Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano/32

CAPITOLO XXXII

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Riflessioni d'ignoto autore sopra i capitoli XXIX, XXX e XXXI 33


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CAPITOLO XXXII.

Arcadio Imperatore dell'Oriente. Amministrazione e disgrazia d'Eutropio. Rivolta di Gaina. Persecuzione di S. Gio. Grisostomo. Teodosio II. Imperatore dell'Oriente. Sua sorella Pulcheria. Eudossia sua moglie. Guerra Persiana e division dell'Armenia.

[A. 395-1453] La divisione del Mondo Romano tra i figli di Teodosio contrassegna il finale stabilimento dell’Impero orientale, che dal regno d’Arcadio fino alla presa di Costantinopoli, fatta dai Turchi, durò mille e cinquantotto anni in uno stato di prematura e perpetua decadenza. Il Sovrano di quell’Impero assunse ed ostinatamente ritenne il vano, e di poi fittizio titolo d’Imperator dei Romani; e l’ereditarie denominazioni di Cesare e d’Augusto continuarono a dichiarare, che egli era il legittimo successore del primo degli uomini, che avesse regnato sulla prima delle nazioni. Il Palazzo di Costantinopoli gareggiava, e forse oltrepassava la magnificenza della Persia; e gli eloquenti discorsi di S. Gio. Grisostomo1 celebrano [p. 273 modifica]il pomposo lusso del regno d’Arcadio nell’atto di condannarlo. „L’Imperatore (dic’egli) porta sul capo o un diadema o una corona d’oro adornata di pietre preziose, d’inestimabil valore. Questi ornamenti e le vesti di porpora son riserbate per la sola sua sacra persona; ed i suoi abiti di seta son ricamati con figure di dragoni d’oro. Il suo trono è d’oro massiccio. Ogni volta che comparisce in pubblico, egli è attorniato dai cortigiani, dalle guardie e dai Ministri. Le lance, gli scudi, le corazze, le briglie, ed i finimenti dei loro cavalli sono o in sostanza o in apparenza d’oro, e l’ampio splendido rilievo, che è nel mezzo del loro scudo, è circondato da piccole borchie, le quali hanno la figura dell’occhio umano. Le due mule, che tirano il cocchio del Monarca, sono perfettamente bianche, e da ogni parte risplendono d’oro. Il cocchio medesimo, di purissimo oro sodo, attrae l’ammirazione degli spettatori, che osservano le portiere di porpora, il candido tappeto, la grossezza delle pietre preziose, e le rilucenti lastre d’oro, che brillano, quando sono agitate dal moto del cocchio. Le pitture Imperiali son bianche sopra un fondo turchino: l’Imperatore comparisce assiso sul trono, con le armi, i cavalli e le guardie intorno ad esso, ed i suoi soggiogati nemici, in catena, a’ suoi piedi„. I successori di Costantino stabilirono la perpetua lor residenza nella città reale, che egli aveva eretta sul confine dell’Europa e dell’Asia. Inaccessibili alle minacce dei loro nemici, e forse alle querele dei loro Popoli, ricevevano, qualunque vento spirasse, le tributarie produzioni d’ogni clima, e l’inespugnabil forza della lor Capitale continuò per più secoli a sfidare gli ostili sforzi [p. 274 modifica]dei Barbari. I loro Stati avevano per confini l’Adriatico, e il Tigri, e l’intiero spazio di venticinque giorni di navigazione, che separava la fredda estremità della Scizia dalla Zona torrida dell’Etiopianota, era compreso nei limiti dell’Impero orientale. Le popolose regioni di quell’Impero erano la sede delle arti e delle scienze, del lusso e della ricchezza, e gli abitanti di esse, che avevan preso il linguaggio ed i costumi dei Greci, si nominavano con qualche apparenza di verità la parte più colta e gentile della specie umana. La forma del Governo era una pura e semplice monarchia. Il nome di Repubblica Romana, che per tanto tempo conservò una debole tradizione di libertà, ristringevasi alle province Latine; ed i Principi di Costantinopoli misuravano la lor grandezza dalla servile obbedienza del loro Popolo. Essi non sapevano quanto una tal passiva disposizione snerva e degrada ogni facoltà della mente. I sudditi, che avevano abbandonato la lor volontà ai comandi assoluti d’un padrone, erano ugualmente incapaci e di difender le vite ed i beni loro dagli assalti dei Barbari, e di guardar la propria ragione dai terrori della superstizione. 2 [p. 275 modifica]

[A.395 399] Sono tanto fra loro connessi i primi avvenimenti del regno d’Arcadio e d’Onorio, che la ribellione dei Goti e la caduta di Buffino hanno già avuto luogo nell’Istoria dell’Occidente. Si è già osservato, che Eutropio3, uno dei principali Eunuchi del palazzo di Costantinopoli, successe a quel superbo Ministro, di cui aveva ultimato la rovina, e tosto imitato i vizi. Ogni Ordine dello Stato inchinavasi al nuovo favorito, e la vile ed ossequiosa lor sommissione l’incoraggiò ad insultar le leggi, e quel che è viepiù difficile o pericoloso, i costumi del paese. Sotto i più deboli fra i Predecessori d’Arcadio, il regno degli Eunuchi era stato segreto e quasi invisibile. S’erano insinuati nella confidenza del Principe; ma le ostensibili loro funzioni erano ristrette al domestico servizio della guardaroba e della camera Imperiale. Potevano essi dirigere sotto voce i pubblici consigli, e distruggere con le maliziose lor suggestioni la fama e le sostanze dei cittadini più illustri, ma non avevan mai ardito di porsi apertamente alla testa dell’Impero4, o di pro[p. 276 modifica]fanare i pubblici onori dello Stato. Eutropio fu il primo dell’artificiale suo sesso, che osò d’assumere il carattere di Magistrato Romano e di Generale5. Talvolta in presenza del vergognante Senato, saliva sul Tribunale per giudicare o per recitare un elaborato discorso, ed alle volte compariva a cavallo con gli abiti e l’armatura d’un eroe alla testa delle sue truppe. Il disprezzo del costume e della decenza scuopre sempre una mente debole e mal regolata, nè sembra che Eutropio compensasse la follìa del suo disegno con alcuna superiorità di merito o di destrezza nell’esecuzione. Il precedente suo genere di vita non l’aveva fatto iniziare allo studio delle leggi, o agli esercizi del campo; i temerari ed infelici suoi tentativi provocarono il segreto disprezzo degli spettatori; i Goti espressero il lor desiderio, che un tal Generale potesse comandar sempre gli eserciti di Roma, ed il nome del Ministro era infamato col ridicolo, più dannoso forse che l’odio per un carattere pubblico. I sudditi d’Arcadio erano esacerbati dalla memoria, che [p. 277 modifica]questo deforme e decrepito Eunuco6, che sì sgraziatamente imitava le azioni d’un uomo, era nato nella più vil condizione di schiavo; che avanti d’entrare nel palazzo Imperiale, era stato più volte venduto o comprato da cento padroni, i quali avevano esaurito la giovanile sua forza in ogni abbietto ed infame ufizio, e finalmente nella sua vecchiezza l’avevano abbandonato alla libertà ed alla miseria7. Mentre queste vergognose istorie giravano e si esageravano forse nelle private conversazioni, era lusingata la vanità del favorito con gli onori più straordinari. Si eressero ad Eutropio nel Senato, nella Capitale, e nelle Province statue di bronzo o di marmo decorate coi simboli delle sue civili e militari virtù, e scritto vi fu sopra con pompa il titolo di terzo fondatore di Costantinopoli. Fu promosso al grado di Patrizio, che incominciava [p. 278 modifica]a significare in un senso popolare ed anche legale Padre dell’Imperatore, e l’ultimo anno del quarto secolo fu macchiato dal Consolato d’un Eunuco, e d’uno schiavo. Tale strano però ed inespiabil prodigio8 risvegliò i pregiudizi dei Romani. L’Occidente rigettò l’effemminato Console, come un’indelebile macchia per gli annali della Repubblica; e senza invocar le ombre di Bruto o di Camillo, il Collega d’Eutropio, colto e rispettabile Magistrato9, sufficientemente dimostrò le diverse massime delle due amministrazioni.

Sembra, che sull’audace e vigorosa mente di Ruffino agisse uno spirito più sanguinario e vendicativo; ma l’avarizia dall’Eunuco non era meno insaziabile di quella del Prefetto10. Finattantochè spogliò gli oppressori, i quali si erano arricchiti coi beni del Popolo, Eutropio potè soddisfare l’avida sua disposizione [p. 279 modifica]senza molta invidia o ingiustizia ma in progresso la sua rapacità presto invase le sostanze, che si erano acquistate per mezzo di legittima eredità o di lodevole industria. Si praticarono e si accrebbero i soliti metodi di estorsione, e Claudiano ha fatto una viva ed originale pittura della pubblica vendita dello Stato. „L’impotenza dell’Eunuco (dice il piacevol satirico) non è servita che a stimolare la sua avarizia: la stessa mano, che nel tempo della sua servitù s’esercitava in piccoli furti, ed in aprire gli scrigni del suo padrone, adesso rapisce le ricchezze del Mondo: e questo infame rivenditor dell’Impero vende e divide le Province Romane, dal monte Emo fino al Tigri. Uno, spogliandosi della sua villa, è fatto Proconsole dell’Asia, un altro compra la Siria con le gioie della sua moglie, ed un terzo si duole d’aver dato il suo patrimonio pel Governo della Bitinia. Nell’anticamera d’Eutropio si trova esposta alla pubblica vista una gran tabella, che dimostra i prezzi rispettivi delle Province. V’è accuratamente distinto il diverso valore del Ponto, della Galazia e della Lidia. Può aversi la Licia per tante migliaia di monete d’oro; ma l’opulenza della Frigia esigerà una somma più considerabile. L’Eunuco brama di cancellare la sua personale ignominia con una generale vergogna, e siccome è stato venduto egli, così desidera di vendere il resto del genere umano. Nell’ardente contesa, la bilancia che contiene il destino e le sostanze della Provincia, spesso trema sul pernio; e finattantochè uno dei bracci viene inclinato pel maggior peso, la mente dell’imparzial giudice resta in un’ansiosa sospen[p. 280 modifica]sione11.Questi (continuava lo sdegnato Poeta) sono i frutti del Romano valore, della disfatta d’Antioco, e del trionfo di Pompeo„. Questa venale prostituzione dei pubblici onori assicurava l’impunità dei futuri delitti; ma le ricchezze, che Eutropio traeva dalla confiscazione, erano già contaminate dall’ingiustizia, mentre era permesso accusare e condannare i proprietari dei beni, che egli era impaziente di confiscare. Fu sparso del sangue nobile per mano dell’esecutore; ed eran piene le più inospite estremità dell’Impero di esuli innocenti ed illustri. Fra i Generali e Consoli dell’Oriente, Abbondanzio12 avea ragion di temere i primi effetti dello sdegno d’Eutropio. Egli era reo dell’imperdonabil delitto d’aver introdotto quel vile schiavo nel palazzo di Costantinopoli: e bisogna concedere qualche sorta di lode ad un potente ed ingrato favorito, che si contenta della disgrazia del suo benefattore. Abbondanzio, per mezzo d’un rescritto Imperiale, fu spogliato de’ molti suoi beni, e bandito a Pitio sull’Eussino, ultima frontiera del Mondo Ro[p. 281 modifica]mano, ove sussistè per la precaria pietà dei Barbari, finattantochè non potè ottenere, dopo la caduta d’Eutropio, un esilio più dolce a Sidone nella Fenicia. La distruzione di Timasio13 richiedeva un metodo di attacco più serio e più regolare. Questo grande ufiziale, Generale degli eserciti di Teodosio, avea segnalato il suo valore con una decisiva vittoria, che ottenne contro i Goti della Tessaglia; ma egli era troppo inclinato, ad esempio del suo Sovrano, a godere del lusso nella pace, e ad abbandonarsi confidentemente a malvagi e intraprendenti adulatori. Timasio avea disprezzato la pubblica voce, promuovendo Bargo, infame suo dipendente, al comando d’una coorte; e meritò di provarne l’ingratitudine, essendo Bargo stato segretamente instigato dal favorito ad accusare il suo padrone d’una perfida cospirazione. Il Generale fu tratto avanti al Tribunale d’Arcadio medesimo; ed il principal Eunuco stava da un lato del trono, a suggerir le questioni e le risposte al suo Sovrano. Ma siccome questa forma di processo avrebbe potuto credersi parziale ed arbitraria, fu delegata l’ulteriore investigazione sul delitto di Timasio a Saturnino e a Procopio, il primo di grado consolare, e l’altro tuttavia rispettato come suocero dell’Imperator Valente. La brusca onestà di Procopio fece mantener [p. 282 modifica]l’apparenza d’una giusta e legal processura, ed egli cedè con ripugnanza all’ossequiosa destrezza del suo collega, che pronunciò una sentenza di condanna contro l’infelice Timasio: se ne confiscaron le immense ricchezze in nome dell’Imperatore ed a vantaggio del favorito, ed esso fu mandato in esilio perpetuo ad Oasi, luogo solitario nel mezzo degli arenosi deserti della Libia14. Separato da ogni umano consorzio, il Generale degli eserciti Romani fu perduto per sempre al Mondo; ma le circonstanze del suo destino si son raccontate in diverse e contradditorie maniere. Sì vuol far credere, che Eutropio mandasse un ordine privato per la segreta esecuzione di lui15. Fu detto che tentando di fuggire da Oasi, perì nel deserto di sete o di fame, e che fu trovato il suo cadavere fra le sabbie della Libia16. È stato asserito con più sicurezza che Siagrio suo figlio, dopo aver fortunatamente evitato le ricerche degli agenti ed emissari della Corte, raccolse una truppa di ladri Affricani, con cui trasse Timasio dal luogo del suo esilio; e che non si [p. 283 modifica]seppe più altro nè del padre nè del figlio17. Ma l’ingrato Bargo invece di poter godere il premio del suo delitto, fu subito dopo ingannato a distrutto dalla più potente malvagità del Ministro medesimo, che aveva senso e spirito a sufficienza per abborrir l’istrumento de’ propri misfatti.

[A.397] L’odio pubblico, e la disperazione de’ particolari continuamente minacciavano o pareva che minacciassero la personal salvezza d’Eutropio, non meno che dei numerosi aderenti, ch’erano attaccati alla sua fortuna e promossi dal venal suo favore. Immaginò dunque per la comune loro difesa la salvaguardia d’una legge, che violò qualunque principio d’umanità e di giustizia18. I. Fu ordinato in nome, e coll’autorità d’Arcadio, che tutti coloro che avessero cospirato coi sudditi o con gli stranieri contro la vita di alcuna di quelle persone, che l’Imperatore considerava come membra del suo proprio corpo, sarebbero puniti con la morte e con la confiscazione. Questa specie di fittizia e metaforica lesa Maestà si estese a proteggere non solo gl’illustri ufiziali dello Stato e dell’esercito, che erano ammessi nel sacro Concistoro, ma anche [p. 284 modifica]i principali domestici del Palazzo, i Senatori di Costantinopoli, i Comandanti militari, ed i Magistrati civili delle Province: indefinita ed incerta lista, che sotto i successori di Costantino includeva un’oscura e numerosa serie di subordinati ministri. II. Questo estremo rigore avrebbe forse potuto giustificarsi, se fosse stato solo diretto ad assicurare i rappresentanti del Sovrano da ogni effettiva violenza nell’esecuzione del loro ufizio. Ma tutto il corpo dei dipendenti Imperiali s’arrogò un privilegio o piuttosto un’impunità, che li mise al coperto, in ogni momento della lor vita, dal subitaneo, o forse giustificabile risentimento dei loro concittadini; e mediante una strana perversione di leggi applicossi ad una privata contesa il medesimo grado di colpa e di pena, che ad una deliberata cospirazione contro l’Imperatore e l’Impero. L’editto d’Arcadio con la massima precisione ed assurdità dichiara, che in tali casi di lesa Maestà si punirebbero con ugual severità i pensieri e le azioni; che la notizia d’una malvagia intenzione, qualora non fosse subito manifestata, diveniva ugualmente colpevole che l’intenzione medesima19, e che quei temerari, che avessero ardito di sollecitare il perdono dei traditori, sarebbero notati essi medesimi di pubblica e perpetua infamia. III. „Relativamente ai figli dei traditori (pro[p. 285 modifica]segue l’Imperatore) quantunque dovrebbero essi partecipare la pena dei loro genitori, giacchè probabilmente ne imiteranno la colpa, ciò non ostante, per uno speciale effetto della nostra Imperial clemenza, noi accordiamo loro la vita. Ma nel tempo stesso gli dichiariamo incapaci di esser eredi, tanto dal lato del padre che della madre, o di ricever alcun dono o legato dal testamento sì dei congiunti che degli estranei. Segnati con ereditaria infamia, esclusi dalla speranza di onori o di fortuna, si lascino in abbandono alle angustie della povertà e del disprezzo, in maniera che risguardin la vita come una calamità, e la morte come un conforto o sollievo„. Con tali parole, sì bene adattate ad insultare i sentimenti del genere umano, l’Imperatore, o piuttosto il suo favorito Eunuco applaudiva la moderazione d’una legge, che estendeva le medesime inumane ed ingiuste pene ai figli di tutti quelli, che avevano secondato, o che non avevano scoperto quelle fittizie cospirazioni. Si è tollerato che vadano in dimenticanza varie delle più nobili regole della Giurisprudenza Romana; ma questo editto, utile e potente macchina della ministerial tirannia, fu premurosamente inserito nei codici Teodosiano e Giustiniano, e nei tempi moderni si son risuscitate le stesse massime a proteggere gli Elettori della Germania, ed i Cardinali della Chiesa di Roma20.

[A. 399] Ma queste sanguinarie leggi, che sparsero il terrore in un disarmato e scoraggito Popolo, erano di troppo [p. 286 modifica]debole tessitura per frenare l’audace impresa di Tribigildo Ostrogoto21. La colonia di quella guerriera nazione, che era stata posta da Teodosio in uno dei più fertili distretti della Frigia22, paragonava con impazienza i lenti prodotti della laboriosa agricoltura con la fortunata rapacità, ed i larghi premj d’Alarico; ed il loro Capo risentì, come un personale affronto, la mala accoglienza che ricevè nel palazzo di Costantinopoli. Una molle e ricca Provincia nel cuor dell’Impero restò sorpresa dal suon della guerra; ed il fedele vassallo, che era stato disprezzato ed oppresso, fu nuovamente rispettato, quando riprese l’ostil carattere di Barbaro. Le vigne ed i fertili campi, fra il rapido Mursia ed il tortuoso Meandro23, furono consumati dal fuoco; le cadenti mura delle città ro[p. 287 modifica]al primo attacco nemico; i tremanti abitatori fuggirono da un sanguinoso macello alle rive dell’Ellesponto; ed una considerabil parte dell’Asia Minore fu desolata dalla ribellione di Tribigildo. Il rapido suo progresso fu impedito dalla resistenza de’ contadini di Panfilia; e gli Ostrogoti, attaccati in un angusto passo fra la città di Selge24, un profondo pantano, e le scoscese alture del monte Tauro, furon disfatti con la perdita delle loro truppe più prodi. Ma lo spirito del loro Capo non fu domato dalla disgrazia, ed il suo esercito veniva continuamente accresciuto da sciami di Barbari, e di banditi, che desideravano esercitare la professione della ruberia sotto i più onorevoli nomi di guerra e di conquista. I romori del buon successo di Tribigildo poterono per qualche tempo sopprimersi dal timore, o mascherarsi dall’adulazione; ma appoco appoco posero in agitazione la Corte e la Capitale. Ogni disgrazia veniva esagerata con oscuri e dubbiosi cenni, ed i futuri disegni de’ ribelli divennero il soggetto di ansiose congetture. Ogni volta che Tribigildo avanzavasi verso l’interno del paese, i Romani erano inclinati a supporre, ch’ei meditasse di passare il monte Tauro, e d’invader la Siria. Se discendeva verso il mare, attribuivano, e forse anche suggerivano al Capitano Gotico il più pericoloso progetto d’armare una flotta ne’ porti della Jonia e di estendere le sue devastazioni lungo le coste marittime, dalla bocca del Nilo fino al porto di Costantinopoli. [p. 288 modifica]L’avvicinamento del pericolo, e l’ostinazione di Tribigildo, che ricusava ogni termine di accomodamento, costrinsero Eutropio a convocare un consiglio di guerra25. Dopo d’aver attribuito a se stesso il privilegio di veterano soldato, l’Eunuco affidò la difesa della Tracia e dell’Ellesponto al Goto Gaina, ed il comando dell’esercito Asiatico a Leone suo favorito: due Generali, che per diverse strade promossero efficacemente la causa dei ribelli. Leone26 che per la grandezza del corpo e la grossezza dello spirito era soprannominato l’Aiace dell’Oriente, aveva lasciato la primitiva sua professione di cardator di lana, per esercitare con molto minore abilità e successo la milizia; e le incerte sue operazioni erano capricciosamente immaginate ed eseguite, ignorando egli le vere difficoltà, e timidamente tralasciando di profittare di qualunque favorevole occasione. La temerità degli Ostrogoti gli avea tratti in un posto svantaggioso tra’ fiumi Mela ed Eurimedonte, dov’essi erano quasi assediati dai contadini della Panfilia: ma l’arrivo d’un esercito Imperiale, invece di ultimarne la distruzione, somministrò loro i mezzi di salvarsi e di vincere. Tribigildo sor[p. 289 modifica]prese il campo non guardato dei Romani nell’oscurità della notte; sedusse la fede della maggior parte degli ausiliari Barbari e dissipò senza grande sforzo le truppe, che si eran corrotte pel rilassamento della disciplina, ed il lusso della Capitale. Il mal talento di Gaina, che aveva sì arditamente architettata ed eseguita la morte di Ruffino, era esacerbato dalla fortuna dell’indegno successore di lui; egli accusava la propria disonorevol pazienza sotto il servil dominio d’un Eunuco; e l’ambizioso Goto era convinto, almeno nella pubblica opinione, di fomentare in segreto la rivoluzione di Tribigildo, col quale era congiunto mediante un vincolo domestico non meno che nazionale27. Quando Gaina passò l’Ellesponto per unire sotto le sue bandiere il restante delle truppe Asiatiche, adattò con arte i suoi movimenti alle brame degli Ostrogoti, abbandonando con la sua ritirata il paese, che essi desideravan d’invadere, o facilitando, coll’avvicinarsi, la diserzione dei Barbari ausiliari. Alla Corte Imperiale magnificò più volte il valore, il genio, e gli inesauribili mezzi di Tribigildo, confessò la propria incapacità di proseguire la guerra; ed estorse la permissione d’entrare in trattato coll’invincibile suo avversario. Le condizioni della pace furon dettate dall’orgoglioso ribelle; e la perentoria domanda della testa d’Eutropio manifestò l’autore, ed il disegno di questa ostile cospirazione.

[A.399] L’audace Satirico, che ha contentato il suo malo [p. 290 modifica]umore con la parziale ed appassionata censura degli Imperatori Cristiani, offende la dignità piuttosto che la verità dell’Istoria con paragonare il figlio di Teodosio ad uno di quei semplici ed innocenti animali, che appena sentono che sono in proprietà del loro pastore. Due passioni però, vale a dire il timore e l’amor coniugale, svegliarono il languido spirito d’Arcadio; ei fu spaventato dalle minacce del vittorioso Barbaro, e cedè alla tenera eloquenza d’Eudossia sua moglie, che con un diluvio di artificiose lacrime, presentando al padre i suoi piccoli figli, ne implorò la giustizia per un vero o immaginario insulto, che essa imputò all’ardito Eunuco28. Fu diretta la mano dell’Imperatore a segnare la condanna d’Eutropio; ad un tratto si sciolse il magico incanto, che per quattro anni aveva affascinato il Principe ed il Popolo; e le acclamazioni, che sì poco avanti avevano applaudito il merito e la fortuna del favorito, si convertirono ne’ clamori dei soldati e del Popolo, che gli rimproveravano i suoi delitti, e ne sollecitavano l’immediata esecuzione. In quell’ora d’angustia e di disperazione, l’unico suo rifugio fu il santuario della Chiesa, i privilegi della quale egli aveva saggiamente o profanamente procurato di limitare; ed il più eloquente de’ Santi, Giovanni Grisostomo, godè il trionfo di proteggere un prostrato Ministro, la scelta del quale avealo innalzato alla sede Ecclesiastica di Costantinopoli. Salito l’Arcivescovo sul pulpito della Cattedrale per es[p. 291 modifica]ser distintamente veduto ed udito da un’innumerabile folla di ambidue i sessi, e d’ogni età, pronunciò un patetico ed opportuno discorso sopra il perdono delle ingiurie e l’instabilità dell’umana grandezza. Le agonie di quel pallido e spaurito meschino, che stava incurvato sotto la mensa dell’altare, presentavano un solenne ed istruttivo spettacolo; e l’oratore, che di poi fu accusato d’insultare alle disgrazie d’Eutropio, cercava d’eccitare il disprezzo per poter ammollire il furore del Popolo29. Prevalse la forza dell’umanità, e dell’eloquenza. L’Imperatrice Eudossia si astenne o per i propri principj o per quei dei suoi sudditi dal violare il santuario della Chiesa; ed Eutropio fu tentato a capitolare dalle arti più dolci della persuasione e da un giuramento, che gli si sarebbe risparmiata la vita30. I nuovi Ministri dei palazzo, non curando [p. 292 modifica]la dignità del loro Sovrano, pubblicarono immediatamente un editto per dichiarare, che il passato suo favorito avea disonorato i nomi di Console e di Patrizio, per abolir le sue statue, confiscare le sue ricchezze, e condannarlo ad un perpetuo esilio nell’isola di Cipro31. Un disprezzabil e decrepito Eunuco non poteva più eccitare i timori dei suoi nemici; nè era esso capace di goder quel che tuttavia gli restava, il conforto cioè della pace, della solitudine e d’un buon clima. Ma la loro implacabil vendetta gl’invidiò fino gli ultimi momenti d’una miserabile vita; ed Eutropio non ebbe appena toccato i lidi di Cipro, che fu precipitosamente richiamato. La vana speranza d’eludere, mediante la mutazione del luogo, l’obbligo del giuramento impegnò l’Imperatrice a trasferire la scena del suo processo e supplizio da Costantinopoli al vicino sobborgo di Calcedonia. Il Console Aureliano pronunziò la sentenza; ed i motivi di essa dimostrano la giurisprudenza d’un Governo dispotico. I delitti che Eutropio avea commesso contro il Popolo, avrebber potuto giustificar la sua morte; ma egli fu dichiarato reo d’aver posto al suo cocchio i sacri animali, che per la lor razza o colore erano riserbati all’uso del solo Imperatore32.

[A. 400] Mentre si eseguiva questa domestica rivoluzione, [p. 293 modifica]Gaina33 si ribellò apertamente, congiunse le sue forze, a Tiatira nella Lidia, con quelle di Tribigildo, e sempre mantenne il suo superiore ascendente sopra il Capo ribelle degli Ostrogoti. Le armate riunite s’avanzarono senza resistenza fino allo stretto dell’Ellesponto e del Bosforo; ed Arcadio fu costretto ad impedire la perdita dei suoi Stati dell’Asia con rimettere la propria persona ed autorità alla fede dei Barbari. Fu scelta la Chiesa della Santa Martire Eufemia, situata sopra un’alta eminenza vicino a Calcedonia34, per luogo del congresso. Gaina piegossi riverentemente ai piedi dell’Imperatore, nel tempo che esigeva il sacrifizio d’Aureliano e di Saturnino, due Ministri di grado consolare; ed i nudi lor colli furono esposti dal superbo ribelle al filo della spada: ma poi condiscese ad accordar loro una precaria e disonorevole grazia. I Goti, secondo i termini dell’accordo, furono trasportati subito dall’Asia in Europa; ed il vittorioso lor Capo, che accettò il titolo di Generale degli eserciti Romani, riempì tosto Costantinopoli delle sue truppe, e distribuì trai suoi dipendenti gli onori ed i premj dell’Impero. Gaina nella sua prima gioventù avea passato il Danubio, come supplichevole e fug[p. 294 modifica]gitivo: il suo innalzamento era stato opera del valore e della fortuna; e l’indiscreta o perfida sua condotta fu la causa della sua pronta caduta. Nonostante la vigorosa opposizione dell’Arcivescovo egli importunamente chiese pe’ suoi Arriani settari il possesso d’una Chiesa particolare; e l’orgoglio de’ Cattolici fu offeso dalla pubblica tolleranza dell’eresia35. Ogni quartiere di Costantinopoli era pieno di tumulto, e di disordine; ed i Barbari guardavano con tale ardore le ricche botteghe de’ gioiellieri, e le tavole dei banchieri, le quali eran coperte d’oro o d’argento, che fu stimata cosa prudente il rimuovere dalla vista loro quelle pericolose tentazioni. Si accorsero essi di tale ingiuriosa cautela, ed in tempo di notte fecero de’ rumorosi tentativi per attaccare e distrugger col fuoco il palazzo Imperiale36. In tale stato di vicendevole e sospettosa ostilità, le guardie ed il Popolo di Costantinopoli chiuser le porte, e presero le armi per impedire o per punir la cospirazione dei Goti. Nell’assenza di Guina, le sue truppe furon sorprese ed oppresse; e settemila Barbari perirono in quel sanguinoso macello. Nel furor della mischia i Cattolici scoprirono il tetto, e continuarono a gettar giù dei legni infuo[p. 295 modifica]cati, finattantochè non ebbero distrutti i loro avversari, che si erano ritirati alla Chiesa, o conventicola degli Arriani. Gaina o non era consapevole di tal disegno, o troppo confidava nella sua fortuna: egli restò sorpreso alla notizia, che il fiore del suo esercito era stato senza gloria distrutto; che egli stesso era dichiarato nemico pubblico; e che Fravitta, suo nazionale, bravo e fedele confederato, avea preso il maneggio della guerra per terra e per mare. Le imprese del ribelle contro le città della Tracia, incontrarono una costante e ben ordinata difesa: i soldati di lui furon tosto ridotti a cibarsi dell’erba che nasceva sul margine delle fortificazioni; e Gaina, che vanamente sospirava la ricchezza ed il lusso dell’Asia, prese la disperata risoluzione di forzare il passaggio dell’Ellesponto. Era privo di vascelli; ma gli alberi del Chersoneso somministrarono i materiali per far delle zattere, e gl’intrepidi suoi Barbari non ricusarono di affidarsi a’ flutti del mare. Fravitta però attentamente osservava il progresso della loro impresa. Appena erano essi giunti alla metà del corso, che le galere Romane37, spinte dalla piena forza dei remi, della corrente, [p. 296 modifica]e di un vento favorevole, uscirono fuori strette in buon ordine e con irresistibil vigore; e l’Ellesponto restò coperto dai frammenti del Gotico naufragio. Dopo la distruzione delle sue speranze, e la perdita di molte migliaia dei suoi più bravi soldati, Gaina, che non poteva più aspirare a governare e a soggiogare i Romani, si determinò a riassumer l’indipendenza d’una vita selvaggia. Un leggiero ed attivo corpo di cavalleria Barbara, senza il peso dell’infanteria e del bagaglio, potea fare in otto o in dicci giorni una marcia di trecento miglia dall’Ellesponto al Danubio38; le guarnigioni di quell’importante frontiera appoco appoco erano state ridotte a niente, il fiume nel mese di Decembre doveva esser fortemente gelato; ed aprivasi all’ambizion di Gaina l’illimitato prospetto della Scizia. Fu segretamente comunicato questo disegno alle truppe nazionali, che abbracciarono la fortuna del lor Capitano; ed avanti che si desse il segno della partenza fu perfidamente ucciso un gran numero di ausiliari provinciali, di cui sospettava l’affetto al nativo loro paese. I Goti si avanzarono con rapide marce per le pianure della Tracia; e presto si trovaron liberi dal timore d’esser inseguiti per la vanità di Fravitta, che invece di finir la guerra, s’affrettò a godere l’applauso del Popolo, ed a ricevere i pacifici onori del Consolato. Ma comparve in armi un formidabile alleato a vendicar la maestà dell’Impero, ed a guar[p. 297 modifica]la pace e la libertà della Scizia39. Le superiori forze d’Uldino Re degli Unni s’opposero al progresso di Gaina; un nemico e rovinato paese impedì la sua ritirata; egli sdegnò di capitolare; e dopo d’aver più volte tentato di farsi strada per le file dei nemici, restò ucciso, co’ suoi disperati seguaci, nel campo di battaglia. Undici giorni dopo la vittoria navale dell’Ellesponto, fu ricevuta a Costantinopoli con le più liberali espressioni di gratitudine la testa di Gaina, inestimabile dono del vincitore; e la liberazione pubblica si celebrò con illuminazioni e con feste. I trionfi di Arcadio divennero il soggetto di poemi epici40; ed il Monarca, non essendo più oppresso da ostili terrori, si abbandonò al dolce ed assoluto dominio della sua moglie, la bella ed artificiosa Eudossia, che ha macchiato la sua fama con la persecuzione di S. Gio. Grisostomo.

[A.397] Dopo la morte dell’indolente Nettario, successore di Gregorio Nazianzeno, la Chiesa di Costantinopoli era divisa dall’ambizione di più rivali candidati, che [p. 298 modifica]non si vergognavano di sollecitare coll’adulazione e coll’oro il suffragio del Popolo o del favorito. In quest’occasione sembra, che Eutropio deviasse dalle ordinarie sue massime, e l’incorrotto giudizio di lui si determinò solo dal preminente merito d’uno straniero. In un viaggio, che di fresco avea fatto in Oriente, esso aveva ammirato i discorsi di Giovanni, nativo e Prete d’Antiochia, il nome del quale si è distinto coll’epiteto di Grisostomo o Bocca d’oro41. Fu spedito un ordine segreto al Governator della Siria; e poichè il Popolo non avrebbe voluto lasciar partire il suo favorito Predicatore, fu trasportato velocemente e con segretezza in un cocchio di posta da Antiochia a Costantinopoli. L’unanime non sollecitato consenso della Corte, del Clero e del Popolo confermò la scelta [p. 299 modifica]del Ministro; e sì come Santo che come oratore il nuovo Arcivescovo sorpassò l’ardente aspettazione del pubblico. Il Grisostomo, nato da una nobile ed opulenta famiglia nella Capitale della Siria, era stato educato per la cura d’una tenera madre sotto la direzione dei più abili maestri. Ei studiò l’arte della rettorica nella scuola di Libanio; e quel celebre Sofista, che presto scoprì i talenti del suo discepolo, confessò ingenuamente, che Giovanni avrebbe meritato di succedergli, se non fosse stato portato via dai Cristiani. La sua pietà lo dispose ben tosto a ricevere il sacramento del Battesimo; a rinunziare alla lucrosa ed onorevole profession della legge; ed a sepellirsi nel vicino deserto, dove depresse le cupidità della carne per mezzo d’un’austera penitenza di sei anni. Le sue infermità lo costrinsero a tornare al consorzio degli uomini; e l’autorità di Melezio fece consacrare i suoi talenti al servizio della Chiesa; ma in mezzo alla sua famiglia, e di poi sulla sede Archiepiscopale, Grisostomo perseverò sempre nella pratica delle virtù monastiche. Applicò diligentemente a stabilire ospedali quelle ampie rendite, che i suoi predecessori avean consumato in pompa ed in lusso; e la moltitudine, che era sostenuta dalla sua carità, preferiva gli eloquenti ed edificanti discorsi del proprio Arcivescovo ai divertimenti del Teatro o del Circo. Si sono premurosamente conservati i monumenti di quella eloquenza, che quasi per venti anni fu ammirata in Antiochia e in Costantinopoli; ed il possesso di quasi mille sermoni o omilie ha autorizzato i critici42 de’ posteriori tempi ad [p. 300 modifica]apprezzare il genuino merto del Grisostomo. Essi concordemente attribuiscono all’oratore Cristiano il libero possesso d’una lingua elegante e copiosa; il giudizio di celare i vantaggi, che traeava dalla cognizione della Rettorica e della Filosofia; un fondo inesausto di metafore e similitudini, d’immagini e d’idee per variare ed illustrare i topici più famigliari; la felice arte di impegnar le passioni in servizio della virtù, e d’esporre la follia non meno che la bruttezza del vizio quasi con la verità e lo spirito d’una drammatica rappresentazione.

Le pastorali fatiche dell’Arcivescovo di Costantinopoli provocarono, ed appoco appoco riunirono contro di esso due sorte di nemici: vale a dire il Clero ambizioso, che ne invidiava il frutto, e gli ostinati peccatori, che eran offesi da suoi rimproveri. Quando il Grisostomo, dal pulpito di S. Sofia, fulminava contro la degenerazione dei Cristiani, i suoi dardi cadevano sulla moltitudine senza ferire e neppur notare il carattere d’alcuno individuo. Quando ei declamava contro i vizi particolari del ricco, la povertà potea trarre una passeggiera consolazione dalle sue invettive: ma il colpevole sempre si nascondeva nel numero dei compagni; ed il rimprovero stesso era innalzato da certe idee di superiorità e di godimento. Ma a misura che la piramide progrediva verso la sommità, insensibilmente diminuiva, accostandosi a un punto, ed [p. 301 modifica]i Magistrati, i Ministri, gli Eunuchi favoriti, le dame della Corte43, l’istessa Imperatrice Eudosia avevano da dividere una molto maggior parte di colpa fra un minor numero di rei. Le personali applicazioni della udienza venivano anticipate o confermate dalla testimonianza della lor propria coscienza; e l’intrepido predicatore assumeva il pericoloso diritto d’esporre tanto la colpa quanto chi la commetteva, alla pubblica esecrazione. Il segreto risentimento della Corte incoraggiò il malcontento del Clero e dei Monaci di Costantinopoli, che si crederono con troppa fretta riformati dal fervente zelo del loro Arcivescovo. Aveva egli condannato dal pulpito le donne domestiche del Clero di Costantinopoli, che sotto il nome di serve o di sorelle davano una perpetua occasione di peccato o di scandalo. I taciti e solitari Ascetici, che si eran separati dal Mondo, avevan diritto alla più forte approvazion del Grisostomo; ma esso disprezzava e notava come un disonore della santa lor professione quella folla di traviati Monaci, che per qualche indegno motivo di piacere o di lucro sì spesso infestavan le strade della Capitale. Alla voce della persuasione, l’Arcivescovo fu costretto ad aggiungere i terrori dell’au[p. 302 modifica]torità, ed il suo ardore nell’esercizio dell’Ecclesiastica giurisdizione non andò sempre esente da passione, nè fu guidato dalla prudenza ogni volta. Il Grisostomo era naturalmente d’un temperamento collerico44. Quantunque si studiasse, a norma dei precetti Evangelici, d’amare i suoi privati nemici, egli si estendeva nel privilegio d’odiare i nemici di Dio, e della Chiesa; ed i suoi sentimenti venivano talvolta esposti con troppa energia di espressioni e di portamento. Egli mantenne sempre, per qualche considerazione di salute o d’astinenza, l’antico suo costume di prender cibo da solo; e tale inospita consuetudine45, che i suoi nemici attribuivano ad orgoglio, almeno contribuiva a nutrire la malattia d’un moroso ed insociabile umore. Separato da quel famigliar commercio, che facilita la cognizione e la spedizione degli affari, si riposava con intiera fiducia nel suo diacono Serapione, e rare volte applicava la speculativa sua cognizione della natura umana a’ particolari caratteri o dei suoi dipendenti o [p. 303 modifica]de’ suoi eguali. Conoscendo la purità delle proprie intenzioni, e forse la superiorità del suo genio, l’Arcivescovo di Costantinopoli estese la giurisdizione della città Imperiale, per poter ampliare la sfera delle pastorali sue cure, e la condotta, che il profano attribuiva ad un ambizioso motivo, comparve allo stesso Grisostomo nell’aspetto d’un sacro ed indispensabil dovere. Nella visita, che fece per le province Asiatiche, depose tredici Vescovi della Lidia e della Frigia; e dichiarò indiscretamente che tutto l’ordine Episcopale era infettato da una profonda corruzione di simonia e di licenziosità46. Se que’ Vescovi erano innocenti, tal temeraria ed ingiusta condanna doveva eccitare un ben fondato disgusto. Se poi erano rei, i numerosi compagni del lor delitto dovevan tosto conoscere, che la propria loro salvezza dipendeva dalla rovina dell’Arcivescovo, che procurarono di rappresentare come il tiranno delle Chiese orientali.

Questa ecclesiastica cospirazione fu maneggiata da Teofilo47 Arcivescovo d’Alessandria, attivo ed ambizioso Prelato, che impiegava i frutti della rapina in monumenti d’ostentazione. Il nazional suo contraggenio verso la nascente grandezza d’una città, che lo faceva retrocedere dal secondo al terzo grado nel Mondo Cristiano, era inasprito da qualche disputa personale col Grisostomo stesso48. Per un segreto invito [p. 304 modifica]dell’Imperatrice, Teofilo sbarcò a Costantinopoli con un forte corpo di marinari Egiziani, per far fronte alla plebaglia; e con un seguito di Vescovi, suoi dipendenti, per assicurarsi coi loro voti il maggior partito di un Sinodo. Questo49 fu convocato nel sobborgo di Calcedonia chiamato la Quercia, dove Ruffino aveva eretto una splendida chiesa e un monastero, e gli atti del medesimo Sinodo si continuarono per quattordici giorni o sessioni. Un Vescovo ed un Diacono accusarono l’Arcivescovo di Costantinopoli; ma la frivola o improbabil natura dei quarantasette articoli, che presentaron contro di lui, si può giustamente considerare come un bel panegirico, superiore ad ogni eccezione. Quattro successive citazioni furono intimate al Grisostomo; ma egli sempre ricusò d’affidare la propria persona o riputazione alle mani degl’implacabili suoi nemici, che prudentemente evitando l’esame di ogni particolare accusa, condannarono la sua contumace disubbidienza, e precipitosamente pronunziarono una sentenza di deposizione contro di lui. Il Concilio della Quercia immediatamente s’indirizzò all’ [p. 305 modifica]Imperatore, perchè ne ratificasse ed eseguisse il giudizio, ed insinuò caritatevolmente, che poteva sottoporsi alla pena di lesa Maestà l’audace predicatore, che aveva ingiuriato, sotto il nome di Gezabella, l’Imperatrice Eudossia medesima. L’Arcivescovo fu duramente arrestato, e condotto per la città da uno degl’Imperiali messaggi, che dopo una breve navigazione lo fece sbarcare vicino all’ingresso dell’Eussino; di dove, prima che spirasser due giorni, gloriosamente fu richiamato.

Il primo stupore del fedele suo Popolo l’avea reso muto e passivo; ad un tratto però sollevossi con unanime ed irresistibil furore. Teofilo potè fuggire; ma la promiscua folla di monaci e di marinari Egiziani fu senza pietà trucidata nelle strade di Costantinopoli50. Un opportuno terremoto giustificò l’interposizione del Cielo; il torrente della sedizione correva verso le porte del palazzo; e l’Imperatrice, agitata dal timore o dal rimorso, gettossi ai piedi d’Arcadio, e confessò, che la pubblica salvezza dipendeva dal richiamo del Grisostomo. Il Bosforo era coperto d’innumerabili barche, le rive dell’Europa e dell’Asia erano illuminate con profusione, e le acclamazioni di [p. 306 modifica]un vittorioso popolo accompagnarono, dal porto alla Cattedrale, il trionfo dell’Arcivescovo, che troppo facilmente acconsenti a riprender l’esercizio delle sue funzioni, prima che la sentenza pronunziala contro di lui, legittimamente si revocasse dall’autorità d’un Ecclesiastico Sinodo. Il Grisostomo, non sapendo o non curando l’imminente pericolo, secondò il suo zelo, e forse il suo risentimento, declamò con particolare asprezza contro i vizi delle donne, e condannò i profani onori, che si rendevano, quasi nel recinto di S. Sofia, alla statua dell’Imperadrice. Tal imprudenza tentò i suoi nemici ad infiammare l’altiero spirito di Eudossia con riferire, o forse inventare questo famoso esordio d’un discorso: „Erodiade è di nuovo furiosa. Erodiade nuovamente balla., essa un’altra volta richiede il capo di Giovanni„: insolente allusione che era impossibile che essa e come Donna e come Sovrana mai perdonasse51. Fu impiegato il breve intervallo d’una perfida tregua a concertare più efficaci misure per la disgrazia e la rovina dell’Arcivescovo. Un numeroso Concilio di Prelati orientali, che eran guidati in distanza dal parer di Teofilo, confermò la validità senza esaminar la giustizia della prima sentenza, e fu introdotto nella città un distaccamento di truppe Barbare per sopprimere le commozioni del Popolo. Nella vigilia di Pasqua fu tumultuosamente interrotta la solenne amministrazion del Battesimo da’ soldati, che sbi[p. 307 modifica]gottirono la modestia dei nudi catecumeni, e violarono con la loro presenza i tremendi misteri del Culto Cristiano. Arsacio occupò la Chiesa di S. Sofia, e la sede Archiepiscopale. I Cattolici si ritirarono a’ Bagni di Costantino, e di poi alla campagna; dove furono sempre inseguiti ed insultati dalle guardie, dai Vescovi, e dai Magistrati. Il fatal giorno del secondo ed ultimo esilio del Grisostomo fu contrassegnato dall’incendio della Cattedrale, del Senato, e delle vicine fabbriche; e tal calamità fu attribuita senza prove, ma non senza probabilità, alla disperazione d’un perseguitato partito52.

[A. 404] Cicerone potè pretendere qualche merito, se il volontario suo esilio conservò la pace della Repubblica53; ma la sommission del Grisostomo, era l’indispensabil dovere di un Cristiano e di un suddito. Invece d’esaudire l’umile sua preghiera di poter restare a Cizico o a Nicomedia, l’inflessibile Imperatrice gli assegnò la remota e desolata città di Cucuso, fra le cime del Monte Tauro, nell’Armenia minore. Si aveva una segreta speranza, che l’Arcivescovo potesse perire in una difficile e pericolosa marcia di settanta giorni nel caldo della state per le Province dell’Asia minore, dov’era continuamente minacciato dagli ostili attacchi degl’Isauri, e dal più implacabil furore dei Monaci. Pure il Grisostomo arrivò salvo al luogo del suo confino, ed i tre anni, che visse a Cucuso e nella [p. 308 modifica]vicina città d’Arabisso, furono gli ultimi ed i più gloriosi della sua vita. Il suo carattere fu consacrato dall’assenza e dalla persecuzione, non si rammentarono più i difetti della sua amministrazione, ma ogni lingua ripeteva le lodi della virtù e dell’ingegno di esso: e la rispettosa attenzione del Mondo Cristiano era diretta verso un luogo deserto fra le montagne del Tauro. Da quella solitudine, l’Arcivescovo, il cui attivo spirito era invigorito dalle disgrazie, manteneva una stretta e frequente corrispondenza54 con le più distanti Province, esortava la separata congregazione dei suoi fedeli aderenti a perseverare nella loro fedeltà: sollecitava la distruzione de’ Tempj nella Fenicia e l’estirpazione dell’eresia nell’Isola di Cipro; estendeva la pastorale sua cura alle missioni della Persia e della Scizia; negoziava, per mezzo de’ suoi Ambasciatori, col Pontefice Romano e coll’Imperatore Onorio; ed arditamente appellava da un Sinodo parziale al supremo tribunale d’un libero e generale Concilio. Era sempre indipendente lo spirito dell’illustre esule: ma il suo corpo in ischiavitù era esposto alla vendetta degli oppressori, che continuavano ad abusare del nome e dell’autorità d’Arcadio55. Fu spedito un ordine per [p. 309 modifica]l’immediata remozione del Grisostomo da quel luogo all’estremo deserto di Pitio; e le sue guardie sì fedelmente obbedirono alle lor crudeli istruzioni, che prima ch’ei giugnesse alle coste dell’Eussino, spirò a Comana nel Ponto, nel sessantesimo anno della sua età. La seguente generazione riconobbe la sua innocenza e il suo merito. Gli Arcivescovi Orientali, che dovevano arrossire, che i loro predecessori fossero stati nemici del Grisostomo, furono appoco appoco disposti dalla fermezza del Pontefice Romano a restituire gli onori a quel venerabil nome56. Le sue reliquie per le pie istanze del Clero e del Popolo di Costantinopoli, trent’anni dopo la sua morte, furono trasportate dall’oscuro loro sepolcro alla Città Reale57. L’Imperator Teodosio andò loro incontro fino a Calcedonia; e [p. 310 modifica]gettatosi prostrato sopra la cassa, implorò dall’ingiuriato Santo in nome de’ colpevoli suoi genitori, Arcadio ed Eudossia, il perdono58.

Si potrebbe però aver qualche ragionevole dubbio, se alcuna macchia di colpa ereditaria fosse passata da Arcadio nel suo successore. Eudossia era una donna giovane e bella, che secondava le sue passioni, e disprezzava il marito. Il Conte Giovanni godeva, almeno, la famigliar confidenza dell’Imperatrice, ed il pubblico lo risguardava come il vero padre di Teodosio il Giovane59. Ciò non ostante, la nascita d’un figlio fu accettata dal pio marito, come un successo il più fortunato ed onorevole per se stesso, per la sua famiglia, e pel Mondo Orientale; ed il Reale Infante, con una distinzione senza precedent’esempio, fu investito dei titoli di Cesare e d’Augusto. In meno di quattro anni dopo, Eudossia, nel fiore della gioventù, perì per le conseguenze d’una cattiva condotta; e questa intempestiva morte sconcertò la profezia di un Santo Vescovo, il quale in mezzo all’universal gioia, [p. 311 modifica]s’era avventurato a predire ch’ell’avrebbe veduto il lungo e favorito regno del glorioso suo figlio60.

I Cattolici applaudirono la giustizia del cielo, che vendicò la persecuzione del Santo Grisostomo; e forse l’Imperatore fu il solo che sinceramente pianse la perdita dell’orgogliosa e rapace Eudossia. Tal domestica disgrazia l’afflisse più profondamente, che le pubbliche calamità dell’Oriente61; che le licenziose scorrerie de’ predatori Isauri dal Ponto alla Palestina, l’impunità de’ quali dimostrava la debolezza del Governo; e che i terremoti, gl’incendi, la carestia e gli sciami di locuste62, cui la popolare malcontentezza era ugualmente disposta ad attribuire all’incapacità del Monarca. Finalmente nel trentesimo primo anno della sua età, dopo un regno (se ci è permesso d’abusar di tal nome) di tredici anni, tre mesi, e quindici giorni, Arcadio spirò nel palazzo di Costantinopoli. Egli è impossibile descrivere il suo carattere; mentre in un tempo molto abbondante d’Istorici materiali non è stato possibile di notare un’azione, che propriamente appartenga al figlio del Gran Teodosio. [p. 312 modifica]

L’istorico Procopio63 in vero ha illuminato la mente dello spirante Imperatore con un raggio d’umana prudenza, o di saviezza celeste. Arcadio riflettè con sollecita previdenza all’infelice stato del suo figlio Teodosio, che non aveva più di sette anni; alle pericolose fazioni d’una minorità; allo spirito intraprendente di Jesdegerde Re della Persia. Invece di tentare la fedeltà d’un ambizioso suddito con la partecipazione del supremo potere, arditamente affidossi alla magnanimità d’un Re; e pose, per mezzo d’un solenne testamento, lo scettro dell’Oriente nelle mani di Jesdegerde medesimo. Il real Tutore accettò e corrispose a tal onorevole fiducia con una fedeltà senza esempio; e l’infanzia di Teodosio fu protetta dalle armi e dai consigli della Persia. Questo è il singolar racconto di Procopio; ed Agatia64 non pone in dubbio la sua veracità; mentre osa dissentire dal suo giudizio, ed accusar la saviezza d’un Imperatore cristiano, che sì temerariamente, quantunque con tal fortuna, affidò il proprio figlio ed i suoi Stati alla non conosciuta fede d’uno straniero, d’un rivale e d’un pagano. Alla distanza di cento cinquant’anni potè agitarsi questa politica questione nella Corte di Giustiniano; ma un prudente Istorico ricuserà d’esaminare la convenienza del Testamento d’Arcadio, finattantochè non ne sia as[p. 313 modifica]sicurata la verità. Siccome questo è senza esempio nell’istoria del Mondo, possiamo giustamente esigere, che sia provato con la positiva e concorde testimonianza de’ contemporanei. La stravagante novità del fatto, ch’eccita la nostra diffidenza, avrebbe dovuto invitarli a farne menzione; e l’universale silenzio loro distrugge la vana tradizione de’ secoli seguenti.

[A. 408-415] Se le regole della Giurisprudenza Romana si potessero propriamente dal patrimonio privato trasferire al dominio pubblico, esse avrebbero attribuito all’Imperatore Onorio la tutela del suo nipote, finattantochè almeno esso non fosse giunto all’età di quattordici anni. Ma la debolezza d’Onorio, e le calamità del suo Regno lo rendevano incapace di sostenere questo suo natural diritto; ed era tale l’assoluta separazione delle due monarchie, tanto nell’interesse quanto nell’affetto, che Costantinopoli avrebbe con minor ripugnanza obbedito agli ordini della Corte Persiana, che a quelli della Corte d’Italia. Sotto un principe, la debolezza del quale è coperta dagli esterni segni di virilità e di discrezione, i più indegni favoriti possono segretamente contendersi l’impero del palazzo, e dettare alle sottomesse Province gli ordini d’un padrone, ch’essi dirigono e disprezzano. Ma i Ministri d’un fanciullo, ch’è incapace d’armarli con la forza del nome reale, debbono acquistare ed esercitare un’autorità indipendente. Gli Uficiali maggiori dello Stato e della milizia, ch’erano stati eletti avanti la morte d’Arcadio, formavano un’aristocrazia, che avrebbe potuto inspirar loro l’idea d’una libera repubblica; ed il governo dell’Impero Orientale fu per fortuna preso dal Prefetto Antemio65, che ottenne per la grande sua abilità un [p. 314 modifica]durevole ascendente sugli animi de’ suoi uguali. La salute del giovane Imperatore dimostrò il merito e l’integrità d’Antemio; e la sua prudente fermezza sostenne la forza e la riputazione d’un regno infantile. Uldino, con un formidabil esercito di Barbari, trovavasi accampato nel cuor della Tracia: rigettava orgogliosamente ogni termine d’accomodamento; ed accennando il sole nascente, dichiarò a’ Romani ambasciatori che il corso di quello poteva sol terminare le conquiste degli Unni. Ma la diserzione de’ suoi alleati, che furon segretamente convinti della giustizia e liberalità de’ Ministri Imperiali, obbligò Uldino a ripassare il Danubio: la tribù degli Scirri, che componeva la sua retroguardia, fu quasi distrutta, e più migliaia di schiavi furon dispersi a coltivare con servil fatica i campi dell’Asia66. In mezzo al pubblico trionfo, Costantinopoli fu difesa da un forte recinto di nuove e più estese mura; la stessa vigilante cura si pose a restaurar le fortificazioni delle città Illiriche, e fu giudiziosamente immaginato un disegno, che nello spazio di sette anni avrebbe assicurato il comando del Danubio, con istabilire su quel fiume una perpetua flotta di dugento cinquanta vascelli armati67. [p. 315 modifica]

[A. 414-453] Ma i Romani erano da tanto tempo assuefatti all’autorità d’un Monarca, che la prima persona, anche fra le femmine della famiglia Imperiale, la qual dimostrò qualche coraggio o capacità, potè salire sul trono vacante di Teodosio. Pulcheria68 sua sorella, che aveva solo due anni più di lui, ricevè all’età di sedici anni il titolo d’Augusta; e benchè il suo favore fosse alle volte annuvolato dal capriccio o dal raggiro, continuò a governar l’Impero Orientale quasi quarant’anni, in tutta la lunga minorità del suo fratello, e, dopo la morte di questo, in suo proprio nome ed in quello di Marciano, suo nominale marito. Per un motivo o di prudenza o di religione abbracciò una vita celibe; e ad onta di alcuni dubbi sulla castità di Pulcheria69, questa risoluzione, ch’essa comunicò alle sue sorelle Arcadia e Marina, fu celebrata dal Mondo cristiano come il sublime sforzo d’un’eroica pietà. In presenza del Clero e del Popolo, le tre figlie d’Arcadio70 consacrarono a Dio la loro virginità; e l’ob[p. 316 modifica]bligazione del solenne lor voto fu scritta sopra una tavoletta d’oro e di gemme, che esse pubblicamente offerirono nella maggior chiesa di Costantinopoli. Convertirono in un monastero il loro palazzo; ed eccettuati i direttori delle loro coscienze, Santi che avevano dimenticate la distinzione de’ sessi, tutti gli uomini furono scrupolosamente esclusi dalla sacra soglia. Pulcheria, le due sue sorelle, ed uno scelto numero di damigelle lor favorite formavano una religiosa comunità: esse riunziarono alla vanità delle vesti; interrompevano con frequenti digiuni il semplice e frugale lor vitto; assegnavano una parte del tempo alle opere di ricamo; e consacravan più ore del giorno e della notte agli esercizi delle preghiere e della salmodia. La pietà d’una vergine cristiana era adornata dallo zelo e dalla liberalità d’una Imperatrice. La storia Ecclesiastica descrive le splendide chiese, che si edificarono a spese di Pulcheria in tutte le Province dell’Oriente; i suoi caritatevoli stabilimenti a benefizio de’ pellegrini e de’ poveri; le ampie donazioni, che assegnò pel perpetuo mantenimento di monastiche società: e l’attivo rigore, con cui procurò di sopprimere l’eresie fra loro contrarie di Nestorio e d’Eutiche. Tante virtù pareano meritare il particolar favore della Divinità, e la Santa Imperatrice ebbe visioni e rivelazioni che gli scoprirono occulte reliquie di martiri, e la ragguagliarono di eventi futuri71. Pure la devozion di Pulcheria non [p. 317 modifica]distrasse mai l’instancabile sua attenzione dagli affari dell’Impero; e sembra ch’ella sola, fra tutti i discendenti del Gran Teodosio, ereditasse una parte del virile suo spirito e della sua capacità. L’uso elegante o famigliare, che aveva acquistato sì della lingua Greca che della Latina, era felicemente applicato da essa alle varie occasioni di parlare o di scrivere intorno a’ pubblici affari; le sue deliberazioni erano maturamente ponderate; le sue azioni pronte e decisive; e mentre muoveva senza strepito ed ostentazione la ruota del governo, attribuiva discretamente al genio dell’Imperatore la lunga tranquillità del suo regno. L’Europa, in vero, fu afflitta negli ultimi anni della pacifica sua vita dalle armi d’Attila; ma le più estese Province dell’Asia continuarono sempre a godere una costante e profonda quiete. Teodosio il Giovane non fu mai ridotto alla disgraziata necessità d’aver contro, o di punire un suddito ribelle; e poichè non possiamo applaudire il vigore dell’amministrazion di Pulcheria, dobbiamo dar qualche lode alla dolcezza e prosperità di essa.

Il Mondo Romano aveva grandissimo interesse nell’educazione del suo Signore. Fu giudiziosamente instituito un regolar corso di studi, e di esercizi, vale a dire de’ militari esercizi di cavalcare, e di tirare coll’arco, e degli studi liberali della grammatica, della rettorica e della filosofia. I più abili maestri [p. 318 modifica]dell’Oriente ambiziosamente sollecitavano l’attenzione del loro allievo Reale; e furono introdotti nel palazzo molti nobili giovani per animarne la diligenza coll’emulazione dell’amicizia. La sola Pulcheria eseguì l’importante incombenza d’istruire il fratello nell’arte del governo; ma i suoi precetti posson far nascere qualche sospetto intorno all’estensione della sua capacità, ed alla purità delle sue intenzioni. Essa gl’insegnò a conservare un grave e maestoso portamento; a camminare, a tener la veste, a porsi a sedere sul trono in una maniera degna d’un gran Principe; ad astenersi dal riso; ad ascoltare con piacevolezza; a rispondere a proposito, a prendere, secondo le occasioni, un contegno placido o serio; in una parola, a rappresentare con dignità e con grazia l’esterna figura d’un Romano Imperatore. Ma Teodosio72 non fu mai eccitato a sostenere il peso e la gloria d’un illustre nome; ed invece d’aspirare ad imitare i suoi antenati, degenerò (se è permesso di misurare i gradi dell’incapacità) anche al di sotto della debolezza del [p. 319 modifica]padre e dello zio. Arcadio ed Onorio erano stati assistiti dalla vigilante cura d’un padre, le lezioni del quale prendevan vigore dall’autorità e dall’esempio. Ma l’infelice Principe, che nasce nella porpora, dee rimanere straniero alla voce della verità; ed il figlio d’Arcadio fu condannato a passare la sua perpetua infanzia, circondato solo da una servil truppa di donne, e di eunuchi. Il grand’ozio, che aveva, perchè trascurava gli essenziali doveri dell’alto suo grado, era occupato in vani divertimenti ed inutili studj. La caccia era l’unica occupazione attiva, che lo tentasse ad uscire da’ confini del suo palazzo; ma con più grande assiduità esercitavasi talvolta al lume d’una notturna lampada, ne’ meccanici lavori di dipingere e d’incidere; e l’eleganza, con cui trascriveva i sacri libri, fece acquistare al Romano Imperatore il singolar epiteto di Calligraphos, o di bello scrittore. Teodosio, separato dal Mondo mediante un impenetrabile velo, affidavasi alle persone che amava; amava quelli ch’erano assuefatti a divertire e lusingare la sua indolenza; e siccome non leggeva mai i fogli, che gli erano presentati per la reale sottoscrizione, frequentemente si facevano in nome di esso gli atti d’ingiustizia più ripugnanti al suo carattere. L’Imperatore, quanto a sè, era casto, temperante, liberale e compassionevole: ma queste qualità, che possono meritar solo il nome di virtù, quando vengono sostenute dal coraggio, e regolate dalla discrezione, rare volte furono di vantaggio, e qualche volta divenner dannose al genere umano. Il suo spirito, snervato da una educazione regale, era oppresso e abbattuto da una vile superstizione: ei digiunava, cantava i salmi, e ciecamente ammetteva i miracoli e le dottrine, colle quali era continuamente nutrita [p. 320 modifica]la sua fede. Teodosio devotamente adorava i Santi, vivi e morti, della Chiesa cattolica, ed una volta ricusò di mangiare, finattantochè un insolente Monaco, che aveva scomunicato il suo Sovrano, non ebbe condisceso a medicare la spiritual ferita, che gli aveva fatto73.

[A. 421-460] L’istoria d’una bella e virtuosa ragazza, esaltata da una privata condizione al trono Imperiale, potrebbe stimarsi un incredibil romanzo, se non si fosse verificata nel matrimonio di Teodosio. La celebre Atenaide74 fu educata da Leonzio suo padre nella religione e nelle scienze de’ Greci; e sì vantaggiosa era l’opinione, che l’Ateniese Filosofo aveva de’ suoi contemporanei, che divise il suo patrimonio fra i due suoi figli, facendo alla figlia un piccol legato di cento monete d’oro, nella viva fiducia, che la sua beltà ed il suo merito le sarebbero stati di sufficiente dote. La gelosia e l’avarizia de’ fratelli tosto costrinsero Atenaide a cercare un rifugio a Costantinopoli; e con [p. 321 modifica]qualche speranza, o di giustizia o di favore, a gettarsi a’ piedi di Pulcheria. Questa sagace Principessa porse orecchio all’eloquenti di lei querele; e segretamente destinò la figlia del Filosofo Leonzio per futura moglie dell’Imperator dell’Oriente, ch’era giunto allora al ventesimo anno della sua età. Eccitò essa facilmente la curiosità del fratello per mezzo d’un’interessante pittura delle grazie d’Atenaide; aveva essa gli occhi grandi, un naso ben proporzionato, una bella carnagione, aurei capelli, un’agile persona, un portamento grazioso, una mente coltivata dallo studio, ed una virtù provata dalla disgrazia. Teodosio, nascosto dietro ad una cortina nell’appartamento della sorella, potè vedere la vergine Ateniese: il modesto giovane subito dichiarò il puro ed onorevol suo amore; e si celebraron le nozze reali in mezzo alle acclamazioni della Capitale e delle Province. Atenaide, che facilmente fu persuasa a rinunziare agli errori del paganesimo, ricevè nel battesimo il nome cristiano d’Eudossia; ma l’accorta Pulcheria ritenne il titolo d’Augusta, finattantochè la moglie di Teodosio non ebbe dimostrato la sua fecondità col partorire una figlia, che quindici anni dopo sposò l’Imperatore dell’Occidente. I fratelli d’Eudossia obbedirono, con qualche perplessità, alle sue Imperiali chiamate; ma siccome poteva essa volentieri scordarsi della fortunata loro asprezza, soddisfece la tenerezza, o forse anche la vanità d’una sorella con promuoverli al grado di Consoli o di Prefetti. Nel lusso del palazzo essa coltivò sempre quelle arti liberali, che avevan contribuito alla sua grandezza; e saviamente consacrò i suoi talenti all’onore della religione e del marito. Eudossia compose una parafrasi poetica de’ primi otto libri del Vecchio Testamento, [p. 322 modifica]e delle Profezie di Daniele e di Zaccaria; un centone de’ versi d’Omero applicati alla vita ed ai miracoli di Cristo; la leggenda di S. Cipriano; ed un panegirico sulle vittorie Persiane di Teodosio: ed i suoi scritti, che furono applauditi da un secolo servile e superstizioso, non si sono sdegnati dal candore d’una critica imparziale75. La tenerezza dell’Imperatore non fu diminuita dal tempo, nè dal possesso; e fu permesso ad Eudossia, dopo il matrimonio della sua figlia, di adempire i grati suoi voti con un solenne pellegrinaggio a Gerusalemme. Il suo viaggio per l’Oriente, pieno d’ostentazione, può sembrare incoerente allo spirito di cristiana umiltà: essa pronunziò, da un trono d’oro e di gemme, un’eloquente orazione al Senato d’Antiochia, dichiarò la sua reale intenzione di allargare le mura della città, fece un donativo di dugento libbre d’oro per risarcire i pubblici bagni, ed accettò le statue, che le furono decretate dalla gratitudine degli Antiocheni. Nella Terra Santa, le sue elemosine e pie fondazioni eccederono la munificenza della grande Elena; e quantunque fosse impoverito il pubblico tesoro da tal eccessiva liberalità, essa godè l’interna soddisfazione di tornare a Costantinopoli con le catene di S. Pietro, col braccio destro di S. Stefano, e con una indubitata immagine della Vergine dipinta [p. 323 modifica]da S. Luca76. Ma questo pellegrinaggio fu il termine fatale delle glorie d’Eudossia. Sazia d’una vana pompa, e dimenticatasi forse delle sue obbligazioni verso Pulcheria, ambiziosamente aspirò al governo dell’Impero Orientale; il palazzo fu diviso dalla femminile discordia; ma la vittoria finalmente fu decisa dal superiore ascendente della sorella di Teodosio. L’esecuzione di Paolino, Maestro degli Ufizi, e la disgrazia di Ciro, Prefetto del Pretorio d’Oriente, convinsero il Pubblico, che il favore d’Eudossia non era sufficiente a proteggere i suoi più fedeli amici77. Appena l’Imperatrice s’accorse, che l’affezione di Teodosio era per essa irreparabilmente perduta, chiese la permissione di ritirarsi alla remota solitudine di Gerusalemme. Ottenne quello che domandava; ma la gelosia di Teodosio, o il vendicativo animo di Pulcheria, la perseguitò in quel suo estremo ritiro, e fu ordinato a Saturnino, Conte de’ Domestici, di punir con la morte due Ecclesiastici, suoi servi più favoriti. Eudossia immediatamente li vendicò, facendo assassinare il Conte: parve, che le furiose passioni, alle quali si lasciò trasportare in questa sospettosa occasione, giustificassero la severità di Teodosio; e l’Imperatrice, ignominiosamente [p. 324 modifica]spogliata degli onori del suo grado78, fu svergognata, forse ingiustamente, agli occhi del Mondo. I sedici anni in circa di vita, che restarono ad Eudossia, si consumarono da lei nell’esilio e nella devozione; e l’avvicinamento della vecchiezza, la morte di Teodosio, le disgrazie dell’unica sua figlia, che fu condotta schiava da Roma a Cartagine, e la conversazione dei santi Monaci della Palestina insensibilmente confermarono la religiosa indole della sua mente. Dopo una piena esperienza delle vicende dell’umana vita, la figlia del Filosofo Leonzio spirò in Gerusalemme nell’anno 67 della sua età, protestando, nell’atto di morire, che non aveva mai oltrepassato i confini dell’innocenza e dell’amicizia79.

[A. 422] Lo spirito mite di Teodosio non fu mai acceso dall’ambizione di conquiste, o di gloria militare; ed il leggier rumore d’una guerra Persiana appena interruppe la tranquillità dell’Oriente. I motivi di questa guerra eran giusti ed onorevoli. Nell’ultimo anno del regno di Jesdegerde, supposto tutore di Teodosio, un [p. 325 modifica]Vescovo, che aspirava alla corona del martirio, distrusse uno de’ tempj del Fuoco a Susa80. Fu vendicato lo zelo e l’ostinazione di lui sopra i suoi confratelli: i Magi eccitarono una crudel persecuzione; e l’intollerante zelo di Jesdegerde s’imitò dal suo figlio Vararane, o Baram, che poco dopo salì sul trono. Furono rigorosamente richiesti alcuni Cristiani fuggitivi, che si ritirarono alle frontiere Romane, e generosamente ricusati; e tal negativa, aggravata dalle dispute di commercio, tosto accese una guerra fra le rivali due Monarchie. I monti dell’Armenia e le pianure della Mesopotamia erano piene di armate nemiche; ma le operazioni di due successive campagne non produssero alcun decisivo o memorabil evento. S’ingaggiarono varj azzuffamenti, ed alcune città furono assediate con vario e dubbioso successo; e se a’ Romani riuscì vano il tentativo di ricuperare il possesso da gran tempo perduto di Nisibi, i Persiani furon rispinti dalle mura d’una città della Mesopotamia, pel valore d’un Vescovo marziale, che adoprava le sue macchine da guerra in nome di S. Tommaso Apostolo. Pure si celebrarono con panegirici e feste le splendide vittorie, che l’incredibile celerità del messaggiero Palladio più volte annunziò al palazzo di Costantinopoli. Da questi panegirici81 gli Storici di quel tempo [p. 326 modifica]possono aver prese le loro straordinarie e forse favolose novelle, della superba disfida d’un eroe Persiano, che fu imbarazzato da’ lacci, ed ucciso dalla spada del Goto Arcobindo; de’ diecimila Immortali, che perirono nell’attacco del campo Romano; e de’ centomila Arabi o Saraceni, che furono spinti da un panico terrore a gettarsi capovolti dentro l’Eufrate. Tali avvenimenti si possono trascurare, o non credere, ma non si può lasciare in oblivione la carità d’un Vescovo, Acacio d’Amida, il nome del quale avrebbe potuto fare onore al calendario de’ Santi. Arditamente dichiarando, che i vasi d’oro e d’argento sono inutili ad un Dio, che non mangia nè beve, il generoso Prelato vendè l’argenteria della Chiesa d’Amida; ne impiegò il prezzo nella redenzione di settemila schiavi Persiani; provvide con amorosa liberalità ai loro bisogni; e li rimandò alla patria ad informare il loro Sovrano del vero spirito della religione ch’ei perseguitava. La pratica della beneficenza in mezzo alla guerra deve sempre contribuire a placar l’animosità delle combattenti nazioni; ed io son portato a persuadermi, che Acacio contribuisse alla restaurazion della pace. Nella conferenza, che fu tenuta su’ confini de’ due Imperi, i Romani ambasciatori avvilirono il personal carattere del loro Sovrano per un vano sforzo di magnificare l’estensione del suo potere; allorchè seriamente avvisarono i Persiani ad impedire, per mezzo d’un opportuno accomodamento, lo sdegno d’un Monarca, che non era per anche informato di quella distante guerra. Fu solennemente ratificata una tregua di cento anni; e quantunque le rivoluzioni dell’Armenia potessero minacciar la pubblica tranquillità, l’essenziali con[p. 327 modifica]dizioni di questo trattato si rispettarono quasi per ottant’anni da’ successori di Costantino e d’Artaserse.

[A. 431-440] Da che s’incontrarono la prima volta le bandiere Romane e Partiche sulle rive dell’Eufrate, il Regno d’Armenia82 fu alternativamente oppresso da’ suoi formidabili protettori; e nel corso di quest’istoria si son già riferiti più avvenimenti, che fecero piegar la bilancia della pace e della guerra. Un vergognoso trattato avea ceduto l’Armenia all’ambizione di Sapore; e parve che la bilancia dalla parte della Persia preponderasse. Ma la reale stirpe degli Arsaci mal volentieri si sottomise alla casa di Sassan; i turbolenti Nobili sostennero, o tradirono l’ereditaria loro indipendenza; e la nazione era sempre attaccata a’ Principi Cristiani di Costantinopoli. Nel principio del quinto secolo l’Armenia fu divisa pel progresso della guerra e delle fazioni83; e tale non natural divisione preci[p. 328 modifica]pitò la caduta di quell’antica Monarchia. Cosroe, vassallo Persiano, regnò sull’orientale e più estesa parte del paese; mentre la Provincia occidentale riconobbe la giurisdizione d’Arsace e la supremazia dell’Imperatore Arcadio. Dopo la morte d’Arsace i Romani soppressero il governo reale, ed imposero a’ loro alleati la condizione di sudditi. Fu delegato il comando militare al Conte della frontiera Armena, si fabbricò e fortificò in una vantaggiosa situazione sopra un alto e fertile suolo la città di Teodosiopoli84 vicino alla sorgente dell’Eufrate; ed i territori dipendenti erano governati da cinque Satrapi, la dignità de’ quali era distinta da un abito particolare di porpora e d’oro. I Nobili meno fortunati, che si dolevano della perdita del loro Re, ed invidiavano gli onori de’ loro uguali, furono eccitati a trattare di pace e di perdono alla Corte Persiana; e tornando co’ loro seguaci al palazzo d’Artaxata, riconobbero Cosroe per legittimo loro Sovrano. Circa trent’anni dopo, Artasire, nipote e successore di Cosroe, cadde in disgrazia degli altieri e capricciosi Nobili dell’Armenia, i quali concordemente richiesero un Governatore Persiano in luogo d’un indegno Re. La risposta dell’Arcivescovo Isacco, di cui premurosamente ricercaron l’autorità, esprime il carattere d’un Popolo superstizioso. Ei deplorò i manifesti ed inescusabili vizi d’Artasire; e dichiarò, che non avrebbe dubitato d’accusarlo al tribunale d’un Imperatore cristiano, che avrebbe punito il peccatore [p. 329 modifica]senza distruggerlo. „Il nostro Re (continuò Isacco) è troppo addetto a’ piaceri licenziosi, ma egli è stato purificato nelle sante acque del Battesimo. Egli ama le donne, ma non adora il fuoco o gli elementi. Può meritare la taccia di libidinoso, ma è un indubitato cattolico, ed è pura la sua fede, quantunque ne sian dissoluti i costumi. Io non acconsentirò mai ad abbandonar le mie pecore alla rabbia de’ lupi divoratori; e voi presto vi pentirete del temerario cambio, che fate, fra le infermità d’un credente, e le speciose virtù d’un pagano„85. Inaspriti dalla fermezza d’Isacco i faziosi Nobili accusarono sì il Re che l’Arcivescovo, come segreti aderenti dell’Imperatore; ed assurdamente fecero festa della condanna che, dopo una parzial processura, fu solennemente pronunziata da Baram istesso. I discendenti d’Arsace furono spogliati della dignità reale86, che avevan goduta più di cinquecento sessant’anni87; e gli Stati dell’infelice [p. 330 modifica]Artasire, sotto il nuovo e significante nome di Persarmenia, furon ridotti a Provincia.

Questa usurpazione risvegliò la gelosia del governo Romano; ma tosto si terminarono le nascenti dispute mediante una amichevole, sebben disugual, divisione dell’antico regno d’Armenia; ed il territoriale acquisto, che Augusto avrebbe disprezzato, apportò qualche lustro al decadente Impero di Teodosio il Giovane.

Note

  1. Il P. Montfaucon, che per comando de’ suoi superiori Benedettini fu condotto (Vedi Longueruana Tom. 1. p. 205) a fare la laboriosa edizione di S. Gio. Grisostomo in tredici tomi in foglio (Parigi 1738) si è divertito ad estrarre da quell’immensa collezione di cose morali alcune curiose antichità, che illustrano i costumi del secolo di Teodosio (Vedi oper. Chrysostomi Tom. XIII. p. 192, 196. e la sua dissertazione Francese nelle Memorie dell’Accademia delle Inscriz. Tom. XIII pag. 474, 490).
  2. Secondo l’inesatto calcolo, che una nave può fare con un buon vento mille stadi o 125 miglia nel corso d’un giorno e d’una notte, Diodoro Siculo conta dieci giorni dalla Palude Meotide a Rodi, e quattro da Rodi ad Alessandria. La navigazione del Nilo, da Alessandria a Siene, sotto il tropico di cancro, essendo contro la corrente, richiedeva dieci giorni di più. Diodoro Siculo Tom. I. L. III. p. 200. Ediz. del Wesseling. Ei poteva senza grande improprietà misurare l’estremo caldo dal principio della Zona torrida; ma parla della palude Meotide, ch’è al grado 47 di latitudine settentrionale, come se fosse nel cerchio polare.
  3. Il Barzio, che adorava il suo autore con la cieca superstizione d’un comentatore, dà la preferenza a due libri, che Claudiano compose contro Eutropio, sopra tutte le altre sue produzioni (Baillet Jugemens des Savans Tom. IV. p. 227). In vero contengono essi una satira molto elegante e spiritosa; ed in linea d’Istoria sarebbero più valutabili, se le invettive fossero meno generali e più moderate.
  4. Claudiano dopo d’essersi lagnato del progresso che facevan gli Eunuchi nel Palazzo di Roma, ed aver definite le funzioni proprio di essi, aggiunge in Eutrop. I. 41.

    ... A fronte recedant
    Imperii.

    Pure non sembra che quest’Eunuco si fosse attribuito alcuno degli ufizj di forze nell’Impero; ed è chiamato solo Praepositus sacri cubiculi nell’editto del suo esilio. Vedi Cod. Teod. Lib. IX. tit. 40, leg. 17.
  5. Jamque oblita sui nec sobria divitiis mens
    In miseras leges hominumque negotia ludit:
    Judicat Eunuchus.....
    Arma, etiam violare parat.....

    Claudiano (l. 229, 270) con quella mescolanza di sdegno e di fantasia, che sempre piace in un Poeta satirico, descrive l’insolente follìa dell’Eunuco, la vergogna dell’Impero, e la gioia de’ Goti.

    . . . . Gaudet, cum viderit hostis,
    Et sentit jam deesse viros.

  6. La viva descrizione, che fa il Poeta della sua deformità (1. 110, 125) vien confermata dall’autentica testimonianza del Grisostomo (Tom. III. p. 384 edit. Monfauc.) il quale osserva, che quando era tolto il belletto, la faccia d’Eutropio appariva più brutta e rugosa di quella d’una vecchia. Claudiano osserva (I, 469) e tal osservazione dev’esser fondata sull’esperienza, che appena si trova qualche intervallo fra la gioventù e la decrepitezza d’un Eunuco.
  7. Sembra, ch’Eutropio fosse nativo dell’Armenia o dell’Assiria. I suoi tre servizi, che Claudiano più particolarmente descrive, son questi: 1. consumò varj anni in qualità di drudo di Tolomeo, palafreniere, o guardia delle stalle Imperiali: 2. Tolomeo lo diede al vecchio Generale Arinteo, per il quale con grande abilità esercitò la profession di ruffiano: 3. fu dato alla Figlia d’Arinteo quando si maritò; ed il futuro Consolo era impiegato in pettinare, in presentare il mesciroba d’argento, in bagnare, ed in far vento alla sua padrona in tempo di state. Vedi l. 1, 31, 137.
  8. Claudiano (lib. 1. in Eutrop. 2, 22) dopo aver enumerato i varj prodigi delle nascite mostruose, degli animali parlanti, delle piogge di sangue e di sassi, de’ Soli raddoppiati ec. soggiunge con qualche esagerazione:

    Omnia cesserunt Eunucho constile monstra.

    Il primo libro finisce con un nobil discorso della Dea Roma ad Onorio suo favorito, esecrando la nuova ignominia, a cui trovavasi esposta.

  9. Fl. Mallio Teodoro, i civili onori e le opere filosofiche del quale si celebrarono da Claudiano in un panegirico molto elegante.
  10. Μεθυων δε ηδη των πλουτω ebrio di ricchezze è la forte espressione di Zosimo (l. V. p. 301); e vien esecrata ugualmente l’avarizia d’Eutropio nel Lessico di Suida, e nella cronica di Marcellino. Grisostomo aveva ammonito più volte il favorito della vanità e del pericolo della smoderata ricchezza Tom. III. p. 381.
  11. .... certantum saepe duorum
    Diversum suspendit onus; cum pendere Judex
    Vergit, ut in geminias nutat provincia lances.

    Claudiano (I, 192, 209) distingue sì esattamente le circostanze della vendita, che sembrano tutte allusive ad aneddoti particolari.
  12. Claudiano (l. 154, 120) fa menzione della colpa e dell’esilio d’Abbondanzio, nè poteva mancare di citar l’esempio dell’artefice, che fece la prima esperienza del Toro di bronzo, che presentò a Falaride. Vedi Zosimo L. V. p. 302 Girolam. Tom, I. p. 26. Può facilmente conciliarsi la differenza del luogo; ma l’autorità decisiva d’Asterio d’Amusea (Orat. 4. p. 76. ap. Tillemont Hist. des Emper, Tom. V. p. 435) deve far pendere la bilancia in favore di Pitio.
  13. Suida ha fatto una pittura molto svantaggiosa di Timasio, tratta probabilmente dall’istoria d’Eunapio. La descrizione del suo accusatore, de’ giudici, del processo perfettamente conviene alla pratica delle Corti antiche e moderne. Vedi Zosimo L. V. p. 298, 299, 300. Io son quasi tentato a citare il romanzo d’un gran maestro (Fielding. oper. vol. IV. p. 49. etc. 80) che si può considerare come l’istoria della natura umana.
  14. Il grande Oasi era uno de’ luoghi nelle arene della Libia irrigato dall’acqua, e capace di produrre grano, orzo, e palme. Conteneva circa tre giornate di cammino dal Nord al Sud, circa mezza giornata in larghezza, ed era distante cinque giornata circa dall’Occidente d’Abido sul Nilo. Vedi Danville descript. de l’Egypte p. 186, 187, 188. Lo steril deserto che circonda Oasi (Zosim. L. V. p. 300) ha suggerito l’idea d’una comparativa fertilità, ed anche l’epiteto d’Isola felice (Erodot. III 27).
  15. Quel verso di Claudiano in Eutrop., l. 2. 180.

    Marmaricus claris violatur caedibus Hammon

    evidentemente allude alla sua persuasione della morte di Timasio.

  16. Sozomeno L. VIII, c 7. Ei parla secondo le relazioni ως τινος επυδομεν come udimmo dire.
  17. Zosimo L. V. p. 300. Pure sembra sospettare, che si spargesse questo romore dagli amici d’Eutropio.
  18. Vedi il Codice Teodosiano (Lib. IX, tit. 14, ad legem Cornel, de sicariis leg. 3), ed il codice di Giustiniano (Lib. IX. Tit. 8. ad legem Juliam majestat. leg. 5). L’alterazione del titolo dall’omicidio al delitto di lesa Maestà, fu un’invenzione del sottil Triboniano. Il Gotofredo in una disertazione apposta, che ha inserito nel suo comentario, illustra questa legge d’Arcadio, e ne spiega tutti i passi difficili, che si erano pervertiti da Giurisconsulti de’ secoli più tenebrosi. Cod. Tom. III. pagina 88, 111.
  19. Bartolo intende una semplice e pura cognizione senz’alcun segno d’approvazione o concorso. Per causa di questa opinione, dice Baldo, egli adesso brucia nell’Inferno. Quanto a me continua il discreto Eineccio (Elem. Jur. Civ. L. IV p. 411) bisogna che approvi la teoria del Bartolo; ma in pratica inclinerei al sentimento di Baldo. Pure Bartolo fu gravemente citato da’ legali del Card. Richelieu; ed Eutropio indirettamente fu reo della morte del virtuoso de Thou.
  20. Gotofredo Tom. III. p. 89. Si è però supposto che questa legge, così ripugnante alle massime della libertà Germanica, sia stata aggiunta per frode alla Bolla d’Oro.
  21. Zosimo (l. V. p. 304, 312) ci dà una copiosa e circostanziata narrazione delle rivolte di Tribigildo e di Gaina, ch’egli avrebbe potuto riservare ad avvenimenti di maggiore importanza. Vedasi anche Socrate L. VI. c. 6, e Sozomeno L. VIII c. 4. Il secondo libro di Claudiano contro Eutropio è un bel pezzo d’Istoria, quantunque imperfetto.
  22. Claudiano (in Eutrop. l. 11. 237, 250) con molta accuratezza osserva, che l’antico nome e la nazione de’ Frigj estendevasi molto da ogni parte, finattantochè ne furon ristretti i confini dalle colonie de’ Bitinj di Tracia, de’ Greci, e finalmente de’ Galli. La sua descrizione (II. 57, 272) della fertilità della Frigia o de’ quattro fiumi, che portan oro è giusta e pittoresca.
  23. Zenofonte, Anabas. L. 1. p. 11, 12, Ediz. d’Hutch; Strabone L. XII. p. 865, ediz. d’Amsterd., Q. Curzio l. III. c. 1. Claudiano compara l’unione del Marsia e del Meandro a quella della Saona e del Rodano; con quella differenza però che il più piccolo de’ fiumi Frigj non è accelerato, ma ritardato dal più grande.
  24. Selgae, colonia de’ Lacedemoni, aveva anticamente numerato ventimila cittadini; ma al tempo di Zosimo era ridotta ad una πολιχνη, o piccola città. Vedi Cellar., Geogr. antiq. Tom. II. p. 117.
  25. Il consiglio d’Eutropio, appresso Claudiano, si può paragonare a quello di Domiziano nella quarta satira di Giovenale. I principali membri del primo erano Juvenes protervi, lascivique senes; uno di essi era stato cuoco, un altro cardator di lana. Il linguaggio dell’originaria lor professione avvilisce la dignità da essi assunta; e la frivola conversazione loro intorno a tragedie, danzatori ec. si rende sempre più ridicola dall’importanza della discussione.
  26. Claudiano (l. 11. 376, 461) l’ha notato d’infamia; e Zosimo in tuono più moderato conferma le sue accuse l. V. p. 305.
  27. La cospirazione di Gaina e di Tribigildo, che si attesta dall’Istorico Greco, non era giunta agli orecchi di Claudiano, che attribuisce la rivolta dell’Ostrogoto al marziale suo spirito, ed all’avviso della sua moglie.
  28. Quest’aneddoto, che il solo Filostorgio ci ha conservato (L. XI. c. 6. Gotofred, dissert. p. 451, 456) è curioso ed importante; mentre collega la rivolta de’ Goti con gl’intrighi segreti del Palazzo.
  29. Vedi l’Omilia di Grisostomo (Tom. III p. 381, 386.) di cui l’esordio è sommamente bello. Socrate Lib. VI c. 5, Sozomeno L. VIII. c. 7. Il Montfaucon (nella sua vita del Grisostomo Tom. XIII. p. 135) troppo leggiermente suppone, che Tribigildo fosse attualmente in Costantinopoli; e ch’egli comandasse i soldati, a’ quali fu ordinato di prender Eutropio. Anche Claudiano, Poeta Gentile (Praefat. ad. Lib. II. in Eutr. 27) ha fatto menzione della fuga dell’Eunuco al Santuario.

    Suppliciterque pias humilis prostratus ad aras
         Mitigat iratas voce tremente nurus.

  30. Il Grisostomo in un’altra Omilia (Tom. III. p. 396) dichiara, che se Eutropio non avesse abbandonato la Chiesa non sarebbe stato preso. Zosimo al contrario pretende (L. V. p. 313) che i suoi nemici l’estraessero a forza εξαρπασωτες αυτον dal santuario. La promessa però è una prova di qualche trattato; e la forte asserzione di Claudiano (Praefat. ed. L. II. 46).

    Sed tamen exemplo non feriere tuo,

    può riguardarsi come una prova di qualche promessa.

  31. Cod. Teodos. Lib. IX. Tit. XL. leg. 14. La data di questa legge (de’ 17 Gennaio dell’anno 399) è corrotta ed erronea, mentre la caduta d’Eutropio non potè avvenire fino all’autunno del medesimo anno. Vedi Tillemont Hist. des Emper. Tom. V p. 780.
  32. Zosimo L. V. p. 313. Filostorg. l. XI. c. 6.
  33. Zosimo (L. V. p. 313, 323), Socrate (L, VI c. 4), Sozomeno (L. VIII. c. 4), e Teodoreto (L. V. c. 32, 33) raccontano, sebbene con qualche varietà di circostanze, la cospirazione, la disfatta e la morte di Gaina.
  34. Οσιας Ευφημιας μαρτυριον, la Chiesa della martire S. Eufemia, è l’espressione di Zosimo stesso (L. V. p. 314) che senz’accorgersene usa il solito linguaggio de’ Cristiani. Evagrio descrive (l. 11. c. 3) la situazione, l’architettura, le reliquie ed i miracoli di quella celebre Chiesa, nella quale di poi fu tenuto il Concilio generale di Calcedonia.
  35. Le pie rimostranze del Grisostomo, che non si trovano ne’ suoi propri scritti, vengon rappresentate con forza da Teodoreto; ma ciò ch’egli accenna, che avessero un buon successo, è contraddetto da’ fatti. Il Tillemont (Hist. des Emper. Tom. V. p. 389) ha scoperto che l’Imperatore, per soddisfare le rapaci domande di Gaina, fu obbligato a fondere l’argenteria della Chiesa degli Apostoli.
  36. Gl’Istorici Ecclesiastici che ora guidano, ora seguono, In pubblica opinione, confidentemente asseriscono, che il Palazzo di Costantinopoli era guardato da legioni di Angeli.
  37. Zosimo (l. V. p. 319) fa menzione di queste galere dando loro il nome di Liburnie, ed osserva, ch’esse eran tanto veloci quanto i vascelli con cinquanta remi, senza spiegare la differenza ch’era fra loro; ma che in celerità eran molto inferiori alle Triremi, che da gran tempo erano andate in disuso. A ragione però conclude, coll’autorità di Polibio, che al tempo delle guerre Puniche si eran costrutte galere di assai maggior grandezza. Dopo lo stabilimento del Romano Impero sul Mediterraneo, probabilmente s’era trascurata, ed alla fine dimenticata l’inutile arte di costruire grosse navi da guerra.
  38. Chishull (viaggi p. 61, 72, 73, 76) passò da Gallipoli per Adrianopoli al Danubio in circa quindici giorni. Egli era nel seguito d’un ambasciatore Inglese, il bagaglio del quale occupava settantuno carri. Quest’erudito viaggiatore ha il merito d’aver descritto una curiosa e non frequentata strada.
  39. Il racconto di Zosimo, che conduce effettivamente Gaina di là dal Danubio, si dee correggere coll’autorità di Socrate e di Sozomeno, che dicono esser egli stato ucciso nella Tracia: e dalle precise ed autentiche date della Cronica Alessandrina o Pasquale p. 307. La vittoria navale dell’Ellesponto ivi è fissata nel mese Apellaeus, il decimo delle calende di Gennaio (23 Decembre): il capo di Gaina fu portato a Costantinopoli il terzo delle none di Gennaio, (3 Gennaio) nel mese Audinaeus.
  40. Eusebio Scolastico s’acquistò molta fama col suo Poema sulla guerra Gotica, nella quale avea militato. Quasi quarant’anni dopo, Ammonio recitò un altro poema sul medesimo soggetto alla presenza dell’Imperator Teodosio. Vedi Socrate l. VI. c. 6.
  41. Il sesto libro di Socrate, l’ottavo di Sozomeno, ed il quinto di Teodoreto somministrano curiosi ed autentici materiali per la vita di Gio. Grisostomo. Oltre quegli Istorici generali, ho preso per mie guide i quattro principali Biografi del Santo: l. l’autore d’un’appassionata e parziale apologia dell’Arcivescovo di Costantinopoli, composta in forma di dialogo, e sotto nome di Palladio, Vescovo d’Elenopoli, zelante suo partigiano; Tillemont (Mem. Eccl. T. XI. p. 500-533). Questa è inserita fra le opere del Grisostomo Tom. XII. p. 1-90 dell’ediz. del Montfaucon: 2. Il moderato Erasmo (Tom. III. epist. MCL. p. 1331-1347 edit. Lugd. Batav.). La vivacità e il buon senso eran propri di lui; i suoi errori nell’inculto stato di antichità Ecclesiastica, in cui si trovava, erano quasi inevitabili: 3. L’erudito Tillemont. (Mem. Eccles. T. XI. p. 1-405, 547-626 ec. ) che compila con incredibil pazienza, e religiosa esattezza le vite de’ Santi; 4. Il P. Montfaucon, che ha letto quelle opere con la curiosa diligenza d’un editore, ha scoperto varie nuove Omilie, e di nuovo ha rivista e composta la vita del Grisostomo Oper. Chrisostom. Tom. XIII. pag. 91-177.
  42. Poichè io sono quasi al buio dei voluminosi discorsi del Grisostomo, mi sono affidato a’ due più giudiziosi e moderati critici Ecclesiastici, Erasmo (Tom. III. p. 1344), e Dupin (Bibl. Eccl. Tom. III. p. 38): pure il buon gusto del primo è qualche volta viziato da un eccessivo amore dell’antichità; ed il buon senso dell’altro è sempre frenato da prudenziali riflessi.
  43. Le donne di Costantinopoli si distinsero per la nemicizia o per l’attacco loro al Grisostomo. Tre nobili e ricche vedove, Marsa, Castricia ed Eugrafia, erano le condottiere della persecuzione: Pallad. Dialog. Tom. XIII. p. 14. Era impossibile, che esse perdonassero ad un Predicatore, che rimproverava loro l’affettazione di nascondere con gli ornamenti delle vesti l’età e la bruttezza loro; Pallad. p. 27, Olimpia, con un uguale zelo, impiegato in una causa più pia, ha ottenuto il titolo di Santa. Vedi Tillemont Mem. Eccles. T. XI. pag. 416-440.
  44. Sozomeno e Socrate più specialmente hanno definito il vero carattere del Grisostomo con una moderata ed imparziale libertà, molto offensiva per i ciechi suoi ammiratori. Quest’Istorici vissero nella successiva generazione, quando la forza del partito era abbattuta, e conversarono con molte persone pienamente informate delle virtù e delle imperfezioni del Santo.
  45. Palladio (Tom. XIII. p. 40 ec.) difende molto seriamente l’Arcivescovo. 1. Ei non gustava mai vino; 2. La debolezza del suo stomaco richiedeva una maniera particolare di cibarsi; 3. Gli affari, lo studio, e la devozione spesso lo tenevan digiuno fino al tramontar del sole; 4. Detestava lo strepito, e la leggierezza dei gran pranzi; 5. risparmiava la spesa pei poveri; 6. Temeva, in una Capitale come Costantinopoli, l’invidia e l’accusa di parziali inviti.
  46. Grisostomo dichiara liberamente la sua opinione (T. IX. Homil. III. in Act. Apostol. p. 29), che il numero dei Vescovi, che si potevan salvare, era ben piccolo in paragone di quelli, che si sarebber dannati.
  47. Vedi Tillemont, Mem. Eccles. Tom. XI. p. 441-500.
  48. Ho tralasciato a bella posta la controversia, che nacque tra i monaci dell’Egitto intorno all’Origenianismo, ed all’Antropomorfismo; la violenza e la dissimulazione di Teofilo; l’artificioso maneggio che fece della semplicità d’Epifanio; la persecuzione e la fuga de’ lunghi, od alti fratelli; l’ambiguo sussidio, che essi ricevettero a Costantinopoli dal Grisostomo ec. ec.
  49. Fozio (p. 53-60) ci ha conservato gli atti originali del Sinodo della Quercia, i quali distruggono la falsa asserzione, che il Grisostomo fosse condannato da non più di trentasei Vescovi; dei quali ventinove erano Egiziani. Quarantacinque furono i Vescovi che sottoscrissero la sua sentenza. Vedi Tillemont. Mem. Eccles. Tom. XI. p. 595.
  50. Palladio confessa (p. 30) che se il popolo di Costantinopoli avesse trovato Teofilo, sicuramente l’avrebbe gettato nel mare. Socrate fa menzione (l. VI. c. 17) d’una pugna seguita fra la plebe ed i marinari d’Alessandria, in cui molti restaron feriti, ed alcuni perderon la vita. Il macello de’ Monaci si riporta solamente dal Pagano Zosimo (l. V. p. 324), il quale osserva, che il Grisostomo aveva un singolar talento per condurre l’ignorante moltitudine, ην γαρ ο αντροπος αλογον οχλον υπαγαγεθαι θεινοε. Era egli un uomo valente per trarre l’irragionevole turba.
  51. Vedi Socrate (l. VI. c. 18)., Sozomeno (l. VIII. c. 10). Zosimo (L. V. p,. 324, 327) fa menzione in termini generali delle sue invettive contro Eudossia. Vien rigettata come spuria l’Omilia, che principia con quelle parole; Montfaucon Tom. XII. p. 251. Tillemont Mem. Eccl. Tom. XI. p. 603.
  52. Poteva naturalmente aspettarsi tale accusa da Zosimo (l. V. p. 327), ma è molto notabile, che questa fosse anche confermata da Socrate (l. VI. c. 18) e dalla Cronica Pasquale p. 307.
  53. Egli espone quegli speciosi motivi (post reditum c. 13, 14) col linguaggio d’oratore e di politico.
  54. Tuttavia ci restano dugentoquarantadue lettere del Grisostomo (oper. Tom. III. p. 528-736). Sono esse indirizzate ad una gran varietà di persone, e dimostrano una fermezza d’animo ben superiore a quella di Cicerone nel suo esilio. La decimaquarta contiene una curiosa narrazione dei pericoli del suo viaggio.
  55. Dopo l’esilio del Grisostomo, Teofilo pubblicò un enorme ed orribil volume contro di lui, nel quale continuamente ripete le civili espressioni di hostem humanitatis, sacrilegorum principem, immundum daemonem. Egli afferma che il Grisostomo ha dato la sua anima in adulterio al diavolo e brama che gli sia applicato qualche ulteriore castigo, eguale, se è possibile, alla grandezza de’ suoi delitti. S. Girolamo, ad istanza del suo amico Teofilo, tradusse quest’edificante opera dal Greco in Latino. Vedi Facund. Hermian. defens. pro 3 capitul. lib. VI. c. 5 pubblicata dal Sirmondo oper. T. II. p. 595, 596, 597.
  56. Attico, suo successore, ne inserì il nome ne’ dittici della Chiesa di Costantinopoli l’anno 418. Dieci anni dopo fu venerato come Santo: Cirillo, che aveva ereditato il posto e le passioni di Teofilo suo zio, cedè con molta ripugnanza. Vedi Facond. Hermian. L. IV c. I. Tillemont Mem. Eccl. Tom. XIV. p. 277, 283.
  57. Socrate L. VII. c. 45. Teodoreto L. V. c. 36. Questo avvenimento riconciliò i Giovanniti, che fin’allora avevano ricusato d’obbedire a’ suoi successori. Nel tempo della sua vita, i Giovanniti erano rispettati da’ Cattolici, come la vera ed ortodossa comunione di Costantinopoli. La lor ostinazione però a grado a grado li trasse sull’orlo dello scisma.
  58. Secondo alcuni racconti (Baron. Annal. Eccles. an. 438. n. 9, 10) l’Imperatore fu costretto a mandare una lettera d’invito e di scuse, prima che il corpo del ceremonioso Santo potesse muoversi da Comana.
  59. Zosimo L. V. p. 315. Non dovrebbe accusarsi la castità d’un’Imperatrice, senza produrne un testimone; ma è sorprendente, che tal testimone scrivesse e vivesse sotto un Principe, di cui osava d’attaccare la legittimità. Noi dobbiamo supporre, che tal’Istoria fosse un libello di partito, che si leggesse in segreto, e circolasse fra’ Pagani. Il Tillemont (Hist. des Emper. Tom. V. p. 782) non è alieno dall’infamar la riputazione d’Eudossia.
  60. Porfirio di Gaza. Il suo zelo fu esaltato dall’ordine che avea ottenuto di distruggere otto templi pagani di quella città. Vedi le curiose particolarità della sua vita (Baronio A. D. 401, num. 17-51) originalmente scritte in Greco, o forse in Siriaco da un monaco, suo diacono favorito.
  61. Filostorg. l. XI. c. 8 e Gotofredo Dissert. p. 457.
  62. Girolamo descrive (Tom. VI. p. 73, 76) con vivaci colori la regolare e distruttiva marcia delle locuste, che formavano sulla Palestina un’oscura nuvola fra il cielo e la terra. Furono poi disperse da opportuni venti parte nel Mar Morto, e parte nel Mediterraneo.
  63. Procop. de Bello Persic. l. I. c. 2. p. 8 edit. Louvre.
  64. Agatia (l. IV. p. 136, 137) quantunque confessi l’esistenza di tal tradizione, asserisce, che Procopio fu il primo, che la scrivesse. Il Tillemont (Hist. des Emper. T. VI. p. 597) ragiona molto sensatamente sul merito di questa favola. La sua critica non era ristretta da alcuna Ecclesiastica autorità: sì Procopio che Agatia erano mezzo pagani.
  65. Socrate l. VIII. c. 1. Antemio era nipote di Filippo, uno de’ Ministri di Costanzo, ed avo dell’Imperatore Antemio. Dopo il suo ritorno dall’ambasceria di Persia fu creato Console, e Prefetto del Pretorio dell’Oriente nell’anno 405: e tenne la Prefettura circa dieci anni. Vedansi gli onori e le lodi di esso appresso il Gotofredo (Cod. Th. T. VI p. 350), ed il Tillemont (Hist. des Emper. Tom. VI. p. 1).
  66. Sozomeno l. IX. c. 5. Ei vide alcuni Scirri occupati nel lavoro vicino al monte Olimpo nella Bitinia, e si lusingava con la vana speranza, che quegli schiavi fossero gli ultimi della nazione.
  67. Cod. Theod. l. VII. Tit. XVII. L. XV. Tit. 2. leg. 49.
  68. Sozomeno ha riempito tre capitoli con un magnifico panegirico di Pulcheria (l. IX. c. 1, 2, 3); ed il Tillemont (Mem. Eccl. Tom. XV. p. 171, 184) ha destinato un articolo a parte in onore di S. Pulcheria, vergine ed Imperatrice.
  69. Suida (Excerpt. p. 68 in script. Byzant.) pretende sulla fede dei Nestoriani che Pulcheria fosse sdegnata col lor fondatore, perchè questi avea censurato i legami di Pulcheria coll’avvenente Paolino e l’incesto di essa col fratello Teodosio.
  70. Vedi Du Cange Famil. Byzant. p. 70. Flaccilla sua figlia maggiore o morì prima d’Arcadio, o se visse fino all’anno 431 (Marcellin. Chron.), bisogna, che qualche difetto di mente o di corpo l’escludesse dagli onori del suo grado.
  71. Ella fu avvertita, con replicati sogni, del luogo in cui le reliquie de’ 40 Martiri eran sepolte. Il terreno era successivamente appartenuto alla casa ed al giardino di una donna di Costantinopoli, ad un convento di monaci Macedoni, e ad una Chiesa di S. Tirso, fondata da Cesario ch’era console l’anno 397; e la memoria di quelle reliquie era quasi spenta del tutto. Ad onta delle caritatevoli brame del D. Jortin (Osservazioni, tomo IV. p. 234) non è facile credere che Pulcheria non abbia avuto parte nella pia frode, avvenuta, a quanto pare, quand’ella aveva più di trentacinque anni.
  72. V’è una differenza notabile fra i due Storici ecclesiastici, che in generale hanno tanta somiglianza fra loro. Sozomeno (L. XI. c. 1) attribuisce a Pulcheria il governo dell’Impero, e l’educazione del fratello, ch’egli appena s’induce a lodare. Socrate, quantunque affettatamente rigetti ogni speranza di favore o di fama, compone un elaborato panegirico dell’Imperatore, e cautamente sopprime i meriti della sorella (l. VII. c. 22, 42). Filostorgio (l. XII. c. 7) esprime l’influenza di Pulcheria in un tuono gentile e da cortigiano τας βασιλικας σημειωτεις υπηρετουμενη και διενθυνουσει (osservando e dirigendo le Imperiali sottoscrizioni). Suida (Excerpt. p. 53) fa il vero carattere di Teodosio, ed io ho seguitato l’esempio del Tillemont (Tom. VI. p. 25) nel prendere alcuni tratti da’ Greci moderni.
  73. Teodoreto (L. V. c. 37). Il Vescovo di Cirro uno dei primi uomini del suo secolo per la dottrina e per la pietà, applaudisce all’ubbidienza di Teodosio verso le divine leggi.
  74. Socrate (L. VIII. c. 21) fa menzione del suo nome, (ch’era Atenaide figlia di Leonzio, Sofista d’Atene) del suo battesimo, matrimonio, e genio poetico. Il più antico ragguaglio della sua storia è presso Gio. Malala (Part. II. p. 20, 21, edit. Venet. 1753) e nella Cronica Pasquale (p. 311, 312). Questi autori avevano probabilmente veduto le pitture originali dell’Imperatrice Eudossia. I Greci moderni (Zonara, Cedreno) hanno dimostrato la voglia piuttosto che il talento di fingere. Mi sono arrischiato però a prendere da Niceforo l’età di lei. Lo scrittor d’un romanzo non avrebbe mai immaginato, che Atenaide avesse quasi ventotto anni, quando accese il cuore d’un giovane Imperatore.
  75. Socrate L. VIII. c. 21. Fozio p. 413, 420. Tuttavia sussiste il centone Omerico, ed è stato più volte stampato; ma si pone in dubbio da’ critici il diritto d’Eudossia a quella insipida composizione. Vedi Fabric. Bibl. Graec. Tom. I. p. 357. La Jonia, dizionario miscellaneo d’istoria e di favola, fu compilato da un’altra Imperatrice nominata Eudossia, che visse nell’undecimo secolo; e l’opera tuttora è manoscritta.
  76. Il Baronio (Annal. Eccl. an. 438, 439) è copioso, e florido; ma viene accusato di porre le favole di varj tempi al medesimo livello d’autenticità.
  77. In questa breve occhiata sopra la disgrazia d’Eudossia, ho imitato la cautela d’Evagrio (l. I. c. 21 ), e del Conte Marcellino (in Cron. an. 440 e 444). Le due autentiche date, che si assegnano da quest’ultimo, rovesciano una gran parte delle finzioni Greche; la celebre storia del pomo ecc. è buona solo per le Notti Arabe, dove può trovarsi qualche cosa non molto dissimile.
  78. Prisco (in Excerpt. Legat. p. 69) contemporaneo e cortigiano, fa seccamente menzione del nome Cristiano e Pagano di essa, senz’aggiungere alcun titolo d’onore o di rispetto.
  79. Quanto a’ due pellegrinaggi d’Eudossia, ed alla sua lunga residenza in Gerusalemme, alle sue devozioni, elemosine ec. Vedi Socrate (l. VII. c. 47) ed Evagrio (l. I. c. 20, 21, 22). La Cronica Pasquale può meritare alle volte del riguardo, e nell’istoria domestica d’Antiochia Gio. Malala diventa uno scrittore di buon’autorità. L’Abate Guenée in una memoria sulla fertilità della Palestina, di cui non ho veduto che un estratto, calcola i doni d’Eudossia a 20,488 libbre d’oro, che sono più d’ottocentomila lire sterline.
  80. Teodoreto l. V. c. 39, Tillemont Mem. Eccl. T. XII, p. 356, 364, Assemanni Bibl. Oriental. Tom. III. p. 396. Tom. IV. p. 61. Teodoreto biasima la temerità d’Abdas, ma innalza la costanza del suo martirio.
  81. Socrate (l. VII. c. 18, 19, 20, 21) è il migliore autore per la guerra Persiana. Possiamo ancora consultar le tre Croniche, la Pasquale, e quelle di Marcellino e di Malala.
  82. Questo racconto della rovina e divisione del regno di Armenia è presa dal terzo libro dell’Istoria Armena di Mosè di Corene. Mancante, com’egli è, d’ogni qualità di buono Istorico, la pratica de’ luoghi che ha, le sue passioni, ed i suoi pregiudizi, sono forti prove ch’egli era nativo e contemporaneo. Procopio (de Aedific. l. III. c. 1, 5) riferisce i medesimi fatti in una maniera molto diversa; ma io ho estratto le circostanze per loro stesse più probabili e meno contrarie a Mosè di Corene.
  83. Gli Armeni occidentali usavano la lingua ed i caratteri Greci ne’ loro ufizi di religione: ma i Persiani proibirono l’uso di quel nemico linguaggio nelle Province orientali, che furon costrette ad usare il Siriaco, sintatochè Mesrobe, nel principio del quinto secolo, inventò le lettere Armene, e fu successivamente fatta la versione della Bibbia in quella lingua; avvenimento, che rallentò l’unione della Chiesa e della nazione con Costantinopoli.
  84. Mosè di Corene l. III. c. 59. p. 309 e p. 358. Procop., de aedif. l. 3. c. 5. Teodosiopoli è, o piuttosto era, trentacinque miglia all’oriente d’Arzerum, moderna capitale dell’Armenia Turca. Vedi Danville, Geogr. an. Tom. II p. 99, 100.
  85. Mosè di Corene (l. III. c. 63 p. 316). Secondo l’istituzione di S. Gregorio, Apostolo dell’Armenia, l’Arcivescovo era sempre della famiglia reale; circostanza che in qualche modo correggeva l’influenza del carattere sacerdotale, ed univa la mitra con la corona.
  86. Tuttavia restò un ramo della casa reale d’Arsace col grado, e i diritti (come sembra) di Satrapo Armeno. Vedi Mosè di Corene l. III. c. 65 p. 321.
  87. Valarsace fu creato Re d’Armenia dal Re de’ Parti suo fratello subito dopo la disfatta d’Antioco Sidete (Mos. di Corene l. II. c. 2 p. 86) cento trent’anni prima di Cristo. Senza appoggiarci ai varj e contraddittorj periodi de’ regni degli ultimi Re, possiamo esser sicuri, che la rovina del Regno di Armenia successe dopo il Concilio di Calcedonia l’anno 451. (l. 3 c. 61 p. 312), e sotto Veramo o Baram Re di Persia (l. III. c. 64 p. 317), che regnò dall’anno 420. al 440. Vedi Assemanni, Bibl. Orient. Tom. III. p. 396.