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LIBRO VII 115

ve era il suono della sua voce. La mente energica del Consalvi, le sue nobili prerogative, infine l'arte con cui, restaurando lo stato, seppe ottemperarsi all’esigenze dei tempi confermarono a Pio VII l'affetto e la riverenza del mondo. La fiducia del principe aprì un vasto campo alla esperienza e ai talenti del ministro: si convenivano tanto bene fra loro da far dire, averli Dio fatti uno per l'altro.

XIV. Mentre a Vienna dai plenipotenziari delle varie corti provvedevasi alla pace e alla sicurezza di Europa, e molte cose operavansi in Roma per riordinare lo stato, il re di Francia diede al pontefice splendida prova di filiale rispetto, inviandogli in solenne ambasciata il prelato Cortois de Pressigny, cui il ministro degli affari Talleyrand, imponeva di proporre gli opportuni ripari a quanto erasi operato a danno della santa sede dall’epoca repubblicana alla caduta dell'impero irancese. A richiamare in vigore le antiche consuetudini nazionali Pressigny, che alla qualifica di rappresentante della Francia presso la santa sede quella univa di vescovo, volle che nella chiesa di san Luigi si celebrasse solennemente la festa del santo re: invitò quindi a pranzo diplomatico gli ambasciatori, le autorità governative, alcuni cardinali, fra i quali Fesck. Tanta cortesia fu creduta obblio del passato, pegno di futura concordia. Il disprezzo smentì le speranze. Umile lettera scrivea quel cardinale arcivescovo di Lione a Luigi XVIII in occasione delle festività natalizie: dicea in essa l’umana potenza emanare da Dio, solo padrope assoluto di alzare e abbassare i troni della terra, di dividere fra le sue creature le capanne e i palagi: facea quindi voti per la prosperità del re e della Francia. Fesck mortificato da un silenzio, che indirettamente colpiva il sacro collegio, seppe invece che trattavasi nel gabinetto francese di obbligarlo alla rinunzia dell’episcopale suo seggio. La corte romana, più saggia dei consiglieri del re, si oppose agli esagerati disegni di chi, a far dimenticare l'antica devozione professata a Napoleone, affrettavasi a dar moderne prove di tenerezza ai Borboni. Fra tante innovazioni, nella lotta di tanti interessi mancava ancora una cosa ai romani: non si era intesa la voce