Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo VIII/Risposta di Don Saverio Lampillas

Risposta di Don Saverio Lampillas

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Tomo VIII - Lettera dell’abate Tiraboschi all’abate N.N. Tomo VIII - Lettera al reverendissimo padre N.N.

[p. 835 modifica]RISPOSTA DEL SIGNOR ABATE DON SAVERIO LAMPILLAS ALLE ACCUSE COMPILATE DAL SIGSOR ABATE GIROLAMO TIRABOSCHI Nella, sua Lettera al sig. abate N. N. intorno al Saggio storico-apologetico della Letteratura spagnuola, con alcune brevi annotazioni. Appena pubblicato il mio Saggio apologetico intorno alla Letteratura di Spagna, mi trovai amichevolmente minacciato in una gentilissima lettera, che mi sarebbe risposto con una forza che io non aspettava. A dir il vero, non credei che potesse giammai avverarsi questo vaticinio, giacchè per quanto grand1 ella si fosse la forza con cui mi venisse risposto, non sarebb1 ella certamente superiore a quella eh’io m1 aspettava dal singolar valore dei" miei Avversarii. Bisogna però confessare, che chi mi scrisse così, la indovinò da profeta; imperciocchè una forza tutta ingiusti lamenti, declamazioni ed ingiurie, una forza che si perde dietro a luti1 altro che allo scioglimento delle proposte obbiezioni, non era certamente da aspettarsi dal sig. abate Tiraboschi degnissimo bibliotecario del serenissimo [p. 836 modifica]83G duca di Modena. Aspettava io bensì, e meco aspettava impaziente il pubblico, una non men erudita che efficace risposta, in cui con sodi argomenti e scelta erudizione venissero valorosamente ribattute le ragioni con cui io pretesi convincere di falsità le pregiudicate opinioni del detto sig. abate contro la letteratura Spagnuola. Questa forza però invano si cerca nella sua lettera ultimamente pubblicata in Modena. La controversia letteraria proposta da me nel Saggio apologetico vedesi in essa lettera ridotta ad un litigio personale, in cui pretende difendersi il sig. abate col ricolmarmi di strane accuse , le quali, eziandio se vere fossero, non sarebbero atte a giustificarlo: quanto meno lo saranno essendo false del tutto? Lascio da parte le ingiuriose, dispregianti ed insultanti maniere (i), con cui vengo onorato dal sig. abate, le quali quanto più son sicuro di non essermi meritato , tanto più saranno riguardate dal pubblico come un effetto della bontà e della gentilezza di lui singolare. Non aspetti però. che da me resa gli venga la pariglia. Siamo noi Spagnuoli, direi quasi per effetto di clima, scarsi assai di siffatti complimenti, de’ quali, per quanto scrive il sig. aliale (tom, 1, pref. p. XXVI), gl’italiani sono forse non ingiustamente ripresi di esserne troppo liberali co’ suoi avversarii. Io stimerei di mancar ai più sacri doveri della (i) La mia lettera c l’opera del sig abate Lampillas son nelle inani di tulli. Si esaminino, e si decida chi sia stato più moderato [p. 837 modifica]giustizia c della gratitudine, se mi sottoscrivessi ad una opinione cotanto ingiuriosa alla nazione italiana, la quale ho sempre provata verso di me piena d* urbanità e cortesia, e in particolar maniera dopo che per mia sorte soggiorno in Genova. Io dunque nel mio Saggio apologetico non ebbi altra mira, che il vendicare i diritti che ha la Spagna di essere annoverata fra le nazioni più benemerite della letteratura, e difendere i nostri scrittori dalle ingiuste accuse con cui viene offuscato non poco il loro merito. Pretesi altresì, che i due moderni scrittori italiani avessero co’ loro scritti violati questi diritti della nostra nazione, e oscurata la gloria de’ nostri autori. Questa condotta di tali scrittori 1’ ho chiamala sempre pregiudizi, preoccupazioni, pregiudicate opinioni, osservando in tutta la mia opera la conveniente urbanità e riguardo dovuto al loro carattere. Mi era questo tanto a cuore, che per assicurarmene prima di pubblicarlo mostrai il mio Saggio a parecchie persone dotte e prudenti, tra le quali ve ir erano anziché no’ delle parziali al signor abate Tiraboschi, e tutte unitamente rilevarono nel mio &i|$io questa dote di moderazione e di urbanità. Conforme al giudizio di dette persone è stato il sentimento di moltissimi altri dotti e ragguardevoli soggetti sì spagnuoli, come italiani, i quali nelle loro graziosissime lettere di congratulazione della mia Opera, senza eccettuarne pur uno, determinatamente e con magnifiche espressioni la mia Apologia di moderata e [p. 838 modifica]838 modesta hanno lodata (1) lode, che certamente non gli avrebbero mai data, se trovata l’avessero (quale veramente vuol farsi comparire in detta lettera) un indegno libello infamatorio. Non si è conformato col giudizio di tanti savi e prudenti uomini quello del sig. abate Tiraboschi; anzi credendola un ingiurioso e calun- I nioso scritto contro del suo buon nome e ri. (lutazione, ha intrapreso a difendersi con una lettera sì poco propria di quel grand’uomo eli1 egli è, che io la considero scagliata piuttosto da qualche anticipata opinione (2), che da un attento intelletto meditata. A qualtro capi di accusa contro di me si ] riduce la lettera. Nel l mi accusa di avergli at- j tribù ito ree intenzioni, eh’egli giammai non ha 1 avute. Nel II, clic io lo fo dir cose ch’egli non ha dette; nel ili, che io l’accuso di avere dis- 1 simulate cose eli1 egli non ha in alcun modo 1 dissimulate; nel IV’, che io dissimulo più cose 1 che fanno in di lui favore, e clic distruggon i le accuse eh’io gli ho intentate. E che può rispondere il sig. abate Larnpil- ] las? Egli risponde, che tutte qualtro delle accuse sono falsissime , e che ciò spera provarlo ] con sì sode ragioni, che se l’istots^sig. abate j Tiraboschi si degnerà considerarle con animo sgombro di qualsivoglia preoccupazione, e con B (1) Se il sig. aliate Lampillas desidera di vedere molte altre lettere clic servano di supplemento a quelle eli* egli lia ricevute, posso agevolmente compiacerlo. (1) Si vorrebbe sapere cosa sia una lettera scagliata da anticipata opinione. / [p. 839 modifica]839 suadc che il suo amore Aggiunge ancora di più 1’abate Lampillas, che dissiperà queste accuse in maniera, che dalle sue pruove resti il sig. abate Tiraboschi convinto di aver esso nella sua lettera: I, fatto dire aìf abate Lampillas più cose ch’egli non ha dette: II. accusatolo di# aver dissimulate cose eh"1 egli non ha dissimulate: III, di aver dissimulate più cose che fanno in di lui favore , e che distruggon le accuse ch’ei gli ha intentate. La causa si tratta innanzi il tribunale de* saggi e de’ dotti, dove non può aver luogo nè parzialità nè subornamento. La difesa si presenta non in qualche foglio prezzolato, ma in uno scritto autenticato col proprio nome. La sentenza, che da tribunale cotanto rispettabile venga fulminata, protesto che dal canto mio sarà riguardata come senza appellazione, nè stancherò la sofferenza de’ giusti ed imparziali giudici con nuovi ricorsi. L’abate Lampillas attribuisce all’abate Tiraboschi ree intenzioni, ch’egli giammai non ha avute. In primo luogo mi accusa d’avergli falsamente attribuite ree intenzioni, rappresentandolo come un dichiarato nemico della letteratura spagnuola, eh altro noti cerca che di screditatili j che raccoglie tulio ciò che possa confessar per tali. PRIMA ACCUSA. [p. 840 modifica]84° rentier ridicoli gli autori spagnuoli, che dissimula tutto ciò che torna in loro gloria) che pare in somma che abbia preso a scrivere la Storia della letteratura italiana solo per biasimar la spagnuola (lett p. 4 e 5), aggiungendo poi per ben tre pagine tutto quanto ho io detto in manifestazione di queste pretese ree intenzioni. E questo è a.parer suo un intaccare il suo buon nome, e vulnerar la sua riputazione5 in maniera che non possa egli a meno di non perder la pace , e si veda costretto ad interrompere i gravi suoi studi cotanto utili al pubblico per iscrivere una sanguinosa lettera *, e tralasciando per un poco lo storico farla da declamatore. Convien però dire che tutto il male sia, o per averlo scritto io, o per averlo scritto in italiano. Due anni prima della pubblicazione del mio Saggio apologetico fu già dal sig. abate Serrano scoperta questa condotta del Tiraboschi. Jam (scrive il Serrano, p. 28) ubi Clar. Historicus (Tiraboschi) hoc Hispaniae omni aevo litterarii gustus corruptricis quasi sistema animo informas set, et illud Historiae suae praemittere decrevisset, necesse ei erat, ut omnia, quae in hac parte scriberet, sistemati suo conformaret; cum autem essent bene multa, quae, salva historiae veritate , in hujusmodi sistema non convenirent, arte erat opus, ut ea ipsa, vel invita et reluctantia, et obtorto, ut dicunt, collo, in illud traherentur. Spiega poi il Serrano quest’arte adoprata dal Tiraboschi con espressioni niente più dolci di quelle che nel mio Saggio tanto hanno commosso il dotto signor abate. [p. 841 modifica]«4i Questo stesso gli avea già rinfacciato il Serrano nella pagina 21 , dove manifesta la poco giusta maniera usata dal dotto storico nel parlare che fa degli autori Spagnuoli col fine di non oscurare la gloria degl’italiani. Hinc (scrive il Serrano) quam mirus est in illorum (degli Spagnuoli) vitiis detegendis , et exagerandis , in virtutibus minuendis, et extenuandis! ut ego saepe dicere soleam, qui Hispanorum vitia velit addiscere, Cl. Tiraboschi Historiam legat, qui vero c oriunde ni virtutes nosse desideret, alibi eas quaerat. E perchè mai dunque a vista di queste accuse non ha stimato necessario il sig. abate Tiraboschi il pubblicar egli una vigorosa difesa per salvare la sua riputazione e buon nome? Credette forse che abbisognasse volgarizzare gli scritti latini, perchè fossero letti nel tribunale degli uomini dotti, o che a quei saggi giudici dovessero far maggior impressione le mie ridicole apologie, che le elegantissime lettere del Serrano (1)? Chi legge nella lettera del sig. abate Tiraboschi la presente accusa contro di me, resterà senz1 altro persuaso che opposta affatto sia la condotta da lui tenuta nella sua Storia letteraria. Ma legga, e giudichi. Parla nel tomo III del Ch. Uezio, e dice di questo eruditissimo scrittore, che si è lasciato ciecamente condurre o dalla brama di esaltare la gloria della sua nazione, o da una troppo sfavorevole prevenzione (r) Al sig. abate Serrano aveun già altri risposto, e mi avean con ciò risparmiato l’incomodo di confutarne le opinioni. [p. 842 modifica]84* contro V Italia. Dimando io adesso al sig. abate Tiraboschi: il lasciarsi un autore ciecamente condurre da una prevenzione ingiusta, o da una brama immoderata, è forse argomento di qualche rea intenzione e di mal nata passione, o può tutto ciò aver la sorgente in qualche innocente pregiudizio? Se al primo s’attiene, dunque non è men malmenato il Ch. Uezio dal sig. abate Tiraboschi nella sua Storia di quello eh1 egli pretende esserlo stato da me nel mio Saggio. In me è un irremissibile delitto: sarà nel sig. abate un tratto innocente? Se già non gode lo storico della italiana Letteratura qualche particolar privilegio di trattar a sua fantasia gli autori, o che monsig. d’Auranges abbia minor diritto alla sua riputazione e buon nome. Che se poi tutta quella troppo sfavorevole prevenzione, tutta quella eccessiva brama, tutta quella cieca condotta niente intaccano le intenzioni, come può egli mai accusarmi d’averlo ingiuriato attribuendoli ree intenzioni, quando io non altro pretesi dire, se non che (e così lo scrissi tom, 1, p. 17) si lasciò ciecamente condurre o dalla brama di esaltare la sua nazione, o da una troppo sfavorevole prevenzione contro la Spagna (1). Più forti ancora sono le espressioni con cui parla l’abate Tiraboschi contro il sig. de S. Marc. Scrive egli, parlando di questo autore, che c (1) Ognun vede quanto sia stringente questo e il seguente confronto della maniera da me tenuta con monsignor Huet e con M. di S. Marc, e di quella che meco ha usata 1’ah. Lampillas. [p. 843 modifica]843 un uomo che ha talvolta abusato del suo ingegno per oscurare la fama de’ più celebri personaggi con gettar dubbi, o risvegliar sospetti, eli altro fondamento non hanno (mi si permetta di dirlo) che un animo mal prevenuto e troppo facile a credere il male ove avrebbe piacer di trovarlo (tom. 3). Se a questo passo il sig. di S. Marc alzasse la voce contro l’abate Tiraboschi, e con tuono patetico gli dicesse: « È ella un Dio che vede « l’interno de’ cuori? o è ella un Profeta che « dal cielo è scorto a conoscere le cose più « occulte? Io nego solennemente di aver avuto « un sì basso motivo nello scrivere , qual è « l’oscurar la fama de’ più celebri personaggi. « Io nego solennemente che abbia piacere di « trovare il male dove mi credo non senza « fondamento di trovarlo; prova evidente ne « sia il dire che fo parlando della morte di « Amalasunta: che mi fa pena una cotal nu« vola sulla vita di Cassiodoro. O ella dunque, « sig. abate Tiraboschi, provi ch’io ho avuta « siffatta intenzione, e che ho provato un si « reo piacere; o io ho diritto di esigere sod« disfazione del torto che mi vien fatto ». Se così parlasse il sig. di S. Marc, cosa mai risponderebbe l’abate Tiraboschi? Ben vede egli, su quanto più giusto motivo sieno fondati questi lamenti, che non quelli eh’egli fa contro di me. Ma valga il vero; nè il sig. abate Tiraboschi può giustamente dirsi reo di aver intaccata la riputazione e buon nome dell’illustrissimo Uezio, o del sig. di S. Marc, nè io di [p. 844 modifica]844 aver pregiudicata quella del detto sig. abate, poichè non v’è chi non sappia che cosa significhino somiglianti espressioni negli scrittori, e di esse pieni sono i libri, massimamente apologetici. Apransi, e troveransi anche nei più moderati espressioni molto più forti che non sono le mie. Il Ch. marchese Orsi ha creduto fosse mancare all’onestà ed urbanità del commendevole suo carattere mettendo in bocca di Gelaste (Dial. 6, n. 1) che la parzialità verso la propria nazione spinge (Rapin) a cercar di deprimere con suo gran piacere gli autori italiani?; e poi in bocca di Filalete: questa sua prevenzione, siasi solamente in favor de’ suoi nazionali, o siasi estesa a pregiudizio degli stranieri autori, è stata cagione unicamente che quel, per altro sapiente, critico non si è più che tanto appagato del Tasso. Bastava l’esempio di tanti autori, e dell’istesso abate Tiraboschi a dimostrar l’insussistenza di questa accusa. Ma vi è ancora qualche cosa di più a mia giustificazione; e tale, che al considerarla, non posso non istupirmi che il sig. abate Tiraboschi abbia avuto coraggio <T intentarmi questa accusa. Se quest1 onesto scrittore, in vece di empir la sua lettera con ingiusti lamenti contro di me, quasi ch’io con detestabile infedeltà dissimulate avessi più cose che fanno in di lui favore, non avesse egli stessa dissimulate tant’altre che distruggon quest’accusa ch’ei mi ha intentata, vedrebbe forse più a coperto la sua riputazione i [p. 845 modifica]8/j5 Io nella mia opera mi sono dimostrato sommamente premuroso di salvar la retta intenzione di lui in tutto ciò ch’egli contro la letteratura spagnuola scrive nella sua Storia, e sin dal principio io stesso ho preventivamente addotti argomenti in suo favore tant’opportuni ed efficaci che, quando questi non bastino a riparare il suo buon nome, non potrà egli certamente colla sua lettera ripararlo. Già nella stessa prefazione del primo tomo (p. 5) (i) parlando de’ signori Tiraboschi e Bettinelli scrivo: per fare giustizia all onestissima lor indole posso ben dire che sono questi scrittori lontani assai da ogni avversione (dia nazione spagnuola, nè vorranno mai contrastarle quella gloria che. troveranno appoggiata a sodi • (’) Quanto bene il sig. abate Lampillas abbia salvata la mia buona intenzione, e come abbia semplicemente attribuita la mia maniera di scrivere a opinione pregiudicata , si può conoscere rileggendo le espressioni da e$so usate, e da me esposte al principio della mia lettera. Il dire che mi premeva di trovare alcuno della famiglia de’ Seneca accennato tra’ corruttori dell’eloquenza che parlandosi de’ difetti de’ scrittori spagnuoli, io nulla perdono, nulla scuso, nulla dissimulo , anzi all? opposto mi prevalgo de’ più neri colori per formar più orrido quel ritratto, che ho nelle mani; che mi premeva troppo che non comparisse in Roma nel secol d? oro uno Spagnuo lo, il quale fra i letterati romani fosse stato prescelto da Augusto, ec.; che per iscancellarne vieppiù ogni memoria io sfiguro stranamente il cognome deì Principi spagnuoli, ec.; queste dico ed altre siffatte espressioni mostrano certamente la premura del sig. ubate Lampillas nello scusare la mia intenzione. [p. 846 modifica]846 argomenti, e ragioni; quindi mi figuro di essi, che siano per dire con Tullio, tantum ahest, scribi contra nos nolimus; ut id etiam maxime optemus. In altro luogo poi (pag. 16): non è dunque da maravigliarsi, se tanti letterati spagnuoli, come oggidì sono in Italia, e non hanno avuto il vantiiggio di ehi) io di conoscere dappresso la nobile indole onesta di codesti autori, non possono senza stomacarsi leggere somiglianti opere, e credono affettata ignoranza quelle ch’io chiamo pregiudicate opinioni. Nè contentandomi di aver formalmente dichiarata la mia giusta opinione intorno all1 onestissima indole de’ due eruditi scrittori da me impugnati, rivolsi seriamente il pensiero a rintracciar le sorgenti, onde trassero l’origine siffatti pregiudizi antispagnuoli, e ciò col fine di trarre allo stesso mio sentimento i miei leggitori , e di dissipare dalle loro menti ogni sospetto che potesse in essi nascere intorno alla condotta degli accennati Spagnuoli verso la letteratura della Spagna e suoi letterati, condotta che doveva da me necessariamente manifestarsi. Ma vengono forse tra le annoverate sorgenti prodotte da me le ree intenzioni, il livore, lo sdegno contro la nazione spagnuola? La prima sorgente io la trovo nell1 esempio d1 altri autori che hanno scritto svantaggiosamente della Spagna. « So ben io, dico, che non « soli questi Italiani scrivono così della spa«• guuola letteratura, anzi non è difficile a cre« dersi che abbian succhiati questi pregiudizi <* dalle opere d’altri stranieri (p. 3i) »». [p. 847 modifica]L’altra sorgente da me divisata è la colpevole ignoranza delle notizie letterarie di Spagna, dove distesamente affermo che non avrebbero giammai questi dotti scrittori parlato così svantaggiosamente della nostra letteratura, se avute avessero quelle notizie che su questo punto potevano illuminarli. Aggiungasi, che i loro detti poco onorevoli alla letteratura Spagnuola vengono sempre mai dichiarati da me pregiudizi e pregiudicate opinioniy senza che nemmen una volta siano da me qualificati con altre odiose espressioni, colle quali nella sua lettera dipinge costantemente il sig. abate Tiraboschi i miei sentimenti. Possono addursi più valevoli scuse a salvare la riputazione ed onore di questi scrittori? In fatti con queste sole non ha stimato il sig. abate Bettinelli mettersi a coperto di qualunque svantaggiosa idea che formar si potesse contro la sua onest’indole, mentre all’istesso tempo manifesta il sommo piacere che prova nel vedere illustrare le nostre lettere; mostrando con ciò non meno la giusta stima che ha della letteratura spagnuola, che l’amore sincero della verità? Il sig. abate Tiraboschi pare che non abbia stimato degno di sè il seguir questo esempio’ , e per giustificarsi ha creduto più opportuno il distendere una lettera niente più onorevole al buon nome della nostra letteratura di quello che lo sia la sua Storia. Se sia poi pregiudiziale anche alla propria riputazione del sig. abate Tiraboschi, lo decidano gli uomini imparziali e modesti. Quello Tiraboschi, Voi. XV. 20 [p. 848 modifica]848 che io assicuro, è, eh’essa nulla serva a cancellare l’impressione che nel pubblico ha fatto il mio Saggio apologetico, poichè essa non è contro il di lui carattere morale, ma bensì forse non poco contro il di lui carattere letterario, cioè di pregiudizi mal fondati, di critica poco esatta in alcuni punti, e di mancanza di buon ordine in qualche parte della Storia letteraria. Su questi punti aspetta impaziente il pubblico la risposta, mentre riguarda come inutile ed importuna la pubblicata. SECONDA ACCUSA. L’abate Lampillas fa dir all’Abate Tiraboschi cose ch’egli non ha dette. Ecco la prima di quelle tre gravissime accuse, con cui il sig. abate Tiraboschi con buonissima intenzione pretende far credere al pubblico che! l’Ab Lampillas non ha usata nel suo scrivere quella buona fede che dagli uomini onesti non deesi mai dimenticare (lett. p. 6.). L’abate Lampillas, egli dice, mi fa dir cose di io non ho dette, e ne reca in prova le seguenti parole da me scritte (tom, 1). La dominante nazione spagnuola porta seco il contagio del cattivo gusto in genere di letteratura, le quali pretende che siano da me recate come formali e precise parole del sig. abate Tiraboschi. A vista di questa pretesa infedeltà non può a meno di non perder la pace il sig. abate, e d1 esclamare: ma dove sono elleno cotai [p. 849 modifica]84d panile? Legga e rilegga il sig. abate Lampillas quel passo, e e e lo trovi, s’egli è da tanto. V abate Lampillas, senza punto perder la sua pace, risponde: legga e rilegga il sig. abate Tiraboschi il precisato passo del Saggio apologetico, e trovi, s’egli è da tanto, che siansi citate le dette parole come formali parole del Tiraboschi, e come precise parole da lui usate. Troverà bensì, che in quel luogo sono da me recate quelle parole , come uno de’ pregiudizi antispagnuoli, de’ quali prendo ad abbozzare il ritratto, e che metto come tante tesi che poi nel decorso dell’opera debbono da me conbattersi , e servono come titoli alle dissertazioni e paragrafi (i).* Quanto poi diversa cosa sia Io spiegare in una semplice proposizione il pregiudizio che credo di trovare in qualche passo d’un autore , dal dire che tale proposizione sia con formali parole scritta dall’autore , ognun lo vede. E che maggior pruova di ciò che il vedere che di quanti pregiudizi sono da me in quel (i) Noi Italiani quando vediam citare in caratteri diversi da quei del testo le parole di qualche scrittore, e indicandone il luogo da cui son tratte, crediamo che ivi si rechino le precise par le del detto scrittore. Ma il sig. ubate Lampillas pretende che , ancorchè egli abbia ivi recate in carattere corsivo quelle parole: la dominante nazione spagnuola, ec., e benchè abbia citatala mia Dissertazione preliminare, come la fonte da cui son tratte , non ha nondimeno voluto recai le come mie precise parole. Lo preghi.mi dunque a indicarci come potrem conoscere quando egli riferisca, o no le precise parole di qualche scrittore. [p. 850 modifica]85o passo raccolti , appena ve ne è uno espresso con precise e formali parole d’alcuno di questi scrittori? Il primo pregiudizio da me accennato è del sig. abate Bettinelli, e vien da me divisato con queste parole: Il carattere universale degli autori Spagnuoli è il sottilizzare, o cianciare: parole non mai scritte dall’abate Bettinelli. Ma forse questo saggio e prudente scrittore stimò difendersi con accusarmi d’infedeltà? Era egli troppo perspicace per non avvedersi della insussistenza di tale accusa. Sapeva ben egli che nel luogo del suo Risorgimento da me citato, dov’egli divisa i diversi caratteri degli scrittori, e si protesta parlare universalmente delle singole nazioni, avea scritto, lo Spagnuolo sottilizza, ovver ciancia. Avista di ciò non poteva a meno di distinguere ch’io con la maggior fedeltà avea ricavato da quel suo passo, essere un pregiudizio del Bettinelli , che il carattere universale degli autori spagnuoli è il sottilizzare, o cianciare. Ma perchè. replica l’abate Tiraboschi, citare il passo dell’autore, e poi non recarne le sua formali parole? Cito il passo, perchè ognun possa da se certificarsi, se da quello venga da me giustamente ricavato in tal pregiudizio: non reco le formali parole, perchè non mi sono prefisso, come pretende far credere il sig. abate Tiraboschi, di recare le precise proposizioni degli autori, ma di abbozzare soltanto i loro pregiudizi, come scrivo in detto luogo (pag. 15.). Che poi in ciò sia io lontanissimo da qualunque sospetto d1 infedeltà, ne resterebbero tutti persuasi, se il sig. abate Tiraboschi nella [p. 851 modifica]851 sua lettera nrm avesse dissimulato ciò che distrugge questa accusa. Non sapeva questo perspicace autore, che dove prendo ad impugnare in particolare alcuno di questi pregiudizi, non mi contento d’esprimerlo colle parole con cui venne prima da me disegnato, ma reco altresì con fedeltà ed esattezza le precise parole dell’autore, dalle quali ho ricavato tal pregiudizio. Così, a cagion d’esempio, dove impugno (tom. 2, p. 229.) il pregiudizio del Bettinelli contro il carattere degli autori Spagnuoli, reco formalmente l’espressione di questo dotto autore, con cui egli spiega il suo sentimento; e così negli altri. E potrà pretendere il sig. aliate Tiraboschi che ciò non possa farsi senza taccia d’infedeltà? Rilegga egli la pag. 4 della sua lettera. « Io confesso, dico, che ho creduto, ed ho scritu to, clic gli Spagnuoli abbiano avuta non poca « parte nella corruzione del gusto così ne’ tempi « della romana letteratura, come nella deca<. denza che soffrirono tra noi le lettere nel « secolo antecedente (1) ». E dove mai sono state scritte dal sig. abate cotali parole? Legga e rilegga gli otto tomi della sua Storia letteraria, c ve le trovi, s’egli è da Lutto. Se io così declamassi, non alzerebbe la voce il sig. abate (1) Io qui ho compendiato ciò che ho scritto, e non ho riferito le mie parole in caratteri diversi, nè ho citato il luogo ove le ho usate; e perciò bastava eli1 io riferissi il mio sentimento, senza usar le stesse parole. Ma il sig. abate Lampillas, dopo aver alterata la mia proposizione, la riporta con tutti i contrassegni che ancora si son creduti i più autentici per indicare le precise parole dello scrittore. [p. 852 modifica]85 a stimatissimo, e griderebbe: puerilità , fanciullaggini , stiracchiature, cavi Unzioni? Eppure il sig. abate dice, ho scritto; io però non dico, hanno scritto. Più giusta sarebbe l’accusa che m’intenta, se io, come egli pretende, spiegati avessi i suoi pregiudizii, alterandone in qualche modo il senso, e rendendogli ancora più odiosi. Così pretende ch’egli abbia esposto il suo sentimento intorno alla corruzione del buon gusto italiano diversamente, più dolcemente, con maggior cautela e maggior mitigazione di quello che sia stato da me sposto con queste parole; la dominante nazione spagnuola porta seco il contagio di cattivo gusto in genere di letteratura. E potrà lusingarsi di ciò persuadere ai suoi leggitori, mentre lor mette davanti agli occhi le espressioni con cui egli espone la sua riflessione? « La Toscana « (dice egli), ch’era più lontana degli Stati e « e di Napoli e di Lombardia da essi domina« ti, fu la men soggetta a queste alterazioni, « come se il contagio andasse perdendo la sua « forza, quanto più allontanavasi dalla sorgen«* le, onde traeva l’origine ». lo domando: ognuno che abbia occhi in fronte, non vede che la dominazione spagnuola in tali espressioni vien detta la sorgente, onde traeva l’origine il contagio del cattivo gusto? Ed è questa la maniera di esporre più dolcemente, con maggior cautela e mitigazione il suo sentimento? Non è molto più odioso al dominio spagnuolo il dipingerlo qual sorgente del cattivo gusto, che il dire che porta il cattivo gusto? Chiunque viene accusato di portare il contagio, può [p. 853 modifica]853 almeno discolparsi col dire che a lui è stato comunicato da altri: all’opposto esserne la sorgente è lo stesso , che averlo da se. Or trattandosi della corruzione del buon gusto, non è questo secondo molto più odioso / Non negano nè il Tiraboschi nè il Bettinelli che l’Italia non fosse nel seicento infetta di questo contagio: fanno bensì tutti gli sforzi per pruovare che non l’ebbe da se , ma comunicato dagli Spagnuoli: sforzi che mai non farebbero, se già non fossero ben persuasi essere molto più odioso al buon nome dell’Italia il corrompere da se il buon gusto, e diciamo essere la sorgente, onde tragga l’origine questa corruzione, che non sia il portar questo contagio loro comunicato dagli Spagnuoli. Chi dunque di noi due, sig. abate stimatissimo , espone il di lei sentimento intorno alla dominazione Spagnuola con maggior dolcezza , con maggior mitigazione, con maggior cautela (i)? Non è men graziosa l’altra alterazione, di cui mi accusa. Egli dice: Marziale, Lucano e Seneca furono certamente quelli che air eloquenza ed alla poesia recarono maggior danno, ed essi ancora erano Spagnuoli. Io sponendo i suoi pregiudizi antispagnuoli (non già citando le parole precise del sig. abate Tiraboschi) (2) (1) Qui ancora il sig. abate Lampillas reca un sol passo della mia Dissertaz.ione , e omette il restante. Leggasi ciò eh’io ne ho scritto nella mia lettera. (•*) Anche «pii 1’abate Lntnpìllas ha citate in caratteri corsivi le mie parole, ed ora poi dice che non ha citate le mie precise parole. In tal maniera come mai potrà uno scrittore essere convinto d’infedeltà/ [p. 854 modifica]854 dico: dopo la morte di Augusto furono gli Spagnuoli quei che recarono maggior danno alla eloquenza ed alla poesia. Eccovi (esclama il signor abate Tiraboschi) che il sig. abate Lampillas rendendo universale la proposizione ch’io ho ristretto a quei tre solamente, la rende ancora più odiosa. E dovremo qui entrare in una disputa di dialettica, spiegando la vera notizia delle proporzioni universali, e di quelle che dalla scuola si chiamano indefinite? Basta dire, che non è più universale quella mia proposizione intorno agli Spagnuoli, di quello che sia universale quest’altra del signor abate (Stor. lett. pref. pag. 26). Noi Italiani siamo forse non ingiustamente ripresi <1 esserne troppo liberali (d’ingiurie e villanie) coi nostri avversari. Non mi persuado che con quella espressione noi Italiani abbia egli preteso d’intaccare universalmente tutti quanti sono gli Apologisti in Italia. Ma che giova voler gettare la polvere sugli occhi del pubblico? Non hanno forse l’istessa università tutte quante sono le proposizioni da lui scritte in quel luogo? Il recare come cagioni del corrotto gusto d’Italia il dominio che gli Spagnuoli ci ave ai 10 allora = che i loro libri si spargevano facilmente -j=. che gT Italiani divennero , per così dire, Spagnuoli! Di più, come argomenta egli per provare che la stessa cagione (cioè gli Spagnuoli in Italia) che corruppe il gusto italiano nel seicento, lo corruppe ancora dopo Augusto. Ecco le due premesse: Marziale e Lucano e i Seneca furono certamente quelli che alla eloquenza ed alla poesia [p. 855 modifica]855 recarono maggior danno = essi ancora erano Spagnuoli: dunque.... Qual è, caro sig. abate, la conseguenza che balza agli occhi di tutti, e ch’ella colla solita dolcezza, mitigazione e cautela lascia che la ricavi il lettore anche men avveduto? non altra certamente, che quella da me proposta come suo sentimento, cioè: dopo la morte d’Augusto furono gli Spagnuoli quelli che all’eloquenza e poesia recarono maggior danno. Sarebbe un far torto al pubblico il distendermi di vantaggio in dileguar questa accusa: sebbene non ne troverà di più sode e gravi in tutto questo processo. E che? Forse più grave è quest1 altra , che si legge nella pag. 5, dove pretende che sia da me stato sposto con maggior odiosità quanto egli dice intorno all’influsso del dominio di Spagna , e di quel clima al cattivo gusto? Jl sig. abate Lampillasì dice egli (pag. 5), accusa T abate rimboschi di aver detto che la decadenza della letteratura debbasi al dominio spagnuolo: (non so perchè non cita il luogo dove si leggano queste mie precise parole) mentre l’abate Tiraboschi solamente ha detto che a ciò concorse. Ma è ciò solo quello che ha detto l’abate Tiraboschi? Rileggasi quanto sopra abbiamo esposto intorno ai sentimenti del Tiraboschi. Così pure pretende il sig. abate che intorno all1 influsso del clima di Spagna solamente abbia detto: che il clima, sotto cui nacquero « Marziale, Lucano ec. potè contribuire a con« durli al cattivo gusto ” aggiungendo « espres« sionc, come ognun vede, assai moderata [p. 856 modifica]8 “6 (pag. 5) ». Queljp avverbio assai, sig. abaie stimatissimo, è saltato dal suo luogo. Lo metta ella dopo il verbo contribuire, e così recherà con fedeltà la sua espressione, cioè potè contribuire assai al cattivo gusto. Così collocato quell1 avverbio, ella vedrà che non manca dove lo ha messo , cioè , prima della parola moderata; anzi non sarà poco, se il pubblico crederà che possa restar il moderata anche senza I’ avverbio assai. Trovasi di nuovo questo sbaglio nella pag. 7, dove il sig. abate ristampando quel suo detto intorno al clima di Spagna, dopo il potè contribuire ha messo con troppa fretta l’ec. prima di scrivere l’assai. Nondimeno in quell’istesso luogo sclama contro di me: è ella dunque questa la fedeltà e la scrupolosa esattezza con cui si debbon recare le parole degli autori quando si vogliono impugnare? lo domando, se sia lecito il mancare alla fedeltà e alla scrupolosa esattezza nel recare le parole degli autori, quando si vogliono difendere (1). (1) Eccomi dunque accusato d’infedeltà dal sig. abate Lampillas , perchè riferendo le mie parole ho detto che il clima sotto cui erano nati Lucano e Marziale, potè contribuire a condurli al cattivo gusto, e ho ommesso l’avverbio assai, che tanto aggrava la mia proposizione. Si conosce pur chiaramente ch’io non son molto felice nell’impostura. Io ommetto qui maliziosamente, come vuote I’ aliate Lampillas, 1‘ avverbio assai, e non mi ricordo che poco prima recando nella mia lettera tutto quel mio passo, vi ho posto bello e chiaro quel terribile assai, ch’io qui voglio toglier dalla vista del mio avversario. Chi riflette a ciò, dirà certamente che 1 ommissione nel secondo luogo è stata incolpevole , e nata da corso di penna , poichè se fosse stata volontaria , [p. 857 modifica]Ora in queslo stesso passo si osservi ch’egli mi accusa di aver dissimulate quelle parole: congiunto alle cagioni morali; ma a convincere il sig. abate che io sono lontanissimo di voler dissimulare in questo luogo dette parole, quasi che distruggano la taccia data da lui al nostro clima , mi basta presentare a’ suoi occhi la pag. 209 del Tom secondo del mio Saggio, ove a bella posta intraprendo l’impugnazione del suo pregiudizio intorno al clima di Spagna, e reco le sue parole colla bramata lor precisione, cioè: il clima sotto cui eran nati (Lucano e i Seneca) congiunto alle cagioni morali che abbiamo recato, potè contribuire assai, ec. Ma venghiamo ad un’altra pretesa infedeltà, creduta dal sig. abate più grave delle precedenti, ed esposta da lui in questa guisa (lett. pag 7). « Ecco le parole ch’egli in altro luogo « m’attribuisce (tom. I): Lucano e Marziale, come chiaramente si vede, vogliono andar inu nanzi a Catullo e Virgilio, e il loro esempio u fu ciecamente seguito, e dice che ciò ho io « scritto per conservare all’Italia il privilegio «» di non corrompere la poesia, e per mostrare « chi furono gli autori del fatale cangiamento nella romana poesia ». Or io pretendo che in questo luogo il sig. abate Tiraboschi mi fa dire quello di’ io non ho detto, e dissimula ciò che distrugge la pretesa infedeltà nell’essere stati ommessi da me i nomi di Stazio, Persio e Giovenale. 1 avrei usala anche nel primo luogo. Ma 1*abate Lampista® è troppo avveduto per lanciarsi sedurre ila una lai riflessione. [p. 858 modifica]8’>8 E valga il vero: s’egli non avesse dissimulato , qual sia il punto ch’io in quel luogo prendo a provare, vedrebbe certamente il pubblico, quanto il sig. abate mi rimproveri a torto la pretesa mancanza di fede. Io dunque in quel paragrafo , che è il primo della quarta Dissertazione, prendo a dimostrare che Lucano e Marziale non furono i primi corruttori della romana poesia; onde è, eli’ io mi studio a dimostrare che fin dal tempo d’Augusto perdette non poco del suo lustro il Catulliano e Virgiliano candore. Pretendo altresì, che 1’abate Tiraboschi fa un salto da Catullo a Marziale, da Virgilio a Lucano: e che ne siegue da questo salto? che non incontrandosi che Persio anteriore a Lucano e Marziale, compariscano questi due Spagnuoli come i primi corruttori della romana poesia. In prova di ciò reco (p. 229) quelle parole del Tiraboschi: Lucano è il primo che noi vediamo distogliersi dal dritto sentiero, e poi quelle altre: Lucano e Marziale, come chiaramente si vede dai loro versi, vogliono andare innanzi a Catullo e Virgilio, e il loro esempio fu ciecamente seguito. Tralascio di nominare Stazio, Persio e Giovenale, perchè in quel luogo non vengono rappresentati dall’abate Tiraboschi come i primi corruttori 5 menti’ 1 egli concede gentilissima mente quel primo posto ai tre Spagnuoli, benchè Persio sia stato anteriore a Lucano e Marziale. Ciò si sarebbe visto più chiaramente, se l’abate Tiraboschi recate avesse con fedeltà le mie precise parole. Egli mi fa dire che il Tiraboschi ha scritto così per conservare all’Italia [p. 859 modifica]8~9 il privilegio di non corrompere la poesia: io però dico: ch’egli ha abbracciato il partito di saltare da Catullo a Marziale, da Virgilio a Lucano, come necessario per conservare all’Italia il privilegio di non corromper da se la poesia; immediatamente soggiungo: Lucano , scrive questo autore, è il primo che noi vediamo distogliersi dal dritto sentiero, e poi Lucano e Marziale, come chiaramente, ec. Trovi qui, sig. abate, ch’io abbia detto aver lui scritto queste ultime parole per conservare all’Italia il privilegio di non corrompere la poesia. Quelle parole sono dette da me prima di citare il suo testimonio, e sono relative al salto da lui fatto dall’epoca d’Augusto a quella di Lucano e Marziale: e il sig. abate con somma fedeltà me le fa dire dopo recato il suo testimonio, aggiungendovi che io dico essersi da lui scritte tali parole per conservare all’Italia il privilegio di non corrompere la poesia, pervertendo così intieramente tutto quel passo, secondo che a lui torna più in acconcio. Ma almeno non avesse dissimulato in quelle mie parole ciò che più mostra ad evidenza il vero mio sentimento. Non dissi ch’egli abbracciato avesse quel partito per conservare all’Italia il privilegio di non corrompere la poesia; ma di non corrompere da se, cioè di non essere stati gli Italiani i primi corruttori, e ciò egli lo salvava nominando fra i corruttori, in primo luogo i tre Spagnuoli, benchè dietro a costoro contro l’ordine cronologico nominasse tre Italiani. Ciò scrissi espressamente nella pag. 1121 [p. 860 modifica]8(>o dove dico « che egli pretende che Lucano e «• Marziale siano i primi , i quali volendo es*. sere superiori a Virgilio e Catullo, abbando« uarono il dritto sentiero *>: non dico ch’egli pretenda che furono i soli, ma che furono i primi. Così pure nella pag. 240 scrive: che r abate Tiraboschi trova in Persio il difetto di voler avvantaggiarsi sopra i poeti del secol d’oro; e soggiungo: perche dunque non incolpa costui, come il primo (notisi ben quel primo), che recasse questo danno alla poesia , aggiungendo che il suo esempio fu ciecamente seguito da Lucano? e conchiudo col dire: ma non lo ha fatto, perchè Lucano dovea essere il primo a distogliersi dal dritto sentiero, volendo andare innanzi a Virgilio. in vista di ciò, come mai ha avuto ella coraggio di scrivere, eli’ io troncando il testo gli fo nominar solamente due poeti spagnuoli per persuadere a’ lettori che tutta ella attribuisce agli Spagnuoli la colpa della corruzione del buon gusto? E non avrò forse io maggior ragione di sclamare, ove è qui, sig. abate stimatissimo , la buona fede? e vi sarebbe chi credesse giammai, che in un passo dov’egli pretende convincermi di una grava infedeltà, se ne dovesse trovar un gruppo intiero da canto suo, ora dissimulando ciò ch’io in quel passo prendo a provare; ora troncando i miei periodi , levandone ciò che dimostra la mia buona fede; ora trasportando a diverso luogo le mie parole; e finalmente mettendomi in bocca ciò ch’egli non troverà giammai, benchè legga e [p. 861 modifica]8(m rìh’ggn *1 citato passo, e tutti gli altri del mio Saggio (1)? «A questa infedeltà (siegue l’Ab. Tiraboschi, a pag. 8) è somigliante quell’altra, in cui egli citando quel mio passo medesimo dice ch’io u confesso che Lucano e Marziale furono i mi« gliori poeti del suo tempo, cosa ch’io ho « detto generalmente di tutti i già nominali poe- ti, e non de’ due soli Spagnuoli». Ben potevo io contentarmi di questo suo giudizio, ed accordare al sig. abate che questa infedeltà è somigliante all’altra, dimostrata da me falsa ed insussistente. Io però pretendo difendermi con sode ragioni, non già con stiracchiature e cavillazioni. Confesso che quella lode, come vien da me esposta, è alquanto più espressiva di quello che sia nell1 opera del sig. abate, e perciò prego i leggitori del mio Saggio, che a quelle parole i migliori poeti sostituiscano queste de’ migliori poeti. (r) Al divincolarsi che qui fa l’abate Lampillas, ricorrendo per iscusaie la sua infedeltà a miseri sotterfugi , io non farò a’ tru risposta che col pregare i saggi lettori a confrontare insieme la Dissertazione, d suo Saggio, la mia lettera e la sua risposta, e a decidere a qual parte sia favorevole la ragione. Dirò solo chJ io non veggo com’ei mi possa rimproverare, perchè riferendo quelle sue parole per conservare alt’Italia il privilegio (li non corrompere la poesia, io abbia ommesse le parole da se , giacche io nou veggo qual ddìVrenzu s’introduca nel testo con tale ommissione. Chi dice che V Italia non corrompe la poesia, vuol dire, a mio credere, che se fosse stata al mondo l’Italia sola , la poesia non si sarebbe guasta, che è poi lo stesso che du e eh’ella non la corrompe da se, ma solo è in essa corrotta per opera altrui. [p. 862 modifica]86 a Eccovi l’unico sbaglio intorno ai detti del sig. ubale Tiraboschi, di cui egli possa convincer l’abate Lampillas: e quale mai è questa mancanza di fede? È forse l’aver fatto dire all’abate Tirabosclii qualche cosa eli’ ei non ha detto contro la letteratura spagnuola? È avere dissimulato ciò eli’ egli ha detto in favore di essa? È aver dissimulato ciò che distrugge l’accusa di essere troppo prevenuto contro i nostri autori? Signori no. Questa gran mancanza di fede consiste nell’aver io messo in bocca al Signor. abate una lode dei due autori spagnuoli alquanto più eccedente di quella eh’egli uvea pronunziata. Ecco quell’abate Lampillas che in tutta la sua opera sempre mai si studia di far comparire l’Abate Tiraboschi dichiarato nemico degli autori spagnuoli. Ma passiamo ad un’altra pretesa infedeltà, che ha commosso il pacato animo del sig. abate. Siamo nell’apologia del carattere morale di Seneca , dove io lo difendo dalle ingiuste accuse di questo imparziale scrittore, il quale aggiunge gentilmente: Nè è qui luogo a cercare con qual sorta di pruove: ma se ciò cercar volesse il Signor. abate, non troverebbe certamente ch’io mi protesti di difenderlo coi testimoni di Tacito, e poi neppure una sola pruova ne appoggi al testimonio di quest’autore. Or dove pretende mai il sig. abate trovare in questo passo la mia infedeltà? Eccolo. Dopo aver il sig. abate Tiraboschi dipinto il carattere morale di Seneca, come d’un uomo macchiato di tutti i vizi, impiegando in questo bel passo parecchie pagine della sua immortale [p. 863 modifica]863 Storia, passa a discorrere di Cajo Plinio Secondo con questa transizione: Assai diverso fu il carattere e il tenore di vita di Cajo Plinio il Secondo detto il Vecchio: e queste parole confessa il sig. abate Tiraboschi che veramente sono sue. Fin qui adunque non v’ è infedeltà. Or io a vista di queste parole, e osservando che il Tiraboschi. senza spiegar quale fosse questa diversità di carattere e di tenore di vita, passava a parlar di tutt’altro, dissi che una tal maniera di scrivere in quelle circostanze era un dar ad intendere che C. Plinio il Vecchio fosse stato un uomo onestissimo J e soggiungo poi: Domando io: può dirsi utile ed opportuno a’ tempi nostri il cercar tutte le congetture, per far credere che fu un uomo bruttato di tutti i vizii, un Filosofo che scrisse altamente della Divinità e della Piovvidenza, qual fu Seneca; ed in confronto suo voler far credere (C un carattere onestissimo e virtuoso un derisore della Divina Provvidenza, un combattitore dell immortalità dell’anima, qual fu C. Plinio? Avrebbe mai sognato nessuno, che dopo aver recate queste mie parole dovesse sclamare il Tiraboschi: « Ma di grazia, ove mai ho io «< scritto che Plinio il Vecchio fosse uomo di « un carattere onestissimo e virtuoso? Legga e « rilegga il Signor. abate Lampillas tutto il passo, oc. « (letl. pag. 8) *>. Ma dove siamo , replico io , caro sig. abate? E quale mai si cred’ella che sia il pubblico d’Italia, a cui presenta questa sua difesa, col fingerlo sbalordito a segno di non vedere clic Tiraboschi, Voi. XV. ai [p. 864 modifica]864 10 nelle mie parole da lui ristampate, dico bensì che il sig. abate in confronto di Seneca vuol far credere d’un carattere onestissimo e virtuoso C. Plinio secondo: non però dico che il signor abate Tiraboschi scrive che Plinio il Vecchio fosse un uomo di carattere onestissimo e virtuoso. Legga e rilegga il sig. abate tutto il passo in cui io di ciò ragiono; e s1 ci ritrova queste o somiglianti parole, io mi do vinto. Quando il sig. abate avesse provato che da quella sua proposizione malamente s’argomentava ch’egli volesse far credere di carattere onestissimo C. Plinio, avrebbe avuto tutto il diritto d’accusarmi di cattivo ragionatore, non giammai d’uomo mancante di fede. Calzerebbe contro me quest’accusa, se io avessi scritto ciò che con iscrupolosa fede e buonissima intenzione ei mi fa dire. Ma a dir il vero, in questo passo non troverà il pubblico men buona della mia dialettica la mia fede. In fatti, quando il sig. abate Tiraboschi non pretenda d’essere inteso contro il senso comune, non otterrà egli giammai che le suddette parole sue poste nel luogo e nelle circostanze in cui da lui s’adoperano, non abbiano quella forza e quel senso che da me viene loro dato. Non possono forse trovarsi, dice 1’abate Tiraboschi (pag. 8), due o più uomini tutti viziosi, e tutti di carattere l’un dall’altro diverso? Ma, sig. abate stimatissimo, si ricorda ella che siamo davanti al tribunale degli uomini saggi e dotti? E non si fa ella coscienza di far loro perdere i preziosi momenti de’ loro studi in ascoltare cotai difese? Meglio sarà che, lasciati [p. 865 modifica]865 in pacc «pesti eruditi uomini, ci presentiamo al tribunale di chiunque non è sfornito di senso comune, e s’ella trova un solo il quale non volendo tradire il proprio intimo senso, resti pago di questa sua difesa, io mi do vinto. Pretendo dunque che se taluno dopo aver parlato di Tizio, dipingendolo di un carattere morale mancante d’ogni onestà, con individuare lungamente i più neri vizi de’ quali fu macchiato tutto il tenore della vita di costui, immediatamente aggiunga: assai diverso fu il carattere e il tenore di vita di Cajo, senza dir altro: quel tale, io pretendo che voglia dar ad intendere che il carattere e tenor di vita di Cajo fu onesto contrapposto a quello di Tizio. È vero che il carattere abbraccia forse ugualmente l’indole naturale, il tenor di vita, lo studio, i costumi e più altre relazioni j ma è vero altresì, che dal luogo e circostanze in cui vien messo, resta determinata questa parola carattere a significare una di tali cose in particolare. Ciò posto, io dico che in quel luogo e circostanze in cui vien da lui messa quella parola carattere con le altre tenor di vita, non può secondo il senso naturale significar altro , se non che Plinio fu un uom onesto. Finiamola con un altro esempio. S’ella, signor abate, sentisse taluno, che dopo pubblicata la sua lettera discorresse così: « 11 sig. abate « Tirabosclii risponde all1 abate Lampillas con « maniera dispregiante ed ingiuriosa j manca « alla convenienza e alla urbanità; manifesta « un carattere poco degno d1 uomo letterato: «• assai diversa è la maniera ed il carattere [p. 866 modifica]866 « dell’abate Lampillas ». Rii dica di grazia: sarebbe ella mai così buona di darsi ad intendere che quel tale non pretenda dire che la maniera e il carattere dell’abate Lampillas sieno una maniera piena d’urbanità e convenienza, e un carattere onesto (1)? TERZA ACCUSA. L’abate Lampillas fa dissimulare alV abate Tiraboschi cose cU\gli non ha in alcun modo dissimulate, Oice in terzo luogo l’abate Tiraboschi, eli’io 1’accuso d aver dissimulate cose eh’egli non ha in alcun modo dissimulate (lett. pag. 9). In pruova di questa pretesa infedeltà reca queste mie parole del tomo primo, pag. 264. Se Lucano avesse avuto la sorte di nascere sotto il cielo privilegiato d Italia, trovata avrebbe 1’abate Tiraboschi nella giovine età, in cui (1) In poche parole io rispondo a questo lunghissimo tratto dell’abate Lampillas. Egli crede di salvarsi abbastanza dicendo ch’ei non ha mai detto ch’io scrivo, ma sol che voglio far credere che Plinio il Vecchio fosse uomo di onestissimo carattere. Ma come mai voglio io far credere ciò che in niuna maniera nè affermo, nè accenno? Io parlo lungamente di Plinio, e non dico una parola in lode del suo carattere morale. Dunque nè io scrivo, nè voglio far credere eh’ ci fosse uomo virtuoso. Ma come dunque affermo io che il carattere e il tenor di vita di Plinio fosse assai diverso da quello di Seneca? Si legga ciò ch’io dico di questi due scrittori , e senza punto ricorrere al carattere morale, si vedrà qual differenza passi tra essi. [p. 867 modifica]867 compose la Farsalia, ragion potentissima onde scusare i difetti che si scuoprono in questo poema, ed ammirare le molte bellezze che gli imparziali vi ammirano. Aggiugne poi parlando col suo corrispondente: Voi credete dì io non abbia punto accennata la giovenile età di Lucano, e i pregi di cui questo poeta fu adorno. Io non so cosa sia per credersi il detto signor corrispondente. So peraltro, che se vorrà fondarsi sulle riferite mie parole, non sarà obbligato a credere che il sig. abate Tiraboschi non abbia punto accennata la giovanile età. di Lucano; ma crederà bensì eh1 egli non abbia trovala nell1 età giovanile di Lucano ragion potentissima onde scusare i difetti che si scuoprono nella Farsalia, ed ammirare le molte bellezze che gì imparziali vi ammirano. Nè altro crederà il lodato sig. abate, benchè apra la Storia dell1 abate Tiraboschi, ed in essa legga (T II): nè voglio già io negare che Lucano fosse poeta di grande ingegno, che anzi ne’ difetti che noi veggiamo in lui, non cade se non chi abbia ingegno vivace e fervida fantasia. Ma oltrecchè egli era in età giovanile troppo ed immatura per ordire e condurre felicemente un poema, avvenne a lui prima che ad ogni altro (in ciò dì è poema epico) quello che avvenir suole dpoeti, ec. Dopo queste parole con invidiabile franchezza, quasichè dimostrata avesse la mia infedeltà, aggiunge: Poteva io toccare più chiaramente ciò che il sig. abate Lampillas si duole dì io non abbia toccato? (pag. 9). Ov’è qui, sig. abate, quella buona fede di cui ella mi accusava mancante? Dov’è ch’io mi dolga [p. 868 modifica]868 eh’ella toccata non abbia f età giovanile eli Lucano? Mi dolgo bensì nelle parole da lei recate, ch’ella non trovi nell’età giovanile di questo poeta ragion potentissima onde scusare i difetti e ammirarne le molte bellezze che li imparziali vi ammirano nella Farsalia; e questa è una verità eli’ ella viene a confessare colle parole istesse con cui pretende offuscarle. E valga il vero: il trovare nell1 età giovanile di Lucano ragion potentissima onde dichiararlo incapace ad ordire e condurre felicemente un poema, sarà mai trovare nell’età giovanile di Lucano ragion potentissima onde scusare i difetti e ammirare le molte bellezze eli’ altri vi ammirano? Tanto si mostra lontano da ciò pretendere 1’abate Tiraboschi, che anzi quasi si sdegna contro coloro che dalla età giovanile di Lucano prendono motivo ad ammirare le sue poetiche virtù. Mr. Marmontel pretende che nella Farsalia debba ammirarsi il più grande dei politici avvenimenti rappresentato da un giovane con una maestà che impone, e con un coraggio che confonde. A vista di questo testimonio l’abate Tiraboschi soggiunge: altri forse direbbe, con una gonfiezza che annoja, e con una presunzione che ributta (t. II , p. 55)/ Questa è la leggiadra maniera con cui questo preteso encomiatore di Lucano trova nell1 età ili lui giovanile ragion potentissima per iscusarne i difetti ed ammirarne la virtù (i). (i) Dicendo io che Lucano era in età giovanile troppo e immatura per ordine e condurre felicemente un poema , non trovo io nell’età giovanile di esso la scusa [p. 869 modifica]Non è men graziosa la maniera con cui egli pretende che il suo sig. corrispondente trovi nella Storia letteraria accennati i pregi di cui è adorno Lucano. In prova di ciò reca queste sue parole: Nè voglio già io negare che Lucano fosse poeta di granii ingegno, che anzi ne’ difetti che noi veggiamo in lui, non cade se non chi abbia ingegno vivace e fervida fantasia. Ma non vede il sig. abate che se il suo corrispondente apre la Storia, troverà ch’ei scrive che in Lucano quasi ogni cosa è mostruosa e sformata – che non sa parlare se non declama – non sa descrivere se non esagera – che si trova una gonfiezza che annoja, e una presunzione che ributta – che vien comparato Lucano ad un inesperto scultore che a vista d’una statua greca forma un colosso, ma senza proporzione. A vista di questi bei pregi decantati dal sig. abate, e replicati (egli di me direbbe) stucchevolmente, potrà lusingarsi che il sig. abate suo corrispondente resti persuaso della sua imparzialità nel trattare di questo poeta col trovare accennati da lui e il grande ingegno e la fervida fantasia? In questo luogo fa osservare il sig. abate Tiraboschi, ch’io non ho badato, o finto di non badare a quella parentesi (in ciò dì è poema epico) pretendendo trovarsi qui la spiegazione di quel suo detto: Lucano fu il primo a distogliersi dal buon sentiero, scritto da lui molto de’ suoi difetti? Ognun ne giudichi. Ma l’abate Lampillas avrebbe voltilo eli’ io esaltassi Lucano con più ampie lodi \ c io amo troppo la mia riputazione per farlo. [p. 870 modifica]870 prima. Aprasi il Tom secondo della Storia letteraria nella pag. 5, dove si comincia a trattare della poesia dopo il secolo (d’Augusto, e si vedrà che ivi si comincia col parlare di Germanico. Tutte le poesie che si accennano di quest’illustre poeta, sono commedie greche, epigrammi latini e greci, e la traduzione de’ Fenomeni e de’ pronostici di Arato. Nessuna di queste, come ognun vede, è componimento epico. Aggiunge poi il sig. abate Tiraboschi: nelle poesie di Germanico non vede si ancora quella vota gonfiezza e quel sottile raffinamento che comincia poscia a scoprirsi nei seguenti poeti, e perciò da molti egli è posto tra gli scrittori dell età d oro, benché toccasse ancora il regno di Tiberio. Lucano è il primo che noi veggiamo distogliersi dal buon sentiero, e lusingarsi di andar innanzi ancora a Virgilio. Entra poi a parlare di Lucano, cominciando dalla patria, ec., senza che in un lungo tratto si trovi quella sua pretesa spiegazione. Io domando: chiunque legga questo passo della Storia letteraria , crederà mai che Lucano sia stato il primo .a distogliersi dal buon sentiero, per soli quei difetti che riguardano il poema epico, e non piuttosto in generale per quelli che non ve-% dorisi nelle poesie (non epiche) di Germanico, e si scuoprono ne’ seguenti poeti? Forse la vuota gonfiezza e il sottile raffinamento sono difetti soltanto nelle composizioni epiche, e non anzi in qualunque altro poetico componimento? Non sono certamente epici i componimenti di Persio, ripresi dal Rapin per la gonfiezza nelle espressioni. Se dunque ov’egli parla [p. 871 modifica]di questi difetti, ivi è che dice: Lucano fu il primo a distogliersi dal buon sentiero; come mai pretende eli1 io avverta eli1 egli ristringeva quest1 accusa a1 soli difetti in cò dì è poema epico? Questa è la maniera , sig. abate, di metter in chiaro la verità? Pretende poi il sig. abate Tiraboschi, che gli venga da me rimproverato l’aver dimenticato Igino. E in questo luogo, come in molti altri, dà alle mie parole un senso diverso da quello che tutti intendono, e così fa comparire quasi false accuse e puerili lamenti le mie vere e sode doglianze. Così, dove io mi dolgo del sig. abate, perch’egli non dà luogo, perchè da lui vien dimenticato nella sua Storia, perchè egli non parla, non favella d’alcun autore spagnuolo, pretende di’ io mi dolga che egli non abbia nominato il tale, o il tal altro autore, e si crede pienamente giustificato dalla mia accusa col dire che lo ha nominato sino a due volte: e non potrà dirsi esser queste di quelle ch’egli chiama stiracchiature? Se io stesso , dove mi lamento eh* egli non abbia dato luogo ad Igino e Prudenzio, dico ch’egli si scusa dal dar loro luogo nella sua Storia , perdi1 essi furono Spagnuoli, non dico in ciò chiaramente che da lui vengono nominati? Nomina egli per ben due volte Prudenzio, e nondimeno dice: che non debbe favellare di Prudenzio perchè fu Spagnuolo: dunque non basta nominar qualche autore nella sua Storia per dir che di lui in essa ne favella (1). (i) Sappiati dunque i lettori dell opera dell" abate [p. 872 modifica]872 Ma ci!» è perdere il tempo in giuochi di parole. Venghiamo al vero senso della mia accusa. Io mi dolgo che nella Storia letteraria venga dimenticato Igino in confronto di Terenzio: che non si dia ad Igino distinto posto, come si è dato a Terenzio , e pretendo che vi siano tutte le ragioni perchè il sig. abate, dove nomina Igino, dica ciò che dice dove nomina Terenzio; cioè: non vuolsi alla fuggita nominare Terenzio. E crederà di aver risposto con solidità a questa obbiezione col dire ch’egli ha nominato per ben due volte Igino così alla sfuggita, che se ne sbriga in due righe, mentre impiega più pagine in parlar di Terenzio? Pretendo altresì che le erudite opere d’Igino, di cui egli tralascia di far menzione, perchè fu Spagnuolo, erano molto più opportune a manifestare lo stato della letteratura del secolo d’Augusto, che non le commedie di Terenzio; come ne’ tempi venturi lo saranno le erudite fatiche de’ bibliotecarii Estensi a manifestare lo stato della letteratura in Italia in questo secolo molto più che i componimenti teatrali dei migliori poeti. Nè punto meno opportuna sarebbe stata e propria della Storia letteraria la critica ricerca intorno alle vere o supposte opere d’Igino; nè certo minor utilità recata avrebbe alla repubblica delle lettere di quella che recar possano Lampillas , che quando egli dice eh’io non do luogo nella mia Storia, che dimentico, che non parlo, che non favello, vuol dire eh’io gli do luogo , eli1 io non me ne dimentico , che ne parlo , cc. Egli ha fatto saggiamente colf avvertircene. [p. 873 modifica]873 le molte pagine da lui impiegate in formare il processo contro il carattere morale di Seneca, c nell1 investigare liinghissimamcnte il vero motivo dell* esilio d’Ovidio, ed altre tai cose, delle quali, benchè meno opportune in una Storia letteraria, ne ragiona il Signor. abate non alla sfuggita, ma distesamente. E qui di passaggio può osservarsi, che avendo io similmente rimproverato «vi sig. abate 1 iraboschi il non aver favellato di Prudenzio, sembra che non abbia egli stimata ingiusta questa mia doglianza , poichè non si scusa col dire che per ben due volte viene da lui nominato. Passa egli di poi al luogo ove io mi dolgo del dissimulare che ha fatto la patria degli Imperatori Trajano, Adriano, Teodosio, e di Alfonso d’Aragona re di Napoli. Eccovi un altro passo dove quest1 onestissimo accusatore, dissimulando il vero motivo della mia doglianza, la fa comparire e la chiama una fanciullaggine (pag. 10). Io dunque nel suddetto luogo mi lamento dell’abate Tiraboschi -, imperciocché do\1 egli crede d1 aver ragion ili dire che la nazione spagnuola fu la corruttrice della letteratura italiana, non dissimula, anzi replicatamente nomina gli Spagnuoli; all’opposto giunto a qualch1 epoca in cui gli Spagnuoli recarono sommi vantaggi alle italiane lettere, non fa grazia di nominare la nostra nazione. Ecco la mia riflessione: dove il Tiraboschi esamina le cagioni della corruzione del gusto nel seicento, e crede trovarne una nel dominio spagnuolo in Italia, non si contenta di dire, che a ciò concorse il dominio che gli [p. 874 modifica]Spagnuoli avcano allora in Italia; ma aggiunge a maggior spiegazione, che i loro libri (degli Spagnuoli) si spargevano facilmente; che il loro gusto si comunicava; che gli Italiani divennero per così dire Spagnuoli; clic la Toscana più lontana dagli Stati da essi dominati fu la men soggetta a queste alterazioni, come se il contagio andasse perdendo la sua forza quanto più allontanavasi dalla sorgente onde traeva V origine. Quanto però è diversa la condotta di questo storico, dove giunge alle gloriose epoche del governo Spagnuolo sotto Trajano, Adriano, Teodosio e Alfonso d’Aragona! In vano si cercherà nella Storia letteraria del Tiraboschi, dove si tratta di questi principi, il nome di Spagna , di Spagnuoli, di dominio spagnuolo. Questa è la mia doglianza. Domandi adesso il sig. abate Tiraboschi al suo corrispondente: Che dite, amico mio, d una tal fanciullaggine? Ci dica adesso il sig. abate, se gli abitanti dell antica Pannonia hanno motivo a tai lamenti. Di più. È forse men noto all’Italia che Seneca , Lucano e Marziale furono spagnuoli, di quello che sia noto che Spagnuoli furono i suddetti principi? E perchè dunque dove si tratta della eloquenza e poesia corrotte dopo Augusto, non si contenta con solo nominar Marziale, Lucano e Seneca? ma vi soggiunge:

  • ed essi erano ancora Spagnuoli. È forse più

noto alla Italia che Traiano, Adriano, Teodosio fossero Spagnuoli, di ciò che noto sia che fosse Francese Carlo Magno? Ora perchè mai nell1 epoca di questo imperatore 11011 si [p. 875 modifica]contenta il sig. abate col raccontare i vantaggi recati da Carlo Magno alle lettere? ma soggiunge: Se T Italia ebbe allora la sorte di avere un principe che si adoperasse a farvi risorgere gli studi, ella dee confessare sinceramente che lì è debitrice alla Francia. (t. III) Si contenta bensì di nominare quei principi spagnuoli che sorpassarono tutti gli altri in farvi risorgere le arti e le scienze, senza confessar sinceramente che di tai vantaggi ne sia f Italia debitrice alla Spagna. Questa è, sig. abate Tiraboschi, quella grave e giusta mia doglianza eli’ ella non sa chiamar con altro nome, se non con quello di fanciullaggine. A tutte queste mie riflessioni vede bene il sig. abate che non può soddisfarsi col dire che da lui vien chiamato Alfonso d’Aragona. Sapeva ben egli, ch’essendo rimasto in Italia questo regio cognome ad illustrare alcune nobilissime famiglie, non era già questo a’ tempi nostri un non equivoco contrassegno con cui manifestare che Alfonso fosse spagnuolo. Anzi non manca autore italiano ben noto al sig. abate Tiraboschi, il quale in una sua opera stampata nel 1775, dove discorre dei principi italiani che favorirono gli studi in Italia nel secolo xv, » nomina Alfonso re di Napoli insieme coi Galeazzi, Medici, Estensi, Gonzaghi, ec., e poi passa a discorrere dei principi forastieri che favorirono i dotti italiani. Ma di ciò parleremo più distintamente nella seconda parte del Saggio apologetico (1). (1) Di tutti questi raziocinii dell’abate Lampillas io lascio l’esame e la decisione agl’imparziali lettori. [p. 876 modifica]876 Andiamo avanti. Dice gentilmente il sig. abate Tiraboschi (p. 11) che quanto più s’avanza nella sua opera il sig. abate Lampillas, tanto più sembra che gli si annebbino gli occhi, ec. L’abate Lampillas dice che sono così fosche le nuvole con cui il sig. abate Tiraboschi si è studiato nella sua lettera di offuscare la verità, che non senza fondamento ha temuto qualche volta di avere annebbiati gli occhi, provando non poca fatica per mettere nel vero lume i passi del suo Saggio trasformati nella lettera del sig. abate, affinchè chiunque sa leggere, possa leggerli quali da lui furono stampati } mentre ciò solo basta ad una piena difesa. In questo luogo dunque l’abate Tiraboschi scrive: « ch’io dopo aver confutate le prove •* con cui egli ha procurato di dimostrare che Gherardo fu Italiano, e non già Spa« gnuolo, arreco diversi tratti, ne’ quali egli « ragiona del sapere di esso, e quindi con« chiudo: chi non crederà leggendo questi bei “ tratti della Storia letteraria, che il gran CmIic« rardo fosse un celebre filosofo italiano, che « arricchito in Italia d ogni genere di cognizioni ni, passò in Ispagna a far conoscere il suo <* valore, e che spargendo copiosi lumi di dot« trina dissipò le tenebre che per molti secoli a avevano ingombrato quel regno, ec. «. In qual diverso aspetto vien rappresentato questo tratto del mio Saggio da quello ch’io scrissi! Aprasi il secondo mio tomo nella pag. 147, e vedrassi che per tutto quel paragrafo quinto si tratta della patria di Gherardo senza far [p. 877 modifica]molto di ciò di cui ragiona l’abate Tiraboschi in questo passo della sua lettera. Nella p. 162 comincia il paragrafo sesto, il cui titolo è: Il risorgimento degli studi di Filosofia, ec., dopo il mille lo dovette l’Italia agli Spagnuoli. Qui rimprovero all’abate Tiraboschi il disporre ch’ei fa la sua Storia in maniera, che in tutte l’epoche comparisca l’Italia maestra ed illuminatrice delle altre nazioni, e parlando del risorgimento degli studi di filosofia dopo il mille la discorro così (p. 164): A disvelare maggiormente la « singoiar arte di quest’autore in esaltare la « patria letteratura, servirà non poco il riflet« tere la maniera con cui entra a parlare di « Gherardo preteso italiano. Dopo aver detto « che gl’italiani fecero risorgere la filosofia « in Francia, e che in Costantinopoli le reca« rono nuovo lume, disse: che più? anche « alle Spagne si fece conoscere il valore degì I« taliani nel coltivamento dei filosofici studi per « opera del celebre Gherardo cremonese (t 3); « quindi termina così la storia di Gherardo: « In tal maniera gì Italiani quesi ad ogni parte « del mondo davano in questo tempo luminose « pruove del loro sapere, e govavano a dis« siparc le tenebre che lo avevano da tariti « secoli ingombrato (ivi) ». In seguito a questo passo del mio Saggio viene quel tratto che ristampa l’abate Tiraboschi nelle pag. 11 e seg., e comincia: Chi non crederà leggendo questi bei tratti della Storia letteraria, ec. Qui può osservarsi la fedeltà con cui asserisce l’abate Tiraboschi, che io dopo arrecati diversi tratti, ne’ quali egli ragiona del [p. 878 modifica]8;8 sapere di Gherardo, conchiudo: chi non crederà, ec. Qui ripiglia egli, e dice: chi non crederà, dirò io pure, leggendo questo tratto del sig. abate lampillas, ch’io nulla abbia detto di tutto ciò di ci va qui raccontando in lode della sua Spagna? (p. i i). Io rispondo, che ciò crederà chiunque non crede, come io non credevo , che il bravo e vivace Storico della letteratura italiana potesse tessere la Storia di qualche letterato in guisa , che ciò che narra nel mezzo contraddice a ciò che dà ad intendere sul principio, ed a ciò che conchiude sul fine. Legga chiunque l’esordio da me recato, con cui comincia il Tiraboschi a parlare di Gherardo, e le parole con cui conchiude la sua Storia , cmi dica se creduto avrebbe giammai che parlasse il Tiraboschi d’un Italiano che andò in Ispagna a coltivare la filosofia che giaceva dimenticata in Italia, e che colà s’impiegò nella traduzione d’alcune opere filosofiche? Eppure, come io stesso scrivo, non può dir altro di Gherardo il Tiraboschi. Io non pretesi che non avesse detto il Gherardo tutto ciò ch’egli ha scritto; pretesi bensì, che dovendo lui ciò confessare, ch’era di non poco onore alla letteratura spagnuola di quei tempi, e che dovea chiaramente mostrare che furono gli Spagnuoli i maestri degl’italiani nei filosofici studi, egli a fine d’annebbiare gli occhi de’ suoi leggitori, e far loro credere tutt’altro, cominciò con quel bell’esordio: che più? anche alle Spagne si fece conoscere il valore degli Italiani nel coltivamento dei filosofici studi, aggiungendovi la non men bella chiusa: [p. 879 modifica]in tal maniera gl’Italiani quasi ad ogni parte ilei mondo davano in questi tempi luminose pruove del loro sapere, e giovavano a dissipare le tenebre che l’ave ano da tanti secoli ingombrato. Questo è, sig. abate stimatissimo, ciò ch’io leggo in questi suoi bei tratti, e ciò legge chiunque sa leggere. Dopo ciò arreca l’abate Tiraboschi le parole con cui egli nella sua Storia asserisce che Gherardo recossi a Toledo, e là si accinse alla traduzione di parecchi libri, e che dovette in gran parte i suoi studi a Toledo. Finisce poi col domandare: poteva io dire più chiaramente ciò eh ci mi accusa di avere dissimulato (p. 12)? Rispondo, ch’egli nè chiaramente, nè confusamente ha detto ciò ch’io l’accuso di aver dissimulato. Egli ha detto chiaramente che Gherardo dovette verisimilmente in gran parte a Toledo i suoi studi e il suo sapere: io però non l’accuso di aver ciò dissimulato, anzi al tomo secondo pag. 154 arreco queste stesse sue parole. Io lo accuso di aver disposto in maniera questo tratto della sua Storia, che comparisca l’Italia la ristoratrice dei filosofi studi in Europa j gloria ch’io pretendo dovuta alla Spa-« gna, e dissimulata dal sig. Abate e potrà egli dire che ha detto chiaramente che si debba alla Spagna questo vanto? Questa però è la condotta osservata dal sig. abate in tutto questo processo: fingere strane accuse che io non l’intendo, e dissimulare le sode e vere a cui non si trova in grado di rispondere. Prosiegue egli nella pag. 12, e pretende ch’io stesso mi contraddica, (dove mentre l’accuso di Tikabosciii, Voi. XV. 22 [p. 880 modifica]88o aver dissiinuliita qualche gloria letteraria degli Spagnuoli, ivi medesimo reco le sue parole, dalle quali chiaro si scorge il contrario. Non posso se non che di nuovo ammirare il coraggio di questo mio accusatore; giacchè in tutto questo tratto del mio Saggio pretende che il pubblico legga tutt’altro, che ciò ch’io ho scritto, trasformando tutto l’ordine del mio ragionare. Io dunque, come ho detto sopra, in tutto quel paragrafo sesto, che comincia alla pag. 162, mi lamento che l’abate Tiraboschi abbia disposta la sua Storia in maniera, che comparisce doversi all’Italia la gloria di ristoratrice degli studi dopo il mille, gloria che a ragion si debbe alla Spagna. Questa, e non altra, è quella qualche gloria letteraria degli Spagnuoli ch’io pretendo dissimulata dal Tiraboschi. Dopo proposto così l’argomento che prendo a trattare, dice l’abate Tiraboschi (p. 12) che io passo a ragionare lungamente degli studi e delle opere degli Arabi Spagnuoli, per dimostrare quanto tutto il mondo debba a quella nazione; e pure per molte pagine immediate alla suddetta mia proposta niente affatto discorro nè degli studi degli Arabi, nè di quanto tutto il mondo debba a quella nazione. Impiego bensì quelle pagine in dimostrare la maniera con cui il Tiraboschi fa comparire l’Italia ristoratrice degli studi in Europa. Arreco in primo luogo le parole con cui egli comincia a trattare della Filosofia e matematica dopo il mille (t. III, lib. c. 5). Ne’ tempi più antichi, scrive egli, col divolgare i libri di Aristotele, e col recare nelle loro lingue le opinioni, ed i sistemi de’ più [p. 881 modifica]«di illustri filosofi, aveanle accresciuto nuovo ornamento. Or nel decadimento in cui ella era, gl Italiani parimente furono i primi che per così dire la richiamassero a vita: ed aprissero la via non solo a’ lor nazionali, ma ad altre nazioni ancora. Quindi arreco l’esordio con cui il Tiraboschi entra a discorrere della medicina nel seguente capo: Come la Filosofia e la matematica, dice, dopo l’essere state parecchi secoli quasi interamente neglette, cominciarono a questi tempi a risorgere in Italia, e da essa si sparsero poscia nelle vicine non meno, che nelle lontane provincie, così pure la medicina, nell epoca di cui parliamo, venne per opera degl Italiani singolarmente a nuova luce. Dopo di ciò osserva la maniera con cui comincia a parlare di Gherardo, cioè: che più? anche alle Spagne, ec. In vista di quest’ordine del mio ragionare, che ognun che ha gli occhi in fronte, legge nel mio Saggio , chi crederebbe giammai che un uomo che mi accusa di mala fede, dopo recate quelle mie parole, dove lo incolpo di voler far comparire l’Italia ristoratrice degli studi in Europa, soggiungesse (p. 12): quindi passa a ragionar lungamente degli studi e delle opere degli Arabi Spagnuoli, per dimostrare, quanto tutto il mondo debba a quella nazione. Se la verità filosofica fosse stata la condottiera della sua penna , in questo luogo doveva piuttosto dire: quindi arreca parecchi tratti della mia

    • Storia, co’ quali dimostra ad evidenza ch’io
    • ini sono studiato di far comparire l’Italia la [p. 882 modifica]8 8 a

« prima ristoratrice della filosofia, matematica « e medicina, c la fortunata sorgente onde si « diffusero per 1’Europa ». Dimostrata così questa condotta del Tiraboschi, passo a far vedere quanto fosse lontana 1 Italia in quei secoli da poter ristorare tai studi, e dissipare le tenebre che ingombrano l’Europa; e quanto all’opposto fosse la Spagna in istato di poter recare questi vantaggi alle giacenti lettere. Ciò provo coi testimoni e del Bettinelli e del Tiraboschi, i quali confessano e la somma ignoranza in cui giacea sepolta l’Italia a quei tempi, e all’opposto il florido stato in cui erano in Spagna gli studi. Questo era il luogo dove il sig. abate doveva dire al suo corrispondente: ma il credereste voi mai? L’Abate Lampillas per dimostrare “ che l’Italia non potè essere la ristoratrice « della giacente filosofia, arreca parecchi te“ stimoni di quell’abate Tiraboschi che, come « voi leggete nella sua Storia medesima, fran« cameni e ci assicura che gl’italiani furono i “ primi a richiamar a vita la filosofia , ad aprire la via anche ad altre nazioni, e che « dall’Italia si sparse sino alle lontane pro« vincie ». Poteva aggiugnerli ancora: « voi crederete •* che l’abate Lampillas abbia trovati quei le« stimoni, con cui io confesso che a questi “ tempi era tra gl’italiani sconosciuta e di“ monticata la filosofìa, e che ella fioriva feii« cernente tra gli Arabi; crederete, dico, che « gli abbia trovati dove io discorro del risor« giwento di siffatti studi dopo il mille: ma [p. 883 modifica]883 « v’ingannate, caro amico. Niente di tuttociò ,< si trova nei capi della mia Storia, cioè nel 5 e nel 6 del libro quarto del mio terzo tomo. Ma « all’abate Lampillas, sebben se gli annebbino a gli occhi, gli è riuscito di scuoprire ilei tomo u quarto, dove io discorro dello stato di que« sti studi nel secolo decimo terzo, altri passi « che mal si confanno, anzi distruggono tutta u quella pretesa gloria dell’Italia, ch’io in’af« laticai ad istabilire nel tomo terzo, sebben « egli per sua bontà non mi ha rinfacciata « questa contraddizione. E credereste voi mai che io potessi pretendere d’accusarlo di « contraddizione, dov1 egli poteva convincermi « d’ima delle più manifeste? » Infatti 11011 è tale il dipingerci l’Italia dopo il mille come ristoratrice della filosofia, e illuminatrice anche della Spagna; e poi nel seguente tomo, dove si tratta della scoperta dell’Ago calamitato, scrivere: questa scoperta dovette farsi probabilmente nel decimo o nell’ lindecimo secolo, quando la filosofia fra noi appena si conosceva di nome, e fra gli Arabi all’opposto era assai coltivata; e confessare che fra gli Arabi di Spagna si coltivavano con grande ardore nei bassi secoli gli studi d’ogni maniera (tomo. quarto)? Ecco, signor abate, il fondamento della mia giusta doglianza, cioè la maniera con cui ella, dove si tratta del risorgimento degli studi dopo il mille, fa comparire gl’italiani i primi ristoratori, dissimulando il doversi a ragione questo vanto alla Spagna; e poi in altro tomo, dove si tratta di tutt’altro, che di questo risorgimento, confessa [p. 884 modifica]884 l’ignoranza dell’Italia dopo il mille, e P ardore eoli cui in Ispagna si coltivavano gli studi d’ogni maniera. Ecco come può con tutta ragione r abate Lampillas accusarlo ch’egli abbia in questo punto medesimo dissimulate le glorie de’ suoi Arabi Spagnuoli (pag. 12) (1). Or prego il pubblico a riflettere che il Tiraboschi per dar f|ualche colore di verità alle accuse ch’egli ingiustamente m’intenta, non ha trovata altra maniera che il troncare e trasformare i più ben ordinali tratti del mio Saggio. Io all’opposto a difendermi, non mi studio che a riordinarli, e metterli davanti quali in esso si leggono. lo lascio in disparte’ , prosiegue il Tirabosclii (pag. 1 2), la ridicola accusa eli egli mi dà di non aver detto che S. Domenico fosse Spugnitelo; e cita il mio tomo secondo, pag. 19G. Meglio avvrebbe fatto il sig. abate Tiraboschi (1) E^co dieci pagine (della prima edizione) impiegale dall abate Lampillas a difendersi dall’accusa da me datagli riguardo a ciò ch’ei dice di Gherardo cremonese. Ei si duole che io non abbia affermato che I’ Italia dovette alla Spagna il risorgimento de’ buoni studi, Io non l’ho detto, nè ’l dirò mai. Ho detto che Gherardo dovette veri si mi Intente in gran parte a Toledo i suoi studi e il suo sapere; e col dir ciò ho detto quanto io sapeva delle glorie letterarie della Spagna riguardo all’Italia in quel secolo; e mi son doluto e mi dolgo tuttora che l’abate Lampillas abbia a questo luogo dissimulata questa mia espressione onorevole alla Spagna. Ho confessato che gli studi filosofici giacevano dimenticati in Italia; dunque non ho certo detto che la Spagna li ricevette dall’Italia. Ho detto che gl’italiani in ogni parte del mondo facean conoscere il loro talento, e ciò è verissimo anche riguardo alla Spagna. [p. 885 modifica]885 di tralasciar del tutto quest’accusa, e così si sarebbe risparmiato il rossore di sentirsi rinfacciare la più vergognosa falsità: leggasi la pag. del mio secondo tomo, leggasi pure tutto quel § 8 dove io parlo di S. Domenico, e vedasi se in esso si trova una tale accusa; e non potranno se non che maravigliarsi i leggitori che un uomo il quale , non pago di troncare e travisare i miei detti,. finge in oltre accuse del tutto ideali, abbia nondimeno il coraggio di dire: che può egli rispondere? io cito le sue precise parole senza punto alterarle, com’egli ha alterato le mie (pag. 20). Nè potranno guardare senza sdegno che su questo falso fondamento venga io da lui trattato con la dispregiante espressione: Chi mai avrebbe creduto che dovesse trovarsi un abate Lampillasj ec.*, espressione che il solo sentirsi rinfacciare, dovea tingere di rossore chiunque non affatto ignori i doveri dell’urbanità. Ecco la mia doglianza contro il Tiraboschi in tutto quel passo. Io prendo a dimostrare che i sacri studi furono in quel secolo promossi ed illustrati in Italia dagli Spagnuoli. Cominciò con uno degli avvenimenti più vantaggiosi alle scienze sacre, quale fu la fondazione dell* illustre Ordine de’ Predicatori. Affermo che l’Italia sperimentò bene questi vantaggi , e ne reco in pruova le parole stesse del Tiraboschi. Tutto ciò si trova nella pag. 195 del mio secondo tomo. Quindi ripiglio pag. 19G. « Di tutti questi vantaggi, io chieggo, non è « debitrice l’Italia al gran S. Domenico, glo« ria ed ornamento della nazione spaglinola? [p. 886 modifica]88f> Eppure nemmen si vede nominato , dove si « traila della nascita di quest’Ordine. Io penso « che sarebbe qui più opportuna quella sincera « confessione fatta dal Tiraboschi in occasione

    • della venuta di Carlo Magno in Italia, giac« che con giusta ragion potrebbe dire: Se f I« tali a ebbe a questi tempi la sorte di aver un

« eroe santissimo, che con la fondazione d un « nuovo Ordine si adoprò a farvi risorgere / sa« cri studi, e le assicurò un perpetuo seminario « di grandi uomini, ella dee confessar sincera« mente che ne è debitrice alla Spagna ». Dov’è qui, sig. abate stiiiialissyiio, ch’io l’accusi di non aver detto che S. Domenico fu Spagnuolo? Dove sono le mie precise parole citate senza punto alterarle? In questa guisa ella si studia di sfigurare le mie giuste accuse per farle credere ridicole; mentre l’accusa da me intentatale in questo luogo solo può chiamarsi ridicola da chi, acciecato da qualche prevenzione, pretenda che furono maggiori i vantaggi recati da Carlo Magno agl’italiani studi, di quelli dei quali è debitrice l’Italia a tanti dottissimi Domenicani che l’hanno illustrata, e la illustrano per quasi sei secoli (i). (i) Questo è un puro giuoco di parole. Io ho lodato l’Ordine dei Predicatori, e ho detto che molto ad esso dovetter le scienze, e col lodar l’Ordine domenicano ho lodato S. Domenico fondator dell’Ordine, giacchè niuno, credo, vorrà sospettare che il detto Ordine sia fondato da S. Benedetto. È dunque una puerilità il dire ch’io lodando l’Ordine domenicano non ho nominato S. Domenico; e tutta l’accusa non può ridursi ad altro, che al dire eli io non ho detto che S. Domenico fosse spagnuolo, e perciò a tale accusa ho fatta la risposta che si conveniva. [p. 887 modifica]Qui si vede con quanta ragion poteva dire il Tirabusciò che si vergognava di trattenersi su questo punto. Non men però dovea vergognarsi dell’altra accusa ch’egli m’intenta intorno al celebre Cardinale! Albornoz. Scriv’egli a questo proposito (p. 13) ch’io l’accuso di non aver fatta menzione nella sua Storia del celebre cardinat Albornoz Spagnuolo; e che qui di nuovo deve lamentarsi del Signor. abate Lampillas, e farne solenni doglianze in faccia a tutto il mondo. Anche in questo luogo, caro sig. abate, poteva ella interpellare il suo corrispondente, e dirgli: « ma il credereste voi mai? l’abate Larn« pillas 11011 mi ha fatta mai una tale accusa. « Io con buonissima fede assicuro a Hit lo il « mondo ch’egli dice ch’io nella mia Storia « non ho fatta menzione del Cardinal Albornoz. u Io so bene ch’egli ciò non ha detto; e 11011« dimeno colla solita franchezza mi lamento di « lui in faccia a tutto il mondo non per ciò « eh’egli abbia detto , ma per ciò ch’io gli « fo dire ». In fatti vedasi il tomo secondo del mio Saggio dalla pag. 201 fino alla pag. 206. dove io parlo di questo celebre cardinale, e se si trova ch’io mi dolga assolutamente del Tirabosehi di. non aver fatta nella sua Storia menzione del Cardinal Albornoz, mi confesso uomo mancante di buona fede; se ciò non si trova, lascio al mondo intero il giudizio che deesi farsi intorno alla fede del Tiraboschi. Mettiamo nella vera luce questo fatto, che tanto basta a giustificarmi. Nel paragrafo 8 della Dissertaziou vi prend’io a dimostrare ili quanto [p. 888 modifica]888 sia debitrice 1 Italia al cardina! Albornoz: ciò comincio a fare in fondo alla pag. 201, dove in poche righe manifesto lo splendore recato dal sì insigne cardinale all’università di Bologna colla fondazione del magnifico collegio di San Clemente degli Spagnuoli. Quindi passo a spiegare gli altri meriti del nostro cardinale verso gran parte deli’Italia 7 e comincio così: « In « questo luogo non posso non fare un a 1110« revol lamento colf abate Tiraboschi, e mollo ♦< più colf abate Bettinelli \ imperciocché dove

    • ci dipingono lo stato dell’Italia nel secolo xiv

u oppressa e tiranneggiata da tanti prepoten« ti, non si degnano tienimeli di nominare il <* grand’Egidio d1 Albornoz, che a costo d’iin• « mense fatiche liberò gran parte di essa dal« l’oppressione di quei tiranni, ed assicurò alla « Romana Chiesa 1 antico patrimonio *». Dov’ è eli1 io qui accusi 1’abate Tiraboschi di non aver fatta menzione nella sua Storia del celebre Cardinal Albornoz? Il lamentarmi ch’io giustamente fo, che il Tiraboschi dove ci dipinge lo stato dell’Italia del secolo xiv oppressa e tiranneggiata da’ prepotenti, non sì degni nemmen di nominare il grand Egidio di Albornoz. è lamentarmi che nella sua Storia non abbia fatta menzione il detto cardinale? Qui poteva io a ragion rinfacciare al sig. abate Tiraboschi ch’egli fa universale a tutta la sua Storia la proposizione da me ristretta ad un determinato passo di essa; vedeva egli però, che recata la mia accusa quale da me venne scritta , non poteva giammai convincerla di falsità. Ciò all1 oposlo gli riusciva sfigurandola come ha fatto. [p. 889 modifica]Aprasi il tomo quinto della Storia letteraria del rimboschi, leggasi lutto il capo primo del libro primo che ha per titolo, Idea generale dello stato civile d’Italia in questo secolo, e vedasi se in verun luogo delle dieci pagine che compongono quel capo , venga nominato il Cardinal Albornoz; eppure ciò vi voleva a convincermi di mala fede. In fatti l’unica maniera con cui doveva egli farla palese a tuli’ il inondo, era questa: « L abaie Lampillas si la« menta che dov io dipingo lo stato dell1 II a« lia nel secolo xiv oppressa e tiranneggiata « da* prepotenti, non abbia io nominato Egi« dio d’Albornoz. Leggasi il capo primo del « libro primo del mio tomo quinto, dov1 io « descrivo lo stato dell1 Italia nel secolo xiv, «« e là troverassi nominato da me il Cardinal « Albornoz. L’abate Lampillas si lamenta ch’io « non fo menzione delle immense fatiche con

  • 4 cui l’Albornoz liberò gran parte dell1 Italia

4i dall’oppressione de’ tiranni, le assicurò la 44 felicità con savie leggi, e fece in essa rifio44 rire gli abbandonati studi. Leggasi il predetto 44 capo (o almen qualchedun altro) della mia 44 Storia, e vedrassi ch’io non ho dissimulati 44 questi singolari meriti dell*Albornoz ». Questa sarebbe, sig. abate, la maniera di manifestare a tutt’il mondo la mia mancanza di fede; allora potrebbe a ragion dirsi che la sola verità filosofica è la condottiera della sua penna, e che risponde all’abate Lampillas coi fatti alla mano. Ma come mai può lusingarsi di ciò ottenere rispondendo a tutt’altro , che a ciò di cui vien accusato? Io mi lamento che da [p. 890 modifica]8j)o lei vengano dimenticati quei meriti del Cardinal Albornoz che esigono dall1 Italia un’eterna gratitudine, e che doveano occupare distinto posto nel primo capo del suo quinto tomo; quei meriti con cui egli assicurò la tranquillità all’Italia e la quiete agli studi; quei meriti che gli acquistarono la più tenera e distinta stima de’ papi , e quel singolare e pregiatissimo titolo di Padre della Chiesa; quel merito di doversi a lui singolarmente il ritorno di Urbano V in Italia, come scrive il Sepulveda, e che nondimeno dal sig. abate in quel capo primo si attribuisce ad Aldovrandino III signor di Modena; quei meriti finalmente che pare impossibile l’essere dimenticati da uno storico, dove tratta dello stato civile dell’Italia in quei tempi. E che risponde il sig. abate Tiraboschi a questi miei giusti lamenti? Egli risponde che nel capo terzo, dove tratta dell’università, ha impiegata quasi una pagina in parlare della fondazione del Collegio degli Spagnuoli fatta dall’Albornoz, e che ha recato l’elogio che si fa di detto cardinale in un’antica Cronaca di Bologna, dove si spiega il dolore provato da quei cittadini nella morte dell1 Albornoz, per essersi esso manifestato grand’amico degli uomini di Bologna, e avergli cavati dalle mani di quello di Milano con gran fatica (pag. 13, 14). Mi dica di grazia il sig. abate Tiraboschi: questo capo terzo nel suo quinto tomo è forse quel luogo della sua Storia dove ella ci dipinge lo stato civile dell Italia nel secolo x ir? La fondazione del Collegio di Bologna, che non ebbe pieno effetto se non che dopo la morte / [p. 891 modifica]8<ji d’Albornoz, sono quei singolari meriti che resero in vita questo celebre cardinale uno de’ più rinomati personaggi del suo tempo, e dei più benemeriti dell’Italia? E come dunque può pretendere di convincermi di mala fede in faccia al mondo tutto col dire che ha nominato l’Albornoz. dove io non gli rimprovero che di lui non abbia fatto menzione; e col dire che ha parlato lungamente della fondazione del Collegio di Bologna, che io non mi lamento che sia stata da lui dimenticata? Vedrà ben il mondo tutto la buona fede con cui il sig. abate mette davanti gli occhi de’ suoi leggitori in corsivo, come detto ila me , di’ ella non si è degnato di nominare il Cardinal Albornoz; che ella ne ha dimenticata la memoria (pag. 13, lett) senza esprimere dov’io mi lagno eli cila non l’abbia nominato, e qual sia la memoria dell’Albornoz eli1 io desidero nella sua Storia. Più chiaramente si vedrà questa buona fede del Tiraboschi, se esaminando quanto egli intorno a ciò scrive sul principio della pagina 13 della sua lettera. Qui dunque dopo recate quelle mie parole in questo luogo non posso non fare un amichevol lamento, ec., soggiugne parlando di me: Quindi dopo aver rammentate le grandi imprese di quel celebre cardinale (tra le quali non si vede la fondazione del Collegio di Bologna) e ripetuto più volte che io doveva pure farne menzione (dopo il passo da lui recato non lo dico neppure una volta) e dopo aver detto che da me è stata dimenticata la memoria del celebre Albornoz, (ciò dico parlando dell* abate Bettinelli, non già dell’abate Tiraboschi) conchiude: questa disgrazia però, ec. [p. 892 modifica]8i>3 Or aprasi in taccia a tutto il mondo il mio Saggio, e leggansi le pagine 202 fino a’ 206 del secondo tomo , e giudichi tutto il mondo della buona fede del mio accusatore. Ivi vedrassi che nemmen una sol volta vien da me rimproverato al Tiraboschi eli1 egli non abbia fatta menzione dell’Albornoz, senza individuare e il luogo dove dovea nominarlo, e in cui certamente non lo nomina; e i meriti di cui far dovea menzione, i quali certamente vengono da lui dimenticati. Vedrassi che in fondo alla pag. 204 comincio a discorrerla del sig. ubate Bettinelli; non meno, io dico, avea tutto il diritto questo gran cardinale tf essere nominato nell elegante Storia del Risorgimento dell’Italia, ec., senza che per quasi due pagine vengano più nominati nè il Tiraboschi, nè la sua Storia letteraria. Termino poi il ragionamento col Bettinelli, e dico parlando di lui: come mai nondimeno, mentre onora tanto la memoria di quelli che promossero le belle arti, ed empirono di versi I Italia, viene all’istesso tempo da lui dimenticata la memoria del celebre Albornoz? Eccovi quel dimenticata la memoria del celebre Albornoz, ch’io rimprovero all’abate Bettinelli, e che quel sig. abate Tiraboschi, che cita le precise parole dell abate Lampillas senza punto alterarle, scrive ch’io ho detto parlando di lui. Dopo aver detto (egli scrive parlando di me) che da me è stata dimenticata la memoria del celebre Albornoz, conchiude: questa disgrazia però, ec.; e in questa guisa fa comparire relativa all’aver egli dimenticata la memoria dell’Albornoz quella disgrazia; [p. 893 modifica]che ila ine viene scritta come relativa all’avere il Bettinelli dimenticata la memoria del celebre Albornoz. Sì, fedelissimo sig. abate, questa è la buona fede con cui ella cita le mie precise parole senza punto alterarle; questa è la leggiadra maniera con cui ella mi fa dire ciò che io non ho detto, e poi leva alto la voce contro di me in faccia a tutto il mondo. Ma credeva ella forse che in tutto il mondo non dovesse trovarsi chi avesse in mano il mio Saggio, e in esso esaminasse le accuse eli’ ella in1 intenta? Vede in esso chiunque ha occhi in fronte, che dove io conchiudo il ragionamento contro I1 abate Bettinelli con questo periodo: Questa disgrazia però è comune al nostro cardinale con tanti altri celebri Spagnuoli benemeriti delr italiana letteratura, i quali, come abbiam visto , vengono dimenticati dall’autore della Storia letteraria; vede, io dico, che quella espressione questa disgrazia non può giammai riferirsi ad un’assoluta dimenticanza dell’Albornoz nella Storia letteraria , quale non si vede da me additata in tutto quel passo j ma bensì all* assoluta dimenticanza dell’Albornoz nell’opera del Bettinelli, di cui io in quel luogo ragiono; e all’avere il Tiraboschi dimenticati tanti meriti di quel cardinale , che meritavano distinto posto nella sua Storia. Vede che nel mio Saggio è tuli1 altra l’accusa ch’io intento all’abate Tiraboschi di quella eli’ egli si studia di far comparire nella sua lettera. A vista di tutto ciò, non può se non che stupirsi che un uomo ben consapevole di questa sua [p. 894 modifica]8y4 coni lotta pretenda levar alto la voce , e chiedere soddisfazione contro la calunnia che se gli appone; quasi che col rumore delle sue grida impedir potesse che si udisse la voce della verità, che mi dà tutto il diritto a domandarla. Almeno, può replicar l’abate Tiraboschi r abate Lampillas ha dissimulato quant1 io ho detto in lode del celebre Albornoz, e perciò è reo d’una di quelle infedeltà di cui io lo accuso in quarto luogo; cioè, d’aver dissimulate più cose che fanno in mio favore, e che distruggon!! le accuse ch’ei mi ha intentate. Alf opposto 1’abate Lampillas pretende aver in questo passo dissimulata una ben ovvia riflessione , la quale vieppiù confermerebbe la sfavorevole prevenzione del Tiraboschi contro il merito della nazione Spagnuola. Il sig. abate Tiraboschi ha stimato bene il trattar questo punto in faccia a tutto il mondo, e levar ancora alto la voce; io però, per quanto mi preme di non farlo comparire un nemico, com’egli dice, della gloria letteraria di Spagna, vorrei poterla con lui discorrere bocca a bocca , o almeno dove non ci sentisse Spagnuolo alcuno. Ecco dunque la riflessione eli’ io dissimulai nel mio Saggio. Il Cardinal Albornoz avea diritto ad esser nominato con onore ne’ tre primi capi del tomo quinto della Storia letteraria d’Italia nel secolo xiv , poichè egli rendette quieto e tranquillo quello Stato che trovato avea messo sossopra dalle guerre civile ed oppresso da’ tiranni; nel secondo, dove si fa memoria dei principi che favoriron le lettere nell’Italia , giacchè i letterati trovarono sempre mai [p. 895 modifica]8y5 nell’Albornoz un benefico protettore, e gli abbandonati studi si videro rifiorire massimamente in Bologna mercè le savie provvidenze di questo cardinale; nel III, dove si parla dell1 uni ver-. siti», per l’erezione che in Bologna fece dell’illustre Collegio di S. Clemente, dove potessero fare i loro studi giovani spagnuoli. L’abate Tiraboschi, dimenticata la memoria del cardinale nel primo e secondo capo (che , come abbiam detto, è quel solo ch’io gli rimprovero nel mio Saggio), si è degnato di‘parlarne soltanto nel terzo: e perchè mai? Oh! adagio. Non la vogliam fare da qualche Dio, entrando nell’intenzione. Lasciamo dunque a. lui il saper lo perchè. Venghiamo al risultato di questa sua condanna. Da questo dunque segue , che ciò da cui ne vien gloria all’Italia, ed è men favorevole alla letteratura Spagnuola, si racconta dallo storico; ma si dissimula affatto nella sua Storia ciò ch’essendo di sommo onore alla Spagna, è all’Italia poco onorevole. In fatti, sebbene il Collegio di S. Clemente di Bologna abbia recato sommo onore alla letteratura spagnuola per gl’illustri letterati di cui sempre mai è stato fecondo; nondimeno il fondare l’Albornoz un Collegio in Bologna per agevolar sempre meglio agli Spagnuoli la via per frequentare quelle celebri scuole, quanto maggior onor reca alla letteratura italiana, tanto è meno onorevole alla spagnuola; imperciocchè in detta fondazione l’Italia fa la luminosa figura di maestra degli Spagnuoli, mentre questi compariscono qual gente che abbisogna di’ venire in Italia ad esser illuminata nelle scienze; TiiUBOscm, Voi XV. a3 [p. 896 modifica]896 e così si dà luogo agl’Italiani di dire: noi pos* siam vantarci che tra. noi si forniscono gli Spagnuoli di quel sapere che alle loro opere è richiesto, come scrive il Tiraboschi parlando del Pennafort. Ecco ciò che dell’Albornoz non dissimula il Tiraboschi. All’opposto il venire l’Albornoz in Italia co’ suoi valorosi nepoti ed altri celebri Spagnuoli a pacificarla a costo d’immense fatiche, a riacquistare alla Chiesa il suo patrimonio, sino a presentare al papa un carro pieno di chiavi della città e fortezze conquistate; il dire che fece Urbano V di non si voler valere dell’opera d altri, che dei fratelli dell’Albornoz per difendere e governare V Italia (Sepul. de Reb. gest. Albornoz)’, il poter vantarsi la nazione spagnuola di aver date savie leggi all1 Italia nelle Costituzioni Egidiane, e d’aver promosse in Italia le scienze e le arti; tuttociò, io dico, quanto è gloriosissimo al nome di Spagna, tanto è men onorevole all1 Italia. Ed ecco quanto dell1 Albornoz vien dissimulato dal Tiraboschi. Dica adesso il sig. abate, se l1 aver io dissimulata questa riflessione nel mio Saggio sia aver dissimulato qualche cosa che distrugga F accusa clic gli vien intentata di essere troppo prevenuto contro la gloria della nostra nazione (1). (1) A questa lunghissima dissertazione sul Cardinal Albornoz rispondo assai brevemente. Se il sig. abate Lampillas è così sincero, com’egli si vanta, perchè non ha indicato il passo in cui io ragiono di quel gran cardinale? Poteva al più rimproverarmi, benchè ingiustamente , di averne parlato fuor di luogo. Ma perchè [p. 897 modifica]897 QUARTA ACCUSA. L’abate Lampi Ila* dissimula più cose che fanno in favore dell abate Tiraboscht, e distruggon le accuse di’ei gli ha intentale. Non è più giusta, nè men graziosa quest’altra accusa, con cui l’abate Tirabòschi si presenta al tribunale de’ saggi. V abate LampiUas (egli dice, lett. p. i \) dissimula più cose che fanno in mio favore, e distruggon le accuse ch’ei mi ha intentate. Io all’opposto pretendo che il sig. abate Tirabòschi con questa sua lettera distrugga tutto ciò ch’io avea detto a favore di lui, e che bastava a dissipare tutte le pretese accuse. Io avea lodata la sua onestissima indole lontana assai da ogni avversione alla nazione spagnuola. Io aveva assicurato il pubblico, che non vorrebbe mai l’abate Tirabòschi contrastar alla Spagna quella gloria che trovasse appoggiata a sodi fondamenti e ragioni 5 mentre il sig. abate colla sua lettera mostra non solo di voler contrastare, ma ci dipinge come disperata quella gloria letteraria della nostra nazione, che il pubblico per altro trova appoggiata a sode ragioni e fondamenti. La prima ragione su cui fonda l’abate Tiraboschi la quarta accusa, è, perchè io dissimulo ch’egli con la medesima libertà con cui tacerlo affatto? Io sfido chiunque legge quel passo del Saggio dell’abate LampiUas a dire se esso non sembra indicare di’ io 1’abbia olfatto dimenticalo , c se non è perciò giustissima la mia doglianza. [p. 898 modifica]SqS ha scritto contro alcuni autori Spagnuoli , ha scritto ancora contro alcuni italiani. In primo luogo, nè io nè gli Spagnuoli ci lamentiamo che il sig. abate abbia scritto contro alcuni autori Spagnuoli; anzi io stesso scrivo (tom, 1 pag. t(5): qualora si fossero contentati questi moderni scrittori di trovar dei difetti in alcuni scrittori Spagnuoli del secolo posteriore ad Augusto, e avessero di più preteso preferire Catullo a Marziale, Virgilio a Lucano, Cicerone a Seneca , avrebbero ancor trovato fra gli Spagnuoli appoggio alla loro censura. Aggiungo, che quando non avesse stimato l’abate Tiraboschi il farsi panegirista del carattere morale di Seneca, nessun Spagnuolo ne avrebbe fatto lamento. Ciò di cui ci dogliamo del sig. abate Tiraboschi, è la maniera con cui egli oscura la fama di Lucano , Marziale e Seneca, impiegando molte pagine in biasimarli, cercando tutte le strade di screditarli, dissimulando, o pretendendo di nessun valore quanto in favor di questi illustri Spagnuoli hanno scritto uomini di somma critica ed erudizione. Mostri, se può, il sig. abate Tiraboschi, ch’egli negli otto tomi della sua Storia usata abbia simil condotta con alcun autore italiano, o almeno con alcuno straniero. Come mai potrà egli scusare il lungo processo fatto contro il carattere morale di Seneca (torno a dire fuora di luogo e tempo), mentre non ha stimato il farlo a nessun altro, benchè non gli mancassero più sodi fondamenti per accusarli, di quelli che siano i testimoni su i quali fonda le accuse di Seneca? Come mai potrà scusare l’adoprar che ha fatto [p. 899 modifica]tutte le arti per far comparir Seneca reo della morte d’Agrippina, mentre con tanto calore pende a difendere Cassiodoro accusato forse con maggior fondamento reo d’un simile delitto (i)? È questa la maniera di mostrarsi imparziale nel trattare la causa degli Spagnuoli e degl’Italiani? Di più: può egli negare, a qual segno fosse corrotto il gusto dell’eloquenza prima dei Seneca; come quello della poesia prima di Lucano e Marziale? E perchè dunque, giacchè tanto si vanta d’imparziale, dissimula nondimeno tanti italiani corruttori delf eloquenza prima dei Seneca, e tanti altri corruttori della poesia prima di Lucano e Marziale , e fa comparir questi Spagnuoli come i primi a distogliersi dal buon sentiero? E crede il sig. abate Tirabòschi che potessi io distruggere queste gravissime accuse col recare la critica eli’ egli fa dello stile di Valerio Flacco, di Stazio, di Silio e di Persio? Ci vuol altro, sig. abate stimatissimo, per farlo comparire men prevenuto contro i letterati spagnuoli, e men parziale verso gl’italiani; nè mi persuado che il pubblico voglia crederlo tale, dopo ch’ella in questa sua lettera ha pubblicato tutto ciò che pretende dissimulato da me in suo favore. So io bene che dal sig. abate Tirabòschi vengono dimenticati ancora alcuni Francesi; ma non proverà giammai egli ch’avessero quei (i) Io amo meglio lasciar che i lettori giudichino da loro stessi di questo poco prudente confronto che fa qui 11 sig. abate LampiUas Ira Seneca e Cassiodoro. [p. 900 modifica]Francesi tutto quel diritto ad occupar un distinto posto nella Storia letteraria, quale si trova negli .Spagnuoli da lei dimenticati. Io trovo bensì il francese Claudio Rutilio Numaziano nominato con onore nella sua Storia; mentre nello stesso tempo vedo dimenticato Prudenzio di merito molto superiore a quel poeta francese. È venuto egli, è vero, a contesa con alcuni Francesi assai più spesso che con gli Spagnuoli; non dobbiam però di ciò ringraziar la bontà del sig. abate, nè qualche sua parzialità verso la Spagna. ma bensì la moderazione degli Spagnuoli, e la stima che sempre mai hanno questi manifestata degli autori italiani; mentre all opposto dai Francesi vengono e criticati con rigore , e trattati con dispregio non pochi Italiani. Questa modestissima condotta degli Spagnuoli in vece di procacciarli, coni1 era giusto, la stima degl’italiani, è stata forse la cagione del dispregio con cui vengono trattati e dal Tiraboschi e da altri suoi simili. Vedono questi (osservazione che intesi fare da un dotto e critico italiano) che i Francesi non si lasciano strapazzare impunemente, e che sanno rendere la pariglia a chi dispregia la lor nazione; e ciò lo fanno in una lingua eli’ essendosi resa di moda, vien intesa da tutta l’Europa. Vedono allo stesso tempo che se mai gli Spagnuoli credono necessario il difendere la loro gloria, e manifestare le imposture e calunnie con cui gli stranieri oscurano la loro fama, sono costretti a ciò fare, o scrivendo in latino, e non sono letti; o in spagnuolo, e non sono intesi. Non nego clic il sig. abate Tiraboschi abbia [p. 901 modifica]preteso di rivendicare all’Italia molti uomini dotti che (com’egli scrive) sono stati senza buona ragione annoverati da’ Francesi tra’ loro scrittori (lett. p. 15). Ma potrà egli dire che i celebri uomini che ha preteso rapir alla Spagna fossero da noi annoverati tra i nostri senza buona ragione? Non sarà dunque buona ragione per dire Spagnuolo Quintiliano l’autorità di quattro gravissimi antichi scrittori, e saranno buona ragione per farlo comparir romano le deboli congetture arrecate dal sig. abate? Non sarà buona ragione per dire spagnuolo S. Damaso il chiaro testimonio degli autori e monumenti antichi, e il quasi universale consenso de’ moderni, e sarà non solamente buona ragione per dirlo romano, ma evidente dimostrazione quel poco e del tutto insussistente che ne dice il Tillemont? Lo stesso dico intorno a Teodolfo e a Gherardo. Quando il sig. abate Tiraboschi ci mostri che le ragioni con cui da’ Francesi vengono annoverati tra i loro scrittori quelli che il sig. abate pretende italiani, sono ugualmente forti e convincenti, quali sono quelle degli Spagnuoli; e eh1 egli argomenta contro i Francesi con ragioni non men deboli di quelle con cui argomenta contro noi; allora confesseremo che su questo punto hanno i Francesi non men che gli Spagnuoli tutta la ragion di lamentarsi del sig. abate Tiraboschi. Ma che dirò io, scrive l’abate Tiraboschi (lett. pag. 15), del dissimulare che fa il sig. abate Lampillas le molte cose che io ho scritte in lode di alcuni autori spagnuoli? Io rispondo che può dire, che mostrandosi egli sempre mai [p. 902 modifica]9° 2 liberale in is cred i tare e biasimare i nostri autori , ed assai scarso in lodarli, può esser certo che un saggio ed imparzial giudice si stupirà come abbia egli potuto pretendere di non comparire nemico della gloria dei nostri autori per quelle scarse lodi di cui in questo luogo si vanta; quasi che, a cagion d’esempio, il gran filosofo Seneca sommamente lodato da gravissimi e dottissimi uomini dovesse confessarsi molto obbligato al sig. abate Tiraboschi per qualche piccola lode eh1 egli si è degnato di dargli, mentre allo stesso tempo si vede da lui screditato e biasimato al sommo. Ma molto più stupirà qualunque giudice imparziale di vedere che il sig. abate Tiraboschi, nell’accusarmi che fa di aver io dissimulate molte cose ch’egli ha scritte in lode di alcuni Spagnuoli, cominci colla lode data da lui a Seneca , dove dice, che le Opere morali che di lui abbiamo, sono piene di savissimi ed utilissimi ammaestramenti; quasi che io dissimulata avessi questa lode data da lui a Seneca: eppure nel tomo primo pag. 144 parlando dell’abate Tiraboschi, dico: Non confessa egli stesso che. le Opere morali di Seneca sono piene di savissimi ed utilissimi ammaestramenti? Così pure nel tomo secondo pag. 55, dove parlo della filosofia naturale di Seneca, nella quale pretendo che forse si avvantaggiò sopra tutti gli antichi filosofi , e singolarmente nello scoprire la natura delle comete, aggiungo esser questa osservazione fatta dal sig. abate Tiraboschi. Nondimeno egli francamente asserisce che da me vengono dissimulate queste lodi date da lui a Seneca. [p. 903 modifica]9°3 Così pure non ho dissimulato quel poco di buono che ha detto il sig. abate di Lucano e di Marziale; anzi egli si lamenta che io gli abbia messa in bocca qualche lode di questi due Spagnuoli più espressiva di quello che abbia stimato dar loro il nostro sig. abate. Nemmeno son da me dissimulate le lodi con cui egli parla degli Arabi di Spagna, ai quali attribuisce lo scoprimento della proprietà dell’ago calamitato. Vedasi la pag. 169 del mio secondo tomo, e troverassi distesa questa lode col testimonio dell’abate Tiraboschi. Ugualmente vengono a me accennate le lodi date a S. Domenico ed a S. Raimondo di Pennafort, mentre assicuro nella pag. 197 che i meriti di questi due grandi uomini non sono stati dimenticati nella Storia letteraria d’Italia. Che se poi non rammento gli elogi che il sig. abate fa di Alfonso di Aragona, non è già perchè pretenda . dissimularli, ma perchè non appartengono a questa prima parte del mio Saggio: troveransi bensì nella seconda parte. Eccovi il mio accusatore, che mi fa dissimulare ciò che io chiaramente ho detto, e che quando dissimulato l’avessi, non proverebbe egli giammai che ciò fosse dissimular qualche cosa che basti ad iscusarlo della troppo sfavorevole prevenzione contro la nostra letteratura. E valga il vero: come mai ha creduto il sig. abate con queste scarsissime lodi date ad alcuni Spagnuoli gettar la polvere agli occhi della nostra intiera nazione, acciocchè non vegga quella continuata condotta da lui tenuta nella sua Storia, con cui la fa comparire corruttrice [p. 904 modifica]della letteratura italiana , mentre esigeva la giustizia che da lui venisse dipinta come quella a cui sono debitrici le italiane lettere de’ maggiori vantaggi. E potrà ella pretendere che chiunque legge attentamente la sua Storia, debba confessare che tra le nazioni straniere all’Italia non ve 7i è alcuna, a cui lode tante cose egli abbia in essa inserite, quante alla spagnuola? E che quando mai ci fosse motivo a doglianza, T avrebbero piuttosto i Francesi che gli Spagnuoli? In primo luogo,quando si fosse adoperato così a favore della nostra Spagna, non avrebbe egli fatto altro che quello che da lui esigevano e la gratitudine e la giustizia. E ciò possiam affermare francamente in faccia al mondo tutto , mentre che il sig. abate Tiraboschi non mostri che l’antica italiana letteratura non dovette più alla nazione spagnuola, che a verun’altra delle straniere nazioni. In secondo luogo , e dove mai troverà il sig. abate in tutta la sua Storia date alla nostra nazione quelle lodi ch’egli con minor ragion non nega alla Francia? Confessa egli giammai che gl’Italiani sieno obbligati agli Spagnuoli per essersi adoperati in ammaestrarli, come confessa de’ Francesi? Eppure quando mai, sia negli antichi, sia ne’ moderni tempi, mandò la Francia tanti e sì gravi maestri all’Italia, quanti ne vennero dalla Spagna? Confessa egli giammai che l’Italia sia debitrice al dominio spagnuolo de’ sommi vantaggi recati agli studi, come confessa che ne fu debitrice alla Francia? Eppure non men le antiche che le moderne italiane lettere [p. 905 modifica]9°5 furono con maggior ardore promosse dal dominio spagnuolo in Italia, di quello che sieno giammai state dal dominio francese. Alf opposto si vede giammai in tuli a la Storia letteraria d’Italia intaccata la nazione francese colla nera macchia di corruttrice dell1 italiana letteratura , come per ben due volte si vede la spagnuola? Eppure dalla corruzione del seicento poteva con qualche maggior cagione venirne incolpata la francese, come mostreremo nella seconda parte del Saggio. Ha detto mai il signor abate che il clima di Francia congiunto a qualunque siano le cause morali possa contribuire assai al cattivo gusto, come senza fondamento alcuno ha detto di quello di Spagna? E dopo tutto ciò, potrà dir con tutta franchezza , che non avrebbe mai creduto che potesse essere preso di mira come nemico del nome e della gloria spaglinola? (le ti. pag. 18) A far ciò veder più chiaramente, mi permetta il sig. abate Tiraboschi che per quel piacer che trovo in sentirli lodar la nostra letteratura, io ripeta in bocca sua, parlando col suo sig. corrispondente, que’ grandi elogi fatti da lui a’ nostri autori, facendovi anche in bocca sua alcune aggiunte che servano a farl* • • i* • gli spiccare sempre più. « Scorrete di grazia « (dice il sig. abate Tiraboschi al suo sig. cor“ rispondente) i tomi della mia Istoria , e vo“ drete con quante lodi io parli degli Spagnuo“ li. V edrete che io dico che le Opere morali « di Seneca sono piene di savissimi cd ntilis« simi ammaestramenti: ma vedrete all’islcsso « tempo che io scrivo che ne’ sentimenti di [p. 906 modifica]9°6 « Seneca altro non si trova sovente, che un’om« bra ed un1 ingannevole apparenza (tomo se« condo); vedrete che io lo rappresento nella " persona d’un impostore giojelliere che fra M poche merci vere ne presenta molte false, “ delle quali solo può invaghirsene un semplice " fanciullo, o un uomo rozzo (tomo secondo). u Aggiungete tutto quanto io scrivo contro il M suo stile, tutto il lungo processo contro il “ suo carattere morale, tutte le amare ironie u con cui sempre mai vien da me deriso; e “ confessale che questo illustre Spagnuolo dee «* restar obbligatissimo al sig. abate Tirabòschi.

    • Vedrete che io dico che lo stile di Pom« ponio Mela è terso ed elegante forse sopra

a tutti gli altri scrittori di questo secolo; ma “ vedrete altresì, che non trovando io in que« sto Spagnuolo se non molto che lodare, me a ne sbrigo in due righe, laddove impiego " molte pagine in parlar d’altri Spagnuoli, u dove trovo qualch* apparenza per iscreditarli “ e biasimarli. Vedrete che di Claudio vescovo « di Torino e spagnuolo di nascita ho paru lato non breyemente; ma vedrete che ne u ho parlato lungamente per poter recare di“ stesi i testimoni di Dungalo e di Giona, « coi quali viene screditata al sommo tutta la « letteratura di Claudio. È vero che io (di « genio, come sapete, moderatissimo) aggiun« go: Dungalo e Giona sarebbero meritevoli « di maggior lode, se contro il loro avversa« rio avessero scritto con maggior moderazione « (toni. 3); ma è vero altresì che poi sog« giungo con somma moderazione: Ma egli è [p. 907 modifica]9°7 « certo che Claudio era , (quale essi appunto « iZ descrivono, non già autore, ma semplice e non sempre esatto compilatore (iw). Ve« diete eh’io lodo gli Arabi, e gli studi dei 44 filosofi arabo-spani 5 ma vedrete che io lo ‘4 questo elogio dove non mi può incomodare « ad assicurare agl’italiani la gloria di ristora« tori della filosofia dopo il mille, e dove non « può già servire ad assicurarla agli Arabi , ai « quali pure si deve. Vedrete clr io fo grandi ‘4 elogi del sapere e degli studi di S. Raimondo 44 di Pennafort; ma vedrete, che sebben sia 44 assai probabile che questo dotto spagnuolo 44 (come mostra l’abate Lampillas nel suo Sag44 gio) si provvedesse dai maestri spagnuoli di 44 quel sapere che a condurre a fine un’opera 44 sì importante era richiesto, io nondimeno mi 44 studiai di dar ad intendere che dovette agl’I44 taliani il suo sapere; non già affermandolo

  • 4 espressamente, come nemmen me lo rinfac44 eia l’abate Lampilias, ma scrivendo: noi

44 ben possiamo vantarci che tra noi, cioè « nell’Università di Bologna ei si fornì di quel 44 sapere, ec. E piacciavi qui di riflettere sulla 44 mia buona fede, con cui reco nella mia let44 tera questo mio detto, levandone quel noi 44 ben possiamo vantarci, per poter così insul44 tare al nostro censore (lett. p. 17). Vedrete 44 che tra i Professori dell’Università di Bo44 logna nomino parecchi Spagnuoli 5 ma non 44 vedrete che perciò io conlessi che gl’ lta44 liani siano obbligati agli Spagnuoli per aver44 gli ammaestrati. Aggiungete che io dico che « gli Spaglinoli hanno avuti famosi scolastici [p. 908 modifica]9°8 « (trattenete, vi prego, le risa , non sia che se « ne accorga qualche Spagnuolo); ma ossei« vate eh’io dico che hanno avuti questi fa«* mosi scolastici in forza di quelle sottigliezze « a cui sono portati quasi per effetto di clima. « Aggiungete, aggiungete... Ma queste aggiunte « potrete farle dopo pubblicata la seconda parte « del Saggio dell’abate Lampillas, dove trove« rete nuove ragioni che vieppiù vi assicure« ranno della mia parzialità verso la letteratura « spaglinola ». Giudichi adesso il pubblico imparziale, se questa ultima accusa ch’ei m’intenta, sia più soda e ben fondata di quello che trovate abbia le precedenti. In essa può osservare che il sig. abate Tiraboschi vuol farsi un gran merito verso la nazione spagnuola per le piccole lodi date ad alcuni de’ nostri autori, mentre dissimula l’ingiusta ed esorbitante critica con cui da lui vengono screditati. Può osservare la franchezza con cui il sig. abate vuol fargli credere ch’egli si sia mostrato profuso, anzi che scarso in lodare la nostra letteratura; e con ciò dargli ad intendere che poteva egli bene, senza mancare alla giustizia, e meno lodarla e biasimarla di più. Può finalmente osservare che da me non sono state dissimulate nel mio Saggio queste magnifiche lodi di cui egli si vanta (i). (i) Io non fo altra risposta a questa lunga diceria dell’abate Lampillas, riguardo alla quarta accusa da me datagli, se non col pregare chi legge. a osservare e confrontare ciò che io ho detto con ciò eli’ ei ini ha risposto; e a decidere se meglio sia fondata la mia accusa, o la sita apologia. [p. 909 modifica]<)oy GIUDIZIO dell’abate Tiraboschi inforno ni Saggio apologetico delP abate Lampillas. Dopo aver il sig. abate Tiraboschi sostenuta degnamente la persona di mio accusatore con tutta quella sodezza, buona fede, moderazione e dolcezza che ha visto il pubblico, passa a farla da mio consigliere e censore. Meglio avrebbe fatto il sig. abate Lampillas, egli scrive, se avesse seguito l’esempio d’altro valoroso Spagnuolo, cioè del sig. abate D. Giovanni Andres (lett. p. 18). Mi permetta il sig. abate Tiraboschi che io ancora per un atto di gratitudine mi prenda la libertà di consigliarlo. Meglio avrebbe fatto, io dico, il sig. abate Tiraboschi, se avesse seguito l’esempio di un altro valoroso Italiano, cioè del sig. abate Saverio Bettinelli, il quale ha manifestato di godere nel veder illustrata e difesa la letteratura spagnuola; meglio avrebbe fatto il sig. abate Tiraboschi. se in vece di perder il tempo a farlo perdere al pubblico con una lettera del tutto importuna alla contesa letteraria che si tratta, lo avesse impiegato in una soda ed efficace risposta alle ragioni con che vien impugnato; meglio avrebbe fatto il sig. abate Tiraboschi, se in vece di accusare come mancante di buona fede un avversario con cui non ha se non che tutti i motivi di usar convenienza, si fosse studiato con più scrupolosa esattezza di non manifestarsi reo di que’ delitti co’ quali pretende intaccare f altrui riputazione } meglio avrebbe fatto il sig. abate [p. 910 modifica]910 Tirabòschi, so avesso anch’egli seguito l’esempio del sig. abate D. Giovanni Andres, ribattendo con modestia le ragioni contro di lui arrecate e parlando con rispetto de’ suoi avversari; e non avesse imitati quegl’italiani che (per quanto egli ci assicura) hanno dato motivo a non pochi di accusare forse non ingiustamente questa nazione di trattare con poco degne maniere i suoi avversari. Entra poi il sig. abate Tiraboschi a far i giusti e dovuti elogi della lettera del sig. abate Andres; ed eccovi uno di que’ pochi passi che si trovano in questa lettera, dove la verità filosofica sia stata la condottiera della penna di questo scrittore. Quando però il sig. abate Andres non avesse ben assicurato il suo credito col giusto applauso che hanno fatto al suo talento ed erudizione i più dotti, non avrebbe gran motivo di esser contento delle lodi dategli in questa lettera dal sig. abate Tiraboschi, non men per le circostanze in cui vengono profuse, che per quel tanto ch’elleno sono. E a dir il vero, che cosa mai dice del sig. abate Andres il Tiraboschi? Egli in buon toscano vien a dirgli: « Ella,.sig. abate Andres, è un uomo « che scrive con gran modestia, con sobria eruu dizione, tratta con gran rispetto i suoi avver« sari, non fa ridicole apologie di certi antichi « scrittori spagnuoli; ina o ella ha intrapreso « a difender una causa disperata, ed è un av« vocato imprudente; o non ha saputo difen« dere una buona causa , ed è un cattivo “ apologista. » Tanto appunto vien a dirgli coll’assicurarci che 1’abate Andres non lo ha [p. 911 modifica]911 convinto, e col dichiarare disperata la causa della nostra letteratura. Ma torniamo al nostro Saggio. In esso desidera l’abate Tiraboschi quella modestia e quel rispetto cogli avversari, che tanto risplendono nella lettera del sig. abate Andres. Io rispondo, che uomini forse più saggi e prudenti del sig. abate Tiraboschi , sebben ammirate abbiano nella lettera del sig. abate Andres e la erudizione, e la forza e l’eleganza dello stile, non ci trovano però maggior rispetto co’ suoi avversari di quello che trovino nel mio Saggio; trovano bensì nella lettera dell’abate Tiraboschi avverato ciò ch’io scrissi (t. 1, p. 85): vediamo ogni giorno, che basta ad un letterato il sentirsi rinfacciar alcuni errori, per impugnar la penna, e vendicare talvolta con ingiurie la pretesa mancanza di riguardo al suo nome. Veggono altresì, che ad onta di tutta quella modestia propria della nobilissima indole di quello illustre Spagnuolo, non potè esso a meno, in vista di quanto scrive il Tiraboschi contro la nostra letteratura, di non esclamare: Misera fatalità della Spagna destinata sempre a depravare la letteratura italiana! Se gli Spagnuoli vengono in italia col comando, la depravano; e la depravano pure se vengono sotto il comando degli Italiani; sudditi o sovrani, servi o padroni che siano ec. (Andres, lett. p. 6, 7). Non è certo la maggior prova che recar si possa a favore della dolcezza e moderazione con cui questi moderni Italiani trattano la nostra causa, il veder costretto a tai lamenti un uomo pien di modestia e rispetto verso i nostri avversari. Tiraboschi, Voi. XV, a4 [p. 912 modifica]91 -*■ Pretende di più il sig.;,bato Tirabòschi argomentare il buon gusto del sig. abate Andres e insieme il mio cattivo gusto, dal non aver difeso f abate Andres quegli antichi scrittori che vengono da me difesi; quasi che credesse l’abate Tiraboschi essere stato poeta di miglior gusto il Lope di Vega difeso dall’abate Andres, che Lucano e Marziale da me difesi. Manco male però, che lo squisito gusto che manifesta il sig. abate Tiraboschi nella sua lettera, non lo costituisce degno giudice del buono o cattivo gusto degli autori. Dovea però non dimenticare ch’egli stesso avea dichiarato uomo di finissimo gusto in poesia uno de’ più bravi stimatori e di fendi lori di Lucano, qual è M. Marni 011 tel. Presenta poi il sig. abate Tiraboschi agli occhi del pubblico in gigantesco aspetto quattro mie proposizioni, le quali per altro sono state trovate da’ saggi sodamente appoggiate a non volgari ragioni. Ma potrà egli lusingarsi che basti il solo suo coraggioso detto ad atterrare questi giganti? Si provi il sig. abate di attaccarli in campo aperto, e darà un grato spettacolo al pubblico. Ma si ricordi di combattere quelle proposizioni che sono veramente da me scritte, non già quelle ch’egli con buonissima fede m’attribuisce. Ecco la quarta delle mie proposizioni chiamate gigantesche, che si legge nel tomo secondo, pag. 47: La lingua latina deve agli Spagnuoli t essersi conservata men rozza nel secolo dopo Augusto. Parve al Tiraboschi troppo moderata questa proposizione per essere chiamata gigantesca, e perciò la trasformò [p. 913 modifica]facendola diventar uno stravagante paradosso. Eccola quale me l’attribuisce nella pag. i c): ha lingua latina deve agli Spagnuoli l’essersi conservata men rozza nel secolo cf Augusto. Vantisi adesso quest1 onestissimo scrittore d1 aver citate le mie precise parole senza punto alterarle (i). Levi alto la voce contro Paliate Lampillas, e lo accusi mancante di buona fede. In tutti i passi della mia opera, in cui egli pretende trovar qualche mia infedeltà, non troverà giammai una sì enorme trasformazione, quale egli ha fatto in questa mia proposizione. Non trovò egli altra strada per accusarmi di men saggio e prudente, a segno di lasciarmi trasportare a tai paradossi Io stesso all1 avanzare che feci quelle proposizioni, premisi che ben m1 avvedevo elvelle parrebbero tanti paradossi a chiunque avesso letto la Storia letteraria d’Italia. Pregai perciò i miei leggitori a voler sospendere il loro giudizio sin tanto che lette e pesate avessero le ragioni su cui esse erano fondate, giacchè io non era uomo che pretendessi esser creduto sulla mia semplice parola (tom. 2, pag. 3, 4)• La fretta e la sfavorevole prevenzione con cui pur troppo manifesta il sig. abate Tiraboschi di aver letta la mia opera, non gli hanno dato luogo a pesare le mie ben fondate ragioni; e perciò pretende (1) Confesso che per errore, non so se di penna , o ili stampa , qui è sfuggito un errore, e die doveasi scrivere nel secolo dopo Augusto, che nel secol d’Augusto. Correggasi dunque come I10 corretto in questa seconda edizione, e non perciò la proposizione lascerà d1 essere gigantesca. [p. 914 modifica]9*4 che sulla sua semplice parola tutto il mondo creda stravaganti paradossi quelle per altro probabili assai e prudenti proposizioni. Ognun sa che tutte le colte nazioni pretendono aver diritto a quella gloria che loro viene dall’antichità della loro coltura nelle arti e nelle scienze; e queste pretensioni incoraggiscono gli eruditi a far utili ricerche intorno alP antica patria letteratura: fatiche che , anzichè biasimate e derise , meritano d’esser lodate da chiunque voglia essere annoverato fra gli amatori de’ sodi ed utili studi. In fatti chi non dee lodare le erudite ed utili scoperte con cui tanti celebri Toscani hanno illustrata l’antica Etrusca letteratura? e sebben questi dotti uomini pretendano e con sode ragioni e con autentici monumenti d’assicurare alla letteratura etrusca la precedenza in confronto ad altre nazioni d’Europa, non perciò stimeranno ridicole le mie proposizioni, con cui io mi studio di manifestare al pubblico alcune delle sode ragioni ed autentici documenti con cui noi Spagnuoli possiamo fondare le nostre giuste pretenzioni a quell’antica letteraria gloria. Pare che non così la pensi il sig. abate Tiraboschi; anzi, facendola da dittatore, vuol prevenire il giudizio dell’Europa letterata intorno al merito del mio Saggio. Ma pazienza: si fosse almeno di ciò contentato, e non avesse con tuono decisivo ed imperioso fulminata contro la letteratura spagnuola una sentenza molto più fatale e decisiva di quante pronunciate ne avea nella sua Storia letteraria. Egli dunque ci fa sapere che la causa della gloria letteraria di [p. 915 modifica]15 Spagna è non men disperata di quello che fosse la salute di Troja nella notte del fatale incendio. Tanto ei viene a dire con quell’espressione lett. p. 19): Si Pergama dextra D eie tuli possenl.... hac defensa fuissent. Ma potrà egli lusingarsi di averla ridotta a cotal misero stato, ed intimoriti i di lei di Tenditori a segno, che abbandonato il campo, gli lascino in man la preda ed il vanto della vittoria? Sappia dunque, bravissimo sig. abate, che restano ancora alla nazione Spagnuola molti prodi campioni che difenderanno in campo aperto quest1 attaccata Troia, c non saranno mai per impallidire in faccia a codesto valoroso Achille. Speriamo altresì che i nostri avversari non saranno mai per adoperare quelle arti con cui i Greci trionfarono di Troja, mentre noi non crederemo lecita ed onesta nelle guerre letterarie quella massima: Dolus, an virtus, quis in hoste requirat? E potrà lusingarsi il sig. abate Tiraboschi di comparire in questa lettera men prevenuto contro la nostra letteratura di quello che sia stato da me dipinto nel Saggio apologetico? Mentre non solo si vanta di non essere convinto dalle sode ragioni con cui ella è stata difesa, ed alle quali per altro egli non risponde; ma pretende di più, che il pubblico creda che non è in grado di potersi difendere la nostra nazione dalla nera taccia di corruttrice del buon gusto letterario d’Italia. [p. 916 modifica]t) i G Aggiugnc poi il sig. abate, die se io avessi tenuto il metodo del sig. abate Andres, egli farebbe plauso volentieri al mio talento ed al mio amore per la patria. Non posso a meno di non riangraziarla, sig. abate gentilissimo, di questa sua amorevole disposizione verso di me* ma stia pur sicuro che io vivo contento e tranquillo senza questo suo applauso. Si persuada, che quando io intrapresi la difesa della letteratura spaglinola, tutt1 altro pretesi che il procacciarmi gli applausi del sig. abate Tirabusciò. Io godo ben ricompensate le mie deboli fatiche col benignissimo accoglimento che ha trovata la mia opera e presso l’intera nazione spagnuola, e presso i dotti ed imparziali italiani. Nè saprei accertare se fosse stata per aver la stessa sorte. se io mai avesse.scritto in maniera da essere lodato dal sig. abate Tiraboschi. Nè men obbligato debbo confessarmi al signor abate per quella sincerità con cui ci assicura che impiegherebbe di buon animo alcuni giorni in rispondermi, ma che non può risolversi ad entrare in battaglia con uno scrittore che legge nella sua Storia ciò eh egli non ha mai scritto, che non vi trova ciò che pure da ognuno che abbia occhi in fronte, vi si può trovare (p. 19). Quanto più s’avanza nella sua lettera il signor abate Tiraboschi, tanto più manifesta d’aver letto il mio Saggio senza quella pace e tranquillità d’animo che si richiede per non vedere ne’ libri tutt’altro di quello che in essi è scritto. Prenda in mano il sig. abate i due tomi del mio Saggio senza dimenticarsi di quella [p. 917 modifica]sua indole naturalmente pacifica, e vi troverà impugnato tutto ciò ch’egli ha detto nella sua Storia di poco onore alla letteratura spagnuola; e che in essa può leggere ogh uno eh’abbia occhi in fronte. Per risparmiargli però quel grave disgusto che pur troppo manifesta di provare nella lettura del mio Saggio, legga qui il compendio di ciò che non può negare di aver detto nella sua Storia, e ciò che non può negare di aver dissimulato. Egli dunque ha detto che la nazione Spagnuola concorse alla corruzione della letteratura italiana non meno nel secolo dopo Augusto, che nel 600 r—che i Seneca, Lucano e Marziale furono certamente quelli che all’eloquenza e poesia recarono maggior danno – che Lucio Seneca ebbe parte nella morte d’Agrippina , che fu un sordido adulatore, un avaro, un ipocrita, un millantatore – che Lucano è il primo che vediamo distogliersi dal buon sentiero— che in Lucano ogni cosa è mostruosa e sformata—-che un poeta de’ giorni nostri si vergognerebbe se fosse sorpreso col Marziale fra le mani – che gli Spagnuoli sono portati quasi per effetto di clima alle sottigliezze , e che perciò hanno avuto famosi scolastici, ma pochi celebri oratori e poeti – che il clima di Spagna congiunto ad alcune cause morali può contribuire assai al cattivo gusto – che ad onta de’ più gravi antichi testimoni, che dicono spagnuolo Quintiliano, potrebbe dirsi ch’esso nacque in Roma – che gli stranieri che frequentarono Roma dopo Augusto , e fra essi gli Spagnuoli, furono altra delle cagioni della [p. 918 modifica]918 corruzione «Iella lingua latina — che il Tillcaiont fa veder chiaramente che in nessun modo può dubitarsi che S. Damaso nacque in Roma che Teodosio è italiano, non già spagnuolo, e che italiano lo dice la Cronaca citata dal Duchesne – che dopo la Cronaca di Fra Pipino è evidente che Gherardo fosse cremonese che gl’italiani furono i primi che dopo il mille richiamassero a vita la filosofia, matematica e medicina. Tutto ciò dice chiaramente il signor abate nella sua Storia, ciò leggo io, e ciò vi legge ognuno che ha occhi in fronte. All’opposto io non vi trovo, nè può trovarne l’uomo più perspicace, che il sig. abate confessi sinceramente che l’Italia debba alla Spagna i vantaggi recati alle arti e scienze, già sia dagl’imperatori e principi spagnuoli, già sia dai celebri maestri spagnuoli che ammaestrarono gl’italiani; – né io, nè altro trova nel secolo d’oro della sua Storia, che vi occupino il meritato posto Cornelio Balbo , Igino, Porzio Latrone; come nemmen ne’ secoli cristiani Osio, Flavio Destro, Prudenzio. – Non può trovarsi nel risorgimento delle scienze dopo il mille data la dovuta gloria di ristoratori agli Spagnuoli.—Non si vedono nominati gli Spagnuoli dove il sig. abate discorre della lingua e poesia provenzale. – Non si trova nominata la Spagna nella gloriosa epoca della fondazione dell’Ordine de’ Predicatori.—-Nessuno finalmente può trovare nella sua Storia, dove si tratta dello stato civile dell’Italia nel secolo XVI, nominato il celebre Cardinal Albornoz; nè in altra parte di detta Storia si leggono le utilissime fatiche e [p. 919 modifica]9’9 gloriose gesta di questo principe, con cui assicurò la pace all’Italia, e vi fece rifiorire gli studi. Ecco in breve sig. abate quanto ella certamente ha scritto contro l’onore letterario della Spagna, e quanto ha dissimulato di ciò che poteva recarle non picciola gloria. Tuttocciò vien da me impugnato nel mio Saggio , e dà a lei ampio campo di entrar in battaglia, sempre ch’ella di buon animo voglia impiegar alcuni giorni in rispondere. Nè si creda che su questi punti possa il pubblico restar persuaso ch’ella abbia dal canto suo la ragione, per quanto si sforzi a levar alto la voce e gridare infedeltà, puerilità, fanciullaggine, paradossi, gigantesche proposizioni, stiracchiature , cavillazioni, ed altre simili leggiadrie, che solo possono far illusione presso il volgo de’" saputi, che non sono in grado, o che non si prendon pena di esaminare a fondo le materie di cui si trattaj non già presso i saggi e perspicaci letterati, che non aman d’essere prevenuti nel giudizio che sono in grado di formare da sè intorno alle opere pubblicate, e che soffrono mal volentieri chiunque pretenda farla da dittatore nella repubblica letteraria. Fin qui la lettera dell’abate Tiratoselii. Non è però men leggiadra la sua P. S. In essa fa sapere al sig. abate suo corrispondente, ch’egli non crede che il sig. abate Lampillas farà alcuna risposta alla sua lettera. E che può egli rispondere (lett. p. 20)? L’Abate. Lampillas risponde, che il sig. abate Tiraboschi ha pur troppo manifestato nella sua lettera che non conosce [p. 920 modifica]0)9° l’abate Lampillas; ma che mollo più chiaramente lo fa vedere col credere che esso non dovesse dare alcuna risposta. Dice di più l’abate Lampillas, ch’egli crede che l’abate Tiraboschi non avesse gran voglia che gli fosse da lui risposto. Fonda egli questa credenza nella cautela con cui ha procurato 1’abate Tiraboschi che non arrivasse se non che tardi la sua lettera in mano dell’abate Lampillas. Erano passati ben quindici giorni da che essa girava per varie città d’Italia fra le mani degli amici del Tiraboschi: mentre in Genova non si sapeva ancora che fosse stata pubblicata. E se l’Ab). Lampillas con somma premura non se Y avesse procacciata , resterebbe a quest’ora privo ancora di quel piacere che ha provato nel leggerla. Non dovea certamente aspettarsi simile condotta da un uomo che pretende far credere d’essersi ad evidenza pienamente giustificato in detta lettera. Non dovea egli privar di questa consolazione que’ suoi appassionati che sospiravano il momento di veder vittoriosamente atterrato dal valore del sig. abate Tiraboschi il Saggio apologetico della letteratura di Spagna. Ma l’abate Tiraboschi meglio che nessun altro conosceva che non era la sua lettera opportuna per consolarli; giacchè tutt’altro eglino s’aspettavano, che il vederlo impegnato in farsi credere parziale verso la letteratura spagnuola (i). (i) Questo è il più grazioso sogno che mai siasi fatto. Appena fu pubblicata la mia lettera , io cercai occasioni per inviarne copia a Genova; e potrei nominare più persone in Modena, alle quali mi raccomandai a tal fine. Le occasioni tardarono ad offrirsi, e perciò più [p. 921 modifica]931 Checche sia ili ciò, questa cautela ha ritardata per ben quindici giorni la mia risposta. In essa non troverà il Tirabosclii quella confessione eli’ egli dice essere l’unica che da me possa farsi: cioè , che il soverchio amor della patria ni abbia ac ciccato, c ni abbia fatto leggere nella sua Storia ciò che niun altro vi ha letto , e non mi ha permesso di leggervi ciò che gli altri tutti vi leggono (lett: p. 20). Mi persuado che chiunque letta abbia con attenzione questa risposta, non può a meno di non vedere quanto sarebbe non men falsa che importuna una cotal confessione. Io so bene che l’amor della patria può acciecarci in maniera che ci crediamo di trovar lodi fin dove non ci sono, e non vediamo i biasimi dove ci sono chiaramente; non già all’opposto. Non posso in questo luogo dissimulare il gravissimo torto fattomi dal detto abate col dire che forse colle solite arti farò inserire in qualche prezzolato foglio periodico riflessioni e critiche sulla sua lettera pag. 20). Queste arti, sig. abate stimatissimo, non sono solite usarsi nè da me, nè da nessun altro degli Spaglinoli; e ne è buon testimonio l’Italia. Sono già undici anni da che in essa soggiorna una numerosa colonia di Spagnuoli, i quali con non poca loro mortificazione leggono nella Storia letteraria d1 Italia le più ingiuste censure tardi ne giunger colà le copie. Proccurerò che ora Y abate Lampillas non abhia a dolersi di tal tardanza, uè ad interpretare, secondo il suo costume , le mie iutenzioni. [p. 922 modifica]epa contro i celebri autori spagnuoli, e i pregiudizi più ingiuriosi contro la nostra letterata nazione; sentono nelle conversazioni spacciarsi come vere le più false e stravaganti opinioni contro la coltura di nazione cotauto rispettatile * e chi non vede quanta parte tocchi loro di queste svantaggiose idee? Mostri, se gli basta l’animo, il sig. abate Tiraboschi un sol foglio de’ prezzolati d’Italia, ove alcuno degli Spagnuoli abbia preteso con anonime critiche o riflessioni difendere la Spagna, o ribattere i suoi avversari. Possono bensì gli Spagnuoli mostrare non pochi di questi fogli, ne’ quali alcuni Italiani con arrabbiato furore si avventano contro i difenditori della nostra letteratura. In uno di questi il sig. abate Andres, ad onta di avere scritto colla più scrupolosa moderazione e prudenza contro la taccia che appongono alla Spagna due italiani scrittori (Tiraboschi e Bettinelli) di essere stata la corruttrice del gusto italiano, si vede onorato col gentil titolo di cervello riscaldato , e d’ignorante nella materia che tratta, e per fino insultato a segno di voler obbligarlo a confessare che lui stesso meglio degl’Italiani conosce la meschinità de’ saputi di Spagna. Dopo l’abate Andres impugnò la penna in difesa de’ nostri autori il sig. abate Serrano, e tosto trovossi inserita nel Giornale di Modena sotto pretesto di difesa del sig. abate Tiraboschi la più arrabbiata Satira non men ingiuriosa al buon nome di questo Spagnuolo, che indegna di uomo ben educato (1). Queste sono (1) Ognuno può leggere questa arrabbiata Satira nel [p. 923 modifica]siate fino adesso le solite arti degli apologisti de’ due moderni scrittori, e probabilmente non saranno diverse in appresso, non già degli apologisti di Spagna. Questi sicuri di avere da canto loro la ragione, hanno sfidato in campo aperto a faccia scoperta i loro avversari 5 e così faranno sempre che crederanno necessario l’impugnare qualche scrittore in difesa della patria. Nè basteranno le più nere calunnie ed ingiurie con cui si vedono assaliti ad intimorirli e fargli ammutolire, come si prenderebbe con tali indegni scritti. Il fin qui detto mi lusingo che dovrà pienamente giustificarmi presso il tribunale de’ dotti e de’ saggi, al giudizio de’ quali per mia buona sorte s’appella l’abate Tiraboschi sul fine della sua lettera. Essi hanno fra le mani la Storia letteraria d’Italia, il mio Saggio apologetico, la lettera del Tiraboschi e questa mia risposta. Con questi documenti sono pienamente illuminati per pronunziare una giusta sentenza. Essi nel mio Saggio troveranno impugnati i veri e legittimi sentimenti del sig. abate Tiraboschi intorno la nostra letteratura, senza che nemmen una sola volta venga da me impugnato quell1 autore in forza di qualcheduna «!i quelle ch’egli ha stimato chiamare infedeltà. Non troveranno giammai troncati i testimoni Imn. ta di questo giornale di Moderni, e se v’ha uom ili buon senso che la giudichi tale, io mi do vinto, basti il sapere che ella e opera dell*ali*. Alessandro /orzi noni del più dolce e del più amaliit carattere che inai si vedesse, e incapace di usare di quello stile che qui gli vico attribuito. [p. 924 modifica]9*4.. del riraboschi ni maniera di dar loro un senso diverso di quello ch’egli ha preteso. Non troveranno trasformati i passi della Storia letteraria nè sconvolto l’ordine con cui sono scritti. Vedranno i miei argomenti fondati non in giuochi di parole, ma in sode ragioni. Troveranno finalmente in tutto il mio Saggio trattati con somma urbanità e moderazione gli autori che prendo ad impugnare, e citate sempre mai con lode le loro opere. Prendano poi in mano la lettera dell’abate Tiraboschi, e in essa vedranno che nemmen una sol volta vengono fedelmente recati i miei veri sentimenti. Troveranno strane accuse come da me inventate al Tiraboschi, che pure non si trovano nel mio Saggio, e dissimulate quelle ch’io veramente gl’intento. Vedranno che francamente mi accusa di aver dette cose che non sono state mai da me seri Ite, e di aver dissimulate altre ch’io ho dette chiaramente. A vista di questa condotta non potranno non stupirsi del coraggio di questo autore in presentarsi con sifatte pruove al tribunale de’ saggi e dotti ad accusarmi mancante di buona fede e di onestà, e vantarsi ancora di avermi convinto tale. Se poi sia da desiderarsi nella suddetta lettera quella convenienza e modestia che non debbesi mai dimenticare tra persone ben educate, ne lascio a loro il giudizio; essi potranno decidere, se tornerebbero a conto al sig. abate Tiraboschi che si misurasse il sapere di lui secondo quella saggia regola ch’egli stesso ci addita (pag. 19): La modestia suol essere tanto maggiore nelle letterarie contese, quanto più dotto è il combattente. [p. 925 modifica]. y25 Sul fine della sua lettera ci previene il signor abate Tiraboscbi che non s’aspetti da canto suo altra risposta, Io non posso se non che lodare la sua saggia determinazione, mentre non si trovi in grado di pubblicarne altra che possa fargli maggior onore, recar maggior gloria all’Italia, e maggior utilità al pubblico. Aneli’ io mi protesto dal canto mio di non fare nuove repliche intorno alle accuse eli’ egli m’intenta nella sua lettera. Mi protesto altresì di esser disposto a rispondere e al Tiraboschi ed a chiunque altro che a faccia sorpresa pretenda con nuove imposture intaccare la mia riputazione e buon nome 3 come altresì assicuro che non mi prenderò la pena di leggere, non che di rispondere a nessuno scritto anonimo, nè foglio prezzolato, in cui colle solite arti si facesse mai inserire qualche sanguinosa critica contro di me, o contro le mie opere.