Prediche volgari/Predica XXXVII

Predica XXXVII

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Predica XXXVI Predica XXXVIII

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XXXVII.

Come ogni cosa di questo mondo è vanità.1

Timete Deum. Pure col timore di Dio ci doviamo impacciare, dilettissimi cittadini. Io trattavo stamane de le vanità degli uomini come de le donne. Vanitas vanitatum et omnia vanitas2: — È vanità di vanità, ogni cosa di vanità. — Oh, se egli fusse dì di festa! Io parlavo stamane de la vanità dell’uomo e de la donna, e cominciammo a vedere che in ogni luogo sête pieni di vanità; in mezzo, in fine e in capo, cioè in tutto il corpo. Ogni cosa grida vanità. Vanitas vanitatum et omnia vanitas. Perchè Iddio vidde che questo peccato era in ognuno, e esso venne per la liberazione di tutti; e fu verificato la profezia, parlando di Cristo: A planta pedis usque ad verticem non est in eo sanitas3: — Da la pianta del pie’ insino alla sommità del capo, non è sanità in Cristo. — Tante furono le piaghe e le battiture sue che egli ebbe, che non fu in lui niuna sanità: dimostrando che lui patì in tutto il corpo suo per purgare noi. El modo il dice, chè dice, da la pianta del piè insino a la sommità del capo; cioè da la gravezza e bassezza de la terra insino all’altezza de la gloria, egli patì per te pena. Non fai così tu. O tu che vai dietro a le vanità, tu tieni mala via; tu [p. 186 modifica] cominci da le vanità, e cominci dal capo, e vai in giù a piei: tu capitarai male in ogni luogo; se’ pieno di vanità in capo, in dosso e in piè: ogni cosa se’ vanità. Io ho pur fede che se non tutti, almeno parte s’asterranno da molte vanità, e quello che non se ne tira addietro, aspetti, aspetti che casa calda il disidera. Dove cominciaremo a dire? Cominciaremo dal capo o da busto o dal piè? Non dal capo, però che sarebbe un poco tedioso. Udisti mai come il capo de la gatta è tanto malagevole a scorticare? Cominciaremo da’ vestimenti corporali, che so’ di grandissima vanità e di grande peccato mortale. Vuoi tu vedere quanto è mala cosa? Or intendelo e imparalo. Io ti vo’ mostrare dieci offensìoni Dio, tutte per cagione de’ vestimenti. Tòllegli a cinque a cinque. Tòlle il primo.

Primo segno, ti dico, è vanità.

Sicondo è varietà.

Terzo, suavità.

Quarto, preziosità.

Quinto, iniquità. Hai le prime cinque.

Piglia l’altre cinque.

La prima è superfluità.

Siconda è curiosità.

Terza, novità.

Quarta, malignità.

Quinta e ultima, dannosità.

Attendete, giovane, se volete imparare, e anco a voi madri, egualmente a tutti voi, acciò che voi sappiate astenervi da’ pecati.

Primo è vanità; ed è vanità quando tu porti quel che non apartiene a te. El mercatante che porta la giornea, quella è offensione di Dio. Se fusse uno soldato virile, [p. 187 modifica] egli te la torrebbe, però che quella s’adà4 a lui, non a te. Come noi ci dimostraremo a uno che volesse portare l’abito di santo Francesco, e toremmolili; così farebero frati di santo Domenico a uno che portasse l’abito loro; così farebbero i frati di Santo Agustino. E dico che chi tollesse l’abito a uno che non s’afà a lui, sarebbe bene fatto. E questo, dico, dovarebbe fare ogni Regola. O mercatante, vuoi tu parere mercatante? Or porta l’abito per modo che si confacci a te. Forse tu vuoi portare la giornea per parere quello che tu se’, che se’ uno ladroncello gattivo; e però vai vestito come uno soldato. Io ti dico che quello non è abito adatto a te, ma sì al soldato; se tu lo porti, tu dimostri d’èssare uno domestico ladroncello e robbatore. Porti le frappe, le frappe, eh! O padri, o madri, o sartori, io non so che coscienzia voi v’avete, a guastare i panni come voi fate. Ben che si può dire: qualis pater, talis filius. Io ho già veduto vestimento con sedici braccia di panno frappato. Una volta ti converrà capitare a la bocca de la macina. Doh! io non penso a cotali frascarelle. Ma tanto panno a perdere, non pensi tu che peccato tu fai? Sai che ti dico? Tu cominci già a scialequare il tuo.

A che si cognoscono le buttighe, eh? A le insegne, così le balle si cognoscono a’ segni. Quello che tu gitti tu, pure non ti sarà tolto: ma va’, e confessati; e tu frate, va’, pongli la mano in capo, e basta. A che si cognosce una donna quando ella è buona? A la portatura sua. Così si cognosce la bottiga di quello lanaiuolo al suo segno. Così il mercatante si cognosce la sua bottiga al segno. E’ frati a che si cognoscono? Pure al lor segno. El monaco a che il cognosci quando elli è o nero o [p. 188 modifica] bigio o bianco? Al seguo loro. Quello di fuore dimostra quello che è dentro. A lo strinsico puoi cognoscere lo intrinseco. A proposito: vo’ dire che la donna che porta il vestimento meretricio, io non so lo intrinsico, ma quello di fuore mi pare vedere di sozzi segni. Egli mi pare che tu debbi essere una.... nol vo’ dire, ma tu m’intendi bene. Come ti patè l’animo di portarlo, pazzarella? Non hai più sentimento? Ma tu, madre o padre, come le lassi o fai portare? Non cognosci tu, che questo non è vestimento da donne, ma più ratto da meretrici? Io tel vo’ dire, o fanciulla, o donna, che porti tali vestimenti: tu dimostri d’èssare una meretrice: io non dico che se’ una meretrice. ma dico che tu pari meretrice per la disonesta portatura tua. O giovani, quando voi vedete di queste tali, additatele come se fossero meretrici, poi che elle vogliono parere; però che quello nome lo’ seguitarà molto bene a ragione. Tu vai cercando tu stessa d’essere chiamata meno che buona. Doh, ditemi: non sête voi cristiane? O se voi sête cristiane, perchè non seguitate voi la dottrina cristiana? Forse voi volete parere e non èssare. Doh, pigliate e usate i buoni essempli, e portate i vostri vestimenti con onestà, e non vogliate che di voi si possa dire altro che tutto bene, sì in atti e anco in fatti. E tiene a mente, che se tu isforgi, sai, egli non ti fallarà questo ch’io ti dirò, che in fine tu ne verrai in infamia o di cognato, o di compagne, o di tuo marito, o di domestico di casa, o di parenti, e forse anco peggio: intendila tu? Oh, credemi, che chi tali portature portarà, infine infamato si truovara: detto aio, detto aio5. Inde è detto nello Ecclesiastico a xviiij cap.: Amictus corporis et risus dentium, [p. 189 modifica] {{Pt|cant|judicant}} hominem: — El vestimento che altri porta, e ’l ridare de’ denti, giudica l’uomo quello che egli è. — Udisti mai che la botte dà del vino che ella ha? Piglia questo per essemplo. Come tu vedi vestito un uomo di fuore, così il puoi giudicare dentro: e così anco la donna.

O giovano, io mi voglio un poco cominciare a te. Quando tu vai co la gamba tirata, stringato intorno, a gamba rotta, e a calza sbarlata e fessa, e ’l farsettino al bellico; per certo che a questi portamenti tu dimostri d’èssare quello che tu se’. Così quando tu torni in casa, tu ti trai la giornea fra suore e cognate e parenti, dove si possono spechiare in ogni ribaldarla; e per questo si viene talvolta a altro. Hai tu posto mente come la giornea è fatta? Ella è fatta come una covertina di cavallo co le frappe da lato e da piè, sicchè tu porti il vestire a modo che la bestia. Viene a dire che tu sei una bestia vestita da la parte di fuore: puossi giudicare a vederti vestito come la bestia, che tu debbi èssare dentro come una bestia. Anco il capuccio, portandolo su alto a balla, oh, quanto ti pare star bene! Non in fimbriis viri beneplacitum erit ei6. O giovinozzo7, che non ti curi di nulla, sappi che a Dio non piace che tu porti la calza, come tu la porti, a gamba rotta o fessa con salsa verde, sai, e col farsettino tanto corto, che presso che si mostra.... eccetera. E così la giornea con tante frappe e intagli, che dimostra che tu hai tutto il cuore intagliato. El capuccio alto come si porta la balla, che ti significa altro che superbia? Così tu, donna, che porti il vestimento tanto grande che ti fa sudare molte volte, co la [p. 190 modifica] manica che atrascina per terra e le bracciolina n’escono fuore; anco le giornee infrappate a’mbratti! Or aspettarai, chè questo sarà de la siconda8. Queste tali cose dimostrano tutte vanità di pecato, e tu stesso dici che tu hai poco senno, e vai sgrifalando co’ denti.

El terzo signo che dimostra quello che l’uomo è, si è quando tu vai col capo alto, oh, tu v’hai quanta superbia dentro! Non pare che tu possa capire per la vìa! Ricognosceti, pòvaretto, ricognosceti: torna ne la buona via. Così tu, donna, non dimostrare ne la portatura dei tuo’ panni, nè ne lo andare, che tu sia una meretrice; ma vogli portare sì fatto abito, che tu possa e sia giudicata buona e onesta. Dimmi: o se uno ti dicesse quando vai così per via: — oh, tu pari la bella meretrice; — che te ne parrebbe? Non credo che te ne paresse bene. Adunque, fa che tu levi via la cagione che non ti sia detto; fa’ che tu non dimostri d’èssare. E anco a te. madre; non consentire mai che tale abito porti tua figliuola; che so’ molte che se ne gloriano. Nol far più.

Sicondo segno e peccato si chiama varietà. Sai che cosa è varietà? So’ questi vestiri scaccati, racamati, lillati e divisati: tu m’intendi bene; e queste tali cose tu le porti molto volentieri. E sai che dimostra questo? Dimostra che l’anima tua è variata come è il corpo. Vuoi vedere s’io dico il vero? Perchè gli porti tu? Portigli per dare diletto a te? Mai no. Adunque, tu gli porti per dare diletto altrui. Vedi che tu se’ cagione di fare grandissimo peccato, e dì pónare uno grande carico all’anima tua? Dice Ambrosio: Magna insania alienos delectando oculos se ipsum deludere: — Quanta è grande pazzia a dare diletto altrui, e dileggiare sè medesimo! — E Jeremia a [p. 191 modifica] xij cap.: Numquid avis discolor haereditas mea mihi. O anima mia, ricomprata da me, debbi tu èssare ucello di vari colori! Come vari tanto te medesima, che dovaresti essare tutta pura! Doh, udiste mai dire d’una cornachia che si vestì una volta d’ogni penna? Oh, ella era tanto bella, era cangiacolore! Sai che ne intervenne? Che ogni ucello se le posero d’intorno, e ognuno si tolse la sua penna, e così rimase spennazzata. A proposito. O donna che porti tante cose non tue, se egli ritornasse la lana di che tu vesti a le pecore, e la seta tornasse a’ vermili che la fecero, e i capelli che tu porti, tornassero a coloro che so’ morti, di cui furono, e’ crini che tu adopari, tornassero a’ cavalli; se ogni cosa che tu hai tolta per tuo adornamento, tornasse al principio, oh, tu rimarresti spennachiata, tu non àresti tanti lilli e tanti imbratti quanti tu n’hai, e non faresti tanti pecati quanti tu fai!

El terzo segno di pecato si chiama suavità. Questo peccato si vede quasi in genere, che non è niuna che non cerchi d’avere i più gentigli panni che si possono trovare. Oh, e’ sarà che darà venticinque lire al marito di dota, e vorrà il rosado! Oh, quanto è da biasimare! Già io stimai in una casa, che valevano più tre vestimenti che ella aveva alla finestra, che non valevano tutte l’altre cose che v’erano per casa. Parti da lodare, eh? Non è niuna tanto da poco, che non voglia lo scarlatto e ’l pavonazzo e ’l rosado. Or ponete mente, che voi trovarete che i contadini vorranno anco gli scarlatti. Egli m’è stato detto. Donna, anco t’amonisco che tu non porti più seta, ma io ho inteso che egli la porta ora l’uomo. Oimmè, che voi non pensate a molte cose che voi dovareste! Che credete che facci ora il diavolo? Egli ha ato uno botto a’ vostri vestiri di quelli grandi. Vuoi [p. 192 modifica] vedere se è vero? I vestimenti vostri, o donne, io ho udito che gli uomini se gli fanno per loro e recanseli al loro dosso, poi che voi non gli potete portar voi, e per assettargli al loro dosso egli si gitta e si perde di molto panno e seta. Doh, immè, misuratevi, misuratevi un poco! Pensa se si confà a te questo vestire. Ode in santo Matteo a xj cap.: Qui mollibus vestiuntur, in domibus regum sunt: — Colui che si veste di vestimenta preziose, abita ne le case de’ re. — Le case de’ re so’ interpretate la casa dei diavoli: e che questo sia vero, tu hai de la loda di santo Giovanni, quando egli si vestì di pelle, come dice in santo Matteo al iij cap.9: Non indutus erat purpura, sed camello: — Non era vestito di porpora, no, ma di camello. — O forse che la donna non è vaga de’ vestimenti preziosi? Che con tutto che sieno conceduti a genti reagli e a gran signori, nondimeno non ci è niuna che non lo’ ’l paia meritare quelli che ella ha, e anco più che ella non ha: e così vanno le cose male. E come dico de la donna, così vo’ dire anco dell’uomo: che sarà uno di bassa mano, e ârà una arte o uno mestiero vile, e vestirassi onorato per modo, che egli mostrarà di èssare uno gran pataffio, e non sarà però altro, che egli sia. Doh, parti meritare questo vestire? Forse dirà di sì, ma non dirà così uno giusto giudice. Doh, cittadini sanesi, provedete a queste tali cose, chè elle vi fanno di bisogno molto, e non ve ne acorgete ora!

Quarto segno di pecato che dispiace a Dio, si chiama preziosità, di colui che vuole vestimenti preziosi di veluti o drappi di seta. Sai che ti dico prima prima? Dico che chi si veste di quello che non appartiene a lui, [p. 193 modifica] fa peccato mortale; dico che il rico díe vestire onorato più che l’artefice, sì bene: ma non voler vestire tanto onorato, che tu passi il termine. Che bisogna tanti vestiri di seta a Siena, che tanti racami, eh? Vede Luca, cap. xvj, parlando di quello rico, e dice: Qui induebatur purpura et bysso: e soggionge quello che di costui seguì. Dice: Et mortuus est dives, et sepultus est in inferno10: — Fu uno uomo il quale vestiva di porpora e di bisso, vestimenti di seta; quando egli morì, fu sipolto nell’inferno. — Ora domando te: se tu vai vestito di simili cose, dove credi capitare? Non credo che tu capiti meglio di lui, già io. Vuoi vedere come tu ti puoi salvare a portarli? Ode Geronimo come ne dice: Nemo pretiosis vestibus induitur, nisi ad inanem gloriam: — Niuno si veste vestimenta preziose, se non per vanagloria. — È peccato mortale la vanagloria; sì, che tu vedi che sempre tu l’usi col pecato mortale. Vuoi vedere se è vero? Quando tu ti vesti tali vestimenti, vèstitegli tu per farti tenere d’assai in casa tua, o per quelli che so’ di fuore? Io mi credo che questi vestiri tu non te li vesti per la tua casa: anco come tu giógni, te li cavi. È vero?

Quinto pecato e segno di dispiacenzia di Dio si è iniquità; e qui ci fermaremo un poco: che se tu guardarai in questo peccato, tu ce ne vedrai dentro de’ dieci e’ nove. Tu darai una tua fanciulla a uno per donna; e colui che la piglia, nè ’l padre nè la madre non pensano d’onde la robba sua venga; chè se fussero savi, dovarebbeno pensare la prima cosa: d’onde viene questa robba, d’onde vengono questi vestiri, di che è fatta la sua dota. Però che molte volte, e il più de le volte, è [p. 194 modifica] fatta di robbaria, d’usura, e del sudore de’ contadini, e del sangue de le vedove, e de le mirolla de’ pupilli e I degli orfani. Chi pigliasse una di quelle cioppe e premessela e torcessela, ne vedresti uscire sangue di criature. Oimmè, non pensate voi che crudeltà è quella, tu vestirti di panni che colui ha guadagnati, e lui si muore di freddo! E tu dici: — Il mio padre è molto ben ritto e rico: hammi date le dote molto magne, e le gote non del suo guadagno. E non ti pare che e’ sia ritto? — Sì, col capo di sotto. Se ’l marito d’una così fatta, facesse quello che dovarebbe fare, le cose andarebbeno meglio che elle non vanno. Sai che dice nel Levitico a xij cap.?11 Vestis leprosa comburatur: dice che — La veste lebrosa si cacci in sul fuoco. — Non vedi che questa veste che tu hai in dosso, è con sangue? Noi vedi tu? Iddio ha comandato che ella sia messa in sul fuoco. Non vedi tu che questa casa è venuta di ma’ guadagni? Se tu il vedi e ’l conosci, non la portar più. Anco in altro luogo, pure nel Levitico:12 Vestis mixta sanguine cibus ignis: — La vesta che è intrisa nel sangue sia messa al ardere nel fuoco. Vuol dire, i vestimenti che so’ venuti di mal guadagno, non si debbano portare. Se tu puoi sapere che di mal guadagno sia venuta, non la portar più; che se tu la porti, guardati che tu non capiti come quello rico ch’io t’ho conto: qui induebatur purpura et bysso, mortuus est et sepaltus est in inferno13: Colui che vestiva di vestimenta di porpora, che è di [p. 195 modifica] colore rosso, significato di sangue, sarà sipolto in inferno. — Hai che Cristo fu vestito di porpora per farlo tenere in dirisione volendo beffarlo; eppure a lui si confaceva, però che quello yestimento è il più prezioso vestire che si possa trovare in questa vita; sì che lui il meritava bene, però che non fu mai criatura più preziosa, che fu Cristo. E però, per esempio di Cristo, o donna, impara questo, stamane. Ogni volta che tu porti il pavonazzo, che ha del colore vermiglio, se tu il porti di mal guadagno, tu il porti a dirisione di Cristo. E hâne cinque; or tòlle gli altri cinque.

El primo degli altri cinque si chiama superfluità; dove tu dèi considerare che quando Idio diè il vestimento de la pelle a Adamo, sì gli gli diè per onestà e per riparo del caldo e del freddo, perchè fusse intorno al suo bisogno: e a questo s’acordano tutti i santi Dottori; e èbbene uno e non più. O tu che n’hai cotanti, e tienglì nel goffano, guardagli bene che non tignino: fa’ che tu gli tenga al sereno, e la mattina per lo fresco, e squoteli bene, e governali spesso. Or duravi fatiga quanto tu vuoi, che tu non saprai sì fare, che le tignuole non gli guastino; però che quello vestimento che non è usato di portare, sempre si guasta; e quello che si guasta, si perde. Va’ poi, e rendaràne ragione nell’altra vita. E inde disse santo Iacomo ne la Canonica sua al V. cap.: Vestimenta tua a tineis comesta sunt: — Le tue vestimenta sì sono mangiate da le tignole. — E se elle non so’ guaste da le tignole corporali, almeno saranno guaste da le spirituali. Sai quali sono le tignuole spirituali? È la maladetta avarizia. Ditemi, donde viene, che tu vi duri tanta fatiga tutto l’anno, e non gli porti mai? Tu t’aiti tutto l’anno a scuòtargli e puogli in su la pertica; e la pòvaretta sta colà e agghiaccia di freddo, per non [p. 196 modifica] averne tanti quanti ne le bisognarebbe. Che credi che gridi quello tremare a Dio contra di te? Oh, se tu lo intendesse, tu udiresti gridare: vendetta, vendetta! Così se tu udisse le grida della tua cassa, la quale grida a Dio: Miseremini mei, miseremini mei! Cosi anco gridano le tue pertiche, quando elle so’ carche, che vi criepano sotto. Così grida il tuo goffano, quando tu ve le calchi dentro. E tu vedi il pòvaro morire di freddo, e non te ne curi! Tu non le senti già tu le grida! Sai perchè? Perchè a te non fa freddo; tu t’empi il corpo del man giar bene, ber bene, e de’ panni assai in dosso, e spesso al fuoco. Tu non pensi più là: corpo satollo, anima consolata. E quante camicie avete mandate qua giù a quelli pòvaretti prigioni, eh, o donne? Ma io v’ho per iscusate per uno modo. Io pur sento che presso a due camiciuola e due paia di mutande e un paio di calsaccie rotte l’è stato mandato. Ma credomi che infine voi morrete ne la vostra robba, e ’l diavolo ve ne portarà. Sape’ perchè io dico, ch’io vo per iscusate in una parte? Oh, io vel vo’ dire.

14Udiste voi mai la storia dell’asino de le tre ville? Elli fu in Lombardia. Elli è una via con una capannuccia, la quale è di lònga a uno molino forse uno miglio. Accordaronsi queste tre ville a tenere uno asino a questa capanna, il quale facesse il servigio di portare il grano al molino di queste tre ville. Avenne che uno dì queste tre ville andò per questo asino, e menasene l’asino a la villa, e póngli una buona soma di grano, e ménalo al molino; e mentre che egli si macinava il grano, egli scioglie l’asino e lassalo pascere: e voi sapete [p. 197 modifica] che a la pastura dei molinì poco vi cresce l’erba, sì spesso è visitata. Macinato il grano, egli piglia la farina, carica l’asino e menalo a casa sua co la soma; e scaricatola, riconduce l’asino al suo luogo de la capanna, senza dargli niuna cosa, dicendo da sè medesimo: — colui che l’adoparò ieri gli dovè dare ben da mangiare, sì che e’ non díe aver troppo bisogno; — e così il lassò. Aviene che l’altra mattina seguente, un altro dell’altra villa venne per questo asino, pure per caricarlo di grano. E menatosenolo a casa, póngli un’altra soma di grano magiore che quella di prima; e senza darli nulla da mangiare, il menò al molino; e macinato il grano e condotta la farina a casa sua, rimenò l’asino a la capanna, senza dargli nulla; pensando che colui che l’aveva adoperato l’altro dì dinanzi, el dovè bene governare: e così il lassò senza attèndarlo a nulla. E inde appresso: — io ho altro a fare per ora! — E hai due dì che l’asino non ha mangiato nulla. El terzo dì viene un altro per l’asino a la capanna e ménalo seco, e caricollo meglio che carica che egli avesse mai, pensandosi: — oh, questo è asino li Comuno; egli debba èssare gagliardo: — e così mena l’asino al molino con la soma sua. Aviene che anco non gli è dato nulla nè ine nè altrui. Infine macinato il grano, ricarica la soma all’asino e mettoselo innanzi. L’asino era pure indebilito e non andava molto ratto. Mieffè,15 costui comincia ad oparare il bastone, e dannegli e caricalo di molte bastonate, e l’asino infine condusse questa soma con grande fatiga a casa di costui. [p. 198 modifica] Costui poi rittienando l’asino a la capanna, a pena si poteva mutare: e costui il bastonava ispesso, dicendo: — ecco l’asino che il Comuno tiene per servire a tre ville! i Egli non è buono a nulla. — Egli il bastonò tanto, che a pena il condusse alla capanna: nè anco gli diè nulla. Volete voi altro? Che, in conclusione, il quarto dì l’asino era scorticato.16

A proposito: così dicono queste donne, le quali sono ingannate de l’avarizia e de la miseria. Elle dicono: — questi prigioni non debbano avere necessità niuna, però che frate Bernardino è creduto assai, e egli gli ha racomandato molto bene ed è creduto: onde che eglino debbono avere avuto de la robba pur assai. — Doh, pòvarette, che voi sête errate in voi medesime e ingannate dall’avarizia! Ognuna stregne, ognuna stregne, e avete tanta roba, che voi non sapete che farne. Prima: se voi dite ch’io so’ creduto, e io vi dico che ’l mio predicare non giova a nulla. Di voi dico, che ognuna stregne, e’ pòvaretti stentano. Deh, non mirate a le mani l’una a l’altra! Chè sentii che quando fu martoriato quello pòvaretto che fu impicato, che poi che egli ebbe de’ martorii, che ricondotto in prigione in suo riposo, era in terra. Doh, uffiziali, provedete per l’amor di Dio! Io vi dico che ella è santa cosa la giustizia, ma non si vuole però usarla con crudeltà. O non hai tu così notabile detto? Judicium sine misericordia fiat ei qui non fecit misericordiam: — Giudicio senza niuna misericordia ricevarà colui il quale non sarà misericordioso in altiui. — Oimmè, ch’io vego tanta crudeltà in voi, ch’io temo che Iddio non ve ne facci anco di male. Voi vedete in quanto bisogno i pòvaretti stanno. Dall’altro [p. 199 modifica] lato, voi avete tanta robba, che voi non sapete che farne; e più tosto la volete lassare infracidare, che darla a quelli bisognosi. Deh, ricognoscete il bene che voi avete, e vogliate muovervi a piata di loro. Fate che qualcuno se ne levi e faccisene capo, e qui il Pecoraio17 abbi cura de’ denari. Così voglio dire a voi, o donne: fate che in ogni contrada se ne levi qualcuna, e fate che ella sia buona e degna di fede, e che e’ sieno proveduti per qualche modo. Dove non è carità e piatà, oh, egli mi pare il male segno, come io vego in voi. — A casa.

Dove siamo? Superfluità. O tu che abondi ne la robba, va’, vede Ieronimo come il dice chiaro, o tu che hai della robba assai. Aliena esse conveniuntur, quae superflua possidentur: — Egli si conviene che sia d’altrui, quello che si possede di superchio. — E di chi credi che debba essere? Non d’altri, se non di colui che n’ha vanità. Ma diciamo un poco: perchè debbi tu avere più robba che colui? Aresticela tu forse recata? Tanta parte ci hai tu, quanto il pòvaro; e però si conviene che se tu n’hai in abondanzia, tu ne dia a chi ne pate caro. Ode Iob, quello che disse di sè medesimo18: Nudus egressus de utero matris meae, et nudus revertar illuc: — Innudo venni del ventre de la mia madre, e innudo vi debbo ritornare. — E qui parla de la terra, nostra madre.

Adunque, tu vedi che essendo ne l’abondanzia de la robba, e un altro ne la necessità, tu ne debbi dare a quello bisognoso, e non daendoneli di quello che tu hai d’avanzo e lui carestia, sempre pecchi. Io dico bene così, che egli t’è lecito di serbarti il tuo bisogno, ma dal [p. 200 modifica] bisogno tuo in là, tu debbi sovvenire il pòvaro per amore di Dio; e dicoti che quello che tu dai, il debbi dare con discrezione. Non consideri tu che se Idio t’ha data abondanzia de’ beni della terra, egli te l’ha data perchè tu sia suo dispensatore? Adunque, avendoti Idio fatto suo dispensatore, e tu per avarizia non ne dai ai pòvari, a’ religiosi, a’ miserabili che ne patono stento, sempre pecchi, non la puoi usare senza peccato mortale. Ma, dimmi, chi ti tiene che tu non ne dai, o tu che sei in tanta abondanzia? Di’ il vero, chi ti ritiene? È egli altro che avarizia? Certo, no. Ora vo’ domandare voi, donne. E peccato mortale l’avarizia? Mortalissimo. Or mira tu quello che tu hai a fare; io te la conto come io la trovo; fa’ ora a tuo modo. Io so bene che la robba che tu tieni non è tua propia; anco l’ha data Idio al mondo per sovenire al bisogno dell’uomo: non è dell’uomo, no, ma per lo bisogno dell’uomo. E però disse David19: Domini est terra et plenitudo eius. Adunque, tu non la puoi possedere, se un altro ne pate caro, senza peccato: io dico il superchio. Hai anco el detto d’Ambruogio in cap. sicondo. Dice che ’l cibo e il vestimento superchio non è tuo, ma è di colui che ne pate carestia, e ogni volta che tu te l’appropri per tuo, ogni volta di nuovo pecchi. Ma diciamo un poco: vedi tu che e’ sarebbe bene che colui che stenta non istentasse, e sì del mangiare e sì del bere e del vestire, e d’ogni cosa che e’ pate caro? Non vedi tu che egli ha bisogno di quello che tu hai a divizia, e non ne fai nulla? — Sì. — Perchè dunque te l’appropri? Tu non tel puoi appropiare senza peccato mortale; anco il debbi dare e dispensare [p. 201 modifica] a’ pòvari. Inde Pavolo20: Iam quaeritur inter dispensatores ut fidelis quis inveniatur. Deh, poi che Idio v’ha data in abbondanzia della robba del mondo, dispensatela: io dico de la robba superchia. Voliate usare quello che Iddio vi ha dato con discrezione: serba quello che bisogna a te e a’ tuo’ figlioli, e l’avanzo da’ al bisognoso.

Uno dì vorrò predicare de la limosina come voi la dovete fare, e in che modo e a chi. Dice Alissandro che colui che ha quello che gli bisogna, e egli fa niuno contratto o mercanzia lecito, io dico lecito; se gli non fa quello che egli debba del guadagno ch’egli vi fa, come s’è, di darlo a’ pòvari bisognosi; intende, io dico, se egli fa lecitamente, non avendone bisogno, non dà del suo avanzare a’ pòvari, a chiese, a spedali, a maritare fanciulle; quella tal robba lecitamente guadagnata, diventa illecita, e tiella con peccato mortale. La cagione si è questa: Quia thesaurizat et ignorat cui congregabit ea: — Questo tale raguna, e non sa chi sel godarà, — fa contra a la volontà di Dio; però che seguitando avarizia, fa pecato, e ’l peccato è contra a Dio. Adunque, fa contra a Dio; ogni superchio dispiace a Dio. E però io voglio in questa settimana predicarvi sopra de la limosina, e dirovvene cose molto utili, e udirete cose che mai non l’odisti più.

El sicondo segno e peccato che dispiace a Dio, si chiama curiosità. Curiosità è quella di colui o colei che usa ogi con vergati a ’mbratti. Or pur piano.21 Che credi [p. 202 modifica] che dimostrano questi vergati e adogati e listrati? No; dimostrano altro che segno di divisioni. Rade volte vedrai cotali segni. che non seguiti poi e’ fatti. Avete voi a memoria, o antichi, vedeste mai e’ fanciullini quando fanno e’ balestrucci, e vanno a cavallo in su e’ cavalli de la canna co la spada di canna? Che significano poi? Vedeste lo’ mai? Simile, udisti mai i fanciulli, quando eglino vanno dicendo tutto dì: — pane e candelle; tutto dì: — candelle e pane? — E talvolta si ponevano in terra distesi come morti, co le croci de le canne? Ècci niuno che se ne ricordi? Questo è stato già al mio tempo; e ’l significato si è stato guerre e mortalitè. Che credi che significhi il troppo ben vestire? Aspettarai, aspettarai, e saparàlo per prova. Ode Sofonia al primo cap.: Visitabo super habentes vestem peregrinam:22 — Dice, che come sarà veduto questi che saranno vestiti di vesti tanto nobili e peregrine, che saranno visitati quelli luoghi. — Sai chi sarà? Sarà frate Bastone e frate Mazica, quali âranno molto più forza che non ha âuto frate Bernardino. Sai che faranno? Non predicaranno no, ma faranno de’ fatti. Oimmè, ch’io vego bene qualche cosa io, non la vede ognuno di voi! Se voi sapeste quanto male seguirà per questi vostri vestimenti, forse voi gli guastareste. E però, se niuna ne guasta niuno, mandimelo a dire, che io orarò per lei, che Idio la guardi da quelli stermini ch’io vego aparechiati per voi. Io vorrò misurare i vestimenti di frate Bastone co’ miei. — Oh, di colei che non se ne cura: costui ci mette tanta paura, che se noi gli credessimo, noi gli guastaremmo tutt quanti. — Sai che ti vo’ dire? Pone mente quando egli [p. 203 modifica] è una grande nebbia, uno che sia in alto e miri a basso, egli vede ogni cosa a modo d’uno mare. A proposito. Noi che siamo spiccati dal mondo, quando noi ci spechiamo in queste cotali cose, subito vediamo il pericolo dietro. Nol vedi già tu che vi se’ dentro in questa nebbia. Già so’ stato in luogo dove io viddi simili vestimenta, e subito lo’ dissi, che se non provedessero loro, frate Bastone provedarebbe lui; e non credendomi, lo’ intervenne come io lo’ dissi. Eimmè, che voi sête pieni di nebia, e non vedete nulla! Io vego bene io i pericoli che vi vengono adosso! Io dico, che quando una città si veste in questo modo, ella può aspettare il giudicio di Dio. O città vestita di vestimenta peregrine, aspetta, aspetta il fragello degli angioli di Dio: se la Scrittura non mente, tu non ne potrai campare.

Terzo peccato si chiama novità. Questa è buona per coloro che usano di fare i Consigli, i quali so’ atti e potrebbero forse pónare rimedio e ordinare, ma con fatiga, che non si possi portare se non tanto ariento addosso; e che non si possa méttare se non tanto panno per vestire; e che non si facci tanto le maniche grandi, e ale, che ti faranno anco volare a lo ’nferno. E questa legge in fine si farà per quelli che non hanno bisogno di legge, e non per chi n’ha bisogno; chè non v’avedete, che questo è uno disertamento de’ pòvari. Vuoi vedere come la cosa andarà? Tu farai l’ordine che non si possa fare se non tal cosa e tale; e questo s’intendarà per colui che è ricco. Dirà el pòvaro: oh, io posso fare la tale spesa, che non ne va pena niuna! Lo Statuto concede che si metta tanti taglieri, e io così vo’ fare: dice che si metta tanto panno in uno vestire; così vo’ fare: dice anco di tanto ariento; così vo’ fare. E però questa legge non vi farà regolare; chè così vorrà fare uno come un altro. [p. 204 modifica] Unde io vi dico, ch’io non vi saprei già dar modo io: datevelo voi; fate da voi.

Quarta, si chiama malignità; che come ci verrà una forgia nuova, come ci verrà una meretrice vestita a la franciosa, subito sarà impresa. Ècci niuna fanciulla a maritare, o maritata, che sia vestita a la moderna? Come vedranno quel vestire, subito faranno guastare i loro, per recargli a nuova forgia. Sai che si vorrebbe fare? Egli si vorrebbe prima bruciare la donna che si veste, e poi la madre che il consente, e doppo loro el sarto che le fa. Per certo, s’io l’avesse a fare, egli non si farebbe niuna forgia nuova; chè non v’avedete che gli è uno guastamento de la vostra città! E vôvi dare questa codetta; che chi gli fa, e chi li porta, e chi gli fa portare, peca ogni volta mortalmente; ma molto più il sarto, il quale reca tale usanza; che col suo assottigliare lo intelletto è cagione di molto male: e questo fanno pure per guadagnare.

Dannosità, ell’è l’ultima. Quanta robba tenete voi oggi morta in casa vostra, e quanti so’ di quegli che, con tutto che n’abbino assai, anco ne comprano più? Meglio ti sarebbe che quelli danari tu gli mettesse ne la tua bottiga in mercanzia, che tenerli morti come tu fai. Dimmi ancora. Hai dei pegni al giudeo, che costano cotanto il mese: oh, quanta ne potresti menovare, se tu ti sapesse regolare! Tu hai dei pegni al giudeo, e vuoi tenere i gòffani pieni di panni, che non ne fai nulla, e continuamente l’usura ti rode l’ossa. Quando io pongo mente pure a’ vostri fanciulli, quanto oro, quanto ariento, quante perle, quanti racami lo’ fate portare! Tutte questa cose tenete morte, e potreste riempire le bottighe vostre, e’ fondachi vostri di mercanzie, e far buona la città voi medesimi.

E qui hai veduto dieci malignità e dannosità de la [p. 205 modifica] vostra città per lo vostro superchio vestire del busto. E voglio che basti per lo busto. Diciamo ora del capo. Non volere avere il capo come la gatta, che è malagevole a scorticare. Vediamo in quanto a la colpa, e poi vedremo in quanto a la pena, quello che debba seguire a quelle che hanno il capo vuoto; che si può dire capo di gatta, cioè capo leggero, sei. Perchè il capo de la gatta è così malagevole a scorticare, però ti do questa similitudine: la donna che ha preso quasi per costumo di portare nel capo o in sul capo molte vanità, e tutte di pecato, per la sua mala usanza le sarà più malagevole a rimanersene23, che in tutto l’altro busto. E così vo’ dire anco a te, uomo: leva via tanta vanità de’ cappucci con tanti viluppi, che ben significa che tu hai avilupata assai de la roba altrui. E per certo io non so che, dappoi ch’io ci venni, niuno abbi renduto niuno denaio, di quelli che voi avete mal guadagnati. Diciamo un poco di voi, donne, che è di nostro proposito. Io v’amonisco prima, che voi andiate oneste, e che voi andiate per modo, che voi non dispiaciate a Dio, nè anco a’ vostri mariti sodomitti. E sapete perchè dico questo? Perchè voi dimostrate che e’ ci è più sodomiti a Siena, che in niun altro paese; però che dove più si lisciano le donne, più v’è sodomitti; e voi vi lisciate più che donne ch’io sappi. A Roma, d’onde io so’ venuto ora, io non ne vidi mai niuna lisciata. E voi, pazzarelle, vi credete per lo vostro lisciare ch’e’ vostri mariti non sieno sodomiti? E io vi dico che talvolta voi ne sête cagione voi, per lo vostro lisciarvi. Voi non v’avedete che voi guastate voi medesime, e fatevi odiare agli uomini. A chi puzza la bôca per lo lisciare; chi s’insolfa; chi s’imbratta con [p. 206 modifica] una cosa e chi con un’altra; e date tanta puza a’ vostri mariti, che voi gli fate diventare sodomiti. Quante ci so’ di quelle che hanno guasti i denti per lo tanto lisciare? Sai che ti vo’ dire? Tiene a mente che questa è operazione del diavolo per fare fiacare il collo a te e a lui, e per aver l’anima dell’uno e dell’altro. Non ti maravigliare se ’l tuo marito non ti vuole vedere; tu te n’hai colpa. Doh, io non dico che tu non stia dilicata, anco te ne conforto; ma state oneste e pulite, chè voi lo’ piaciate. Non ridete, che voi avete da piagnere. Egli mi pare vedere ne’ capi vostri tanta vanità, che mi pare un orrore: chi ’l porta a merli, chi a càssari, chi a torri trasportate in fuore, come questa torre. Io vego i merli dove si rizzano le bandiere del diavolo; e tali hanno le balestriere atte a poter percuotere altrui, e così da essere percossi; dove si fa sempre battaglia, come se fusse una de le vostre terre, la quale fusse combattuta. Che vi parebbe se egli fusse posta altra insegna che la vostra ne le vostre terre sopra de le mura, e levassino la vostra? Io mi credo che prima prima voi v’ingegnareste di sapere chi fusse stato, e quello il nemicareste quanto voi poteste, e inde apresso v’ingegnareste che le vostre insegne vi tornassero su. E questo dico per la vanità del capo de le donne.

Non cognoscete voi che quelle vanità che voi portate, so’ insegne del diavolo? Non se tu criatura di Dio? Oh, come ti ribelli tu da lui! Deh, non fare; e se l’hai fatto, ritorna a l’amenda. Pone in sulla testa tua el segno di Dio: del quale segno parla Ieremia al viiij cap.: Signa Thau super frontem gementium et dolentium. Pone il segno del Thau nella fronte tua, che è la croce di Iesu Cristo benedetto; e fa? che ne levi il segno del diavolo, che sono le vanità che tu vi porti; e non ne levare mai [p. 207 modifica] più. El diavolo che è nemico di Dio, sempre s’ingegna di fargli guerra, e di tòllargli l’anime le quali egli ha criate per averle ne la gloria sua. E dice, quando egli vede una anima ben disposta: io m’ingegnarò di levar via quel segno che tu porti in fronte, e s’iɔ potrò vi méttarò el mío. E allora ti mostrarà ghirlande di perle fatte a ghiande e a more e a chiocciole, e così anco dell’altre vanità. Inde santo Iacomo: Per quae peccaverit homo, per haec emendabitur24. Tu non hai tanto in casa, o donna, tu non hai tanto in casa che vagli l’ornamento che tu porti in fronte, se tu se’ di quelle di Dio. A che si cognosce dove si presta a usura? Al segno de la tenduccia. A che cognosci dove si vende il vino? Pure al segno. Simile, a che si cognosce uno albergo? Pure al segno suo. O se tu vai al taverniere per aver del vino, perchè tu vedi il segno tu gli dici: dammi dėl vino: non è così? Or mi dì: chi andasse a una donna che porta i vestimenti, o in capo vanità per modo che porta el segno d’una meretrice, e così pare; chi la richiedesse ..... tu m’intendi, come si richiede una meretrice, o vuoi come si richiede del vino al taverniere; che credi che ne fusse? Hai tu mai udito che ’l taverniere vende di due vini a uno tempo, che l’uno è migliore che l’altro; e ’l migliore, sempre il dà a cotagli che vi vanno spesso, o a cotagli amici; e ’l peggiore il dà a cotagli pecoroni? Così fa propio la donna vana. Ella vende il vino migliore in Vescovado, al Duomo, a coloro che la mirano; e l’altro vende al suo marito pecorone. Quando va alla chiesa, ella vi va ornata, lillata, [p. 208 modifica] inghiandata, che pare che la sia madonna Smiraldina, e in casa sta come una zambraca. Per certo voi ve ne dova reste vergognare in voi medesime, non che fra tanto popolo; che dovareste stare meglio e più in pónto in camara col tuo marito, che in Vescovado fra tanta gente. E talvolta ti mostri d’èssare uno lione di fuore, e in casa una pecoruccia mansueta.

Doh, guardati che tu non sia cagione di fare pericolare lui e anco te per lo tuo non stare in pónto, come tu debi, con lui. E anco t’aviso che se tu pure t’aconci, mira che egli non s’avegga di te cosa, altro che tutta buona e tutta onesta: fa’ che mai egli non vega di te altro che purità e nettezza; sì bene ch’io voglio che tu stia ornata e dilicata, ma con discrezione ogni cosa, e con modo onesto. Se tu vedi che ’l tuo marito ti vuole bene e non si cura del tuo acconcime, allora tu puoi stare più così a la dimestica; ma se egli se ne cura, tu faresti male a non fare che tu gli comparisca. Qaesto dico per molte che si stanno in casa brutte, nere, come cotali fornaiacce, che non se ne curano come elle stanno: io non la lodo. E anco vo’ dire a voi omini, de’ capucci grandi. Io ho a tornare adietro, a la quarta de le siconde: cinque, che fu malignità.

Grande malignità e peccato è, credetemi, è ’l portare tanta robba in capo; che avete imparato ognuno e ognuna a portare una balla. Non vedi tu el male che tu fai ponendo da canto el peccato? Prima tu ti guasti il capo per la tanta caldezza; egli ti putirà la bôca in poco tempo e ’l fiato; tu ti guasti i denti, e dolgonti per ogni poco di freddo. Avisoti: per quae peccavit homo, per ea torquetur: — Per quello membro che tu pecchi, in quello sarai gastigato ne l’altro mondo. — O donna, pon mente al mio dire. Del tuo capo tu n’hai fatto uno Iddio, e [p. 209 modifica] così ne fai tu, madre, del capo de la tua figliuola; tu non pensi più là sempre la studi, e talvolta è piena di lendini. So’ anco di quelle che hanno più capi che ’l diavolo; ogni di rimutano uno capo di nuovo. El diavolo n’ha sette, e ci è tale che n’ha anco più; che di quello ch’io mi ricordo da quindici anni in qua, tanti modi, tante forgie, ch’io trasecolo. Per certo voi sête più uscitemi dal manico, ch’io non ârei mai potuto crédare. Levategli via nel nome di Dio, chè così a poco a poco ve n’andareste ne la mala via. Voi non ve n’avedete come ce n’avvediamo noi. Io vego tale che porta il capo a trippa, chi il porta a frittella, chi a taglieri, chi a frappole, chi l’aviluppa in su, chi in giù. Oh, egli è il mal segno tange forgie! Ponetele giù, vi dico. Così a voi, donne, ponete giù tante vanità: che se voi vi vedeste, voi parete pure civette e barbagianni e locchi.

Doh! io voglio che basti per lo capo. Veniamo a’ piei, che è meglio che ci sia: a’ piei. O giovane, io non dico che mai tu misuri la donna a canna, quando tu la pigli; ma voglio che tu la misuri che ella sia buona, șia savia, sia fattiva, sia saccente, buona massaia, facente ec. Che so’ di quegli che vogliono che ella sia un pezzo di bestia, e tu se’ un altro pezzo, e farete poi dimolti bestioni.

Io vi vo’ mostrare (oh, questa è ben vera!), io vi vo’ mostrare cosa che voi non ve n’avedeste mai. Egli è tale che porta un paio di pianelle alte una spanna, o più. Questo pur posso io dire a le donne, che toca a loro, e no agli uomini, però che elle danno tali ghignate25; e non vi si pensa mai. S’elleno hanno le figliuole che [p. 210 modifica] sieno pazze, dicono che ella è savia. Se ella è sozza, la fanno parere bella co’ lisci e cogli imbratti. Se ella è inferma, vuol che ella paia sana. Se ella è picola, vuol che ella paia grande, che le fa portare uno paio di pianelle alte una spanna, e da capo la aconcia ancora, che pare un’altra. Che vuoi tu, che fra da’ piei e dal capo, ella pare maggiore un mezzo braccio, e pârti che sia ghinghiata; che quando la vede poi, ella sia meno un mezzo braccio. Confessatevene mai? Or va’ pur là. Or vi vo dire cosa che mai forse non vi pensaste. Che può valere uno paio di pianelle? Che vagliono? Possono valere forse un mezzo fiorino; forse vagliano uno fiorino quelle belle dipinte, il più alto. Vuoi ch’io ti mostri che elle ti costano più di sei, e anco più di diciotto, e anco più di sessanta? O in che modo, forse che vi so’ dentro? Adagio: vuoi ch’io tel mostri? Or fa’ questa ragione. Quanti vestimenti ha la tua donna? Hâne dieci. L’uno per l’altro che possono costare? Costano cinquanta fiorini l’uno. Or mi di’: quanto panno porta quello che vagliono le pianelle che so’ alte una spanna, eh? Doh, ditemi, avedestevene mai? Credi che porti cinquanta o sessanta fiorini, come io vi dissi? Vuolo vedere meglio? El più largo del vestire è ne le pianelle, però che quanto più se’ presso a terra, più è largo il vestimento: una spanna di quello da pie’ ne porta più di quatro di quello da capo. E quello che ne va ne la coda, ch’io avevo lassato? Questa è la vostra bestialità E volesse Idio ch’io mentisse per la gola, come voi trovarete ch’io vi dirò il vero: che le code che voi portate, sono i messi de le guerre.

Doh, io ti vo’ dimostrare le gentilezze di costoro che portano queste code. Prima, egli è atto di bestia a portar la coda trascinone, quia factus est homo et mulier a Deo [p. 211 modifica] sine cauda: Iddio fece l’uomo e la donna senza coda. El diavolo l’ha voluto fare co la coda: chè a l’uomo ha posta la spada, e a la donna ha posto l’atrascinare de’ panni dietro; che non si può meglio assimigliare a la bestia nè l’uno, nè l’altro. E pero è detto:26 Homo cum in honore esset, non intellexit: comparatus est iumentis insipientibus, et similis factus est illis: L’uomo che è disonorato non intende; però che egli è assimigliato a la bestia, che è senza sentimento.27 Così è lui, senza sentimento. O donne, ditemi: che fa la coda de la donna quando ella va per via di state? Fa polvere, e di verno s’imbratta nel fango, e colui che le va dietro di state, si ha lo ’ncenso che ella fa, e chiamasi quello lo ’ncenso del diavolo. Or vediamo: di verno infangasi e guastasi il vestimento da piei, chè s’involle nel fango come fa una porca, e poi vi perde uno dì a dizaccararlo. E se ella lo fa nettare a la fante, quanti vermocani le manda, dicendo villania de la sua madonna porca. Sai che disse Merlino? Erunt mulieres incessu serpentes, et in gressu erit superbia, et renovabuntur indumenta Veneris. Verificato è il suo detto. Dice egli: — Saranno tempi che le donne parranno serpenti. (E così fa la donna co la sua coda, ora qua ora là, ora qua ora là, come fa il serpente de la sua, trascinandola per terra. Oh, egli è il mal segno!) Ella va con superbia gonfiata, ella va con triunfo, e in tal modo si rimutano le vestimenta di Venere28. — [p. 212 modifica]

Sai, quando in chiesa l’uno sta qua e l’altro là, chỉ sta col braccio in su la spalla al compagno e l’altro va sotto braccio, e l’ochiate vanno a torno; e poi la donna si parte e va a lo Spedale per la perdonanza, e’ giovani vanno sotto braccio fuore della chiesa, e fanno la pavesata di qua e di là, e le donne passano per lo mezzo, e chi ghigna e chi fa uno atto e chi un altro. Per certo, s’io l’avesse a fare, voi non uscireste di casa, poichè voi tenete questi modi in chiesa ne’ dì de la festa e di Cristo e de la Madre e de’ Santi. Così fate anco di quaresima. Meglio sarebbe a non andarvi, che fare a quel modo: innanzi ti sta’ in casa. Io te ne consiglio, però che se tu ti stai in casa, tu farai uno pecato solo; e se tu vi vai, tu ne fai assai, e se’ cagione che altri ne facci anco lui. Non vedi tu quanto male tu fai? Prima, tu fai il luogo della chiesa, luogo meritricio co’ tuoi atti e col tuo balestrare e co’ tuoi ghigni. Statti innanzi in casa.

Tu hai veduto il peccato che tu fai contra al comandamento di Dio, e sì del capo e del busto e de’ piei. Hai anco esaminato te medesimo, se tu ci se’ cascato? E così tu donna, sècci cascata in questi pecati? Confessastevene mai? O di qua o di là. E voi fanciulle, confessatevene mai degli ornamenti disordinati che voi avete portati? In ogni modo che voi gli avete portati, voi avete fatto peccato mortale: io dico mortale; e tante volte quanto voi gli avete portati, tante volte avete fatto el peccato mortale.

Or coglie tutto il mio dire di stamane. Tu hai vedute dieci offensioni di Dio per le vanità che si portano. Primo si chiama vanità; ed è quella di colui o di colei che porta quello che non s’apartiene a lui. Sicondo fu varietà di divisati e scaccati con tanti imbratti. El terzo fu suavità di coloro che portano vestimenti di seta o altre [p. 213 modifica] ornamenta dilicate che non si danno a lui o a lei. El quarto si chiama preziosità; e dissiti che meglio s’apartiene al rico che al pòvaro, benchè anco lui non facci bene. El quinto si fu iniquità di quelli che si vestono di robba mal guadagnata: e questi furono i primi cinque.

El primo degli altri cinque dissi che era superfluità; dove dissi di Adamo vestito di pelle perchè stesse caldo; e tu tieni dieci o dodici vestiri, e vestine e’ goffani e le pertiche, e ’l pôvaro si muore di freddo; e dissiti l’asemplo dell’asina de le tre ville, che si scorticò. El sicondo fu di dogati e infrappolati che voi usate. El terzo peccato ti dissi che era novità; dove dissi che a riparare sarebbe buono, ma non vi so’ vedere la via già io. Quarta si chiama maliguità; dove vedemo il danno che si fa quando si muta una forgia nuova, chi con arienti, chi con perle, chi con listre eccetera. Ultima fu dannosità; dove ti mostrai quanto danno voi fate a la vostra città, tenere i denari morti: e questo fu in quanto al dosso. Anco ti dissi de la vanità del capo, de’ cappucci grandi, e di perle e di civette e barbagianni e taglieri; ogni cosa di peccato. E così ti dissi de’ piei, pianelle alte, e trascinamenti di panni. Doh! cittadini miei, temete Idio e riparate a tanto male; che se voi vi vorrete amendare, voi trovarete da Dio misericordia, e daravvi in ultimo la gloria. Ad quam ille vos et me perducat in saecula saeculorum, amen.



Note

  1. È la nona delle dieci Prediche pubblicate nel 1853.
  2. Ecclesiaste, cap. primo, vers. 2.
  3. Isaia, cap. primo, vers. 6.
  4. O addà, in luogo di, addice o confà. Così poco dopo afà per affà.
  5. Ho dette, ho detto.
  6. Salmo cxlvi, verso 10. La Vulgata dice: Nec in tibiis viri ec.
  7. Il Cod. Sen. 6: O giovano.
  8. Vale a dire, sarà l’argomento della seconda parte.
  9. La Vulgata dice: Ipse autem Joannes habebat vestimentum de pilis camelorum, et zonam pelliceam circa lumbos suos.
  10. La Vulgata: Mortuus autem est et dives ec.
  11. È citazione sbagliata, e non appartiene questo passo forse a verun Libro della Bibbia.
  12. Ed anco qui è un errore di citazione. Il passo si legge nella Profezia di Isaia, cap. nono, verso 5, e nella Vulgata sta così: Vestimentum mistum sanguine erit in combiustionem, et cibus ignis.
  13. Vedi la nota 1 alla pag. 193.
  14. Ha qui principio ii XXV. dei Racc. S. Bernard., più volte citati, occupando le pagg. 62-65.
  15. „Modo basso sanese d’esclamazione, come più sopra Meffè: i fiorentini dissero miaffe ed anche gnaffe, ed è composto di mia fè, ciò è a dire per mia fè, in fede mia, e simili.„ Così annota in questo luogo il Zambrini.
  16. Qui ha fine nella stampa il detto Racconto.
  17. Francesco detto il Pecoraio ai tempi di S. Bernardino aveva la cura delle limosine fatte in sollievo de’ prigioni (M).
  18. Cap. primo, vers. 21.
  19. Salmo xxiij, vers. primo.
  20. Epist. seconda ai Corinti, cap. quarto, vers. 2.
  21. Il Cod. Sen. 6 dà questa variante: che usa oggi con vergati, or pur paiono. Ediz. Mil.: Or più piano; ma quel più non trovo in verun testo. Per Vergati a ’mbratti si donno intendere panni tessuti a verghe e arabescati in varie foggie. Così subito dopo, Vergati addogati e listrati, cioè panni a righe e listre.
  22. Emendisi con la Vulgata che dice: Visitabo..... super omnes, qui induti sunt veste peregrina (vers. 8).
  23. Cioè, ad astenersene.
  24. Non trovo in sant’Iacomo questo passo, che bensì ricorda molto l’altro della Sapienza (cap. xj, vers. 17): per quae peccat quis, per haec et torquetur: il qual passo è riferito dal Santo con leggere varianti a pag. 208.
  25. Intorno a questa parola veggasi in fine al Vol. la Tavola di voci e locuzioni notevoli. Qui giova notar soltanto che il nostro Testo in seguito legge ghinghiata.
  26. Nel salmo xlviij, al vers. 21.
  27. Così nei Codici; ma non può esser questa la versione fattane dal Santo. Quella aurea del trecento, altrove citata, dice: «L’uomo, essendo in onore, non agguagliato è alle bestie senza senno; è fatto simile a quelle» (Bibbia Volgare, Vol. V, pag. 278).
  28. Corretta col Milanesi la lezione dei Codici, che in luogo di vestimenta hanno moltitudini. Il Cod. Sen. 4 legge altresì vedere in cambio di Venere.