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dell'impero romano cap. xxxii 283

seppe più altro nè del padre nè del figlio1. Ma l’ingrato Bargo invece di poter godere il premio del suo delitto, fu subito dopo ingannato a distrutto dalla più potente malvagità del Ministro medesimo, che aveva senso e spirito a sufficienza per abborrir l’istrumento de’ propri misfatti.

[A.397] L’odio pubblico, e la disperazione de’ particolari continuamente minacciavano o pareva che minacciassero la personal salvezza d’Eutropio, non meno che dei numerosi aderenti, ch’erano attaccati alla sua fortuna e promossi dal venal suo favore. Immaginò dunque per la comune loro difesa la salvaguardia d’una legge, che violò qualunque principio d’umanità e di giustizia2. I. Fu ordinato in nome, e coll’autorità d’Arcadio, che tutti coloro che avessero cospirato coi sudditi o con gli stranieri contro la vita di alcuna di quelle persone, che l’Imperatore considerava come membra del suo proprio corpo, sarebbero puniti con la morte e con la confiscazione. Questa specie di fittizia e metaforica lesa Maestà si estese a proteggere non solo gl’illustri ufiziali dello Stato e dell’esercito, che erano ammessi nel sacro Concistoro, ma anche

  1. Zosimo L. V. p. 300. Pure sembra sospettare, che si spargesse questo romore dagli amici d’Eutropio.
  2. Vedi il Codice Teodosiano (Lib. IX, tit. 14, ad legem Cornel, de sicariis leg. 3), ed il codice di Giustiniano (Lib. IX. Tit. 8. ad legem Juliam majestat. leg. 5). L’alterazione del titolo dall’omicidio al delitto di lesa Maestà, fu un’invenzione del sottil Triboniano. Il Gotofredo in una disertazione apposta, che ha inserito nel suo comentario, illustra questa legge d’Arcadio, e ne spiega tutti i passi difficili, che si erano pervertiti da Giurisconsulti de’ secoli più tenebrosi. Cod. Tom. III. pagina 88, 111.