario nelle apparenze, negargli la realtà degli aiuti. Con questo animo presentavasi a lui, e ad impedirgli il passaggio pei luoghi tenuti dai soldati di Napoli, tentava escludere la strada Emilia, proponeva la via di Toscana, ma delle arti che voleano rapirgli tanta parte dell’effetto dei sudditi, trionfò Pio facilmente e decise recarsi in Imola per celebrare le feste di pasqua nella chiesa, di cui vescovo tenne un tempo la sede. Intanto primo segno della stima, che la condotta di Pio VII avea meritato dall'Inghilterra era l' omaggio portatogli in Bologna da lord Bentinck comandante le forze britanniche in Italia. Questi a nome di Giorgio reggente del regno unito offrivagli cinquanta mila zecchini per le spese del viaggio e parlavagli delle simpatie che in seguito doveano far cessare in parte quei rancori e promuovere quel ravvicinamento, di cui noi vedemmo gli effetti. Con si lieti presagi il giorno due aprile dirigendosi ad Imola, lasciava il papa la seconda città dello stato.

V. Questa cospicua sede, che nel breve periodo di mezzo secolo ebbe la gloria di dare all’orbe cattolico due pontefici, esultò all'avvicinarsi di un sovrano, di cui tanto da vicino conoscea le virtù. Archi di trionfo, luminarie, accademie musicali e poetiche rallegrarono il soggiorno del santo padre, che con solennità straordinaria celebrò nell’antica sua cattedrale le funzioni della settimana maggiore e la pasqua. Raggiunto in Imola dai suoi familiari, da una folla di personaggi e dai prelati Rivarola ligure [p. 96 modifica]e Morozzo piemontese, che ebbero quindi negli affari la maggiore influenza, lasciò quella città il giorno sedici aprile. Vide Faenza, Forlì, Ravenna, quindi si diresse a Cesena e vi giunse il dì venti. Esultò la patria di Pio nel rivedere il suo glorioso concittadino, restituito dalla provvidenza all'amore dei sudditi, ai voti del mondo cattolico. Mentre dimorava il pontefice in quella città maturavansi le ultime fasi del gran dramma, che incominciato sulle sponde della Senna dovea compiersi in uno scoglio posto nella immensità dell'oceano. Napoleone deposto dal trono in virtù di un senato-consulto6, viste inutili le difese, impossibile l'abdicazione a vantaggio del figlio, rinunziò i domini della Francia e dell’Italia, e segnò il patto, vedi giustizia di Dio, in Fontainebleau, su quella sala istessa, in cui egli, imperatore e re, avea insultato il pontefice. Affrettavasi il governo provvisorio a rimovere gli ostacoli, che potevano ritardare il viaggio del papa7: rientrava in Parigi, luogotenente del regno, il conte di Artois, accompagnato dai plenipotenziari austriaci, prussiani e russi: il venti aprile lasciava Napoleone Fontainebleau per recarsi all’isola d'Elba. In mezzo a tante. commozioni e nell’urto di tanti interessi non volle il papa lasciar Cesena e proseguire il viaggio per Roma se non vide prima diradate le nubi, che ancora accerchiavano l'orizzonte. A consolarlo [p. 97 modifica]dei nuovi indugi valsero in qualche modo le cure assunte per riordinare il governo, le rispettose sollecitudini del vice re d'Italia principe Eugenio, che aveagli agevolato il viaggio, il voto unanime delle città pontificie, la gioia manifestata da tutta l’Italia. Ivi, circondato da quanti erano cardinali e prelati che lo aveano raggiunto, fra i quali Consalvi, che rivide a Forlì, occupavasi alacremente dei suoi doveri apostolici quando venne da Bologna a Cesena Gioacchino Murat, non per fare omaggio al pontefice, come dicea, ma per spaventarlo se Pio VII, sostenuto dalla provvidenza, era tale da farsi sorprendere dalle arti del soldato, che timidamente governava i dipartimenti di Roma e del Trasimeno, e inviava Poerio consigliere di stato al possesso provvisorio della Marca anconitana e Carascosa generale a, quel di Bologna. Ammesso alla presenza del papa, dissegli: non conoscere lo scopo di quel viaggio. Noi andiamo a Roma, rispose Pio, nè voi l'ignorate. Soggiungeva Murat: ed è così, che la santità vostra ritorna a Roma? E vorrà esservi a malgrado dei romani? Non v'intendiamo, replicò il papa, giustamente meravigliato di tanta audacia, quando Gioacchino, assumendo un tuono di confidenza, diceagli: ho qui meco un foglio sottoscritto dai più ragguardevoli e dai più ricchi cittadini di Roma. Essi mi pregano di far giungere alle potenze alleate la supplica, con la quale domandano di esser governati da principe secolare. Ecco la istanza originale, della quale trasmisi copia a Vienna. Pio VII, che volea consolar la sua Roma con le riforme, senza spaventarla con le vendette, chiese al re la nota fatale, che tanta gente avrebbe compromessa e senza pur leggerla, con una grandezza d'animo, di cui presenta pochi esempi la storia, la gettò nelle fiamme8: quindi amabilmente rivolto al re, che stavagli [p. 98 modifica]innanzi: ora, disse sorridendo, nulla più si oppone al nostro viaggio.

VI. Ridersi delle arti murattiane era ben facile a chi avea vinte le mene napoleoniche. Non potendo per ragioni di prudenza preseguire la sua corsa trionfale, parlò con una notificazione ai romani, in cui dopo aver ricordate le pene durate per cinque anni, annunciava che la provvidenza lo restituiva ai suoi stati. L'umana alterigia, dicea il santo padre, che stoltamente volea lottare con l'Altissimo, fu umiliata. Ansiosi di stringervi al seno dopo il nostro lungo pellegrinaggio, ci facciamo precedere da un delegato che, autorizzato da nostro speciale chirografo, assume per noi le redini del governo. La incom-

[p. 99 modifica]missione governativa istituita da re Gioacchino vide di mal animo che il protonotaro apostolico Agostino Rivarola, giunto in Roma il dì dieci maggio, disponevasi a prender possesso dello stato e della capitale senza riceverlo dal governo napolitano. Macedonio, presidente del consiglio generale, ad evitare questo sfregio, convocò il corpo municipale e dopo aver rassegnato a quello la sua autorità, lasciò libera Roma. Sgombro dagl’impacci il prelato genovese, uomo di animo forte, intraprendente e delle antiche cose amantissimo, pubblicò editto, che tutto abbatteva l’edificio napoleonico: codice civile, commerciale, penale, di procedura: tutte richiamando in vigore le antiche leggi, sopprimeva perpetuamente lo stato civile imposto dai decreti napoleonici, il demanio, la carta bollata, il registro. I diritti feudali sospendea: le questioni di lieve interesse rimettea a miglior tempo, le urgenti abbandonava ad una commissione governativa: il sistema ipotecario conservava nella sua integrità, perchè, diceasi, corrispondente all’antica intavolazione. Il suono dei sacri bronzi, il fragore delle artiglierie salutarono il vessillo pontificio innalzato il dì quindici maggio sugli spalti di castel sant'Angelo, mentre per le vie di Roma avidamente leggevasi l'editto del Rivarola, promettente pace, sicurezza e nuovo ordine di cose ai romani. Dirà il seguito di questa istoria come l’uomo che sovrastò al suo secolo, Ercole Consalvi, quelle disposizioni e quelle leggi riordinò, ottemperandosi all'esigenze dei tempi quando potenze cattoliche e protestanti non generose ma giuste, ricostituirono il sacro principato di Pio.

VII. AI pontefice dimorante in Cesena scrivea il principe Luciano Bonaparte lettera dall’Inghilterra, ove avea sostenuta una cattività lunga, ma onorata, per raccomandare Napoleone, a cui la sventura lo aveva ravvicinato, alle sue preghiere, per implorare la benedizione apostolica sopra se stesso e la sua famiglia. Da Cesena scrisse il papa lettera gratulatoria a Luigi XVIII di Francia, con la quale, nell'interesse della chiesa, chiedeagli la restituzione degli archivi tolti a Roma dalla violenza. Pontefice a [p. 100 modifica]principe avea gran parte compiuta dei suoi doveri, quando mosse alla volta di Ancona. Festeggiato da ogni ordine di cittadini, che anelanti correvano a salutarlo lungo le vie e nelle città, traversò Rimini, dimorò a Pesaro, ov'era ricevuto nel palazzo dei conti Machirelli con gli onori dovuti alla dignità suprema di un tanto ospite; partì quindi per Ancona, che lo accolse con indicibili trasporti di gioia. Vestiti in bell’uniforme vollero i marinai anconitani staccare i cavalli dalla carrozza e trarlo come in trionfo in mezzo alle grida di esultanza, al rimbombo dei cannoni e al suono festivo delle campane. Giunto sulla piazza di sant'Agostino, ove sorgeva un arco trionfale, eretto alle spese dei cittadini, benedì al popolo e benedì al mare dalla loggia dei mercanti, adobbata con tale èleganza da far nascere nel papa il desiderio di rivederla illuminata la sera. Vi si recò al cadere della notte e, assiso in trono, ricevè al bacio del piede le mogli dei mercanti: benemerita classe che con l'industria e il commercio forma la ricchezza e la gloria di quella città. Accolto nel palazzo dal conte Pichi, vi si trattenne due giorni: coronò di sua mano nella cattedrale l'immagine prodigiosa della Vergine, venerata sotto il titolo di regina dei santi: scortato quindi da una guardia d'onore in ricco uniforme rosso, partì per Osimo e da quella città, dopo brevi indugi, si diresse a Loreto. Qui presentavasi sommessamente al pontefice il cardinal Fesck per domandare un asilo in Roma a madama Letizia e Pio VII, che non aveva dimenticato il coraggio con cui l'arcivescovo di Lione prestò il giuramento prescritto da Pio IV, amorevolmente lo accolse e generosamente secondando la preghiera, egli solo sottrasse la madre di Napoleone e gli altri membri di sua famiglia all'odio di quelli che nella prosperità ne aveano mendicati i favori. Celebrato nella santa casa di Nazaret un triduo solenne in rendimento di grazie a Maria e offerto un ricco dono al lauretano tesoro, parti per Recanati accolto nobilmente daì Paradisi, poscia dai Silveri in Tolentino, in Macerata dai Marefoschi e dai Giberti in Foligno. La severità disciplinare della chiesa esigeva che [p. 101 modifica]Pio VII non lasciasse impuniti gli errori dei pochi ecclesiastici.che aveano declinato dai propri doveri e ad onta del pontificio decreto giurata fede all'usurpatore. Impose pertanto una penitenza canonica al vescovo Forlivese e al cardinale Maury che oltraggiò in tanti modi la maestà del pontefice prigioniero, tolse ogni attribuzione, affidando al vescovo di Servia il provvisorio governo della diocesi di Montefiascone. Da questa città dell'Umbria mosse Consalvi, inviato dal papa in Francia per reclamare dal re contro il trattato di Tolentino, imposto dalla forza e difendere le ragioni della chiesa presso i sovrani adunati in congresso a Vienna. Dopo aver provveduto a questo imperioso bisogno, proseguendo il viaggio verso Spoleto, vi si trattenne un giorno: quindi passò a Terni e a Nepi accolto dai Gazzoli e dai Pisani. I bandi del cardinale della Somaglia, del pro-governatore di Roma Giustiniani, del delegato apostolico Rivarola annunciavano alla città, che il ventiquattro maggio dovea esser giorno memorabile nei fasti della chiesa, perchè avrebbe la capitale del mondo cattolico accolto il pontefice, restituito da Dio ai desideri di Roma, ai voti e alle speranze di quanti sono i credenti sparsi sulla superficie del globo.

VIII. Alle pubbliche manifestazioni di gioia dava impulso potente la speranza e l'amore: l'una esprimeva il bisogno d’illuminato governo, l'altro era premio alla costanza di Pio. Furono immensi, inauditi i preparativi, grande, universale l'entusiasmo. La generosità del papa che in Cesena diede alle fiamme la istanza sottoscritta da alcuni più incauti che faziosi, narrata ai romani, rassicurava i compromessi e facea sperare del passato dimenticanza e perdono: le sofferenze, le persecuzioni, gli esili sostenuti da altri destavano in cuore agli amici della santa sede quel giubilo, che traboccando per gli occhi talvolta col silenzio e spesso con il pianto si esprime. Anche gli vomini i più procaci, anche i giovani i più imbizzarriti dalle seduzioni di un governo, che le antiche abitudini avea tutte distrutte, non seppero mostrarsi indifferenti al ritorno del buon vecchio, che avea tanto sofferto e amato [p. 102 modifica]tanto. Interrogo quelli che il videro, e concordi mi narrano, che fu una gioia ineffabile, un movimento spontanco, uno slancio ai nuovi e ai vecchi tempi inaudito. Il viaggio trionfale e il ritorno di Pio VII mostrò vera la sentenza, che gl'interessi della chiesa meglio per le sventure, che per lieti eventi avvantaggiano. L'agitazione, che accompagna gli avvenimenti straordinari dava alla città un aspetto nuovo e imponente. Dal ponte milvio alla porta flaminia, da questa al vaticano e dal vaticano al quirinale era una insolita operosità di artieri intenti a decorare le vie di archi, di colonne, di prospettive architettoniche, di anfiteatri. Parea la lunga strada un immenso viale delle ville romane, decorato di verdura e di fiori. Un doppio ordine di gradinate, destinate agli spettatori, fiancheggiava le vie per le quali passar dovea il santo padre e il suo numeroso corteggio. Scarso era il giorno al lavoro, faticavasi la notte al chiarore delle faci, raddoppiavansi gli operai. Iscrizioni, serti di fiori, archi di mirto e di allori, vasi etruschi, emblemi e statue rendeano Roma più bella; lo spettacolo più interessante. Di fronte alla chiesa del popolo avea il senato romano temporaneamente innalzato un prospetto, che quello imitava del tempio. Le guardie capitoline custodivano il luogo ove il senato, con le assise della sua dignità, attendeva il sovrano. La munificenza di Pio quel temporaneo ornamento per opera muraria rese perenne con i disegni del Valadier. Dagli angoli estremi del doppio edificio correano a modo di anfiteatro due portici sino alla via di ripetta e del babbuino, i quali accordandosi ai due templi della piazza del popolo perleggi architettoniche, rendeano l'ingresso di Roma magnifico ed imponente. Posavano le colonne sovra una gradinata gremita di spettatori e un cornicione con semplice fregio ne coronava la sommità. Dicea una iscrizione che il senato e il popolo romano dedicava quest’opera al desiderato ritorno del sovrano e del padre. Accenneremo brevemente le più splendide dimostrazioni di affetto tributato a Pio VII, perchè non perisca la memoria dell'entusiasmo romano. I mercanti, che danno opera alla coltura delle nostre campagne, eressero un [p. 103 modifica]arco di trionfo sulla piazza di Venezia. Si valse l'artista Clemente Folchi delle grandi linee presentate dall’ordine dorico, come quelle, che meglio accomodavansi alla vastità dell'area, al carattere del trionfatore. Arricchito di emblemi analoghi alla circostanza, sulla sommità era ornato di statue rappresentanti la religione che dà la pace all'Europa. Due re coronati stavano genuflessi iananzi a quella, che presentava loro la croce e il vangelo. Le fame collocate sul basamento erano in atto di coronare l'invitto pontefice: il basso rilievo, che decorava la fronte dell'arco, per allusione agli offerenti, esprimea le arti pastorizie e campestri: li due delle interne pareti alludevano al redentore che dà a Pietro le chiavi e a Roma che prega per il ritorno del magnanimo Pio. Semplice, ma lodato fu quello, che sorgea sul quatrivio ai Cesarini: superbo e splendidissimo l'arco a spese di alcuni romani innalzato sulla piazza che guarda la mole Adriana. Immaginò il Zappati architetto un quadrato ad angoli tagliati da presentare agli occhi un edificio ottangolare, diviso in due piani restremati, atti a sorreggere le figure e piramidare la mole. Formava il primo in finto marmo africano il piantato principale del monumento: il secondo, che imitava il granito cinerino, per essere risaltante negli angoli, dava luogo a quattro piedistalli, sovra cui altrettante statue allegoriche si collocarono: la giustizia modellata dal Pacetti, l'umiltà del Torwaldsen, la temperanza e la prudenza del Laboreur. Nel centro della mole, sovra rocchio di colonna scanalata, grandeggiava il simulacro della costanza, sorregente fra le mani il timone e il triregno, modellata da Carlo Finelli. Questa opera, a cui la scultura aggiungeva interesse e vaghezza, scevra di esagerati ornamenti, ebbe lode di maschia solidità e di bellezza. Buzi architetto l’ esterno della sinagoga abbellì d'un frontespizio, sostenuto da quattro colonne isolate che lasciavano scoperta l'interna veduta del tempio. Questa decorazione bellissima nel giorno, illuminata al sopragiungere della sera, produsse magico effetto. Tolte le acque al fontanone di ponte Sisto, i fratelli Cartoni negozianti nella nicchia collocarono un gruppo in cera che alla [p. 104 modifica]naturale grandezza rappresentava con molta verità Pio VII in atto di sollevar Roma che, prostrata nella polvere, era da esso richiamata alla religione. Si disse vero il ritratto, nobile il concetto, la esecuzione mirabile. Questi e molto maggiori erano i preparativi con i quali la città eterna disponevasi a celebrare il sospirato ritorno del pontefice magnanimo e mansueto.

IX. Limpida e bella spuntava l'aurora del giorno venti quattro maggio apportatrice di lietissimi eventi. Era per la città un movimento, una gioia, un fremito indescrivibile, universale. Non mai tanto ardore, tanta unanimità mostrarono i romani quanto in quest'ora. Una generazione intera di uomini, plebe, popolo, nobili, artisti, operai e in cima a tutti ecclesiastici, beati del segnato trionfo, confondevasi, ingombrava le vie unita in un bisogno, in un desiderio: quello di mostrare riverenza ed affetto al buon padre restituito all’amore dei figli. Il suono del mezzo giorno impresse un maggior movimento a quella massa confusa di popolo, che affrettavasi a prender posto nelle gradinate erette lunghesso la via, che dal ponte milvio mette alla città e da questa alla basilica vaticana, immensa linea dai più diligenti sin dal mattino in gran parte occupata. Uscivano dai loro quartieri con le milizie cittadine improvvisate, gli svizzeri palatini in uniformi a vari colori, i capotori, guardia d’onore del senato romano. Quindi schieravasi la cavalleria ungarese, quindi l’infanteria e i lancieri napolitani in nobilissima assise. Le bande militari, le orchestre facevano suonar l'aria di soavi melodie, popolavansi come per incanto i palchi, le finestre, le logge e per sino i tetti e le torri: le carrozze delle autorità governative, dei dignitari di palazzo, dei patrizi, degli ambasciatori delle potenze straniere affrettavansi incontro a Pio. Leggo che figuravano fra costoro i soscrittori dell’indirizzo alle potenze alleate, e che, tutto raggiante di gioia, stavasi allo sportello della carrozza del papa quel Pignatelli Cerchiara generale, cinque anni prima venuto da Napoli a proteggere il sacrilego arresto di Pio. Tanta è l'umana inconseguenza e tanta la smania di scaldarsi al sole che splende nel suo meriggio. [p. 105 modifica]Correndo la via flaminia, portato dall'amore e dalla riverenza dei popoli, giungea Pio VII alla sponda sinistra del tevere quando, sulla torre che guarda il ponte milvio, s'innalzò la bandiera pontificia. Un colpo di cannone tratto da castel Sant’Angelo salutò quel sacro pegno della pace europea e pose il colmo all'entusiasmo romano. Il papa, che avea preso breve riposo alla Giustiniana, posta a sette miglia da Roma, atteso da Carlo IV re cattolico, dall’augusta consorte e dagl'infanti di Spagna, complimentato a nome di sua maestà brittanica da Roberto Fagan console d'Inghilterra, prima di varcare il ponte famoso, in un casino depose l'abito viatorio, assunse la mozzetta e la stola, accolse l'omaggio dei personaggi che dovevano seguirlo, fra i quali Lebtzerten inviato austriaco, il cavalier Pinto ministro di Portogallo e lo stato maggiore napolitano col generale alla testa e riprese la via. Precedea la carrozza nobile, donata al santo padre dal re di Spagna, la cavalleria ungherese, seguiva la napolitana e dopo quell'apparato splendidissimo d'armi vedevansi le carrozze del marchese Sacchetti foriere, del marchese Piccolomini cavallerizzo, del prelato maestro di camera dei sacri palazzi. Monsignor Speroni a cavallo sostenea la croce pontificia, circondata dalla guardia svizzera nel suo antico uniforme. Il pontefice avea seco i cardinali Mattei e Pacca: il primo decano del sacro collegio, l'altro camerlengo di santa chiesa e pro-segretario di stato. Ultime venivano le carrozze dei cardinali, del maggiordomo, degli ambasciatori, dei ministri, dei principi romani, lieti di partecipare al trionfo del santo padre, che commosso a tante dimostrazioni di affetto e di simpatia, facea a tutti buon viso, benedicea al popolo, che di grida frenetiche facea echeggiare i monti parioli e la via. Inoltravasi a passo lento il corteggio, quando lungo la strada flaminia due schiere di fanciulli d’ambo i sessi uscirono dal casino del chirurgo Viale per festeggiare il pontefice. Erano ventidue orfanelli del collegio in Aquiro in zimarretta bianca, in cotta e barretta, aventi in mano altrettante palme portate in Roma dal dottore [p. 106 modifica]Giacomo Bresca9. Seguiva maggior numero di verginette con cestelli di verdura e di fiori, che spargevano lungo la via, cantando l’osanna proseguito dal popolo. Erano quarantacinque fanciulle educate nel conservatorio della provvidenza. Tutta la schiera circondò il santo padre e lo seguì sino alla porta, ove un'onda di popolo rese impossibile l'avanzarsi: i più audaci giovanetti, fiancheggiarono la carrozza tirata a braccia da settantadue giovani romani di civile condizione in abito nero, con bandoliere e tracolle di corame, dalle quali pendevang cordoni di seta cremisina con piccoli uncinetti raccomandati al timone: servitù sopportabile, perchè imposta dagl'impeti dell'affetto: così duravano sino all’atrio della basilica vaticana, ove deposero le palme ai piedi del pontefice, vero martire di dispotismo efferato.

X. Varcata appena la porta della città, vide Pio VII riverente ai suoi piedi il senato romano venuto a tributargli [p. 107 modifica]l'omaggio della città. Parlava il marchese Rinaldo Del Bufalo della Valle conservatore e in breve orazione dicevagli: grande la esultanza di Roma nel giorno, in cui otteneva la religione una grande vittoria, il mondo cattolico un segnalato trionfo, essa un padre amorevole e generoso. Con affabili, ma dignitose parole ringraziava Pio il senato romano delle dimostrazioni fatte a nome del popolo e aggiungea nulla ad esso, tutto doversi ripetere da Dio: quindi proseguiva lentamente la via, circondato. dalle milizie cittadine, che in doppia linea divise, prestavano il servizio delle guardie nobili non ancora ristabilite. L'ingresso trionfale del papa nella città eterna fu annunziato dall'artiglieria del castello, dal suono festivo delle campane, dallo strepito del popolo, che dopo averlo veduto, correa ansioso sopra altri punti della città per salutarlo di nuovo. Giovanni Rotti romano avea fatto costruire a ripetta sul tevere un solido e maestoso ponte di barche per festeggiare il ritorno di Pio e agevolare ai cittadini il tragitto del fiume nel recarsi a san Pietro. Nel bel mezzo del ponte sorgeva un arco maestoso, sormontato dal gruppo allegorico della religione che calpesta i vizî, simboleggiati da altre figure. Lo varcarono oltre a sessanta mila persone, desiderose di assistere allo spettacolo offerto al principe dall’amore di Roma, più splendido di quanti ne apprestò l’adulazione agli antichi conquistatori. Così parve meravigliosamente aumentata la popolazione, che in una massa compatta e imponente ondeggiava nella vastità della piazza. Il clero romano, che con l’insegne delle varie basiliche aveva atteso sulla piazza del popolo l'arrivo del santo padre, precedeva il corteggio, che dopo aver traversato il corso in mezzo ad un numero sterminato di spettatori plaudenti, che dai balcori, dalle vie agitavano fazzoletti, versavano fiori, tenne la piazza di Venezia, la via papale ove, passata appena la chiesa nuova, lo attendeva il capitolo di san Pietro, varcò il ponte e pel borgo giunse innanzi alla basilica vaticana. Chi vide una volta sola Pio VII non può aver dimenticato come il suo volto ritraeva fedelmente la bontà, la mansuetudine e i moti interni di un'anima generosa e [p. 108 modifica]sublime per cui giustamente lo disse il suo compagno di viaggio e d’esilio, cardinal Pacca, il mitissimo degli uomini: tanto le delicate disposizioni del cuore portava distintamente impresse nelle esteriori apparenze! Atteso sull'atrio della basilica dai cardinali, che erano in Roma, il duca di York fra questi, vide genuflessi ai suoi piedi Carlo Emmanuele IV re di Sardegna, Maria regina di Etruria, e i suoi figli, la duchessa di Chablais. Entrato nella basilica, circondato dalla prelatura romana e dai personaggi, che lo aveano seguito, pregò innanzi alla tomba del principe degli apostoli e dopo aver ricevuta la benedizione eucaristica con l’istesso treno si recò al quirinale, ove rivide il sacro collegio, il senato, gli ambasciatori e i ministri delle potenze straniere, quindi dalla gran loggia all'immenso popolo radunato sulla piazza compartì la benedizione apostolica.

XI. All'apparire della sera presentò la città nuovo e imponente spettacolo. Parve inondata da un torrente di luce: dai più vasti palagi alle case più umili, dalle più splendide basiliche ai più piccoli templi videsi decorata di lumi che, disposti a disegno, ora secondavano le linee architettoniche, ora davano agli edifici un aspetto tutto diverso. È duopo il confessare che Roma oppressa da aspre vicende, incendi, saccheggi, demolizioni perpetrate dai barbari e dalle fazioni cittadine, sempre sicura nei suoi destini, si tenne costantemente al di sopra delle umane catastrofe e non rinunciò mai al sentimento della propria grandezza. L'impero trasportato a Costantinopoli, la sede del regno italico stabilita a Ravenna, la corte pontificia trasferita ad Avignone non bastarono ad umiliarla. Occupata dalle armi francesi, obbligata a mandare i suoi figli nelle ardenti spiagge dell Andalusia e nelle fredde regioni del nord per servire al capriccio di un despota, governata militarmente, preparavasi al nonlontano trionfo così che nè nuovo, nè inaspettato giungevale. La curia innocenziana, i palazzi Ruspoli, Sciarra, Verospi, Borghese si distinsero su tutti. L'accademia di Francia a villa Medici volle alla illuminazione aggiungere i fuochi di artificio: ovunque sorgevano [p. 109 modifica]ornati, piramidi, trasparenti: vaghissima e ricca si disse la illuminazione della cupola vaticana, bella quella della università degli ebrei, brillante l' effetto dei sei mila lumi posti a disegno. sul ponte eretto a ripetta. Splendevano di faci gli archi di trionfo innalzati a gloria di Pio, gli antichi templi e i moderni: illuminate le vie più remote della capitale non che le più frequentate, offrivano indubio segno della universale esultanza. Commosso il pontefice a tante prove di pubblica benevolenza, volle che il pro-segretario di stato cardinal Pacca rendesse grazie ai romani con un editto: ordinò la restituzione gratuita dei pegni depositati nel motte di pietà, fece distribuire dai parrochi larghe sovvenzioni, ai rei di lievi colpe condonò la pena del carcere, fece sperare a tutti un'era di giustizia e di pace. Erasi sussurrato all'orecchio di alcuni il generoso tratto di Pio, che diede alle fiamme il foglio sottoscritto da pochi romani chiedenti libere istituzioni e secolaresco governo, e bastò questo a rianimare la confidenza di quanti eransi mostrati avversi alla podestà temporale. Questa lusinga divenne certezza quando si seppe per Roma, come ad uno fra quelli, che avevano sottoscritta la protesta ai re alleati, che al pontefice offeso domandava perdono, avea Pio VII benignamente risposto; « E credete voi, che non abbiamo noi pure qualche fallo a rimproverarci ? Dimentichiamo concordemente il passato. » Accessibile a tutti, anzichè abitare i nobili appartamenti del quirinale si tenne per due mesi nelle stanze del maggiordomo, finchè fosse tutto il palazzo apostolico restituito alla primiera sua forma, alterata per farne un elegante soggiorno di secolari e di donne. L'autorità del pontefice ristabilivasi lentamente, dappoichè i napolitani tenevano le Marche, le Legazioni gli austriaci; misure di provvidenza adottavansî dalia commissione amministrativa dei beni ecclesiastici per l'immediato pagamento delle pensioni accordate ai claustrali d'amba i sessi: intimavasi ai debitori della camera apostolica di soddisfare ai censi, ai canoni: chiedeasi ai ricevitori delle imposte prediali esatto conto dei beni alienati e di quelli di cui il demanio non aveva disposto: questi i mezzi [p. 110 modifica]adoperati per fornire le casse erariali. A provvedere all'amministrazione della giustizia si tornò all'antico ordine delle udienze sovrane, si riattivò il tribunale civile capitolino, molte delle antiche congregazioni si riordinarono. Ad assicurare infine la tranquillità e il decoro della capitale per le volontarie obblazioni di alcuni principi romani, si giunse ad organizare la cavalleria pontificia Dopo aver beneficato gl'impiegati, che gli serbarono fedeltà, rimossi gli abusi, alleggeriti i dazi, ripristinate le giurisdizioni governative, istituì la famosa congregazione per gli affari ecclesiastici, alla quale chiamò fra i consultori quel Mauro Cappellari abate camaldolese, salito quindi al supremo pontificato col nome di Gregorio XVI, fino da quel momento destinato all’onore della porpora. Dimorava ancora nelle stanze del maggiordomo quando a dar prova di tenerezza paterna al re cattolico, innalzato un magnifico altare in una sala del quirinale, conferì di sua mano la tonsura e gli ordini minori all'infante D. Francesco di Paola alla presenza di quel monarca e della sua augusta consorte. Tanta virtù, tanto amore assicurarono al pontefice l’affetto di Roma, la venerazione e l'ossequio del mondo cattolico, le congratulazioni e gli omaggi di tutte le corti d’Europa, che si affrettarono a spedire alla santa sede i loro rappresentanti.

XII. Consalvi, sebbene lontano da Roma, non abbandonava ad altri le redini del governo: scrivea a Pio VII non volesse affrettare gli avvenimenti, dargli agio e tempo a trattare: sperasse tutto dall'illimitato suo zelo, dalla magnanimità dei sovrani: scrivea a Pacca: tenersi strettamente ai suoi avvisi: nulla intraprendere, senza averlo per lettere consultato e Pacca docile, riserbato, pago delle prove di coraggio date in ardui tempi al pontefice, si tenne lontano dal troppo affacendarsi dei pubblici affari, che più a Parigi a Londra, a Vienna, che a Roma deliberavansi. E poichè l'ordine degli avvenimenti ci chiama a parlare di questo genio superiore, che educato nella solitudine di un seminario, fece prevalere la sua opinione nel consiglio degli uomini di stato e dei sovrani maestri nell'arte di [p. 111 modifica]governare, lo faremo volentieri sulla scorta dei documenti10. Dissero Consalvi mente elevata, ma gelosa del potere; arbitrari i suoi provvedimenti, meglio alle foggie secolaresche e agli andari napoleonici, che alle vecchie consuetudini dello stato e alle intemperanze nuove di chi avea lunghi anni sofferto, benevolo: e molte altre cose dissero, che noi sempre sentiamo ripetere sino alla noia a danno di coloro, cui perspicacia d' ingegno o favor di monarca chiamò in tatti i tempi a timoneggiare lo stato. I grandi progetti da esso a lieto fine condotti, l'arte sublime con la quale vinse gli avari disegni di Wellington, Blucher, Metternick, Castlereagh chiedenti stati, principati e compensi pei loro padroni, assicurando al pontefice il possesso dei suoi dominî, come rallegrarono il cuore di Pio, chesi compiacque della scelta di ministro tanto sagace, così rimarranno monumento imperituro della sua gloria. Obbligati a narrare brevemente quanto fece Consalvi a Parigi, a goverLon[p. 112 modifica]Londra, a Vienna non avremo altra scorta al racconto, che l'allocuzione nel pubblico concistoro da Pio VII pronunciata11. Accolto con molte dimostrazioni di affetto da Luigi XVIII, vide dalla pietà del re cristianissimo tutte secondate le domande del ministro, le speranze del papa12. Lo czar delle Russie, e il re di Prussia visitarono Londra, ove li seguiva Consalvi, desideroso di trar profitto dalle circostanze, ond'esser utile al pontefice e a Roma. Le leggi inglesi impedivano severamente ogni commercio fra il gerarca della chiesa e il sovrano del regno unito: ogni anno con una ostinazione insopportabile nella civiltà dei tempi, vituperavasi il nome del papa e poneasi la sua immagine, ludribrio al popolo, in una piazza. Grazie alla costanza di Pio e alla sagacia del suo primo ministro il secelo XIX vendicò gli oltraggi che duravano da lunga età. Dopo Marco Polo, vide Londra la prima volta traversate le sue grandi vie da un cardinale di santa chiesa, col titolo di legato. Giorgio principe reggente d' Inghilterra amorevolmente ricevè il breve apostolico e onorò Pio nel suo ambasciatore. Da questa città diresse egli ai ministri delle potenze europee quella energica nota, che fece dire al plenipotenziario inglese lord Castlereagh: Consalvi nell'accorgimento diplomatico a tutti maestro.

XIII. Ma nel congresso di Vienna doveasi combattere [p. 113 modifica]la battaglia, dalla quale tutte dipendevano le speranze di Roma e la prosperità dello stato: e perchè il decreto napoleonico restituiva al papa i soli dipartimenti di Roma e del patrimonio, trattavasi di riacquistare alla podestà del pontefice le provincie più fiorenti e più belle, che lusingavano le altrui ambizioni. Non mancavano difficoltà che sulle prime parvero insuperabili: maggiore fra tutte la convenzione dell’Austria con Napoli per la quale voleasi indennizzato Ferdinando IV re in Sicilia dei suoi domini continentali. L'impresa napoleonica fallita, l'audacia di Gioacchino punita dall’esercito austriaco, il corso pericolo di veder nuovamente compromesso l'equilibrio europeo resero più facili le trattative, più sicuri gli accordi. Avea Consalvi santi diritti a propugnare, valide ragioni a difendere, ma ben sapea, che nei congressi politici all'interesse dei deboli spesso prevale il desiderio dei forti. Nom mancò ad alcuno dei suoi doveri: lodò innanzi all’assemblea la costanza e il coraggio di Pio che, inerme e prigioniero, oppose valida resistenza ai voleri napoleonici; disse che il sottrarre ad esso una parte dei propri dominî sarebbe un seguir il sistema rovesciato dalla potenza delle armi alleate: e poichè si avvide, che volea trarsi partito dalle convenzioni del trattato di Tolentino, il sagace ministro rispose aver la Francia da se stessa dichiarato irriti e nulli quei duri patti dalla repubblica imposti a Pio VII: domandò pertanto la restituzione di Benevento e Pontecorvo, protestò per Avignone, e il contado venesino, dal trattato di Parigi senza compensi assicurato alla Francia e per la porzione del Ferrarese sulla riva sinistra del Po data all’Austria con diritto di presidio delle piazze di Ferrara e Comacchio: parlò in fine ‘dei ducati di Parma e Piacenza e sostenne l’interesse della santa sede appoggiato alla mediazione della Prussia e dell'Inghilterra. In virtù di queste convenzioni si vollero amnistiati gli abitanti del paese, che rientrava sotto la podestà pontificia, garantito il debito pubblico, mantenuti validi e legali gli acquisti delle proprietà ecclesiastiche; assicurato al principe Fugenio Beauharnais l'intero e libero godimento dei beni mobili e im

Giucci. Vita di Pio VII — II [p. 114 modifica]immobili in tutti i paesi, che aveano fatto parte del regno d'Italia: la Baviera, l’Austria, la Russia vegliarono quindi presso la santa sede per l'adempimento di questo patto. Tali notizie produssero in Roma effetti diversi. Quelli che vivevane nel dubbio, perchè conosciuti fautori di soldatesco governo, i compratori dei beni del clero si rassicurarono: quelli che anelavano una vita di spionaggio, di carceri, di esili, nel vedersi inesauditi, dissero Consalvi troppo napoleonico, Pio VII troppo ligio a Consalvi. In questo modo lodevole esercitava la sua missione diplomatica l'inclito ministro, ch'ebbe nemici nella politica ma non rivali nella influenza: uomo del secolo, la storia del quale và strettamente unita a quella del principe, al cui servigio tutte avea dedicate le forze dell'anima e gli affetti del cuore13. E poichè parlammo delle sue qualità morali, ci piace ricordare le fisiche. Erano i suoi occhi il simbolo esteriore della sua intelligenza. Profondamente collocati sotto un sopraciglio folto ed arcato, avea un punto di luce aculamente penetrante, che vi trapassava, senza indicare sottigliezza ed astuzia. Sul di lui volto portava impressa un'aria di mansuetudine, che mitigava l'apparente durezza del suo sguardo aquilino. Alquanto velato, ma pur [p. 115 modifica]soave era il suono della sua voce. La mente energica del Consalvi, le sue nobili prerogative, infine l'arte con cui, restaurando lo stato, seppe ottemperarsi all’esigenze dei tempi confermarono a Pio VII l'affetto e la riverenza del mondo. La fiducia del principe aprì un vasto campo alla esperienza e ai talenti del ministro: si convenivano tanto bene fra loro da far dire, averli Dio fatti uno per l'altro.

XIV. Mentre a Vienna dai plenipotenziari delle varie corti provvedevasi alla pace e alla sicurezza di Europa, e molte cose operavansi in Roma per riordinare lo stato, il re di Francia diede al pontefice splendida prova di filiale rispetto, inviandogli in solenne ambasciata il prelato Cortois de Pressigny, cui il ministro degli affari Talleyrand, imponeva di proporre gli opportuni ripari a quanto erasi operato a danno della santa sede dall’epoca repubblicana alla caduta dell'impero irancese. A richiamare in vigore le antiche consuetudini nazionali Pressigny, che alla qualifica di rappresentante della Francia presso la santa sede quella univa di vescovo, volle che nella chiesa di san Luigi si celebrasse solennemente la festa del santo re: invitò quindi a pranzo diplomatico gli ambasciatori, le autorità governative, alcuni cardinali, fra i quali Fesck. Tanta cortesia fu creduta obblio del passato, pegno di futura concordia. Il disprezzo smentì le speranze. Umile lettera scrivea quel cardinale arcivescovo di Lione a Luigi XVIII in occasione delle festività natalizie: dicea in essa l’umana potenza emanare da Dio, solo padrope assoluto di alzare e abbassare i troni della terra, di dividere fra le sue creature le capanne e i palagi: facea quindi voti per la prosperità del re e della Francia. Fesck mortificato da un silenzio, che indirettamente colpiva il sacro collegio, seppe invece che trattavasi nel gabinetto francese di obbligarlo alla rinunzia dell’episcopale suo seggio. La corte romana, più saggia dei consiglieri del re, si oppose agli esagerati disegni di chi, a far dimenticare l'antica devozione professata a Napoleone, affrettavasi a dar moderne prove di tenerezza ai Borboni. Fra tante innovazioni, nella lotta di tanti interessi mancava ancora una cosa ai romani: non si era intesa la voce [p. 116 modifica]di Pio, e chi sa come sono appunto le allocuzioni dei papi quelle che, svelando i bisogni e le speranze dei tempi, ne compendiamo la storia, intenderà agevolmente come la pubblica ansietà era solleticata dal desiderio di udire una volta dopo cinque anni le parole del pontefice, che con coraggio ai nostri tempi inaudito, avea emulata la gloria di Silvestro, vittima della immane Teodora e di Martino, bersaglio agli sdegni efferati di Costanzo II. Volto il papa ai cardinali, rammentò loro il lungo esilio, le pene sofferte, parlò delle sue afflizioni passate, della sua presente esultanza, deplorò le ferite portate alla chiesa, ricordò in fine le prove di tenerezza e di amore prodigategli in Francia e in Italia. L'allocuzione del santo padre destò nel cuore di tutti vivi sentimenti di affetto. Dopo avere accordata a Luciano Bonaparte e alla sua famiglia ospitalità generosa, lo ammise al patriziato romano, lo dichiarò principe di Canino, nutrì per esso molta benevolenza e gli concesse d'intitolare al suo nome « Carlo Magno » lungo poema, con cui Luciano avea in Inghilterra confortate le sofferenze di quattro anni. Mentre attendevansi liete novelle da Vienna per le cose annunciato da Consalvi, si volle in Roma colpire con le censure della chiesa e col rigore delle leggi la setta dei liberi muratori che, ad onta delle minaccie, allargavasi, non come prima baldanzosa e sicura ma larvata e temuta. Dissero alcuni troppo mili le pene; il carcere, l'esilio, le multo pecuniarie, la confisca dei beni: altri troppo severe: duolse a molti la legge del rivelo, perchè sorgente d'infinite vendette: tutti pensarono. in un rimpasto di tanta mole e dopo seduzioni tanto forti, non che utile, necessario quell’atto. Il brigantaggio, una delle piaghe, che rode il governo, e compromette la sicurezza dei cittadini, reso audace dalla impunità, richiamò tutta l’attenzione di Pio. Roma era piena di timori, le provincie di marittima e campagna di vittime. Dell’audacia di questi predoni correano le più paurose novelle: diceasi di orecchie spedite ai parenti, perchè si affrettassero al riscatto dei loro cari, di giovanette rapite agli sposi, ai congiunti, di aggressioni notturne, di morti atroci c spietate. Questa voce, o [p. 117 modifica]esagerata o vera, gettava l'incertezza nei paesi dello stato, lo sgomento fra gli esteri. Malagevole impresa, che rese inutili le provvidenze del papa e costò immense somme all'erario. Noi la vedremo alzarsi minacciosa e crudele ad amareggiare gli ultimi anni di Pio. Quest’orda di scelerati non fu spenta che nel seguente pontificato.

XV. Sentivasi la necessità di un governo forte e sicuro e voleasi che la dolcezza del sovrano non ne iscemasse l'autorità, o la rigidezza l'amore. Le lettere di Consalvi che, posto in Vienna a contatto dei sovrani d'Europa, ne interpetrava la volontà e i desideri, erano ben lontane dall’autorizzare la smania di quelli, che sarebbero venuti volentieri a misure estreme, dappoichè questo giudicavano il modo di rinsavire popoli agitati da tante vicende, commossi da tanti bisogni. Avea l'occupazione straniera intéramente cambiato l'aspetto di Roma e in molta parte variate le inclinazioni e i consigli. Scarso il danaro; per lo sperpero delle case religiose, per lo spoglio dei luoghi pii inaridite le fonti della carità pubblica: gli studi degli artisti quasi deserti, i monumenti dell'antica grandezza portati in Francia, e quel che più monta, il seme di mali pensieri lasciato sul terreno da quelli, che da despoti la tiranneggiarono lungo tempo. Doveasi pertanto agire con prudenza, tener conto degli esempi e starsi alle temperate misure di un governo illuminato e paterno: questo metodo era necessario per le provincie non ancora restituite, per la guerra che apparecchiavasi nell'Italia del mezzo giorno, per i consigli di Consalvi plenipotenziario a Vienna. Più dalle amabili qualità del suo cuore che da queste considerazioni vinto Pio VII, mentre una mano porgea ai sovrani, perchè finalmente volessero restituirlo al pieno possesso dei suoi domini, l’altra stendeva ai sudditi per condonar loro le offese e rimetter le colpe di fellonia. A far cessare le rappresaglie, a fondare la vera prosperità dello stato era questo atto grandissimo e grandemente lodato. Con ansia affrettavasi il popolo intorno all’indulto annunciato da un editto del cardinal Pacca e gli animi si rassicurarono. Anche ai vescovi e ai preti, che avevano prevaricato [p. 118 modifica]mostrava il papa animo mite e indulgente condonando loro le colpe dopo averli assoggettati a lievi pene canoniche. Era ad esso ben noto, che il governo napoleonico nel conferire le lauree in giurisprudenza, in medicina e nelle facoltà filosofiche non avea domandato ai giovani la professione di fede, imposta dalle costituzioni apostoliche. Desideroso di conciliare l interesse religioso con quello dei sudditi, comandò ai laureati di esibire fra due mesi alla università gregoriana gli ottenuti diplomi per provvedere al difetto; nè questa misura di provvidenza parve gravosa a coloro, che per quell’atto vedeano santificati dalla religione i diritti della scienza. Il feudalismo, che nei secoli di mezzo avea fatto versar tante lacrime, abbassato dalla mano vigorosa di Sisto V e divenuto più saggio a misura del progresso segnato dai tempi, nel riordinamento dello stato, videsi colpito nel cuore. Pio VII nel sospendlere con atto liberalissimo le giurisdizioni, i diritti feudali e baronali, diceasi determinato a tal passo dal non essersi ancora riordinati i tribunali supremi, con i quali l'alto dominio sovrano vuole che siano costantemente legati: saggia misura, ma nella esecuzione penosa. Intanto per provvidenze opportune si presero a maturo esame i diritti e i privilegi dai baroni e con sistema uniforme i loro vassalli furono nei rapporti giudiziari, economici, daziali a tutti i sudditi paragonali.

XVI. Per la morte del principe don Abondio Rezzonico senatore di Roma doveasi provvedere a quel posto ragguardevole, conferito talvolta ai sovrani. Cadde la scelta di Pio sul marchese Giovanni Naro Patrizi, che la nobiltà dei natali rese più illustre con le personali virtù.14 [p. 119 modifica]Roma lodò l'animo generoso del papa e il marchese Rinaldo del Bufalo, uno dei conservatori dell’alma città, resegli grazie a nome del senato e del popolo. Pegno di giubilo universale giungevano al santo padre. da tutte le potenze di Europa e dai sudditi doni, indirizzi e proteste di venerazione e di amore. Gemme, danaro, sacre e preziose suppellettili, ricchi drappi si ebbero dalle varie provincie italiane, dalla Spagna, dalla Germania, dalla Francia e per sino dalle più lontane regioni d'America: così che pieno deve dirsi il trionfo di Pio. Splendidissima fra le offerte era quella del capitolo vaticano: un calice d'oro di squisita eleganza, ornato dello stemma del pontefice e di un analoga iscrizione. A dare un attestato di benevolenza alla regina di Etruria, che per la invasione francese erasi riparata nel monastero di san Domenico e Sisto, ove visse vita ritirata e modesta e lasciò luminose prove di magnanimità e di coraggio, si recò Pio in quel chiostro ove, dopo celebrato il sacrificio incruento, unse del sacro crisma la fronte della principessa Carlotta di Borbone, infanta di Spagna, quindi principessa di Sassonia e ammise alla mensa eucaristica la regina e gli augusti suoi. figli. Mentre in questo modo il papa, fidente in Dio, andava provvedendo ai bisogni dello stato, procacciandosi l’amore dei popoli, un pericoloso vicino, usato alle armi chiamava coscritti, componea reggimenti e meglio che dodici mila cittadini napolitani forniva di armi per confidare ad essi in ogni evento più la custodia che la difesa della capitale. Domandava l’imperatore austriaco a Gioacchino di restituire al papa le Marche e quegli in risposta muniva di nuove

[p. 120 modifica]fortificazioni il porto di Ancona: lamentavasi Pio dei segreti maneggi del console napolitano , e il re nuovi emissari spediva nelle provincie a suscitargli imbarazzi, a scuotere la fede dei sudditi. Erano questi i segreti timori di Roma, queste le angustie, che tenevano agitato il sovrano, desideroso di uscire pure una volta da quello stato doloroso cd incerto. E qui ultimo vienci fra le mani quel Radet, che vedemmo con ardimento sacrilego dare assalto notturno al palazzo del quirinale, spezzar le porte, attraversare le sale per trovarsi alla presenza di Pio, intimargli l'arresto, trasportarlo lungi da Roma. Immemore del passato e possessore di un predio appartenente ai padri domenicani, ebbe vaghezza di rivederlo eosò per mezzo dell'ambasciata francese farne domanda al pontefice. Il cardinal Pacca che giustamente temea avrebbe la presenza di quest'uomo destata l'ira dei romani è vendicato l'antico affronto, si oppose. Mal soddisfatto il generale Radet da questa ripulsa, replicò la domanda, ma invano, dappoichè la prudenza del ministro non fu vinta dall'audacia del soldato, dai desideri dell'ambasciatore.

XVII. Sino dal momento, in cui il papa, chiuso nelle stanze del quirinale, deplorava i mali supremi, ond'era oppressa la chiesa, aprendo i segreti dell'animo al cardinal Pacca suo compagno di prigionia, aveagli manifestato il pensiero di ripristinare la compagnia di Gesù, verso la quale nutriva sentimenti di affetto e di stima. Correa il di sette agosto mille ottocento quattordici, ottavo dalla festa di sant'Ignazio, quando recavasi il papa nella chiesa del Gesù, superbamente decorata di ricchi drappi e di lumi. Innanzi all’altare del santo fondatore ascoltò la messa, dopo la quale, recandosi nella cappella interna del chiostro, eve è stabilita la congregazione dei nobili, assiso in trono, fece leggere la bolla, con la quale restituivasi al mondo cattolico la compagnia di Gesù. Stavano da un lato i padri della compagnia venerandi per età, per merito religioso e scientifico e per le sofferte sciagure, presieduti dal padre Panizzoni, autorizzato a tenere le veci del preposito generale. Poichè fu compiuta la [p. 121 modifica]ceremonia e letta la bolla i cardinali si ritirarono, ad eccezione di Pacca camerlengo: rispettabile porporato, che ebbe gran parte nella piana restituzione. Unito al marchese Ercolani tesoriere provvisorio e ad altri prelati, rimase nell'oratorio per leggere il chirografo pontificio riguardante il patrimonio gesuitico e la dotazione della compagnia. Nel vedere la schiera di quei sacerdoti della mano di Dio serbati al trionfo di questo. giorno memorabile nei fasti della chiesa, dopo otto lustri di vicende, di stenti, di sacrifici penosi, il populo romano che fra gli applausi aveva seguito il papa quando dal quirinale recavasi in chiesa, nell'entusiasmo della gioia, lo accompagnò al quirinale.

XVIII. Dopo nove anni rivide Pio la sua diletta villeggiatura di castel Gandolfo. Muovea egli il giorno cinque ottobre da Roma, accompagnato la prima volta dalla guardia nobile e accolto dagli applausi degli abitanti di quel paesello, che dalla residenza dei pontefici ha la sua rinomanza. Nei dì seguenti recaronsi al castello i cardinali, i prelati, i principi romani e stranieri, il re sardo, la regina di Etruria e quel padre Panizzoni gesuita, che depose ai di lui piedi un bastone d'inestimabile pregio da servirsene, dicea, mentre recavasi per quelle contrade a diporto. Non avea il papa dimenticata, fra-le cure della chiesa e i pensieri di stato, le prove di filiale devozione ricevute sul Tago dal reggimento ungherese che gli rese gli onori militari, circondò la sua carrozza, lo seguì in Roma e dispose di offrire ad esso solenne pegno di gratitudine. Recavasi pertanto sul declinare del mese nella cappella palatina per benedire una nobilissima bandiera, premio offerto alla disciplina e al valore di quel reggimento. L'aquila dell'impero e lo stemma austriaco, circondato di emblemi militari, campeggiava nel mezzo di quella: vedevasi dal lato opposto la Vergine, avente in braccio il divino. suo figlio, in atto amorevole di porgere la mano al pontefice per restituirlo all'apostolico seggio. Su i lembi del vessillo era in ricamo espressa una parte del tempio vaticano e lo stemma di Pio. Il genio romano sosteneva lo scudo, l' [p. 122 modifica]ungherese vi adattava il triregno15. Accompagnava il dono e ne dicea le ragioni una bolla dal santo padre consegnata al capitano Bartoffy, incaricato di presentarlo al reggimento Radetski. Dalla imperiale benevolenza di Francesco I ricevea poco dopo cento cavalli, scelti dai reggimenti ungheresi, cento paia di pistole, altrettante sciabole ad uso dei dragoni e due mila fucili: partirono da Roma i commissari destinati dal papa a ricevere alla Cattolica quel munifico dono.

XIX. Nel suo soggiorno a Fontainebleau aveva avuto più volte il papa l'occasione di valutare i beneficîì portati alla società dalle sorelle ospitaliere, esemplarissime donne dedicate al santo e nobile scopo di soccorrere l'umanità e con saldo impegno avvisò ai mezzi di assicurare all’Italia quell’istituto che tanti vantaggi reca alla Francia. Desideroso di promovere la religione di Cristo, intese il bisogno di spedire ai più lontani paesi zelantissimi missionari, che benedetti da lui, partirono per annunciare ai popoli la parolà di verità. Pietoso al pari che prudente, vegliò al bene dei sudditi tornati sotto la sua autorità; avvisò ai modi di non urtare Gioacchino, le cui armi presidiavano le provincie più fiorenti dello stato e intanto, tenendo gli sguardi fissi sul mondo cattolico, animato di sacerdotale coraggio, parlava con una enciclica ai cattolici di Olanda per tenerli sull’avviso esser la elezione di Willibrord Van-Os al vescovado irrita, nulla e sacrilega. L'anatema pentificio colpì il vescovo sedicente e Gilberto de Jong da cui fu consacrato e coloro che aveano cooperato alla illegittima elezione. Non contento delle molte prove di affetto date all'Austria e disposto ad offrirne sempre maggiori, cosa nuova per Roma e perciò più valutata, prese seco in carrozza Nugent, comandante generale dell'esercito cesareo in Italia che primo lo avea ricevuto sul [p. 123 modifica]Taro quando tornava al possesso dei suoi dominî, lo dichiarò principe romano, lo colmò di favori. Affezionato ai reali di Francia, non lasciò correr momento senza dar loro prove di vivissimo attaccamento: inviò a quanti erano principi e principesse borboniche le candele e le palme benedette, visitò la chiesa nazionale, pregò ai francesi quella prosperità che dovea turbarsi ben presto. Dall’Inghilterra, che ricordava il generoso rifiuto del papa dall’unirsi al sistema continentale, vasta idea con cui sperava Napoleone umiliare e colpire nel cuore la sua potente rivale, ricevea le proteste di benevolenza per tre secoli negata a Roma. Quando lord Esemout trionfò di Algieri, partecipando al papa la lieta novella, inviavagli cento settanta tre sudditi pontifici sottratti alla servitù pel valore delle armi inglesi16. Come foss'egli amato dalla Spagna, che divideva con esso la gloria della eroica resistenza opposta all'imperatore dei francesi, quanto dai principi italiani lo dirà il seguito di questa istoria. Alla Russia, alla Prussia, a Quante erano potenze artigliate dal conquistatore era caro Pio VII per la mirabile costanza, per l'umiltà profonda, per la sublime rassegnazione con cui sopportò cinque anni la prigionia, senza declinare dai doveri imposti dalla religione, di cui era capo e maestro. Esultavano i romani in cuor loro nel vedere quali prove di simpatia riceveva da tutte le corti di Europa e a quanta altezza di rinomanza poggiava il padre universale dei credenti, l'immortale Pio VII.

XX. Liete correvano le notizie di Vienna: triste quelle di Napoli. La sagacia del cardinal Consalvi ispirava fiducia, le incertezze murattiane timore: nè per questo desisteva il papa dal promovere il bene dei sudditi, dal [p. 124 modifica]proteggere le arti, caro ornamento di Roma. Il suo regno, a dispetto delle vicissitudini che contristarono i pontifici domini, fu molto propizio alle arti. Il vigoroso sviluppo dato da Canova alla statuaria fece risorgere dal basso stato di affrettazione la scultura e la spinse alla semplice bellezza, alle attitudini tranquille, ai panneggiamenti posati, insomma all’ampiezza e maestà delle opere antiche. Roma onorò in esso l’uomo, che si pose alla testa della scuola europea, il pontefice lo protesse. Della pittura classica lodato maestro in Italia era Camuccini: ebbe Stern nell’architettura il primato. Ad assicurare i vantaggi della insigne accademia di san Luca, ne accrebbe l’entrate, propose premi, aumentò il numero delle scuole, disse principe perpetuo Canova. Un busto marmoreo eretto nella gran sala lei modelli colossali ricordò ai presenti e parlerà ai posteri della inunificenza di Pio. Nè per il favore accordato “alle arti mancò alle scienze e alle lettere la benevolenza del papa. Può dirsi ch' egli con serenità di animo ricominciò l'opera della sua protezione come ieri l'avesse interrotta. Viene opportuno un esempio a compendiare la storia dei benefici piani e a manifestare l' indole sua generosa. Feliciano Scarpellini professore nelle facoltà filosofiche, della gioventù studiosa amantissimo e della celebre accademia dei Lincei restitutore lodato17, appartenne nei tempi napoleonici al corpo legislativo. Prete d'irreprensibile condotta, amico a Lagrange, a La Place, a Biot e a quanti ebbero nome di sapienti, colpito dall'odio di pochi o invidiosi o maligni, allontanato dalla cattedra, viveva poveramente. Lo seppe il papa, deliberò vederlo, volle dalla istessa sua bocca saper le incontrate vicende, udir le discolpe. Presentavasi il dotto Fulignate al pontefice, partavagli della cattedra conferita e tolta, aggiungea dolergli le sue mutate condizioni, perchè gli toglieano i mezzi di sostenere l'accademia dei Lincei. Tanta sincerità, tanto affetto [p. 125 modifica]commosse Pio, che lo assicurò di sua sovrana benevolenza e perchè alla dolcezza delle parole rispondesse la realtà dei fatti, lo confortò a proporre un metodo di studî, che affacendosi all’animo suo, bastasse ad istituire una nuova cattedra nella romana università. Rispondevagli modestamente l'uomo della scienza, reso più forte dalla fiducia che riponevasi in lui, come in alcune università straniere erasi adottato un piano di studi fisici ad istruzione dei giovani ecclesiastici, da servir di scala alle disquisizioni teologiche, sia col mostrare nelle create cose l'infinita sapienza del creatore, sia coll esporre il divino linguaggio della genesi per provare come le narrate cose della creazione concordano mirabilmente con Je recenti e vere teoriche delle scienze. Soddisfatto il papa dal progetto, lo invitò a preparare un programma, nel quale il dotto Scarpellini trattò delle sei giornate della creazione, le pose in mirabile concordia col sacro testo. Questa ed altre discussioni doveano essere il fondamento della nuova scuola, che per comando sovrano aprivasi nella università Alessandrina col titolo di Fisica sacra18. Tali erano le benefiche disposizioni, tali le cure amorevoli dal pontefice esercitate non a vana ostentazione di grandezza, ma al magnanimo scopo di difendere gli [p. 126 modifica]onorati cittadini, di promovere gli studi, di assicurare il progresso delle scienze.

XXI. Omai compivansi i destini di Gioacchino Murat che, con le feste e le apparenti allegrezze della reggia, cercava nascondere le inquietudini, dalle quali era agitato. Mentre faceva protestare da Campochiaro suo ministro a Vienna, ch'egli desideroso di pace e sciolto dai legami, che l’obbligavano al cognato e alla Francia, confermava i patti di alleanza con l’Austria, correa con le truppe napolitane in Ancona e le spingea verso il Po, per provvedere ai casi di guerra: questa determinazione imprudente dicea suggerita non da ambizione di dominio, ma da desiderio di pace. In mezzo a questi fatti, che ne rendeano dubbia la fede, domandava alla santa sede l'investitura del regno e più compiacente di Ferdinando Borbone, promettea il pagamento del tributo, che dicono chinea. Roma non ne curava le offerte; avealo in sospetto Vienna; sapeano gli alleati che, per segreti maneggi, idee sovversive, promettenti un'Italia unita, andavansi spargendo fra i popoli sottoposti all'autorità del pontefice. S'ingigantivano i dubbi ed entrava nell’animo dei principi alleati la diffidenza nel vedere accolti i disertori austro-italici e i cospiratori lombardi ricevuti fra le fila dei soldati di Napoli. Nelle città di provincia e nella capitale era gran rumore di uomini, armi e cavalli: se ne vedeva la mole, se ne immaginava lo scopo. Per la concordia risorta fra i due cognati, dall'Elba più d'una volta recavasi alla corte murattiana la principessa Paolina Borghese e da porto Longone non meno che da Parigi giungevano personaggi cari al re, sospetti agli ambasciatori delle potenze alleate che visitavano la reggia, ne spiavano i movimenti e sotto apparenze di ossequio nascondevano l'avversione, il sospetto e lo sdegno. Tutto quello che sapeasi di Murat provocava in Sicilia l'ira di re Ferdinando, fidente nei congiunti risaliti su i troni di Francia e di Spagna, ispirava serî timori in Vienna, in Roma allarmava gli spiriti. Tali erano le condizioni dell’Italia meridionale, le quali esercitavano nelle provincie papali un'influenza funesta [p. 127 modifica]quando un grido, che suonò tristamente all’orecchio dei principi raccolti a Vienna, disse all’Europa fuggito Napoleone dall’Elba, incerta la direzione ma sicuro lo scopo: ristabilirsi sul trono. Stavasi a circolo il re negli appartamenti della regina circondato dai cortigiani, dai ministri e dagli ambasciatori stranieri, quando la notte del quattro marzo giunse in Napoli l'avviso di avvenimento tanto importante. Gioacchino che per leggere i dispacci erasi con la moglie ridotto in altre stanze uscì tutto raggiante di gioia, narrò ai circostanti la fuga, e si ritrasse a consulta coi suoi ministri. Quell’allegrezza dovea riuscirgli fatale. All’Austria, all'Inghilterra inviò la notte istessa proteste di serbarsi fedele alle fermate alleanze, stabile nella politica, avverso a Napoleone: intanto, desideroso del dominio d’Italia, volea, re potente, aiutare di armi il cognato. Prima incerti rumori dalla Toscana, quindi sicure novelle di tanto avvenimento giungevano in- Roma. I cittadini, riavutisi appena dalle conseguenze d’una invasione straniera, vedeano sovrastare doppio pericolo e tremavano. Il sire di Napoli con le armi, quello di Francia li spaventava col nome. Coloro, che avevano parteggiato per i francesi, speravano, vivevano nei dubbi quelli, che amavano le antiche istituzioni. Andavasi dicendo per la città, che ben mille uomini della guardia, dei quali ottanta quattro polacchi, e cinquecento volontari venuti da Corsica seguivano Napoleone. Sapeasi, per notizie giunte da Livorno, che la piccola flottiglia a vele spiegate erasi veduta presso Capraia: chi dicea Napoli luogo destinato allo sbarco, chi le coste di Francia. I corrieri portavano a tutte le corti la paurosa novella. Il grido Bonaparte è in Francia ponea tutta l'Europa in tumulto. Ai primi rumori mosse da Livorno per l'isola il commissario inglese, ma invano; dappoichè Napoleone, nella sua rapida corsa, toccava le terre francesi. A queste notizie circolanti per Roma aggiungca nuovo spavento la voce, che la sorella dell’imperatore, Elisa governatrice generale della Toscana, avea detto a Bologna, che se questi era arrestato in Francia, ella terrebbe il papa in ostaggio. Crebbero le incertezze della corte pontificia il [p. 128 modifica]messaggio di Gioacchino chiedente libero passaggio, per le terre alla podestà pontificia soggette, di dodici mila soldati. Grave era il pericolo, dappoichè temevasi offendere le potenze alleate, alle quali movea guerra e non voleasi irritare soverchiamente Murat, invasore delle Marche e di una gran parte del ducato di Urbino. A queste considerazioni l'altra aggiungevasi, ch'ebbe sempre un gran peso nelle deliberazioni della corte romana: non dovere il padre universale dei credenti prender parte alle guerre dei popoli talvolta necessarie, sempre funeste. Rispondea Pacca: alle armate napolitane, senza toccare le provincie restituite, facile tener la via del tronto, costeggiare le spiagge dell'adriatico e lungo le vie marchiane e urbinati entrare in Lombardia. Non declinava Gioacchino, per le giuste osservazioni di Roma, dai suoi progetti e lasciato in Napoli forte presidio per salvarla da un colpo di mano, che potea temersi da Ferdinando se avesse salpato dai porti della Sicilia, il dì ventidue marzo con quaranta mila uomini, divisi in due schiere, prese la doppia strada delle Marche e di Roma. Annunciava la pubblica vote, dell'esercito transitante per le vie di Terracina e di Tivoli, debole la disciplina, scarse le armi, l'amministrazione infedele: supremo pericolo se non smentivano i fatti la trista fama. La sagacia del cardinale pro-segretario di stato, che comandava ai presidi delle provincie di evitare gl inconvenienti che potrebbero verificarsi, preparare i viveri e tutto quello sfuggire accuratamente, che potesse compromettere la tranquillità dello stato. Tante cure, tanta solerzia raggiunsero lo scopo desiderato: divennero impossibili le rappresaglie. Non parteggiarono per il re e non tumultuarono i romani quando un corpo di armata passò a breve distanza dalle mura della città, Chi li vide assicura che i soldati di Napoli moventi alla conquista d'Italia furono guardati con indifferenza dagli ordini elevati della città, con disprezzo dal popolo: tendenza fiera, ma naturale ai romani.

  1. Ai sedici cardinali usciti da Fontainebleau alla distanza di poche miglia dalla città consegnavasi una lettera del duca di Rovigo ministro della polizia, che ingiungeva di recarsi nel più stretto incognito in quella città, che il governo avea destinato ad ognuno di loro. Mattei fu deportato ad Alisa, della Somaglia a Draguignan, Dugnani a Brignoles, Saluzzo a Pons, Braneadoro ad Oranges. Partì Consalvi per Digna, Gabrielli per Avignone, Litta per Nimes. Scotti videsi confinato a Tolone, Pacca ad Uzel, Ruffo Scilla a Grosse, Oppizzoni a Carprentras, e Galeffi a Lodevi. Queste vittime del dispotismo conquistarono tutta la riverenza e l'amore del mondo cattolico.
  2. Il prefetto della città dopo avere arringato il pontefice con generose parole, depose ai di lui piedi la spada, e lo pregò di benedirlo. Sorrise Pio e dissegli: ma questo è istrumento di guerra e non di pace: io non ne abuso risposegli e fu consolato.
  3. A questo insulto Lagorse lanciò uno sguardo di minaccia sulla moltitudine: un popolano avvicinandosi a lui con quella vivacità che distingue gli abitanti del mezzo dì della Francia dissegli « Colonnello, avreste sete voi pure? »
  4. Offrirono i modenesi una ospitalità generosa a quanti erano ecclesiastici e sudditi pontifici, che tornando dall'esilio, transitavano per la loro città. Stavano in guardia alle porte di Modena diversi cittadini incaricati d'interrogare i viaggiatori e consegnare ad essi un biglietto ov'era indicata la casa, a cui doveano diriggersi. Accolti e trattati amorevolmente, se bisognosi ricevevano anche un sussidio per proseguire il viaggio.
  5. Carascosa nell'occupare Bologna non dubitò dichiarare con pubblico bando « dopo molti secoli di divisione e di debolezza spuntare il desiderato giorno, in cui combattendo per gl’istessi interessi, non v'era, che ad unirsi attorno al magnanimo re, che li garantiva ». Non diversamente suonavano gli editti pubblicati gglie Marche dall'avvocato Poerio, che a nome di Gioacchino re prendeva possesso di quella provincia, che abbandonarono dopo la battagiia di Tolentino.
  6. Fra i senatori che, presieduti da Talleyrand, sottoscrissero a quest’alto erano tre italiani: Bonaccorsi romano, Carbonara genovese e Sammartino della Molta piemontese.
  7. Il giorno due aprile il governo provvisorio di Francia émana un decreto sottoscritto da Talleyrand, da Beurnonville, da Jaucourt e da Montesquieu, in cui dichiaravasi che il governo provvisorio di Francia -avendo saputo con dolore gli ostacoli posti in campo al pronto ritorno del papa nei suoi stati, e deplorando questa contisuazione di oltraggi, cui Napoleone ha sotto posta sua santità, ordinava che cessasse all’istante qualunque ritardo, e fossero resi al santo padre lungo la strada gli onori dovuti al supremo gerarca di santa chiesa. Dobbiamo però aggiungere che questa ordinanza riuscì inutile, dappoichè fu emanata quando il pontefice era rientrato nei suoi stati.
  8. Nell’interesse della storia ci corre il dovere di ricordare, che mentre i sovrani di Europa avvisavano a tutti i mezzi di restituire al mondo la pace, una piccola banda di sollevati, condotti da un tal Felice Battaglia, prete di Vitorchiano cercava di Giucci. Vita di Pio VII. compromettere con grida sediziose la provincia del Patrimonio. Tito Manzi, segretario del consiglio di stato e agente segreto di Murat, indusse vari patrizi ed alcuni ragguardevoli personaggi di Roma a sottoscrivere una memoria a Gioacchino. Diceasi in essa
    « Roma esser minacciata dall’anarchia: lui solo poterle dare la sicurezza e la felicità. Supplicarlo pertanto di prendere quelle disposizioni di governo che credesse più opportune alla pubblica tranquillità. Qualunque dilazione poter esser fatale , ed avrebbe potuto raffreddare quel desiderio vivissimo che generalmente si scorgeva in tutti i buoni italiani e specialmente nei romani. »
    Questo foglio fatale, sollecitato dall'istesso Gioacchino, presentato alla corte partenopea da quattro patrizi romani, giunse accettissimo al re il giorno ventitrè gennaro, e il generale Lavangoyon, comandante le forze napoletane in Roma, dicea per pubblici bandi, che la protezione domandata dai cittadini, imposta dalle circostanze, senza ledere gli altrui diritti, evitava i disordini, opponevasi alle intemperanze del popolo, provvedeva alla pubblica sicurezza. Più energiche suonavano le parole del Poerio avvocato nelle Marche, più bellicose quelle del Carascosa soldato nelle Romagne. Istituì in Roma consiglio generale di amministrazione, tutta onorata gente, ma regnicola, e però poco accetta ai romani, Venuto in Roma egli stesso, distribuì Litoli ed equestri onori a patrizi, letterati, artisti e impiegali: cercò guadagnarsi la benevolenza pubblica, della quale volea farsi puntello presso i monarchi adunati in congresso nella capitale dell'Austria. Prima di dirigersi a Bologna estrasse dal monistero di san Domenico e Sisto la regina d'Etruria Maria Luigia, da esso sei anni innanzi bandita dalia corte del re cattolico.
  9. Disse Sisto V reo di morte chiunque osasse alzar la voce nella occasione in cui dall’architetto Domenico Fontana si ergea per suo ordine il famoso obelisco egizio sepolto nel circo Neroniano, da esso innalzato nel centro della piazza del Vaticano. Un antenato del medico Giacomo Bresca era co! popolo per ammirare lo spettacolo. I segnali del movimento di quell’immenso monolite davansì dal Fontana col mezzo di wn trombettiere. Atterrito dal rigoroso editto, osservava il popolo un profondo silenzio. Mossa dagli argani e dalle corde quella mole imponente cera già presso al suo piedistallo quando un Bresca marinaio di san Remo gridò ad alta voce: Acqua alle corde. Comprese 1° architetto il pericolo dell'allongamento dei canapi, necessario effetto della tenzione, e utilissimo gli tornò quel consiglio. L’obelisco andò al suo posto salutato dagli applausi del popolo. Il Fontana presentò ai piedi di Sisto il Bresca, che avea rotto il divieto, per implorargli perdono. «Qui non trattasi di grazia, rispose il papa, ma di premio. "Domandò questi per se e per i discendenti il diritto di fornire le palme al palazzo apostolico nel tempo pasquale e l’ottenne: Sisto accordavagli nome di capitano onorario, dritto d'innalzare la bandiera pontificia a bordo del suo bastimento. Memore la di lui discendenza di tanta degnazione, inviò ogni anno al pontefice prigioniero in Savona le palme e volle onorato con queste il suo glorioso ritorno.
  10. Si può dire, che questo illustre uomo di stato, le cui ammirabili qualità gli conquistarono la fiducia di Pio VII e la stima di tutte le corti cattoliche ed acattoliche di Europa , sino da giovanetto presenti la grandezza dei suoi futuri destini. In una poesia da esso scritta nel seminario tusculano in età giovanile, parlando di se stesso e della costanza, con cui accingevasi a sostenere le più gravi fatiche per giungere alla meta dei suoi desideri, avea detto
    «... aspettan, sollo, Me onor, gloria, ricchezza al bell’oprare. Sprone e conforto desiabil. Certo è questo il fato mio: questa è la tela che tra le man del ciel per me s'intesse, Ma che? Forse sogn’ io, o non piuttosto Si verace m’ispira amico nume? No che non sogno e lo vedrò fra poco quando per bella e amabile fortuna, contento e lieto di me stesso, i giorni passar vedrammi ognun, che al fuso eterno l’immite Parca tutto dì mi fila, e tutt'altro sarò da quel, che or sono.
  11. 1 Settembre 1815: Allocuzione di N. S. Papa Pio VII.
  12. Pio VII spedì da Cesena nunzio straordinario a Parigi monsignor Annibale della Genga, con l’ incarico di felicitare il re di Francia ristabilito sul trono degli avi suoi e di presentare ai sovrani alleati gli omaggi del santo padre, quando vi giunse il cardinal Consalvi munito di credenziali più ampie. Furonvi colloqui animati e dispiacevoli fra della Genga e Consalvi, e il prelato, dalla provvidenza serbato al governo della chiesa, vi contrasse una malattia che pose i suoi giorni in evidente pericolo. L’arcivescovo di Reims Perigot, il re istesso che lo visitò nel collegio di Montrouge non giunsero a sollevarlo. Tornato in Italia andò a nasconders: nella sua badia di Monticelli presso la Genga, d'onde lo trasse Pio che premiò con la porpora l uomo che avea resi utili e lunghi servigi alla santa sede.
  13. Nella circostanza, in cui Consalvi dimorò a Vienna gli furono presentati i più grandi uomini della Germania. Intese il cardinale con sorpresa, che quasi tutti gli domandavano notizie d'Ignazio De Rossi e parlavano di quest’uomo con sentimento di rispetto profondo. L'autore del commentario su Diogene Laerzio, che facea parlar di se l'Alemagna, il precursore di Champollion, a cui l’accademia di Lipsia, adunata in sessione straordinaria, avea diretta tettera molto onorifica, era ignoto al ministro di stato e poco o nulla lo conosceano i romani. Tornato appena in Italia, uno dei primi pensieri di Consalvi fu il farne ricerca. Seppe con dolore che questo modesto filologo, vestito di un logoro saio, curvo sul suo bastone, era affranto dalle fatiche e dagli anni. Ignazio De Rossi, e lo ricordino i grandi, non avea più bisogno dci conforti del cardinale segretario di stato, allorchè questi dal suo canto avvisava ai modi di alleviare le sofferenze del vecchio rispettabile, accordandogli una pensione onorevole.
  14. Invitato il marchese Naro Patrizi ad inviare due figli a Parigi per farli educare in uo liceo della Francia, si rifiutò dal consegnarli al governo. Questo illustre patrizio, scrive nelle sue memorie istoriche il cardinal Bartolomeo Pacca, mentre altri signori della prima nobiltà o per vile timore o per privato interesse si strisciavano ai piedi del generale Miollis, conservò gli clevati sentimenti di vero patrizio romano e ne diede luminosa pro- va col suo rifiuto, si espose agli sdegni dell’imperatore, che lo tenne prigione in Civitavecchia, quindi lo inviò a Fenestrelle, in ultimo nel castello d’If. Nella circostanza, in cui la confraternita del nome di Maria attendea sul cortile del quirinale l'apostolica benedizione, erano compiute appena le ceremonie quando il papa lo fece chiamare a se e alla presenza dei cardinali Pacca, Mattei e Galeffi gli consegnò di sua mano il biglietto, che lo destinava alla carica luminosa di senatore.
  15. Al di sotto della bandiera a lettere d'oro leggevasi
    Ungariae Patronae Pium comitatur ad Urbem
    O felix tanto Roma sub auspicio!
  16. Questa lettera era dettata con termini tanto rispettosi, che un cattolico non avrebbe potuto usarne maggiori. Scritta a bordo del vascello la Regina Carlotta dall’ammiraglio poco dopo la vittoria ottenuta, chiudeasi con queste solenni parole. «Spero, che questi schiavi saranno un dono accetto al santo padre e mi daranno un diritto alla efficacia delle sue orazioni.»
  17. Dotta e benemerita istituzione fondata in Roma sul cominciare del secolo XVII dal principe Federico Cesi.
  18. Giova il ricordare, che non si tenne contento a questo solo tratto di benevolenza il cuore di Pio. Coloro ai quali tornava grave veder protetto lo Scarpellini, decorato della legione d’onore , membro del corpo legislativo , sussurrando voci maligne avvisavano a tutti i mezzi di fargli perdere il favore sovrano. Se ne avvide il papa e a far cessare la guerra sorda mossà allo Scarpellini, davagli pubblica testimonianza di stima. Accompagnato dalla sua corte, sorprendeva nel suo stabilimento il professore di fisica sacra: trattenevasi seco lui in famigliari colloqui, ragionavano della scienza, faceasi render conto dei vantaggi oltenuti dalla gioventù studiosa. Caduto il discorso intorno alle cose riguardanti l'accademia dei Lincei e ai benefici che le scienze fisiche poteano attendere da questa saggia e nobile istituzione, comandò che l’augusto suo nome fosse segnato nell’albo accademico. Rese questi umili grazie al pontefice benefattore, e volle con una lapide tramandare ai posteri la memoria del segnalato favore.