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libro secondo 103


consente, perché cosí si raffrenano molte cupiditá particolari, e non si potendo introducere in una cittá libera nuova forma di governo se non o con le leggi o con le arme, resterá serrata la via di fare mutazione per mezzo delle leggi, ed a quella della forza si fará anche la sua provisione.

Posto el consiglio grande che, come è detto, è fondamento della libertá e del vivere populare, resta pensare a tre cose: alla amministrazione della giustizia; alla guardia della libertá, benché si può quasi dire che questa venga sotto quella, cioè che ci sia qualche modo vivo ed espedito di reprimere chi machinassi contra lo stato; ed al modo di deliberare le cose importanti cosí di fuora come di drento.

E certo se le cittá si potessino reggere con la larghezza e col fare che ognuno participassi in uno modo medesimo delle faccende e degli onori, e che e’ magistrati ed autoritá girassino di tempo in tempo parimente in ognuno, sarebbe forse governo ingiusto, non vi si faccendo distinzione delle virtú e delle qualitá degli uomini, pure sarebbe dilettevole alla maggiore parte, ed almanco leverebbe forse la ambizione. Ma perché questo non si può fare, non essendo gli uomini tutti atti a governare, anzi avendo bisogno quasi tutti di essere governati, però è necessario pensare che le deliberazione importanti si ristringhino in minore numero, e perché lo scambiare spesso e’ magistrati è cosa necessaria e sustanziale alla libertá, e da altro canto quando gli uomini sono proposti a una cura per poco tempo, la stracurano e non vi usano la diligenzia debita, in modo che le cose importanti (che si può dire che quelle che attengono al governo di una cittá siano tutte importanti) che hanno bisogno di diligenzia e pensiero assiduo, cosí stracurate e neglette se ne vanno in ruina. Però a me pare che a questo punto abbino provisto meglio e’ viniziani che facessi mai forse alcuna republica, con lo eleggere uno doge perpetuo, el quale è legato dagli ordini loro in modo che non è pericoloso alla libertá, e nondimanco, per stare quivi fermo né avere altra cura che questa, ha pensiero alle cose, è informato delle faccende, e se bene non ha autoritá di deliberarle,