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98 VITA DI PIO VII

nanzi: ora, disse sorridendo, nulla più si oppone al nostro viaggio.

VI. Ridersi delle arti murattiane era ben facile a chi avea vinte le mene napoleoniche. Non potendo per ragioni di prudenza preseguire la sua corsa trionfale, parlò con una notificazione ai romani, in cui dopo aver ricordate le pene durate per cinque anni, annunciava che la provvidenza lo restituiva ai suoi stati. L'umana alterigia, dicea il santo padre, che stoltamente volea lottare con l'Altissimo, fu umiliata. Ansiosi di stringervi al seno dopo il nostro lungo pellegrinaggio, ci facciamo precedere da un delegato che, autorizzato da nostro speciale chirografo, assume per noi le redini del governo. La com-

    compromettere con grida sediziose la provincia del Patrimonio. Tito Manzi, segretario del consiglio di stato e agente segreto di Murat, indusse vari patrizi ed alcuni ragguardevoli personaggi di Roma a sottoscrivere una memoria a Gioacchino. Diceasi in essa
    « Roma esser minacciata dall’anarchia: lui solo poterle dare la sicurezza e la felicità. Supplicarlo pertanto di prendere quelle disposizioni di governo che credesse più opportune alla pubblica tranquillità. Qualunque dilazione poter esser fatale , ed avrebbe potuto raffreddare quel desiderio vivissimo che generalmente si scorgeva in tutti i buoni italiani e specialmente nei romani. »
    Questo foglio fatale, sollecitato dall'istesso Gioacchino, presentato alla corte partenopea da quattro patrizi romani, giunse accettissimo al re il giorno ventitrè gennaro, e il generale Lavangoyon, comandante le forze napoletane in Roma, dicea per pubblici bandi, che la protezione domandata dai cittadini, imposta dalle circostanze, senza ledere gli altrui diritti, evitava i disordini, opponevasi alle intemperanze del popolo, provvedeva alla pubblica sicurezza. Più energiche suonavano le parole del Poerio avvocato nelle Marche, più bellicose quelle del Carascosa soldato nelle Romagne. Istituì in Roma consiglio generale di amministrazione, tutta onorata gente, ma regnicola, e però poco accetta ai romani, Venuto in Roma egli stesso, distribuì Litoli ed equestri onori a patrizi, letterati, artisti e impiegali: cercò guadagnarsi la benevolenza pubblica, della quale volea farsi puntello presso i monarchi adunati in congresso nella capitale dell'Austria. Prima di dirigersi a Bologna estrasse dal monistero di san Domenico e Sisto la regina d'Etruria Maria Luigia, da esso sei anni innanzi bandita dalia corte del re cattolico.