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dell'impero romano cap. xxxii | 303 |
de’ suoi eguali. Conoscendo la purità delle proprie intenzioni, e forse la superiorità del suo genio, l’Arcivescovo di Costantinopoli estese la giurisdizione della città Imperiale, per poter ampliare la sfera delle pastorali sue cure, e la condotta, che il profano attribuiva ad un ambizioso motivo, comparve allo stesso Grisostomo nell’aspetto d’un sacro ed indispensabil dovere. Nella visita, che fece per le province Asiatiche, depose tredici Vescovi della Lidia e della Frigia; e dichiarò indiscretamente che tutto l’ordine Episcopale era infettato da una profonda corruzione di simonia e di licenziosità1. Se que’ Vescovi erano innocenti, tal temeraria ed ingiusta condanna doveva eccitare un ben fondato disgusto. Se poi erano rei, i numerosi compagni del lor delitto dovevan tosto conoscere, che la propria loro salvezza dipendeva dalla rovina dell’Arcivescovo, che procurarono di rappresentare come il tiranno delle Chiese orientali.
Questa ecclesiastica cospirazione fu maneggiata da Teofilo2 Arcivescovo d’Alessandria, attivo ed ambizioso Prelato, che impiegava i frutti della rapina in monumenti d’ostentazione. Il nazional suo contraggenio verso la nascente grandezza d’una città, che lo faceva retrocedere dal secondo al terzo grado nel Mondo Cristiano, era inasprito da qualche disputa personale col Grisostomo stesso3. Per un segreto invito
- ↑ Grisostomo dichiara liberamente la sua opinione (T. IX. Homil. III. in Act. Apostol. p. 29), che il numero dei Vescovi, che si potevan salvare, era ben piccolo in paragone di quelli, che si sarebber dannati.
- ↑ Vedi Tillemont, Mem. Eccles. Tom. XI. p. 441-500.
- ↑ Ho tralasciato a bella posta la controversia, che nacque