Dialogo del reggimento di Firenze/Libro secondo
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LIBRO SECONDO
Parlano e’ medesimi.
Bernardo. Le notte sono si lunghe ed e’ vecchi per l’ordinario dormono si poco, che io ho avuto tempo parecchie ore a rivolgermi per la mente el ragionamento di iersera; e quanto piú vi ho pensato tanto mi paiono piú vere molte cose di quelle che io vi ho detto. Pure perché facilmente potrei ingannarmi, arò piacere d’intendere la opinione vostra, non per disputare se la sará contraria alla mia, perché el disputare non sarebbe altro che generare tedio, conciosiaché questa materia, per quello che è stato detto ieri e per quello che di piú direte voi, resterá illuminata abastanza. Voi avete a ogni modo a desinare qui, però abbiamo tempo assai; non siate piú avari a me che sia stato io a voi: io vi udirò volentieri ed anche, se mi verrá a proposito, vi dimanderò.
Capponi. La opinione nostra vi può essere nota ancor che noi non la diciáno, perché se noi avessimo creduto che la cittá avessi a stare meglio sotto questa grandezza, né Pagolantonio alla morte di Lorenzo arebbe confortato Piero de’ Medici a moderarla, né io poi mi sarei affaticato per cacciarlo. Ognuno di noi aveva avuto delle cose che ci dispiacevano, ma non erano però mortali, né tali che avessimo solo per questo a metterci in tanto pericolo; nel quale è pazzia entrare chi non ha altro fine che lo interesse suo particulare, atteso che el pensare a mutare stati è diffíciliimo a riuscire, e riuscito che è, non ha effetti seco che bastino al particulare di chi gli muta; perché uno solo non può fare questo, e come si ha a fare compagnia con altri, si riscontra el piú delle volte in pazzi o in maligni che non sanno né fare né tacere; e quando bene tu trovassi uomini a proposito, guardate quanto sono pericolose le congiure, ché quello che communemente si cerca in tutte le altre azioni, è piú contrario alle congiure che alcuna altra cosa.
Certo è laudato in ogni azione chi sa governarle in modo che le conduca sicuramente; e nondimeno nelle congiure non si può fare peggio che proporsi questo fine, perché come l’uomo pensa a questo, interpone piú tempo, implica piú uomini e mescola piú cose, che è causa di fare scoprire simili pratiche. Le quali considerate di che natura sono, poi che è piú sicuro cercare di esequirle con pericolo che con sicurtá; credo forse perché la fortuna, sotto el dominio di chi sono queste cose, si sdegni con chi vuole liberarsi troppo dalla potestá sua. Però la facilitá non debbe invitare persona a congiurare, e manco la utilitá propria, perché uno cittadino che per interesse particulare si fa capo di mutare uno stato, mutato che è, non vi truova per sé quasi nulla di quello che ha disegnato, e sanza frutto suo resta in tutta la sua vita obligato a uno perpetuo travaglio, avendo sempre a temere che non risurga lo stato che lui ha mutato, che sarebbe mille volte con piú suo danno che non ha avuto utile nella mutazione.
Però a cacciare Piero non mi mosse altro che el giudicare che fussi utile della cittá, parendomi piú beneficio ed onore suo che la fussi libera, come è stato sempre lo obietto suo, che stare in continua servitú. Né ho veduto insino a ora cosa che mi abbia fatto mutare parere; e se bene lo stato nuovo è venuto piú largo che io non avevo creduto o desiderato, e che io creda essere vero che in questo vivere populare saranno de’ disordini ed almanco non vi sará la liberazione di tutti e’ mali che erano nello altro, nondimeno io ho speranza che col tempo e le occasione molte cose si modereranno tanto, che e’ disordini non resteranno si grandi che non si possino tollerare, e che, pesato e’ difetti dell’uno e dell’altro, sará da amare molto piú questo nuovo; sanza che, come disse Pagolantonio, quando vi fussi disavantaggio, importa tanto lo essere libero, che non si sentono cosí e’ mali di uno governo simile e si sopportano volentieri. E perché le cittá non furono trovate né si conservano per altro fine che per beneficio di quegli che vi abitano, el fondamento di che consiste nella conservazione del bene commune, el quale non può ristrignersi in bene proprio o particulare sanza diminuzione del bene di tutti gli altri, io vi domando quale cosa può essere piú perniziosa o piú contro alla sustanzia di una cittá, che una parte di quella, sanza giustizia, sanza causa, da’ benefici del publico in tutto o in parte essere esclusa ed in consequenzia sentire piú gli incommodi ed e’ pesi che l’altra.
El maggiore vinculo delle cittá e quello che è piú utile e piú necessario, è la benevolenzia de’ cittadini l’uno con l’altro, e come manca questo manca el fondamento della societá civile; ma come una parte si vede sanza giusta causa oppressata dall’altra, bisogna che di necessitá vi nasca uno odio, una malivolenzia inestimabile. Però se Lorenzo e la casa de’ Medici esaltava una parte della cittá ed un’altra ne abbassava, confesso lo faceva per necessitá, perché in tutti gli stati stretti bisogna fare cosi, per fuggire e’ sospetti e per acquistarsi partigiani, ma era uno de’ maggiori mali che potessi fare alla cittá, poi che faceva particulare el bene che doveva essere universale, e concitava lo odio dove arebbe a essere lo amore; né è scusa bastante questa della necessitá, anzi dimostra in contrario, quando per forza constrigne e’ capi a fare male; e questo mancamento non ará el vivere populare, dove non sará rifiutato o battuto nessuno per essere figliuolo di questi e nipote di quegli altri.
Uno de’ frutti principali che si cavi de’ buoni governi, è la sicurtá di sé e delle cose sue ed el poterne disporre a suo modo; e questo come si può avere in uno governo tale dove ti sono impediti e’ parentadi, dove a arbitrio di altri sei soprafatto dalle gravezze, dove nelle controversie civili hai paura che el favore non ti impedisca la giustizia, dove temi, come dice el vulgare proverbio, di sputare in chiesa per non essere condannato, confinato o battuto indebitamente? E quando bene queste cose non si faccino, è misera condizione vedere che sia in potestá di uno farle fare; ne ha mai piena sicurtá chi ha a fondarsi in su la buona voluntá di altri, perché la sicurtá vera è che le cose stiano in modo che l’uno cittadino non possa essere ingiuriato o offeso dall’altro.
Questi mali non nascono in uno governo libero, perché nessuno ti sforza, nessuno ti punisce a torto, e si vedrá forse bene spesso che nelle cose criminali sará assoluto uno che doverrebbe essere punito, ma rarissime volte che sia punito uno che non sia colpevole. E nel civile, quando io non veggo uno si grande che possa comandare e che sia temuto dagli altri, non credo che per favore si abbino a fare torti spessi o notabili. Né è dubio che molti più rimedi avevano e’ facinorosi, che non aranno al presente, perché nel contado non sará la protezione di chi voleva averlo pieno di partigiani, e non basterá la amicizia de’ cittadini particulari, perché se gioverá una volta non gioverá l’altra; e quando pure per e’ rispetti e freddezza de’ magistrati e’ delitti multiplicassino in Firenze, gli uomini gli aranno tanto esosi che saranno necessitati di pensare qualche modo severo di giudicare, che vi provegga.
Non voglio discorrere minutamente tutti e’ particulari, né contrapesare le condizioni de l’uno governo con l’altro; ma perché el fondamento vostro principale pare che sia stato che le cose attenenti alla conservazione ed ampliazione del dominio non saranno mai bene governate come erano a tempo de’ Medici, io credo che sia vero che si vigilavano piú ed esaminavano meglio che non si fará di presente. Ma credo ancora che la necessitá di pensare alla sicurtá propria ed a’ particulari dello stato suo, gli facessi pigliare molti partiti che non erano a proposito a chi non avessi avuto altro fine che el beneficio della cittá, perché bisognava che nel pigliare o lasciare le imprese, nel fare o non fare le amicizie, avessino principalmente considerazione allo interesse suo, e che per questo conto facessino infinite spese e molti andamenti che non confacevano al bene della cittá. La grandezza della quale se bene risultava grandezza loro, pure vi erano certi articuli e punti segreti, dove si fondavano le intelligenzie e dependenzie della tirannide, e bisognava le avvertissino con danno ancora della cittá, la virtú della quale ogni volta che la sia libera, sará piú unita, piú gagliarda e piú sciolta al beneficio suo, né sentirá quelle debolezze e sospetti che di necessitá tenevano in ogni azione ed in ogni deliberazione di guerra e di pace sospeso ed implicato lo stato loro.
Vedete che dal 34 in qua si può dire che non abbiano augumentato niente del nostro dominio; e pure Cosimo, come confessa ognuno, fu savissimo, e Lorenzo anche ha avuto nome di savio, e la cittá doppo lo acquisto di Pisa era cresciuta tanto di riputazione e di potenzia, che ragionevolmente gli era piú facile el crescere che non era stato prima. La causa non può essere stata altra, se non che innanzi a’ Medici tutta la virtú, tutto el nervo della cittá nel maneggio delle cose di fuora, non si adoperava a altro fine che alla grandezza di quella; ed e’ cittadini parendogli fare per sé medesimi, concorrevano piú gagliardamente a aiutare la patria con danari e con tutto quello che potevano; e però augumentorono el dominio, ed in frangenti e pericoli gravissimi difesono molto bene la libertá ed onore loro; dove poi non abbiamo quasi ampliato, ed in ogni guerra mediocre abbiano perduto riputazione e stato. Però io crederrei che se noi areno sorte che questo vivere populare non caschi in una confusione, ma resti pure mediocremente ordinato, che quella diligenzia e vigilanzia continua che mancherá in questo, sará supplita con quegli altri contrapesi, tanto che basterá a conservare almanco quello che ci hanno lasciato e’ padri nostri. E se non si potrá piú, ci sará assai mantenere questo ed avere la cittá libera; che a lei sará molto piú onorevole, ed e’ cittadini ne saranno piú contenti e piú ne goderanno. E certo io posso male credere che questo governo populare ci abbia a conducere in tanto disordine, che noi non siano per conservarci e che e’ difetti che si scoprirranno alla giornata non abbino a essere medicati convenientemente; perché ognuno amerá el bene commune, e questa libertá gustata sará ogni di più amata e tenuta piu cara; e se noi ci voltassimo a armarci, come ha detto Pagolantonio e come giá furono e’ padri nostri, cosa che lo stato de’ Medici non poteva consentire, saremo tanto piú gagliardi. Ma di questo che opinione è la vostra?
Bernardo. Che lo essere armati di arme vostre fussi non solo utile ed el modo di conservarvi, ma ancora el cammino di pervenire a grandezza eccessiva, è cosa tanto manifesta che non accade provarla, e ve lo mostrano gli esempli delle antiche republiche e della vostra ancora, che mentre che fu armata, benché piena di parte e di mille disordini, détte sempre delle busse a’ nostri vicini e gettò e’ fondamenti del dominio che noi abbiáno, mantenendosi secondo e’ tempi e condizione di allora, in sicurtá e riputazione grandissima. E la potenzia e virtú che vi darebbono le arme vostre quando fussino bene ordinate, non solo sarebbe contrapeso pari a’ disordini che io temo che abbi a recare questa larghezza, ma di gran lunga gli avanzerebbe, perché chi ha le arme in mano non è necessitato reggersi tanto in su la vigilanzia ed in su la industria delle pratiche.
Ma se voi mi dimanderete: credi tu che si possa o che si abbi a fare? del potere non è dubio, che cosí lo potremo fare noi ora come lo feciono giá gli antichi nostri e come si è fatto e fa ancora di presente in tante cittá e provincie; ma dubito bene che le difficultá ed impedimenti saranno tanti, che o non si fará, o faccendosi, non si conducerá a tale perfezione che se ne cavi frutto. La cittá nostra, come ognuno sa, fu giá armata e con le arme sue e de’ sudditi suoi faceva le sue imprese, e con esse ebbe molte vittorie e gloriosi successi, di qualitá che la dovevano invitare piú presto a darsi tutta a questo esercizio che a disarmarsi; nondimanco acciò che a torto non sia dato a’ Medici questo carico, molto innanzi che loro fussino grandi, lasciò le arme e cominciò a servirsi nelle guerre di soldati condotti. La cagione di questa mutazione bisognò che nascessi o dalla oppressione che fece el popolo a’ nobili, e’ quali avevano grado e riputazione assai nella milizia, o pure ordinariamente dagli altri che tennono per e’ tempi lo stato, parendo loro poterlo meglio tenere se la cittá era disarmata, o da comminciare el popolo a darsi troppo alle mercatantie ed alle arte e piacere piú e’ guadagni per e’ quali non si metteva in pericolo la persona. Altra causa non so immaginare, ma qualunche fussi, fu deliberazione perniziosissima e che ha piú indebolito questa cittá che cosa che si facessi mai, e per el tempo lungo che la è durata, ha messo gli uomini in uno vivere e fattogli pigliare abiti tanto contrari alle arme, che se uno vostro giovane comincia a andare in su la guerra diventa quasi infame. Però la prima diffícultá che voi aresti a riducere ora la cittá ed e’ paesi nostri alla milizia, sarebbe fare capace allo universale, sanza chi non si può deliberare, che fussi bene fatto; perché una cosa si nuova e tanto contraria al corso del vivere nostro, a qualcuno parrebbe impossibile, a molti pericolosa, a quasi tutti ridicula. E tanto piú che a volere trarne frutto e non danno, bisognerebbe o nel principio o nel fine armare la cittá; altrimenti io non consiglierei armare e’ sudditi con animo di stare sempre disarmati voi, perché sarebbe troppo pericoloso. E se bene forse nel principio gli ordini buoni e la riputazione inveterata del vostro dominio gli tenessi obedienti, crediate che in progresso di tempo si accorgerebbono della sua gagliardia e della vostra debolezza, e volterebbono a offesa vostra quelle arme che voi gli avessi date per offesa di altri. Non vi tireresti adunche el popolo sanza diffícultá, poi che con lui si ha a andare sempre con la persuasione, e che e’ piú non sono capaci della ragione e non cognoscano le cose da lontano.
Ma le diffícultá che seguitano sono di gran lunga maggiori; perché questo ordine, principiato che è, ha bisogno di bollissimo governo, si per tenere gli uomini obedienti acciò che sotto el caldo delle arme non facessino disordine, come per esercitargli ed in molti modi favorire ed augumentare la impresa; la quale ricerca superiori che se ne innamorino e che vi si ponghino a bottega, altrimenti sará una milizia abbozzata, ma sanza fondamento e sanza nerbo, e non ara parte alcuna da potersene servire, anzi potrebbe fare danno se gli uomini la volessino adoperare per buona, prima che la fussi condotta a qualche grado di perfezione. Ora io non so come facilmente riusciranno queste cose in uno stato tale, dove tuttodí si variano gli uomini, e quegli che hanno la cura di una cosa bisogna che abbino mille rispetti, massime avendo alle mani una impresa che da molti è detestata, dagli altri è laudata freddamente, e che e’ frutti suoi non si possono vedere in uno dí, ma in processo di molti anni. In modo che non basta che per una volta sia bene ordinata e bene esercitata, se gli indirizzi suoi buoni non sono continui; anzi non si potendo vedere cosí presto el bene che la può fare, andrá col tempo perdendo nella opinione degli uomini piú che acquistando, perché le persone ignoranti considerano piú le cose a dí per dí che altrimenti, e sará sottoposta a infinite varietá, e se per sorte ne’ princípi suoi avessi qualche sinistro, sará impossibile poterla piú sostenere nella opinione di chi non sa. Però ancor che la cosa in sé fussi utilissima sopra ogni altra che si potessi immaginare, pure poi che non si può conducere sanza diligenzia e governo ottimo, lungo e continuo, io dubito che non tanto per la natura di se stessa, quanto per la negligenzia ed incapacitá degli uomini, sarebbe grandissima difficultá tirarla a segno che riuscissi buona. Né mi allegate e’romani, appresso a’quali in uno vivere populare e tumultuoso fiorí tanto la disciplina militare, perché la nacque e crebbe sotto e’ re, e quando la cittá si liberò, non fu difficile né nuovo continuare in quella arte nella quale era giá nutrita centinaia di anni e che si può dire che allora fussi uno esercizio commune, perché tutti e’ populi di Italia erano armati.
Né per questo sarei alieno dal farne la pruova, perché ogni volta che si facessi in modo che per disubidienzia non si avessi a disordinare, quando bene el resto non riuscissi, non si sarebbe perso niente. E forse la fortuna della cittá, se la non è al tutto spenta, ve la faciliterebbe piú che l’uomo non pensa, pure che come ho detto la si ordinassi in modo che si potessi stare sicuro che la non avessi a essere causa di disordinare; il che non sarebbe difficile, pur che si avessi rispetto a introducerla, massime in Firenze, in tempo che lussi a proposito; altrimenti chi non gli facessi questo fondamento fermo, sarebbe uno tentare di volere provare tutti e’ mali che uno modo simile può fare, sanza avere speranza di sentire alcuno de’ beni. Ma ritorniamo, se vi pare, a’ ragionamenti di prima, ne’ quali, come io dissi poco fa, io voglio stare a udire e non contradire.
Soderini. A me occorre piú confermare quello che Piero Capponi ed io dicemo ieri e ciò che stamani ha detto lui, che aggiugnere. Ed in veritá, come diceva egli, se noi areno sorte di non cadere in una confusione, come io voglio sperare che abbia a essere, e’ ci sará tanto ordine che basterá a conservare lo stato nostro, e le altre cose, a giudicio mio, cioè quelle che attengono al governo di drento, andranno meglio, e ne resterá sanza comparazione piú satisfatto ognuno in ogni grado. E quegli ingegni piú elevati che sentono piú che gli altri el gusto della vera gloria ed onore, aranno occasione e libertá di dimostrare ed esercitare piú le sue virtú. Di che io tengo conto non per satisfare o fomentare la ambizione loro, ma per beneficio della cittá, la quale, se si discorre bene e’ progressi di ogni etá ed antica e moderna, si troverrá che sempre si regge in su la virtú di pochi, perché pochi sono capaci di impresa si alta, che sono quegli che la natura ha dotati di piú ingegno e giudicio che gli altri. E’ quali, se si riscontrano in uno modo di vivere che non gli sia lecito o necessario voltare lo spirito suo a grandezza ed autoritá tirannica, si dirizzano tutti a conseguire la gloria ed onore vero, che consiste totalmente in fare opere generose e laudabili in beneficio ed esaltazione della sua patria ed utilitá degli altri cittadini, non perdonando né a fatica né a pericolo.
Legghinsi bene le istorie de’ greci e de’ romani ed anche le nostre croniche: troverassi che sempre in ogni vivere ordinato, el pondo delle cittá si è posato in su le spalle di questi tali, e’ quali in ogni etá sono stati pochi, né mai le cose grandi e gloriose si sono mosse e condotte per altre mani. Però mi pare che el dare animo e facultá a questi taii di potere esercitare in bene eJ suo valore, sia beneficio al publico; e per contrario danno grande sforzargli a occultare la sua virtú o volgerla in mala parte. Consiste adunche el tutto, se noi areno tanta fortuna o tanto cervello, che questo nuovo governo si temperi in modo che non transcorra in uno caos, il che spero pure che ci abbia a riuscire, e che principalmente Dio amatore delle libertá e poi tanti uomini da bene e prudenti che sono in questa cittá, aiuteranno indirizzarlo a buono cammino; e quando cosí sia, godereno in uno vivere che non fu forse mai cognosciuto in Firenze.
E per dichiarare meglio quello che ho voluto dire altre volte, io credo che al bene essere di una cittá si abbi a considerare non solo che la sia governata giustamente e sanza oppressione di persona ed in modo che gli uomini godino el suo con sicurtá, ma ancora che la abbia uno governo tale che gli dia dignitá e splendore; perché el pensare solo allo utile ed a godersi sicuramente el suo, è piú presto cosa privata che conveniente a uno publico, nel quale si debbe riguardare a l’onore, alla magnificenzia ed alla maiestá, e considerare piú quella generositá ed amplitudine che la utilitá. Perché se bene le cittá furono instituite principalmente per sicurtá di quegli che vi si ridussono e perché avessino le commoditá che ricerca la vita umana, nondimeno si appartiene anche a chi ne ha la cura, pensare di magnificarle ed illustrarle, in modo che gli abitatori acquistino appresso a tutte le nazioni riputazione e fama di essere generosi, ingegnosi, virtuosi e prudenti; perché el fine solo della sicurtá e delle commoditá è conveniente a’ privati considerandogli a uno per uno, ma piú basso e piú abietto assai di quello che debbe essere alla nobilitá di una congregazione di tanti uomini, considerandola tutta insieme. Però dicono gli scrittori che ne’ privati si lauda la umilitá, la parsimonia, la modestia, ma nelle cose publiche si considera la generositá, la magnificenzia e lo splendore.
Dunche quando voi dite che chi ha trattato de’ buoni governi non ha avuto questo obietto che le cittá siano libere, ma pensato a quello che fa migliori effetti, e però quando el governo di uno solo è buono, prepostolo a tutti gli altri come migliore; io crederrei che questo fussi vero, quando da principio si edifica o instituisce una cittá, perché quanto migliore vi si pone el governo, e sia di che spezie vuole, piú si hanno gli effetti e di sicurtá e di commoditá e di onore. Ma quando una cittá è giá stata in libertá ed ha fatta questa professione, in modo che si può dire che el naturale suo sia di essere libera, allora ogni volta che la si riduce sotto el governo di uno, non per sua voluntá o elezione, ma violentata, e cosí si va poi mantenendo, questo non può accadere sanza scurare assai el nome suo ed infamarla appresso agli altri. Perché bisogna che si creda o che quegli cittadini siano dapochi, o che ve ne siano molti cattivi poi che tollerano o favoriscano che la patria a dispetto suo stia sotto el giogo; ed in questo consiste la degnitá della cittá, la quale si conserva, quando si mantiene sotto el governo che piú ama, e si perde, quando sforzata vive sotto quello che non gli piace.
Però ditemi, che vituperio era alla patria nostra che sempre si è chiamata libera ed intra tutte le altre cittá di Italia ha fatto professione speziale di libertá, e per conservazione della quale e’ padri, gli avoli ed altri passati nostri hanno fatto tante spese e sostenuto tanti pericoli, che si intendessi che era ridotta in arbitrio di uno privato cittadino, ed a questo venuta non per volontá sua, ma parte suffocata dalla sua ricchezza, parte dalla forza de’ suoi cagnotti e partigiani! Che vergogna era la nostra quando era publico a tutta Italia, a tutto el mondo che una cittá si nobile, si onorata, si generosa come è stata questa, e che per tutto suole avere el titolo di sottilissimi ingegni, servissi contro a sua volontá e nondimeno fussi ridotta in tanta ignavia e dapocaggine, che non eserciti, non grosse guardie, ma venticinque staffieri la tenessino in servitú! Siena, con tutto che pazza, non serve si dapocamente. Né so che calamitá possi avere una cittá, da quelle estreme in fuori di sacco, di ferro e di fuoco, che sia pari a questa: perdere l’onore, la riputazione e la gloria sua, e lasciarsi vilmente e dapocamente tórre quella degnitá e quello splendore che è costato tanto tesoro, tante vite a acquistare.
Dunche quando voi volendo provare quale era migliore in Firenze, o el governo de’ Medici o questo libero, discorrevi donde nascessino migliori effetti e da questo capitolavi quale fussi migliore, credo che si aveva anche a considerare questa ragione della degnitá ed onore della cittá. E però io confesso che dove gli effetti dell’uno e l’altro governo fussino molto sproporzionati, che si arebbe a fare el giudicio secondo e’ fondamenti vostri; ma dove nelle altre cose non fussino molto diversi, mi pare che questa ragione pesi tanto, che sempre chiamerei el governo libero migliore sanza comparazione in Firenze, dove è amato e quello delli stati stretti odiato. Ma sarebbe pure ragionevole che Piero Guicciardini che insino a ora non ha fatto altro che dimandare, dicessi el parere suo, il che ancora che a me fussi gratissimo, credo non sarebbe manco a voi.
Guicciardini. Quando sará finito tutto quello che nel principio del ragionamento nostro fu proposto, io per satisfarvi dirò volentieri quanto mi occorrerá; ma mi pare che ora sia meglio seguitare el cammino comminciato, che perdere tempo sanza utilitá, massime che io credo che sia detto tutto quello che si può dire di bene e di male de l’uno governo e dell’altro, o almanco quello che importa piú. E per quanto ho compreso, Bernardo confessa che nel governo de’ Medici erano molti difetti, ed ha considerato che molti ne saranno in questo altro, e credo che voi non ne neghiate una buona parte; e cosí credo non si disputi quale di questi dua governi sia migliore, ma quale sia el manco cattivo. Resta adunche ricercare, e cosí fu detto nel principio, quale sarebbe buono governo per questa cittá, e dichiarato che sia questo, che tocca a Bernardo che allora ne fu pregato ed accettò la impresa e se gli conviene per ogni conto, sará finito el nostro ragionamento con grandissima utilitá, poi che non solo areno cognosciuto che questo e quello è male, ma ancora quale sarebbe bene. Però, Bernardo, noi aspettiamo tutti che voi mettiate mano a questo.
Soderini. E cosí è vero.
Capponi. E tutti ve ne preghiamo.
Bernardo. Io perdei la vergogna quando io accettai di cominciare a ragionare, però non mi resta ora scusa che sia buona. Ed a dirvi el vero, se bene questo peso è troppo grave alle mie spalle, el piacere grande che io ho che voi abbiate cagione di stare meco piú lungamente, me lo fa parere piú leggiere.
Come si disse nel principio, e’ filosofi vogliono, e la ragione naturale lo conferma, che el governo di uno quando è buono, sia migliore di tutti, e lo chiamano buono quando voluntariamente è preposto a tutti quello che è piú atto a governare, cosa che a’ tempi nostri si può piú facilmente desiderare che sperare; perché communemente e’ principati e le grandezze moderne sono nate o per disordine o per arme o per favore di fazione, co’ quali modi non si è atteso a eleggere chi è migliore o chi merita piú, ma in chi è concorso piú la fortuna o e’ mezzi; ed essendo eletto o per errore o per violenzia o per corruttela, non può numerarsi tra’ governi che sono laudati, ma di necessitá inclinano al tirannico; e se niente di buono è nel primo, nessuno può promettersi che continuino e’ successori, perché le successioni non sono per elezione, ma per prossimitá. Però lasciando per ora andare, perché non è necessario al parlare nostro, quale governo io laudassi piú in una cittá che si creassi ora, ed in una cittá o provincia che fussi lunghissimo tempo e tale che non avessi memoria in contrario, stata sotto principi, dico che in una cittá che naturalmente appetisca la libertá ed ami la equalitá come la nostra, che se si parlassi in comparazione di qualche altro governo, potrebbe essere che fussi da preponere quello di uno come manco malo. Ma dove si parli in genere della natura de’ governi, io non sarei mai di quelli che lo eleggessi, perché poi che la cittá è cosí condizionata, non vi può stare el governo di uno solo che non sia fondato piú in su la forza che in su lo amore, ed ogni stato che ha del violento non può essere che di necessitá non abbia seco di molti mali nelle cose sustanziali; e noi ragionevolmente dobbiano cercare di uno governo che possa essere tutto buono o almanco nelle cose piú importanti, e non di uno che bisogni che sia cattivo. Di poi la congregazione di tanti abitatori, dalla quale si constituiscono le cittá, fu trovata perché avessino, oltre alla sicurtá, quella felicitá che si può avere nella vita umana, e questa non può essere dove el governo è alieno dalla volontá loro, anzi bisogna che in tale caso si trovino pieni di mala contentezza e di infelicitá.
Doppo el governo di uno, è lodato in secondo luogo quello di pochi, quando sono e’ migliori, e però si chiamono ottimati; governo che a giudicio mio in ogni luogo ha molte difficultá a essere buono, ma a Firenze sopra tutti gli altri, perché da l’una casa a l’altra non è tanto eccesso, né ci sono qualitá si rilevate, che questa distinzione possi farsi se non per forza. La equalitá ci è naturale e contrarissimo el vedere tanti capi; sanza che, per infinite cagioni nascerebbono tra loro emulazioni e discordie, e sarebbe impossibile che non si riducessino presto con disordine o in una tirannide o in una licenzia populare; in modo che io reputo che questo degli ottimati sia el peggiore governo che possa avere la nostra cittá, peggiore ancora che quello di uno, perché arebbe come quello tutti e’ mali che procedano da essere el governo violento, e di piú quegli che nascono dalle dissensioni e discordie civili. E può facilmente accadere che el capo dello stato, quando è solo, sia di natura che non faccia altri mali che quegli a che lo induce la necessitá; ma tra questi ottimati è impossibile non siano di quegli che alla necessitá aggiunghino molti di quegli mali che gli uomini fanno per volontá, e massime circa la rapacitá.
Resta adunche pensare al governo populare, el quale poi che è proprio e naturale, si può sperare che si ordini in modo che sia buono, massime che con tutte le tirannide e stati stretti che a’ tempi passati ha avuti questa cittá, non è mai stato spento quello che suole essere el fondamento delle libertá, anzi è conservato non altrimenti che se la cittá fussi stata sempre libera; e questo è la equalitá de’ cittadini, che è el subietto proprio atto a ricevere la libertá. Ma come si avessi a ordinare e fondare bene uno governo populare, non sarebbe forse difficile el trovare, perché ne seno pieni e’ libri antichi di uomini eccellenti che si sono affaticati a scrivere de’ governi, e ci è la notizia degli ordini e delle leggi che hanno avute molte republiche, tra le quali tutte o si potrebbe imitare el migliore, o di ciascuno quelle parte che fussino piu notabili e piú belle. E certo chi avessi a dare di nuovo forma a una cittá che nascessi ora, o ne avessi nelle mani una disposta a ricevere ogni ordine che se gli dessi, o se si parlassi per mostrare solo di avere notizia ed intelligenzia delle cose civili, io crederrei che la resoluzione vera di uno buono governo si avessi a cavare de’ luoghi sopra detti, e che troppo arrogassi a sé medesimo chi partissi da quegli.
Ma io non so se a noi è a proposito el procedere cosi, perché non parliamo per ostentazione e vanamente, ma con speranza che el parlare nostro possa ancora essere di qualche frutto, né parliamo di ordinare una cittá che sia per ricevere gli ordini che gli fussino dati, ma che bisogna che si conducili al bene suo con le persuasioni. E però non abbiamo a cercare di uno governo immaginato e che sia piú facile a apparire in su’ libri che in pratica, come fu forse la republica di Platone; ma considerato la natura, la qualitá, le condizioni, la inclinazione, e per strignere tutte queste cose in una parola, gli umori della cittá e de’ cittadini, cercare di uno governo che non siamo sanza speranza che pure si potessi persuadere ed introducere, e che introdotto, si potessi secondo el gusto nostro comportare e conservare, seguitando in questo lo esemplo de’ medici che, se bene sono piú liberi che non siamo noi, perché agli infermi possono dare tutte le medicine che pare loro, non gli danno però tutte quelle che in sé sono buone e lodate, ma quelle che lo infermo secondo la complessione sua ed altri accidenti è atto a sopportare.
Molti ordini sarebbono buoni e forse necessari in uno governo populare, che o a Firenze non si persuaderebbono, o persuasi non durerebbono molto; né per questo, se bene non si può conseguire tutto quello che l’uomo cognosce che sarebbe bene, si debbe però o gettare via el tempo che si può spendere utilmente, in cercare uno governo che non possi ottenersi, o lasciare di affaticarsi per introducerne uno che abbia parte di quello che è da desiderare poi che non si può avere tutto. Si ha in somma a considerare quello che verisimilmente può appiccarsi ed a quello attendere, né pensare tanto a tutto el bene che sarebbe bene fare, quanto a quello che sia da sperare di potere fare.
Io ho ragionato di sopra lungamente de’ difetti che io temo in questo vostro governo, né lo ho fatto tanto per dirne male e detestarlo, quanto per mostrare che, ancora che la libertá sia gratissima alla cittá, che non basta avere introdotto uno stato libero, perché e sotto quello possono nascere molti errori e disordini, ma bisogna sia ordinato di sorte che si sentino e’ frutti della libertá, altrimenti el nome sará buono e piacevole, ma gli effetti molto spesso simili a quegli del tiranno. Perché ed uno popolo quando col suo governo usurpa e soprafá altri, quando toglie a chi debbe dare, quando dá a chi debbe tórre, quando indebitamente travaglia e perseguita chi sarebbe ragionevole che potessi stare sicuro, quando si lascia conducere dal sospetto a passare e’ termini della giustizia, quando, dico, uno popolo fa queste cose e molte altre che si fanno ogni volta che si parte dal debito mezzo e cade in troppa licenzia, allora, dico, uno popolo non è né si può piú chiamare conservatore della patria, ma inimico e destruttore; non subietto e fondamento piú di libertá, ma tiranno, e tiranno tanto piú pestifero che quegli che fanno professione della tirannide, quanto gli uomini, per la dolcezza del suo nome e per el titolo che ha di libertá, che non vuole dire altro che giustizia ed equalitá, si lasciono piú facilmente ingannare da lui.
Però si ha a attendere non solo che el governo sia populare, ma ancora che sia bene ordinato, e per questo ho io discorso e’ difetti di che io ho paura, per dare occasione di pensare a ricorreggergli. E’ quali principalmente sono, che le cose importanti verranno in mano di chi non saprá deliberarle né governarle, e però che la cittá sará male consigliata e male governata; donde e quello che appartiene a conservare ed accrescere el dominio andrá male, non vi essendo massime chi abbia cura delle faccende ed uno timone fermo che le indirizzi, e le cose della giustizia non andranno bene, parte per la insufficienzia di chi vi sará proposto, parte perché l’uno ará rispetto a l’altro rion vedendo uno capo fermo che lo possa difendere, e le passioni ed affezioni de’ suoi potranno assai, perché la autoritá e riverenzia di ognuno sará piccola e del giudicio del popolo non si terrá molto conto, vedendolo di poca distinzione, di poco pensiero e di poca memoria.
Questi sono e’ difetti principali, a’ quali chi medicassi, arebbe medicato alla maggiore e piú importante parte de’ disordini che possono nascere; ma è difficile trovare la medicina appropriata, perché bisogna sia in modo che medicando lo stomaco non si offenda el capo, cioè provedervi di sorte che non si alteri la sustanzialitá del governo populare che è la libertá, e che per levare le deliberazioni di momento di mano di chi non le intende, non si dia tanta autoritá a alcuno particulare, che si caggia o si avii in una spezie di tirannide. E chi acconciassi bene le cose in su questi fini, arebbe fatta la maggiore parte di quello che bisogna; e se a ordinarle non si può pigliare perfettamente el mezzo, ma bisogni inclinare qualche poco in uno degli estremi, minore errore sará lasciare le cose con qualche piú imperfezione, che per volere farle troppo perfette, metterle in pericolo di tornare alla tirannide.
El fondamento principale adunche, e la anima del governo populare, è come avete fatto voi, el consiglio grande, cioè uno consiglio universale di tutti quegli che secondo gli ordini nostri sono abili a avere gli offici della cittá, e che hanno la etá legitima di intervenirvi che debbe essere da’ 24 anni in su; e questo consiglio ha a essere distributore di tutti gli uffici, onori e degnitá, eccetti quegli pochi che, come si dirá, ne sará per giusta cagione data autoritá a altri, e di piú tutte le legge di qualunche sorte hanno a avere la perfezione sua finale in questo consiglio grande, el quale in effetto ha a tenere nella cittá el luogo e la autoritá del principe, e da lui arebbe a nascere la deliberazione di qualunche cosa, se avessi la capacitá. Ma perché, come voi vedete, vi ha a intervenire ognuno, oltre alla difficultá che si arebbe a convocarlo a ogni ora se avessi a deliberare ogni cosa, non possono le cose gravi essere consultate con questo, perché non potrebbono essere segrete, non preste, non bene esaminate, non bene intese. Vedete che nelle republiche antiche di Roma e di Grecia, el portare le deliberazioni importanti a questo consiglio, che gli antichi chiamavano conzione, causava molti tumulti e causò spesso di grandissime ruine.
Non bisogna mettere la salute dello infermo in mano di medico imperito, né in mano del popolo, per la incapacitá sua, consulta o deliberazione di sorte alcuna, eccetto quelle che se si levassino di mano sua, non sarebbe sicura la libertá. Però allo intento nostro basta che el consiglio grande, che non è altro che el popolo, abbia queste condizioni: che in uno medesimo modo vi intervenga ognuno abile agli uffici, cioè che è membro della cittá, perché cosí areno la equalitá che è el primo fondamento di conservare la libertá; che distribuisca le degnitá ed uffici tutti o quasi tutti, perché non resterá a alcuno privato o alcuna setta che si facessi, facultá di dare gli onori ed utili, cosí non potrá persona per questa via farsi grande, e nessuno ara causa di aderirsi a alcuno privato, poi che da lui potrá ricevere poco onore e poco utile; che non si possa fare legge nuove né alterare le vecchie sanza la approvazione di questo consiglio: non dico deliberazione ma approvazione, perché el fare delle leggi nuove o correggere le vecchie ha a essere deliberato in consigli piú stretti, né ha a venire innanzi al popolo per via di consulta o di disputa, atteso, come piú volte ho detto, la sua incapacitá; ma non si ha giá a potere fare queste cose se anche lui non vi consente, perché cosí si raffrenano molte cupiditá particolari, e non si potendo introducere in una cittá libera nuova forma di governo se non o con le leggi o con le arme, resterá serrata la via di fare mutazione per mezzo delle leggi, ed a quella della forza si fará anche la sua provisione.
Posto el consiglio grande che, come è detto, è fondamento della libertá e del vivere populare, resta pensare a tre cose: alla amministrazione della giustizia; alla guardia della libertá, benché si può quasi dire che questa venga sotto quella, cioè che ci sia qualche modo vivo ed espedito di reprimere chi machinassi contra lo stato; ed al modo di deliberare le cose importanti cosí di fuora come di drento.
E certo se le cittá si potessino reggere con la larghezza e col fare che ognuno participassi in uno modo medesimo delle faccende e degli onori, e che e’ magistrati ed autoritá girassino di tempo in tempo parimente in ognuno, sarebbe forse governo ingiusto, non vi si faccendo distinzione delle virtú e delle qualitá degli uomini, pure sarebbe dilettevole alla maggiore parte, ed almanco leverebbe forse la ambizione. Ma perché questo non si può fare, non essendo gli uomini tutti atti a governare, anzi avendo bisogno quasi tutti di essere governati, però è necessario pensare che le deliberazione importanti si ristringhino in minore numero, e perché lo scambiare spesso e’ magistrati è cosa necessaria e sustanziale alla libertá, e da altro canto quando gli uomini sono proposti a una cura per poco tempo, la stracurano e non vi usano la diligenzia debita, in modo che le cose importanti (che si può dire che quelle che attengono al governo di una cittá siano tutte importanti) che hanno bisogno di diligenzia e pensiero assiduo, cosí stracurate e neglette se ne vanno in ruina. Però a me pare che a questo punto abbino provisto meglio e’ viniziani che facessi mai forse alcuna republica, con lo eleggere uno doge perpetuo, el quale è legato dagli ordini loro in modo che non è pericoloso alla libertá, e nondimanco, per stare quivi fermo né avere altra cura che questa, ha pensiero alle cose, è informato delle faccende, e se bene non ha autoritá di deliberarle, perché questo sarebbe pericoloso alla libertá, vi è pure uno capo a chi riferirle e che sempre a’ tempi suoi le propone e le indirizza.
Con questo esemplo eleggerei io uno gonfaloniere a vita, legandolo come si dirá nel processo del ragionamento, acciò che non potessi occupare la libertá, o attribuirsi tanta autoritá che ragionevolmente fussi molesta agli altri; e questo, insieme con gli altri ordini che si diranno, basterebbe a fuggire e’ disordini causati dalla spessa variazione degli altri magistrati, e’ quali si continuerebbe di scambiare come si fa ora, perché, come ho detto, è el fondamento della libertá. Altrimenti se voi vi riducessi a fare signorie, dieci, otto o altri magistrati importanti di autoritá perpetua o per tempo molto lungo, aprirresti la via alla tirannide, ed almanco la grandezza di quegli, se bene non levassino el consiglio, sarebbe tale che non potrebbe ragionevolmente piacere in una libertá; e se non faccendo gonfaloniere a vita, si scambiassi spesso ogni cosa come si fa ora, che el gonfaloniere e signori stanno solo dua mesi, gli otto quattro, ed e’ dieci sei, le cose grande andrebbono sanza ordine ed a caso, in modo che presto si andrebbe in ruina, perché ognuno che è in magistrato non pensa se non al tempo suo, anzi come si accosta alla fine, commincia a non vi pensare, e nel principio è qualche di come uno ucello nuovo. E però ci bisogna uno padrone, non dico che sia signore e che domini, ma che per stare fermo abbia a avere alle cose della cittá quella cura e pensiero che hanno e’ padroni alle cose proprie, e per dire forse meglio, sia come uno fattore amorevole e fedele. E’ romani ed e’ lacedemòni pensorono a questo, ma a giudicio mio non ci provederono bene come hanno fatto e’ viniziani; però e’ lacedemòni feciono e’ re che erano perpetui ed andavano per successione nella medesima famiglia, e ne creorono dua; e’ romani eleggevano e’ consuli che erano dua e duravano uno anno, che è tempo troppo brieve allo effetto che io ho detto di sopra.
Guicciardini. Pensavo ancora io a’ lacedemòni ed a’ romani, e se l’ordine loro fu meglio considerato che quello de’ viniziani; e lasciata da canto la successione che in noi non ha a avere luogo e la quale anche gli spartani non arebbono introdotta, se da principio la republica loro fussi stata libera, dico che forse è a proposito che questa potestá perpetua o piú lunga che l’ordinario sia in piú di uno solo come era in tutte dua quelle republiche, perché uno solo sarebbe piú sciolto a inachinare contra la libertá, ma essendo dua, l’uno vegghierá l’altro e sará la difesa contra l’altro. Ed appresso, o sia uno o siano piú, questa potestá perpetua potrebbe essere molto pericolosa, e però, seguitando lo esemplo de’ romani, sarebbe forse meglio che questo gonfaloniere non durassi piú che uno anno, che pure è tempo notabile, ma non si lungo che sia si pericoloso; e non avendo a passare uno anno, si potrebbe piú sicuramente contentarsi che questa autoritá fussi in uno solo e non in dua. Di poi se pure la elezione cadessi in una persona non sufficiente, come può facilmente accadere, arebbe fine qualche volta; che se si avessi a aspettare la morte, potrebbe importare troppo lo stare si lungamente con uno capo che non fussi a proposito. Ci si aggiugne che e’ nostri cittadini principali sono pure usi a avere questo pasto di avere la degnitá del gonfaloniere di giustizia, la quale faccendo ora a vita, si può dire che per loro sia spenta, e non gli resta grado alcuno notabile da satisfargli, dove faccendolo per uno anno verrá pure ancora a girare in qualche numero. E se bene e’ viniziani l’hanno usata a vita ed è stato modo utile per la republica sua, sono tra noi e loro molte diversitá, perché el governo loro non è governo meramente populare, ma piú presto di nobili o di ottimati, ed el sito di Vinegia, dove non possono correre e’ cavalli ed empiersi cosí facilmente di forestieri come noi, gli difende dalla ambizione de’ dogi e di tutti quegli che aspirassino alla tirannide.
Bernardo. Queste sono considerazioni belle e che importano e ricercano buone esamine, e però io ne dirò el parere mio forse piú lungamente che el tempo non patisce; e perché el modo di questo gonfaloniere a vita io l’ho imparato da’ viniziani, ragioneremo prima se el governo loro può avere tale conformitá con gli altri governi liberi e spezialmente col nostro, che l’uomo possa valersi di quegli esempli; di poi se el modo loro circa a questo capo sia migliore che quegli de’ romani e degli spartani.
A me pare che el governo viniziano per una cittá disarmata sia cosí bello come forse mai avessi alcuna republica libera; ed oltre che lo mostra la esperienzia, perché essendo durato giá centinaia di anni florido ed unito come ognuno sa, non si può attribuire alla fortuna o al caso, lo mostrano ancora molte ragioni che appariranno meglio nel ragionare di tutta questa materia. E se bene ha nome diverso da quello che vogliamo fare noi, perché si chiama governo di gentiluomini ed el nostro si chiamerá di popolo, non per questo è di spezie diversa, perché non è altro che uno governo nel quale intervengono universalmente tutti quegli che sono abili agli uffici, né vi si fa distinzione o per ricchezza o per stiatte, come si fa quando governano gli ottimati, ma sono ammessi equalmente tutti a ogni cosa, e di numero sono molti e forse piú che siano e’ nostri; e se la plebe non vi participa, la non participa anche a noi, perché infiniti artefici, abitatori nuovi ed altri simili, non entrano nel nostro consiglio. Ed ancora che a Vinegia gli inabili siano abilitati con piú difficultá agli uffici che non si fa a noi, questo non nasce perché la spezie del governo sia diversa, ma perchè in una spezie medesima hanno ordini diversi; perché sta molto bene insieme che el governo sia medesimo e non siano sempre gli ordini medesimi, come si può considerare infiniti particulari loro. Hanno saputo tenere in questo in riputazione el suo reggimento, ed anche sono stati magnifici in porre nome a’ suoi cittadini, in modo che se bene quegli che loro chiamono gentiluomini non siano altro che cittadini privati, el nome pure abbaglia chi ode e gli fa parere maggiore cosa che cittadini; e però se noi chiamassimo gentiluomini e’ nostri, e questo nome appresso a noi non si dessi se non a chi è abile agli uffici, troveresti che el governo di Vinegia è populare come el nostro e che el nostro non è manco governo di ottimati che sia el loro. Pagolantonio è stato dua volte imbasciadore a Vinegia, e credo dirá el medesimo che dico io.
Soderini. Tutto è verissimo; e se bene universalmente sono piú ricchi che noi, pure vi sono ancora molti poveri, ed al governo non sono ammessi piú e’ ricchi che gli altri; né nasce la ricchezza loro dalla diversitá del governo, ma dalla grandezza del dominio e dalla amplitudine ed opportunitá della cittá.
Bernardo. Séguita l’altra abusione molto vulgata che la unione loro sia causata dal sito, el quale io confesso che è molto a proposito per conservare la cittá dalle guerre e da e’ principi forestieri; però fu posta dove è, da quelli che vollono fuggire le inundazione de’ barbari; ma a tenerla sanza sedizione civile credo che importi poco o niente. Però si legge nelle istorie loro che ne’ primi tempi della republica, innanzi che fussi fermo el governo, ebbono tra loro molte discordie e vennono spesso alle arme, e pure era el medesimo sito che ora; e ne’ tempi sequenti non è mancato dogi ed altri che abbino aspirato alla tirannide, ma per gli ordini buoni del governo sono stati oppressi presto.
Difficilmente può uno cittadino privato, anzi è quasi impossibile, riducere una cittá libera in servitú, se non ha seco parte de’ cittadini medesimi; e questo con difficultá è potuto essere quivi, perché el governo è ordinariamente amato da quelli che ne participano, e gli ordini vi sono vivi e bene intesi da opprimere presto qualunche comminci a surgere a questa via. E queste sono le cagioni della concordia loro, non la difficultá di conducervi e’ cavalli, perché a mutare gli stati sono cosí buoni e’ fanti come e’ cavalli, e questi si possono conducere a Vinegia come negli altri luoghi e forse con piú commoditá, perché almanco a mettergli drento o di di o di notte non bisognano le chiave delle porte.
El governo nostro populare è adunche della spezie medesima che quello di Vinegia, e lo essere noi in terra ci debbo fare piú temere delle forze degli inimici forestieri, ma non giá disperare di poterlo ordinare in modo che ci conserviamo sanza sedizione civile. E però ritornando al proposito nostro, a me piace piú uno gonfaloniere a vita o per lungo tempo, che dua o che maggiore numero; perché se mettiamo numero di molti in lunga autoritá apriamo la via alla tirannide, e perché el governo nostro ha a essere ordinato e disposto in modo che non abbiamo a temere di uno gonfaloniere, el quale se sará solo sará piú sciolto a fare el bene per che si elegge; essendo dua, sará facilmente contesa ed emulazione tra loro, di sorte che faranno piú danno alla cittá con le dissensioni, che utile con la diligenzia. E se avessino occasione di volgere lo animo alla tirannide, farebbono forse peggio dua che uno, perché essendo uniti arebbono piú forze e piú seguito.
A Roma e’ dieci eletti per fare le leggi, ancora che fussino dieci, si unirono a occupare la libertá, cosa a che, insino che la republica non fu corrotta, non pensò mai uno dittatore. A’ tempi degli avoli nostri, gli otto della guerra furono molto bene d’accordo a nutrire la guerra contro alla Chiesa per perpetuare el suo magistrato. Né ci muova lo esemplo de’ romani e spartani, perchè secondo che io credo, non el sospetto della tirannide, ma parte la necessitá, parte la utilitá gli mosse a farne dua. La necessitá, perché secondo gli ordini loro e’ re ed e’ consuli avevano autoritá da sé soli di fare molte cose sanza compagnia di altri magistrati o di consigli, e per questo forse tale autoritá si fidava meglio a dua che a uno; ma a’ viniziani el doge, a noi el gonfaloniere non ha da sé solo autoritá alcuna, né è altro che uno proposto o priore della signoria, e però non potendo fare niente sanza gli altri, non bisogna dargli altra compagnia che quella che ha. La utilitá credo che fussi perché secondo gli ordini di quelle cittá toccava a loro andare nelle espedizioni e guidare gli eserciti; e non si potendo mai abbandonare el governo di drento, pensorono che avendone dua, l’uno potrebbe andare alla guerra, l’altro restare nella cittá; però quando le espedizione non erano importantissime, o quando non avevano piú che una guerra, l’uno restava drento, l’altro andava fuora; se avevano piú guerre uscivano tutti dua a diverse imprese; e cosí questo numero duplicato serviva non a guardare o a vegghiare l’uno l’altro, ma a potere in uno tempo essere in piú luoghi. E fu questo numero sempre utile quando stettono separati, spesso pernizioso quando stettono insieme o drento o fuora per e’ dispareri che nacquono tra loro, donde ne ruinorono qualche volta le sue imprese e se ne perderono spesso bellissime occasioni. A noi non accade farne dua poi che e’ nostri, oltre allo avere la autoritá piú limitata, hanno a stare fermi in Palazzo, dove uno solo fará bene assai, ma essendo dua faranno peggio l’uno per l’altro.
Hassi ora a considerare che sia meglio, o farlo a vita o per uno anno, che è cosa che ha piú difficultá per tre ragioni che ha tocco Piero Guicciardini: cioè per satisfare a piú uomini di qualitá, perché essendo a tempo ará manco modo di opprimere la libertá quando pure gli venissi voglia di farlo, e perché se sará eletto uno insufficiente non terrá si lungamente affogata la cittá. Nondimanco io mi risolverei piú presto a farlo a vita, perché faccendolo a tempo e massime non piú che per uno anno, se ne trarrá poco frutto a comparazione di quello che si desidera, perché è tempo molto brieve e prima finito che le cose siano condotte a porto. Non avete voi letto in Livio che quelli consuli e senatori romani si lamentavono che per la brevitá del consulato che durava uno anno, si perdevano molte occasioni? Non vedete voi che come sará passato sei o otto mesi dello officio suo, egli medesimo pensando alla fine cominincerá a stracurare le cose ed a lasciarle andare volentieri al successore? E se si manterrá pur vigilante e sollecito, non sará dagli altri che aranno a concorrere alle espedizioni delle cose stimato quanto bisognerebbe. Però se io lo avessi a fare a tempo non lo eleggerei per manco di tre anni, ma piú mi piace el perpetuo, perché oltre che la lunghezza del tempo lo fará piú pratico e piú utile alla cittá, ed essendo prudente e cognosciuto amatore della libertá, diventerá come una maiestá ed uno oraculo (che è quella cosa che ne fará cavare frutto grandissimo), avete a pensare che avendo a stare a vita, fermerá lo animo, né ará cagione di pensare a volersi perpetuare co’ modi estraordinari, né di temere el ritorno alla vita privata, e quello che io stimo piú, sará piú gagliardo a opporsi a chi volessi alterare el governo, a chi soprafacessi troppo gli altri o fussi perturbatore della pace e concordia civile; il che non farebbe nessuno o pochi che sapessino el magistrato suo avere a finire, e finito el tempo suo, potere essere esposto al giudicio o alle pazzie di chi avessi offeso. E poi che questa è una delle utilitá importanti che si ha a cavare di uno gonfaloniere, non vorrei tórmela; e per le ragioni medesime non mi piacerebbe anche che si creassi per tempo, con speranza di potere essere raffermo; sanza che, dubiterei che per desiderio di ottenerlo, non si governassi piú secondo le opinioni che danno favore, che secondo la ragione delle cose, ed in effetto vivessi piú con modi ambiziosi che convenienti a chi si truova in tanto grado, quale debbe essere pieno di gravitá e spogliato di ogni passione e pensiere particulare.
Né mi muove el pericolo che Piero teme dalla perpetuitá, perché fo fondamento negli ordini buoni e nello essere limitata la sua autoritá ed accompagnata sempre. Anzi se fussi da temere di questo, temerei piú di uno annuale o di tre anni, perché la voglia di perpetuarsi nella grandezza lo potrebbe fare pensare alle cose estraordinarie alle quali non penserá el perpetuo se non ará lo stomaco bene guasto; non si potendo, chi lo considera bene, immaginare a mio giudicio piú bello, piú sicuro e piú degno grado nella sua patria, da anteporre, se io non mi inganno, di gran lunga alle tirannide ed a’ principati. Spero ancora che ponendo buono modo alla elezione di questo gonfaloniere, sará sempre eletto se non el piú sufficiente che sia nella cittá, ma almanco uno di dua o tre piú sufficienti; e questo basterá assai, perché non ará a deliberare o governare lui solo, ma la cittá si reggerá col consiglio de’ piú savi, in modo che la sua lunga vita non sará mai causa della ruina nostra. E se pure la sorte cadrá in qualcuno che non sia a proposito, ci saranno delle vie a rimoverlo, come di sotto si dirá, e si ordineranno in modo che si potranno usare sanza scandolo e sanza aprire la porta a novitá e sedizioni.
Che si togga questo pasto a’ cittadini principali, io ne fo poco conto, massime se con la elezione del gonfaloniere si ordinerá bene el resto del governo; perché quando questa dignitá di dua mesi in dua mesi sará levata via, non sará carico o diminuzione alcuna a chi non la ará, e ci saranno altri modi ed altre dignitá da onorare gli uomini, a’ quali non dá tanto riputazione lo avere gli onori principali, quanto el portarsi in quegli eccellentemente e dimostrarsi buoni e d’assai. Però chi si porterá bene imbasciadore, commessario, ne’ dieci e negli altri magistrati che saranno capi delle faccende principali; chi nelle ringhiere, nelle consulte dará buono conto di sé, questo onorerá sé e la casa sua ed ará molto piú credito e riputazione che se fussi stato gonfaloniere. Vedetene lo esemplo a Vinegia dove el doge sta a vita, e pure e’ cittadini vi sono onorati e riputati. Però in effetto io non partirei dal farlo a vita, e mi ci conferma ancora, benché sanza questo sarei della medesima opinione, che io considero essere molto utile alla cittá che sia proposto uno grado eccelso dove gli uomini si abbino a sforzare di arrivare mediante le virtú ed e’ portamenti egregi e lo affaticarsi e mettersi, quando bisogni, in pericolo per la patria. Perché oltre che a’ simili non ci è altro piú degno premio che questo, si fa benefício singulare alla cittá a accendere ed infiammare gii uomini generosi e di spirito grande a farsi gloriosi con le operazioni degne e rare; al che nelle persone da bene fa assai la bontá della natura e lo amore della patria, pure la speranza di una tale esaltazione gii fa piú caldi.
Hanno le cittá libere a non avere per male che’ cittadini sua siano desiderosi della gloria e dello onore, perché questo appetito o volete dire ambizione, è utile perché dá causa agli uomini di pensare e di fare cose generose ed eccelse. Non debbe giá piacere che abbino ardore di grandezza, o per dire meglio di potenzia, perché chi la piglia per idolo, la vuole avere e conservare in qualunche modo; però vediamo che e’ signori e simili che hanno questa per obietto, non hanno freno alcuno, e pure che cosí gli conforti questo rispetto, fanno uno piano della vita e roba degli altri.
Né mi dite che avendo per la lunghezza del tempo a toccare questo grado a pochissimi, che pochi sono quegli che si possono proporre questo fine ed accendersi da questa speranza, e però che la sará di poco frutto operando in pochi, e piú opererebbe quando si facessi uno gonfaloniere per tempo lungo, che toccherebbe a piú e non però a tanti, che e’ cittadini piú virtuosi non avessino causa di accendersi. Perché io replico quello che disse Pagolantonio ed è la veritá, che le cittá benché siano libere, se sono bene ordinate, sono sostentate dal consiglio e dalla virtú di pochi; e se pigliate dieci o quindici anni per volta insieme, troverete che in tale tempo non sono piú che tre o quattro cittadini da chi depende la virtú ed el nervo delle consulte ed azioni piú importanti. Né troverete che appresso a’ romani e greci ed ogni nazione sia mai stato altrimenti, perché le pietre preziose sono rare, gli uomini estraordinari sono rarissimi, e dove sono, bisogna che ordinariamente siano quegli che danno el moto alle cose. Però io non fo tanto conto di riscaldare mediocremente molti, quanto di accendere piú che si possa quegli che sono rari, ed in su le spalle di chi si regge la republica: bastino agli altri le degnitá ordinarie della cittá. A questi sia proposta la speranza di uno grado estraordinario dove pensino di arrivare, non con sètte, non con corruttele, non con violenzia, ma col fare opere egregie, col consumare tutta la sua virtú e vita per beneficio della patria, la quale, poi che ha a ricevere piú utile da questi tali che dagli altri, debbe anche allettargli piú che gli altri.
Ordinato el gonfaloniere a vita, cioè el capo, bisogna ordinare gli altri membri ed avere principalmente avertenzia che siano disposti in modo che lui non possa pigliare troppa autoritá; e però se la materia fussi tale che vi si potessi introducere la forma a suo modo, seguiterei lo esemplo de’ viniziani, di fare che la signoria non risedessi in Palazzo, ma vorrei bene che ancora che la non avessi quella autoritá suprema che hanno secondo gli ordini nostri le sei fave, le quali in effetto possono quello che le vogliono, vorrei però che ne avessino tanta, che el pondo del governo consistessi principalmente in loro, come sarebbe conveniente, essendo loro insieme col gonfaloniere el capo della cittá. La ragione che mi moverebbe a levare loro la residenzia del Palazzo è che questo grado essendo posto cosí in excelsis, accompagnato con tante pompe e con tanto splendore, è riguardato troppo da ognuno, ed ognuno vi ha la mira, in modo che bisogna che gli ordini nostri siano tali che abbia per necessitá a girare quasi in ognuno, perché a Firenze non pare quasi essere uomo a chi non è stato una volta de’ signori. Però vedete che è stato ordinato che el tempo loro non sia piú che dua mesi, che non è si breve in nessuno altro magistrato, e che e’ divieti siano infiniti: tre anni la persona propria, uno anno la casa; da’ collegi sei mesi; non può concorrere con quasi alcuno altro ufficio: tutte cose trovate perché ognuno ne participi. Donde nascerebbe che la potestá del gonfaloniere a vita potrebbe essere maggiore assai che el bisogno, perché essendo uomo di ingegno e con la riputazione che gli dá lo ufficio, e trovandosi capo di uno magistrato che avessi somma o almeno grande autoritá e nel quale la piú parte siano uomini deboli e di poca qualitá, gli riuscirá sempre quello che lui vorrá; e quando in una signoria ará qualche difficultá, che sarebbe rarissime volte, gli succederá l’altra, in modo che potrá sempre conducere quasi tutte le cose a suo proposito. E questo non interverrebbe se de’ signori gli sedessi sempre allato de’ principali e de’ piú savi della cittá, perché questo è el maggiore freno che possa avere uno gonfaloniere a vita, che seco si abbino a trovare a deliberare le cose uomini di cervello e di riputazione; e volendo fare questo, bisognerebbe che la signoria non solo si facessi con le piú fave, ma che ancora si levassino tanti divieti. Questo credo che riuscirebbe difficilmente, mentre la signoria si tiene in Palazzo con tanti onori e tanta maiestá, perché stando quello grado della sorte che è, sará mal volentieri acconsentito uno ordine che questa dignitá giri in pochi; e però per farlo manco risplendere e levarlo cosí degli occhi degli uomini, se si potessi persuaderlo, conforterei a levare a’ signori la residenzia del Palazzo e tanti ornamenti.
Ma perché io non credo che voi ci conducessi el popolo abituato a questo costume, e quando pure con qualche occasione lo persuadessi, dubito che questa memoria starebbe sempre nella testa a chi non è per aggiugnere a maggiore grado, e gli stimulerebbe sempre a attraversare le cose ed a desiderare di rimettere su questo onore; però piglierei questo altro modo, che a la signoria si lasciassi stare la residenzia del Palazzo, gli ornamenti e la pompa che ha di presente, né priverei e’ minori di questo pasto, ma gli limiterei la autoritá che ora ha suprema e la riducerei in grado che né loro, né el gonfaloniere col mezzo loro, potessi essere formidabile a persona; altrimenti aresti sempre pericolo che uno gonfaloniere non si facessi troppo grande. La autoritá e prerogative che io vorrei che avessi la signoria sarebbe: intervenire come capo in tutti e’ consigli, cioè nel consiglio grande e ne’ consigli di mezzo, che sono quegli che terranno el luogo che tenevano a tempo de’ Medici e’ settanta, e che voi ora avete ordinato gli ottanta; avere nella creazione delle provisioni e leggi quello grado che si dirá nel luogo suo; trovarsi capo in tutte le cose che resteranno a’ collegi, che si dirá di sotto; essere uno ricorso alle differenzie civili, non in quello modo smisurato che si usa oggi, che può fare mille ingiustizie, ma moderato, nelle differenzie delle communitá, delle persone miserabili ed impotenti e ne’ casi dove si cognosca la veritá e la equitá, ma per difetto di pruove o per rigore non si otterrebbe ne’ giudici ordinari.
Non vorrei che in cose criminali avessi autoritá alcuna, non che potessi comandare a’ magistrati direttamente o indirettamente fuora di quello che appartenga a’ casi detti di sopra, non fare sicurtá di sorte alcuna, non eleggere ufficio alcuno, non mandare imbasciadori né commissari etiam per tempo brevissimo, non comandare a’ soldati o gente di arme, non si intromettere né travagliare da sé sola in cose di stato di alcuna sorte. Di tutte queste cose vorrei fare una legge bene ordinata e bene distinta la quale comprendessi e legassi bene tutti e’ casi, e gli fussi posto tali guardie e tali pene che di necessitá si avessi a osservare; ed acconciata bene questa, che sarebbe facilissimo, aresti levato via el fondamento della piú parte de’ pericoli che si possino temere dalla grandezza di uno gonfaloniere a vita; e forse che e’ cittadini, ridotta che fussi la signoria a minore autoritá, sarebbono piú facili a consentire poi che la si levassi di Palagio, perché non ne terrebbono tanto conto, e cosí riuscirebbe in dua volte quello che sarebbe stato difficiliimo a ottenere in una, che è el modo con che e’ savi governatori delle republiche conducono spesso le cose; pure di questo io tengo poco conto perché questa diversitá fa piú presto varietá ne’ modi che negli effetti.
La autoritá del governo si ha a riducere in su le spalle di uno consiglio che e’ romani chiamavano senato, e’ viniziani pregati; voi avete fatto in luogo di questi gli ottanta; e qui nasce la prima considerazione se questo consiglio ha a essere a vita o a tempo. E’ romani ed e’ cartaginesi e molte altre republiche gli facevano a vita; e’ viniziani gli fanno per uno anno, ma le cose loro girano in modo che quasi sempre sono e’ medesimi, ed uno cittadino bene qualificato, se non gli corre adosso qualche carico grande, non ne resta mai escluso; e se noi potessimo prometterci questo medesimo, io farei poca differenzia dal farlo a vita al farlo a tempo; anzi perché gli uomini avessino piú rispetto e piú stimulo di portarsi bene, sarebbe forse meglio el fargli per uno anno. E’ viniziani non solo nel numero de’ pregati che è grande, che non ha guadagno, non ha amministrazione, cioè non è magistrato ma uno consiglio, usano questa fermezza di non variare sanza causa grande gli uomini e di dare le loro pallotte ordinate, ma si può dire in tutti gli altri magistrati. Però vedete che e’ savi grandi girano in poco numero e sono quasi tuttavia quelli medesimi, e che le elezioni degli uffici principali di fuora, cioè e’ rettori di Padova, di Verona e simili, vanno con tale ordine e regola che el piti delle volte, innanzi si elegghino, gli uomini conietturano dove hanno a cadere.
Ma questa misura ed ordine che ha partorito in loro la lunga continuazione del governo e forse la natura de’ loro cervelli piú quieta, non si potrebbe sperare in noi di qui a molti anni; e se noi facessimo questo consiglio per sei mesi o per uno anno, se ne troverrebbono bene spesso esclusi tutti quelli che sarebbe necessario che vi fussino1. Però a ogni modo farei questo consiglio a vita, ma di maggiore numero che non avete disegnato voi, perché in una cittá grande come la nostra, ottanta, avendo a essere perpetui, sono pochi. Vorrei fussino centocinquanta, el quale numero non è si stretto che non ci possino entrare tutte le persone qualificate della cittá, né è si largo che vi entri drento la ignoranzia e la mala qualitá degli uomini; e le vacazioni vengono a essere si spesse, che a molti resta sempre accesa la speranza di entrarci. In questo consiglio ha a intervenire la signoria come capo, e la autoritá sua ha a essere: deliberare tutte le cose importanti che attengono allo stato, cioè le pace, le leghe, le confederazioni, le guerre e risolvere giornalmente e’ fini dove le cose si abbino a indirizzare; fare le condotte de’ soldati o approvarle se saranno fatte da altri magistrati; vincere le leggi nuove e le provisioni, innanzi che vadino al consiglio grande; eleggere gli imbasciadori e commessari, ed in effetto disporre tutte le risoluzione importanti che occorrono fare in uno governo di uno stato.
Ma perché questo consiglio non si può ragunare a ogni ora, e le faccende ricercano continua diligenzia ed opera, e molte cose innanzi che si deliberino si hanno a praticare e ricercano prestezza e segreto, è necessario uno magistrato piú particulare, che sia proposto alla guerra, quando la guerra si facessi, e che in tempo di pace tratti e’ maneggi co’ principi e con gli imbasciadori e le cose che spettano alla conservazione ed augumento del dominio. E questo qualche volta praticherá e maneggerá le cose per portarle di poi al consiglio di mezzo, per averne la conclusione; qualche volta servirá doppo le conclusione fatte ne’ centocinquanta a indirizzarle e conducerle al fine giá resoluto. Però si faccia sempre lo ufficio de’ dieci, che siano eletti nel consiglio de’ centocinquanta con la aggiunta che di sotto si dirá, né possi esserne se non chi è de’ centocinquanta; non abbino di giá la balia né autoritá di potere spendere sanza gli stanziamenti ordinari e sanza la commissione de’ centocinquanta; non fare pace, leghe, guerre o alcuna deliberazione simile da loro medesimi, né fare le condotte, o faccendole abbino a essere approvate da’ centocinquanta; duri lo ufficio loro per sei mesi né possino essere raffermati, ma non abbino di divieto piú che sei mesi; e con questo magistrato si raguni el gonfaloniere quando gli pare, perché lui ha a essere el capo dello stato, e sanza saputa sua non si hanno a deliberare le cose di momento.
Questo magistrato, quando vorrá essere consigliato, o consulterá nel consiglio di mezzo, o se gli parrá che le non siano cose da portarle lá, ará una pratica di dieci o quindici altri, che hanno a essere e’ piú savi e meglio qualificati della cittá; e’ quali non voglio che sieno eletti da loro medesimi, perché non errassino per la voglia di eleggere amici o parenti o per altre passione particulare, ma subito che sono eletti e’ dieci, sia da’ dieci vecchi e nuovi, signori e collegi eletta loro la pratica di dieci, che siano de’ centocinquanta, che duri per tutto el suo tempo; e se nel processo del tempo ne vacherá nessuno o de’ dieci o di loro per morte o per assenzia, si elegga lo scambio ne’ modi medesimi. E questa pratica sará a imitazione di quello che e’ viniziani chiamano consiglio de’ dieci con la aggiunta, in chi si riduce el nervo del governo; perché dodici o quindici o venti cittadini e’ piú savi e piú pratichi saranno sempre o de’ dieci o della pratica, e non solo interverranno sempre in questo consiglio stretto, ma per essere di piú prudenzia e di piú autoritá saranno quegli che nel consiglio di mezzo, indirizzeranno communemente le cose a buono cammino. Ed in effetto eletta e disposta questa bene, non potranno le cose dello stato andare se non bene, né el gonfaloniere potrá usurparsi piú autoritá che si convenga, perché avendo a maneggiare le faccende importanti co’ principali della cittá, non gli potrá aggirare né conducere perché non sappino o temino di lui, se non quanto comporterá la ragione.
Io mi distendo volentieri nello ordinare bene questo consiglio e ciò che ha a nascere da lui, perché produce tre buoni effetti che contengono la salute della cittá. El primo, che le deliberazione importanti sono maneggiate da chi le intende, e non vanno nello arbitrio della moltitudine che è el primo pericolo di che si teme in uno governo populare; el secondo, che, come ho detto, è uno freno a moderare la troppa autoritá che potessi pigliare uno gonfaloniere a vita, e cosí vedete che questo consiglio di mezzo, quale vorrei che si chiamassi senato, è uno temperamento tra la tirannide e licenzia populare; el terzo, che questo è uno modo da tenere contenti e’ cittadini di piú virtú e meglio qualificati, perché riducere el governo in mano delle persone che vagliano, non serve solo perché le cose siano governate da chi ne è capace, ma ancora a tenere bene satisfatti quegli che sarebbe male che fussino male contenti.
La cittá è uno corpo composto di molti membri, ed ancora che in una cittá libera si pigli per fondamento la equalitá, nondimanco non si può fare che e’ gradi de’ cittadini non siano diversi e distinti secondo la diversitá degli ingegni, virtú e qualitá loro; altrimenti se uno cittadino di spirito e che meritassi, non si vedessi rilevare in qualche cosa da quegli che sono dapochi e che non meritano, arebbe causa di contentarsi male di quella forma di governo e desiderare cose nuove; da che nascono discordie civili e la alterazione degli stati. E se bene io dissi ieri che e’ cittadini buoni non hanno voluntá di governare, e che al bene essere delle cittá basta che vi sia la sicurtá, nondimeno questo è uno fondamento che fu piú facile a Piatone a dirlo, che a chi si è maneggiato nelle republiche a vederlo, e piú rigoroso che non è oggi el gusto degli uomini, e’ quali hanno tutti per natura desiderio di essere stimati ed onorati. Anzi, come io dissi poco fa, è forse piú utile alle cittá, che e’ suoi cittadini abbino qualche instinto di ambizione moderata, perché gli desta a pensieri ed azione onorevoli, che se la fussi al tutto morta.
Ma non disputando ora questo, dico che poi che negli uomini è questo appetito, o laudabile o dannabile che sia, ed appiccato in modo che non si può sperare di spegnerlo, a noi che ragioniamo di fare uno governo, non quale doverebbe essere, ma quale abbiamo a sperare che possi essere, bisogna affaticarsi che tutti e’ gradi de’ cittadini abbino la satisfazione sua, pur che si facci con modo che non offenda la libertá. E questo che noi abbiamo detto è sanza dubio grado che non gli nuoce, perché se bene sono senatori a vita, pure sono molti, hanno la autoritá limitata in modo che non diventano signori, e nondimeno el grado è tale che debbe bastare a uno cittadino che non ha lo stomaco corrotto di ambizione; perché se ha virtú mediocre, si debbe contentare di essere senatore; se è piú eccellente, verrá di grado in grado agli onori piú alti: essere de’dieci, essere della pratica, essere uno de’disegnati per gonfaloniere quando vacassi. E’ quali gradi si possono piú sperare e sono piú onorevoli in uno vivere libero che sotto lo stato de’ Medici, perché nessuno ha a Firenze tanti fondamenti che, se non è della linea di Cosimo, possa sperare di diventare capo, e chi aspira a questo bisogna che ami la libertá e vivere populare, col mezzo del quale può solo diventare capo con autoritá publica. E gli altri onori poi che si hanno con opinione della virtú e non del favore, e poi che gli uomini che gli conseguiscono gli esercitano secondo el parere loro e non a’ cenni degli altri, quanto sono piú belli e piú onorevoli! Di quanta satisfazione è el maneggiarsi onoratamente nelle bigonce, nelle consulte, ed avere occasione di mostrare ogni di la virtú e lo ingegno suo! Questi gradi bastavano a quegli antichi romani ed agli altri cittadini delle buone republiche, che doppo e’ consulati, doppo le legazione ed e’ governi degli eserciti, pareva loro pigliare degno frutto delle fatiche loro col venire nel senato, avere credito nelle consulte, e reverenzia appresso a quelli che sapevano manco. Uno cittadino a chi questi gradi paiono piccoli, ha lo animo male disposto, e come pernizioso si vorrebbe separarlo ed esterminarlo dalla patria; ma chi ha el cervello bene temperato, quanto è piú savio, piú vi cognosce drento el vero onore e la vera gloria, e gli pare grado piú onorato e da satisfarsene piú che delle tirannide e de’ principati.
Questo numero de’ centocinquanta, de’ dieci e della pratica vorrei che non si facessi per quartiere ma per tutta la cittá, perché in simili cose la distribuzione per quartieri non ha ragione alcuna: si ha a cercare non che e’ quartieri siano equali, ma che siano eletti quegli che meritano piú. Né vorrei per la ragione medesima necessitarmi a dare a la Arte minore la rata sua, anzi potere tórre a ogni membro secondo le qualitá degli uomini; e sarebbe molto meglio levare questa distinzione in tutti gli uffici, o non si potendo in tutti, farlo almanco in questi che importano troppo.
Questo senato ha adunche insino a qui queste autoritá: deliberare le cose importanti; di piú vincere le provisione prima che vadino al consiglio grande, eleggere gli imbasciadori e commessari e lo ufficio de’ dieci, oltre a qualche altra elezione di che io dirò di sotto. Quanto alle leggi, ne parleremo nel luogo suo, e se io non mi inganno sará facile a mostrare che el modo che vegghia al presente è inutile e totalmente contrario alla libertá; ma quanto agli altri dua capi, dico che io non vorrei che alle consulte e deliberazioni intervenissi altro che e’ centocinquanta e la signoria, perché le cose gravi non sono da vulgare in ognuno, e vi ammetto la signoria non come capace, ma perché, poi che quello magistrato non si spegne, bisogna pure mantenerlo in grado onorevole, ed essendo pochi possono fare poco male. Ma alle elezioni vorrei che oltre a’centocinquanta e la signoria ed e’collegi, vi intervenissino e’ capitani di parte, e’ conservadori delle legge, gli otto di balia, e’ sei della mercatantia, ufficiali di monte, de’ pupilli, della torre ed altri magistrati che facessino el numero di cento, overo uno consiglio di cento uomini eletti per uno anno dal consiglio grande, che non avessino altra cura che essere arroti a queste elezione; e questo mi piace piú, perché sanza disordine darebbe pasto a piú persone e sarebbe come una scala a’ gradi piú alti.
Le ragione che mi muovono a fare questa aggiunta sono due: l’una, che io non vorrei che a alcuno per essere diventato senatore paressi avere acconcio in modo le cose sua che giudicassi non avere piú bisogno degli altri che non sono del senato e tenessi manco conto della estimazione publica, come se mai piú non avessi a capitare a’giudici degli uomini; e però avendo ogni di per la elezione de’ dieci e le altre che si facessino in senato, a essere giudicato non solo da’ senatori, ma da varie persone e molte, ara causa di stare sempre desto e portarsi in modo che si mantenga la benivolenzia e riputazione degli altri cittadini. L’altra, che io non vorrei che per essere e’ senatori sempre quegli medesimi, una parte di essi facessi qualche intelligenzia che facessi girare e’ partiti in loro, esclusi gli altri, overo che per el contrario lo appetito che ognuno del senato avessi di essere de’ dieci o de’ primi gradi, facessi che la piú parte si intendessino insieme a fare andare le cose larghe, e quando uno fussi verbigrazia, stato de’ dieci, che non volessino farlo piú in capo di qualche anno per dare luogo agli altri, che sarebbe disordine di troppa importanzia. Questa aggiunta rimedia benissimo a tutt’a dua gli inconvenienti, perché romperá le sètte, intervenendovi tanto piú numero e di persone che si variano; e da altro canto non potendo questi aggiunti essere eletti loro, non aranno causa di favorire per ambizione sua la larghezza, ma si volteranno ragionevolmente con le fave a chi sará giudicato che meriti piú; e quando parte del senato malignassi, questi daranno sempre el tracollo alla bilancia.
Resta parlare in che modo si abbino a fare le deliberazione nel senato, perché da questo depende assai el trarne piú o manco frutto. Noi abbiamo presuposto che el senato ha a essere consultore e deliberatore delle faccende importanti, e però le cose se gli hanno a mettere innanzi non come digestite perché le approvi, ma integre perché le consigli e deliberi. Però el magistrato che chiama la consulta propone semplicemente el caso e dimanda parere; ed allora secondo le usanze vecchie di questa cittá, si arebbono a ristrignere gli uomini per quartieri, cioè ogni quartiere separatamente e consultare da sé sanza che l’uno udissi l’altro, e poi ciascuno quartiere fare da sé in presenzia di ognuno la relazione delle opinione che sono state nel suo quartiere; ed el magistrato che consulta suole qualche volta contentarsi di quella relazione in voce, qualche volta mettere e’ pareri alle fave e pigliare quello che ha piú fave. Questo modo è molto asciutto e diminuto, e pare trovato o da persone che paia loro mill’anni cspedirsi delle consulte ed andarsene a casa, o da chi venga giú con la deliberazione fatta piú per approvarla che per consigliarla.
El modo vero è che proposto el caso, gli uomini di piú autoritá dichino el parere loro e dichinlo in presenzia di tutti, perché accadrá qualche volta che in tutto el numero, uno o dua soli aranno buona opinione, e però è bene che sia udita da ognuno e non in uno quartiere solo; e se uno ará uno parere ed altro lo abbia contrario, che possi levarsi su e contradirlo, e questo farsi per una e piú persone; ed accadendo che uno medesimo volessi parlare piú di una volta, o per meglio dichiarare o per difendere o per mutare la opinione sua, lo possa fare. E perché in questo principio gli uomini non sono assuefatti di andare cosí liberamente in su le ringhiere, e vi andranno con rispetto per non parere presuntuosi, sará necessario che el gonfaloniere vi faccia andare particularmente questo e quello, e che in genere sia invitato ognuno a dire la opinione sua, ed usato diligenzia per assuefargli a questo modo di parlare e di disputare. E poi che aranno parlato tanti che sia a sufficienzia, e che non vi sará altri che voglia parlare, allora proporre e’ pareri e tórre quello che sará approvato da’ piú; o quando la cosa non resti bene risoluta e gli uomini ancora sospesi, rimetterla a un altro di e non si straccare di maturare ed esaminare bene le cose che aspettano tempo.
E’ pareri si pigliano o a voce scoperta o con le fave; gli antichi facevano a voce, le republiche moderne hanno osservato le fave o voti coperti. Ognuno di questi modi ha ragione diverse, ma per non mi allungare tanto in ogni cosa, io lodo piú le fave. Ma bene ricordo che el modo che si piglia sia fermo, e non stia a uno gonfaloniere o a uno magistrato che propone, usare ora le voce, ora le fave, perché in molti casi è differenzia grande da adoperare l’uno a adoperare l’altro, ed io non voglio che sia in potestá del gonfaloniere o di altri aggirare le cose e cercare di conducere con le vie indirette le deliberazioni a modo suo; e però quello che una volta si resolve si usi sempre ed in ogni caso. Con questo modo di consultare e deliberare si esamineranno ed intenderanno meglio, e meglio si risolveranno, e si fará piú paragone degli uomini; e chi sará d’assai ara facilitá di farsi cognoscere, avendo occasione di potere disputare le cose e discorrerle; il che in uno senato ed in contradittorio iudicio non ardirá di fare se non le persone di autoritá o chi si sentirá bene ferrato; e sará questo modo vero di esercitare gli uomini, e cosí chi parlerá come chi stará a udire imparerá piú in una consulta che non si fa ora in venti. Ed e’ valenti uomini verranno con questo mezzo facilmente in riputazione, perché si faranno presto cognoscere, e sará una scala di fargli grandi ed onorati piú che non è el gonfaloniere per dua mesi, perché la riputazione che ará nella cittá chi comparirá bene in questi luoghi, gli dará grado molto piú degno che non darebbe qualunche dignitá o ufficio; donde gli spiriti buoni si aguzzeranno e penseranno la notte con che modo abbino a comparire el di nelle consulte, ed ognuno che sia di valore fará a gara per farsi autore di cose onorevole ed utili alla cittá. Cosí la riputazione sará di chi la meriterá e non, come insino a oggi è stato molte volte, di quegli che non sapendo fare lo acquistano col sapere tacere. Né ci può in effetto essere vaglio piú bello a distinguere le valute degli uomini ed a fare cognoscere le monete, ed è con utile publico.
Nascono nel dominio molte cose che hanno necessario essere ventilate a Firenze, come sono verbigrazia, discordie civili o altri dispareri in qualcuna delle terre vostre; differenzie di confini e iurisdizione tra communitá e communitá; dimande de’ sudditi ed espedizione de’ loro imbasciadori, che a tempo de’ Medici si maneggiavano negli otto della pratica, ora cominciano a andare alla signoria. A me non piace che la signoria sola tratti cose importanti, per le ragioni dette di essere uomini troppo deboli e perché el gonfaloniere ne sarebbe padrone; a chi bisogna conservare la riputazione che si truovi in tutte le cose gravi, ma che per moderare la sua grandezza le abbia a maneggiare con uomini di qualitá. Però eleggerei uno magistrato particulare sopra questo, cavato pure de’ centocinquanta ed eletto nel modo medesimo che e’ dieci, e’ quali vorrei che le trattassino insieme con la signoria per conservarla in qualche riputazione; e parte darei pasto a altri del senato, perché a questo non sarebbe necessario eleggere cosi e’ principali come a’ dieci, anzi sarebbe una scala a’ primi gradi, e quello che non potessino deliberare da loro lo porterebbono al senato, e dove avessino bisogno di consulta, consulterebbono col senato o co’ dieci e la pratica loro, secondo che meglio gli paressi, e cosí arebbono buono riscontro tutte le deliberazione importanti nelle cose dello stato e del dominio.
Resta parlare del modo del fare le legge, o come diciamo noi, provisioni, perché e’ modi nostri antichi che anche vegghiano di presente, sono in uno vivere libero perniziosi e pestiferi al possibile, e trovati, come credo io, da quegli che sono stati principali negli stati stretti; e’quali avendo dubitato che uno di con una provisione non fussi tolta loro la sua autoritá, ordinorono che avessino a andare per molti vagli stretti, innanzi che si conducessino a’ consigli larghi, per essere sempre a tempo a potere con le sue sètte interrompere che le non si vincessino; e cosí erono sicuri che a Firenze non si poteva fare una provisione nuova contro a sua voluntá. E1 medesimo interverrebbe ora, massime con uno gonfaloniere a vita, el quale ogni volta che si facessi una provisione per moderare la sua autoritá, o che per qualche altro rispetto non gli piacessi, la potrebbe impedire; e sarebbe questo mancamentogrande alla libertá, che fussi in potestá di uno o di pochi impedire una provisione utile, o che piacessi alla migliore parte.
Però vi dico che levati tanti vagli di signori, di collegi e di conservatori, ordinerei che di primo colpo una provisione venissi in senato, dove potessi essere proposta non solo dalla signoria tutta, ma da qualunche de’ signori soli, ed edam de’ collegi, e quivi non venissi per approvazione, ma per principale discussione e si avessi a disputare ed esaminare come ho detto nelle altre deliberazioni. Vorrei bene che per tórre la occasione di mandarle, come si dice, in capperuccia, si avessino a publicare in senato almanco l’uno di per l’altro, e cosí farle almeno uno di innanzi note a’ collegi; e’ quali voglio che vi intervenghino e per altri rispetti e perché questa possi essere una via a’ giovani ed alle persone non note di farsi cognoscere, o col farsi autori di una provisione nuova, o col salire in campo a confutarla o disputarla. Ché in fatto el vivere di questa cittá è stato insino a oggi di sorte, che chi non è nato con la riputazione de’ padri o della casa, non ha avuto facultá facile di farsi cognoscere; donde o la virtú di qualcuno non è mai venuta a luce, o è stata adorinentata piú lungamente che non si conveniva; e questo risulta danno grande alla cittá, e perché perde la occasione di valersi degli instrumenti di che si potrebbe valere, e perché non cognoscendo gli uomini, adopera molte volte di quegli che non riescono atti, e tutto a danno della bottega; ma con questi paragoni verrá su facilmente chi sará da venire. E le provisione vorrei che avessino poi la perfezione finale in consiglio grande, con quelli modi medesimi che si fa ora, cioè per via di approvazione, non di discussione.
Guicciardini. Vorresti voi che questi senatori avessino salario?
Bernardo. Non io per conto nessuno, perché susciteresti troppa invidia e troppa voglia in ognuno di esserne, e non è poco premio l’onore e la riputazione che avessi l’uomo di essere senatore a vita. Sanza che la si tira drieto molte utilitá ed in molti modi megliora le condizioni degli uomini, però debbe bastare loro questo.
Ordinata la cittá nelle deliberazione quotidiane e nel modo del fare le legge, succede la amministrazione della giustizia; dico nel criminale, perché nel civile la terra è ordinata abastanza, ed a questo non muterei lo ufficio degli otto con la balia, perché sanza questo terrore e’ delitti multiplicherebbono troppo, e vorrei si eleggessino nel consiglio grande per non tirare al senato troppa autoritá, ma che si facessino per le piú fave, acciò che fussino persone scelte, come in veritá ricerca la importanzia di questo ufficio; e vi aggiugnerei quello che io intendo che questo frate propone ora, cioè che da ogni condennazione che e’ facessino a alcuno cittadino per conto di stato, e non per altra causa, vi fussi lo appello non al consiglio grande come propone lui, ma al senato, dove avessi a venire el magistrato che lo condannassi e difendere la sentenzia sua; e che di poi udito le ragioni di ognuno, e qualunche avessi voluto parlare, e la persona condennata se avessi voluto comparire personalmente, si mettessi alle fave, né alla assoluzione bisognassino e’ dua terzi ma prevalessi quella sentenzia nella quale concorressi piú che la metá, o di assoluzione o di condennazione nuova o di confirmazione della sentenzia data2. E credo in veritá che rare volte interverrá che la sentenzia sia ritrattata, perché per la natura nostra e per e’ rispetti che abbiamo l’uno a l’altro, ogni magistrato sará sempre piú facile a assolvere che a condannare; pure potrebbe essere utile, perché qualche volta sanza causa si avia drieto a uno qualche grido populare, o nasce qualche sospetto vano, che essendo le cose dello stato tenere, potrebbe uno essere condennato furiosamente; a che questo appello medicherá abastanza.
La importanzia maggiore e necessaria è provedere alle assoluzione, le quali per le cagioni che io ho dette ora e dissi piú largamente ieri, sarebbono troppo spesse; o se pure negli otto fussino tre per volta che non volessino condannare, bisognerebbe o che gli altri assolvessino, o per accordarsi condannerebbono troppo leggiermente; donde multiplicherebbono e’ delitti e le baldanze de’ populi con troppo danno della cittá. Né si può sperare a Firenze in uno governo populare che uno ufficio di otto o altro simile usi contra le persone di rispetto quella severitá che bisognerebbe, perché è difficultá grande maneggiare quegli che tu ami o di chi hai dubio che qualche volta possino rendere el cambio o a te o a’ tuoi; però bisogna servirsi in questo caso del gonfaloniere a vita el quale per stare perpetuo può mancare di molti rispetti, o pigliarci altro verso.
Al gonfaloniere si potrebbe dare autoritá di intervenire in ogni magistrato che ha cognizione criminale, e potere proponere; e lui usandola in quelli casi che gli paressi che e’ magistrati procedessino freddi, gli moverebbe sanza dubio assai e gli spignerebbe a fare conveniente giustizia. Nondimanco questo modo solo non mi satisfá, perché io giudico essere necessario che nelle cose che portano pericolo allo stato ed alla libertá, el gonfaloniere se ne scaldi e faccia capo vivamente, perché lo può fare meglio che alcuno altro; e cosi in tutti e’ casi ne’ quali la impunitá potrebbe tirarsi drieto disordine universale. Ma non vorrei che fussi obligato ordinariamente a questo peso, el quale è si grande, o che lui se ne tirerebbe adrieto e mancherebbe anche poi in quelli piú importanti, o volendolo esercitare si farebbe troppo odioso e con troppi inimici, il che non è a proposito della cittá, che uno capo con chi si ha a maneggiare tuttodí e dal quale hanno a dependere infiniti beni sia male voluto da molti; e pigliando questa cura caldamente diventerebbe anche troppo formidoloso.
Però poi che da uno magistrato di pochi non si può sperare questa severitá, né è bene che el gonfaloniere pigli tanto fascio, bisogna pensare a maggiore numero ed a uno consiglio di molti che supplisca dove e’ pochi mancassino. E mi occorreva che ogni volta che uno magistrato ha una causa criminale e ne nascessi assoluzione, che se ha accusatore e querelatore certo, che potessi contro alla assoluzione appellare al senato in quello modo che ho detto dello appello contro alle condennazione; ma quando non la espedissi fra uno certo tempo, che la si intendessi da sé medesima sanza alcuna altra dimanda o partito, devoluta a uno numero di quaranta che si traessi per sorte, tanti de’ signori, tanti de’ collegi, tanti del senato e tanti di quello secondo consiglio che si ha a trovare el senato nelle elezioni; e loro avessino autoritá di esaminare, inquirire e procedere come paressi loro, ed in effetto quella medesima autoritá che aveva el magistrato, e fussino obligati espedirla infra certo tempo; la quale espedizione si facessi con le fave ed avessi a essere approvata per piú che la metá delle fave. E perché nessuno vorrebbe pigliare carico di proporre le cose spiacevoli, vorrei che ognuno del numero scrivessi la opinione sua sanza manifestare el nome, e tutte le polizze andassino a partito, restando per sentenzia quella che avessi piú che la metá delle fave, e piú fave di nessuna. Questa provisione si distinguerebbe piú particularmente circa el modo dello accusare, dello esaminare, del difendere, del proporre, di assolvere e condannare, e circa e’ numeri che avessino a intervenire, cioè quanti de l’uno membro e quanti dello altro; e cosí se l’uomo volessi che tutti e’ casi criminali potessino venire a questo giudicio o ristrignersi a certi delitti importanti. Ma basti ora avere mostrato in genere questo modo di giudicare, che sarebbe sanza dubio di grandissimo terrore, ed uno freno grande a chi volessi male vivere, ed in spezie una guardia grande al governo popularc ed alla libertá della cittá.
Bisogna ora parlare circa le gravezze ed altre cose del danaio, perché questo è uno membro molto importante, e nel quale da uno canto ognuno ha a avere participazione, da altro se le provisione de’ danari non si fanno a tempo, si gettano via, e quello che da principio si sarebbe fatto con uno grosso non si fa poi con uno ducato. Pure considerato tutto, cioè che dal popolo non sono sempre cognosciuti e’ bisogni come si conviene e che el senato è informato delle cose che occorrono e vi interviene cittadini di ogni sorte, cioè di quegli che vivono in su le possessioni, mercatanti, ricchi, poveri e di ogni qualitá, in modo che non sarebbe da dubitare che si voltassino a modi che fussino ingiusti, e sanza rispetti debiti e convenienti, farei el fondamento principale nel senato; non però che io non volessi che vinta che fussi quivi la provisione, la non andassi anche al consiglio, ma che in consiglio bastassi la metá delle fave ed una piú.
Le spese vorrei che andassino con gli stanziamenti de’ signori e collegi come ora, e che anche el gonfaloniere ne avessi qualche cura particulare, non però tale che e’ magistrati a chi tocca non potessino spendere sanza la volontá sua, ma tale che fussi freno a chi andassi con la mano troppo larga. È vero che gli stati non si possono tenere sanza spesa e che in molti casi è dannoso el risparmio, nondimanco perché le entrate ordinarie non bastano e si ha a cavare delle borse de’ cittadini, le spese superchie fanno a Firenze infiniti mali e possono essere causa di molte male contentezze e disunioni, e però è bene che in temperarle si usi diligenzia quanto si può. Io non vengo minutamente a’ particulari, perché non accade e se ne andrebbe in infinito el nostro ragionamento: basta toccare le cose in genere e quando l’uomo fussi in fatto, si esaininerebbono e distinguerebbono meglio. Ma io vorrei che voi dicessi quello che vi occorre, e se vi paia da aggiugnere o levare di cosa alcuna.
Capponi. In veritá io sono stato cheto e con grandissima attenzione, perché mi pare che voi abbiate considerato ogni cosa molto bene; ed ancora che io vi abbia sempre cognosciuto savissimo, reputo per miracolo che non avendo voi veduto mai a’ vostri di in questa cittá libertá, anzi allevato e vivuto in uno vivere tirannico, che abbiate tanto bene pensato e disegnato uno governo libero.
Soderini. E1 medesimo dico io; e panni ora molto piú che sia vero quello che voi dicesti nel principio, che se e’ nostri cittadini non avessino nome diverso da quegli de’ viniziani, che uno governo come el vostro parrebbe el medesimo che quello di Vinegia, perché non ci è una diversitá sustanziale; e però se quello è ottimo come ognuno confessa, e lo pruova la ragione e lo mostra la esperienzia, questo sarebbe almanco buono. Cosí ci dessi Dio grazia di poterlo vedere e lasciare questa ereditá a’ nostri figliuoli, che sarebbe el maggiore tesoro, el piú bello, el piú sicuro, el piú onorevole che noi gli potessimo lasciare.
Guicciardini. Quello che tra le altre cose mi ha fatto maravigliare oggi ne’ discorsi vostri è stata la notizia che avete mostro delle cose de’ romani e de’ greci, delle quali credevo prima che voi-fussi digiuno; e mi vi aveva confermato al tutto el vedere che ieri voi ne facesti poca menzione.
Bernardo. Lettere non ho io e voi lo sapete tutti; ma ho avuto piacere di leggere e’ libri tradotti in volgare quanti ne ho potuti avere, donde ho imparato qualcuna di quelle cose che ho allegato oggi; ma perché le sono poche né le posseggo bene a mio modo, né credo che questi libri tradotti abbino quello sugo che hanno e’ latini, ho sempre fuggito el mostrare di averne pure una minima notizia, giudicando che mi dia piú riputazione lo essere tenuto al tutto ignaro di queste cose e che io parli sanza alcuno aiuto di chi ha scritto, che volendo valermi di quello poco che io ho letto, dare causa o di essere tenuto ostentatore, o che si creda che io mi vaglia di queste cose piú che in veritá non fo.
Ma ritorniamo al proposito principale. Io non ho detto ancora el modo con che si abbia a eleggere el gonfaloniere.
In che non seguiterei lo esemplo de’ viniziani, e’ quali come sa qui Pagolantonio e dovete sapere ancora voi, avendo secondo che io credo confidato poco nel giudicio del popolo (io chiamo popolo el suo consiglio grande) e da altro canto temendo delle passione de’ pochi, la hanno rimessa a poco numero; ma elettolo parte con sorte, parte con tanti vagli, che hanno giudicato dovere essere incerto chi abbino a essere gli ultimi elettori e cosí avere a cessare le corruttele e le ambizioni. E da altro canto, non potendo questi elettori, che sono quarantuno, essere ragionevolmente altro che uomini qualificati, hanno confidato che abbino a sapere eleggere, e mancando le corruttele, che abbino a eleggere bene.
Le ragione che gli hanno mossi io le giudico buone, ma non mi pare giá che abbino trovato el mezzo sufficiente, perché se noi presupognamo che questa elezione de’ quarantuno abbia a cascare come in uomini a caso, ecco che si mettono in mano degli ignoranti che hanno voluto fuggire, perché non per altra causa si sono discostati dal consiglio grande; ma se la casca ne’ principali del senato come intendo che communemente interviene, ecco che si può immaginare a dipresso chi abbino a essere gli elettori ed in consequenzia precedere quelle ambizioni e corruttele di che loro hanno avuto paura. Ma pognamo che le non precedessino; chi proibisce che in sul fatto, quando sono serrati, come loro dicono, nel conclave, dove prima che siano d’acordo stanno qualche volta parecchi di, non si faccino tra loro pratiche e prieghi, per sé o per gli amici? Le quali in poco numero bisogna che possino assai; anzi se voi parlerete co’ viniziani che vi voglino dire el vero, si fanno tra loro, poi che sono in conclave, infinite pratiche. Volete voi che io vi dia uno segno vivo di questo? Giovanni Lanfredini, el quale ognuno di voi cognobbe, e come ognuno di voi sa, ebbe grande amicizie e mezzi in Vinegia, subito che erano fatti e’quarantuno, avisava Lorenzo: «e’ sará doge el tale o el tale, perché hanno piú amicizie e mezzi ne’ quarantuno che gli altri», e cosí arebbe saputo fare ognuno che cognoscessi le dependenzie di quegli gentiluomini.
E questo vi dimostra che la elezione non va totalmente secondo e’ meriti, perché se si dessi a chi merita piú, si potrebbe fare el medesimo giudicio vero prima che fussino fatti e’ quarantuno, perché e’ meriti di chi ha a essere eletto sono sempre e’medesimi; ma poi che el giudicio si fa piú certo doppo la elezione de’ quarantuno, è segno manifesto che le passioni loro vi possono qualche volta piú che el giusto.
Credo bene che sempre sia fatto doge uno de’ principali, verbigrazia uno de’ quattro o sei che meritano piú, perché non è verisimile che in una cosa di tanto momento si faccia maggiore estravaganzia; pure chi abbia a essere di questi quattro o sei, dá la sentenzia non e’ meriti maggiori, ma le inclinazioni di quegli pochi che eleggono; e però essendo conveniente che a tanto grado sia eletto chi lo merita piú che gli altri, a discernere chi sia questo, sarebbe piú integro, piú incorrotto e manco errerebbe el giudicio di maggiore numero che quello di si pochi3.
Udite dunche quello che mi occorre in questo caso che è importantissimo. Io considero che nelle cittá libere tutti quegli che appetiscono grandezza con mezzi di ambizione hanno tra le altre, dua vie: l’una di pigliare la protezione del popolo e farsi grato alla moltitudine, la quale corre a esaltargli volentieri, perché acquistano fede con lei, mostrando di tenere conto del bene della patria e particolarmente de’ commodi del popolo. E chi ha questo fine non pensa tanto che gli assunti che lui piglia siano giusti o ingiusti, utili o dannosi, quanto che siano tali che abbino a piacere alla moltitudine; e chi è andato per questo cammino è stato qualche volta autore di molto bene e qualche volta di grandissimi mali e di divisioni e scandoli grandi, avendo seminato negli animi del popolo carichi falsi ed opinioni perniziose, come sono piene le istorie di questi esempli; e da questi principi sono nate spesso le tirannide, perché come hanno avuto el credito della moltitudine, l’hanno con varie arte ed astuzie condotta a fine contrario di quello che gli hanno mostro da principio. Ne è bene stato qualcuno che ha cercato di acquistare la riputazione per questa via ambiziosa, ma come la ha acquistata ed avuto in potestá gli animi populari, l’ha diritta a buono fine, come si dice di Pericle, e’ principi di chi furono ambiziosi, ma come ebbe preso piede, adoperò la sua autoritá a benificio e grandezza della patria. Pure quasi sempre questi tali hanno fatto cattivi effetti, in che non accade ora insistere; basta che questo è uno modo da chi vuole crescere per vie indirette, insinuarsi al popolo piú che non si conviene, donde molti sono esaltati spesso piú che non meritano.
L’altro modo che è opposito a questo, è pigliare la via del senato, e cercare di venire in opinione di essere fautore delle dignitá e commodi suoi, perché ancora che el senato e la moltitudine siano membro di una medesima republica, e che tutti doverebbono tendere a uno medesimo fine, pure accade spesso che tra loro sono emulazioni e diversitá di opinioni; di che communemente è el fondamento che al senato pare conveniente che le cose si governino a arbitrio suo, alla moltitudine non pare giusto che el senato la domini. E queste contenzione, se bene qualche volta nascono da onesti principi, pure vanno poi piú oltre, perché la natura degli uomini è insaziabile, e chi si muove alle imprese per ritenere el grado suo e non essere oppresso, quando poi si è condotto a questo, non si ferma quivi ma cerca di amplificarlo piú che lo onesto e per consequente di opprimere ed usurpare quello di altri.
Quando la republica è ordinata in modo che el popolo vi può piú che el senato, piú sono quegli che pigliano la via del popolo e piú sono ingiuste le imprese loro; perché ordinariamente le ingiurie nascono da chi può piú, ed allora chi piglia la difesa del senato non lo fa communemente tanto per acquistare grandezza, quanto per difendere el grado suo e quella parte a che ha piú affezione; e per contrario quando el senato può piú, le ingiurie ed e’ pensieri perniziosi nascono da lui, e piú sono quegli che cercano insinuarsi a lui. Ma come si sia, chi toglie questi assunti non pensa tanto a quello che sia onesto o beneficio della citta, quanto al satisfare a coloro a chi si è aderito o a chi si vuole fare grato; anzi quando non vi è discordia alcuna, questi instrumenti, per dare adito alla ambizione sua, cercano spesso di farla nascere col proporre nuove leggi e nuovi disegni; e però è da fare ogni opera che le republiche siano temperate in modo che questa via ambiziosa resti serrata o manco aperta che si può, ed è cosa questa che potrebbe importare tanto, che non sará mai troppa cura alcuna che si metta.
Io penso adunche che se la elezione del gonfaloniere a vita l’avessi a fare el consiglio grande, dove el senato è la minore parte, che facilmente uno cittadino, o fussi senatore o no, potrebbe pensare di pervenire a questo grado con le arte populari delle quali è detto di sopra e col farsi autore delle cose grate alla moltitudine; e per contrario, se questa elezione l’avessi a fare el senato, chi aspirassi a questo grado si darebbe tutto al senato, preponendo le voglie di quello alla utilitá della cittá e tenendo poco conto de’ commodi del popolo, cosa che non è a proposito della cittá, perché chi si truova in governo debbe avere caro in uno modo medesimo tutti e’ membri della republica secondo el grado loro, e pensare a’ commodi di tutti secondo quello che si conviene. Però mi parrebbe che a fare el gonfaloniere si ragunassi el senato e tutti quegli che possono intervenire seco alle elezione, e messone a partito quaranta o cinquanta che fussino nominati da persone tratte per sorte, se ne pigliassino tre delle piú fave, o vinto che avessino el partito o no, e quegli si mettessino di poi un altro di in consiglio grande, e chi avessi piú fave che gli altri e vincessi el partito per piú che la metá delle fave, restassi gonfaloniere. Ed in caso che nessuno si vincessi, se ne avessi a eleggere in senato altri tre e rimandargli a partito nel modo medesimo, e quello che vincessi ed avessi piú fave restassi eletto; e non ne vincendo nessuno, si rimandassino quello di o un altro, tutti sei in consiglio grande, e quello che di loro avessi piú fave, se bene non vincessi el partito, restassi gonfaloniere.
Questo modo mi pare che fugga tutti e’ disordini che sono nel modo viniziano, perché intervengono tanti alla elezione che non si può temere di passione o di corruttela, ed anche sono e’ piú qualificati della cittá, in modo che saranno molto piú atti a discernere che non sarebbe el consiglio grande; al quale andando la elezione giá vagliata e ristretta a tre, potrá errare di poco, perché se bene non togliessi el migliore di tutti tre, come credo che sempre torrá, è credibile che resterá eletto uno de’ tre piú atti di tutta la cittá, ed a giudicio mio non accadrá forse mai che nel consiglio grande non resti uno de’ primi tre. Questo modo ha qualche conformitá con le elezione che facevano e’ romani de’ re, che prima si eleggeva in senato e poi aveva a essere approvato dal popolo; e fuggirá quelli inconvenienti di che io temevo, perché non potendo essere fatto alcuno gonfaloniere se non vi concorrerá la volontá del popolo e del senato, nessuno per questa ambizione ará causa di gittarsi con modi sediziosi e non ragionevoli piú a l’uno che a l’altro; anzi sará stimolo a ogni cittadino principale di vivere bene e portarsi in modo che possa avere riputazione e benivolenzia appresso a tutta la cittá ed essere tenuto uomo da bene ed amatore della patria.
E se si dicessi che questa diligenzia è superflua, perché el governo è ordinato e legato in modo che quelle vie ambiziose di che io temo sono assai serrate, dico che è per esserne tanto piú sicuro, e perché anche in su certe occasione e gridi vani nasce qualche volta una opinione falsa nella moltitudine, che a torto si dá a uno una riputazione che non la merita (la quale quando per sorte concorressi in uno tempo che si avessi a eleggere el gonfaloniere, potrebbe volgere el popolo a qualche stravaganzia), mi pare che con questo modo ci assicuriamo piú da ogni errore; ed el caso importa tanto, che quando bene questa diligenzia non giovassi in cento anni piú che una volta, non sarebbe stato altro che saluberrima ordinazione.
Osserverei el medesimo ordine nella elezione de’ senatori, quando alcuno ne vacassi, e lo farei per la medesima ragione che non restassi speranza a alcuno di acquistare grandezza se non per el cammino diritto; e certo questi ordini accenderebbono, se io non mi inganno, tanto gli animi degli uomini al portarsi bene, cosí nelle azioni private come ne’ magistrati e nel senato, quando l’uomo vi fussi aggiunto, e successivamente di quegli che giá fussino entrati ne’ dieci e nella pratica, che io spero che per e’ piú si farebbe a gara nel bene operare e nel giovare alla patria, in modo che ne seguiterebbono ottimi frutti.
Questi e simili stimuli sono necessari in una republica a volere accendere gli uomini al bene fare, perché se bene naturalmente tutti quegli che non cavano piú frutto o piú satisfazione del fare male che del fare bene, sono inclinati al bene, come io dissi ieri, e che questa inclinazione sia si naturale, che chi ne manca e per satisfare alla natura sua fa piú volentieri male che bene, si possi chiamare piú presto bestia che uomo, perché manca della inclinazione naturale a tutti gli uomini; nondimeno è tanta la nostra fragilitá e tante le occasioni di corrompere o pervertire questo instinto, che gli uomini indotti da varie cause facilmente ne declinano. Però gli antichi savi che ordinorono le republiche, parendogli che fussi necessario aiutare di tenere in qualunche modo ferma questa inclinazione naturale, ordinorono el premio e la pena, dicendo saviamente che erano el fundamento delle cittá. Né crediate che intendessino el premio, che ogni volta che uno cittadino facessi qualche bene avessi a essere pagato, perché a questo, oltre che sarebbe uno modo mercennario non conveniente tra la patria ed e’ suoi cittadini, non basterebbono le entrate di alcuna republica; ma e’ premi sono, avere ordinato el governo in modo che negli onori e nelle dignitá chi si porta bene sia distinto e ricognosciuto dagli altri, che è quella cosa che accende gli animi nobili piú che’ danari o altra spezie di rimunerazione. E questo modo di premio porta anche la pena seco, perché dando gli onori a’ benemeriti della republica, restano esclusi e depressi gli altri; però chi ha gusto di uomo teme questa depressione e per fuggirla piglia quello vivere che conduce agli effetti contrari. Non dico giá che questa pena possi tanto ne’ cattivi quanto può quello premio ne’ buoni, perché sono certi animi si male disposti che non cognoscono l’onore e la vergogna, ed a questi bisognano le pene criminali, nelle quali anche mi pare che si sia, massime nelle piú importanti, provisto abastanza, ed alla giornata si provederebbe meglio, perché come voi avessi messo in essere uno governo di questa sorte, la amministrazione del quale sarebbe in fatto de’ migliori e piú savi, si andrebbono ogni di limando le cose, e molti si sforzerebbono essere autori di belle legge, in modo che a’ tristi si provederebbe alla giornata meglio.
E perché come disse Piero Guicciardini, potrebbe accadere che uno gonfaloniere fussi si insufficiente che la cittá patirebbe troppo di avere a aspettare la sua morte, ci resta trovare uno modo di provederci secondo le legge, sanza aprire la via a novitá ed a scandoli. Io credo che questo caso verrá difficilmente, perché eleggendosi el gonfaloniere nel modo detto di sopra, sará quasi impossibile che la elezione non caggia in uno di quegli che sia tenuto de’ piú valenti uomini della cittá; el quale se non riuscirá alla opinione che si aveva di lui, sará difficile se ne discosti tanto e riesca si debole che la cittá per questo rovini, massime che voi vedete el governo ordinato in modo che e’ cittadini principali aranno a fare paragone tuttodí di quello che vaglino, e però male si potrá coprire sotto el mantello di valentuomo chi sia cosí dapoco.
Pure se el caso succedessi o gli sopravenissi impedimento che lo facessi non atto, voglio sia in potestá di ognuno de’ signori chiamare el senato e quegli che in senato intervengono alle elezione e proponere la deposizione sua, la quale si abbia a differire a un altro di e vincere per e’ tre quarti delle fave di quegli che saranno ragunati in numero sufficiente.
Se accadrá che per delitti, cioè per machinare contra lo stato o per altre cose criminali meriti essere punito o deposto, voglio che oltre alla via di sopra, abbino autoritá di farlo e’ magistrati medesimi che possono punire gli altri cittadini, verbigrazia gli otto ed e’ conservadori secondo e’ casi, ma che abbia lo appello al senato medesimo ed agli arroti; ed essendo confermata per e’ dua terzi delle fave, la sentenzia data abbia effetto. È vero che quando fussi deposto per imputazione di avere machinato contra lo stato, voglio che etiam pendente lo appello si intenda sospeso dallo officio suo, non giá che esca di Palazzo, ma che non eserciti autoritá alcuna, perché el caso contra lo stato, se fussi vero, potrebbe essere tale che troppo sarebbe periculoso el lasciargli fare lo ufficio; ma quando fussi per altra causa che di stato, non ha a diminuire niente delle autoritá sua insino che la sentenzia data non fussi confermata; la quale confermata, in ogni caso si esequisca se bene fussi di pena capitale.
Questa è la forma del governo libero e populare che mi occorre, avendoci pensato piú volte in questo ozio che ho doppo la cacciata di Piero; la quale confesso che chi avessi la materia disposta a ricevere quella forma che gli paressi, potrebbe in qualche particulare fare migliore; ma io ho pensato uno modo che io non sono fuora di speranza che col tempo e con qualche occasione si potessi introducere; ed anche introdotto che fussi, perché nel maneggiare le cose le si cognoscono meglio che nel disegnarle, e quando paiano bene disegnate non riescono a punto sempre secondo e’ disegni, si andrebbe tuttavia limando, ed ora col levare, ora col porre, riducendo a’ fini che l’uomo desidera. E mi pare che si accosti tanto al gusto ed a’ fini che può avere el popolo, che se questo o uno simile a questo non ha a essere accettato, credo ci resti poca speranza che le cose s’abbino mai a riformare in modo che sia tollerabile. Panni bene che in genere el governo sia buono e che abbia quelle parte principali che si ricercano in una republica libera, ed ha grandissima similitudine col governo viniziano, el quale, se io non mi inganno, è el piú bello ed el migliore governo non solo de’ tempi nostri, ma ancora che forse avessi mai a’ tempi antichi alcuna cittá, perché participa di tutte le spezie de’ governi, di uno, di pochi e di molti, ed è temperato di tutti in modo che ha raccolta la maggiore parte de’ beni che ha in sé qualunche governo e fuggiti la piú parte de’ mali.
E1 doge, e’ pregati, quegli magistrati principali scelti hanno seco quella cura, quella vigilanzia e quello essere ridotte le faccende in mano di chi le intende, che ha uno principe ed uno stato di ottimati; da altro canto sono legati di sorte che non possono diventare tirannide. El consiglio grande ha seco quello bene che è principale nel governo del popolo, cioè la conservazione della libertá, la autoritá delle legge e la sicurtá di ognuno, ma è contrapesato in modo dal doge, da’ pregati e magistrati che discendono da quegli, che le deliberazione importanti non vengono in arbitrio della moltitudine, e cessa el pericolo che le cose si resolvino in quella licenzia populare perniziosa. Però vedete che poi che quello governo prese piede, si è mantenuto tante centinaia di anni in una medesima forma e sanza mai cognoscere sedizione e discordie civili, e questo non procede perché tra loro non sia degli odi e delle inimicizie come nelle altre cittá, che si vede quando hanno occasione di scoprirle giustificatamente, o perché non vi sia degli animi ambiziosi e male regolati che se avessino facultá disordinerebbono; ma gli ordini del governo sono tali che a loro dispetto gli tengono fermi. Considerate e’ governi delle republiche di Grecia ed in spezie quello de’ romani che fece tanti effetti: lo troverete pieno di sedizione, pieno di tumulti e mille disordini, e’ quali se non fussi stata la vivacitá delle arme che avevano, con la quale sostenevano ogni errore, arebbono, se fussino vivuti cosi, precipitato mille volte Quella republica.
Sarebbe adunche el governo vostro simile al governo loro; ed essendo el suo ottimo, el vostro almanco sarebbe buono e sarebbe sanza dubio quale non ha mai veduto la cittá nostra. Perché o noi siamo stati sotto uno, come a tempo de’ Medici, che è stato governo tirannico, o pochi cittadini hanno potuto nella cittá, come fu dalla ruina di messer Giorgio Scali insino al 34, e prima in molti altri tempi, che in fatto hanno oppressi e tenuti in servitú gli altri con mille ingiurie ed insolenzie, e tra loro medesimi sono stati pieni di sedizioni in modo che si sono cacciati, decapitati, rovinati l’uno l’altro, e fatto peggio a questa povera patria che non feciono mai gli inimici; o la è stata in arbitrio licenzioso della moltitudine, come fu el tempo de’ Ciompi e quello che sotto el braccio della plebe fu grande messer Giorgio Scali, ed altri tempi precedenti; ed allora è stata travagliata in modo, e fatto tanti mali e ruine che è miracolo che centomila volte non sia andata in servitú di forestieri; o è stato qualche vivere pazzo, dove in uno tempo medesimo ha avuto licenzia la plebe e potestá e’ pochi, come fu a tempo degli ammuniti, e sono allora andate le cose con tanto viluppo e confusione, che io non credo che a tempo del caos ne fussi mai tanta. Però vedete di quante divisione sia stata piena, e gli effetti miserabili che ne sono seguiti: mandati tanti cittadini in esilio, distrutte tante stiatte nobili, arse tante case, saccheggiate o in altro modo estirpate tante ricchezze, decapitati e morti tanti egregi cittadini, fatte tante mutazione si spesse e si notabili che io non so come mille volte non sia andata in ultimo precipizio. Però se la sorte o la benignitá di Dio non ci dá grazia di riscontrare in una forma di governo come questa o simile, abbiamo a temere de’ medesimi mali che sono stati per el passato; ma dirizzandosi a uno governo tale, potremo sperare ogni bene e goderemo la libertá vera, la quale, a non si ingannare, non ha mai veduta né cognosciuta insino a oggi la cittá nostra.
Soderini. Voi dite el vero: cosí volessi Dio farci questa grazia! Ma in veritá che ne credete voi? sperate voi che noi abbiamo a arrivare a tanto bene? Voi ne parlasti ieri, ma piú presto disputando che affermando, però vi prego ne riparliate.
Bernardo. Pagolantonio, io non sono indovino, e quello giudicio che posso fare io può fare molto meglio ciascuno di voi. Ma io cognosco bene che se in questo principio si ragionassi di volere fare uno gonfaloniere a vita ed uno senato perpetuo, non sarebbe quasi uomo che non se ne facessi beffe, perché ognuno ora si ha proposto o una certa equalitá o una certa larghezza, che sarebbono tutti inimici a chi ragionassi di moderarla, ed insospettirebbono che questi ordini che tutti tendono a fare piú fermo e piú perpetuo el governo populare ed alla conservazione della libertá, fussino proposti per introducere uno stato stretto o una tirannide. La cittá non è usa al vivere del popolo e non ha mai veduto libertá, però in questo principio è una confusione tale che nessuno si intende, ed essendo usciti si frescamente dello stato de’ Medici, sono pieni di sospetto e pigliono ombra di ogni cosa.
E’ governi buoni si introducono o con la forza o con la persuasione: la forza sarebbe quando uno che si trovassi principe volessi deponere el principato e constituire una forma di republica, perché a lui starebbe el comandare ed ordinare; e questo sarebbe modo facilissimo, si perché come ho detto, dependerebbe tutto da lui, si perché el popolo che stava sotto la tirannide e non pensava alla libertá, vedendosi in uno tratto menare al vivere libero con amore e sanza arme, benché si introducessi ordinato e con moderata larghezza, gli parrebbe entrare in paradiso e piglierebbe tutto per guadagno; il che non può intervenire oggi a noi, perché el popolo si è proposto una larghezza infinita e gli pare che giá lo stato sia suo, ed averselo guadagnato col levarsi e cacciare e’ Medici. Ci si aggiugne che quando si vedessi uno deponere volontariamente el principato, gli sarebbe prestata fede smisurata, vedendosi manifestamente che solo lo movessi lo amore della patria, e però gli ordini suoi sarebbono accettati per la potestá che avessi di comandare, ed accettati volentieri per la autoritá e fede che arebbe acquistato.
E certo se gli uomini cognoscessino in che consista la laude e gloria vera, si troverrebbe de’ principi assai che lo farebbono, perché io non so come uno uomo potessi lasciare memoria piú onorata di sé, che fare uno atto si egregio el quale dimostrerebbe la bontá sua e lo amore suo grandissimo alla patria, proponendosi manifestamente el bene di quella alla grandezza sua e della casa e progenie sua. Non si potrebbe di questa opera attribuire parte alcuna alla fortuna, ma tutto dependerebbe dalla sua virtú, ed el frutto che ne nascessi non sarebbe beneficio a pochi né per breve tempo, ma in quanto a lui, a infiniti e per molte etá.
Ma gli uomini hanno el gusto corrotto, né credono che l’onore vero consista in altro che nella potenzia, però non si truovano di questi tali; e’ quali se si volessino scusare, come disse Siila doppo la dittatura deposta, che le ingratitudine ed e’ mali trattamenti che fanno qualche volta le cittá libere contro a chi è uscito di principato, sono causa che gli uomini non ardiscono deponerlo, sappino che la non è scusa sufficiente, perché chi considerassi quanto l’uomo è obligato a amare la patria e quanto gloriosa e perpetua memoria acquisterebbe di simile fatto, la quale né la ingratitudine né altro accidente gli potrebbe mai tórre, stimerebbe tanto questi rispetti per sé medesimi, che non arebbe alcuna considerazione se la patria gli avessi a essere grata o no. La quale ingratitudine gli potrebbe poco nuocere, se volessi vivere privatamente ed alieno dalle faccende; dico quando la fussi, che non è verisimile verso uno che voluntariamente avessi fatto tanto bene, massime se nel principato non si fussi insanguinato e fattosi con le sue crudelitá inimici particulari, come aveva fatto Augusto e molti altri che spesso ragionorono di restituire la republica e n’ebbono sempre lo animo alienissimo.
Ma torniamo al proposito nostro. Si introducerebbe anche el governo per forza quando uno cittadino amatore della patria vedessi le cose essere disordinate, né gli bastando el cuore poterle riformare voluntariamente e d’acordo, si ingegnassi con la forza pigliare tanta autoritá che potessi constituire uno buono governo ctiam a dispetto degli altri, come fece Licurgo quando fece a Sparta quelle sante legge. Di questi quando si truova chi lo abbia fatto, è da laudargli ed onorargli ed avere loro quella obligazione che merita questo beneficio che è el maggiore che si possa fare a una cittá, ma non è giá da desiderare che questa via si metta in uso, perché è troppo pericolosa, e darebbe occasione agli uomini ambiziosi di cercare sotto specie di questo bene di occupare la tirannide; ed anche potrebbe accadere che uno da principio entrassi in questa impresa con buona mente, ma che di poi, gustata la potestá, mutassi pensiero convertendosi alla tirannide. E tanto è maggiore questo ultimo pericolo, quanto uno governo ordinato a questo modo per forza, non si può abbandonare el medesimo di che è ordinato, perché insino che non sia consolidato o cognosciuto buono con la esperienzia da coloro a chi non piaceva da principio, cercherebbono di rovinarlo. Però bisogna che la forza duri tanto che abbia preso piede; e quanto piú durassi, tanto piú sarebbe pericoloso che non gli venissi voglia di continuarvi drento. Sapete come dice el proverbio: che lo indugio piglia vizio.
Ci è adunche necessario fare fundamento in su la persuasione, e questa ora non sarebbe udita; ma io non dubito che le cose andranno in modo che innanzi che passi troppo tempo, si cognoscerá per molti la maggiore parte de’ disordini, e combatterá in loro da uno canto la voglia di provedervi, da l’altro la paura di non ristrignere troppo el governo. Ed in questo bisognerá, a mio giudicio, che giuochi la fortuna della cittá, perché e’ disordini che aprirranno gli occhi alla moltitudine potrebbono essere tali che porterebbono seco si grande ruina, che nessuna provisione sarebbe a tempo, massime che, come ho detto di sopra, e’ moti di Italia saranno per chi tiene gli stati, piú furiosi e pericolosi che el solito. Potrebbe ancora essere che questi disordini fussino grandi, ma tali che piú presto tra vagí iassino la cittá che la ruinassino, ed allora el punto sará che chi ará a fare questa riforma la pigli bene, perché sempre fará difficultá grande el dubio che’ cittadini principali nòn voglino riducere le cose a uno stato stretto; però potrá essere che gli uomini si voltino piú presto a uno gonfaloniere a vita o per lungo tempo che a altro, perché dará loro manco ombra che uno senato perpetuo, e perché per questo solo la cittá non resta bene ordinata.
Quello che seguirá doppo la creazione di uno gonfaloniere, in caso che si faccia, sará secondo la sua qualitá; perché se sará ambizioso o troppo sospettoso non cercherá di ristrignere altrimenti le cose, perché la ambizione gli fará amare di avere a trattare piú con gli ignoranti e co’ deboli che co’ savi e stimati, sperando potere maneggiargli piú a suo modo; el sospetto gli metterá paura vana che crescendo la riputazione di simili, non siano desiderosi di altro stato o di ruinare lui, e se la piglierá cosi, nascerá mala contentezza ne’ cittadini qualificati, in modo che andranno intraversando sempre le cose e volgendosi a nuovi pensieri; donde alla fine bisognerá o che lui si getti alla tirannide o che rovini, e la rovina sua non potrá essere sanza pericolo della rovina della libertá.
Ma se per la fortuna buona della cittá la elezione cadessi in uno uomo savio ed amatore di questa gloria di fondare uno buono governo, e che cognoscessi che questi ordini, se bene astringessino uno poco la sua autoritá, tamen, come disse quello re lacedemonio alla madre che lo riprendeva di avere consentito a fare gli efori, farebbono el magistrato suo piú lungo e piú sicuro, lui sarebbe mezzo a fare questo resto e lo farebbe facilissimamente, perché gli sarebbe prestato fede, perché ognuno sarebbe capace che non lo moverebbe lo interesse proprio, poi che essendo sciolto cercherebbe di legarsi e proporre cose per le quali la autoritá sua venissi piú presto a diminuire che a crescere, e stando perpetuo nel magistrato, quello che non gli venissi fatto in una volta ed in una occasione, gli riuscirebbe in piú. E questa è una di quelle ragione della quale voglio vi ricordiate, se mai verrá in disputa quale sia meglio o farlo a vita o per tempo; perché essendo a tempo, se vorrá introducere gli altri ordini non gli sará prestato fede come a uno a vita, potendosi dubitare che lui lo faccia pensando al particulare suo per quando ará finito el magistrato.
Però concludendo vi dico che ho per molto dubio e mi pare che dipenda molto dalla potestá della fortuna, se questo governo disordinato si riordinerá o no; la quale nelle cose del mondo può quanto molti credano; o almanco quegli che attribuendo tutto alla prudenzia e virtú si ingegnano di escludere la fortuna, non possono negare che la non vaglia assai in questo, che le cose naschino a tempo, che truovino compagnia ed occasione da potere condursi a effetto. Dunche io ne sto dubio, ed a ogni modo è mala cosa che non si abbia a sperare di riordinarlo, se dagli errori che si faranno non nasca prima qualche accidente che metta la cittá in pericolo, perché è mala condizione di chi sa non potere avere bene se non ha prima el male. E come dissi ieri, io ne arei molto piú speranza se la cittá fussi giovane, perché oltre che con piú facilitá piglia ordini nuovi che non fa una cittá giá invecchiata ne’ governi cattivi, le cose ancora gli succedono tutte facilmente e felicemente mentre che la fortuna sua è fresca e non ha fatto el suo corso; dove per el contrario quando ha comminciato a dare la volta, pare che non si rilievi o resusciti di niente, o sia che giá sono cominciati in lei e’ costumi cattivi e le corruzione che nascono dalle grandezze delle cittá, o pure proceda dallo ordine delle cose del mondo che hanno terminata la vita alle cittá ed agli imperi come a’ corpi degli uomini, e però hanno nella vecchiaia sua manco valore e manco virtú vitale che nella giovanezza.
Ed avvertite bene che se questo governo che commincia disordinato non si riordina, bisogna che la fine sia o la ruina della cittá, la quale perda el dominio e diventi sottoposta, o che si torni in una tirannide, dove communemente capitano tutti e’ governi populari licenziosi. Se sará quella de’ Medici ará le male condizioni dette di sopra; e qualunche altro fussi non potrá essere che non sia molto piú strana che le passate; e la ragione è in pronto, perché lo stato de’ Medici non successe a una libertá ma a uno stato di pochi, in modo che allo universale che non aveva el governo in mano non pareva perdere niente e facilmente comportava che lo stato andassi da l’uno a l’altro. Anzi le condizioni di que’ tempi erano tale, che sempre e’ minori facevano bene di questi travagli e mutazione, perché si spegnevano e’ principali, ed e’ bassi erano tirati su e si venivano sempre nobilitando e migliorando el grado suo, ed e’ capi del governo non avevono causa se non di carezzargli perché gli avevono per amici. E questo era vero in ogni novitá, e fu molto piú in quella del 34, perché la casa de’ Medici tra gli altri fondamenti che ebbe di crescere, fu el favore degli uomini bassi. Ma ora che el popolo ara gustato la dolcezza della libertá ed uno reggimenlo dove a ognuno pare avere parte, non si potrá piú fare stato stretto che non sia in sommo odio dello universale, e chi ne sará padrone bisognerá che viva pieno di sospetto e si fondi in su la forza; e che stati siano quegli ne’ quali ha a regnare la violenzia ed el sospetto voi lo sapete sanza che io lo dica.
Voglio di questo inferire un’altra cosa alla quale a me non toccherá a pensare, perché la vita mia non si allungherá tanto; ma voi che siate ancora di fresca etá ed a’ quali, se non si viene in una estrema confusione, non può mancare riputazione grande a Firenze, dovete, come vi dissi ieri, levati tutti gli altri fini, pensare di avere a vivere sotto a questo e governarvi di sorte che si abbia a credere che voi abbiate questa voluntá, stando con la disposizione e co’ fondamenti vostri da potere aiutare ogni occasione che si presentassi di riordinarlo, non vi lasciando però traportare tanto da questo desiderio che vi mettiate a farne pruova innanzi al tempo. Perché le medesime imprese che fatte fuora di tempo sono difficiliime o impossibili, diventono faciliime quando sono accompagnate dal tempo e dalla occasione, ed a chi le tenta fuora del tempo suo non solo non gli riescono ma è pericolo che lo averle tentate non le guasti per a quello tempo che facilmente sarebbono riuscite, e questa è una delle ragione che e’ pazienti sono tenuti savi. E nel riordinare le cose se la occasione verrá, ricordatevi che se non potrete condurle totalmente a quello segno che starebbe bene, che vi basti che almanco si conduchino in grado tollerabile e che si mantenga viva la cittá; e del resto piú presto andate comportando e temporeggiatevi el meglio che potete, che desideriate novitá, perché non vi potrá venire cosa che non sia peggio. Ma oramai è tempo che io dia luogo a voi, perché non mi occorre dire altro ed ho detto assai piú che io non credetti da principio.
Guicciardini. Diteci ancora, vi prego, dua cose: che tempo vorresti voi che avessi a avere el gonfaloniere a vita, e se voi volessi che gli uffici che si aranno a fare in consiglio grande si faccino tutti per le piú fave.
Bernardo. E’ viniziani non credo mettino termine alla etá del doge, e giá ne fu uno chiamato inesser Andrea Dandolo, di chi el Petrarca nostro fu molto familiare, che fu eletto di circa trenta anni o poco piú. El papa ancora lui può essere eletto giovane, e lo ultimo Bonifazio fu eletto di ventotto anni. E’ romani osservorono lungamente el medesimo nel consulato; di poi ordinorono che non potessi essere constile chi non avessi quarantadue anni. Furono in Roma molti giovani eccellenti, come gli Scipioni ed altri, e’ quali se per la etá fussino stati esclusi da’ magistrati, sarebbe stato danno grande della republica, in benificio di chi feciono giovani si egregie opere; ed el medesimo può accadere in ogni cittá ed in ogni etá. Nondimanco in uno grado supremo che abbia a stare a vita come questo, io lo vorrei di etá matura, perché oltre che la è ordinariamente piú moderata e manco pericolosa, ed ha seco piú maiestá, chi vi stessi anche tanto quanto potrebbe stare uno giovane, verrebbe troppo in fastidio agli altri. È fresco in Vinegia lo esemplo di messer Francesco Foscaro che fu si eccellente doge e si savio quanto avessi forse mai quella cittá, ed a tempo di chi feciono tanti acquisti; e nondimanco perché stette piú di trenta anni, venne tanto a noia a quegli gentiluomini, che allegando che era rimbambito perché altro non potevano dire, lo deposano.
Gli uffici principali, oltre a quello che ho detto del gonfaloniere e de’ senatori, vorrei che a ogni modo si facessino per le piú fave, come gli otto di balia, gli arroti al senato, el capitano di Pisa, di Arezzo, di Pistoia, di Volterra e di Cortona; e perché sono uffici importanti, e perché vorrei che questi gradi fussino come scale da onorare e’ cittadini, ché in uno governo libero dove si cerca di avezzare gli uomini alla estimazione degli onori e si pensa di dare pasto a molti di qualitá, è molto a proposito che vi siano piú gradi reputati che si può, che siano come scale l’uno a l’altro; e però fanno saviamente e’ viniziani che non manderebbono fuora in uno officio minore chi giá ne avessi avuto uno maggiore. Farei ancora le ròcche di piú importanzia; e se el popolo non si contentassi a questo ordine, farei almanco che di quegli che andassino a partito si pigliassino tanti delle piú fave e si mettessino alla sorte. In effetto el fine mio sarebbe che gli uffici che importano si facessino per le piú fave; negli altri che importano meno si imborsassino tutti quegli che vincessimo el partito per la metá delle fave ed una piú. Pure farei piú o manco secondo mi potessi fidare, ed in quegli che restassino per le piú fave o a’partiti stretti, aggiugnerei a ogni modo che poi che ne fussi andato uno certo numero a partito, si togliessino quegli delle piú fave ancora che non avessino vinto; e questo acciò che el consiglio non potessi col non vincere, sforzare a fare una provisione che allargassi questi modi piú che non si fussi ordinato da principio.
Guicciardini. Io dirò pure ancora un’altra parola. Voi avete laudato le arme de’ romani come meritamente sono laudate da ognuno, e biasimato molto el governo di drento che ancora è secondo la opinione di molti; pure io ho udito disputare qualcuno in contrario, e le ragione che loro allegano sono che ponendo quello fondamento che nessuno nega né può negare, che la milizia sua fussi buona, bisogna confessare che la cittá avessi buoni ordini, altrimenti non sarebbe stato possibile che avessi buona disciplina militare. Dimostrasi ancora perché non solo nella milizia ma in tutte le altre cose laudabili ebbe quella cittá infiniti esempli di grandissima virtú, e’ quali non sarebbono stati se la educazione non vi fussi stata buona, né la educazione può essere buona dove le legge non sono buone e bene osservate, e dove sia questo, non si può dire che l’ordine del governo sia cattivo. Dunche ne seguita che quegli tumulti tra e’ padri e la plebe, tra e’ consuli ed e’ tribuni, erano piú spaventosi in dimostrazione che in effetti, e quella confusione che ne nasceva non disordinava le cose sustanziali della republica.
Di poi essendo el numero del senato piccolo, quello del popolo grandissimo, bisognava che e’ romani si disponessino o a non si servire del popolo nelle guerre, il che arebbe tolto loro la occasione di fare quello grande imperio, o volendo potere maneggiarlo, gli comportassino qualche cosa e lasciassingli sfogare gli umori suoi, che non tendevono a altro che a difendersi dalla oppressione de’ piú potenti ed a guardare la libertá commune. E se si discorre bene, dalla deposizione de’ re insino a’ Gracchi, ancora che facessino grandissimi romori, furono con danno di pochi cittadini, e sanza mai venire tra loro alle arme. Né negano che se si fussi potuto trovare uno mezzo che sanza avere el popolo tumultuoso si fussino potuti valere di lui alla guerra, sarebbe stato meglio; ma perché nelle cose umane è impossibile che una cosa sia al tutto buona sanza portare seco qualche male, è da chiamare buono tutto quello che sanza comparazione ha in sé piú bene che male. E cosí fu del governo di Roma, dove el male e disordine che ebbe nacque piú dalla natura delle cose che non si possono avere in tutto nette, che da mancamento de’ loro ordini; ed el magistrato de’ tribuni che sopra tutto è dannato da chi biasima el governo romano, oltre al difendere, come è detto, el popolo dalle oppressione de’ grandi, fu una guardia della libertá commune, si per la facultá di proporre al popolo nuove legge, come per la intercessione e molto piú per le accusazione che sono utilissime in una cittá libera, perché battono e’ cittadini perniziosi e dánno terrore grande a ognuno di machinare contra la libertá e di vivere contra le legge. Perché se si aspetta che e’ delitti siano puniti sanza che vi sia chi gli metta in luce e chi gli cacci, si fa spesso tardi e sempre negligentemente; ed in questo manca forse el governo disegnato da voi, perché non avete pensato a’ modi che invitino gli uomini o gli necessitino a fare questo effetto; sanza che anche forse e’ tribuni o uno magistrato simile non sarebbe inutile per moderare el senato, che vorrá forse arrogarsi troppo e pensare al continuo di crescere la potenzia sua, massime che come voi avete detto, è sempre tra lui e la moltitudine una certa diversitá di opinione, e però bisogna che vi sia qualche mezzo a moderare quella parte che ha piú facultá di opprimere l’altra. E questo tutto ho voluto dire per darvi occasione di discorrere tanto piú nella materia de’ governi ed imparare quale sia migliore parere.
Bernardo. Io non voglio replicare alla modestia tua per non consumare el tempo in cerimonie, e però venendo allo stretto, replico che come di’ tu e come dice ognuno, la disciplina militare de’ romani fu ordinatissima, la quale fu fondamento della grandezza loro. Dico ancora che el governo di drento fu tumultuoso e pieno di sedizione, che se non fussi stata si vigorosa la virtú militare arebbono molte volte precipitata quella republica. E questo a giudicio mio procedeva da essere male ordinato, e quelle ragioni medesime che tu alleghi per scusarlo ed attribuirlo a necessitá causata da fine eli maggiore bene, dimostrano, se io non mi inganno, essere vero quello che dico io.
Le divisione de’ romani delle quali noi parliamo, ebbono principalmente una origine medesima, cioè da essere distinti gli ordini della cittá: una parte patrizi, l’altra plebei, ed el governo ordinato in modo che e’ magistrati e gli onori toccavano solamente a’ patrizi, ed e’ plebei ne erano esclusi per legge, donde si poteva dire che una parte della cittá fussi in dominio, l’altra in servitú. Questo solo non sarebbe forse bastato a fare nascere le discordie che nacquono, perché ancora che e’ plebei fussino sanza comparazione piú in numero, la minore parte era quella che aspirava al governare ed a questi gradi, ed essendo la minore parte non sarebbe stata sufficiente a venire in controversia co’ patrizi; ma ci si aggiunse un altro stimolo che fu quello che sollevò la plebe bassa, e questo è che e’ patrizi non usorono moderatamente la sua autoritá, anzi cominciorono a fare ingiuria a’ plebei ed a stringergli nelle cose di ragione, come ne’ pagamenti de’ debiti ne’ quali non si contentavono torgli le sustanzie, ma non bastando, bisognava che le persone andassino in mano de’ creditori. Dalle quali asperitá si dette occasione a’ plebei principali di tirare in sentenzia sua la plebe bassa, e fatto a queste imprese uno corpo medesimo, cercare legge nuove di provedere a’ debiti e di abilitare e’ plebei agli onori, che si proponeva in gran parte sotto colore che la plebe bassa non si assicurerebbe mai dalle ingiurie se e’ suoi non entravono nel governo. E ci si aggiunse in progresso di tempo, come sono gli animi degli uomini augumentatori de’ commodi suoi e che non stanno mai contenti a’ primi disegni, la cupiditá del dividere le possessione che erano state a principio del publico. Ma questo fu l’ultimo stimulo, perché piú premeva el caso de’ debiti per e’ quali le persone andavono in servitú, che non moveva la voglia di dividere e’ beni occupati dagli altri; e questo è secondo l’ordine naturale: pensare prima a conservare el suo e poi a occupare quello che tiene altri.
Questi ordini non nacquono di nuovo al tempo della libertá, ma nacquono insieme con la cittá e stettono a tempo de’ re, perché da principio furono distinti e’ patrizi da’ plebei, ed el senato innanzi a Tarquinio Superbo, che converti piú el regno a tirannide che non avevono fatto gli antecessori, interveniva, insieme co’ re, alla cura della republica, perché e’ re consultavano col senato tutte le cose di momento. Ma allora questa distinzione non poteva per molte cagione fare disordine; prima, perché el re che era superiore a tutti non lasciava ingiuriare la plebe, anzi si ingegnava di tenerla bene contenta, e vi fu di quegli che passorono piú presto el segno in tratenerla troppo ambiziosamente che altrimenti; ma almanco gli proibivano le ingiurie, e se per malignitá della fortuna la vedevano in qualche calamitá, cercavano di soccorrere a’ commodi suoi.
Leggesi di Servio che pagò e’ debiti de’ poveri del suo proprio, divise le possessione publiche che erano usurpate da’ potenti, ed ordinò che le gravezze che andavono prima cosi adosso al povero come al ricco, si distribuissino secondo le possibilitá degli uomini, e fece molte altre legge equali. Però essendo e’ re defensori che la plebe non fussi ingiuriata, e soliti a soccorrerla nelle sue necessitá, non avevano causa di desiderare di intervenire al governo, che [è] uno stimulo che muove solo quegli di piú qualitá. Vedete che doppo la cacciata de’ re, quando fu in facultá del populo fare e’ tribuni con potestá consiliare o patrizi o plebei, la plebe medesima eleggeva sempre e’ patrizi; ed in ultimo, quando quegli tribuni che continuorono tanti anni el magistrato, publicorono legge nuove de’ debiti, delle possessione e del consulato, la plebe vinceva le prime e ributtava l’ultima se le avessino messe a partito separate; né dette loro alla fine el cuore di potere conseguire gli onori, se la legge non stava in modo che di necessitá avessi a essere sempre consule uno plebeo.
A tempo adunche de’ re, la plebe non fece mai romore di essere esclusa dagli onori, perché era difesa dalle ingiurie, e tanto piú che essendovi el re dal quale dependevano alla fine le deliberazione, lo intervenire nel governo non era di tanta autoritá né tanto stimato, quanto fu poi a tempo della libertá. E ci si aggiugne che e’ re messono molte volte ne’ patrizi molti plebei; in modo che quegli di piú qualitá speravano di potere diventare patrizi, e cosí lo universale della plebe, non sendo oppressato da persona ed essendo qualche volta sollevato da’ re, stava contento, ed e’ principali plebei non erano fuora di speranza di essere ammessi agli onori. Queste ragione cessorono tutte per la cacciata de’ re, perché la autoritá de’ patrizi diventò grandissima, sendo transferita in loro la potestá e la maiestá regia, e la plebe restò esposta alle ingiurie ed insolenzie loro, non avendo piú chi la difendessi e sanza sollevamento alcuno del rigore della ragione, ed e’ principali plebei non solo sanza dignitá ma sanza speranza di poterne mai avere in quella forma di governo, perché e’ patrizi tenevono serrata la via degli onori e piú presto gli arebbono communicati a qualche forestiero che a uno plebeo; tanto è naturale a chi tiene grado di nobile, avere in fastidio e reputare vili quelli che sono tenuti ignobili nella medesima patria.
Questa alterazione non fu avvertita nella cacciata de’ re; perché gli uomini, quando una cosa gli molesta, sono tanto intenti communemente a liberarsene che non avvertiscono a’ mali che sono per succedere per la liberazione di quella, e se pure gli cognoscono gli stimano manco, sperando avere tempo a provedervi; ed anche accade in una libertá nuova che gli uomini, per non essere assuefatti a quello modo di vivere, non intendono bene la natura del governo libero, né sanno nel principio ordinare bene una forma di republica. E certo se voi leggete le antiche istorie, io non credo che voi troviate mai o rarissime volte che una cittá in una ordinazione medesime sia stata ordinata perfettamente; ma ha avuto qualche principio non perfetto, e nel processo del tempo si è scoperto quando uno disordine quando un altro, che si è avuto a correggere. Però si può dire con veritá che a ordinare una bella republica non basta mai la prudenzia degli uomini, ma bisogna sia accompagnata dalla buona fortuna di quella cittá, la quale consiste che e’ disordini che scuopre la giornata ed esperienzia si scuoprino in tempo ed in modo e con tale occasione che si corregghino. E questo mi fa avere qualche speranza che questo vostro governo si possi ordinare, benché, come ho detto piú volte, maggiore la arei se la cittá fussi giovane, perché sarebbe piú facile a ricevere le impressione e non arebbe la fortuna sua ancora stracca.
Ma ritornando a proposito, voi vedete quale fu la causa delle sedizione di Roma, perché si trovò male condizionata quella parte che sanza comparazione era maggiore e sanza la quale la cittá, che aveva ogni fondamento suo nelle arme, non poteva fare la guerra. Né si può negare che questo fussi grande disordine, ordinare uno governo che si può dire che aveva bisogno di ognuno, e che quasi ognuno ne fussi ragionevolmente mai contento. Però el modo vero sarebbe stato che la cittá fussi tutta di uno medesimo corpo, e quanto al participare del governo non fussi distinzione da’patrizi a’plebei; cosí sarebbono stati uniti, e cessavano le cagione delle ingiurie, né alcuno arebbe avuto causa di suscitare el popolo a tumulti per aprirsi la via agli onori. E che sia vero lo mostra che poi che el consulato e gli altri magistrati furono communicati a’ plebei, e moderata la severitá de’ creditori, la cittá stette tranquilla centinaia di anni insino alle sedizione dei Gracchi che ebbono altra origine; ed e’ tribuni della plebe che prima era stato magistrato tumultuoso stettono assai quieti, si perché e’ plebei principali, poi che erono abilitati al governo, non avevano causa di fare nascere sedizione, si perché quando bene avessino avuto questa intenzione, non trovavano disposta la plebe che non aveva necessitá. E che el governo romano dovessi essere cosi, lo pruova meglio che nulla la ragione che allegò Piero Guicciardini, che volendo adoperare la plebe alle arme, bisognava tenerla satisfatta; o volendo tenerla mal contenta bisognava abbandonare el traino della milizia. Ma perché e’ patrizi, volendo tenere gli onori in sé, non vollono fare questo, e da altro canto non pensorono o non seppono trovare modo che la plebe vivessi sicura dalle ingiurie e che a’ principali plebei fussi aperta la via di potere essere tirati qualche volta ne’ patrizi, cominciorono le divisione; che furono di tale peso che, come io dissi da principio, se la cittá non avessi avuto la disciplina militare tanto viva, vivendo con quelle sedizione, sanza dubio precipitava.
Voi sapete quante volte essendo gli inimici per el paese e quasi in su le porte, la plebe recusò di pigliare le arme; quante volte gli eserciti per dispetto de’ consuli e del senato recusorono combattere e qualche volta si messono in fuga. Sapete la andata della plebe nel Monte Sacro e poi nel Ianiculo; che essendo occupato el Capitolio da’ servi e temendosi che in soccorso loro non venissino gli inimici vicini, non volle el popolo pigliare le arme, che fu con grandissimo pericolo della cittá. Sapete che per le medesime sedizione stettono tanto tempo sanza magistrati curuli, con difficultá di ragunare el senato; gittoronsi a fare e’ dieci sanza appello, donde ne nacque una tirannide che sarebbe continuata piú ed afflitta la cittá, se lo avere el popolo armato non gli avessi liberato.
Si conterebbono molti altri accidenti che non potevano essere piú periculosi e piú perniziosi; ma la riputazione delle arme loro era tale, che molte volte e’ vicini, ancora che gli vedessino disordinati, non ardivano di assaltargli, e quando pure gli assaltavano, benché tardassino a uscire fuora, lo facevano poi con tanto vigore e con tanto nervo, che resarcivano presto tutto quello che per le divisione loro avevano perduto. Se avessino guerreggiato con le arme mercennarie ed in consequenzia avuto a valersi come fanno le cittá disarmate, della sollecitudine, della diligenzia, del vegghiare minutamente le cose, della industria e delle girandole, non dubitate che vivendo drento come facevano, pochi anni la arebbono rovinata. Ed anche cosí fu in grandissimi pericoli, ma la salute sua fu che e’ patrizi si andorono sempre ritirando, ed ancora che lo facessino con difficultá e combattessino quanto potevano, cedevano pure alla fine, perché essendo in numero molto minore, non potevano venire alle mani; che se fussino stati piú del pari, non arebbono voluto communicare el governo. E nonostante questo furono qualche volta in dubio di pigliare le arme e di amazzare e’ tribuni; ma la prudenzia de’ vecchi sempre ritenne e’ giovani, non perché io creda che avessino quello rispetto che scrive Livio, che e’ tribuni erano sacrosanti e che gli avevano accettati per legge, ma perché considerorono che ogni principio di sangue civile era totalmente la rovina di tutti.
Alla fine fu necessario per non rovinare la cittá cedere alla plebe e communicare el governo, ma doppo molte sedizione e pericoli; e perché non si fece al tempo suo, restorono col magistrato de’ tribuni, el quale io giudico che fussi di piú danno che di utile, perché la autoritá che avevano di potere tutti e ciascuno di loro portare le legge al populo era perniziosa, atteso che el popolo non ha tanta capacitá che basti, ed è la rovina delle cittá che le deliberazione importanti siano portate a lui, se prima non sono digestite in luogo piú maturo. El medesimo dico della facultá delle conzione: che vorrei ni tutto escluderne el popolo, se non da quelle che si fanno da’ magistrati o per ordine loro, per persuadere una cosa giá deliberata in senato. Discorrete Livio e gli altri: quante volte le conzione de’ tribuni e le legge portate da loro al popolo turborono la cittá; e negli ultimi tempi de’ Gracchi, della grandezza di Mario, della tirannide di Silla e della troppa potenzia di Pompeo, tutti quegli mali si feciono con lo instrumento di questo magistrato. E se bene e’ consuli avevano la medesima autoritá delle conzione e del proponere le legge, iamen essendo membro del senato non gli pareva si convenissi a loro el farlo, come a’ tribuni che erano pagati per questo, e però rarissime volte lo facevano, e quando lo facevano la plebe non gli prestava fede come a’ tribuni, essendo magistrato suo e che aveva titolo di pensare a’ commodi della plebe.
Avevano la autoritá di intercedere, tutti e ciascuni di loro, a tutte le deliberazione de’ magistrati, del senato e del popolo, cosa che forse nel principio fu necessaria per difendere la libertá della plebe, ma come el governo fu communicato, fu si poco ragionevole e di tanto danno che io non saprei dirne la metá; che uno ometto sanza riputazione, sanza cervello, sanza esperienzia potessi solo disturbare quello che consultava uno senato o voleva una cittá intera. Però doppo quello tempo le intercessione non si facevano mai, se non o per benefício ed instanzia di privati che comperavano el no di uno tribuno, o se pure si movevano per iudicio suo erano opinioni erronee e di poco discorso. Dello accusare diremo di sotto che fu di utile, ma non da paragonare a’ danni che io ho detto; e’ quali non sarebbono stati se dal principio della cacciata de’ re fussi stato communicato el governo alla plebe come si fece poi, perché non si sarebbe pensato a fare tribuni.
E perché Piero disse che lo esservi la disciplina militare buona è segno che gli ordini vi erano buoni, io potrei rispondere che se io non mi inganno, le ragione che io ho allegato sono si chiare, che dove gli effetti si toccono con mano, non accade cercare e’ segni. Ma andando piú oltre, la disciplina militare fu ordinata da’ re e si può dire che nascessi con la cittá, e sanza dubio se si avessi avuta a ordinare in quelli tempi tumultuosi che furono qualche volta per rovinarla, non si ordinava mai; però essendovi la cittá abituata drento, né avendo gli uomini altra bottega che la milizia, fu manco difficile el conservarla, e tanto piú che non fu mai cittá nuova che surgessi tra vicini con maggiore odio e con maggiore invidia, che sempre si andò multiplicando; e però essendo tra vicini armati ed inimicissimi non ebbe mai luogo di allentare la milizia. Né io ho biasimato el governo romano in tutti gli ordini suoi, anzi oltre al laudare la disciplina militare, laudo e’ costumi loro che furono ammirabili e santi, lo appetito che ebbono della vera gloria, e lo amore ardentissimo della patria, e molte virtú che furono in quella cittá piú che mai in alcuna altra. Le quali cose non si disordinorono per la mala disposizione del governo nelle parti dette di sopra, perché le sedizione non vennono a quegli estremi che disordinano tutti e’ beni delle cittá, ed el vivere di quelle etá non era corrotto come sono stati e’ tempi sequenti, massime sendo la cittá povera e circundata di inimici che non gli lasciava scorrere alle delizie ed a’ piaceri; in modo che io credo che non tanto le legge buone, quanto la natura degli uomini e la severitá di quegli antichi tempi, massime in quella parte di Italia che ebbe questa prerogativa sopra le altre, producessino quelle virtú e quelli costumi tanto notabili e la conservassino lungamente sincera da ogni corruzione di vizi. Vedete che ne’ tempi sequenti la cittá fu sempre meglio ordinata di legge ed era unita e concorde, e pure gli uomini andorono imbastardendo, e quelle virtú eccellente si convertirono in vizi enormi, e’ quali non nascono dalle discordie delle cittá, ma dalle ricchezze, dalle grandezze degli imperi e dalle sicurtá; oltre che quando bene non si vegga causa alcuna evidente, la conversione naturale delle cose del mondo che non possono durare perpetue, fa queste variazione e corruzione.
Circa le accusazione, le quali quando sono bene regolate sono sanza dubio utili in una cittá, non lodo che si possino fare al consiglio grande, perché io non confido al giudicio del popolo, né loderò mai che per principale deliberazione si riduca a lui alcuno caso importante. Piacemi che nelle cose criminali e’ cittadini siano giudicati o da uno magistrato, dalle sentenzie di chi si possi appellare al senato, o da quell’altro consiglio detto di sopra. Ed e’ modi che noi abbiamo del mandare le querele in questi tamburi o altrimenti scritte sanza mettere el nome, apre la via agli accusatori perché cosí non ne mancano; e se bene non ci è poi la vivacitá del ricercare le pruove e di mettere in luce el delitto, pure chi ara a giudicare lo fará in parte, ed essendo el governo nostro ordinato e difeso come io ho detto, non è forse di molta importanzia questo articolo; e come el governo cominciassi a essere amato ed a venire in riputazione, e che si vedessi che el dimostrare gli uomini ingegno ed amore alla libertá gli facessi crescere, forse che la natura farebbe per sé medesima che gli uomini in magistrato o privati piglierebbono di questi assunti contro a’ cittadini perniziosi e pericolosi alla libertá. Sanza che io loderei che anche a questo si trovassi qualche ordine, e fussi moderato e conveniente, cosí dico in tutti gli altri capi ragionati, che molte cose si disegnono e propongono che paiono belle e buone, e nondimanco la esperienzia scuopre poi in loro qualche difetto che l’uomo non lo arebbe mai immaginato. Però credo che e’ fini a’ quali io ho indirizzato le cose siano buoni, ma ne’ modi potrebbe essere qualche fallacia, e questi si arebbono a moderare e correggere secondo che la esperienzia e gli accidenti insegnassino. Credo anche per la ragione medesima che forse questo governo non partorirá tanti beni quanti l’uomo si propone, né tanta sicurtá e concordia quanta si disegna, massime che nelle cose del mondo vi è sempre per natura qualche contrapeso; nondimanco computato tutto, mi pare essere certo che secondo e’ governi di che è capace questa cittá, questo sarebbe el migliore, e se gli effetti non sequissino tutti buoni, almeno e* principali e tanti sarebbono tali, che e’ cervegli moderati e quieti arebbono da contentarsi; ed agli uomini che sono savi basta quando hanno la piú parte delle cose a suo modo, perché è impossibile averle tutte.
Capponi. Questa è conclusione verissima ed ottima, cosi come è stato el ragionamento vostro in ogni sua parte, e sanza dubio seguitando questi ordini non si può sperare altro che effetti utilissimi. Ma io desiderrei intendere al parere vostro, se voi giudicassi che fussi bene che in questi travagli di Italia che si apparecchiano, come voi avete detto, grandissimi, oltre al cercare la recuperazione di Pisa, se riavuta che la fussi, si offerissi occasione di ampliare el dominio per via di questi oltramontani con danari o con altri mezzi, si debbe pigliarla o pure lasciarla, per non ci tirare in tempi tanto strani umori nuovi adosso.
Bernardo. Se tu mi dimandassi che sarebbe meglio a una cittá, o vivere contenta della libertá sua quando potessi averla sicura sanza volere dominio, come sono oggi di molte terre nella Magna, o voltare lo animo al fare imperio, io saprei che rispondere; ma el tuo quesito è diverso, perché noi siamo di quegli che abbiamo dominio, e poi che abbiamo avuto forze siamo vivuti sempre in su questa via, dalla quale non ci possendo piú ritirare, io non posso per l’ordinario biasimare che venendo occasione netta, cioè sanza implicarci in guerra ed in travagli, la non si pigli. E se io fussi certo che Italia avessi a restare presto in mano degli italiani, io direi non ci essere da pensare punto, perché cosí sarebbe da lodare ora lo acquistare Lucca o Siena, come fu a tempo de’ passati nostri Pisa ed Arezzo, né essendo in Italia altro che potentati italiani, non aresti da dubitare di conservare quello che voi acquistasti; ed ancora che vi si tirassi invidia adosso, vi potrebbe poco ofendere, perché dagli equali vostri vi difenderesti facilmente, e nessuno ci è tanto superiore che con qualche aderenzia di altri, che avendo a fare con italiani non vi mancherebbe mai, non potessi mostrargli el viso.
È vero che se questi oltramontani grandi domineranno in Italia, io giudico che piú facilmente si conserverá una grandezza simile alla vostra che una maggiore, perché non essendo voi si grandi che abbino da temervi, vi coprirete meglio che se fussi maggiori, e potrá bastare loro valersi di voi col cavarne danari. Ma le grandezze piú eminenti aranno a pensare di abbassarle per levare via chi gli può ofendere in Italia, e però cercheranno di distruggerle totalmente o moderarle, di sorte che patiranno molto piú che quegli di chi non aranno fatto altro pensiero che di valersene. Però se si vedrá costoro fare piede in Italia come io credo, non so se vi consigliassi di pensare a fare augumento, atteso che non può essere tale che vi renda sicuri da potenzie si grosse, massime che voi non potete acquistare cose notabile che non abbiate molta difficultá a conservarle, perché la cittá è situata in luogo molto incommodo alla ampliazione del dominio.
Avete la vicinitá della Chiesa, che è troppo grande a comparazione vostra, e la reverenzia ed autoritá di chi non muore mai; e se talvolta qualcuna delle sue ragione è si invecchiata che è quasi in oblivione, tornano poi e’ tempi, e risurge piu fresco el suo diritto e piú potente che mai. Da altro canto non è si piccolo luogo in Toscana che non sia stato libero e che quasi ora non aspiri alla libertá; lasciamo andare Arezzo che per la antichitá sua e Pisa che per la potenzia moderna, pare che abbino qualche causa di tenere ancora la memoria del dominare; insino a Prato, a San Gimignano non sono alieni da questo pensiero, e dove sono queste radice non si può signoreggiare se non per forza, ed in ogni travaglio se ne ha infinite difficultá. Però hanno avuto e’ passati nostri grandissima fatica a fare e conservare questo dominio, ed a noi è grandissimo impedimento; che se avessimo per vicini popoli soliti a stare sotto altri, o republica o principe, avendo in ogni modo a servire, non arebbono disposizione ostinata di non stare sotto di noi, né uno principe o republica o a chi noi avessimo tolto qualche cosa, arebbe quella facilitá a ripigliarlo che ha la Chiesa, ed almanco le ragione sue col tempo si invecchierebbono ed anichilerebbono.
Queste difficultá non hanno avuto e’ viniziani, lo stato de* quali in terraferma non ebbe mai a sbarbare libertá, né hanno avuto la Chiesa per vicina; però è piú mirabile quello poco dominio che voi avete acquistato in Toscana, che quello grande che loro hanno fatto in Lombardia. E per questa ragione insieme con -le altre, se oltramontani staranno in Italia come io credo che staranno, vi conforterei, recuperato che avessi Pisa, a conservare el vostro. Pure lo acquistare è cosa dolce, e gli accidenti del mondo vanno in modo che anche e; piú savi si ingannano quasi sempre nel fare giudicio de’ successi de’ casi particulari, e l’uomo molte volte si immagina che una cosa abbia a andare per uno verso, che poi riesce tutto el contrario. Però quando el male di che l’uomo teme non è molto propinquo o molto certo, ed a comparazione sua el bene di che si ha occasione non è minimo, chi lo lascia resta sanza esso, e di poi spesso non viene quello di che si temeva, tanto che per uno timore vano si perde la occasione di uno certo bene. Per questo, durando e’ frangenti in che al presente si truovi Italia, non ardirei dare regola certa se non in uno caso solo: che vi astegnate da quelle imprese di acquistare che non sono molto nette e che allora vi possono mettere in pericoli e travagli, e negli altri casi vi governiate secondo la qualitá de’ tempi ed accidenti che allora correranno.
Soderini. Per ora ci bisogna pensare a altro, perché abbiamo dua ferite mortali: la perdita di Pisa ed e’ Medici forusciti, e’ quali per gli amici che hanno in Firenze e nel dominio e per la riputazione grande della casa, ci daranno che fare.
E perché di Pisa abbiamo inteso el parere vostro, vorrei ci dessi qualche ricordo in che modo ci potessimo governare circa le cose de’ Medici.
Bernardo. L’una e l’altra ferita è grande, e maggiore è quella de’ Medici, perché molti accidenti possono venire che le cose di Pisa terminerebbono presto, ma pochissimi che faccino che el pericolo de’ Medici non duri molti anni; di poi questo è uno male che è drento e tocca le parte vitali. E di Pisa mi rimetto a quello che dissi di sopra, aggiugnendo che questo male che è difficile a sanare, arebbe bisogno di medicine forti, e per parlare in vulgare, di crudeltá; la quale userebbe forse uno principe o uno stato di uno, ma uno governo di popolo ne sará alienissimo. Dico che e’ pisani ci sono inimici ostinatissimi, né abbiamo da sperare di avergli mai, se non per forza; però bisognerebbe ammazzare sempre tutti e ’ pisani che si piglieranno nella guerra, per diminuirvi el numero degli inimici e fare gli altri piú timidi; e se facessino a voi el medesimo de’ vostri sarebbe poca perdita, perché con danari ne aresti degli altri; almanco mettergli in prigione tale che non avessino a sperare di uscirne insino che voi non ricuperassi Pisa. Che se voi cominciate a trattarla a uso delle guerre di Italia, con le taglie e collo scambiare prigioni, nutrirete una guerra piú lunga che voi non vorresti, e chi governassi bene questa parte con lo ammazzargli o imprigionargli tutti, o di ammazzarne parte ed imprigionarne parte secondo che el progresso delle cose consigliassi, ma non mai lasciarne nessuno, gli invilirebbe tanto che vi faciliterebbe assai questa impresa.
La ultima rotta che e’ genovesi dettono a’ pisani alla Meloria gli afflisse in modo, che mai piú Pisa recuperò el suo vigore, e la causa fu perché mai lasciorono e’ prigioni, che fu grandissimo numero; di che nacque che Pisa non solo non si potè piú valere di quegli che furono presi che morirono in prigione, ma ancora ne perdé la progenie che ne sarebbe nata se fussino stati a Pisa. E se si dicessi che procedendo cosí si acquisterebbe nome di crudeltá ed anche di poca conscienzia, io vi confesserei l’uno e l’altro; ma vi direi piú oltre che chi vuole tenere oggidí e’ domini e gli stati debbe, dove si può, usare la pietá e la bontá, e dove non si può fare altrimenti, è necessario che usi la crudeltá e la poca conscienzia. E però scrisse Gino tuo bisavolo in quegli ultimi Ricordi suoi, che bisognava fare de’ dieci della guerra persone che amassino piú la patria che la anima, perché è impossibile regolare e’ governi e gli stati, volendo tenerli nel modo si tengono oggi, secondo e’ precetti della legge cristiana.
In che modo si potrá secondo la conscienzia fare una guerra per cupiditá di ampliare el dominio, nella quale si commette tante occisione, tanti sacelli, tante violazione di donne, tanti incendi di case e di chiese ed infiniti altri mali? E nondimanco chi in uno senato per questa ragione e non per altro dissuadessi el pigliare una impresa miscibile ed utile, sarebbe rifiutato da tutti. Ma diciamo piú oltre: in che modo potresti voi secondo la conscienzia ricevere una guerra per diflfesa ancora delle terre che voi possedete? Anzi se bene non vi è fatto guerra e che nessuno non ve le dimandi, come potete voi tenere el vostro dominio, nel quale, se voi considerate bene, non è forse niente che sia vostro, avendo voi occupato tutto o almanco la maggiore parte con arme o con comperarlo da chi non vi aveva drento alcuna ragione? Ed el medesimo interviene a tutti gli altri, perché tutti gli stati, chi bene considera la loro origine, sono violenti, e dalle republiche in fuora, nella loro patria e non piú oltre, non ci è potestá alcuna che sia legitima, e meno quella dello imperatore che è in tanta autoritá che dá ragione agli altri; né da questa regola eccettuo e’ preti, la violenzia de’ quali è doppia, perché a tenerci sotto usono le arme spirituali e le temporali.
Vedete chi volessi dirizzare gli stati alla strettezza della conscienzia dove gli ridurebbe. Però quando io ho detto di ammazzare o tenere prigionieri e’ pisani, non ho forse parlato cristianamente, ma ho parlato secondo la ragione ed uso degli stati, né parlerá piú cristianamente di me chi, rifiutata questa crudeltá, consiglierá che si faccia ogni sforzo di pigliare Pisa, che non vuole dire altro che essere causa di infiniti mali per occupare una cosa che secondo la conscienzia non è vostra. E chi non cognosce questo non ha scusa appresso a Dio, perché come sogliono dire e’ frati, è una ignoranzia crassa; chi lo cognosce non può allegare ragione perché ne l’uno caso si abbia a osservare la conscienzia, nello altro non si abbia a tenerne conto. Il che ho voluto dire non per dare sentenzia in queste difficultá che sono grandissime, poi che chi vuole vivere totalmente secondo Dio, può mal fare di non si allontanare totalmente dal vivere del mondo, e male si può vivere secondo el mondo sanza offendere Dio, ma per parlare secondo che ricerca la natura delle cose in veritá, poi che la occasione ci ha tirati in questo ragionamento, el quale si può comportare tra noi, ma non sarebbe però da usarlo con altri, né dove fussino piú persone.
Ma ritorniamo a quello che resta, cioè circa e’ casi de’ Medici; a che e’ rimedi di assicuracene totalmente ed in modo che per uno tempo almanco, briga da loro avere non possiate, sono pochi e scarsi; e’ quali per potere meglio cognoscere, bisogna considerare donde naschino e’ pericoli. La casa de’ Medici è stata padrona di questo stato giá sessanta anni, e la fama della grandezza sua è stata chiarissima non solo per tutta Italia ma ancora di lá da’ monti. Da che nascono piú effetti: prima, non può essere che nella cittá e nel dominio non abbino di molti amici, avendo in tanto tempo intratenuto e beneficato molti in vari modi, e di questi si ha a dubitare che volentieri si maneggerebbono in ogni occasione che credessino potere giovare loro a ritornare in Firenze; nel quale grado medesimo e piú ardenti ancora sono tutti quegli, e’ quali si truovano avere peggiorato o nello utile o nell’onore le condizioni sue per la cacciata loro.
Secundario, per la riputazione grande che ha avuta tanti anni questa casa, è oppenione appresso a tutti e’ principi che loro abbino piú amici e piú partigiani in Firenze e nel dominio nostro che in veritá non hanno; però ognuno che desideri travagliare la nostra cittá e che ará guerra con noi, gli userá per instrumenti e, come si dice, per civetta, e dimostrerrá volergli mettere in casa, sperando per mezzo loro avere a fare nascere discordia in Firenze ed avere a suscitare novitá e rebellione nel dominio. Anzi saranno di quegli che veramente piglieranno la impresa di mettervegli, mossi o da disegno di potere con questa occasione smembrare parte del nostro stato o di valersi altrimenti di noi; e tale che per l’ordinario non penserebbe a farci guerra, non confidando poterci offendere, ora vedendo questa piaga aperta, o stimolato da loro o per sua inclinazione, ci volterá lo animo.
Terzo, e questo importa assai piú, ancora che in una cittá tutti gli uomini dovessino amare la libertá ed essere inimici de’ tiranni, nondimanco oltre a’ benificati ed interessati con loro, non mancano in qualunche cittá amici delle tirannide, e ne sono molti nella gioventú che desiderano vivere sciolti, né si riducono volentieri sotto la equalitá delle legge. Vedete che in Roma doppo la cacciata de’ Tarquini congiurorono molti giovani contro alla libertá, insino a’ figliuoli di Bruto che gli aveva cacciati; molti che vogliono mal vivere hanno la medesima affezione, perché con la potenzia loro sono difesi spesso dalla autoritá della giustizia. Chi vive in sulle arme è nel grado medesimo, perché ha el ridotto del tiranno, e spesso qualche ricapito o almanco favore. La plebe ancora molte volte vi inclina, perché quando el tiranno ha del savio, ha sempre cura della abbondanzia e la diletta spesso con feste e giostre e giuochi publici; e gli piace la magnificenzia della casa e corte sua, che sono le cose che pigliano le gente basse. Ma quello che importa piú di tutto e gli fa amici di piú momento, è che tutti coloro che o per ambizione o per essere ingiuriati diventano male contenti dello stato che regge, non avendo altro refugio, se lo stato presente è libero, si voltano al pensiero di una tirannide, ed essendo molto difficile fabricarne una in persone nuove, perché non hanno la riputazione ed e’ fondamenti vecchi, e gli uomini mal volentieri si inclinano a chi non è uso a avere sopra di loro superioritá, si gettano al tiranno vecchio, e se lui è morto, a’ figliuoli e discendenti ed a chi resta di quella stiatta, la quale ha preso uno grado tale che pare in uno certo modo che di ragione se gli appartenga. E gli uomini non si vergognano di servire a chi altra volta o egli o’ maggiori suoi gli hanno comandati; e tutti quegli che hanno avuto dependenzia o beneficio da lui o da’ passati suoi sperono ritrovarvi le medesime condizione; però si vede spesso che non solo sono raccolti da questi tali, quando si offeriscono, quegli che sono del medesimo sangue che era el tiranno vecchio, ma ancora da chi desidera di avere una tirannide sono cercati a tempo che non vi hanno né pensiero né speranza alcuna.
Nel 78, sendo stato ammazzato Giuliano e Lorenzo ferito ed in pericolo di morte, noi che desideravamo uno stato simile, pensamo, in caso che Lorenzo morissi, voltarci a Lorenzo di Pierfrancesco, perché era el piú prossimo, ancora che Itti per la etá non aspirassi a queste cose. In Bologna, morto Annibaie Bentivogli, e’ principale di quella parte cavorono di Firenze dall’arte della lana, Santi, che era giovanetto e riputato da ognuno figliuolo di uno da Poppi, per farlo capo dello stato, dandosi loro a intendere che fussi figliuolo bastardo di Hercules de’ Bentivogli; e lui non solo non ci pensava, ma non lo sapeva, in modo che per averlo bisognò che adoperassino per mezzo e con grandissimi prieghi Neri di Gino tuo avolo. Voltansi dunche tutti e’ mal contenti dello stato che regge al tiranno vecchio, e se è mancato lui, alle sue reliquie; cosí se tra’ cittadini nasce divisione, sempre alla fine una parte o soprafatta dall’altra o desiderosa di soprafare, si volta alla via medesima. E questi umori sono si potenti, che insino a di quegli che sono stati inimici manifesti ed adoperatisi in cacciare e’ tiranni, si riconciliano con loro e cercano di ritornargli, come se ne sono veduti infiniti esempli. E questo è ordinario in ogni divisione delle cittá o libere o suddite, che sempre una delle parte fa professione di amare lo stato presente, l’altra cerca di aderirsi a chi altra volta vi è stato grande, mossa da quella ragione che io ho detto, perché si spera piu facilmente potere riducere una tirannide o uno dominio vecchio che farne uno di nuovo.
Adunche el tiranno e chi è disceso di lui, per l’una o per l’altra di queste cagione, ha sempre qualche amico nella cittá o nel dominio e spesso fuora chi gli dá fomento. A ovviare a questo pericolo el rimedio vero ed unico sarebbe lo spegnergli e sbarbargli in modo che di loro non restassi reliquia, ed adoperare a questo, ferro e veleno, secondo che venissi piú commodo, altrimenti ogni scintilla che ne resta ti affatica sempre e ti travaglia; anzi spento el principale e restando gli altri, sei spesso in peggiore condizione che se fussi vivo el principale: lo esemplo voglio porre in Piero de’ Medici, che è impetuoso e mentre viverá, in qualunche occasione, non fermerá mai; nondimanco se egli morissi, io crederrei fussi da temere piú de’ fratelli, che insino a ora nelle cose dello stato non sono stati in conto, perché chi ha offeso Piero si confiderá piú facilmente di loro che di lui, e lo universale che non gli ha provati, spererá insino che non gli pruova, migliore natura in loro, che forse per e’ segni che apparivano è la veritá.
Ma ordinariamente ognuno è facile a sperare bene delle cose di che non ha notizia; però a assicurarvi non basta la morte solo di Piero, ma bisognerebbe si spegnessi tutta la linea: fuori di questo tutti gli altri rimedi sono scarsi a liberarvi totalmente dal pericolo; e questo si può piú dire che sperare in una republica, la quale non ha quella diligenzia e segreto né quella prontitudine di ministri che è necessaria a conducere simili cose, le quali sanno e possono fare meglio e’ tiranni che gli altri. Voi avete bene messo loro le taglie drieto, ma questa è una persecuzione morta che rarissime volte fa effetto; e pure chi allegassi la conscienzia, se è contro a conscienzia el curare con diligenzie particulari e strette che siano amazzati, è anche illecito el darne occasione ed invitare gli uomini con le taglie. In fine questo rimedio, a giudicio mio, non riuscirá per la natura del governo ed anche forse perché la giustizia di Dio non permetterá che siano offesi per quella via nella quale non hanno mai peccato. Sapete che Cosimo e nessuno altro di loro non usò mai questa crudeltá contro a’ forusciti ed altri inimici, benché in diversi tempi ne avessino molti e di importanzia.
El secondo rimedio è tórre loro la roba e fare tutte quelle persecuzione che gli abbino a impoverire, perché con la diminuzione della roba diminuisce la riputazione e la facultá di potere offendere; nondimeno questo rimedio non assicura totalmente, perché communemente coloro che favoriscono e’ tiranni o di drento o di fuor a, non si muovono per le ricchezze loro ma per e’ fini che io ho ragionato di sopra, e’ quali non dependono dalla ricchezza o povertá sua. È vero che el tiranno ricco è piú reputato ed inoltre può con danari intratenere gli amici, avere adito con quegli che sono grandi apresso a principi, mandare messi innanzi ed indrieto, avere delle spie e fare delle spese che sono necessarie a chi tiene pratiche di stati; le quali chi non può fare manca di molte commoditá e perde di molte opportunitá, e vengono talvolta certi accidenti ed occasione che egli, potendo spendere qualche migliaio di ducati in mettere gente insieme, ha la impresa facile, dove se è povero bisogna sempre che aspetti le voluntá di altri. In somma lo impoverirlo gli nuoce ma fa piú effetto in progresso di tempo, perché nel principio ha sempre qualche riservo di danari, ha piú credito da essere servito, ha amici antichi che lo aiutano; la riputazione fresca della grandezza sua e la opinione che molti hanno che abbia a tornare presto in casa, gli dá molti ricetti e commoditá. Ma come el tempo va allungando, si truova consumato el capitale che aveva, perduto el credito, stanchi gli amici, in modo che allora si scuopre el male che tu gli hai fatto col torgli la roba; e questo serve ancora piú allo esemplo degli altri, perché se si facessi come a Genova, dove a’ cittadini ribelli dello stato si toglie la patria ma non la roba, molti piú cercherebbono novitá e machinerebbono contra lo stato che se ne astengono per paura di non diventare poveri. Credo bene che vivente el cardinale non potrete riducere e’ Medici in questa estremitá, perché le entrate sue e la riputazione del cardinalato sará loro sempre mezzo a intratenersi onorevolmente, e tanto manco potrete fare fondamento in questo.
El terzo rimedio, che da sé non basta ma unito con gli altri fa qualche frutto, è levare loro e’ commerzi della nazione, cioè che nessuno fiorentino o suddito nostro ardisca non solo di stare con loro, ma eziandio di conversare, parlargli, scrivergli, né in modo alcuno intromettersi seco, ponendo pene gravissime alle persone proprie, a’ padri, frategli e piú prossimi parenti. E questo rimedio serve a diminuirgli la riputazione di fuora, perché chi gli vede tuttodí visitare ed intratenere da quegli della nazione, lo piglia per segno che abbino amici e parte assai nella cittá, e per el contrario, vedendogli abbandonati e fuggiti da ognuno, pensa che le cose loro stiano male. Serve ancora questo a levare e’ mali ed e’ disordini che fa el commerzio, perché per mezzo di quello pigliano ogni di amicizie e si intrinsicano co’ nostri, donde spesso nascono pratiche e machinazione contra lo stato e donde hanno commoditá di imbasciate e di avisi, tutte cose perniziose alla republica; e però levandogli questa occasione o commoditá si nuoce ancora loro per questa via.
El quarto rimedio è, e questo è quello che doppo el primo è el migliore e che depende solo da noi medesimi, introducere in questa cittá uno governo buono e bene ordinato con che si taglierebbe la radice di tutte le loro speranze. Non arete da dubitare sotto uno governo simile che e’ cittadini bene qualificati diventino amici loro, perché la cittá non si dividerá, né loro vi aranno si cattivo grado che abbino a gittarsi a rendere la grandezza a uno del quale o siano stati inimici o non abbino avuto da lui dependenzia. Anzi avete da sperare, sotto uno governo bene composto, che la piú parte di quegli che sono amici de’ Medici gli dimenticheranno e si contenteranno molto bene in uno vivere civile, essendo massime, come voi sapete, persone benestanti e quasi el fiore della cittá, come el piú delle volte sono quegli che sono stati amici di uno governo stretto durato lungamente, che col favore che hanno avuto si sono aricchiti, si sono nobilitati, e per essersi esercitati alle faccende hanno preso riputazione, hanno preso pratica, in modo che in ogni tempo compariscano tra gli altri non solo con le ricchezze e col credito, ma ancora con la sufficienzia e col cervello. Fermerá ancora uno governo buono gli animi de’ sudditi, a’ quali suole dare ardire o la poca reputazione o el poco ordine de’ suoi signori; ed uno governo che acquisti reputazione appresso a’ principi di essere unito e di reggersi saviamente, gli fará andare piú sospesi a favorire e’ Medici, perché non si confiderá di potere con facilitá battere uno stato che si governi prudentemente.
E se pure sará nella cittá alcuno che sia inclinato a loro, oltre che è da credere che saranno di poca qualitá, o non ardiranno mostrarsi, o mostrandosi saranno raffrenati facilmente, perché vi saranno gli ordini buoni da provedere a questi inconvenienti; e’ quali se si medicano da principio, oltre che non sono pericolosi, si fa con manco alterazione della cittá perché non si viene al sangue ed agli esili, cose molto perniziose alle republiche ed agli stati. Perché se tu tagli uno capo, ancora che spenga lui, fai in luogo suo male contenti molti, né solo si fa inimici e’ suoi, ma ancora dispiace poi alla fine a tutti gli uomini di mezzo; se mandi uno in esilio, accresci el numero di quegli che sempre cercono muovere umori contro alla cittá, e con l’una e con l’altra cosa togli riputazione al governo, perché va fuora la fama che siate disuniti, che fa favore al tiranno. Donde tra gli altri danni che gli fa el buono governo è questo, che vi è modo di reprimere chi ha mala voluntá sanza venire a medicine forti, le quali chi ha gli stati in mano non debbe usare se non per ultima necessitá.
El quinto rimedio, ma che non si può fare sanza el governo buono, è in progresso di tempo restituire loro la roba, tutta o parte, con condizione che stiano a certi confini e che non travaglino contro alla cittá; che è simile a quello che convenisti voi col re di Francia: che Piero godessi e’ beni con questo che non si accostassi a Firenze a cento miglia sotto pena di perdergli. Ma non durò quella convenzione, perché dal canto vostro fu fatta per necessitá non per elezione, e dal canto di Piero fu fuora della sua stagione. Quando el tiranno è cacciato, sta per qualche tempo fuora di necessitá per le ragione dette di sopra ed ha la speranza accesa di tornare, però allora per el desiderio solo di godere la roba, non fermerebbe uno passo de’ movimenti suoi, né sarebbe anche a proposito restituirgliene, perché bisogna attendere a impoverirlo e farlo venire in necessitá. Ma quando si è sbattuto uno pezzo, ha consumato quello che gli era avanzato, ha straccato gli amici, vede che le imprese non gli sono riuscite, che e’ principi non hanno tenuto conto o n’hanno fatto mercatantia, che gli uomini gli sono mancati sotto, e si riduce sanza consiglio e sanza speranza, in modo che comincia a pensare piú al vivere quotidiano che al ritornare in casa. Allora se el governo fussi fondato e bene ordinato, io non sarei forse alieno da offerirgli el partito di lasciare loro godere le sue possessioni, con questo che gli avessino a essere tolte ogni volta che si accostassi alla cittá fuora del termine che voi gli avessi assegnato, o che si vedessi che altrimenti machinassi.
Questa paura di perdere la roba non basterebbe giá a ritenerlo quando vedessi uno partito che avessi grande speranza, perché la roba importa poco a comparazione della patria e dello stato, ma sarebbe causa che in ogni altro tempo si starebbe, né sarebbe tuttodí agli orecchi de’ principi a stimulargli a fare impresa per lui, né si lascerebbe sollevare da loro, se non dove e’ vedessi el fondamento molto verisimile; in modo che con questa via non vi assicureresti totalmente, ma vi libereresti da molte spese e travagli, le quali, essendo disperato, vi dará; sanza che, lo astenersi lui dalle imprese è sempre bene, perché le si cominciono tale volta con poca speranza, e vengono de’ successi e de’ casi che le favoriscono ed augumentono.
E doppo questo espediente si potrebbe andare piú oltre, ma con tempo e quando el governo vostro avessi preso bene piede e riputazione e che le cose loro fussino diminuite e declinate assai, cioè restituirgli nella cittá come cittadini privati, alla quale se non ardissimo ritornare, perderebbono interamente el credito di fuora. Ritornandovi, non è dubio che se vi fussi uno governo buono apparirebbono privati cittadini negli occhi di ognuno, e bisognerebbe che per la autoritá del governo vivessino privatamente e quietamente; in modo che o resterebbono drento e fuora sanza riputazione, né piú tiranni ma cittadini, ed ognuno sarebbe chiaro che non vi avessino parte; o non potendo sopportare la vita privata, ritornerebbono fuora da loro medesimi, ma tanto diminuiti di credito che si potrebbeno dire annichilati; e questo se riuscissi, sarebbe uno modo bellissimo da spegnergli. Nondimanco è modo nuovo, ed essendo cosa importantissima, io non lo affermo ma lo propongo, ricordando che innanzi che si pigliassi una tale deliberazione, si esaminassi bene la natura de’ tempi, la condizione della cittá e tutte le altre cose che sono considerabili in materia si grave. Ma oramai comincia a essere tardi, però io lodo che andiamo a desinare, se vi pare, e potremo poi, se accadrá altro, seguitare el parlare.
Capponi. Io credo che sia bene fatto, perché vorremo andarcene verso Firenze, dove per grazia vostra ritornereno si instrutti, che areno causa di avere sempre memoria di questa venuta.
Guicciardini. Questa obligazione arete in parte a me che proposi el ragionamento.
Soderini. Ed a te, se tu vuoi, ma a Bernardo la abbiamo tutti rifinita, che ci ha letto ieri ed oggi una lezione si bene ordinata, si savia, che ci fará lume in queste cose importantissime tutto el tempo della vita nostra. Cosí dessi Dio grazia ed a lui ed a noi che le potessimo fare capace a tutti e’ nostri cittadini, acciò che innanzi alla nostra morte vedessimo introdotto nella patria nostra tanto ornamento e tanto bene.
Note
- ↑ In B, la seguente postilla marginale, di mano dell’autore-. Farlo almeno pelile o quattro anni con facultá di essere raffermo ed in capo di quello tempo risolversene secondo che avessi insegnato la esperienzia.
- ↑ In margine, di mano dell’autore: starebbe forse meglio questo appello alla quarantia.
- ↑ La lezione di B. è: di maggiore numero che quello del popolo. Sotto maggiore è segno di espunzione. Poiché la frase che ne resulterebbe non appare accettabile, supponiamo che l’Autore abbia iniziato una correzione e poi dimenticato di compierla. Nell’incertezza adottiamo la lezione di A.