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88o aver dissiinuliita qualche gloria letteraria degli Spagnuoli, ivi medesimo reco le sue parole, dalle quali chiaro si scorge il contrario. Non posso se non che di nuovo ammirare il coraggio di questo mio accusatore; giacchè in tutto questo tratto del mio Saggio pretende che il pubblico legga tutt’altro, che ciò ch’io ho scritto, trasformando tutto l’ordine del mio ragionare. Io dunque, come ho detto sopra, in tutto quel paragrafo sesto, che comincia alla pag. 162, mi lamento che l’abate Tiraboschi abbia disposta la sua Storia in maniera, che comparisce doversi all’Italia la gloria di ristoratrice degli studi dopo il mille, gloria che a ragion si debbe alla Spagna. Questa, e non altra, è quella qualche gloria letteraria degli Spagnuoli ch’io pretendo dissimulata dal Tiraboschi. Dopo proposto così l’argomento che prendo a trattare, dice l’abate Tiraboschi (p. 12) che io passo a ragionare lungamente degli studi e delle opere degli Arabi Spagnuoli, per dimostrare quanto tutto il mondo debba a quella nazione; e pure per molte pagine immediate alla suddetta mia proposta niente affatto discorro nè degli studi degli Arabi, nè di quanto tutto il mondo debba a quella nazione. Impiego bensì quelle pagine in dimostrare la maniera con cui il Tiraboschi fa comparire l’Italia ristoratrice degli studi in Europa. Arreco in primo luogo le parole con cui egli comincia a trattare della Filosofia e matematica dopo il mille (t. III, lib. c. 5). Ne’ tempi più antichi, scrive egli, col divolgare i libri di Aristotele, e col recare nelle loro lingue le opinioni, ed i sistemi de’ più