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dell'impero romano cap. xxxii 295

cati, finattantochè non ebbero distrutti i loro avversari, che si erano ritirati alla Chiesa, o conventicola degli Arriani. Gaina o non era consapevole di tal disegno, o troppo confidava nella sua fortuna: egli restò sorpreso alla notizia, che il fiore del suo esercito era stato senza gloria distrutto; che egli stesso era dichiarato nemico pubblico; e che Fravitta, suo nazionale, bravo e fedele confederato, avea preso il maneggio della guerra per terra e per mare. Le imprese del ribelle contro le città della Tracia, incontrarono una costante e ben ordinata difesa: i soldati di lui furon tosto ridotti a cibarsi dell’erba che nasceva sul margine delle fortificazioni; e Gaina, che vanamente sospirava la ricchezza ed il lusso dell’Asia, prese la disperata risoluzione di forzare il passaggio dell’Ellesponto. Era privo di vascelli; ma gli alberi del Chersoneso somministrarono i materiali per far delle zattere, e gl’intrepidi suoi Barbari non ricusarono di affidarsi a’ flutti del mare. Fravitta però attentamente osservava il progresso della loro impresa. Appena erano essi giunti alla metà del corso, che le galere Romane1, spinte dalla piena forza dei remi, della corrente,

  1. Zosimo (l. V. p. 319) fa menzione di queste galere dando loro il nome di Liburnie, ed osserva, ch’esse eran tanto veloci quanto i vascelli con cinquanta remi, senza spiegare la differenza ch’era fra loro; ma che in celerità eran molto inferiori alle Triremi, che da gran tempo erano andate in disuso. A ragione però conclude, coll’autorità di Polibio, che al tempo delle guerre Puniche si eran costrutte galere di assai maggior grandezza. Dopo lo stabilimento del Romano Impero sul Mediterraneo, probabilmente s’era trascurata, ed alla fine dimenticata l’inutile arte di costruire grosse navi da guerra.