Opere edite e inedite in prosa ed in versi dell'abate Saverio Bettinelli/Prefazione dell'autore
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PREFAZIONE
DELL’AUTORE
Sopra lo studio delle belle lettere, e sul gusto moderno di quelle.
Nel condiscendere alla pubblicazione delle mie opere insieme raccolte, ch’è un giusto tributo alla patria d’un uom di studio, a cui per tutta la vita ha voluto così servire, e giocare secondo i deboli suoi talenti, parmi opportuno in sul finire della carriera di giustificare le mie opinioni, e la severità d’alcune critiche sparse nell’opere mie col dar conto de’ primi passi, e de’ progressi in essa fatti, sì per concorrere con quest’ultimo sforzo all’onore delle lettere umane, e sì finalmente per illuminare ognor più, ed anche incoraggire la gioventù, al ben della quale ogni mio studio ognor consecrai, a correre questa carriera quando vi sia chiamata, ed a conoscerne i veri pericoli, ed i vantaggi.
Intendo fare con ciò un beneficio a’ giovani italiani, che nati siano con vera vocazione di felice talento spontaneo aprendo loro, e mostrando una strada non di vana, e falsa gloria, ma forse della più pura felicità, che in questa vita possa ottenersi, e che sì poco si ottiene dagli uomini gittati a caso ne’ sentier disastrosi di professioni non a loro appropriate, e convenienti. Siano pur nobilissime, ed utilissime la medicina, e la giurisprudenza, che omai son le sole destinate tra noi a chi non vuol essere ozioso, siano degne dell’uomo due scienze, che mirano alla conservazione dei beni o dell’onore, o della vita dei cittadini. Ma v’ha delle anime dilicate, o paurose, che tremano al ripensare, che il medico ancorchè dotto s’incarica d’un peso immenso per l’arte incerta, e fallace onde pende la vita altrui, e che girando di casa in casa di letto in letto coll’obbligo di decidere arditamente sulle speranze, e su i timori di cento malati, e delle loro affannose famiglie trovasi il più delle volte non solo disonorato dalle morti non prevedute, e non prevenute, ma lacerato nella coscienza dai rimorsi fondati d’avere per ignoranza, o per poca attenzione commessi veri omicidj: e che l’avvocato non meno esposto a perdere per sua colpa le cause più gravi della roba, e dell’onore, e talor della vita de’ suoi clienti è più soggetto in oltre a proteggere contro di mille scrupoli, ma con mille esempj davanti agli occhi le cause più ingiuste, essendo omai non le leggi, che pur troppo sono un mare infinito, e vanno, e vengono come l’onde ad ogni vento, ma le cabale, gli artifizj, le sottigliezze, i cavilli, e le male arti infine il codice usato tra molte genti di quest’impiego sì burrascoso.
Chi nacque per tanto con indole impaziente di tante contrarietà, amica del vero, portata al libero esercizio dell’ingegno senza ambizione di protezioni, di gradi, e di lauree, o chi nacque senza bisogno di servire a catena la patria per vivere, e i cittadini, o di sorgere da basso stato alla classe dei nobili, e de’ titolati, ne soffrendo pur d’essere inutile a se totalmente, e ad altrui, par che non possa altrove rivolgersi, che agli studj più liberi, più tranquilli, e forse più degni dell’uomo filosofo, perchè più miti, e ragionevoli, a quegl’infine delle lettere umane. Nè non è certo questa secondo la volgar opinione la più pregiata moneta, con cui pagare alla società il debito, ch’ella esigge da tutti i suoi membri, ed è spesso mirata più tosto come di niun valore, poichè non guida per ordinario a molta gloria ne’ nostri tempi, e meno a qualche fortuna, ed opulenza. Ma si consolano facilmente di tai disgrazie quei giovani cuori, de’ quai ragiono, poichè trovano un’ampio compenso di quelle nel piacere dell’indipendenza, nelle delizie della quiete, e del ritiro, nell’innocenza di un gusto lontan dall’invidie, dalle gelosie, dalle cabale dei partiti, e nella nobile compiacenza di seguir le pedate degli uomini illustri, che in sembianza di dar piacere, e passatempo diedero veramente gli esempj più chiari d’ogni valore dell’anima, i precetti più intimi, e meglio sentiti della concordia, e della beneficenza, le istruzioni immortali d’ogni virtù nella storia, nell’eloquenza, nella poesia, per cui non mai periranno. Se non giungono poi tant’alto i giovani letterati, quanto non godono di trovarsi in un paese di pace, e di sicurezza, ove la prima loro passione, ch’è quella del vero e dell’onesto, non è combattuta dalle opinioni, dalle dispute, dai duelli incessanti, ed ostinatissimi, che in tutt’altre condizioni fan campo di battaglia ai concorrenti. L’uom di lettere vede in faccia, e senza nuvole la verità, che sin da Omero, e da Platone sotto simboli lusinghieri fu la maestra infallibile, e non contrastata de’ lor seguaci insino a noi. I loro esempj, e la legislazione da lor fondata per essi non temono nè i capricci, nè i sofismi, nè il pirronismo de’ tempi, e delle sette. Il bello, e il vero, che trovano sempre il chiarissimo loro specchio in fondo al cuore umano, e alla ragionevol natura son sentiti da tutti gli uomini, ed han per giudice incorrottibile della ragione, e del torto non i compri suffragj, o le vili passioni, o la indiscreta curiosità, o le sofistiche prevenzioni, o l’orgoglio, la venalità, la parzialità, il fanatismo, il libertinaggio, e in una parola l’amor proprio accecato, ma solamente l’intimo senso, e la coscienza dell’anima umana formata essenzialmente a giudicarne, e vittoriosa per tanti secoli d’ogni vicenda.
Questo porto tranquillo, e separato dalle tempeste di tante passioni, che infuriano per tutto altrove fa per avventura il miglior pregio di questi studj dell’umanità, cioè fa gli uomini appunto umani, pacifici, morigerati, ed amabili sopra gli altri. Sembra, che il secolo d’oro dipinto sì al vivo da tanti poeti, e prosatori sia copiato dall’originale beatitudine della lor vita, e preso dall’esperienza lor quotidiana. Sì, ridano pure a loro senno i maligni, e gl’ignari, sì, l’mor delle lettere fa la delizia de’ cuori bennati, ammansa l’ire, e le cupidigie, raddolcisce, ed adorna i costumi, sì, la cheta ragione, il buon giudizio, l’ingegno aperto, il candore, il disinteresse, un’amore fraterno lega insieme cotai professori, o dilettanti con nodi soavi, e spontanei. Benigni, modesti, non prevenuti s’aiutano insieme, consigliansi, s’incoraggiscono nelle loro intraprese quasi in arringhi di gloria a tutti comune. Contenti di qualche onore, e di poche fortune bastevoli non al lusso, che ignorano, ma al bisogno, che spesso non può pur troppo ignorarsi, essi non seguono con passione altro stendardo che quello della pacifica libertà. E chi potè mai conciliar questa con la cupidigia dell’oro, o col fascino dell’ambizione? Sciolti da queste due tiranne nulla più sentono, e gustano che il dolce, l’ameno, il pacato possesso del loro cuore, e del loro ingegno sempre occupato tra i beati delirj della creatrice imaginazione, tra i soavi prestigj de vivaci, e teneri affetti, tra le scene ognor vive, e presenti del loro entusiasmo consolatore. Abitano essi veracemente in palagj incanuti, ed ornati di ricchissime gallerie messe ad oro, e a quadri eccellenti, come altri disse, con poggi, e balconi aperti a varj aspetti qual di matina, e qual di giardini, e qual di spettacoli sempre maravigliosi, sempre varj, e sempre graditi; e passeggiano per le sale, e per le stanze di ballo, ove le belle imagini delle virtù, e le nobili idee delle azioni più gloriose trattengon l’anima estaticamente tra canti, e suoni di metri accordati in dolce armonia. Che se talora la mente agitata in que’ seducenti teatri rinfiamma, e trasporta insino al furore, ognun sa, che innocente, che più tosto benefico è un tal furore, e che paragonasi volentieri a un sottil ramo di nobile, e spiritosa follia, il qual tra le frondi raggirasi dell’alloro più venerato, Oh certo che questo ramo è solamente delle belle arti, ed han ragione di deriderlo le gravi scienze, e le discipline accigliate quasi non abbiano e rami più forti, e talor tronchi ancor esse di troppo vera, e troppo seria pazzia! Ma checchessiasi di ciò qual luogo aver ponno in tali studj, qual tempo prendere le maligne, le fiere, le inquiete, e divoranti passioni, e come non vi regnerà la concordia, la fratellanza, la pace, la più sincera, e disinteressata amicizia? Gli esempj il comprovano di tutti i secoli, e bastin per tutti a farne buon testimonio i poeti Virgilio, ed Orazio, e Lucrezio, e Catullo, e Tibullo, e Properzio, ed Ovidio, e i Petrarca, ed i Castiglioni co’ Bembi, coi Casa, coi Fracastori, co’ , co’ Sannazari, e con mille altri lor coetanei, e perfin sotto a nostri occhi in un secolo tanto accusato d’ogni depravazione gli Zeni, ed i Volpi, i Manfredi, ed i Maffei, gli Zanotti, i Ghedini, i Fabri, i Beccari, e Balbi, e Molinelli, e Galli, e Azzoguidi, e la Bassi più di tutti, perchè donna, e perchè donna veramente dotta, e cent’altri da me conosciuti, quali anime, Dio immortale! e di qual indole dolce modesta cortese benefica generosa nemica di guerre, e di gelosie, lontana da gare, e da pretensioni, contenta di poco, ma contentissima poi del suo stato mediocre, in cui trovarono costantemente sino alla morte ogni gloria, e ricchezza, e felicità dagli altri ignorata. Tutti questi ho veduti dappresso, non senza profitto, e compiacenza, imparandone sin da primi anni il disprezzo della grandezza, e della fortuna, e sagrificandole volentieri all’intimo sentimento del cuore nato al sol desiderio, alla sola passione invincibile delle lettere, e della libertà.
Me fortunato, che dovendo pur prender dei vincoli, che ad ogni uomo sono necessarj nella presente costituzion delle cose, presi i vincoli appunto, che meglio si confacevano al mio naturale, ed anzi mi assicurarono tal libertà necessaria. Quali provai gl’illustri uomini soprannomati per la conversione, ed amicizia avuta con molti, tali sempre pur riconobbi coloro, nel consorzio de’ quali mi ritrovai con più stretta comunione di società per tutta la vita mia. Non sarò mai tanto grato quanto sento pur di dovere lor esserlo per una felicità la più solida, la più costante, la più soave, che nella lor compagnia d’incontrare mi fu concesso per dono del cielo. La lor profession letteraria faceva onore a tutte quelle virtù, che per ogni altra ragione più grave, ed importante vidi aver posta sicura sede, ed immobile in mezzo a loro. Con le sole, e dominanti passioni del far bene, d’esser utili, di sacrificarsi al servigio del pubblico aveano soggiogate, o moderate quelle più naturali, che potevano opporsi a un sì bel fine, e quindi n’erano riscaldate, e afforzate siccome a quello conformi le più nobili, e le più grate dello studio, e della letteratura, anima, ed elemento, e centro di tutti. Parvemi in fatti di trovarmi così nel mio centro più felicemente eziandio, che non poteva dapprima imaginare. Benchè tutti gli studj, e gli esercizj d’ingegno fossero quivi abbracciati, pur nondimeno a tutti era norma, ed alimento primario la bella letteratura, poichè dalle sue mani prendevano l’alte scienze medesime i loro coltivatori, e col suo latte nodrivasi in prima, e crescevasi senza eccezione tutta la varia d’indole di nazione di genio di clima e di temperamento numerosa famiglia. Quindi ognun nelle vene portava, e spargeva per entro al corso d’ogni suo studio quel sangue imbalsamato dalla piacevolezza, dall’amenità, dall’urbanità, dalla grazia, e bellezza de’ giovanili suoi studj. Uno era il lor cuore, una l’anima veramente a dispetto di tante gelosissime pretensioni, che miseramente tra gli uomini mettono a zuffa l’arti, e le scienze, i gravi studj, e i leggeri, le scuole grandi, e le piccole, i maestri, e i professori, le cattedre, e i pulpiti, le profane lettere, e le sacre, onde a gara si sprezzano, si deridono, e almen contrastano sempre insieme pel posto, per la preminenza, per l’importanza e i titoli, e i gradi, e l’insegne, e gli onori: alla qual prodigiosa concordia mi parve non meno la cristiana, e civile educazione finissima aver gran parte, che quel balsamo primo introdotto a calmare gli spiriti tumultuanti, e le misere vanità delle varie belligeranti, e con tanto scandalo divenute rabbiose profession letterarie.
Ma quali poi erano specialmente, e quanto amabili gli scrittori, e gli oratori, e i poeti, e i maestri, e i discepoli per condizione della bella, ed amena letteratura, co’ quali dovetti più strettamente conversare per mio profitto! Oh come lontani d’ogni ombra di pedantismo, di gravità, di precedenze, o rivalità, piacevoli sempre, facili, e familiari a consultare, e a rispondere consultati, a lodar volentieri, o a correggere pazienti, e amorosi, versando a larga mano i tesori, e i segreti della lor arte, modesti in mezzo agli encomj da lor meritati, e docili insieme alle altrui disapprovazioni benchè talora non meritate, come posso io ricordarli senza senso d’ammirazione insieme, e di tenera gratitudine dopo aver conosciuto, e provato la rarità di tal gente, e di tali prodigi per tutto altrove? Quale union d’uomini, quale accademia, o liceo mi fè mai vedere sol ancora in istoria o in idea il cuor umano con sì poche debolezze, e con sì nobile accordo di passioni? L’orrore che tutti aveano della bassa invidia della gelosia delle piccole rivalità quale spettacolo delizioso mi presentava, e tuttora alla memoria mel rappresenta con gran rammarico! Quali uomini eran quelli, che nella gara medesima di pari studio, e carriera, o in quella di studj discordi, e contenziosi lodavano sì schiettamente i talenti de’ confratelli, serbavano l’amicizia nelle dispute più calorose, applaudivano al valore de’ lor contrarj, gli animavano, gli abbracciavano, loro facean corona, e omaggio del cuore allo scendere dalla cattedra, o dal pulpito, o dalla sedia, ricordando i più bei tratti, rinnovando.! sentimenti provati, citando i luoghi, e i passi, che più gli avean colpiti tra una confusione di voci, un mormorio di gioja, un andar e venire e incontrarsi e communicarsi la contentezza degli uni agli altri; spettacolo di cui tante volte fui parte anch’io, e talor fui soggetto felice! Sento in vece, che le accademie raccolgono spesso, e irritano le passioni, e rendon nimici i lor membri, oltre al metterli tutti sotto un sol giogo, incatenarne i talenti ad un gusto, a un partito, darne i premj a più favoriti, e toglierne la libertà necessaria all’industria, all’ispirazione, al coraggio spontaneo. Tra miei compagni i bei talenti presto spiegavansi, e mettevansi al primo luogo dal consenso generale, cui l’autorità secondava, e i mediocri restavano naturalmente più al basso in impieghi proporzionati alle lor forze senza lamento, nè cruccio, contenti di participare la gloria comune. Io sfido a smentirmi chiunque gli abbia trattati, e sfido così gran parte d’Italia, e la sfido arditamente nominandone i principali, del cui merito in man di tutti sono le pruove, e son l’opere a testimonio, i Bellati, i Mariani, i due Sanvitali, i Bassani, i Granelli, i Rossi, i Sanseverini, i Tornielli, i Venini, e Vanini, i Noghera, i Lagomarsini, i Boscovich, i Giuliari, i Roberti, i Ricatti, i Nocetti, i Nicolai, i Ferrari, i Pellegrini, i Martinetti, i Tiraboschi, i Bondi, ed altri moltissimi anche fuori d’Italia, co’ quali ho avuta la sorte di trapassare grado a grado l’età diverse di quella mia vita, e di poter godere nel più stretto senso quella vera amicizia, che oggi dal mondo si crede trovarsi solo ne’ libri, e ne’ secoli antichi. Ed ecco il moral carattere generale de’ begl’ingegni cari alle muse più ch’altri, e a proporzion più felici per questi studj secondo il talento maggiore, poichè ben può dirsi per nuova conferma del detto, che quanto più presso si trovano all’eccellenza, e perfezione dell’arte, tanto sono più ricchi dell’indole virtuosa, ed onesta, di che ragiono; e tanto sono più litigiosi inquieti audaci indocili ed orgogliosi quanto men abili e meno valenti, come potrei comprovare citandone i nomi, e le azioni non degne di questo discorso, e del genio mio. Ben sappiamo, che di quel metallo, e di quella tempra migliore son come negli altri così in questo genere i men numerosi, essendo facile l’alterarsi la lega per la corruzione de’ tempi, e de’ costumi, e che bisogna aver in noi stessi alcun poco di quella miniera per poter misurarla per gradi, e sentirne la differenza, pregiando il cuor d’ordinario le doti, e le qualità degli altrui cuori, secondo ch’egli ha con essi più o meno di somiglianza.
Chi negherà frattanto esser questi, parlando a chi lor somiglia, gli studj più dolci, come gli uomini il sono a questi inclinati, onde formasi la miglior parte dell’umana felicità, e l’impiego più consentaneo all’anime generose dei giovani eletti per tanto bene? Che se non credesi al tempo nostro fuor che a filosofi, e a metafisici scrutatori del cuor umano, e non vuolsi ascoltare fuor che il lor linguaggio non mi mancherebbon le pruove neppure di questa fatta. E in quali altri esercizi d’ingegno si senton meglio le scosse, le commozioni dell’anima, nelle quali quanto siano più torti, purchè non giungano ad essere dolorose, è collocata dai pensatori la maggiore felicità? Quante maniere di sensazioni, e quanto soavi non pruova l’artista, e l’uom di lettere solitario, lavorando nell’arte sua, se congiugne all’impiego dell’anima un carattere confacente del cuore? e come non sente egli per intima coscienza, che in mezzo a suoi lavori di publica utilità, e sgombra da vizi ha diritto all’immortalità? Anche chi parla di una più alta beatitudine di questo cuore allora il fa felice quanto esser può su la terra, quando la grazia accompagna un indole dolce, moderata, allegra, e ragionevole, onde siamo guidati a praticar la virtù con una solida confidanza di premio eterno . Ma perchè tai beati, benchè ven’abbia assai forse più che non pensiamo, pur poco son conosciuti, vivendo essi fuor del tumulto, e del mondo, noi troveremo più facilmente quegli altri d’un secondo grado tra i seguaci, e coltivatori delle lettere umane. Quest’anime dilicate han più della forza essenziale nell’uomo a produr dell’idee, la moltitudine delle quali, e l’unione son la fonte primaria delle nostre più grate e più piacevoli sensazioni, de’ gusti, de’ godimenti morali, e più perfetti. In qual altro esercizio trova l’anima più nodrimento, e dove più riccamente son occupati lo spirito la fantasia, e la memoria in pensieri in oggetti, ed imagini più feconde, e più pronte ad offrirgli materia a pensare ad esercitarsi? Quanto presto diventan nojosi gli altri studj? Non sembran essi insipidi quasi come i sensuali piaceri, come un convitto di gran lautezza, ma senza giovial compagnia, una bella persona, ma senza spirito e grazie, uno spettacolo, un giuoco, un viaggio, ma senza interesse del cuore? Ben è vero, che un cuor sensibile è un bene che costa caro a chi lo possede, ma chi vorrebbe cangiarlo per ogni altro bene? Sia pur incomodo qualche volta per colpa altrui, mi compiaccio pur io nell’intimo seno dell’anima consapevole di non aver colpa, d’aver anzi una pruova morale di mia innocenza, poichè il mio cuore tutto pieno del desiderio di ben fare a prò d’altrui, capace di partecipare l’altrui dolore non l’è mai di causarne volontariamente ad alcuno. Sia pur esso sorgente d’amaritudini, io non posso per questo nè pentirmi d’averlo, nè bramare di farne cambio, perchè tra quelle pur gusto la suprema dolcezza di meritare, e d’avere dei veri amici, co’ quali sfogare il mio duolo, e comunicarlo a vicenda, dolcezza di cui son privi i cuori insensibili abbandonati a se stessi nelle lor noje, e disgrazie.
Questa dolcezza però non ha sempre bisogno di un tal cimento per farsi sentire, e poichè l’arti, e le lettere mi tengon lontano dagli uomini, e dal tumulto, onde vengono gl’infortunj del cuore, io la godo, e posseggo nella mia solitudine, e ne’ miei studj. In così amabile compagnia, per cui poi veramente non son solitario, parmi d’essere in quello stato, che pruovan l’anime dolci, e pacate nella campagna, ove non recano seco le vive passioni, e i turbulenti pensieri, all’aspetto dei boschi dei campi dell’aque, e de’ silenzi, onde sentono una segreta e gentil commozione, che falle entrar in se stesse senza pensarvi, e richiamale poco a poco alla prima condizione istituita dalla natura, le avvisa che l’uomo ha pervertito l’ordine dei suo destino originale, lor fa sentire quella pace interiore, quella felicità, a cui anela ogni sua facoltà pensatrice, a cui sempre ella inchina, cui brama sempre, e che indarno ricerca tra lo strepito ed il tumulto. Nel ritiro l’anima sente le sue forze, entra in se stessa, trova la sua possanza di parlare alla posterità, di conversare colla natura, di spargere le verità benefiche nell’anima altrui, Ivi sente la voce sublime, la maestà, l’eccellenza della virtù, e allor l’esprime scrivendo, la colorisce, ne crea l’imagine più sublime senza sforzo. E che farebbe nel fumo, e nello strepito delle città, ne’ circoli, nella schiavitù dei grandi, delle corti, delle anticamere, delle mode, dei gusti, delle menzogne del suo secolo? Tale appunto parmi l’uomo di lettere nella sua stanza, tra suoi libri, co’ suoi pensieri e colla sua fantasia creando sovranamente il suo mondo, il suo teatro, le sue delizie, levato sopra il volgare, lontan dalle nostre miserie, ove non lo raggiugne nebbia di senso, furor di passione, importunità d’affari, e dove gusta libero veramente, e signor di se il bello il vero il religioso sentimento dell’onestà, della virtù, e dell’originaria sua felicità.
Che se questo mai fosse un bel sogno non può certo negarsi, che una sì amabile occupazione dell’anima non sia di gran conforto per tutte le condizioni assediate continuo da private, e da publiche calamità. Miseri noi se fossimo stretti di contemplar fisamente le umane miserie, che ne circondano d’ogni lato, e i mali fisici, ed i morali, che ne rendono grave, e insopportabil la vita! E noi felici per quest’amica, ed amena letteratura, che in vece di tristi oggetti, e dolorosi ognor ce ne presenta di lieti, di virtuosi, di consolatori fabbricandosi di sua mano una scena gioconda benchè imaginaria! Ma qualchesiasi non ci fa ella in effetto contenti nell’animo, quanto una vera, e reale felicità? E se questa non basta ad invitarci a tali studj, e vogliamo pur anco il piacer della gloria un poco prima di quella, che speriamo dai posteri, diamo un guardo d’attorno, e troveremo, che non è poi sempre così disprezzato l’uomo di lettere, come sembra a coloro, i quai si dolgono del poco onore in ch’esse sono pur richiamando i tempi antichi, e i mecenati, e i premj dell’auree età decantate. Lascio stare, che in ogni secolo ascoltanti lai de’ letterati contro della fortuna, de’ protettori, de’ grandi, delle corti, e consoliamoci, io dico, se abbiam qualche pregio, cogli esempj recenti de’ Maffei, de’ Muratori, degli Zeno, degli Algarotti, de’ Metastasj, e d’altri molti, che ottennero gran favore da principi, e da privati, da stranieri, e da nazionali, benchè spesso amaron più tosto la mediocrità di lor condizione, che non mancassero loro occasioni di migliorarla. Questo è il proprio destino de’ veri e nobili letterati, che quanto meno l’ambiscono tanto più veggonsi venir incontro spontaneo il favor publico, mentre i più ambiziosi, più queruli, più scontenti sono insieme di men talento, e di poca virtù, e perciò in fatti, e non per altro men favoriti. E quanti sono, che si spaventano alle prime difficoltà, che fatti sol pochi passi già pretendono ad innalzarsi, e che col merito di qualche sonetto, canzone, o poemetto, o dissertazione accademica aver pensan diritto ad una stima universale! L’arte di bene scrivere è la più lunga, e la più scabrosa di tutte, i veri poeti, ed oratori, gli autori degni di fama non formansi che per dono speziale della natura, per uno studio, ed esercizio ostinato, per un finissimo gusto, e con ciò non han bisogno di far partiti, di procacciare appoggi, d’adulare i potenti, d’intisichire nell’anticamere, e di dedicar libri ai Crassi, agli Apicj, ai Sejani, ai Luculli. Se noi seguiam le lor orme, possiamo sperare la lor sorte, e vedremo alla pruova, che l’ingiustizia dei mecenati, la corruzione dei tempi, la decadenza del gusto, e delle lettere non sono alfin che illusioni dell’amor proprio, e della poca nostra filosofia. Già non intendo per questo di giustificare la cieca fortuna, o di scemare la forza autorevole della sentenza divenuta proverbio ognor più verace, che niuno in pattria è profeta, ma per questo? Potrà forse mancarci il testimonio della buona coscienza, ch’è quel muro di bronzo, che anche Orazio cortigiano conobbe, e la beata tranquillità de’ nostri studj coronati filosofando da una vita, e da una morte onorata?
Ma lasciando il filosofare, e tornando alla mia propria sperienza, poich’ebbi la sorte di vivere in mezzo a cotali uomini, e studj, credo poterne parlare con qualche autorità, ed ottenere credenza dai giovani ben disposti, e nati felicemente all’amena letteratura. Parmi in oltre dopo il ritratto morale di questo studio poter con diritto dipingere il suo stato presente in Italia per consigliarli, diriggerli, e premunirli, Son cinquant’anni, che scrivo, e compongo in verso, e in prosa, che veggo, ed esamino le vicende, e il viaggio delle lettere italiane, che riconosco il perpetuo ondeggiamento dei gusto, del genio, de’ varj capricci di scrivere, e di pensare in tali materie, perchè trovandomi dopo l’epoche differenti d’un mezzo secolo all’epoca del mio riposo, dovendo pure dividermi in un età avanzata da questi studj con dar loro l’ultimo addio, sentomi quasi obbligato a far il mio testamento letterario, giacchè niun altro forse, o assai pochi si son trovati com’io ne’ tempi, e nelle occasioni più proprie a trasmettere quasi in eredità tanto frutto di sperienza, e tanti insegnamenti degli uomini più preclari. Per rara sorte in fatti mi son trovato negli studi, ed anni miei primi al risorgere del buon gusto dopo i disordini del seicento, di cui vidi gli estremi aneliti, conobbi in lor vecchiaia il Muratori, il Maffei, il Checozzi, il Lazzarini, Apostolo Zeno, l’Abate Conti, il Facciolati, i Volpi, e i Manfredi suoi principali trionfa tori. Fui educato in Bologna ancor gjovinetto nel fiore appunto del più bel secolo, e più memorabile dei Manfredi, Ghedini, Zanetti, Fabri, dalla scuola de’ quali i Rota, gli Algarotti, gli Albergati, gli Aldrovandi, i Casali, i Bianconi, i Montefani, e tali altri uscirono scrittori immortali in verso, e in prosa. Vìssi cinque anni in Brescia, ove il Cardinal Quirini, il conte Mazzuchelli, il conte Durante, e gli allievi di Padova, e di Lazzarini formavano ricca accademia dell’ottimo gusto; conversai a Venezia, ed in Padova col gran Foscarini, cogli Abati Sibilliato, Toaldo e Benaglio, coi conti Gozzi, e Carli, e per tutto altrove cercai o m’incontrai co’ migliori, ed ebbi amici i Frugoni, gli Zampieri, i Parini, gli Stay, co’ Buonamici, co’ Lagomarsini, e Cordari, e Benvenuti, e Tiraboschi, ed altri tali eccellenti, scorrendo l’Italia, e la Toscana due volte, e vivendo più anni in Venezia, in Parma, in Verona, ed in Modena piene d’ottimi studj, e d’ingegni preclari, visitai la Germania, e la Francia usando sempre con dotti, tn Parigi un’anno intero, e per le provincie un’altro, e sino a Farney presso l’Apollo francese.
Dopo ciò panni dunque poter comunicare a miei cari concittadini que’ lumi raccolti in sì propizia stagione, e sì piena di luce, e prender così con onore commiato da loro, e dagli studj più faticosi, che all’era decadente men si confanno. E non potrò io senza taccia d’orgoglio a settanta e più anni esortare la gioventù a non lasciarsi sedurre dai gusti stranieri, dal falso amore di novità, che tutto confonde, e prende ardire ogni giorno, e dominio? Non mi sarà permesso mostrar all’Italia vicino un corrompimento senza offender coloro, che si lascian sedurre? o che seducono tanti non accorgendosi? Si consolino almeno, ch’io lor presento a vendicarsi, se vogliono, il mio processo nell’opere mie, nelle quali tanto più degne di riprensione troveran le mie colpe, quanto più la narrata educazione, e vita mia letteraria dovea tenermene ben lontano. Ma questa intanto n’avrà pur qualche onore conservandomi in mezzo alle critiche più severe assai docile, e mansueto, come sinora mi vi serbò dell’ Autore* zq nell* occasione di somiglianti disavventure . Egli vero c pur troppo, che in Italia non soffrasi ancora comunemente il coraggio d’uno scrittore, che giudichi Jiberamente dell* opere dell* ingegno, benché chiaramente io faccia con la sola mira di sostenere il buon gusto, o di promoverlo. Ma dee pur venire il momento ad esempio dy altre nazioni in cui possa ciò farsi, allor quando un’onorato censore pesi il merito delle prose , o poesie senz* alcun astio, senza satira, senz* invidia. Vi saran pure una volta de1 leggitori disinteres^ sati, spregiudicati, amici del vero, intelligenti del buono , zelanti della lingua paterna , e de’ maestri di quella in maggior numero di coloro, i quai. da^tno all1 anni per nulla, chiudon la bocca alla veritàe siccome alrri disse piacevolmente , ridur vorrebbon le corde d’ogni stromento air unisono del lor gusto, come nel cinquecentoquando suonavano sempre a festa , o a martello in favore, o contro d'altrui quella solita lor campana della poetica dy Aristotile , o attribuendo altrui come ogfi puerilmente neJ giudicj sol letterari prave intenzioni di denigrare la fama jò Prefazione fama d’un uomo, d’uria città, d’una provincia, onde fansi guerre civili, e si traducono avanti de’ tribunali le muse innocenti . Non sono antichi, ne lontani gli esempi di vere persecuzioni fatte con altro che con la penna contro chi non toccava neppur leggermente le persone, ma solo il gusto , e Io Stile delle lor opere , siccome vedonsi ne1 lor fogli, e giornali , tutto giorno i dittatori delia repubblica letteraria lodare a cielo , e mettere in wono le prose, eie poesie de1 piti miseri autori , che abbian titoli e gradi , e protezioni , o che comprino a bei conranti gli applausi mercenari di quelle penne servili . Ma poiché non può sperarsi rimedio a ral malattia comune ad ogni paese, e ad ogni tempo malgrado a forti lamenti d’ogni rem- po, e d’ogni paese, noi ci contentiamo di sperar qualche moderazione in chi trovi materia da condannarci, sentendo in oggi sì aU ro predicare V umanità , la filosofia , il disinganno 1 e vantare la luce dei secolo illuminato incontro a* pregiudicj dell5 amor proprio, e di quello spirito di partito, come suol dirsi , che grazie al cielo par divenuto alla d e l Autore, 31 alla fine un’ ingiuria , e un* avvilimento tra i letterati. Lo spirito in vece, e pef dirlo in italiano, il vero , ed intimo ufficio della critica è un amore de’nostri simili , un desiderio di far lor bene, uno zelo, e favore de5 buoni studi * non è un mal animo, come credesi, un astio, un genio maligno d’offendere altrui. L’uom di lettere sa benissimo, che la sua professione è come T altre usate tra gli uomini, mista d’imperfezioni, le sente in se stesso, confessale, e Je compatisce , Non odia neppur gli errori, il falso gusto", lo stil vizioso, che incontra in tante opere, e molro meno gli autori , perchè conosce gli uomini come sono, e però portan qual piti qual meno e fiori, e frutti di pianta selvaggia* Chi può dunque perseguitarli se non b }l più sciocco di tutti, cioè un fanatico? Che se ad alcuno t pur lecito quest’ ufficio di saggia critica, sembra che sialo all’età più matura, che stagiona i giudici, e fu somigliata al primo freddo pel raddolcir che fa Puve al finir d’un autunno sereno, e se ad un tempo uccide i grilli, che son quegli spiriti troppo vivaci di gioventù, che mordono $z Prefazione dono più del dovere, e stridono più importuni j ciò mostra il pregio di tali critiche divenute più sagge, e più autorevoli . Queste pajono necessarie in questo tempo 1 a chi ama sinceramente Ponor delle lettere , e dell’ Italia , rroVSr.doci all5 epoca letteraria di lei più ricca d3 opere, di scrittori, e di stampe, alP epoca della superficiale letteratura quanto più estesa, tanto men soda, e profonda. Cresce ogni giorno la piena inondante di libri, di opuscoli, d’accademiche, teatrali, filosòfiche produzioni, che gareg- giano colle traduzioni dell’ opere degli stranieri , e colla imitazione de5 loro studj, ed argomenti più triti d* educazione , d* agricoltura , di naturale filosofia, di commercio, popolazione, manifatture, Je quali unite a quelle di metafisica, d’oratoria, di medicina , di gius, di politica, di fisica , e di con* troversia, e sopra tutto aggiuntovi P incessante diluvio di poesie italiane , o fatte volgari dai francese, dal tedesco, e dalPinglese ; e co’registri loro ne1 giornali, effemeridi, e fogli letterari d’ogni maniera, e d’ogni provincia presentano un campo immenso > che dell’ Ai/TORE. 32 che appena può scorrersi in piccola parte, ed alla sfuggita. Rimirando però con occhio attento cotanta suppellettile , e sì doviziosa degl’ ingegni italiani, coni1 io faccio nella iertura di molti giornali, e d’ opere publícate di mano in mano, trovo molta di nìcol ri di poter trarne una qualche idea meno incerta del gusto presente dominatore nella república letteraria per farne un giusto giudicio critico, ed istruttivo per la gioventù, Sempre siamo stranieri tra noi da una città all*altra ; vanno i libri a rrande stento dalla dorrà Bologna alla dotra Padova, da Modena c Parma a Verona a Venezia, e più da Genova a Roma, da Roma a Milano, e qui appena che si conosca un letterato di là. Napoli poi non che Palermo è agli antipodi per Venezia per Firenze per Torino, e per rutta la Lombardia quanto a letterario commercio. La posta è gravosissima anche per un picco! giornale ■ mentre in Francia, e in Germania non si pagano più delle lettere . Ciascun fa da se, ha una sua università , un5 accademia, una publica biblioteca, e museo, e specola, c Tomo L C teaPrefazione ieatro di scienze, e camera di fisica sperimentale, e stamperia, e nel corso di poche poste avere Padova, e Ferrara, e Bologna y e Modena, e Parma, e Mantova, e Milano, e Pavia provvedute di professori di scienze, e d’arti, e di mestieri al par delle metropoli, sicché ognun crede di non abbisognare d’altrui, e quindi più d?un viaggiatore diceami poter V Italia sfidar con vantaggio ogni altra nazione al paragon degli studi , e de1 letterati se fossero uniti ad un centro •"'Perchè ognor più mi confermo a ciò pensando in quella osservazione da me altrove accennata, che ogni nostra provincia, e città primaria fa un proprio parnasso , uà proprio liceo , un tribunal proprio indipendente da tutti gli altri, benché sembri cresciuta da pochi anni la vicendevole comunicazione, e che molti gusti, e molte letterature si ponno trovare, ma non una sola, e veramente italiana . Per tutto si scrive, per tutto si stampa, per tutto si fan giudici, ed estratti dell’opere almen di quelle che nascono, a così dire, in casa, o si mandano dirittamente dagli autori , ma non altra misura } DELL5 A UTOÙì n3J sura, e ragione generalmente s* adoperarci solo per avventura quella delle Iodi più liberali, e delle critiche più discrete, e più timide , ma P une e 1* altre con poco esame e con poco studio. Generalmente parlando molto si scrive , e poco si pensa , i libri sono infiniti, ma i pensieri originali sono rarissimi; le parole , le citazioni, e le imitazioni fanno il più de1 vblumi ; 1 compendi , i dizionari, le raccolre son comuni arsenali, e quindi le continue repetizioni, le copie, gp impasti moltiplicano una farragine inutile, verbosa, servile, ed impediscono il corso alP invenzione , e all’energia del pensare, e dello scrivere con utilità de1 lettori . Dee venire quel giorno, che misurata la brevità della vira, e il bisogno di buono alimento si farà un vasto incendio di tanta superfluità, ed impaccio, andranno 111 fumo i commenti, le compilazioni , le raccolte, 1 romanzi, le oscene, ie buffonesche, e vuote poesie a migliaia, e se ne salveranno que’ soli, che saranno riconosciuti istruttivi, e ragionevoli, ed utili alP uomo . Crediam noi, che i nostri nipoti, e pronipoti non siati mai per aprir gli occhi, e per 36 Prefazione e per annoiarsi di tanti abusi, errori, e pre- giudicj nemici delia ragione, della verità, dei buon gusto , dei buon costume? E forse, noi nego, è necessario nel giro delie cose, c dei tempi un secolo come il nostro di frivolezza, d3apparenza , d5 impostura , di vanità in un mare di srampe, ma par dopo questo, o dopo il seguente che venir dehbane un’ nitro a trascegliere, e separare da tanta scoria il puro installo, cd a foggiarlo a prò degli studj succosi, e nutritivi , giovandosi d'una enciclopedia , che alior forse avrà forma di corpo organizzato, e vita sicura. Noi seguendo frattanto il destino del nostro benché umiliante, al qual concorrono ¥ opere mie, seppur durando sino a quei tempo ghigneranno a pur essere esaminate , almen procuriamo, che qualche miglior ingegno non perda le sue fatiche, e sia minore il numero di coloro, che vadano a verificare il mio vaticinio nel secolo più severo . E poiché non è sperabile una salutare ri forma in certe professioni, che devono correre per natura quella sorte infelice presso della posterità , sia che trovinsi ancora ai primi eiedell1 Autore, ¿y elementi , come la medicina, la giurisprudenza 3 il diritto delle genti, i commerci, i governi, sia che ancor si dibattano in mezzo alle dispute, ed alle formalità, come le teologie , filosofie, cronologie, e tutte le sette, e tutti i sistemi, e tutte le scuole, cerchiarci di salvar dal naufragio , o dalle fiamme quaU che avvanzo di belle lettere , che vantan la nobiltà di lor origine antica, e toccarono la perfezione sui presso al lor nascere, e se non possiamo pretendere a far delle iliadi * 0 dell’eneidi, a rivedere dei Sofòcli, e dei Senofonti, studiamoci di non moltiplicare i Seneca, e i Falerni, i Lucani, i Marziali* 1 Claudiani, e molto più di non rinnovare sott’ altro nome il seicento sostituendo alla sua gonfiezza , ed ampollosità un affettazione di stil filosofico , che diviene di tutti i gusti più depravati il pessimo, come suol divenire la corruzione deir ottimo in ogni cosa. Già sentiamo accusar questo giusto sotto il nome di spirito fiTosofico de1 maggiori danni fatti in Europa, e più in Francia, etra noi alla poesia e all1 eloquenza 7 trasfigurandone le 38 Prefazione * le naturali fattezze con falsi colori, e ornamenti, e sostituendo in luogo della maestosa semplicità, della grazia nativa, e della eleganza dello stile una studiata energia, un freddo entusiasmo, una lingua geometrica, e una ridicola mescolanza di gigantesca elevatezza più che poetica, e di precisitele contorta, intralciata, confusa, e sentenziosa, e più che filosofica. Or vediamo un poco tra noi di buon accordo se questo gusto di filosofìa dominante, e sino a qual segno possa nodrire le prose, e i versi italiani di miglior succo, e sangue, se faccia un giusto compenso a quella verbosità boccaccevole, a quello scriver digiuno, e vacuo de1 cinquecentisti, e a quel giogo tirannico della Crusca, che certamente fece gran male, e tenne troppo gran tempo gl’ingegni, e gli scrittori in una misera mediocrità* Chi sa, che volendo noi evitare un estremo non diam nel contrario, e che fuggendo i ceppi grammaticali non abusiamo d- una liberivi ancor più funesta ? E tanto più noi dobbiamo esser di dò solleciti, quanto più bella, più nobile, più ricca per singoiar privilegio abbiam sortita la lindell* Autore# lingua. Tutte l’altre d’Europa ci avvisano di continuo della sua preminenza, tutti ipopoli le fanno omaggio, e sembrali rimproverarci di non cavare che molli suoni, o discordi dal più eccellente stromento, e da corde sì forti, e s: sonore per ogni concerto di narrazione , dì conversazione epistolare, di raziocinio, d’insegnamento , di predicazione, e molto più d’ogni canto poetico. Cinque secoli ornai di esercizio in tutti i generi la dovrebboro avere perfezionata fissandone il gusto, ed assicurandone i dritri, e l’indole propria della sintassi, della costruzione> dell’armonia sua propria. Que5primi padri Dante, e Petrarca, e Boccaccio, che ne furono i fondatori son forse caduti dal trono? E Castiglione , e Bembo, e Davanzati, e Galileo j e Redi, Maffei , Zauotti, Cocchi, e Foscarini, e tant’ altri in istoria, in fisica, in politica, ed in morale, ed in ogni altra materia sino a dì nostri non batteron le lor orme, non seguiron le leggi con gli esempli fondamentali da que’primi lasciate? Non tennero forse tutti e sempre l’antico disegno di lingua, e di stile benché usando C 4 di ver*. 40 PREFAZIONE diversi colori, e variando 1 lineamenti secondo H gusto lor proprio, e l’argomento? Nò- per quanto scrivessero in diverse materie, per quanto avessero fama, ed autorità nò non osarono mai deformare quella originale figura da più secoli sacra alla nazione. Questi certo a mio credere han vera eleganza, dicitura corretta, stil naturale insieme, ed eloquente, sempre giusti nell5 espressione, con rermini propri, con voci scelte, col giro, e periodo vario ma fluido, nobile ma sobrio, armonico, e non romoroso, e soprattutto con andamento eguale di sintassi, e con pensieri legati, e seguenti per occulto^ e finissimo raziocinio. In lor non si veggono pezzi pomposi uniti ai pedestri, un enfasi declamatoria congiunta a fiacchezza dialettica, de’termini affettamente toscani con lom* barda costruzione, de1 tratti poerici in prosa, e prosaici in verso, de’pensieri triviali vestiri d’ardire metafore, de’ pensier falsi coperti di frasi misteriose, o scientifiche , P ampollosità rettoriea senza esattezza grammaticale , ed accompagnata sì spesso d5 improprietà di parole ? di barbarie di modi, di verissimi dell* Autore» 4* 8imi solecismi. Se al 1 or confronto chiamiana tante opere anche applaudite in verso, e in prosa di moderni scrittori di stona di politica di morale , e le più gradire de] secolo sopra il commercio, 1 delitti e le pene, la felicità , la popolazione, il teatro, ami su la stile, su l1 eloquenza, sul buon gusto, ^ si-* mi li argomenti, quale resisterebbe alla critica giusta, qual veramente scritta in italiano ? E ciò non dico già per censurarli amaramente, ma prendo anzi la parte loro, avvisandoli amichevolmente del lor pericolo, perche debbon sapere anch5 essi, che unJ intera nazione non ingannasi a lungo andare, che non può più cambiarsi la natura, e Tin- dofe della lingua, che alfm saranno essi t sedotti da una vana lusinga di fama, la qual poi dipende dal giudizio de* critici più severi con V autorità fiancheggiati degli esemplari eccellenti adottati dall’ universale consentimento . Quanto a me benché lontano da quella eleganza, che ammiro in altri, e forse anche più scorretto che molti non sono, io pur serri4 2 PREFAZIONE sempre sino all’ultimo fiato gridarb a* giovani studiosi guardatevi tanto più da tali esem- pj quanto più sono autorevoli per altre doti , o per gli encomi de’ giornali, riconoscete il peggior gusto, che fosse mai accompagnato dai maggior furore di scrivere, e di poetare senza giudicio , e senza stile, che fu sempre, e sarà la prima dote, e senza cui non vivon i’opere molto tempo. E guardimi il cielo dal declamare così all5aria, come fassi talora da certi critici delia nostra letteratura, i quali voglion soltanto far pompa di loro zelo, e trarre a se gli occhi del popolo schiamazzando alla maniera de5ciurmadori senza poi render ragione delle Jor riprensioni , senza suggerire gli opportuni rimedi, e di* scendere ai particolari, agli esempli, all1 istru- zion pratica come c bisogno. Non palio dalla cattedra, non seguo genio, e parti, non temo nh spero, ma con sincero esame, e con pruove di fatto presento all5unico, ed incorrotto tribunale della publica giudicatura i miei pensieri . E giacche da mollarmi ho scritto con libertà contro il giogo servile, che dell* Autore, 4$ che impor voleasi alla gioventù delie super, suzioni grammaticali ( i ), e toscane , e con- rro la cieca adorazione degli antichi esemplari, cosi non meno liberamente prendo oggi a discorrere contro alla licenza sfrenata d5 alcuni scrittori. Se Dante, Petrarca c Eoe. caccio mi parvero pericolosi alla gioventù non discernendone que’diftetti da me notati, perche temerò di notar quelli in autori dì tanto minor merito in questo gusto predominante di lusinghiera filosofia ? I buoni giudici , e i gran maesrri viventi d’ Italia condannino infine, ed assolvano; io mi sottometto alla Jor sentenza, la «¿uà! so bene dover decider la causa , essendo quella irrefragabile dopo vinti i pregiudici col tempo anche presso gl’idioti, e i prevenuti, come il fu quella appunto degli Elisi sopra Dante, e sopra l’imitazione servile degli antichi. Fissato adunque il gran punto, che dee parlarsi, e scriversi italiano per far buoni versi (i) Vedi lettere di Virgilio, e la prosa avanti le ottave rime, e poemetti. 44 Prefazione versi, e prose volgari, come fecero greci, e latini, io dimando se veramente molti vi siano quest’oggi, che scrivano iraliano, cot con giusta sintassi, buona frase, stil puro, e corretto di lìngua patria, e se non possa dirsi dello stile ciò, che il Castiglione dicea degli abiti, non averne P Italia alcun proprio, ma vestire or francese, ora tedesco, ora spa- gnuolo, tanto e vero, che osnun’oggi usa frasi straniere, espressioni triviali, viziose, pedestri, e mescolate di barbarismi. V5 ha fórse più belle opere, che non per T addietro non solo per sostanza di dottrina, e per tentativi, ma per merito ancor d5 eloquenza , e d* entusiasmo , si cercano ima^ini grandiose , si tentano voli elevati, si fan quadri, e pitture or dilicate , ed or forti, ed eziandio si scalda lo stile con ardor di passione, con dolcezza patetica, con varietà d’aifetri, perchè almen questo han capirò i buoni ingegni, e i dotti maestri, che la sola grazia ed eleganza deilo scrivere vuoto, ed inanimato già troppo ha dominata iJ Italia; che bisogna dar pascolo all’amor della novità y far pensare chi legge, intertenerlo , corninovi D E 1 L’ A U T 0*R £ . 45 verlo Invece d1 addormentarlo. Suona rutta P Europa d* alti precetti, ed esempli jielì’oratoria , nella poetica, nel teatro, ne bastali più neppure a noi quelli del Varchi, del Segni, dei Castelverri ; risvegliano tutte Je nazioni con prose, e poesie d* invenzione, ds imagi ni, d'entusiasmo, tutti gridano scuotimi l5 animo7 incantami la fantasia, trasportami fuor dell’usato, e girtano il libro ben tosto, se non ottengon l’intento. Ma in questo ardore per avventura , in questo gusto di cibo più sustanzioso il necessario condimento dello stile è poco considerato, e nel tempo che noi ci nudriaroo del sapere, e delle scoperte degli stranieri, noi senza avvedersene da lor prendiamo anche i modi ? e le frasi deMor linguaggi con disprezzo e con danno del nostro, M* incontro appunto a questi ' giorni in un1 elogio dei Cavalieri composto da un uomo illustre ( 1 ) non solo in Italia ma nelle accademie d’Europa, e autor celebrato d’altro ( 1 ) P. Frisi » 4& Prefazione Irò elogio di Galileo - Il nome solo di que- sto, e l’airissimo argomento delle scienze più venerate danno un grande accrescimento al credito dello scrittore, e V impresa d’un elogio dopo Ì tanro ammirati di Thomas, c de’primi geni dì Francia, che ne hanno sparso per tutto il gusto moderno, tutto insieme fa leggere avidamente questi due del Cavalieri , e del Galileo* Altri forse dimanderanno se questi elogi formino due statue fuse di getto, due quadri rappresentanti i ritratti interi, ed evidenti in un sol punto di prospettiva, in somma il vero carattere de’due eroi ben distinto, e ben proprio di ciasche* dun d’essi, com1 è l’obbligo principale, e l’intrinseco merito di un elogio; ch’io ristringendomi al mio assunto dirò solo qua! maraviglia non è il vedere trasfuso in parole italiane non solo il gusto, ma la frase francese dal nostro insigne scrittore ? Aprite il libro, e leggere con riflessione allo stile quella pagina, che vi si offre, e vi parrà leggere un vero francese tradotto in italiana letteralmente . Io lo traduceva in parole francesi, e trovava il giro, la frase, e la dell1 Autore# 47 sintassi in tutto oltramontana , quando mi venne alle mani la prima volta. Or non ho meco fuor che l’estratto fattone in un giornale , e quel passo ivi citato, che dice : La vicinanza, e ia famigliatiti* degli oggetti fa nascere alcuni rapporti, che non li lasciane giustamente apprezzare ; vi si frammischiane nel giudizio delle piccole passioni : il meriti> intrinseco si risolve nelle particolari relazioni , che pub aver chi ne giudica: il tempo fa disparire tutte queste illusioni : il quadro si presenta alla posterità nel suo intiero : P uomo di lettere si valuta, e si giudica in se medesimo etc. Non vi trovate voi proprio Iti Francia? Lascio stare quel rompimento di tutti i membri del periodo, che fa sembrar una sentenza isolata ogni inciso , cominciando ognun di questi quasi un nuovo senso: la vicinanza . . . il merito . , . il tempo . * • il quadro . . . Puom di lettere . . , senza la consolazione d’ una piccola particella, che leghi insieme, e contorni un poco questi pezzi sraccati, e non con altro tenuri insieme , che con due punti, quasi due chiodi, perchè non sconnettasi, e rompa tutto V ordigno Prefazione digno; di che nulla è più contrario alla na. lura dello scrivere italiano. Lascio star le parole e Je frasi, ciascuna delle quali potrebbe esaminarsi, ma tutte le prendo insieme, ed ecco un periodo, o a dir meglio un rottame dì stile francese; Le voisinage ^ & la familiari fé ¿ìles obi et s fait naître certains Y apport s, qui ne les laissent pas aprecier au juste: les petites passions se mêlent dans le jugement : le mérité essentiel se résout dans des relations particulières que peut a-voir celui qui en juge. Le tems fait dìsparoître toutes ces illusions : le tableau se presente à la postérité en son entier: l'homme de lettres est évalué Ó* jugé en soi même &c, G ia non pretendo, che questo sia del più elegante stile francese, ma sarà egli buon italiano-? Sarà mai per alcun modo italiano ? Sarà neppure uoa buona traduzione la sua, se mai dicesse d’aver trasportati que’sensi da qualche opera oltramontana in volgare P autor dell’elogio ? Ala talora, non può negarsi , egli sembra voler far onore alla sua parria , ed alla sua lingua nobilitando lo stile, e il periodo con equabile passo, ed armonica rotondità’ PuJ dell’ Autore- Pur chi il crederebbe? Passa, egli alP altro estremo, e divien poeta con quelle parole: Veramente nelle publiche scuole dì Pisa , e di Padova era spuntata allora una nuova Iti- ce, che andava sempre piti rinforzandosi , elevandosi rapidamente su P orizzonte: sin qua bastava se non era già troppo. Ma chi può far salto più enorme dalla prosa più renne, e più scolastica, qual 1’ abbiamo veduta più sopra, a queste gonfie, e rimbombanti metafore gigantesche . Ma dalla parte di mezzo giorno non si vedevano balenare in Italia che lampi interrotti da cupi tuoni 7 nò si temeva eòe lo scoppio di qualche fulmine sopra del bel paesej dove già si godeva P aurora d* un chiaro giorno. Ed è questa prosa indiana? E la nostra lingua ha forse bisogno come la francese di prender la tromba, quando vuol innalzare lo stile, o di calzare i coturni, quasi tema d* esser languida, e famigliare senza quell5 improvviso ed improprio traspor- lamento fantastico ? Se questo scrittore fosse meno autorevole basterebbe il sin qui detto a dimostrare il poco conto che si fa dello stile in Italia, ma godendo egli di tanta fa- Tomo I. D i»a, <o Prefazione /na, ed essendo un de1 maestri, e giudici piò severi dell’altrui opere non lascerò d’aggiu- gnere come il gusto medesimo nell* un genere, e nell’altro di sintassi affatto barbara, ed ampollosa gonfiezza regni in tutto l’elogio di Galileo, che or ho in inano, stupendo ognuno, che lodando, e leggendo egli uno scrittor de5 più saggi * più eloquenti, e dei più corretti, qual fu Galileo r non abbia preso un poco di quella gastigatczza , e di quel fiudicio . Leggete il principio di quell1 elogio e vedrete il viaggio, eh’et fa da mille miglia lontano per ventre al suo assunto, ed intendete a un di presso , se fia possibile, quello eh’ ei dice, come a me par d’intendere ciò eh’ ei vuol dire ; ma un’anima avez- za ai calcoli più sublimi, e al consorzio dei gran geometri sin dalla gioventù non degnò forse mai discendere al suo nativo linguaggio, € quindi scrivendo in esso contorce le idee, per parlar anch’ io forestiero, che si sforzano d’esser grandi, e le frasi, che non giungono col loro sforzo che ad essere oscure, o risonanti. Scorrendolo un poco voi ritrovate in un opedul’ Autore. jt ©pera d'eloquenza italiana que’modi di diri* ehJ ella mai non conobbe , come sono : In un colpo d1 occhio : slanciarsi in mezzo alla luce : Un 'vuoto quasi assoluto nella storia delle scienze : Il libro di Copernico è il colpo piìt ardito : Il raddoppiamento del Capo di buona speranza : La mohiplicità delle -viste aperte a IP altrui sguardo : Mettere a portata di vedere : Detagli poco interessami : I piccoli aneddoti delle sue passioni domestiche : Collocare nel prima rango : Decifrare le leggi della natura ; Mettere alla testa dei regni : Restare alla testa degli ingegni : Somministrare una riprova: e tali altre, che spesso intrecciare ]’ una coli* altra fanno un corale frastuono agli orecchi irafiani, per cui non so se il buon Galileo risuscitando , e leggendo il suo elogio potesse intenderlo facilmente. Io però temo che l'esempio dy un uom grande, e dJun grande elogio non sia pei giovani pernicioso , e non introduca un gusto distruggitore della bellezza nativa , e delPeleganza del nostro amabil linguaggio; perché avvezzandosi essi aìP enfatico , che sembra grandioso a al poetico che par anima§i pREfAZ'IONE io, ali’oscuro, che credon profondo, vermi poi a disprezzare il naturale , il semplice, il moderato, c saggio scrivere riputandolo fredr do , insipido, e fiacco , Potrei di fatto citare qualch’ altro elogio uscito in luce poco lontano da quelli di Ga^ Weo, e di Cavalieri, e locaro ne7 giornali , se non fosse per 1?argomento assai meno accreditato, giacche vediamo gli elog; divenuti assai famigliar!, e concessi dai giornalisti liberalmente a letterati sol da Ior conosciuti . Parlo dì que’ tra gli altri , che a dozzina si fanno dall5Antologia di Roma, benchc il titolo d’ elogio quivi prendasi in altro senso che non P usato a questi dì, e di cui può fregiarsi Ja più meschina notizia dello scrittor più meschino . E non parlo di quelli, che son veramente degni del titolo, e dell’onore de5 miglior clorj per eloquenza , per eleganza, e per dottrina. Tra questi ripongo quello di Montecuccoli stamparo a Modena, che tra i pochi mi sembra e per Io stile , e per la maestria far onore al slg. Conte Paradisi, e all1 Italia. Non è desso inebriato dal fumo- so Thomas, non è punto di gusto straniero, non * dell^ AutoU. hon è una copia servile delle mode francesi , ParmI rutto italiano, tutto grave , e tempe* rato senza iperboli, senza sforzi, senza orgogliosa filosofia , eppur filosofico , eppur magnifico , e soprattutto un quadro compiuto , ove il ritratto campeggia del grand’ uomo, e del gran capitano con giusto disegno di storica verità , e con nobile colorito di filosofia, e d’ eloquenza * Non l* per lodare fautore, che io co;ì parlo , ma per mostrar al con* fronto piti vivamente il poco pregio di tanti elogi moderni accademici siano, o storici ad esempio di quelli del troppo ingegnoso Fon- renelle, ovver oratori come que1 del sig. Tho- jnas, e di mille altri seguaci suoi. Non posso a questo proposito tacer d’ una prosa per caso venutami in mano, e stampata in una città per letteratura famosa, e in occasione di solenni apparati funebri , e in onore del più coìto, più dilicato, più famoso scrittore de* nostri tempi cioè del celebre Francesco Zanotri. Eppur mostra l1 autore di ben conoscere i pregi deli*eroe, eh1 ei celebra , mostra ingegno, sapere , ed energia ; ma tutto adopera a farsi oscuro , a ritorcer penPrefazione pensieri e frasi, a torir^ntar la lingua con un continuo sfòrzo non naturale . Diamone un saggio per 1’ unico fine di richiamare da tor* ti sentieri la gioventù , non mai per passione > potendo nuocere assai quest’esempio avvalorato da!P argcmento , e dal luogo 7 poiché fu sempre Bologna insino ad ora maestra di stile, e d’eleganza italiana eziandio. Per annoverare Je discipline molriplici delle quaT li fu adorno Za notti così si esprime r La Dia- lettica, la Chimica , P Anatomia , la ÌAedt- cina, la Meccanica a lui porsero , presso cui le grazie ave an ricetto, dalle quali amavano esser portate nel volgo . La natura tutta si offerse alle sue contèmpi azioni quasi volesse per lui parer più feconda ncy suoi prodotti y e nelle sue leggi, e Urania invidiando la sor- te dei terreni oggetti beneficati dalle sue lettere lo addusse agli spazj vastissimi del cielo j e alle vie de' pianeti : Or mirate qui co* me si fan correre cinque scienze al sig. Za- nutti i presso del quale avean ricetto le gra- zie , dalle quali amavano esser portate . . . - Qual mai sintassi italiana c questa ? Correr h scienze a lui ,, ♦ presso sui ,., dal(e qua? li dell* Autore. 5$ li amavano * . . Crescono sempre i traslati più strani in una semplice prosa istorica of. frendasi la natura tutta alle sue contempla- zioni j e giungono all’eccesso con quel quasi volesse per lui parer più feconda , non basta , e Urania che invidia la sorte de* terreni cg- getti) e questi oggetti beneficati dalle sue let- me ; quai lettere? forse le famigliati, o le scientifiche, o le lettere umane , o la letteratura? E quella Urania , che lo adduce agli spazj del <,ielo , che ve ne pare ì A ppena che soffrireste in verso agli spazj del del P ad- duce Urania, non è vero ? Ma quai rompimento d’idee , qual filo mal raggruppato d* imagini discordanti è quello? Le cinque scienze che corrono ... le grazie che dan ricetto dalle quali amano esser portate. , , e la natura che si offre per parer più feconda ... E Urania, che invidia i terreni oggetti . . . i quali son beneficati dalle sue lettere . * • e che Io adduce agli spazi del cielo ec. Seguiamo ancor avanti per poco , e ricordiamoci sempre che parlasi di quell’ uomo, la cui elocuzione fu sempre sì nitida, e chiara , sì temperata j e giusta anche dove alzò lo itile, ed D 4 or* J e questo sguardo acuto unisce alle voci maestre del canto . Con questo stile entra a lodare lo stile di Zanot- ti, ina nò 5 entra nelle lodi dell'art? e dello - ; Siidell’ Autore* stile , /¿¿f* In fede degli encomj al testimonic delP opere da lui scritte, onde siano i lettori costretti a predicarne una sola. Intendete voi bene cosa egli dica o voglia pur dire ? Ma basti sin qua, e segua chi vuole notando le maniere più singolari , e meno italiane d7esprimersi come sono: Autorizzar* * detti : Argomento inetto allo stile : U uomo abituato dall5 arte : Raccomandar la materia : La chiarezza figliuola dell5 ingegno di una 'vasta dottrina : Empir P animo i desiderf ? la ragione : Rimettere le cose rimote all'assunto : Invaghire dell* aberrazioae y e dei ritorno: Una facoltà di associare le cose: Conoscere la propinquità : e speci almenre quel passo ove parla dell’elocuzione, senza avvedersi del confronto troppo facile a farsi , dicendo questa c d? un dicitore ( che una volta significava parlatore, e non già scrittore, ) in cui trovansi le lacune di suono , che risuscitano poi ( udiste mai risuscitar le lacune O e aumentano il piacere, quando egli ( il piacere ) torna ad ornar l5 orazione, del qual piacere poco dopo furono i greci originali artefici , e maestri. E pensate, che dopo questo mu58 P R E F A z i OSE musaico ha il coraggio di porrare un passa intero scritto da quell* aurea penna di Zanot- ti , perche1 il confronto sia più vicino, e la difformità più evidente. Or non r questa verissima corruzione di gusto, e di stile italiano? Dicono molti, che questo è scrivere filosofico (siccome altri i* u* sano geometrico ) ed è vero, che alcuni termini sono scientifici , che hanno un colore di metafisica, che son tolti dalla geometria , e che alcune metafore , ed espressigli! suppongono ingegno, e cognizioni in chi scrive, ma il buon gusto di lingua , e di stile ov* fc ? Fuggiam pure la verbosità , il suon vano, i vuori periodi eterni boccaccevoli , o bembe- schi r sia bandirò il Conciossiamassimamente- ebe ; ridiamo delV Ohimè , ohimè ? dico uri* altra volta ohimè j fuggiamo il troppo latin sapore del Cortigiano, e il troppo ciceroniano periodo del Casa : lasciamo le grazie toscane alle novelle , alle cicalate , al dialogo familiare, e piacevole; e scriviamo principal-* mente in materie letterarie con libertà , con calore , con forza, ed abbondanza ; giacché certo giro di frase , e di periodo, certe an* dell* Autore, $ ffclie circonlocuzioni non ponno stare coll* fòrza de’ pensieri , col nervo dell5 orazione , colla sostanza deli’istruzione ; ma teniam ferina la proprietà delie parole , della sintassi , delle figure, e il corso fluido, e naturai del periodo , senza eleganza non potendosi andare, il ripeterò sempre, all’immortalità . Bea inrendo la difficoltà di congiungere insieme la grazia dell’antico colla solidità dello scriver moderno , e confesso d* averlo spesso tentato io medesimo indarno volendo trattare di certe materie, Ma se non è forse possibile conservar quella grazia, perchè non potremo evitare un altro estremo } Chi può obbligarne ad ignorare la costruzione , e correzione grammaticale, la purità , la chiarezza , e P or* dine naturale ai nostro linguaggio, eh’è fissato in quanto alla sostanza, e natura sua da tanto tempo, e non può cambiarla senza degenerare ? Zanòrri , e Galileo non si diran già scritror verbosi, e inetti . E chi più di loro maneggiò argomenti gravi , profondi , filosofici, geomerrici , e chi più di loro so-* stenne una facile elocuzione numerosa , e regolata insieme non men che colta , gentile f 6a Prefazióne corretta, e sobria, ed elegante? Quella maestosa semplicità , quella chiarezza , quella precisione toglie forse alla lingua il suo cando- le , la sua purezza , la sua forza 9 ed energia ? Ecco Ì’errore in cui siamo volendo alzare lo stile, e pensando distinguerci dal volgo degli scrittori. Crediamo di prevalere agli altri mettendo certa arditezza in vece di forza , certa oscurità- in vece di profondità, pienezza di cose j evidenza di passioni, di re , di caratteri , pittorico colorito di ritratti, contrasto d’affetti, grandezza d’imagiui, scene animare viventi , e simili altre bellezze , sprezzando intanto la verirà , la semplicità, la regolatezza , quasi l’incolta salvati- chezza' sia da perdonare in grazia di qualche meditazione profonda, o novità non vulgare, e i sollecismi, e i barbarismi siano da disprezzarsi dal filosofo troppo occupato da suoi sublimi, e mirabili pensamenti* Queste mie riflessioni ponilo applicarsi a molte opere uscite in luce a questi tempi, delle quali potrei fare una critica particolare , benché alcune abbian fama, e ne sian celebri , e cassici gli autori, che introdussero uno stile misterioso che DELL1 A UTORE* 6l che abbaglia ? che fa studiar per intenderli , tessuto a sentenziosi membretti , a sensi in- voleri, a contrapposti affettati , e saltellanti ♦ Altri giungono a tal licenza, che introdiu cono francamente parole straniere , e france-r sismi , o coniano nuove voci come sovrani della lingua , se pur non son anzi di quella ignari ♦ Ho letto il libro Storia Critica de* Teatri encomiato da giornalisti, ed ha il pregio veramente di molta erudizione , di molto ingegno, ed anche di stil felice, e corrente, banche giudichi delle opere teatrali or senza averie ben lette , or senza bene averle intese, or con troppa parzialità , or con aperta ingiustizia. Io non posso abbastanza stupire, come un rale scrittore impunemente adoperi così strane parole come sono piroettare , vanitoso , interloquire, sber teff are , fantasioso * orroroso , gerbone , està , e dica di Cornelio che fu succeduto da Racine, per dir che Radile successe a Cornelio , e imitato da Eu- ripide, per dir che Seneca ha imitato un pas? so del tragico greco, e tali altri modi inusitati ( benché forse due o tre delle citate par role si trovino in crusca ) o certamente mal col6t Prefazione Collocati In uno stile , eh’esser dee per Par« gomento, ed il fine assai facile, e naturale * non che purgato , e gentile . Eppur sa egli lodar Terenzio tra gli altri dilla bellezza , ed eleganza di locuzione , che imbalsama , ei dice , tutti i componimenti ingegnosi , Una bella lettera serve di prefazione aHibro, ed è rutta francese . L5 ultime righe dicono vuol piccarsi di spirito ; si son dati la pena di consultar le sorgenti , i begli spiriti alla moda sono a portata di conoscere la sterilità de* proprj fondi ecj Ma ciò, che maggiprmenre affligge un buon iraiiano si il vedere i toscani non sol partecipi di corale pervertimento, ma principali autori, ed esemplari di quello. Dopo il Coc* chi non saprei dire qual libro d* autor rosea* no possa dirsi senza errori grammaticali , e senza barbare locuzioni di quanti ne ho avuti tra le mani * E non parlo già d* ignobili , e triviali scrittori , massimamente traduttori, che sembrano fare una società mercantile in quella provincia, non che de’novellisti letterari detti periodici ; ma potrei forse parlare «le’ più famosi come i Targioni, i Guazzesi, i Sodell’ A uToni* 6$ i Sona, e tali altri, ne’ quali tfovo or parole , e frasi francesi , or errori grammaticali troppo frequenti. Ili quel dialogo si meschino tra un francese , e un italiano del sig. Sona voi trovate sulle prime - U Italia c piU toccante ciella Francia- Spingere troppo in là z pregiudizi - esser indisposto a concedere -il divinamente scelto il potentemente toccante- Attirar da ogni parte i viaggiatori - Preterì* dere il disopra- Mescolarsi d* improvvisare. E così parla quell* italiano, or pensate come parlerà il francese ?. Che farem noi lombardi se i nostri maestri ne danno esempli sì scandalosi ? E se noi ci guardiani cautamente dall* imitarli avranno essi ragione d’innorridire af- lor che sentono dirsi, che in Iombnrdia seri- vesi meglio assai , che in toscana ? Seppur non volessero , che qualunque lor detto ancorché contro grammatica, e contro gli esempi deJ classici, e senza gusto di lingua debba aversi in onore , perchè è un frutto del lor clima privilegiato. Non dirò altro 9 benché potrei molto dire sopra V opere d’altri italiani in ogni genere di ¿4 Prefazione di prosa , nè sopra gli oratori, e predicato^ ri5 nè sopra gli storici, ed annalisti, ne so* pra i filosofi de’ nostri giorni, bastandone un cenno a firn di preservare la gioventù da tristi esempi, che s’incontrano troppo spesso, dì stile impuro, e licenzioso . Basta eh* essi riflettano, per guardarsene gelosamente , ai due contrassegni, e caratteri di questo vizio, o negligenza che siasi , tanto oggi predominante . L5 uno è prodotto dal nuovo genio di filosofare in ogni materia, e parere profondo pensatore pei termini stessi presi dalle scienze più accreditare, l’altro dalla lettura universale de’ libri francesi, e degl’ inglesi eziandio venuti alla moda, per cui poco a poco s'imbevono gl* italiani non solo del modo di pensare , ma del gusto eziandio , e delle maniere di parlare, e di scrivere delle straniere nazioni , senza riflettere air intrinseca diiferen- 7a de5 linguaggi, onde ha ciascuno la forma sua propria, e rifugge dal prender l’altrui. Prendiam pur gli abiti, e le mode da loro , giacché queste dipendono dal capriccio , e non han leggi a prescriverle, ma la lingua, lo stile ì DEli’ ATJTOREi le, il gusto hm regole certe , e fisse, coinè P ebbero greci, e latini, e ogni gente nelP opere massimamente d'eloquenza. Intorno a die merita osservazione un’ inganno comune, che per pigrizia, o per ignoranza ha preso piede tra noi , cioè quel dì credere indifferente il mescolamento de5 linguaggi , se pur non giungesi a prenderlo ad ornamento, e a vezzo, o a riputarlo una ricchezza aggiunta alla patria„ Ne già condanno io qualunque frase straniera , e molto meri le francesi addottale dagP italiani, mancando noi a dir vero di molti termini in molte arti , e professioni più coltivate con gloria tra loro da cent’anni in quà , e sapendo bene qual sia la stretta affinità delle due lingue sino ab antico, quando Dante, i Villani , e Passivanti coi lor coetanei tanto infusero nei loro stile di que’ modi , e parole , che parevano una lingua sola con sol differente pronunzia , ed accento la nostra, e la francese; se pur non vogliasi, che i francesi fossero gP imitatori, e noi la prima sorgente . Checchen- nessia certo è , che non mai furono più giustamente chiamate sorelle , siccome nate ad Tomo ì. E *n 66 Prefazione Un parto della medesima madre , e non po- tea darsi maggior simigìianza, e concordia nel parlare, e nello scrivere in prosa, e in verso da Francesco I. nella cui corte [a nostra lingua dominò , i nostri autori fiorirono , e sino a Luigi XIII furon copiati , e imirati in tragedie , commedie ,,e prose , e versi. Basta dare un’occhiata all* antiche lor poesie per vedere una tal verità . Gli Annali poetici, che si stampano, d’ alcun tempo in qua a Parigi , e trascelgono 11 meglio di quel lor vecchio parnasso , e l dizionari de la Croix du Maine , e du Verdier son pieni di tai poesie francesi di gusto italiano , vuò dir di quello , che presso noi persevera sui fondamenti immutabili de’ nostri primi maestri , mentre i francesi P han variato, o non P hanno avuto sino al secolo di Luigi XIV, e lo variano ancora, se son gìusri i lamenti d’alcuni loro moderni più illustri zelatori di quello . Vedete per esempio la celebre ottava delP Ariosto con cui superò forse Catullo nella bellissima similitudine della rosa , e della verginella , e dite se non è tutta italiana in desinenze 3 e ritmo francese, ha d JE l i* Auto La Jeune vierge est semblable à la rosé An beau jardin sur l’ epim na)ve , Tandis que sure & solette repose Sans que troupeau ni berger y arrive , Hait doux réchauffe, & l'aurore P arrose , La terre & Peau par sa faveur Pavvtve ; Mais jeunès gens & dames amoureuses .. i La terre & 1* air qui la souloiem nourrir La quittent lors & la laissent flétrir . Questa era buonissima poesia francese a quel tempo, come ]’ era tutra quella del famoso Maror , che oggi in Francia fa un genere distinto , e burlesco da taluno spregiato, benché da molti eccellenti imitato , coir!« sono il gran Rousseau, Voltaire, e cent’ alrri sotto nome di Marorica poesia. E que* sta pure ha costruzioni, e inversioni, e frasi , e modi alF italiana, o alia latina, se vo- gliam dirlo, come l* han quelle loro ballatef e canzoni, e novelle , per non dir nulla de* furti moltissimi fatti al Petrarca, a! Boccaccio , e a mille nostri scrittori in quelle, quai si trovano sempre discendendo sino a Cornelio, a Molière, a la Fontaine, e a mok’aU tri } e che tanti loro commentatori noti ha» ve¿S Prefazione Veduti , o voluti vedere . Così dite dei so* netti frutti propri all5 Italia, e allora in Francia imitati , e graditi , ed oggi a tal segno quivi spregiati ? che non vi s’intende come Eoileau dicesse valere un buon sonetto quanto m lungo poema , come il pruovano alcuni de’ nostri sol per ciò fatti immortali* Qual però meraviglia se di fatti la lingua moderna siccome il gusto in Francia è in tutto nuovo , c diverso da quell1 antico , se i loro scrittori di dugent1 anni fa sono anticaglie , alle quali è bisogno dar nuova forma per farle gustare alcun poco, e se moiri han quasi tradotti per le ristampe Marot medesimo, Amiot, Pasquier, Montagne per ripurgarli dalle parole antiquate, dalla sintassi creduta barbara, e dalla costruzione tenuta per isrraniera, benché molti al tempo stesso si dolgano del troppo scarso, ed angusto stile moderno, c ridomandino tante parole, ed espressioni ingiustamente abolite , e piene di forza , d’ evidenza , di proprietà , che trovano in quegli antichi, 11 vero sic, che la lingua, e Io stile fran- tese moderno c del pari diverso dall’ antico , che dal nostro volgare, e che quindi è molto pericoloso il voler prendere quella sintassi, e trasportarla in Italia. Io stesso ho sperimentata cotal differenza nelle traduzioni in verso, o in prosa da me publicate, e ho dovuto in tal lavoro tanto sudare per rendere in vero italiano la vera forza, e il vero senso dell’autor francese, quanto e più fatto avrei componendo la cosa più difficile, e più studiata. Dobbiam dunque persuaderci, che nè noi possiam senza pericolo star sull’orme del loro gusto presente tanto diverso dal nostro, nè non ponno essi gustare il nostro stile, massimamente poetico, troppo lontano dall’usato da loro. Basta a provarlo un pò di riflessione leggendo i giudicj de’ francesi in tanti lor libri sopra i nostri autori, anzi solo le citazioni che fanno di questi il più spesso accompagnate di gravissimi errori d’ogni maniera. Credereste, che la famosa ottava sopraccitata, e notissima a chi anche fuori d’Italia gusta le più belle cose de’ nostri autori è creduta del Pastor fido dal giornalista di Bouillon dotto per altro, e stimabilissimo letterato? Mille esempj d’ogni Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/70 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/71 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/72 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/73 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/74 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/75 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/76 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/77 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/78 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/79 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/80 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/81 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/82 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/83 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/84 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/85 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/86 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/87 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/88 Pagina:Bettinelli - Opere edite e inedite, Tomo 1, 1799.djvu/89