Prediche volgari/Predica XXXVIII

Predica XXXVIII

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Predica XXXVII Predica XXXIX

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XXXVIII.

Dei mercatanti e de’ maestri,
e come si den fare le mercanzie.1

Timete Deum (Iterum, ubi supra). Perchè nel dì precedente il mio dire fusse in genere agli uomini e a le donne, nondimeno più toca2 a le donne che agli uomini. Oggi voltaremo un poco mantello, che diremo che toccarà più agli uomini che a le donne; che per lo mancamento del timore di Dio, inverso gli uomini Idio manda talvolta e’ suoi fragelli. Quando Iddio vede uno popolo uso a mal guadagnare e illicitamente, vuole e permette che come viene da mal guadagno, così vada male. Egli fa verificare quel detto: di mala via venne el pepe, e mala via prese. Io dirò così qui, come io ho detto in altri paesi inverso quelli che hanno ragunata la robba di mal guadagno: Idio dice a questi tali: — Se’ tu ripieno? Egli bisogna che tu ti purghi. — Udisti voi mai quello che bisogna a chi è ripieno? Egli bisogna a chi è ripieno di mali omori, argomenti, cristeri, acciò che si purghino dentro.

Noi parlaremo stamane de le vostre mercanzie e dei vostri barochi o bistratti che voi diciate; e credomi che questa sarà de futili prediche che voi aviate da me udite; considerando quanto è necessaria cosa l’arti ne le [p. 215 modifica] città e mestieri, e quanto so’ utile cosa, quando s’esercitano lecitamente. E perchè è bisogno el sapergli ben fare e drittamente, è necessità el parlarne a la chiarozza; imperò che egli è sì intrarotto ogni buono costumo, che non ci si fa quasi nulla altro che con peccato. E però voglio che questo sia el nostro fondamento; e vedremo che non si può ben vivare, se non si fanno l’arti e mestieri puramente. E non può mai bene stare una città, avendo questi tre vizî. Prima, se ha cechità ne lo intelletto: sicondo, se ha terrena volontà ne lo effetto: terzo, se ha gattiva operazione nella opera. E ogni volta che una anima ha queste cose, sempre è piena di mali omori. Questi so’ tre vizî con tre propietà. E però ogni volta che uno si mette in mercanzia, si conviene che sappi tenere le mani in su’ suoi: e ogni volta che tiene la mano al freno de la ragione, ogni volta capitarà male. Se tu vorrai èssare buono mercatante, ti bisogna avere tre virtù, come discerne3 Davit a lxx Salmi: Quoniam non cognovi negotiationem4, introibo in potentias Domini. Domine, memorabor iustitiae tuae solius: Perchè io non ho cognosciuto la negoziazione, cioè la mercanzia, entrarò ne la potenzia del Signore. Signore, io mi ricordarò de le tue giustizie solamente. Prima ti conviene avere la intelligenzia illuminata contra a la ignoranzia, e non accecata, perchè l’anima non sia ingannata. E però dice: Quoniam non cognovi negotiationem. Sicondo, ti conviene avere la buona volontà innamorata di Dio, dove dice: introibo in potentias Domini. La prima, ti conviene èssare illuminato; el sicondo, innamorato di Dio; el terzo, ti conviene avere l’opera timorata: operazione timorosa. [p. 216 modifica] E però dice: Domine, memorabor iustitiae tuae solius. Che se tu avarai il timore di Dio, dicendo: — Signor mio, io ho a capitare a le tue mani, e sicondo che âro fatto, così mi darai. 5

Io t’ho mostrato in queste tre parole il dritto e rivercio di ciò che tu hai a fare, e di ciò che tu hai da guardare del fatto de la mercanzia: piglia qual vuoi, che tu puoi comprèndare quello che ti bisogna. Ma per meglio èssare inteso, io ti vo’ dire che sei rispetti si díe avere inverso colui che fa e usa la mercanzia. E uno v’agiógnarò, che è di Scoto nel quarto.

La prima è, che si díe considerare la persona che fa la mercanzia. Sicondo è, considerare l’animo di chi aduopara la mercanzia. Terzo, si díe considerare il modo con che si fa la mercanzia. Quarto, si díe pensare il luogo dove la mercanzia s’esercita. Quinto, si díe considerare il tempo quando s’esercita la mercanzia. Sesto, si díe ragùardare al consorzio con cui si pratica la mercanzia. El settimo ci agiógnamo, che è di Scoto: per lo ben comune si díe esercitare la mercanzia. E se tu intendaraì bene ciò ch’io ti dirò stamane in queste sette circostanze, mai non potrai errare, nè fare la tua mercanzia con pecato, se tu ti guardi da quello ch’io ti dirò. Che faremo prima? Prima levaremo il vizio, amonendo quelli che male esercitano la mercanzia. Per lo vizio potrai intèndare la virtù, come per lo dritto si cognosce el rivercio. Al rivercio.

Prima, dico che la mercanzia diventa illecita, considerando la persona, che è il primo de’ sette. Perchè m’intenda: a me che so’ frate, non m’è lecito [p. 217 modifica] d’impiccare uno, però che non è mia arte; quella è arte da secolari. E così, dico, non è lecito a niuno frate nè prete. E così vo’ dire che nè a frate nè a prete non è lecito di fare quello che dien fare i secolari. El prete e ’l frate díe attèndare all’uffizio de la chiesa e a la salute dell’anime. El secolare ha l’arti e ha le mercanzie. Questo è il fondamento; e dicoti che egli è peccato mortale a noi grandissimo. E inde dice santo Ieronimo a lxxxviij distinzione: Fornicari semper non licet: negotiari autem antequam fiat: Non è lecito sempre a fare la fornicazione, ma guadagnare innanzi che si facci la robba. Non vedi tu che prima che tu t’impacci a trafficare, che tu v’hai fatto il peccato su? Perchè e’ non t’è lecito, lassala al secolare. Così ne lo Eclesiastico: Licet, post non licet: È lecito, e poi non è lecito. Vuolo vedere chiaramente? El fornicare è illecito, ma il mercatare è lecito. Ma costui che è fatto religioso, non gli è lecito più di mercatare. O non è lecito a prete a véndare il suo grano, avendone d’avanzo, per aver de’ denari, per comparare di quelle cose che egli ha di bisognp? Sì. E a compararne? Dico che sì. Quello che si può fare, ode Paolo scrivendo a Timoteo, cap. iij: Nemo militans Deo se implicat in opere saeculari6. Nè voi secolari dovete dare uffizio a religiosi; nè anco i religiosi nol debbono accettare, nè cercare, nè esercitare. Non si díe impacciare il religioso a le cose seculari; no. Doh, ditemi cittadini: voi fate i vostri bossoļi7; [p. 218 modifica] mettetevi voi e’ frati? Se voi ve gli mettete, mettetevi anco me. Voi vi date a crédare che i vostri camarlenghi del Comuno secolari abbino furato di quello del Comuno, e però forse gli volete fare che sìeno frati. E’ frati forse non furano?8 Oh, egli è il mal segno, che per questo voi vogliate camarlengo religioso!9 O che benedizione è questa, che voi aviate sospetto l’uno dell’altro? Io ve l’ho detto e dico per detto di Pavolo: non v’impacciate de’ religiosi. Non basta egli che voi andiate a casa del diavolo per volere i vostri uffizi, senza che voi v’ingegnate di cacciarvi anco noi? Non hanno altro in bôca, se none: — noi non ci fidiamo. —

Io ti dico che gli è un mal segno. Voi non potete fare cosa accetta a Dio dandogli contra, e contra a coloro che hanno ordinato il corpo de la santa Chiesa. Sapete che vi ricordo, poichè voi volete che eglino abino gli uffizi? Fate che e’ portino e’ panni secolareschi; che e’ portino il cappuccio alla rimbecchetta, e che abbino il i farsettino al bellico! E farai saramento, che chi n’è cagione, o vuoi per lo passato è stato cagione10, che niuno [p. 219 modifica] religioso abbi âuto uffizio di Comuno, io ne so’ certo che egli ha fatto peccato grandissimo, mortale11; però che egli gli ha fatto fare quello che non gli era, nè è, nè sarà mai lecito: e dico che chi ne fu cagione, è tenuto a restituzione ogni denaio ch’el Comuno ne fusse venuto in danno. Oh, bella cosa, ch’e’ mi volevano fare capitano de’ bossoli! Oh, io voglio essere poi castellano di Montalcino! Io mi penso bene, che a buona intenzione voi il volevate fare; ma diciamo: non debbo io sapere come egli non n’è lecito? Doh, doh! Oh, io sarei stato il buon pecorone! Non mi cogli già me, sì bene! Oh, egli sta bene che sia pagato il manigoldo da colui che è prete e camarlengo del Comuno? Che appartiene al suo uffizio? Oh, e’ sarà ben fatto dipoi che vada a dir messa? Ma diciamo: che credi tu ch’e’ facci uno religioso che sia ora camarlengo? Tutta notte sogna che egli conta denari, e per lo sonno dice tuttavolta: quatro, sei, otto, e sempre conta. Io mi credo di me, che se io fussi a tale uffizio, ch’io furarei più che non furano gli altri. Doh, fate i vostri fatti, non date mattana a loro, e las— sate fare a loro il loro. Oimmè, che quando io penso il peccato che voi fate, sì el secolare e sì il religioso, io triemo di paura! Voi avete presa una bella amistà coi frati, che voi vi volete impacciare de’ fatti loro, e vo— lete ch’e’ frati s’impaccino de’ vostri. Non fare, non fare. Reddite quae sunt Caesaris Caesari, et quae sunt Dei Deo12: Io vi dico che voi diate quello che è di Cesare a Cesare, e quello che è di Dio a Dio. Lassate fare il [p. 220 modifica] loro uffizio a loro, e voi vi fate il vostro. Non mescolate le lance co le mannaie. Non v’intramettete ne’ fatti loro, ch’io v’annuzio, se voi v’impacciate l’uno dell’altro, voi cadrete in peccato mortale, e se morite con esso, a casa calda l’uno e l’altro. Guarda uno detto di Ieronimo a xxviij cap.: Clericum negotiatorem et ignobìlem inopem, gloriosum. Quando tu vedi uno chierico negoziatore che s’impaccia di molte cose, quando di questo quando di quello, e di pòvaro egli diviene in niuna ricchezza, credemi che egli è da toccare col fuscello, e dico che egli è un grande pericolo a bazzicare con lui. E però dico che la prima cosa che si díe fare, si díe attèndare a la persona che fa la mercanzia, se egli è secolare o religioso. — La nebbia è già ita via.

La siconda considerazione si díe avere a colui che fa la mercanzia, con che animo e’ la fa. Io te ne dissi ieri, oggi te ne ridirò. Dico che se egli il fa per règgiare la sua famiglia, o per uscire di dévito, o per maritare fanciulle; dico che gli è lecito. Ma che diremo di colui che non n’ha bisogno, che s’afanna cotanto, fa qua, fa là, fa questo, fa quello, e mai non si ristà? Dico che se non fa per li pòvari, egli peca mortalmente, però che questo tale ragunare si chiama pecato d’avarizia. Ma mira s’io dico il vero! Se egli non n’ha bisogno e raguna pur per sè, pur per sè, che credi che questo sia? Non altro che avarizia. Se egli non n’ha bisogno lui, egli il díe dispensare a’ pòvari, o a spedali, o in cose piatose. E se altro ne fa, egli si vede che per miseria avarizia guadagna e raguna, e ârallo sue genti, o parenti, o nipoti, o fratelli, o cugini, o genti che mai non si ricordaranno più di lui. E di ciò dice ne lo Ecclesiastes: Unus est et secundum non habet, non filium non nepotem; et [p. 221 modifica] tamen laborare non cessat, nec satiantur oculi tui13. Egli non ha figliuoli, nè non ha nipoti; egli non ha persona per sè, e va facendo la mercanzia con cotanta sollecitudine. Egli si leva per tempo la mattina affannato. O che ne farai, chè pur raguni? E égli detto spesso spesso, e dietro e innanzi; — Oh, egli è il buon massaio! — Oh, egli vi starebbe quanto bene la risposta, e dirgli: — Ciò che luccia14 non è oro: — che monta a dire, uno avaro non si sazia mai. Se egli volesse dire: — Oh, io lassarò il mio a’ miei parenti, — e’non s’avede, che poi la robba mal guadagnata viene a le mani a gente che si fanno beffe di lui. Relinquet alienis, divitias suas extraneis: — La robba sua mal guadagnata vien poi a le mani de li strani. — Sai che si può dire che sieno li strani? Sono coloro che disiderano che egli muoia per avere la robba sua. Oh, quelli so’ veramente strani! Egli s’afanna sempre mai, che non ne sa godere nulla: un altro verrà, che la saprà godere e possedere meglio che non hai fatto tu; chè in molto tu l’hai guadagnata, e in poco tempo sarà sperta. Doh, pon mente a quello ch’io dirò: che sarà un avaro che penarà a ragunare la sua richezza uno longo tempo, sempre affatigatosi di dì e di notte. E se pure ârà figliuoli, si converrà che si partano l’uno dall’altro, e a fatiga ve ne sarà uno che sappi o vogli fare massarizia; e se non ha figliuoli, e’ parenti la parteno fra loro, dandosi piacere e buon tempo. E tu hai stentato sempre mai a ragunarla male; e stentarai sempre mai per averla ragunata! Or va’, fanne massarizia; va’, va’, che tu hai ben fatto. Oh, ell’è mala bestia [p. 222 modifica] l’avarizia! Vedi che col durare fatiga e dì e notte, mai non si cavò la voglia di nulla! E però è detto nello Eclesiastico al V cap.: Avarus non satiabitur pecunia15; L’avaro non si sazia però de la pecunia: — quanta più n’ha, più ne disidera.

Voliamo vedere s’io dico il vero? Or proviallo. Oi avaro, che vorresti tu? — Io vorrei dieci mila fiorini: s’io avesse dieci mila fiorini, io mi credarei star bene, — Or tèlli.16 Hâgli? — Sì. — Oltre. Che n’hai fatti? — Oh, io gli spesi; io ne voglio più. Egli se n’è andato uno mio mezzaiolo che io gli avevo prestati cento fiorini: io n’ho messi in bestiame; egli mi bisognò cinquanta fiorini per aconciare una casa; egli me ne bisognano più. — Oltre. Quanti ne vuoi? — Io ne vorrei almeno almeno quindicimila. — Già vedi che gli è cresciuto l’animo. Oltre: tògli. Che ne farai? Halo avvisato? — Sì. Io ho allato a la mia una casa che mi s’affarebbe molto bene; e così è una pocissione, che mi tramezza fra due ch’io n’ho: s’io la potesse avere, non sarebbe persona che mi potesse far danno; elle sarebbero insieme insieme. — E subito o in questo o in quello egli li spende tutti, e anco s’ingegna d’averne più. — Io vorrei più denari, — O a che te ne bisogna tanti? — Oh, s’io n’avessi un pochi più, per certo io credo ch’io non ne cercherei poi più! — Oltre. Quanti ne vuoi? — Io ne vorrei almeno almeno venticinque mila. — O che ne faresti di tanti? — Oh, che ne farei? Egli è una fortezza in un luogo che mi s’affarebbe molto, e anco vorrei da ogni porta una pocissione: io so’ schifo de la nebbia; se la nebbia [p. 223 modifica] fusse da una porta, e io andarei all’altra dove non fusse la nebbia. Egli vorrebbe forgie, vestimenti: che monta a dire, che se egli n’avesse cento delle migliaia, egli non sarebbe contento. Mai non si sazia uno ricco; e per questo dice Iddio:17 Mittam famem super terram: Io méttarò la fame sopra a la terra. Che se tu consideri l’avaro, egli non ha mai tanta robba, che non gli paia stentare. Ècci niuno di voi che abbi tanta robba che gli basti? Se ce n’è niuno, sì rizzi il dito. Oh, voi non rizzate il dito, niuno! Questo è segno che tutti sête avari, e così voi, donne. Or andate a fare de la mercanzia assai; chè voi vedete, non avendone bisogno, ogni volta fate peccato mortale, se voi non la date a’ pòvari per l’amore di Dio. Questa è la conclusione d’Alisandro. Va’, guarda a xlvij distinzioni nel cap. che comincia: Omnis et sicut, e trovarai come questa avarizia è condennata. Simile dice David:18 In circuitu impii ambulant, quia numquam finem inveniunt: Nel circuito de’ gattivi vanno, però che mai non trovano fine. Questo si vede per molti, che se potessero, sbudellarebero Cristo per far corde di leuti. Sai che cerchi, se tu vorrai trovare il fondo dell’avarizia? Come se tu cercasse il capo intorno a uno cerchio. Uno avaro può ben trovare il principio, ma non la fine. Fa’ ragione d’aver a cercare il principio del Campo19, e aggira attorno attorno a la selice; tu trovarai bene il principio dove cominciarai, ma non la fine. Così dico a te, avaro, che raguni: tu avesti bene il principio, ma tu non ârai mai fine. Cerça nel Libro de’ re a xxv cap: Anima inimicorum tuorum [p. 224 modifica] rotabitur sicut in impetu: — L’anima de’ tuoi nemici si rotarà con uno impito, che tutto si struggiarà. — O fanciulli, sapete voi gittare la rombola quando v’è dentro la pietra? Che l’unmo capo tieni legato al dito, e fai così, e aggiri aggiri, e poi esce e lassi l’uno capo de la romboia. Che credi che sia quel fare così e avòllare? Quello la fa uscire più furiosa, e anco va più a lònga. Ij per questo disse Idio: — Tu hai gittata l’anima del tuo nemico a lo inferno, e così vai a casa del diavolo pei la tua maladetta avarizia. —

Hai in santo Luca al xij cap. di quello rico che aveve ragunato molto grano ne’ granai, di molto vino nel cellaio, di molta carne ataccata, di molte cose; e per averti più spazio a serbare la robba, egli accresceva i granai aspettando la carestia, e godendo fra sè medesimo, diceva Anima mea ec.20: — Anima mia, tu hai molta robba ragunata tu hai del grano pieno i granai, tu hai pieno el cellaio di vino, tu hai de le pocissioni assai, tu hai de’ denari tu se’ giovano, tu se’ gagliardo, tu se’ ben vestito: egli non ti manca nulla. O che, morire? Tu non morrai mai — E stando con queste parole fra sè medesimo, e eco una voce e dice: — tu menti per la gola.— (E credomi che e’ fosse quando egli se n’andava a letto; forse mentre che egli si scalzava). E quella voce gli disse: — Tu morrai in questa notte e mancaratti ogni cosa, e l’anima tua andarà a casa del diavolo, e la robba che tu hai tanto tempo ragunata, rimarrà di qua a genti che tu non le cognoscesti mai21. — Or va’, raguna. Vedi che per altrui [p. 225 modifica] hai ragunato e hai perduta l’anima! Al fine di riposo, sempre affanno che talvolta quando ti pare stare meglio e più in agio, e eco la morte che giógne di subito, come giógne la pietra quando esce de la rombola. E quanti essempli n’hai, o avaro! Crede a chi ha bilanciato il mondo; quale è meglio o a ragunare o a dare per Dio? Sappi che per niuno modo non è lecito a ragunare, se non per colui che n’ha bisogno. E così dico a te, religioso: lassa stare le mercanzie a’ mercatanti, e tu ti da’ pensiero di dire bene l’uffizio, come tu se’ tenuto. O preti, o frati, sòccene? Io vorrei che stamane ce ne fusse assai. Ma diciamo a questi che ci so’. Udiste voi mai che niuno si facesse coscenzia de la robba che è guadagnata, poi che altri22 è stato rico; come assai ne so’ che non hanno bisogno, e pur vogliono avanzare? Non io, non ne trovai mai niuno, io; non so’ come voi v’avete fatto, voi. Doh! io voglio che noi veniamo a la pratica. Cerca uno cittadino che abbi de la robba assai, che e’ sia rico tu vedi che egli non n’ha bisogno, e egli pure raguna per sè, e non se ne fa niuna coscenzia, però che, come io t’ho detto, quella robba non sua, anco è di colui che n’ha bisogno. E lui dirà: No, io n’ho bisogno per me: e pargli23 forse dire il vero: ma e’ non si vuole stare a tuo giudicio, ma piuttosto a giudicio d’uno che non sia appassionato nè di te, nè di niun altro, ma che giudichi a drittura. Trovarai ch’e’ dirà altramente, ma credemi ch’altro il tira: egli si crede avere a vivare sempre mai, e crede che ogni cosa che egli raguna, gli verrà a bisogno, perchè egli crede invechiare, e quando egli sarà vechio non potrà guadagnare, [p. 226 modifica] e però se la serba per sè e non la vuoi dare al pòvaro. Egli dice: io la voglio serbare a’ miei bisogni più ratto che al bisogno degli altri; prima debbo sovvenire me che ’l prossimo. Questo io tel confesso; ma dimmi tu a me: se uno è vechio che ha cento anni, e ha el valere di dieci mila fiorini, bisognagìi serbare per sè? Credi tu tanto vivare, poichè tu se’ vechio, che tu logri in bisogno dieci mila fiorini? Tu se’ errato: questa non-è altro che cupidità, e inganni te medesimo. Io ti dico che se tu hai de la robba assai e non n’hai bisogno, e tu non la dispensi e muori, che tu te ne vai a casa calda. E così ti dico, se tu non hai bisogno di guadagnare, debbi lassare guadagnare a chi n’ha bisogno. Eppure, se tu vuoi guadagnare e esercitare la tua persona, tu farai bene se tu dai poi quello guadagno in limosine a pòvare persone, a spedali, o dove tu vedi il bisogno maggiore. Credo ch’io te l’ho detto per modo che mi so’ fatto intèndare.

Vénardì e sabbato che viene, fate che voi ci veniate, ch’io vi vorrò predicare de la limosina come voi la dovete fare, e credevi dire di belle e utili cose. Donne, io ho anta buona relazione di voi, e vòvene commendare; chè ho udito che voi avete fatto di buone operazioni per questi prigioni; voi avete fatto molto bene, e trovarete che voi ne sarete da Dio meritate e in questa vita e nell’altra. Centuplum accipietis et vitam aeternam possidebitis.24 Domane, io vi vorrò parlare d’una materia molto utile per la vostra città, dove voi impararete in che modo si può placare Idio, quando egli volesse mandare uno giudicio sopra uno popolo. E credomi che ella sarà dell’utili prediche che voi aviate da me udite. [p. 227 modifica]

Tòlle la terza circostanzia, ne la quale vedremo come la mercanzia diventa inlecita, perchè ella sia ben guada.gnata. E questo si è in quanto al modo del guadagnarla. E se io non dicesse altro che questo se, ârò detto assai. Bisogna vedere il modo come si guadagna. Vediamo quatro cose circa al modo. Prima, bugie in copia: sicondo, giuri e spergiuri; terzo, falsità; quarto, scilosismi mercatanteschi, e terribili e intrigati atti e modi.

Prima vediamo de le bugie che s’usa ne le mercanzie. Dico che so’ molti che pare che eglino abbiano giurato di non véndare e non comperare niuna cosa, che almeno almeno non vi si dica su una dozzina di bugie. De’ quali è detto ne’ Proverbi al xx cap.: Omnis emptor dicit, malum est.nota Doh, diciamo pur d’uno che vorrà comprare uno paio di scarpette. Egli giógne al calzolaio: Che vuoi di queste scarpette? Vuòne venti soldi. A le vagnèle, non darò. Doh, tolle, ch’io ti prometto che elle so’ de le perfette da divero: e mente per la gola. Che ne vuoi tu al meno? Io non ne vo’ meno: a le vagnèle, ch’io n’ho potuto avere diciotto soldi. Hai già uno spergiuro, che non fu vero. Vuòne tu quindici? No: io ti prometto che tu non trovarai migliori scarpette in questa città che queste. Io non te ne darò più che quindici soldi. Tu mentirai anco tu. Oltre, in buon ora: dàmme diciotto soldi, come io n’ho trovato già parechie volte. A le vagnèle, io non te ne darò più. A le vagnèle, tu non l’ârai. E poi infine egli le darà, e colui le tórrà per diciassette, poichè ognuno ârà giurato e spergiurato parechie volte. Inde Iob di questi pariando: Panem iniquitatis comedunt, [p. 228 modifica] neque hihunt nisi subplantaverint25: — Eglino mangiano il pane della iniquità, cioè co le bugìe, e mai non beiono, se non l’hanno piantata, cioè co li inganni: — e non pare che possine vivere, se non fanno a questo modo. E inde nell’Apocalisse a xiij cop.: Et ne quis possit emere aut vendere, nisi habeat characterem nominis bestiae: — Niuno non può comperare o véndere, se non quello che ha la carattere del nome della bestia. — E ’l nome della bestia è Antecristo; e ’l segno si è la bugia e la menzogna, la quale sempre ârà con seco, però che egli sarà contrario a la verità. Di Cristo è detto: Ego sum via, veritas et vita26. E Antecristo sarà tutto l’opposito, chè sarà pieno di bugie e d’inganni e di falsità. Anco se leggi pure nell’Apocalipsa al xiiij cap.: Si quis adoraverit bestiam et immaginem ejus, et acceperit characterem in fronte sua aut in manu sua, et hic bibet de vino irae Dei, quod mistura est mero in calice irae ipsius: — Colui che adorarà Antecristo e la immagine sua, overo ricéverà la carattere e ’l segno ne la fronte sua; che gli credaranno; o vero ne la mano sua; che faranno l’oparazioni sue; questi cotali beranno del vino dell’ira di Dio, el quale è mescolato coll’ira sua nel calice, che ti mandarà a lo inferno. — Non vuol dire altro.

Io ho ben veduta una opera molto bella, la quak‘ fece uno Vineziano27, donde io ebbi per certezza, ch^ nel paese di Persia detto e titolato Ustria, non si puè per niuno modo dire una bugia. Oh, egli è il buon segno d’uno che si fa gran coscienzia de la bugia, di nom [p. 229 modifica] volerla dire nė per bene, nè per male. Pone mente: quando tu vedi uno che non ha queste tre cose, non giura, non bastemmia, e non dice bugie; tiene per certo che egli è buono. E così ti dico per contrario: chi ha questi tre vizi, tiene per fermo che egli è gattivo. E perchè questo vizio era molto in quella terra di Persia, si sbandiro tutti quegli mercatanti che avevano questo mal mendo, e così forse sarebbe da far qui. O che diremo di colui che è sensale e impaccatore e pieno d’inganni? Come il chiamate voi? Io il chiamo senz’ale da poter volare non mai in vita eterna; o vuoi sensale a modo da Ferrara. Ieronimo: In omni statu et conditione boni reperiuntur et mali.

Udiste voi mai come fu trovato quello dettato che dice: però t’accennai io? Oh, io vel vo’ dire28. Egli fu uno sensaio, che quando egli voleva acordare el venditore e compratore, sempre faceva cenno all’uno e all’altro. Egli teneva questo modo. Egli sarebbe andato a lui uno, e diceva: io vorrei véndare la tale mercanzia: e ’l sensaio subito aveva trovato el compratore. E poi che egli aveva parlato all’uno e all’altro, e egli gli abocava insieme, e egli stava in mezzo di loro, e diceva a chi aveva a comprare, piano: ella è buona mercanzia, tollela per cotanti denari. E al mercatante che aveva la mercanzia, diceva: ell’è gattiva mercanzia; dalla per cotanto. E avendo lo’ parlato a ognuno di per sè prima, quando e’ so’ così insieme, dice colui che la vuole vendare: io ne voglio cotanto; i’ ne voglio dieci fiorini; e ’l sensaio poneva il suo piè in su quello di colui che voleva comprare. Diceva colui [p. 230 modifica] che la voleva comprare: — io te ne darò nove; — e ’l sensaio poneva il piè all’altro, e quando a amenduni insieme poneva il suo piè sopra a loro; e tanto faceva, che egli gli acordava. Oh, questo dipoi è anco più bello; che colui che aveva comprato la mercanzia gattiva, diceva al sensaio: — ben m’hai fatto comprare gattiva cosa: — e ’l sensaio rispondeva: — oh, però t’acennavo io perchè tu la procurasse meglio. — E così partitosi, avendogli ataccata la ghinghiata, era poi trovato da colui che l’aveva venduta, e diceva: — oh, tu m’hai levata la mala mercanzia da dosso! — E egli rispondeva: — però t’acennavo io, che tu la desse, e che tu non la tenesse a dosso. Quando egli ti disse così, egli mi pareva mille anni che tu venisse a’ fatti. — E così d’una medesima cosa dava cenno all’uno e all’altro. E di qui venne quello volgare, però t’accennai io: de’q uali è detto in santo Matteo a xxxj cap......29 E santo Giovanni Grisostimo dice, che tutti si vorrebbero cacciarli via, non tenerne niuno ne la città. Benchè la Chiesa spone de’ bugiardi; però che il mercatante bugiardo non può èssare se non gattivo. E non è però che e’ non sieno ancora dei buoni, ma pochi, mi credo io.

L’altro peccato ne seguita, che non basta le bugie, chè si conviene che vi s’agiónga lo spergiuro. Ècci niuno di quelli che vendano gli agli e le cipolle? che ne ne vorranno véndare se non vi si giura su: — io ne voglio cotanti denari. — Io te ne vo’ dare cotanti. — A le vagnèle, io non te la darò. — A le vagnèle, tu me’ la darai. — A le vagnèle, non darò. — Oimmè, non vedete [p. 231 modifica] voi quello che voi fate; mettervi a rinegare Idio per un capo d’aglio! Sai che dicono i dottori? Dicono, che se tu giuri una cosa, la quale torni in danno del prossimo e in disonore di Dio, sempre pechi mortalmente.

El terzo modo di pecato è falsità, di falsare le mercanzie, mostrando il gattivo col buono; e dice poi, egli è tutto buono. E colui che vende il panno, mostra la testa e falla migliore che non è il panno, e vende el panno col barragone de la testa, e non riesce il panno; e questa è falsità. Così di colui che vende il grano, e mostra il saggio e móndalo e nettalo; e non è così fatto quello che poi gli dà. Tutti questi modi e simili so’ falsità, e mai non t’è lecito, però che tu ci vedi qui el danno del prossimo.

Quarto modo so’ certe sofisticarie. Io te ne dissi ulcuna cosa in prima di cotagli imbrattarelli che voi usate in su le mercanzie. E inde è detto ne’ Proverbi al xxvij cap.30: Qui sophistice loquitur, odibilis est. Ogni volta che le tue parole stanno per modo che tu le puoi redurre drento e fuore, che le porgi di qua e di là per modo non chiaro; ogni volta commetti peccato mortale, e non t’è mai lecito. Sòccene di quelli cotali, eh? Or vediamo altre quatro circostanzie, pure di pecato, che fanno la mercanzia che altri fa, diventare illecita.

Primo, è ocultare la verità. Sicondo, è usare varî pesi e misure. Terzo, è bagnare e umidare31 la mercanzia. Quarto, dare le cose non lecite, anco nocive.

El primo è d’ocultare la verità; come colui che ha uno cavallo che ha uno difetto e vuole véndare; e se egli palesasse el difetto suo, non lo véndarebbe. Dico, [p. 232 modifica] che se egli el vende, e non palesa quello difetto, e per quello difetto egli facesse alcuno danno a persona, colui ch’el vende è tenuto e ubligato a restituzione.

El sicondo è di coloro che usano variati pesi e variate misure, o bilancia o stateia. Hai mai posto mente a colui che vende colla bilancia, che vi dà l’anchetta? Ogni volta n’è tenuto a restituzione. Così di colui che vende a misura, che tira il panno in su la canna: tiral bene! E l’altro che ha due canne, l’una da vendare, l’altra da comprare. Similmente dico di colui che vende el grano e l’altra biada, che ha lo staio minore da véndare, che da compare. Legge in cap.: Ut mensurae, i come elle dieno èssare uguali, così quando tu hai a véndare, come quando tu hai a comprare.

Terza circostanzia di pecato è quella di colui che’ vende a misura; chè tirarà tanto il panno, che tal volte è per istracciarlo. Tiralo forte, quando tu l’hai a véndare! Così colui che fa i panni, chè per averlo più longo il tira tanto, che fa quasi che si rompe, e talvolta si ricide per mezzo da capo a piei. Non ti dico nulla di coloro che tengono le mercanzie all’umido, quando le vende a peso, perchè pesino più.

Doh! io ti vo’ dire quello che intervenne una volta a uno mercatante che teneva la sua mercanzia all’umido, perchè pesasse più. Fra il ribollito e ’i rincagnato andò quella volta.32 Uno mercatante andava per comprare zaffarano da un altro mercatante; e giognendo colui che el voleva comprare, a colui che n’aveva da véndare, disse: —io vorrei quanto zaffarano io potesse trovare. Colui disse: — io ti darò el mio. — E mostratogli, sa i bito colui che l’aveva a comprare, cognobbe ch’egli era [p. 233 modifica] umido, e disse a colui che gli li vendeva: -fallo venire alla mia abitazione, e pesarello e darotti e’ denari. Costui di subito gli manda perchè non rasciugasse, e va poi dietro a colui che ’l portava per pesarlo. Come so’ giónti a casa di costui, dice colui che l’ha a comprare: fammi una grazia, io non posso attèndare ora a pesarlo; sugellalo e lassalo stare un poco, e ritornerai. Colui così fa, e vassi con Dio. Meffè! Come colui è fuore di casa, subito fa pigliare questo zaffarano e fallo méttare in uno forno che v’era presso, e come è rasciutto, el fa ripónare dove colui l’aveva lassato. L’altro mercatante viene poi, e pesano questo zaffarano; e prese il suo denaio, e andossene pe’ fatti suoi. Fra el rincagnato e ’l ribollito andò33. L’uno il fece diventare umido perchè pesasse più che non era, e l’altro el misse nel forno, perchè [pesasse meno che e' non doveva, che]34 forse s’asciugò più che ’l dovuto. E in questo modo colui che credeva ingannare, rimase ingannato35.

La terza cosa che fa la mercanzia non licita, si è quando uno dà la cosa nociva: e questo si può intèndare in molti modi. Quanto divario è da una mercanzia a un’altra, e di valuta e anco di pericolo! O speziale, che per ispacciare la tua mercanzia dài molte volte la cosa gattiva a colui che la paga, come se fosse la più fina del mondo, dove sta il tuo peccato? Sta in prima ne la mercanzia buona, e poi nel peso e ne la misura ragionevole. Quando tu dài la mercanzia non buona, [p. 234 modifica] come talvolta è il ribarbaro che vale assai ed è di pericolo il darlo e non darlo a ragione e buono: quando tu desti dei ribarbaro a colui, tu non gli desti del buono solo per potere salvare la buttiga, anco li gli desti gattivo, e contiastigli come se fusse stato perfetto, e per tua cagione non adoparò a lo infermo come se fusse stato buono; chè sarebbe guarito. Parti far bene? Non; vedi tu il peccato che tu fai? Parti questa mercanzia lecita, a véndare la cosa gattiva per buona, e farti pagare come e’ fusse buona? Certo no. Sai che dovaresti dire, e sarebbeti lecito? — Questa mercanzia è buona e vuonne cotanto; ma quest’altra è migliore, e non la posso dare a meno di tanto. — E così salvaresti la bottiga e l’anima; però che e’ t’è lecito di fare compensazione; con tutto che tu abbi comprato in sorta la tua mercanzia buona e mezzana, di volere più denari de la buona, che di quella che non è così buona. Però che se tu dici: — de la mezzana io ne voglio cotanto, — tu puoi per non lassarla invechiare e stantiare in buttiga; ma non la vendere per perfetta, che qui sarebbe il tuo pecato. Anco t’aviso, o speziale, che mai tu non ti rifidi di te medesimo: chè quando tu vieni a dare una medecina la quale l’ha ordinato el medico, non la volere fare a tuo modo. Noli plus sapere, quam oporteat sapere: — Non volere sapere più che ti bisogni di sapere. — Non fare come molti, che vanno dietro a una loro pratica. Le condizioni de’ corpi nostri non so’ a uno modo: chi è freddo, chi è caldo: chè una medesima medicina può fare a l’uno male e a l’altro bene. Sì che non ti fidare mai in te, ma rifidati in quello che ti dice el medico, che ha la pratica e anco ha la scienzia. Fai che non intervenga a te, come intervenne una volta a un altro speziale. [p. 235 modifica]

36Essendo uno infermato, subito mandò per lo medico, e veduto lo infermo, disse che bisognava che egli pigliasse una medicina: fu risposto che egli l’ordinasse. E partitosi da lo infermo, andò a lo speziale, e disse: — tòlle il libro e scrive per tale persona; — Recipe dramme mezza di tal cosa, e due di tale: eccetera; e stempara con tale acqua. — E così ordinata, lassa che sia data per questo infermo. La sera giógne il fratello de lo infermo per la medicina a lo speziale, la quale aveva ordinato il medico; e lo speziale gli dà una medicina he egli aveva ordinata a suo modo, e non a modo del medico. Costui se ne la porta a casa, e la notte quando egli è il tempo, e egli la dà a lo infermo. E così dataglili, ella aoperò per modo che egli se ne morì. Questo suo fratello va di subito al medico, e dissegli come la cosa era andata. El medico disse che non poteva essere, se già lo speziale non avesse voluto fare a suo modo. Allora costui andò verso lo speziale con due testimoni a cautela. Come lo speziale vede costui, subito domanda: — come istà el tuo fratello? — Bene, — rispose. — E come aoperò la medicina? — E colui rispose: — molto bene, credo sarà guarito per questo. — Allora dice lo speziale: — gran merzè a me, che vi misi altretanta robba che non mi disse el medico. — Allora disse colui: — siatemi testimoni a quello ch’egli ha detto. — E subito se n’andò a la Signoria e disse questo fatto, e come il suo fratello era morto. Infine lo speziale fu preso e giudicato a morte e perdè la persona. E questo fu perchè egli metteva a divizia la sua mercanzia per ispacciarne più: faceva divizia de la sua [p. 236 modifica] robba a le spese altrui. Hammi inteso? Sì. Or te ne guarda. Costui non fece come faceva un altro che metteva a divizia la robbą del compagno per iscialacquarla e per vendere meglio la sua37.

Egli fu uno taverniere che vendeva el vino, e quando egli aveva dato del vino a chi el comprava, e egli stava tanto, che egli pensava che e’ fusse quasi che beiuto; e poi andava per lo orciuolo e se egli v’era punto di vino, egli el metteva ne’ bichieri, e quasi ogni volta gli faceva trabocare; e ogni volta ne versava, e’ diceva: divizia, divizia, e se egli n’avanzava ne lo orciolo, egli il gitţava il più de le volte in terra, pur dicendo: divizia. Talvolta quando eglino avevano tovaglia innanzi, se e’ v’erano suso bichieri pieni, egli faceva vista di squotarla e faceva versare a studio il vino in su la tovaglia, e talvolta anco l’orciolo; e ogni volta diceva: divizia. Egli s’aveva tanto recato questo dettato, che ogni volta che egli versava e egli diceva: divizia. Avenne una volta, che uno che v’usava, s’era aveduto dell’atto di questo taverniere, che più volte gli aveva versato del vino, e aveva compreso, come egli il faceva a studio. Stette attento quando el tavernaio aveva faccende, e andossene al cellaio, dove el tavernaio teneva el vino, e giónse a una botte e cavonne fuore il zaffo e lassa versare el vino, e viensene fuore e comincia a gridare: divizia, divizia. E stando così l’oste, gli cominciò a venire di vino38, e maravigliandosi corse al celliere e vidde la botte che si versava forte; e mentre che ella versava, mai colui non si ristė di gridare: divizia, divizia. Allora [p. 237 modifica] questo oste si pensò che questo che gridava, gli avesse tratto el zaffo de la botte. E pensandosi che così fusse, andò acusarlo a la Signoria. Infine egli fu preso, e essendo esaminato qual fusse la cagione, che egli avesse tratto el zaffo della botte a quello oste; egli confessò, come egli era stato lui, e disse la cagione, dicendo: che a quanti osti39 andavano a lui, a tutti versava il vino quando l’aveano comprato, e che ogni volta egli diceva: divizia; dicendo: questo ch’io dico, egli l’ha fatto molte volte a me quando io vi ho beiuto a la sua taverna. E diceva, quando io me ne legnavo: oh, va’ in buon’ora, che quando egli si versa il vino è buona astificanza40. Onde perchè egli mi diceva che era una buona astificanza, io gli andai a trarre il zaffo de la botte, acciò che egli avesse anco lui divizia; e così cominciai a fargli buona astificanza col mio trare el zaffo della sua botte. Io volsi che e’ si gridasse una volta, divizia a le sue spese, come egli aveva gridato moltissime volte a le spese altrui, versando il vino. Uh! E voi donne, quando voi versate una lucernata d’olio, voi non dite a quello che sia buona astificanza; del vino voi solete dire che è buona astificanza. Doh, pazzarelle, quanto vi chioccia ’l capo!41

Or vedete altri quatro vizî sopra a le mercanzie. Primo, si è nel numerare. Sicondo, è nel véndare a termine. Terzo, è acusare l’altrui difetto. Quarto, il lassare della Messa. [p. 238 modifica]

Primo si è del numerare, di colui che conta e inganna; che nel contare tanto a fretta viene a fare sbalordire colui o colei che riceve e’ denari: ch’è per lo suo contare a fretta; — to’ to’ to’ to’, uno, due, tre, cinque, sette, otto, dieci, tredici, quattordici, dicessette, dicennove e vinti. — E la donnicciuola, che non ha tanto intelletto, si crede che e’ sieno quelli che tu dici, e riceveli come tu lei dai; e vassene a casa e cominciali a contare a quatrino a quatrino, e trovasi essere ingannata di tre soldi, e ritorna a colui che le l’ha dati, e dice: — Oimmè, che io me n’andai a casa co’ denari che voi mi deste, e hogli riconti; io mi trovo meno tre soldi. — Sogliono rispóndare questi tali: — mirate che voi non abiate sbagliato a contare. — Dice colei: — no, voi me gli avete dati meno: per l’amor di Dio, datemegli. — Dice colui: — oh, guardate che e’ non vi sian caduti; forse che voi avete rotto el borsello? — E così la pòvaretta se n’ha el danno. Credi che piacci a Dio? Certo no. Non desiderare la robba altrui, e questo è uno de’ comandamenti; e l’altro dice: Non furaberis: — Non furarai.— Questo è furto, che lei tolli, che non se ne può aitare per niuno modo.

El sicondo modo di peccato si è del véndare a termine; di volere de la tua mercanzia più denari a tempo, che a darne allora allora e’ denari. Dico che non t’è lecito per niuno modo a volerne più, però che tu vendi il tempo che non è tuo. Benchè di questo mi pare che non bisogni predicarne, però che voi n’avete fatto callo: sì che il mio dire poco ci ârebbe luogo, Avetelo messo in usanza? Usanza è gattiva. Ma se io avesse tempo, io ve ne farei una predicozza.

El terzo modo di peccato si è di quelli che dicono e’ difetti de la robba del compagno, e la sua loda; e se [p. 239 modifica] la robba altrui fusse ben buona, la biasima: e se la sua fusse gattiva, la loda. Non è lecito a dire mai male della roba altrui se ella non ti piace, lassala stare e va’ a un altro. O che diremo di colui che la biasima essendo buona, eh? Oh, egli è ’l gran peccato, se tu lo inten desse.

Quarto modo di pecato si è di molti che vogliono véndare la loro mercanzia, e ingegnarannosi di véndarla ne’ dì de la festa comandata da la Santa Chiesa e lassare stare la Messa, la predica e ’l divino uffizio per véndare. O acciecati dalla avarizia, quanto mal fate! Ne lo Ecclesiastico al xxvj cap.: Difficile exuitur negotians a negligentia sua: Malagevolmente si spoglia el mercatante da la sua negligenzia. Credi far bene, o mercatante, credi far bene a volere rivedere le ragioni de le buttighe tue colà per pasqua di Natale; dì comandati da la santa Chiesa? Sappi che quello è veramente peccato mortale grandissimo; faresti molto meglio a indugiarle in altro tempo più onesto, e quel tempo méttarlo in gloria di Dio, come ti comanda la santa Chiesa.

Vedianne anco quatro altri modi di peccato. Primo modo, tradimenti. Sicondo modo è d’omicidio. Terzo modo è d’involuppo. Quarto modo è di rómpare fede.

Primo, di tradimenti: come so’ di molti, che si fidano, e vanno a uno di chi e’ si fidano, e dicono: io vorrei tale e tal cosa. Buono: lassa fare a me, ch’io ti contentarò vantaggiatamente. E a la prima gli attacca una ghigniata42 di quelle! Oh, quanto bene ti sta! Non però lodo chi t’inganna; ma questo dico, perchè so’ tanti pochi buoni, che niuno si dovarebbe fidare, potendo fare altro. [p. 240 modifica]

Sicondo modo è d’omicidio: come se talvolta d’uno carnaiuolo, el quale macellarà e véndarà una bestia corrotta al suo banco a cotanto la lira. E molte volte ne so’ cagione loro. Che credi che sia una bestia gonfiata da uno che sia corrotto lui? Ha corrotta quella bestia ed è possibile d’uccidare chi ne mangia. E’ so’ molti che dicono, che la gonfiano perchè la bestia sia più agevole a scorticare: e io ti dico, che se ella è più malagevole, che tu debbi durare quella fatiga, tu debbi fare il tuo mestiero quanto è possibile a farlo. Ma io ti vo’ dire a te che mi dici così: qual’è la cagione che a Roma mai non vi si gonfia carne? Eppure vi se ne macella. Sai perchè? Perchè hanno buono costume. Simile vo’ dire del pesce: quando egli è corrotto, mai nol debbi véndare, però che tu metti a pericolo chi ne mangia. Prima gittarla, che véndarla tal mercanzaia corrotta. Non volere fare come faceva uno cristiano rinnegato, cristiano di centura43. Dice, che egli parlò una volta al Soldano e dissegli: — io tolgo a uccidare più cristiani io, con uno certo modo, che tutta la vostra compagnia co le spade in mano. — El modo era questo: che egli andava fra e’ cristiani e vendeva carne e pesce e altre cose infette e corrotte, le quali erano mangiate da’ cristiani: e per questo molti erano di quegli che morivano in poco tempo.

El terzo è d’inviluppi e circumvenzioni e malizie, che l’uno usa oggi contra a l’altro: a’ quali dice Pavolo: Nemo in negotio circumveniat fratrem suum.44 Oh, io te vorrò dichiarare più in giù. [p. 241 modifica]

El quarto modo di peccato è di rómpare la fede l’uno a l’altro, l’uno compagno coll’altro, l’uno amico all’altro, e ’l fattore rómpare la fede al suo signore. E puoccisi intèndare di molte donne, le quali danno i loro denari a’ mercatanti perchè non estieno morti, dicendo che vogliono che s’esercitino. Per la qual cosa avanzare, con essi e’ vengono a fare cotali patti dannagiosi all’anima con modi illeciti, chè facendo i loro acordi, li fanno scrupolosi e scuri, per potere ingannare e méttare dentro e fuore, come pare a loro. E colei dice: io gli l’ho dati a buona fede. Or va’ pur là co la tua buona fede, chè ogni volta che egli vorrà, te la rómparà. Tu hai già sedici modi di peccati in su le mercanzie. Or tollene due altri.

El primo si è di colui, che per andare a fare sue mercanzie, va fuore della sua città, lassa la moglie giovana e vassene in altri paesi. Dicoti che non t’è lecito, e fai peccato; però che tu metti la tua donna a pericolo di qualche grande infamia almeno almeno. Io ti pongo che ella sia buona del corpo suo; pure el pericolo v’è de la infamia. E come sta lei in pericolo di cascare in pecato, così stai anche tu; e anco forse ci è peggio. E perchè io ci vego essere il pericolo grandissimo, sai che ti dico, donna? Ogni volta che ’l tuo marito vuole andare di lònga per istare più tempo, fa’ che tu gli vada dietro. Vattene con lui, e sarà levato quello pericolo, se egli ha stare molto tempo. L’esemplo tu l’hai in cap. primo: De coniugio uxorum.

El sicondo modo è anco peggiore, che non è questo; chè so molti che fanno patto quando comprano e quando vendono, e non lo pare far male, se vendono la cosa più che ella non vale, dicendo: io ho fatto patto con lui, io non lo inganno; io dico che voglio de la mia mercanzia [p. 242 modifica] cotanti denari, e rimaniamo d’acordo. E io ti dico, che ogni volta che tu compri la mercanzia assai meno che ella non vale, sempre pechi; e così se tu la vendi più che ella non vale. Vedianne essempro in pratica. Tu hai una mercanzia che vale cento fiorini, e vorrestila véndare quello che ella vale; e cercarai, e no ne trovarai quello che ella vale. Tu vai, e dàla per cinquanta, o per sessanta, o per settanta fiorini; e un altro che ârà la medesima mercanzia che val cento fiorini, e’ vendaralla trecento. Dicono i Dottori, che questo non è lecito nè a véndarla nè a comprarla, molto più o meno che ella non vale. Ogni volta che tu mercatante compri la mercanzia un poco meno che ella non vale, per guadagnarvi, e così la vendi un poco più; che t’è lecito, per poterti mantenere nel tuo esercizio a bene e utile de la tua città. Ma che diremo d’uno che vende la cosa meno che ella non vale, però che non la cognosce, e vendela a uno che la cognosce? Come talvolta sarà uno contadino che ârà una pietra preziosa che non cognosce, e tu ne gli dài quello che tu vuoi, e poi la vendi quello che ella vale. Non credi tu fare peccato? Certo sì, e se’ tenuto a restituzione. Così vo’ dire di molti che vendono per bisogno o per necessità, e dà, la cosa per meno che non vale.

Or mettiamo per essemplo una di queste necessità. Tu hai allato a costui la tua casa, e vorresti véndarla, e non s’attaglia a niuno più che a costui; però che un altro non vorrà fare dispiacere a costui che l’ha dallato, e che la vorebbe comprare. Se tu che l’hai dallato e vorrestila comprare, dici: io la comprarò per quello che tu ne trovi da un altro; e un altro, ti dico, non vorrà farti dispiacere; tu dirai: io te ne vo’ dar [p. 243 modifica] tu pechi, e se’ tenuto a restituzione per insino quello che ella vale.

Una cosa mi resta a dire pe’ fanciulli. A voi, fanciulli! Ogni volta che tu vedi che ’l fanciullo fura cosa di casa; sai, quando egli fura gli stagni di casa per fare de’ ferlini45; e così, dico, quando egli tórrà talvolta una pietra dell’anello che varrà un fiorino, e véndaralla a chi la cognosce, e daranne quindici soldi; chi credi che pecchi? Pecca colui che venda, e colui che compra. Ma se ci fusse ignoranzia nel comprare, non sarebbe così; nè anco se ci fusse semplicità; nè anco se ci fusse la necessità; sì che ti scusa ignoranzia, semplicità e necessità.

Tu hai veduto diciotto modi di pecati sopra de le mercanzie, dove puoi avere compresi i modi da poterti esercitare senza pecato, al modo che ci amaestrano e’ sacri Dottori. Tu hai intese di sette circostanzie già le tre. Prima, la persona che debba fare la mercanzia. Siconda, l’animo di chi fa la mercanzia. Terzo, el modo di colui che fa la mercanzia. Hai la persona, l’animo46 e ’l modo. Vediamo ora el luogo e ’l tempo. Se tu vendi la tua mercanzia con buono modo, el tempo può fare che tu n’hai pecato. Se tu vendi in dì di festa comandata da la santa Chiesa, ogni volta pechi mortalmente. Io ve ne predicai altra volta tanto distesamente, ch’io mi credetti che bastasse. Trovo che voi non n’avete fatto nulla; chè trovai il dì de la festa di Santa Maria di Settembre tante bestie cariche quando io andavo a casa, che in me medesimo mi pareva una confusione. Io vidi [p. 244 modifica] some di legna, some di grano, e altre biade. Dice colui: oh, io mi fo recare quelle tali some per non dare disagio al contadino in altro tempo! Sì che tu disonori la festa di Nostra Donna, per non dare disagio a’ contadini in altro tempo, eh? Sai che ti vo’ dire? Maladetta la robba che in tal dì t’entra in casa, e maladetta la casa, e maledetti gli uomini che la conducano e che la ricettano! O sciaguratelli, che voi non v’avedete di nulla non vedi tu che tu fai contra al comandamento di santa Chiesa, che t’ha comandato che tu la guardi? Sai tu in che modo tu sei tenuto a guardare la festa? Dice che tu la debbi guardare tu et filii tui et filiae tuae, et servus tuus, et ancilla et iumentum tuum47: Debbi guardare tu, e’ tuoi figliuoli, tuoi servi, tue serve, e’ tuoi cavalli e asini. Se già non fusse caso di necessità, ogni volta pechi mortalmente, essendoti comandato da santa Chiesa. Chi non ha scusa niuna, che può dire? Che so’ di quelli che dicono: oh, io avevo bisogno! Io ti domando; potevi tu indugiare uno dì o due? Sì. Dico che tu hai pecato. E questo è, che cotali volte tu vedrai che non piglia altro che male di tali cose: chè tu hai fatto qualche male nel dì comandato da la Chiesa, o nel dì de la domenica, che è comandato da Dio. E questo è detto in quanto al tempo non lecito.

La quinta circumstanzia di pecato si è il luogo. Donne, (ch’io non so come voi vi chiamate, quando voi vi ragunate in chiesa; se voi la chiamate la matricola, o la ragunanza) dicovi e amoniscovi, che mai non v’è lecito a farla in chiesa, però che la chiesa è casa di Dio: non vi si díe fare mai per niuno tempo niuna vanità. Domum [p. 245 modifica] tuam, Domine, decet sanctitudo:48 La tua casa, Signor mio, dice David, è casa di santità. E però io vi dico che mai voi non facciate in chiesa queste tali ragunate; se voi le volete pur fare, fatele in altro luogo, però che il luogo de la chiesa è ordinato per celebrare e per orare. Io ho pure inteso che ci so’ de’ luoghi atti e ordinati a ciò. Non voliate mai in disonore di Dio venire a tanto pecato. Per l’amor di Dio, io ve ne prego e vel comando per sua parte. Oimmè, o che diremo di coloro che mercatano in chiesa? Oimmè; o non vedete voi, che voi la fate casa di bugle e di giuri e di spergiuri? Così dico a voi, Offiziali de la città, che ci fate voi? Voi dovete tenere ragione ne’ dì che v’è lecito, e voi aspettate il dì de la festa, per potere avere i contadini ne le vostre terre, dove voi sête per Uffiziali. Io vi dico che non vi è lecito, e non v’è lecito, e non v’è lecito nei dì comandati. Dice colui: oh, io non posso lassare le mie òpare il dì del lavorare; e io ti dico, se tu non le puoi lassare, e tu te ne sta. E così díe dire l’Uffiziale: io voglio più ratto dispiacer e a te, che a Dio: io non vo’ fare il peccato mortale in tuo servizio. E dico che sarebbe molto bene che sopra di ciò se ne facesse statuto; acciò che non si perdessero molte anime, che pecano mortalmente per guadagnare il dì comandato.

La sesta circostanzia si chiama il consorzio: dove debbi essere amaestrato di véndare una cosa medesima, ma tanto a uno quanto a un altro. O tu che vai a véndare la tua mercanzia in su la strada, e vienti uno forestiero a domandare: che vuoi tu di questo? Vuône trenta soldi; e al cittadino non la vendi se non vinti soldi. E perchè io biasimi il buttigaio, egli il fa bene [p. 246 modifica] anco il contadino, quando e’ può. Sì, eglino cotal volte ve ne sanno gastigare: chè talvolta giógne al contadino che ha la soma de le legna, uno forestiero e dirà: — che vuoi di questa soma de le legna? — E egli sta colà e dice: — oh, tu non la vuoi comprare! — Sì, voglio, se tu me la vorrai véndare. — Che ne vuoi tu, che ne vuoi? — Oh, elle so’ le buone legna. — Che ne vuoi? — Eh, arrecole di lònga un buon pezzo. — Ma che ne vuoi? Direstilo? — Elle si tagliano di maggio e so’ molto ben seche. — Anco non ha egli detto quello che e’ ne vuole. — Che ne vuoi? — Io n’ho trovati sette soldi de la soma: — e mai non risponde a ragione. Oimmè quando io vo cercandovi tutti a uno a uno, io vi truovo tutti stare coll’arco teso, per potere avere più denari de le vostre derrate. E io vi dico che per niuno modo v’è lecito di véndare più a uno che a un altro la medesima cosa; tanto la debbi véndare a chi la cognosce quanto a chi non la cognosce. Questo si tocca in cap. Placuit.

Or tòlle l’ultima circustanzia, e sarà fine: dove si contiene ogni bene, la quale è il bene comune nel mercatare: io non dico del bene comune de le gabelle de le mercanzie; io dico del bene comune dell’arti; chè niuna cosa partecipa tanto il Comuno, quanto dell’utite dell’arti e de le mercanzie che si vendono e si comprano. Non so’ mai lecite molte arti le quali fanno danno. Come so una; quella del frappare i panni non è ben comune.49 Anco non è ben comune l’arte de’ veleni. Ogni volta che v’è danno o di robba, o di corpi, non vi può essere [p. 247 modifica] bene comune. Dice Scoto nel Quarto a quindici Distinzioni, che tre cose so’ quelle che uno Comuno non può fare senza: l’arte della lana è l’una: grandissima utilità n’esce al bene comune: così l’arte de le scarpette. Le quali arti so’ mantenute per gli mercatanti che fanno condurre de la lana e del colame. Or come so’ necessarie queste due, così è anco necessario lo Studio50: è molto poco inteso da chi non ha letto. Non lo lassate partire da Siena, cittadini sanesi, che voi non comprendete l’utile e l’onore che ve ne viene di chi a poco tempo. Ponete mente a Bologna, il nome e l’utile e l’onore: così vi seguitarà a voi, se voi vel saprete mantenere, però che ine si fanno gli uomini atti a farvi capire in ogni luogo. Poi che voi avete la Sapienzia, fate di méttarla in pratica fra i mercatanti, e fra tutta la Repubblica; però che come v’ho detto, ella è necessaria e utile al bene comune e piace molto a misser Dominedio. Voi ve ne potete già avedere, che ne vengono una brigata di cittadini atti a dottorarsi: e come io dico a’ cittadini, così vo’ dire a voi, che studiate: fate che voi non diventiate cotali pecoroni. Ella è cosa che piace a Dio.

Vede ora tre cose utili e necessarie a una Comunità.. Prima, il recare le mercanzie di lònghi paesi. Siconda, [p. 248 modifica] che la cosa arecata sia conservata. Terza, che la cosa recata, sia mutata. Diciamo de la prima cosa, di conduciare e fare arecare de le mercanzie che sono in lònghi paesi; condurne dove non n’è; ine si vede il ben comune. Come si vede chiaramente, qui a Siena non ci ha pepe; è ben comune a recarne e a farne conduciare. Tu vedi bene che non ne nasce per questi paesi, e sebbene ce ne nascesse, è bene di farcene venire. Come talvolta è stato, che con tutto che ci nasca grano, olio, vino e de l’altre cose, se ce ne fusse carestia, è bene comune a recarne. Così vo’ dire dell’altre mercanzie: come s’è la lana di san Matteo, de la Francesca, d’Inghilterra e di molti altri paesi: egli n’è là assai, e non n’è qua. Come quando c’è della mercanzia che non è di là, è molto bene che di questa qui vada là, e di quella là venga qua. Tutto questo è bene comune, ed è lecito. E questo sia detto in quanto a recare la mercanzia.

Vediamo il sicondo, del conservare la mercanzia arrecata. Tu vedi ne le città quando le mercanzie vi so’ condotte da coloro che le conducono, eglino non vogliono stentare parechie dì a véndarla, anco la vogliano véndare i in grosso e farne buona derrata. E però, come vedi, che si fa come colui la conduce insieme insieme, e un altro la compra insieme insieme: come s’è la lana, grano, i colarne, speziarle, e altre cose. E poi che costui l’ha comprate in grosso, e egli le vende a parti, perchè e’ puo’ aspettare; a chi ne vende una balla, a chi due; ed ègli lecito a véndarla a quel modo e guadagnarne convenevolmente per conservarsi, e poter ricomprare quando vengono i tempi.

El terzo si è di coloro che mutano le mercanzie, come t’ho detto. El primo è quello che la conduce in grosso; el sicondo, la conserva; el terzo la muta; e a [p. 249 modifica] ognuno è lecito di cavarne utilità. Colui che l’ha condotta di lònghi paesi con grandissima fatiga e affanno e pericolo, lòngo tempo, che n’è ’l fondamento, ne díe èssare rimeritato. Quanto egli ne può guadagnare, sarebbe lòngo a dirlo. Simile dico del sicondo che la compra in grosso e conservala: anco ne díe èssare meritato. E così il terzo che la compra a minuto, che la muta; come è il lanaiolo che ne fa il panno, ne díe èssare meritato per le sue manifatture. E a ognuno è lecito di conservarsi, e che il guadagno sia con discrezione. El quarto non si può dichiarare con poche parole; omnibus conservatis. Vedi che lecitamente tutti tre costoro possono guadagnare. E però ogni volta che tu per altro modo fai, mai non t’è lecito, fai danno di Comune; e se tu farai contra queste regole che ci amaestra Scoto, ogni volta sarai tenuto a restituzione. O cittadino, che tanto se’ involto nella avarizia volendo sempre ragunare, e non pensi a’ mali contratti che tu fai! Questi schiamazzi e questi stralocchi e bistratti che voi usate, ogni volta pecchi mortalmente. Quanti ne so’ di quegli che ci so’ dentro in questo pessimo peccato, che sempre vanno dietro a chi affoga! Che so’ di quelli che âranno bisogno di qualche danaio, di subito e’ comprarà una mercanzia, o lana o altro, cinquanta fiorini, e allora allora la rivende a contanti; e vendela quaranta. E tu che l’hai comprata meno che ella non vale, tu gli hai furati quelli denari. E così tu che l’hai venduta, se tu gli vendeste più che non valeva, solo per lo tempo, tu se’ stato ladro di quelli denari. Ècci niuno che l’usi? Non t’è lecito per niuno modo di véndare più a termine che a contanti. Mortalissimo peccato è a comprare e tòllare il suo a colui che anega. Questi so’ ladri salvatichi. Altri so’ che hanno la loro mercanzia buona e guastanla; e poi che ella è gua[p. 250 modifica]sta, la vendeno per buona. Oh, che se lo’ vorrebbe fare a questi tali? Eglino si vorebeno sbandire, o fare uno statuto, e confinargli. Oh, quante volte ne so’ cagione sensai! Si può dire che questi sieno ladri dimestichi. O póvaretti, ponete mente a voi medesimi: che se voi vedeste l’anime vostre come so’ brutte, a voi medesimi méttarebbono paura: chè potreste guadagnare senza pecato, e volete pèrdare l’anima per un poca di robba. Guai, guai a chi va dietro a tanto male!

Tu hai veduto che colui che reca la mercanzia d’oltremare in grosso, ne può guadagnare; e simile colui che la comprò in grosso da lui per conservarla e véndarla agli altri a balle e a some; e simile colui che la compra a some, e vendela a minuto. Vuoi vedere come è guastamento de la città questi bistratti? Or fa’ ragion che uno compri una balla di mercanzia cinquanta fiorini e vendela quaranta, e ha stramazzato là dieci fiorini. Sai che ha fatto? Ha tolto il guadagno a colui che l’arebbe venduta cinquanta fiorini lecitamente; e così d’ogni mercanzia. Ogni cosa avete corrotto, e sì le mercanzie, e sì e’ mercatanti, e sì e’ bottigari. Dico che questo è peggio che non è l’usura. Non pensate che così utile cosa quanto è la mercanzia, voi l’avete ridotta quasi tutta a peggio che usura? Ogni cosa avete guasta: Quoniam non cognovi licteraturam; chè non vedete che in ogni mercanzia vi si perde. Colui che l’ha comprata più che non vale, perde la robba; colui che l’ha venduta a lui prima, v’ha perduta l’anima per véndargli la credenzia; e colui che l’ha comprata meno che non vale, anco v’ha perduta l’anima. Fra voi non è carità, anco canità; chè l’uno è cane dell’altro.

Tu hai veduti diciotto pecati sopra al fatto de le mercanzie contra a’ detti de’ sacri Dottori, come t’ho detto, [p. 251 modifica] e centra a le regole d’Alesandro e di Scoto, dottori. La cagione si è, perchè tu hai in te tre pessimi vizi. Prima hai cechità ne lo intelletto; sicondo, hai terrena volontà ne lo effetto; terzo, hai gattiva operazione ne l’opera. E di te disse Davit: Quoniam non cognovi negotiationem, introibo in potentias Domini. Domine, memorabor iustitiae tuae solius. Tu hai veduto, prima, chi díe èssare la persona che fa la mercanzia; sicondo, con che animo si fa; terzo, il modo come si fa; quarto il luogo; non in chiesa; quinto il tempo; non in dì di festa; sesto, consorzio: tanto la debbi véndare a uno tempo, quanto a un altro. Non díe èssare prete che facci le mercanzie, nè anco non si díe impacciare d’uffizi. Per lo sicondo, non díe aver altro che buono animo, se è uno ricco, di darlo per Dio, dal suo bisogno in su.

Nella terza circostanzia vedesti quatro pecati: bugie, giuri e spergiuri, falsità e scilogismi. Bugie: prima, che non si vende nulla, senza bugie. Sicondo: che non basta le bugie, chè vi si vuole agiognere giuri e spergiuri. Terzo, che tu falsi le tue mercanzie. Quarto, so’ soffisticarie di chi la mette dentro e fuore come gli piace. E questi furo i primi quatro. E’ sicondi quatro pecati si furono questi. Primo, d’ocultare la verità. El sicondo fu di chi vende a peso o a misura, che inganna chi compra da lui. Terza, di colui che inumidisce la mercanzia, come udisti di colui del zaffarano. Quarto, di chi dà le cose nocive, o veleni o altro. Gli altri quatro. El primo fu del numerare; dove molte persone so’ ingannate. Sicondo fu di colui che vende più a termine, che a contanti. El terzo è di colui che biasima e dice male de la robba del compagno. Quarto fu di coloro che rompono il comandamento di Dio, per véndare il dì de la festa. Gli altri quatro. El primo fu de’ tradimenti e inganni, di dare la [p. 252 modifica] cosa gattiva per buona. Sicondo fu omicidio: nel véndare la cosa corrotta, come fa talvolta il carnaiuolo. Terzo fu viluppi e circonvenzioni, dove ingannano l’uno l’altro. Quarto è di rompere fede l’uno a l’altro. E hâne sedici. E i due fu: l’uno si fu di colui che lassa la donna giovana, e va in lònghi paesi e lassala a pericolo e forse anco a peggio; e così forse fa anco lui. El sicondo, e ’l peggio di tutti, di colui che vende più che non debba, e compra meno che non debba, e pargli far bene e così se ne va dannato senza farsene coscenzia. E hâne diciotto. Anco t’ho detto di tre cose molto utili, anco necessarie a una Comunità. La prima si è che sieno recate le mercanzie de’ paesi di lònga, come s’è pepe, zuccaro e altre cose bisognose, perchè di qua non ce ne nascono, e debbano guadagnare chi le fa venire. Anco, una siconda cosa necessaria a una città; bisogna che vi sia chi conservi di queste tali mercanzie condotte di lontani paesi. Possonle e debbonle comprare e anco guadagnarne e véndarle di qua e di là, a questo bottigaio e a quello, perchè la città ne stia a divizia. Terza cosa necessaria a una città o Comunità si è, che bisogna che vi sieno di quelli che mutino la mercanzia per altro modo; come s’è la lana che se ne fa panno: lecito è che il lanaiuolo ne guadagni. Ognuno di costoro possono e debbono guadagnare, ma pure con discrezione. Con questo inteso sempre, che in ciò che tu t’eserciti, tu non facci altro che a drittura. Non vi debbi mai usare niuna malizia; non falsar mai niuna mercanzia: tu la debbi far buona, e se non la sai fare, innanzi la debbi lassare stare, el lassarla esercitare a un altro che la facci bene; e allora è lecito guadagno. E se così farai, tu acquistarai di qua grazia da Dio e da le genti, e di là la gloria; ad quam Deus nos perducat in saecula saeculorum, amen.



Note

  1. Questa è la decima e ultima delle Prediche edite dal Milanesi.
  2. Il Cod. Sen. 6 e la stampa, toccò.
  3. Il Cod. Sen. 6 e la stampa, discrive.
  4. La Vulgata, litteraturam.
  5. Così nei Codici e nella stampa.
  6. La Vulgata: Nemo militans Deo implicat se negotiis saecularibus (Epist. seconda ad Timotheum, cap. secondo, vers. 4).
  7. Sul modo di formare i bossoli, ove si ponevano i nomi dei cittadini da estrarre pei pubblici uffizi, son da vedere più provvisioni prese il 9 settembre 1427 dai Priori del Comune; le quali furono senza dubbio suggerite dal Santo, che appunto in quel mese recitava queste sue prediche.
  8. L’ufizio di Camarlengo del Comune fu tenuto sino da’ più antichi tempi da un frate, che spesso appartenne all’Ordine camaldolense. San Bernardino apertamente ostile alla intromissione dei religiosi nelle faccende pubbliche, propugnò per modo la istituzione del camarlingato laico, che al cominciare dal gennaio 1428, cioè tre mesi dopo queste sue prediche, a Camarlengo del Comune fu eletto un secolare. Questa importante innovazione, che prova come il Santo fosse ascoltato da’ suoi concittadini anche nelle più delicate cose di governo, rimase interrotta nel 1452 pel breve periodo di sette anni; ma dopo quel tempo fu Camarlengo sempre un cittadino. Lo stesso accadde e con ugual vicenda pel Camarlengo della generale Gabella. Allorchè il Santo diceva queste Prediche era Camarlengo del Comune un frate Giovanni dell’Ordine de’ Servi di Maria.
  9. Il Cod. Sen. 6 e la stampa, che sia religioso.
  10. Il Cod. Sen. 6 e la stampa: o vuoi che per io passato sia stato cagione.
  11. La stampa e il detto Cod., peccato gravissimo e mortale. Il Santo continua con belli argomenti a rimproverare coloro che volevano chiamare i religiosi a coprire ufizi del Comune.
  12. Vangelo di s Matteo, cap. xxij, vers. 21.
  13. Cap. quarto, vers. 8. Nella Vulgata dice fratrem, non nepotem, ed oculi eius in divitiis invece di, oculi tui.
  14. Il solo Cod. Sen. 6, luccica.
  15. Non l’Ecclesiastico, ma l’Ecclesiaste; e dice non implebitur pecunia.
  16. Il Cod. Sen. 6, telgli; la stampa tiegli.
  17. Profezia d’Amos, cap. ottavo vers. 11.
  18. Salm. xj, vers. 9.
  19. Cioè, della Piazza del Campo, dove il Santo predicava.
  20. Nella Vulgata al detto cap. xij, vers. 19: Anima, habes multa bona posita in annos plurimos: requiesce, comede, bibe, epulare.
  21. E nella Vulgata, vers. 20: Dixit autem illi Deus: Stulte, hac nocte animam tuam repetunt a te: quae autem parasti, cuius erunt?
  22. Il Cod. Sen. 6, l’uomo.
  23. Il detto Cod. e la stampa, parràgli.
  24. Vangelo di s. Matteo, cap. xviiij, vers. 29.
  25. Non son parole di lob, e sospetto che non appartengano a verun libro della Scrittura.
  26. Vangelo di s. Giovanni, cap. xiiij, vers. 6.
  27. Marco Polo (M).
  28. Di qui ha principio il vigesimosesto dei Racc. S. Bernard., editi da Zambrini, pagg. 65-68.
  29. Lacuna del Codice; ma è pure errore di citazione, essendo che Vangelo di s. Matteo non abbia che xxviij capitoli. A questo punto ha fine il Racc. predetto, ed. da Zambrini.
  30. Correggasi, nell’Ecclesiastico, al xxxvij cap., vers. 23.
  31. Invece che umidire, come leggono gli altri Codd. e la stampa.
  32. Questo è il Racc. xxvii di quelli editi da Zambrini, pagg. 68-70.
  33. Qui annota il Zambrini: “Dicesi ribollita quella roba che per essersi riscaldata si è guasta; e rincagnata pur vale sciupata, guasta, che ha mutato colore e forma”.
  34. Mancano queste parole al nostro Testo, supplito dal Cod. Sen. 6 e dalla stampa.
  35. Fine del detto Racc.
  36. Comincia di qui il vigesimottavo de’ Racc. S. Bernard., editi da Zambrini; pagg. 70-72.
  37. Qui finisce il Racc. predetto, e vien di seguito quello che nella citata edizione Zambrini (pagg. 72-76) porta il n.° xxix.
  38. Intendi, a venirgli odore di vino, o come a Siena si dice, afrore.
  39. “Nota oste più sopra per colui che vendeva il vino, ed osti coloro che andavano a bere; sulla foggia stessa che si disse prigioniere a colui che è a guardia delle prigioni, e prigioniere a colui che è prigione” „ (Z).
  40. “Quasi testificanza; voce antiq. e sta per augurio, pronostico;non leggesi ne’ Vocabolarii” (Z).
  41. Ha qui fine il Racc. xxix.
  42. Soltanto nella stampa, ghinghiata.
  43. Cioè, di que’ cristiani, convertiti da san Tommaso, che abitavano in Terra Santa.
  44. Epist. prima ad Thessalomc., cap. quarto, vers. 6, e dice: Et ne quis supergrediatur, neque circumveniat in negotio fratrem suum.
  45. Intorno a questa parola leggasi la nota 2 alla pag. 297 del Volume Primo.
  46. Qui i Codd. e la stampa leggono abito, ma ci sembra errore.
  47. È il vers. 14 del quinto cap. del Deuteronomio, che vuolsi così emendare: tu et filius tuus et filia, servus et ancilla, et bos et asinus et omne iumentum tuum ec.
  48. Salmo lxxxxij, vers. 5.
  49. Forse miglior lezione è quella del Cod. Sen. 6, seguita in parte dalli stampa: come s’è una, quella del frappare: il frappare i panni no’ è ben comune
  50. Le origini dello Studio di Siena, che aspetta ancora una storia degna del nobile argomento, risalgono alla prima metà del secolo XIII. Vi lessero in ogni tempo uomini preclari, chiamativi con provvida sollecitudine dalla Repubblica, la quale a mantenerne ed accrescerne la fama e il decoro gli procurò privilegi d’imperatori e bolle di papi. Tra questi fu veramente benefico allo Studio sanese papa Gregorio XII, che assegnatogli il patrimonio dello Spedale della Misericordia, promosse la istituzione di quella Casa di Sapienza, dove fino al nostro secolo convissero, applicandosi agli studi della Giurisprudenza, della Medicina e della Teologia, molti giovani italiani e stranieri. Fedeli a queste tradizioni, i cittadini sanesi sono tuttavia affezionatissimi all’antico loro Studio, che non senza sacrificio mantengono tuttora in credito ed in prosperità.