|
dell'impero romano cap. xxxii |
319 |
padre e dello zio. Arcadio ed Onorio erano stati assistiti dalla vigilante cura d’un padre, le lezioni del quale prendevan vigore dall’autorità e dall’esempio. Ma l’infelice Principe, che nasce nella porpora, dee rimanere straniero alla voce della verità; ed il figlio d’Arcadio fu condannato a passare la sua perpetua infanzia, circondato solo da una servil truppa di donne, e di eunuchi. Il grand’ozio, che aveva, perchè trascurava gli essenziali doveri dell’alto suo grado, era occupato in vani divertimenti ed inutili studj. La caccia era l’unica occupazione attiva, che lo tentasse ad uscire da’ confini del suo palazzo; ma con più grande assiduità esercitavasi talvolta al lume d’una notturna lampada, ne’ meccanici lavori di dipingere e d’incidere; e l’eleganza, con cui trascriveva i sacri libri, fece acquistare al Romano Imperatore il singolar epiteto di Calligraphos, o di bello scrittore. Teodosio, separato dal Mondo mediante un impenetrabile velo, affidavasi alle persone che amava; amava quelli ch’erano assuefatti a divertire e lusingare la sua indolenza; e siccome non leggeva mai i fogli, che gli erano presentati per la reale sottoscrizione, frequentemente si facevano in nome di esso gli atti d’ingiustizia più ripugnanti al suo carattere. L’Imperatore, quanto a sè, era casto, temperante, liberale e compassionevole: ma queste qualità, che possono meritar solo il nome di virtù, quando vengono sostenute dal coraggio, e regolate dalla discrezione, rare volte furono di vantaggio, e qualche volta divenner dannose al genere umano. Il suo spirito, snervato da una educazione regale, era oppresso e abbattuto da una vile superstizione: ei digiunava, cantava i salmi, e ciecamente
ammetteva i miracoli e le dottrine, colle quali era continuamente nutrita