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LIBRO VII 111

nare, lo faremo volentieri sulla scorta dei documenti1.

Dissero Consalvi mente elevata, ma gelosa del potere; arbitrari i suoi provvedimenti, meglio alle foggie secolaresche e agli andari napoleonici, che alle vecchie consuetudini dello stato e alle intemperanze nuove di chi avea lunghi anni sofferto, benevolo: e molte altre cose dissero, che noi sempre sentiamo ripetere sino alla noia a danno di coloro, cui perspicacia d' ingegno o favor di monarca chiamò in tatti i tempi a timoneggiare lo stato. I grandi progetti da esso a lieto fine condotti, l'arte sublime con la quale vinse gli avari disegni di Wellington, Blucher, Metternick, Castlereagh chiedenti stati, principati e compensi pei loro padroni, assicurando al pontefice il possesso dei suoi dominî, come rallegrarono il cuore di Pio, chesi compiacque della scelta di ministro tanto sagace, così rimarranno monumento imperituro della sua gloria. Obbligati a narrare brevemente quanto fece Consalvi a Parigi, a Lon-

  1. Si può dire, che questo illustre uomo di stato, le cui ammirabili qualità gli conquistarono la fiducia di Pio VII e la stima di tutte le corti cattoliche ed acattoliche di Europa , sino da giovanetto presenti la grandezza dei suoi futuri destini. In una poesia da esso scritta nel seminario tusculano in età giovanile, parlando di se stesso e della costanza, con cui accingevasi a sostenere le più gravi fatiche per giungere alla meta dei suoi desideri, avea detto
    «... aspettan, sollo, Me onor, gloria, ricchezza al bell’oprare. Sprone e conforto desiabil. Certo è questo il fato mio: questa è la tela che tra le man del ciel per me s'intesse, Ma che? Forse sogn’ io, o non piuttosto Si verace m’ispira amico nume? No che non sogno e lo vedrò fra poco quando per bella e amabile fortuna, contento e lieto di me stesso, i giorni passar vedrammi ognun, che al fuso eterno l’immite Parca tutto dì mi fila, e tutt'altro sarò da quel, che or sono.