Storia della letteratura italiana (Tiraboschi, 1822-1826)/Tomo V/Libro II/Capo I

Capo I – Studi sacri

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Tomo V - Libro II Tomo V - Capo II
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Capo I.

Studi sacri.

a baio dei- ^ L» ONORE a cui colle dotte loro opere la dialettica aveano sollevata la scolastica teologia nel seudia le°,o‘C0l0 precedente S. Tommaso, S. Bonaventura, ed altri illustri scrittori, de’ quali abbiamo allor ragionato, era stato a guisa di un forte stimolo che avea eccitati non pochi a seguirne l’esempio colla speranza di conseguirne ancora la fama. Quindi nell’epoca di cui or favelliamo, veggiamo, per così dire, sbucar da ogni parte teologi scolastici, ed altri interpretar que’ libri medesimi che da’ loro precedessori erano stati interpretati, altri accingersi a interpretare le interpretazioni medesime, e far comenti a’ comenti , e per recar nuova luce, addensar tenebre non poche volte, e render oscuro spiegando , ciò che dapprima era chiaro. Io penso che chi legge questa mia Storia, non vorrà esiger da me che gli schieri qui innanzi una stucchevole serie d? interpreti de’ libri delle Sentenze, della Somma di S. Tommaso, della Teologia di Scoto, e d’altri somiglianti scrittori [p. 203 modifica]LIBRO SECONDO 203 clic or giaccion dimenticati nelle polverose biblioteche; ove auguriam loro di cuore che niuno ne turbi mai il dolce riposo. Fin da’ suoi tempi dolevasi il Petrarca che l’abuso della dialettica avesse infettata e guasta la teologia. Erant, die’ egli parlando di questa scienza (De Remed. utr.forlun. I. i, di al, /\6), olim hujus scientiae professores; hodie, quod indignans dico , sacrum nomen prophani et loquaces dialectici dehonestant; quod nisi sic esset, non haec tam subito pullulasset seges inutilium magistrorum. Di essi dunque mi basterà soltanto accennare alcuni dei più famosi. Molto meno io entrerò a parlare della famosa quistione insorta nell’Ordine de’ Minori intorno alla povertà di Cristo e alla proprietà delle cose che si consuman coll’uso; quistione che sembrò allora di sì grande importanza, che giunse perfino ad accendere un funesto incendio, da cui e quell’Ordine e la Chiesa di Dio fu lungamente travagliata. Lasciamo in disparte memorie così spiacevoli; e tanto più che la Francia forse più che l’Italia vi ebbe parte. Noi ci tratterremo più volentieri nel ragionare di quelli che si occuparono in più utili studi, e all1 Italia mantennero ed accrebbero ancor quell’onore che i primi padri e fondatori , per così dire , della teologia usciti dal suo seno le aveano ottenuto. II. E per cominciare da ciò che all’Italia è j}H-, più d’ogni altra cosa onorevole e glorioso, gli studj teologici dell1 università di Parigi, che J dagli Italiani riconoscevano il primo lor lustro, los’ •••!*»■*agli Italiani ancora in questo secolo dovettero [p. 204 modifica]2(>4 LIBRO in gran parte la fama di cui seguirono a godere. Il Petrarca trasportato da quel nobile entusiasmo da cui era compreso per le glorie della sua Italia , non temette in quella sua forse un po’ troppo calda invettiva di rimproverare ai Francesi che la gloria di quella università doveasi quasi interamente agl’Italiani. Costui forse, die’ egli (Apolog. contra Galli calumn. Op. t. 2, p. 1191, ec.), intende di parlar dello Studio, come se chiunque studia in Parigi debba perciò dirsi francese. Io dirollo mal volentieri, ma pur dirollo , poichè la verità mi ci sforza. Ella è questa certamente una illustre città e onorata della reale presenza: ma per ciò che appartiene allo Studio, ella è come un paniere in cui si raccolgono le più belle e le più rare fruita (T ogni paese. D ac che quello Studio fu fondato , come si legge, da Alcuino maestro di Carlo Magno, non vi è mai stato, di io sappia? un Parigino di qualche fama: ma que’ che vi furon più celebri} furon tutti stranieri, e, se l’odio non accieca cotesto barbaro , furono in gran parte Italiani; Pietro Lombardo novarese, cui essi chiamano Pier di Lombardo, come se questo fosse nome del padre, e non della patria, Tommaso d’Aquino, Bonaventura da Bagnarea, Egidio Romano, e molti altri. Così il Petrarca unisce insieme questi famosi teologi che in diversi tempi aveano a quella università conciliata sì grande fama , de’ quali e di più altri ancora abbiam ragionato a lungo ne’ due precedenti volumi. Or in questo secolo ancora non mancarono a quella celebre università teologi italiani, che se non possono essere [p. 205 modifica]SECONDO 205 paragonati a que’ primi, furon però, quanto il permettevan que’ tempi, i più chiari ornamenti di cui ella allor si gloriasse. III. Fra questi, uno de’ principali fu Roberto No™;ie d. de1 Bari di patria fiorentino. Filippo Villani ne ha scritta la Vita, o, a dir meglio, un breve cellieri deiu elogio, di cui, dopo la poco esatta traduzione n,cd“‘“,aitaliana pubblicata dal co. Mazzucchelli (Vite d’ill Fiorent. p-zy), è stato dato alla luce P originale latino dall’ab. Mehus (Vita Ambr. camald. p. 306). In esso, dopo averlo generalmente lodato, perchè, uomo com’egli era di nobile e ricca prosapia, tutto nondimeno si rivolgesse allo studio delle lettere e della filosofia, aggiugne, che applicatosi poscia alla teologia si recò a tal fine a Parigi, e che ottenne tal fama, che fu creduto il più profondo e il più sottile teologo che allor vivesse, e che perciò fu di comune consenso eletto cancelliere di quella università. Ma in qual anno ciò accadesse, e quanti anni sostenesse tal carica, io non posso accertarlo, perchè veggo contraddirsi tra loro que’ due scrittori che hanno veduti i monumenti onde si potrebbe trar qualche lume. Il ch. dottor Lami afferma (Novelle letter.. p. iZg) eh1 egli era cancelliere fin dall’an 1332, e ne reca in pruova un discorso di Roberto, che manoscritto conservasi nella Riccardiana in Firenze, intitolato: De omnibus Sanctis: quando erat Cancellarius anno 1332. L’ab. Mehus al contrario cita questo discorso medesimo, ma legge anno 1337 (l. cit). A chi di essi crederem noi? Nè qui solamente sono essi discordi. Amendue citano un altro sermone di Roberto in lode di [p. 206 modifica]IV. Elogi fisso: sue jwre. 2o6 LIBRO S. Giambattista fatto l1 anno 1334 5 ma ^ pi’inio legge habitus in Domo maiori, il secondo in Domo Minorum. Ma quanto alla prima loro contraddizione, parmi che debbasi maggior fede alla lezione del Mehus; perciocchè non solo il du Boulay afferma (Hist. Univ. Paris. t. 4, p• 989) che l’anno 1336 egli ebbe quell’onorevole carica, ma l’ab. de Sade aggiugne (Mém. de Petr. t. 1 , p. 3i 1, ec.) che ciò pruovasi ancora dal Registro della Lettere di Benedetto XII da lui veduto, ove si legge la bolla con cui il papa il dichiara cancelliere della chiesa di Parigi (che era insiem cancelliere delP università), e gli conferisce un canonicato nella Chiesa di nostra Signora. Il Villani, secondo la traduzione italiana, dice che Roberto tenne quel posto per 40 anni; ma nell’originale latino, qual è stato pubblicato dal Mehus, si legge xi, ove però l’editore avverte doversi leggere xiii, e così fu veramente, se vogliam credere al du Boulay il quale potè vedere gli antichi registri, e che afferma lui esser morto . l’anno 1349 Deesi dunque correggere l’errore di tutti quegli scrittori citati dal ch. Mazzucchelli nelle sue note al Villani e nei suoi Scrittori Italiani, che ne prolungan la vita fino oltre all’anno i3()2. IV. In quale stima egli fosse pel suo sapere, non solo cel mostra l’onorevol carica che gli fu affidata, ma il vederlo inoltre scelto per uno di quei teologi che per ordin del re Filippo di Valois esaminarono l’anno 1333 la famosa e allora sì dibattuta questione della vision beatifica conceduta alle anime de’ giusti innanzi [p. 207 modifica]SECONDO 207 all’universale giudizio (V. Natal. ab Alex. Hist eccl. saec. i3 et 14, diss. 11, art. 2); nella qual occasione un altro Italiano ancora dell1 Online de’ Minori fu adoperato, cioè Niccolò d1 Alessandria, dottore egli pur parigino (BulaeusHist. Univ. Paris, t. 4? p. 976). Mentre era cancelliere, pensò ad onorare quella università non meno che il suo concittadino ed amico Francesco Petrarca, esortandolo l’anno 1340 a venire a Parigi a ricevere solennemente la laurea (Petr. Op. t. 2, p. i25i); e il Petrarca fu per qualche tempo sospeso se dovesse arrendersi a questo invito, o a quella che nel dì medesimo avea avuto di andarla a ricevere in Roma. Questo secondo partito prevalse, come a suo luogo vedremo. Della stima in cui era Roberto, fa menzione anche il Petrarca, parlandone come d’uomo che da’ teologi di ogni parte del mondo era avuto in somma venerazione: Sed enim mea carmina numquam Sunt audita tibi. Verum legit illa Robertus Conci vis meus egregius, quem Julia nostro Tempore Pariseos studiorum tertia nutrix Suscipit, et toto venerantur ab orbe magistri. Carm. l. 2, ep. 11. Il Villani aggiugne che ei fe’ condannare come errore trentotto proposizioni di Alberto Magno e di S. Tommaso d’Aquino. Ma di tal fatto, come ottimamente riflette il co. Mazzucchelli, non vi ha indicio alcuno negli scrittori di que’ tempi. Egli, come abbiamo altrove avvertito, raccolse alcuni sermoni di S. Agostino, e alcuni inoltre ne scrisse egli stesso, che si conservano manoscritti nella Riccardiana, e si annoverano [p. 208 modifica]208 LIBRO dalPabate Mehus (l. cit.), dal dottor Lami e dal co. Mazzucchelli (Scritt. ital t. 2 , par. 1). Conchiude finalmente il Villani dicendo che egli senza abito di Religione come Religioso menando vita purgatissima fu combattitore di tutti i vizj, e di santa vita specchio ed esempio , e nessuna cosa gli mancò, la quale a giusto e buon uomo s’appartenga. d’^dìoqì ^ra medesimo tempo in Parigi un regi <b Bor^o ligioso dell’Ordine agostiniano detto Dionigi da fuo^rono™i- Borgo S. Sepolcro della famiglia de’ Roberti, co avverato. e noj dobbiamo singolarmente al Petrarca le notizie che di lui ci sono rimaste. La prima memoria che presso lui ne troviamo, è la lettera ch’egli gli scrisse per ragguagliarlo del viaggio che fatto avea l’anno 133(5 al Monte Ventoso; benchè nell’edizione di Basilea essa veggasi per errore indirizzata a Giovanni Colonna. Ma prima ancor di quel tempo egli era in Parigi per testimonianza di Giovanni Villani, il quale dopo aver narrata la morte di Castruccio signor di Pisa e di Lucca, accaduta . nel settembre del 1328, racconta ch’ella fu chiaramente predetta da F. Dionigi. Ecco le parole medesime del Villani, che son degne di essere qui riferite (l. 10, c. 85): Della sua morte (di Castruccio) si rallegrarono molto i Fiorentini, et appena poteano credere, che fosse morto, et rassicurato il caso di questa morte di Castruccio, ci cadde a fare memoria a noi Autore, a cui avvenne. Essendo Fiorentino, et vedendo in grande turbatione la patria per la persecutione, che facea al nostro Comune, la quale ci parea quasi impossibile, dogliendoci [p. 209 modifica]SECONDO 209 ver nostra lettera a Maestro Dionisio dal Borgo a San Sepolcro nostro amico divoto deir Ordine delli Augustini Maestro in Parigi in divinitade et in philosophia, pregandolo che mi avvisasse , quando avrebbe fine la nostra avversità, mi rispose per sua lettera in breve, et disse: Io veggio Castruccio morto, et alla fine della guerra voi avrete la Signoria di Lucca per mano di uno, che avrà V arme nera e rossa con grande affanno et spendio et vergogna del nostro Comune, et poco tempo la reggierete. Havemo la detta lettera da Parigi in quelli giorni, che Castruccio aveva avuta la vittoria a Pistoia di sopra detta, et riscrivendo al Maestro, come Castruccio era nella maggiore pompa et stato, che fosse mai, risposemi: Di presente io raffermerò ciò, che io scrissi per altra lettera , e se Iddio non ha mutato il suo giudicio, et il corso del Cielo, io veggio Castruccio morto, et sotterrato. Et coni io ebbi questa lettera , la mostrai a’ miei compagni Priori, di era all’fiora di quello Collegio, che pochi dì dianzi era morto Castruccio, et in tutte le sue parti il giù die io di Maestro Dionisio fue prophetia. Questo racconto, di cui non par che si possa rivocare in dubbio la verità, sembra indicarci che Dionigi, secondo l’errore comune in que’ tempi a quasi tutti gli uomini ancor più dotti, si dilettasse dell1 astrologia giudiciaria, e che qui fortunatamente, come talvolta avviene, colpisse a caso nel vero, il che pruovasi ancor più chiaramente dal funebre elogio fattogli dal Petrarca, di che or ora diremo. Era dunque il Tir a boschi, Voi V. \\ [p. 210 modifica]2 10 LIBRO P. Dionigi fin dall’anno 1328 professore di teologia e di filosofia nell’università di Parigi. L’abate de Sade lo annovera tra que’ teologi che furon consultati nella quistione della vision beatifica (Mém, de Petr. t. 1:p. 254). Ma a me non è avvenuto di ritrovarne memoria alcuna. ^vi. VI. Lo stesso scrittor francese ci narra (ib, «>i“divp- 233) che l’anno 1334 il Petrarca, cornbatt,,t0 Per una Parte dall’ardente sua passione >ua mone. »)er Laura, e per l’altra da’ sentimenti di Religione, si rivolse al P. Dionigi, lo scelse a suo direttore, gli confidò lo stato dell’anima sua, e strinse con lui amichevol commercio di lettere. Egli non ci accenna onde abbia tratte cotai notizie; e a me pare che non altro fondamento ci possa recarne, che la lettera sopraccennata, in cui il Petrarca il ragguaglia del suo viaggio al Monte Ventoso (l. 4? ep 1) j perciocché in essa veggiamo che il Petrarca si fa a rendergli conto dello stato interno dell’anima sua , de’ combattimenti che provava nel cuore, delle lagrime che spargea sulle sue debolezze, e del frutto raccolto dacchè oltre a due anni addietro avea cominciato a fare in qualche modo guerra a se stesso; e accenna insieme un libro delle Confessioni di S. Agostino, che da lui avea ricevuto in dono. La qual maniera di favellare ci rende assai verisimile che il Petrarca di lui si valesse come di suo direttore, e che f)erciò con quella amabile sincerità che in tutte le sue opere si manifesta, gli svelasse l’interno suo stato. Questa però è l’unica lettera che abbiamo su questo argomento, e non mi sembra abbastanza provato ciò che afferma il suddetto [p. 211 modifica]SECONDO 311 scrittore, che sien perite più altre lettere del medesimo argomento a lui scritte. È certo però. che l’amicizia del Petrarca col P. Dionigi durò fino alla morte di questo secondo. Abbiamo una lettera in versi , con cui il Petrarca caldamente lo invita a venire alla sua solitudine di Valchiusa (Carm. l. 1 , ep. 4), e da essa raccogliesi che Dionigi era allora alla corte del pontefice in Avignone, donde fece poscia partenza verso l’Italia; nè possiamo sapere s’egli soddisfacesse o no alle brame del Petrarca. L’abate de Sade attribuisce a solo desiderio di un tranquillo riposo la venuta del P. Dionigi in Italia (Mém, de Petr. t. 2, p. 411)- Ma s’egli avesse badato a ciò che pur egli stesso afferma (ib. t. 2, p. 34), cioè che Dionigi fu eletto vescovo di Monopoli nel regno di Napoli nel marzo del 1339, e che nell’ottobre di quell’anno egli era già in Napoli (ib. t. 1, p. 417)? avrebbe veduto che la dignità conferitagli dovette essere il principal motivo di questo suo viaggio, e non avrebbe scritto che Dionigi fu prima alloggiato in corte dal re Roberto, e poscia sollevato a quel vescovado. I quali errori io ho voluto avvertire, perchè l’ab. de Sade pretende qui di correggere gli errori altrui (t. 2, p. 34); ma non si mostra in ciò ancora molto felice. Ei riprende l’Ughelli, perchè dice che Dionigi morì l’anno 1336 (Ital. sacra t. 1 in Episc. Monop.), ma, in primo luogo, l’Ughelli fissa in quell’anno non la morte, ma l’elezione di Dionigi; e inoltre se l’ab. de Sade avesse avvertito a ciò che l’Ughelli dice dell’antecessore e del successor di Dionigi, avrebbe veduto ch’egli stesso [p. 212 modifica]213 LIBRO ne fissa l’elezione al 1339 e la morte al i342, e che è semplicemente errore di stampa il leggersi ivi l’anno 1336, invece del 1339, come in fatti si legge nella prima edizione dell’opera stessa. Dionigi dunque fatto vescovo di Monopoli stette ciò non ostante alla corte del re Roberto; e abbiamo una lettera del Petrarca (Famil. l. 4, ep. 2) in cui con lui si rallegra della sorte che gli era toccata di stare presso un sì splendido e sì saggio monarca. È assai probabile, e la stessa lettera sembra indicarlo, che dal ragionare che Dionigi fece a Roberto del valor poetico del Petrarca, nascesse il desiderio e quindi la risoluzione di chiamarlo in Italia per conferirgli solennemente l’onore della corona, come poscia accadde l’anno 1341. In questa occasione è probabile che il Petrarca vedesse in Napoli il suo caro amico, il quale però non sopravvisse gran tempo dopo, essendo morto, come abbiamo accennato, l’anno i342. ei^Jo r«t- morte del suo Dionigi recò non legione dai pt- gier dolore al Petrarca, il quale volle sfogarlo con un poetico componimento latino, che ancor abbiamo tra le sue opere (Carm. l. 1,ep. 13). In esso, dopo aver pianto la morte del caro amico, e dopo avere espresso il dolore che ne provava egli non meno che il re Roberto, passa ad accennare que’ pregi per cui singolarmente era presso tutti in istima non ordinaria. E non possiamo a meno di non dolerci che la prima virtù che in lui commenda il Petrarca, sia quella di legger negli astri le vicende avvenire: Quis tecum consulet astra, Fatorum secreta movens , aut ante notabit [p. 213 modifica]SECONDO a 1 3 Siiccessus belli dubios, mundique tumultus , Fortunasque Ducum varias? Il Petrarca fu un de’ pochi di questo secolo che, sollevandosi sopra i volgari pregiudizj , si ridesse dell1 astrologia giudiziaria , come altrove vedremo. Qui nondimeno ci sembra lodare ciò ch’egli stesso credeva degno di biasimo e di disprezzo; e ciò probabilmente per rispetto a Roberto, che per quanto fosse uom saggio, in questo nondimeno si lasciò egli pure travolgere dalla corrente. Ne loda poscia la dolce e facile eloquenza nel ragionare; e si duole con Roberto che abbia perduto un giudice e uno stimatore sì grande de’ sublimi ragionamenti che cogli uomini dotti ei dilettavasi di tenere. Finalmente ne celebra i talenti poetici, e conchiude con questa funebre iscrizione onde ornarne il sepolcro: Qui fuit Hesperiae decus, et nova gloria gentis , Cultor amicitiae fidus, charisque benignus , Convictu placidus , vultuque animoque serenus, Religione pius, factis habituque modestus, Altus et ingenio, facundo splendidus ore , Flos vatum, coeli scrutator , cognitus astris , Rarus apud veteres, nostro rarissimus aevo , Unicus ex mille jacet hic Dionysius ille. Vili. Un professore di teologia nell’università di Parigi, qual era Dionigi da Borgo S. Sepolcro , pare che avrebbe dovuto lasciarci a monumento del suo sapere opere teologiche e sacre. E nondimeno non sappiamo che alcuna ne scrivesse di tale argomento, trattene alcune postille sulla Lettera a’ Romani; e quelle di cui ci è rimasta memoria, son quasi tutte di vi». Su« opere. [p. 214 modifica]argomento profililo. Nella Cronaca de’ conti di Oldenburg scritta da Giovanni Scliipliovver agostiniano, e pubblicata dal Meibomio (Scriptor rer. german. t. 2. p. 164), di lui si dice che fu dottissimo nell’arte del ragionare, che illustrò i poeti, gli storici, gli oratori, i filosofi tutti, come mostrano i comentarii eli’ ei lasciò scritti sopra Valerio Massimo (a), sopra i libri delle Metamorfosi, sopra l’opere di Virgilio, sopra le Tragedie di Seneca, e sopra la Politica d’Aristotele; e ch’ei finalmente seppe sì destramente ridurre le favole al senso tropologico, che nulla di più utile e di più opportuno poteasi ritrovare ad istruzione de’ popoli (*). Al qual elogio è conforme quello che ne fa il Tritemio (De Script eccl. n. 728), aggiungendo pure amendue, con non picciol’errore , errore ch’ei visse a’ tempi dell’imperador Sigismondo verso il 1412. Il Fabricio, citando il Possevino, avverte (Bibl. med. et inf. Latin. t. 2, p. 31) che le annotazioni tropologiche di Dionigi sopra le Metamorfosi furon da Clemente VIII inserite nell’Indice dei libri proibiti. Ma non è ciò che dicesi dal Possevino (Apparat, t. 1, p. 475)# il quale avendo indicate le opere sopraccennate (<7) I Comenti di F. Dionigi da Borgo S. Sepolcro non sono inediti, come io avea creduto, ma se ne ha un1 antica edizione in folio , senza data di sorta ali una, e in caratteri rotondi, ed essa sembra fatta tra‘I i47° c?I (*) L’elogio di F. Dionigi da Borgo S..Sepolcro, che leggesi nella Cronaca de’ conti di Oldenburg, c tratto interamente dalla Cronaca dell’Ordine di S. Agostino di Ambrogio da Cora, stampata nel 1481 in Roma. [p. 215 modifica]SECONDO 2l5 di Dionigi, avverte che tutte le spiegazioni tropologiche sopra le Metamorfosi sono generalmente comprese nell1 Indice di Clemente VIII. Il Panfilo afferma che la più parte dell1 opere di Dionigi si conservano in Milano nella libreria del convento di S. Marco. Egli e il Gandolfi ancora fanno menzione delle mentovate postille da lui scritte sopra l’Epistola a’ Romani, che stanno in un codice a penna nella libreria di S. Spirito in Firenze. Più frequenti sono i codici del Comento di Valerio Massimo da lui composto, di cui cinque codici trovansi nella biblioteca del re di Francia (Cat. Codd. MSS. Bibl. reg. paris. t 4,p. 167, cod. 5858, 5859, 5860, 5861, 5862), e uno in quella di S. Marco in Venezia (Bibl. S. Marci, t. 2, p. 211), oltre alcuni altri rammentati dal Montfaucon (Bibl. Biblioth. t. 1). Niuna cosa però, ch’io sappia, ne è mai stata data alle stampe. IX. Alcuni anni prima avea ottenuta gran fama nella stessa università Alberto da Padova agostiniano egli pure. Il du Boulay lo annovera tra’ più celebri professori di essa (Hist. Univ. Paris, t. 41 p- 949)? e tra’ discepoli di Egidio Colonna; e citando F iscrizione postagli in Padova, la quale però, per testimonio del Papadopoli (Hist. Gymn. patav. t. 2, p. 154) 3 è or sì corrosa che più non può leggersi, dice che nel comentare la sacra Scrittura, e nell1 annunciare la divina parola fu uomo di profonda dottrina e di singolare eloquenza. Somigliante encomio ne forma Michele Savonarola (De. Laud. Patav. vol. 24 Script. Rer. ital. p. 1154 > cbe il chiama il primo fra’ teologi del secol suo, !X. Aitano di Padova *KiMlimano fl Àlr»sandro di Alessandria francesi-ano professori essi pure in P«rijji* [p. 216 modifica]216 LIBRO e spositor sì ingegnoso de’ Libri santi, che sembra non potersi andare più oltre; e degno perciò della statua che gli fu innalzata, e che ancor oggi si vede sulla porta del pretorio di Padova. Alcuni scrittori padovani, citati dal Papadopoli, il dicono professor di teologia anche nella sua patria; ma già abbiamo veduto che questa cattedra non fu ivi aperta se non dopo il 1360, quando già da più anni Alberto era morto. Forse però ei ne tenne ivi scuola privata a’ suoi religiosi. Il du Boulay e gli scrittori padovani il dicon morto in Lione nel 1328. Ma gli scrittori agostiniani, in cio più degni di fede, comunemente ne fissan la morte al i323 (a).’ Essi però ancora hanno errato affermando ch’ei morisse in età di quarantasei anni; perciocchè s’ei fosse nato nel 1277, non avrebbe potuto (a) In un Elogio di Alberto da Padova scrìtto da F. Valerio da Bologna dello stesso Ordine, e inserito nella dedica al Cardinal Campeggi della Sposizione di esso sui Vangeli della Quaresima, stampata in Venezia nel 1523, si dice che Alberto nacque nel 1282 a’ 24 di gennaio, che nel 1294 in età di fi anni entrò nell’Ordine di S. Agostino, essendo allor generale Egidio (’.donna, di cui ancor fu scolaro, e che morì in Parigi in età di 24 anni , ma non si dice in qual anno di Cristo. Se le epoche indicate son certe , converrebbe attenersi all’opinione del du Boulay e degli scrittori padovani che ne fìssan la morte al 1328. Ma io non so quanto possiam fidarci di questo scrittore; perciocché non veggo come possa , secondo le dette epoche, affermarsi che Alberto fu scolaro (e deesi intendere in teologia) di Egidio Colonna , il quale era generai dell’Ordine quando Alberto vi entrò, e due anni dopo fu fatto arcivescovo di Bonrges, mentre Alberto non contava che i3 anni, età certo non opportuna a? teologici studi. [p. 217 modifica]SECONDO 2I7 essere scolaro di Egidio Colonna. E deesi perciò credere che invece di quarantasei anni essi dovessero scrivere cinquantasei. Di lui abbiamo alle stampe Sermoni latini fatti a sposizion del Vangelo; opera da lui composta mentre predicava in Venezia nel 1315, come provasi da un codice a penna che se ne ha nella libreria degli Agostiniani di S. Giacomo di Bologna; della qual notizia io son debitore al ch. P. Giacomo della Torre agostiniano, la cui erudizione e gentilezza nel favorirmi delle più opportune notizie intorno agli scrittori del suo Ordine ho rammentato altrove, e dovrò qui ancora rammentare non poche volte. Di questi Sermoni si hanno più edizioni indicate dal Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 1 , p. 47, 48), il quale sulla fede di altri scrittori accenna alcune altre opere teologiche inedite da lui composte che si conservano in Padova nella libreria degli Eremitani. Più scarse notizie abbiamo degli studj di Alessandro d? Alessandria dell’Ordine de’ Minori, eletto generale l’anno 1313 e morto in Roma l’anno seguente. Egli pure dal du Boulay è registrato (l. cit.) tra i dottori parigini; e io non so sulla fede di quali scrittori afferman l’Oudin (t. 3, p. 740) e il ch. Mazzucchelli (Script. ital. t. 1, par. 2, p. 446) ch’ei prese la laurea dottorale in Barcellona. Ei fu autore di più opere teologiche e bibliche, che, dopo altri scrittori, si annoverano dal citato co. Mazzucchelli, il quale ancora nomina le biblioteche in cui alcune di esse tuttor conservansi manoscritte; poichè niuna, ch’io sappia, ha veduta la luce. [p. 218 modifica]» 218 libro Alix• f| X. Il primo dell’Ordine carmelitano che riii«ni ‘prifr*- cevesse la Laurea teologica nell’università di Pa* «on in pa- ^ fu Gherardo di Bologna, come afferma qualche scrittor di quest’Ordine citato dal conte Mazzucchelli (ib. t. 2, par. 3, p. 1467); e certo come dottor parigino il veggiam nominato dal du Boulay (l. cit. p. 956). Ei però dovea aver luogo nel tomo precedente di questa Storia, poichè l’anno 1297 dagli usati suoi studj fu chiamato al reggimento di tutto il suo Ordine, ch’ei governò per 20 anni, essendo morto, secondo il comune parere degli scrittori, V anno i3l7 in Avignone. Delle cose da lui a pro del suo Ordine adoperate si può vedere il citato co. Mazzucchelli, che riferisce ancora distintamente le varie opere teologiche e sacre che si dicon da lui composte; niuna delle quali però è stata data alle stampe. Tra i dottori parigini nomina similmente il medesimo du Boulay (l. cit p.957), ma senza darcene più distinte notizie, il famoso teologo agostiniano Gregorio da Rimini, che fu poscia eletto general del suo Ordine a’ 28 di maggio dell’anno 1357, e morì verso la fine dell’anno seguente in Vienna Fra le opere da lui composte, delle quali parla il Tritemio (De Script, eccl. c. 619), e dopo più altri autori il Fabricio (l. cit. t. 3, p. 97) e il Gandolfi (De 200 Script, augustin,), la più celebre è il suo Comento sopra il Maestro delle Sentenze, di cui però i soli due primi libri han veduta la luce in due diverse edizioni; anzi sembra probabile che su questi soli egli scrivesse i suoi Comenti, poichè Giordano da Sassonia, scrittore contemporaneo, di questi soli fa motto. [p. 219 modifica]SECONDO 219 Questo scrittore fa un grande elogio di Gregorio, dicendo che fu uomo di grande scienza e di santa vita, onorato singolarmente in Parigi per le dotte sue opere, udito volentieri da ognuno , e specchio di probità non meno che di sapere (in Vitis Fratr.). Il card. Noris (Vindic. August. p. 68) afferma* che fra tutti gli antichi scolastici egli è il più versato nelle opere di S. Agostino, e insieme il difende dall’accusa che alcuni gli han data di avere sparsi i primi semi degli errori di Baio e di Giansenio. Dello stesso Ordine era Simon da Cremona, che, come afferma il du Bouly (l. cit. p. 989), fu licenziato in teologia l’anno 1377. Il Tritemio ne fa un luminoso elogio (c. 602), dicendo ch’ei fu uomo nelle divine Scritture erudito e studioso , versato ancora nell’arti liberali, di eccellente ingegno e celebre per eloquenza , di cui diede gran pruova in Venezia coll’istruire per più anni il popolo colle parole non meno che coll’esempio. Quindi ne accenna parecchi sermoni , alcuni de’ quali sono stati dati alla luce, altri con altre opere si rimangono manoscritti. Di esse si può vedere il catalogo presso il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 6, p. 188) e presso F Arisi (Cremori, litter. t. 1,p. 179) e presso il P. Gandolfi (De 200 Script, augustin. p. 320, il quale aggiugne che nell’anno 1387 ei fu fatto reggente del convento del suo Ordine in Genova, e che di lui ne’ monumenti dell’Ordine si trova menzione fino all’anno 1390. Ma in una Cronaca mss. del convento di S. Agostino di Cremona, esaminata dal soprallodatto P. della Torre, si dice ch’ei morì in Padova l’an 1398 [p. 220 modifica]220 LIBRO in età di sessantatrè anni, ed ivi ancora egli è detto professor insigne di sacra Scrittura e predicator famosissimo in Venezia (*).

  • r- XI. Più celebre in Francia, a cagione delle

Ira msi j.. «. / Feniro e.*- onorevoli dignità a cui venne innalzato, fu rer^veKor’ rico Cassine®, cui il du Boulay (l. cit. p. g5^) non meno che i Maurini, autori della Gallia Cristiana (t.6,p. 55y), dicono italiano e lucchese di patria. Questi autori recandone in prova gli autentici documenti, mostrano ch’ei fu dapprima cherico e notaio, poscia consigliere e segretario del re di Francia Carlo V, il quale, quando egli Tanno 1372 prese la laurea dottorale, ordino che gli fosser contati 200 franchi pe^ fare in quella occasione il consueto solenne convito. Ei fu poscia fatto arcidiacono della chiesa di Roùen, e quindi vescovo diLodeve, nella qual dignità ei trovasi costituito ne’ monumenti del 13-75. Da questa chiesa ei fu trasferito Tanno i382 a quella di Auxerre (Gali. Christ. I. cit.) et t. 12, p. 324). Ivi ei diede (*) All’epoche fissate dal P. Gandolfi e dalla Cronaca cremonese intorno all’età di F. Simon da Cremona, secondo le quali ei sarebbe vissuto fino al i3c)8, si oppone un altro codice che nel convento degli Agostiniani della stessa città si conserva , ove si ha un5 opera ms. di Simone intitolata Opus Praedicabile super Epistola.9 Pauli Dominicales totius anni, in fin della quale si dice che ella fu scritta nel 1320. Ma non abbiamo su ciò lumi più chiari e più certi. Il generale Cristoforo da Padova avea ideato di fare un’edizione di tutte le opere di questo teologo, come raccogliesi da’ monumenti del 1556, che si conservano nell’archivio della procureria generale di Santa Maria del Popolo; ma il disegno non fu eseguito. [p. 221 modifica]SECONDO 22 1 pruova della sua sollecitudine nello sradicare j;li errori che andavano serpeggiando, perciocchè avendo l’anno 1389 scoperto che in quella città erasi rifugiato Stefano Gontier apostata deir Ordine de’ Predicatori, il quale andava disseminando gli errori del celebre Giovanni da Monteson del medesimo* Ordine, fattolo arrestare, il mandò prigione alla università di Parigi; di che veggasi il du Boulay che stesamente ne parla (l. cit. p. 640), e veggansi parimente i citati autori della Gallia Cristiana; che altre cose rammentano da Ferrico operate a pro delle sue chiese. L’anno i3t)o ei fu trasferito all’arcivescovado di Rheims; ma mentre egli era in viaggio verso la sua chiesa, morì di veleno in Nimes a’ 26 di maggio di quell’anno medesimo. S’egli lasciasse, o no, qualche saggio del suo sapere, non trovo chi lo affermi, nè chi faccia menzione di alcuna opera da lui composta. XII. Tutti questi Italiani che dieder pruova del loro ingegno nell’università di Parigi, si rammentano dal du Boulay, se se ne tragga Dionigi da Borgo S. Sepolcro, di cui ei non fa motto. I Francesi però ci permetteranno che noi ne annoveriamo alcuni altri i quali non furono di minor nome, nè minor lustro accrebbero a quella loro sì celebre università. E in primo luogo Michele Aiguani dell’Ordine carmelitano e bolognese di patria, il cui cognome viene scritto in diverse maniere da diversi scrittori , molti de’ quali singolarmente il dicono Angriani, e il ch. conte Mazzucchelli ha creduto (Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 780) di dover seguire XII. Notizie di Mi.ii,lo A1 guani laurealo eMo pure in Parigi. [p. 222 modifica]222 LIBRO questa seconda maniera. Ma poichè, com’egli stesso confessa, ne’ titoli dell’opere da lui composte egli è sempre detto Aiguano, e Ai guano pure è chiamato dal Ghirardacci (Stor. di Bol. t. 2, p. 5 j6) che riferisce ancora due iscrizioni che tuttor ne adornano il sepolcro, in una delle quali egli è detto Aiguano, nell’altra con leggier cambiamento, e che forse nasce da error di stampa, Aguano, a me pare che la prima maniera si debba preferire alle altre. Il P. Niceron gli ha dato luogo tra gli uomini illustri, dei quali ha scritta la Vita (Mém. des Homm. ill. t. 5, p. 392), e questa è stata compendiosamente tradotta dal ch. Mazzucchelli, delle cui notizie volentieri qui ci gioviamo, perchè le troviamo per lo più confermate da autentici documenti. Michele adunque figlio di Stefano Aiguani e di Giacoma Buonamici, entrato nell’Ordine carmelitano, fu mandato agli studi nell’università di Parigi, ove, ricevuta la laurea dottorale, fu da più capitoli dell’Ordin suo, e da quello singolarmente di Treviri celebrato l’anno 1362, destinato primario lettore di teologia nel suo convento della stessa città di Parigi, nel qual tempo ei compose i Comenti sul Maestro delle Sentenze, che abbiamo alle stampe (a). Dopo aver sostenute più onorevoli (-7) Cosi di Michele come di Bernardo Aiguani, e delle opere loro, più esatte notizie ci ha date il ch. sig. abate Francesco Alessio Fiori negli articoli che ne ha inseriti nelP opera degli Scrittori bolognesi del sig. conte Fantuzzi (t. 1, p. 73, ec.). Da esse raccogliesi che la lor madre fu veramente della famiglia de’ Sereni o Sireni, benchè, secondo il Ghirardacci, essa si dicesse [p. 223 modifica]SECONDO 223 cariche nel suo Ordine, l’anno 1379, avendo Urbano VI deposto il generale Bernardo Oleri, come fautore dell’antipapa Clemente VII, Michele fu eletto vicario generale, e poscia nell’anno 1381 generale di tutto l’Ordine, nella qual dignità ei fu confermato l’anno 1385. Ma l’anno seguente essendosi recato a Genova per presentarsi a’ piedi di Urbano VI, questi, qualunque ragion se n’avesse, ma probabilmente per qualche sospetto di adesione al contrario partito contro di lui conceputo, di sua autorità il depose. Poichè fu morto Urbano VI, Bonifacio IX il dichiarò vicario generale della provincia di Bologna, nella qual città ei mori l’anno 1400, come a me sembra evidentemente raccogliersi dalla iscrizion sepolcrale recata dal Ghirardacci e dal conte Mazzucchelli, benchè alcuni abbian voluto interpretarla diversamente. Che Bonifacio avesse in animo di crearlo cardinale, e che Michele morisse nell’atto appunto di riceverne l’avviso, si afferma da alcuni scrittori moderni, ma senza recarne pruova. Oltre i Comenti sul Maestro delle Sentenze, abbiamo alle stampe un voluminoso Comento su’ Salmi, e il ch. Mazzucchelli racconta distesamente le controversie nate intorno all’autore di esso. Più altre opere se ne conservano manoscritte, delle quali si può vedere l’esatto catalogo presso il suddetto scrittore. Io osserverò ancora de’ I3uonamici. Che anche Bernardo studiasse la teologia in Parigi, è ivi provato con un breve di Urbano V ad esso diretto; ma non è ugualmente certo ch’egli ivi ricevesse la laurea. [p. 224 modifica]XIII. E di Barlolommro Cu* rusio vescovo di UrlùDO. 224 LIBRO solamenle che fra l’altre cose ei ne compose una intitolata Dictionarium Divinum, ch’era in somma un Dizionario scritturale e teologico assai ampio ed esteso, e il primo di tal argomento che si vedesse. Non è certo s’ei lo conducesse a fine, benchè pur taluno affermi di averlo veduto intiero. Il Ghirardacci dice di averne veduti due volumi nel convento di S. Martino in Bologna, e che gli altri n’erano stati levati furtivamente. Questo scrittore aggiugne ch’ei fu inoltre valoroso scultore, e che nella chiesa suddetta di S. Martino ancor si veggono alcune scultore di suo lavoro. Egli ebbe ancora un fratello detto Bernardo, di cui parla il co. Mazzucchelli (ib.), avuto esso pure in conto d’uomo dottissimo. Io non so nondimeno se possa ammettersi come certo ciò che il solo Orlandi asserisce (Scritt. bologn. p. 73), ch’egli pure ottenesse la laurea nell’università di Parigi. XIII. Il medesimo onore deesi con ragione a Bartolommeo Carusio d’Urbino agostiniano, il quale dagli storici del suo Ordine (Pamphil. Chron. ad an. 1343: Gandolfi, ec.) vien detto discepolo di Agostino Trionfo d’Ancona e dottor parigino. Se però ei tenne per qualche tempo scuola in Parigi, dovette fra non molto lasciarla per trasferirsi a Bologna, ov’egli era, se crediamo al Ghirardacci (Stor. di Bol. t.2,p. 22), fino dal 1321. Ivi certo egli trovavasi al tempo di Giovanni d’Andrea celebre canonista di questo secolo, il quale in un passo citato, dopo il Panfilo, dall’Oudin (t. 3, p. 964), narrando di aver da lui ricevuta una lettera di S. Agostino, [p. 225 modifica]SECONDO 225 che inutilmente avea ricercata altrove, lo dice Vir devotione sincerus, et fervidus diari tate, araridis sdenti a, riec minor facundia Frater Bartholomaeus de Urbino Ordinis Ere mi tarimi, qui Augustinianum composuit, per quod dic to rum Jugus tini cupido s in singulis male ri is copiosos jecit. Quest’opera intitolata Milleloquium S. Augustini era stata già incominciata dal Trionfo, come altrove abbiam detto (t. 4, ep. 117), e fu poi compita da Bartolommeo. Ei n’ebbe in premio dal pontefice Clemente VI il vescovado d’Urbino sua patria, e insieme ebbe il comando di fare un’opera somigliante intorno a S. Ambrogio. Di ciò abbiamo una certa testimonianza nella lettera che il Petrarca gli scrisse, e ch’io recherò qui in parte tradotta nella volgar nostra lingua, anche perchè contiene un onorevole elogio di questo teologo (Famil. l. 8, ep. 6): L opera da te pubblicata, in cui hai raccolti e disposti per ordine alfabetico i detti di S. Agostino, come alla tua profession conveniva, è cosa di maggior fatica che gloria. Nel che però io lodo il tuo consiglio, che potendo, come ben credo, far cose maggiori. hai voluto intraprendere un lavoro di pubblica utilità. L’esito ha corrisposto a’ tuoi voti; 1 9 e il successo ne è stato felice. Perciocchè il sommo pontefice Clemente VI uomo letteratissimo, occupatissimo e bramoso perciò al sommo di tai coni pendìi, avendo approvato il tuo lavoro , ti ha fatto vescovo della tua patria, e ti ha confortato a sperar cose maggiori, benchè la tua modestia e la tua umiltà congiunta alF amor della patria non ti permetterà, io credo, Tiraboschi, Voi V. i5 [p. 226 modifica]226 LIBRO di bramar cosa, se non più sublime, al men più dolce. Frattanto da una fatica chiamato ad un altra, ti è stato ingiunto di fare dell opere di S. Ambrogio ciò che di quelle di S. Agostino hai già fatto. Tu il farai, perciocchè già l’hai cominciate, e spero che il compirai; e piaccia a Dio che ciò sia con facilità e con sorte uguale, ec. Siegue poscia il Petrarca dicendo che mandagli un’elegia e alcuni versi esametri, com’ei l’avea richiesto, per porre innanzi alla prima sua opera. I quai versi però convien dire che sian pel ili, poiché non si veggon nè fra que’ del Petrarca, nè innanzi all’opera di Bartolommeo. Questi compiè ancor la seconda, e amendue si hanno alle stampe. La prima di esse, cioè il Milleloquio di S. Agostino, fu di nuovo dato alla luce, ma con diverso titolo, e come sua opera da Govanni Gastio teologo protestante l’anno 1542, e invano si sforza l’Oudin di (difenderlo, mentre il solo confronto delle due opere lo convince abbastanza. Conservansi ancor manoscritti un Trattato di Bartolommeo contro gli errori sparsi in occasion dello scisma di Lodovico il Bavaro, e alcuni altri opuscoli de’ quali parlano i sopraccitati scrittori. Tre anni soli ei tenne la sede d’Urbino, cioè dal 1347 *35o in cui morì, come da’ monumenti di quella chiesa pruova l’Ughelli (Ital.sacra, t. 2, in Archiep. Urb.). xiv. XIV. Il du Boulay ha parimente ommesso di Mrièadr8f’i* ragionare di Alessandro Fassitelli natio di S. Elf*«ori’ Jpa- pi(ìi° nella Marca (Medaglia, Notizie stor. di S. Elp. l. 3,par. 2, c. 1), il quale entrato l’anno 1269 nell’Ordine agostiniano, e mandato [p. 227 modifica]SECONDO 227 all*università di Parigi, vi ebbe a maestro Egidio Colonna, e presavi la laurea, vi tenne scuola di teologia (Gandolf. l. cit p. 43). L’anno 1312 eletto generale del suo Ordine, cinque volte fu in essa dignità confermato; e la tenne per tredici anni seguiti; nel qual tempo adoperossi felicemente nel promuovere la regolare osservanza non meno che i buoni studj. Alcuni scrittori, confutati dall’Oudin (De Script eccl. t. 3, p. 881), hanno affermato ch’ei fosse fatto arcivescovo di Ravenna, poscia di Candia, e finalmente d’Amalfi. E certo ne’ monumenti della prima e della terza chiesa non trovasi vestigio alcuno di questo vescovo. Ma gli antichi Registri dell’Ordine agostiniano, citati dal Torelli (Secoli. agostin. t. 5; p. 41 o), affermano ch’ei da Giovanni XXII l’anno 1325 fu fatto arcivescovo di Candia, perchè era corsa voce che quel prelato fosse defunto. Ma scopertosi poscia ch’egli ancora vivea, Alessandro fu eletto vescovo melfetano, e pochi giorni appresso morì. La voce melfetano ha data occasione a diversi pareri intorno alla sede vescovile di Alessandro, poichè alcuni il dicon vescovo di Molfetta, altri di Melfi. Di questa seconda opinione è l’Ughelli (Ital. sac. t 1, p. q3 i), il quale. poichè ne cita in pruova i Registri del Vaticano, sembra che debba antiporsi agli altri. Ei ci ha lasciato un trattato de. Potestate Ecclesiastica, un altro de Jurisdictione Imperii et auctoritate Summi Pontificis, e un altro de Cessione Papali et Sedium fundatione si ve muta tio ne , che si hanno alle stampe, oltre più altre opere mss. che si annoverano dagli scrittori [p. 228 modifica]228 LIBRO agostiniani, e singolarmente dal Gandolfi (l. cit.). Due altri religiosi dell’Ordine medesimo e del medesimo nome, cioè Gherardo da Siena e Gherardo da Bergamo, nel corso di questo secolo illustrarono col lor sapere T università di Parigi. Il primo, fatti in essa i suoi studj , e ottenutovi il grado di bacelliere, vi spiegò le quistioni chiamate allor Quodlibeticae, che furon poscia date alle stampe. Quindi richiamato in Italia, e letta per alcuni anni la teologia ne’ conventi del suo Ordine in Bologna e in Siena, in questa città morì ancor giovane l’anno 1336 (Gand. l. ciL). Oltre le suddette quistioni, molte altre opere teologiche si hanno di lui alle stampe; alcune altre rimaste son manoscritte, delle quali parla, dopo gli altri scrittori del suo Ordine, il più volte citato P. Gandolfi. Gherardo da Bergamo, che dal Calvi (Scena letter. p. 187, ec.) dicesi della famiglia Carrara, fu nell1 università medesima, per testimonianza di tutti gli scrittori agostiniani, professore per più anni di sacra teologia, finchè l’an 1342 fu eletto vescovo di Savona, nella qual città diede pruove dell’eroico suo zelo, singolarmente in occasione della peste del 1348. Il Calvi medesimo ed altri scrittori affermano ch’ei morì in Bergamo l’an 1355. Ma il diligentissimo P. della Torre mi ha avvertito che da un codice antico della libreria del convento di Sant’Agostino della stessa città raccogliesi eh1 ei mori in Savona Tanno i356 (*). In quella libreria medesima (*) Diversi monumenti de] convento di S. Agostino di Bergamo, esaminati dal più volle lodato P. lettor [p. 229 modifica]SECONDO 22Q conservasi rns. un Comento sulla Sacra Cantica di questo dotto teologo, a cui il Calvi e gli altri accennati scrittori attribuiscono ancora alcune altre opere teologiche, canoniche e scritturali, ma senza indicarci ove si custodiscano. A questi celebri dottori parigini debbonsi aggiugnere ancora Giovanni da Napoli domenicano, che dopo ottenuta in quella università i consueti gradi di onore l’an 1336 vi tenne pubblica scuola, come provano i PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1 , p 567) che ragionano ancora dell’opere da lui composte; Ugolino Malebranchi, e il Cardinal Bonaventura da Peraga agostiniano, e Giovanni dal Poggio domenicano, de’ quali parleremo trattando de’ teologi dell’università di Bologna, e Luigi Marsigli agostiniano, di cui pure direm fra poco. Vedrem finalmente che anche il famoso Marsiglio da Padova fu non solo studente, ma ancor rettore dell’università di Parigi, e all’occasione di lui dovremo nominare più altri Italiani che al medesimo tempo erano in quella o professori, o studenti. Nè è maraviglia che molti Italiani s’incontrino ne’ fasti di quella celebre scuola. Tutte quasi le religioni aveano il costume d’inviarvi alcuni de’ loro, perchè ivi l’emulazione gli accendesse vie maggiormente ne’ sacri studi. Tommaso Verani, fanno conoscere che Gherardo da Bergamo vescovo di Savona fu veramente della famiglia de’ Vnsconi, e ch’egli avea disegnato di esser sepolto in Bergamo , e che a tal fine si era fatto formare il sepolcro, il quale durò ivi per circa un secolo, ma che , qualunque ragion se ne fosse, il suo disegno non ebbe elTetto. [p. 230 modifica]a3o LIBRO Anzi io ho altrove mostrato (Vetera. HumiL Monum. t. 1 p. 279) che anche gli Umiliati, i quali per altro non furon mai troppo solleciti della letteratura, nondimeno l’an 1356 aveano ivi due loro studenti, xv. XV. Così l’Italia continuò in questo secolo Più altri. 1 ^ 11 teologi in 1- ancora ad accrescere nuovo lustro a quella celebre scuola che dagl’Italiani principalmente dee riconoscere il nome e la stima che avea ottenuta. Molti altri teologi e scrittori sacri ebbe l’Italia, che nel seno di essa formatisi co’ loro studj, ne fecer raccogliere ad altri copiosi frutti; singolarmente dappoichè apertasi dopo la metà di questo secolo nelle università di Bologna, di Padova e altrove pubbliche scuole teologiche, le scienze sacre ebbero maggior numero di ingegnosi coltivatori. Non pochi però ne possiam additare anche al principio di questo secolo medesimo. Tali furono Domenio Cavalca domenicano, autor più ascetico che teologo {*), e Almerico o Amerigo da Piacenza dello stesso Ordine. Ei ne fu fatto generale l’an 1304 Ma di questa dignità spontaneamente si dimise (*) Intorno alle opere del Cavalca ,• qui da me accennate, vuoisi avvertire che il doti. Sassi cila come la prima edizione fatta in Milano dello Specchio della Croce quella del 1(F7i*t. Tipogr. medìol p. 4°9j 602). Ma il sig. Francesco Bellali, giovane milanese assai amante degli sludi di,erudizione, mi ha avvertito che una « dizione epli ne ha , fatta nella cit là medesima da Leonardo Pacliel e da Udalrico Scinzcnzclcr nel >4^7 > citala anche dall7 abaie Zaccaria (Excurs. liler.p. 112), e un’altra anchc piti antica falla in Milano nel i4^4 ne ha scritta la reale biblioteca di Brera, e vuoisi anzi thè un’altra ne esista fatta pure ivi nel i4&t[p. 231 modifica]SECONDO a3l sette anni appresso, e morì poscia in Bologna nel 1327. Alcune opere di teologia polemica gli vengono attribuite dagli scrittori domenicani (Echard, Script Ord.Praed. t iyp. 49^), senza però indicarci ove esse conservinsi. Egli ebbe ancor parte nella pubblicazione del libro d’Agricoltura di Giampietro Crescenzi, di che diremo altrove. Ma più bella memoria ci lasciò di se stesso nel suo convento di S. Domenico in Bologna, cioè il celebre codice d1 Esdra, che allor credevasi autografo, ed ora, benchè abbia perduto il pregio di una sì venerabile antichità, viene però ancora considerato come uno de’ più pregevoli che vi abbia al mondo (Montfaucon, Diar. ital. c. 17). Seguirono appresso Porchetto de’ Salvatici genovese monaco certosino, autor di un’opera contro i Giudei, stampata in Parigi l’an 1520, il qual si crede vissuto verso il 1315 (Oudin de Script, eccl. t. 3, p. 736); Bartolommeo da Pisa, ossia da S. Concordio, del medesimo Ordine, che credesi morto nel 1347? autor di,,una Somma di Teologia morale, di cui parlano lungamente i PP. Quetif ed Echard (l. cit p. 623), e di cui dovremo far di nuovo menzione parlando degli scrittori di filosofia morale; Raniero parimente da Pisa, ossia di Ripalta, dello stesso Ordine, morto nel l351 , di cui abbiamo un trattato universale di teologia disposto per ordine alfabetico, e perciò intitolato Pariti teologia, di cui veggansi i poc’anzi citati autori (ib. p. 635) e il Muratori (Script Rer. ital. vol. 11, p. 286) *, Jacopo Passavanti domenicano egli pure, morto in Firenze nel 1357, che oltre lo [p. 232 modifica]^32 LIBRO Specchio di penitenza, a cui ha conciliata più fama l’eleganza dello stile che la dottrina con cui è scritto, è ancora autore di certe giunte ai Comenti di Tommaso da Walois su’ libri di S. Agostino della Città di Dio (Echard, ec. l. cit. p. 645), e di una traduzione italiana de’ libri stessi (V. Paitoni, Bibl. de’ Volgariz. t.1,p. 9, ec.); e Giovanni da Fabriano agostiniano morto l’an 1348, di cui il Ghirardacci (Stor. di Bol. t. 2, p. 192) e il Fabricio (Bibl. med. et inf. Lat. t. 4, p. 74)? oltre altri autori da lui citati, rammentano un trattato in cui cercava di conciliare Platone colla sacra Scrittura, e alcune altre opere filosofiche e teologiche, niuna delle quali però è stata pubblicata, isniuie di Verso la metà del medesimo secolo (•ujilirlmu fiorì parimente Guglielmo da Cremona dello ™C,goTiTstesso Ordine agostiniano, che dalla più parte niano. degli scrittori vien cognominato Amidani, benchè non manchi chi il voglia nella famiglia de’ Tocchi. Di lui parlano, oltre gli storici agostiniani, T Ari si (Cremon. litter. t. 1, p. 163) e il Cotta (Museo novar. p. 207), e rammentano la dignità di generale dell’Ordin suo, a cui egli pure più volte fu sollevato, prima l’an 1326 e poscia l’ultima volta nel 1341 - Nel qual tempo egli ottenne, fra l’altre cose, al suo Ordine il convento presso la chiesa detta di S. Pietro in Ciel d’oro in Pavia. Ma più distinte notizie ce ne somministra una Cronaca antica del convento di S. Agostino in Cremona, che ivi ancora conservasi , e che è stata esaminata dal più volte lodato P. della Torre. Da essa raccogliesi che Guglielmo vestì l’abito de’ Romitani nel primo [p. 233 modifica]secondo a33 d’aprile del 1282; che compiuti i suoi studi, ed entrato nella carriera dell’apostolica predicazione, salì a tal fama che le più cospicue città di Lombardia chiedevanlo a gara; che essendo priore di quel convento, raccolse da ogni parte codici mss.; e ne aumentò la biblioteca di modo, che può dirsene il fondatore; che ne’ sedici anni in cui resse l’Ordine tutto, adoperossi a farvi sempre maggiormente fiorire l’osservanza e lo studio, e che avendo per ordine di Giovanni XXII combattuti gli errori di Marsiglio da Padova e di Giovanni da Gand, e avendogli perciò chiesto il pontefice qual ricompensa ne bramasse, egli in vece di pensare ai suoi proprj vantaggi, pensò a que’ del suo Ordine, e dimandò la suddetta chiesa di S. Agostino in Pavia (il che probabilmente ha data occasione ad altri di scrivere ch’egli avea ricusato il cappello di cardinale); e che finalmente fu dal pontefice adoperato in gravi affari e in onorevoli ambasciate a molti principi. Ei fu eletto vescovo di Novara sul principio del 1343, e tenne quella sede fino al 1356 in cui finì di vivere, come dalle memorie di quella chiesa pruova il Cotta, e come si afferma ancora nella Cronaca mentovata, ove anche se ne fissa il giorno, cioè a’ 29 d’aprile. Il corpo però ne fu trasportato a Pavia nella sopraccennata chiesa di S. Pietro in Ciel d’oro. Non vuolsi qui ommettere una particolarità della vita di questo vescovo, non avvertita, ch’io sappia, da altri, e che è riferita dai Cortusii, storici contemporanei, cioè ch’egli l’anno 1350 per ispecial mandato di Clemente VI conferì in Padova la laurea teologica [p. 234 modifica]

  • 34 L,BR0.

a Matteo da Padova religioso dello stesso suo Ordine. Eodem mense (septembris) die XII Frater Guglielmus Ordinis S. Augustmi, Eoiscopus Novari ac, S. Theologiae Magister, de mandato Domini Clementis Summi Pontificis religiosum virum Fratrem Matthaeum Ordinis Eremitarum Paduanum in Padua cathedravit in Magisterio Theologiae (Script. rer. ital. vol. 12, p. 933) (*). Non era allora nelle università italiane introdotta comunemente la cattedra teologica, e perciò di special concessione facea bisogno per conferire tal laurea. Di questo dotto teologo non si ha cosa alcuna alle stampe; ma alcune opere mss. teologiche e scritturali, alcuni Sermoni, e molte Costituzioni fatte a regolamento della sua chiesa si annoverano da’ sopraddetti scrittori. Fra esse f Arisi nomina un libro de Auctoritate apostolica, il quale con altro titolo si dice dal Cotta Reprobatio sex errorum. Questi però parlando di un codice che se ne conserva nelf Ambrosiana di Milano, avverte che in esso questo libro si dice essere di F. Guglielmo da Villana cremonese dello stesso Ordine. Ma dalle osservazioni fatte dal P. della Torre sulle opere di Guglielmo, che conservansi in Cremona, ricavasi che con questo nome ancora egli è talvolta nominato (**). (*) La laurea teologica data in Padova a F. Matteo agostiniano nel i35o, vien rammentata ancora dal Toinir.asini (De Gtmn. patav. p. i63) colle parole medesime de’ Cortusii. (**) Forse il cognome de Villana dato a Guglielmo ha avuto origine da qualche luogo di tale o d’altro simile nome nel territorio di Cremona, ond1 egli fo>se [p. 235 modifica]SECONDO *35 Ivi si ha, fra gli altri, un codice originale che s’intitola: Istae sunt Orationes elegantissimae Rev. P. Mag. de Villana, quas habuit ad vario a Principes et Magnates anno I sui regiminis. Esse son cinque di numero, e dopo esse aggiugnesi una selva di poesie latine e italiane del medesimo autore, ma in carattere sì infelice, e inoltre sì guasto, che non se ne può raccogliere cosa alcuna; e che esse sieno del medesimo autore, pruovasi ancora dalla Cronaca sopraccitata in cui affermasi ch’egli amoeniores literas coluit, et in pangendis versibus insignis JuiL XVII. Io passo sotto silenzio molti allri sco- xvii. ....*. « Si arcenlastici e scrittori sacri di questo tempo mede- nano alcuni simo , de’ quali lungo e inutil sarebbe il ra- [^Sprigionare paratamente; quai furono Bertrando "”0£‘‘lkdel dalla Torre dell’Ordine de’ Minori arcivescovo di Salerno, e poi l’anno 1320 cardinale, che dal Tritemio (c. 548) dicesi milanese, piemontese dall’Argelati (Bibl. script, mediol, t. 2, par. 1, p. 2053), dall’Oudin francese (t. 3, p. 790), il qual ultimo scrittore diligentemente ragiona delle opere da lui composte; e Simone da Cascia nella Marca dell’Ordine agostiniano, morto nel 1348, il quale per santità di costumi non meno che per eccellenza d’ingegno fu avuto in grandissima stima in Firenze, ove abitava (Tritem. c. 605), di cui, oltre più altre opere rammentate dal detto P. Gandolii (l. cit p.Siy)y natio, e forse chi pii ha dato Poltro cognome di Tocco , lo ha confuso con F. Guglielmo da Tocco domenicano scrittore della Vita di S. Tommaso. [p. 236 modifica]236. libro abbiamo singolarmente alle stampe una sposizion del Vangelo in quindici libri, intitolata de Gestis Domini Salvalo ris, e di cui ancora alcune opere scritte in lingua italiana si conservano nella Riccardiana in Firenze (Lami Cat. Bibl. riccard. p. 354) (*)• Alcune delle opere ascetiche scritte da Simone sono le stesse che si hanno alle stampe in lingua italiana sotto il nome di F. Domenico Cavalca, ed è assai probabile , come pensa monsig. Bottari (Prejf] ni Volgarizz. dei Dial. di S. Grcg. p. 32), che questi, il quale assai si esercitava nel recare dal latino in italiano i libri , di alcune almeno di queste opere sia semplicemente interprete e non autore. Aggiungasi Michele da Massa dell’Ordin medesimo, di cui parla con somme lodi il Tritemio (c. 623), celebrandone la sacra non meno che la profana letteratura, P acutezza d’ingegno, l’assiduita dello studio e l’eloquenza del ragionare, e delle cui opere si può vedere il catalogo presso il più volte citato P. Gandolfi, che ne dice seguita la morte in Parigi nel i336. Molti altri potrei qui annoverarne, singolarmente dell’Ordine agostiniano che in questo secolo fu, per quanto a me sembra, almeno in Italia, il più fecondo di dotti (*) Diversi opuscoli e molte lettere latine mss. di F. Simone da Cascia si conservano n Ila libreria Nani in Venezia, e il ch. sig. D. Jacopo Morelli ce ne dà un esatto catalogo, e accenna ancora una \ ita finora non conosciuta dal medesimo religioso, scritta da F. Giovanni da Salerno di lui discepolo, che va ivi unita a’ detti opuscoli. Anche nella libreria Farsetti si ha copia ms. dell’Ordine della Vita Cristiana dello stesso F. Simone. [p. 237 modifica]SECONDO 23^ teologi. Ma bastino i fin qui nominati, e diam fine alla serie de’ teologi che fiorirono in Italia nella prima parte di questo secolo, col dir brevemente di F. Pietro dall’Aquila dell’Ordine de’ Minori. Il Wadingo pruova che l’anno 1343 ei fu fatto cappellano di Giovanna regina di Napoli (Ann. Minor, ad an. 1343 , n. 35), il quale onorevole titolo ei dovette probabilmente a quel F. Roberto Ungaro che era allor potentissimo a quella corte, e di cui il Petrarca ci ha lasciata non troppo onorevol memoria (Famil. l. 5, ep. 3). Non parmi però probabile che Pietro vivesse allora nè in quella corte nè in quella città; perciocchè fino dal detto anno 1343 ei dovea essere inquisitore in Firenze. Così raccogliesi da un fatto, che a lungo narra il Villani (l. 12, c. 57), accaduto ivi nel marzo del 1345 che corrisponde all’anno volgare 1344* Ei dice adunque che essendo F. Pietro dell’Aquila , cui egli chiama huomo superbo e pecunioso, inquisitore in Firenze, e avendo avuta commissione dal Cardinal Pietro Gomez di riscuotere un credito di dodici mila fiorini , di cui la compagnia degli Acciaiuoli eragli debitrice, Pietro fece arrestar per suoi messi un cotal Silvestro de’ Baroncelii eli’ era di questa compagnia. Di che levatosi a tumulto il popolo, non solo fu posto in libertà il prigione, ma a’ messi furon troncate le mani e intimato per dieci anni l’esilio. L’inquisitore timoroso insieme e sdegnato, ritirossi a Siena , e di là fulminò l’interdetto contro Firenze. Ma i Fiorentini inviarono in lor discolpa solenne ambasciata al [p. 238 modifica]238 LIBRO papa, a cui accusarono l’inquisitore di gravissime estorsioni e di prepotenze da lui usate, coni1 essi dicevano, per lo spazio già di due anni. Il "Wadingo (ib. ad an. 1346, n. 4) dice che queste eran prette calunnie; e io crederò facilmente che vi avesse almeno non poca esagerazione, come in somiglianti occasioni suole avvenire. L’esito dell’ambasciata sembrò dapprima favorevole a’ Fiorentimi; ma poi per opera, come dice il Villani, del medesimo Cardinal Gomez , il papa si mostrò con essi sdegnato, e convenne loro mandare in Corte a riparare, per usar le parole del medesimo storico. Fu probabilmente effetto di questa sollevazione, come avverte il co. Mazzuchelli (Scritt. ital. t. 1, par. 2, p. 902), l’elezione che il papa fece di Pietro l’an 1347 a vescovo di S. Angelo de’ Lombardi nel regno di Napoli; donde poi l’an 1348 fu trasportato alla sede di Trivento (Ughell. Ital. sacra, l. 6, p. 830; l. 1 , p. 1329). Non sappiamo fin a quando egli vivesse; perciocchè presso F Ughelli non troviamo altro vescovo di questa chiesa fino al 1379. Pietro lasciò un Comento sul Maestro delle Sentenze , di cui si son fatte più edizioni rammentate dal suddetto co. Mazzucchelli, il quale avverte che alcuni di questa opera sola di Pietro ne han fatto per errore due e anche tre. Questo teologo ha avuto il soprannome di Scotello datogli da Costanzo Sarnano nell* edizione che egli ne procurò Fanno 1584? non perchè Pietro fosse seguace di Scoto, la cui scuola cominciava appena ad avere allor qualche nome, ma [p. 239 modifica]SECONDO a3 <j perchè il Sarnano credette che nell1 acutezza d’ingegno ei s’accostasse dappresso a quel teologo, a cui gli scolastici, ritrovatori sempre fecondi di nuovi nomi, han dato quel di Sottile. XVIII. Assai migliore però dovett’essere lo stato della teologia in Italia, dacchè ivi s’introdussero dopo il 1360 le pubbliche scuole di questa scienza; ma il frutto che se ne colse appartiene singolarmente al secol seguente. Il Ghirardacci ci ha conservati i nomi (Stor. di Bol. t 2, p. 278, ec.)• de’ primi nove teologi che nell1 università di Bologna furono eletti a formarne il collegio l’anno 1364., due de’ quali sono francesi, cioè Pietro Tommaso d’Aquitania carmelitano patriarca di Gerusalemme, e Pietro Monaco di Clugny; gli altri tutti sono italiani. Il primo di essi è Ugolino Malabranchi da Orvieto agostiniano, di cui il Fabricio (Bibl. graec. t 6, p. 739; Bibl. med. et inf. Latin, t. 3 , p. 303), e prima di lui il Bzovio (Ann. eccl. ad an. 1378), hanno fissata l’età nel secolo precedente, confondendolo forse con Latino Malabranchi domenicano, cardinale e vescovo d1 Ostia, morto l’anno 1294 (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 436). Ugolino, che dall’Oudin (t. 3, p■ 1141) e dagli scrittori agostiniani da lui citati si dice dottor parigino e successor nella cattedra teologica di Gregorio da Rimini, dopo aver date per più anni pruove del suo ingegno, di cui ci rimangono alcuni saggi nelle opere teologiche che manoscritte si conservano in alcune biblioteche del suo Ordine (Oudin l. cit.)} e dopo essere stato eletto generale dell’Ordine stesso l’anno 1368, fu da Urbano V sollevato XVIII. Teologi del collegio londato in Bolo* gna, e prima Ugolino MalaLraucbi. [p. 240 modifica]240 LIBRO alla dignità di patriarca di Gerusalemme e di vescovo di Rimini, la qual sede egli tenne dal 1371 fino al 1374 (Ugh. Ital. sacra, t 2, p. 428). Appena però potè egli mai assistere di presenza alla sua chiesa, adoperato in gravi affari dal pontefice stesso e da Gregorio XI di lui successore; per cui ordine inviato a Parigi} mentre ne torna a Roma nel suddetto anno 1374, morì in Acquapendente, e il corpo ne fu poi trasportato ad Orvieto, e sepolto nella chiesa del suo Ordine. Alcuni hanno creduto ch’ei fosse ancora amministratore del vescovado di Spalatro; ma il dotto P. Daniello Farlati della Compagnia di Gesù crede (Illyr. sacra, t. 3 , p. 325) che quell’Ugolino Malabranchi, a cui la detta chiesa fu confidata, sia diverso dal nostro; perciocchè, oltre più altre ragioni, questi era , come si è detto , agostiniano , quegli monaco di S. Benedetto. x\x. XIX. Di Tommaso da Padova carmelitano, da Padova r che è il secondo de’ teologi italiani rammentati Frignano?^ dal Ghirardacci, da cui vien detto Testuale eccellentissimo ed eloquentissimo, io non trovo alcun’altra notizia. Non così del terzo che è Tommaso da Fregnano nobile modenese dell’Ordine de’ Minori, cui il Wadingo chiama per error Farignano (Ann. Min. ad an. 1378, n. 5). Dopo essere stato general del suo Ordine, fu da Gregorio XI sollevato l’anno 1372 al patriarcato di Grado (Ugh. Ital. sacra, t. 5, p. 1151), e nell’anno seguente adoperossi con felice successo a stabilire la pace fra i Veneziani e Francesco da Carrara, come abbiam nella Storia del Caresino (Script Rer. ital. vol. 12, p. 44°)> [p. 241 modifica]SECONDO ^4l il quale a questa occasione chiama Tommaso uomo rispettabile e di grande autorità, sì per la profondità del sapere, come per l’onestà de’ costumi. L’Ughelli aggiugne ch’ei fu ancora inviato a trattar di pace tra i Genovesi e i Veneziani; nel che però non fu egli ugualmente felice. L’anno 1378 fu da Urbano VI onorato della sacra porpora, della quale ei godè per tre anni, morto in Roma l’anno 1381 (Wad. l. cit.). Non sappiamo che sia rimasta memoria di opera alcuna da lui composta; e nondimeno dovea ei qui nominarsi per la fama a cui giunse, e pel luogo che tenne fra’ primi teologi dell’università di Bologna {a). XX. Siegue a questi Buonaventura da Padova, xx* i>i 1 n ài v che dal Ghirardacci si dice de’ Peragini, ma (ura da Pcdal Portenari (Felicità di Pad. p. 390) e da JJ*1 ’int"rruo altri scrittori padovani vien detto da Peraga, ^ eu0e a cui altri aggiungono il cognome di Badoaro. Questi, secondo il Portenari, nato nel 1332 ed entrato in età giovanile nell’Ordine agostiniano, fu inviato agli studj in Parigi e vi ebbe l’onor della laurea, il che confermasi dall’agostiniano Panfilo, il quale inoltre afferma (Chron. Erem. S. Aug. p.67), citando i Registri del suo Ordine, che per dieci anni tenne in quella università scuola di teologia. Quindi tornato in Italia, esercitossi con somma lode non meno (a) Del cardinale Tommaso da Fregnano ho parlalo più a lungo nella Biblioteca modenese (t. i. p. 366; /. 6, /i. 120), e si può ancora vedere la \ ita che nel 1782 ne ha pubblicata in Macerata il sig. Giambalista Tondini. TlHABOSCHl, VÓI. V. l6 [p. 242 modifica]j’i’ j LIBRO nel predicare dal pergamo, che nell’insegnar dalla cattedra. E a dir vero, se altra pruova non ci restasse del sapere e delle virtù di Buonaventura, basterebbe la testimonianza del Petrarca che gli fu amicissimo. Questi scrivendo al grammatico Donato soprannomato Apenningena (Senil. l. 8, ep. 6), e parlandogli con grande encomio delle Confessioni di S. Agostino, gli dice ch’egli potrà facilmente trovarne copia presso quell insigne filosofo e vero teologo e maestro, di cui in una sua lettera avea Donato fatta menzione, ovvero presso il di lui fratello a lui uguale nella professione di vita e nel sapere, due lumi dell agostiniana Religione, e due singolari ornamenti di Padova. E che il primo di questi fosse il nostro Buonaventura, raccogliesi chiaramente da un’altra lettera del Petrarca a lui scritta, in cui lo consola per la morte del suo fratello seguita di fresco in Venezia (ib. l. 11, ep. 11). Egli sfoga in essa il dolore da cui per tal morte era trafitto, rammenta l’amicizia che avea con amendue i fratelli, le frequenti e amabili conversazioni in cui con lor trattenevasi; e dice ch’erano amendue non sol fratelli di nascita, ma di ordine ancora, di professione, di magistero; e chiama felice la Religione di S. Agostino, in cui amendue erano stati educati e istruiti. Qual fosse il nome di questo fratello di Buonaventura, il Petrarca nol dice, ma dagli scrittori agostiniani e dal Tommasini abbiamo (Bibl. patav. p.) ch’egli era di nome Buonsemblante, e che nella libreria del suo Ordine in Padova lasciò alcune opere teologiche e alcuni sermoni che ancora [p. 243 modifica]SECONDO 243 vi si conservano. Ma torniamo a Buonaventura. Egli mostrossi ben grato all’amor del Petrarca j perciocché essendo questi morto nel 1374 egli nelle solenni esequie che gli furono celebrate, ne recitò 1’ora zi 011 funebre. Gatar. Hist. Script. rer. ital. vol. 17, p. 219). L’anno seguente ei fu da Gregorio XI mandato suo legato a Lodovico reN<f d’Ungheria, per indurlo ad intraprendere la guerra sacra; e il Torelli (Sec. agostin. t. 6, p. 159$) riferisce la bolla che perciò dal pontefice gli fu indirizzata. Quindi l’an 1377 fu eletto general del suo Ordine, nella qual dignità essendosi egli mostrato fedele sostenitore del partito di Urbano VI, questi non l’anno 1384, come comunemente si crede, ma l’anno 1378, come a’ monumenti autentici pruova il Ciaconio (Vit. Cardinal, t. 1, p. 659 ed. rom. 1677), e come confermasi dalla Cronaca Estense (Script. Rer. ital. vol. 15, p. 503) e dagli Annali milanesi (ib. vol 16, p. 771), sollevollo all’onore di cardinale di Santa Chiesa. Gli scrittori moderni da me veduti non hanno osservata un’onorevole ambasciata a cui fu dal pontefice inviato questo cardinale, cioè a Uladislao re di Polonia. Io la riferirò colle parole di Andrea Gataro scrittore contemporaneo, perchè contengono un luminoso elogio di Buonaventura, e delle grandi cose da lui in quel tempo operate (Script. Rer. ital. vol 17, p. 503): Mandò (Urbano VI) per Legato in quelle parti il Reverendissimo Cardinale Frate Bonaventura della nobile prole di quelli da Peraga della Città di Padova, huomo in quel tempo (F ottima e santa vita e di grandissima dottrina. il quale [p. 244 modifica]a.{4 LIBRO fu dal Re e dalla Regina di Polonia con ferma fede e divozione ricevuto; e in nome del Pontefice confermato il Matrimonio, e quanto era fatto. E poi in tutto il paese messe assai huomini di santa vita ad ammaestrare quelli, che erano fatti Cristiani nella Fede di Cristo 3 et altri a battezzare quelli, che mancavano. e battezzossi tutta Russia, Littuania e Polonia, che da quel tempo in quà sono state sotto il reggimento et ubbidienza della Sacrosanta Romana Chiesa. Fece il detto Cardinale in que’ paesi molti Vescovati, Abbazie, Priorati, et altri benefizi, i quali celebravano il Santo Uffizio di Dio. Dopo questo il detto Cardinale riconciliò insieme le due Sorelle. Regine e Sigismondo con tutto il paese, et ivi stette, sino che piacque al Papa. Uno storico contemporaneo e padovano , qual era il Gataro, è un testimonio certamente assai autorevole. Nondimeno io non E osso a meno di non restare alquanto dubbioso sulla verità di un tale racconto. Niun altro storico, ch’io sappia, ne ha fatto parola; e gli scrittori polacchi ch’io ho potuto vedere, e singolarmente il Cromero e il Dlugosso, nulla ci dicon di tale ambasciata; anzi questo secondo scrittore riporta un Breve scritto da Urbano VI l’anno 1387 a Uladislao re di Polonia, in cui rallegrandosi con esso lui de’ felici progressi che alla Religion cristiana procurati avea ne’ suoi regni, dice di esserne stato avvertito dal vescovo di Posnania a tal fine spedito da quel sovrano a Roma (Hist. Pol l. 10 ad an. 1387)? e del cardinale Buonaventura non dice motto. Ma per altra parte mi sembra [p. 245 modifica]SECONDO 245 impossibile che il Gataro abbia potuto sognare a tal segno, o fingersi interamente un fatto di tal natura. Uguale oscurità e dubbiezza io trovo nella morte di questo celebre cardinale. Tutti i moderni scrittori ci dicono ch’ei fu ucciso da un colpo di saetta, mentre passava il ponte di Castel S. Angelo per andarsene alla basilica vaticana, e che comunque non si potesse mai risapere onde venisse tal colpo, si sospettò nondimeno (e alcuni scrittori il danno per certo) che ciò fosse per ordine di Francesco da Carrara il vecchio signor di Padova sdegnato contro di lui, perchè erasi opposto a’ disegni da lui formati contro l’ecclesiastica immunità. Io confesso, che benchè vegga l’universal consenso de’ moderni scrittori in questo racconto, pure non so indurmi ad ammetterlo. Non trovo indicio alcuno di turbolenze che per le cose ecclesiastiche si risvegliassero da Francesco Carrara, il quale era troppo occupato in continue guerre per pensare a tal cose. Non veggo tra gli scrittori di que’ tempi memoria alcuna di un tal fatto; e non parmi che se vi fosse stato ragion di credere che un cardinale fosse stato ucciso per tal motivo, Urbano VI fosse uomo da non menarne rumore. Non potrebbesi sospettare per avventura che la morte di questo cardinale venisse da altro motivo? Io trovo nella Storia del Gataro (l. cit. p. 653) che l’anno 1388 Albertino da Peraga, come reo di tradimento contro del Carrarese, fu pubblicamente decapitato in Padova; appiccato per la gola Giacomino suo figliuol naturale; e fatti prigioni ancora [p. 246 modifica]

  • 46 LIBRO

Geremia e Peraghino da Peraga, ma poi rilasciati come innocenti. Or la morte del cardinale avvenne in quest’anno medesimo, come or proveremo, e perciò mi nasce qualche dubbio che se il Carrarese ebbe parte nell’ordinarla, ciò fosse per sospetto, benchè probabilmente senza ragione, contro di lui conceputo. Io non ardisco di togliere a questo cardinale la gloria, di cui sinora ha goduto, di essere annoverato tra quelli che per difesa dell’ecclesiastica immunità han data la vita; e per cui i continuatori degli Atti de’ Santi gli han dato luogo nell’opera loro (t. 2, jun. ad d. 10): ma propongo semplicemente i miei dubbi, e ne aspetto da’ più eruditi lo scioglimento (*). Ho (letto che la morte del cardinale da Peraga avvenne l’anno i388. A ciò, a dir vero, sembra opporsi (*) I dubbi da me proposti intorno alla morte del cardinale Bonaventura da Peraga padovano, che da alcuni dicesi ucciso per comando di Francesco da Carrara il vecchio , men Ire passava il ponte di Castel S. Angelo per andare alla basilica vaticana , si conferman dal modo con cui Paolo Cortese ne accenna la morte. Nec multo minus acute , dice egli (De Cardinalatu , l. i t p. 38) Bonaventura Patavinus est in sententiarum selectu enodando versatus, qui Reipublicae tuendae causa Patavi est sagitta a Marsilio Tyranno confixus. Qui veggiamo ch’egli dice ch’ei fu ucciso in Padova e non in Roma, e che lo dice ucciso Reipublicae tuendae causa, il che pare indicarci che ciò avvenisse per essersi egli opposto a qualche disegno del Carrai ese. 11 veder nondimeno che Paolo prende errore nel nome del Carrarese , che non potè essere Marsiglio , ma dovette esser Francesco, ci fa temere che anche del genere della morte di questo celebre cardinale ei non fosse bene istruito. [p. 247 modifica]I SECONDO 247 P iscrizion sepolcrale, quale dal Ciaconio e da altri si riferisce, ed è la seguente: Hic Bonaventura est, qui doctus dogmate sacro Augustine tuis Eremis jam praefuit orbis; Padua provectus ad solium Cardinis; inde Anni milleni decies septemque triceni Additis his novem Chi isti requievit in Urbe; Coeli cives animam) , tu possides ossa sepulcro. Qui sembra chiaramente affermarsi ch’ei morisse l’anno E nondimeno è certo ch’egli era ancor vivo l’anno 1381, poichè ei vedesi sottoscritto alla concessione del regno di Sicilia fatta in: quest’anno da Urbano VI a Carlo di Durazzo. Quindi dee correggersi il quinto verso della iscrizione, e invece di Additis his novem, dee leggersi Additis bis novem, come hanno osservato i suddetti continuatori del Bollando; con che viene appunto a indicarsi l’an 1388, e si vengono a distruggere le sì diverse opinioni de’ diversi scrittori nello stabilire in qual anno ne avvenisse la morte, poiché non v ha quasi anno fra gli ultimi di questo secolo, a cui alcuno di essi non la assegni. Io desidero che si scoprano finalmente tai monumenti, che non ci lascino più dubbiosi su questo importante punto di storia. Il Fabricio Bibl. med. et inf. Latin, t. 1, p. 255) , e più esattamente l’Oudin (vol. 3, p. 1167), oltre gli scrittori agostiniani, parlano delle molte opere da lui pubblicate, delle quali la maggior parte, per lo più ascetiche, si hanno alle stampe, oltre alcune altre scritturali che non han veduta la luce. [p. 248 modifica]t 248 LIBRO Svùo XXI. Non meno celebre per sapere, ma anDo..ato <*«1 cora più infelice nel finir de’ suoi giorni, fu un detto’ MV altro de’ fondatori dello studio teologico delpo di Boi©-1’università di Bologna annoverati dal Ghirardacci, cioè Lodovico Donato veneziano delf Ordine de1 Minori. Questi nello scisma da cui era travagliata la Chiesa, essendosi dichiarato per Urbano, ed avendo al medesimo tempo Leonardo Giffone generale dell1 Ordine seguito il partito dell1 antipapa, Urbano dichiarò Leonardo decaduto dalla sua dignità, e Lodovico fatto prima vicario, fu poscia eletto a generalo dell1 Ordine stesso l1 anno 1379 (Wading. ad h. an. n. 2); e quindi due anni appresso fu da Urbano onorato della sacra porpora col titolo di S. Marco (id. ad an. 1378, n. 8). Mandato poscia con due altri cardinali l1 anno seguente da Urbano per sollecitare il re Carlo di Durazzo a mantenere alcune promesse fattegli, e non essendo felicemente riuscito nella sua commissione, cominciò a decader dalla grazia del sospettoso pontefice (id. ad an. 1382, n. 1), e molto più allor quando egli con cinque altri de’ suoi colleghi gli venne accusato di aver ordita congiura contro di lui. Io non entrerò a cercare se vero o falso fosse il delitto loro apposto; e se Urbano operasse per giusta severità, o per impetuoso trasporto. Gli scrittori contemporanei sono sì mal concordi tra loro per lo spirito di partito da cui si mostran compresi, e sì luttuosi sono gli oggetti che la storia ecclesiastica di questi tempi in ogni parte ci offre, che più sicuro consiglio 1 [p. 249 modifica]secondo a.-Jy pii sembra il lasciarli in quell’oscurità medesima di cui son degni. Ciò che è certo, si è che il cardinale Lodovico insiem con quattro altri cardinali fu per ordine di Urbano ucciso in Genova nel 1386 (Rinald. ad h. an. n. 11). Io non trovo chi faccia menzione di alcuna opera da lui composta. Ma il sol vederlo tra’ primi teologi dell’università di Bologna ci è indicio a conoscere la fama eli’ egli avea d’uom dotto e nelle scienze sacre versato assai. Più scarse notizie abbiamo de’ due ultimi teologi nominati dal Ghirardacci. Francesco di Adriano bolognese, dell’Ordine dei Minori, si dice da lui e dagli altri moderni scrittori bolognesi, dottor parigino, versato nella lingua greca e autore di un libro sul Simbolo attribuito a S. Anastasio (V. Mazzuc. Scritt. ital. t 1, p. 150). Giovanni dal Poggio, di cui dal Ghirardacci non si accenna la patria, dall’Ali dosi si dice bolognese, domenicano e dottor parigino (Dottori bologn. di Teol. p. 83). Ma io non trovo que’ monumenti che sarebbono necessarj a parlar di amendue con qualche maggiore esattezza. XXII. Nell’università di Padova due soli teo- ran. ^ logi ci addita a questo secolo il Facciolati (Fasti i^ì aitr..,e. Gj mn. patav. pars 1, p. 44)? Jacopo de’ Conforti domenicano e Leonino da Padova agostiniano, de’ quali nè egli ci dà, nè io ho potuto trovare altrove più distinte notizie. Io non so parimente chi fosse quel maestro Filippo de’ Barzi che leggeva teologia in Piacenza Tanno i3c)<), come leggesi nel catalogo de’ professori di quell’anno (Script Rer. ital. vol. 20, p. 939). Nelle altre università d’Italia ancora mi si offre gran [p. 250 modifica]XXIII Luigi Marsigli illustre teologo agostiniano amato dal Petrarca. a5o LIBRO numero d’illustri teologi. Nel tomo sesto di questa Storia vedremo quanto fiorente fosse al principio del secolo xv il collegio de’ teologi in Firenze , e alcuni di essi potrebbono aver qui luogo. Ci riserbiam nondimeno a parlarne allora congiuntamente; e qui, dopo aver accennato quel Bindo da Siena agostiniano, vicario generale del suo Ordine nella diocesi di Siena, morto nel 1390, e autore di un’opera teologica che conservasi nella biblioteca del re di Francia (Oudin, t. 3 , p. 1220), oltre più altre che si annoverano dal Gandolfi (l. cit. p. 104), e Girolamo da Siena dello stesso Ordine, di cui alcune operette italiane, scritte sulla fine di questo secolo, ha di recente pubblicate il P. Idelfonso di S. Luigi carmelitano scalzo che anche lungamente ha trattato di questo scrittore (Delizie degliErud. Tose. 1.1, 2), farem fine alla serie de’ teologi di questo secolo col parlare di uno de’ più dotti uomini che in esso vivesse, e che, comunque ne’ teologici studj singolarmente ottenesse gran nome, coltivò nondimeno e promosse ancor tutti gli altri, talchè deesi annoverare a ragione tra quelli che con più impegno si adoperarono nel richiamare all’antico lustro le scienze e le lettere. XXIII. Ei fu Luigi Marsigli agostiniano e fiorentino di patria, di cui gli stessi scrittori del suo Ordine non ci han date molto copiose nè molto esatte notizie, come pure a un uom sì dotto e sì celebre parea convenirsi, e di cui io cercherò d’illustrare, come meglio mi sarà possibile, le azioni e i meriti, valendomi de’ monumenti prodotti dal ch. sig. ab. Mehus nella [p. 251 modifica]SECONDO ^5I sua Storia letteraria di Firenze, a cui ha dato il titolo di Vita <f Ambrogio camaldolese, e di due lettere che il Petrarca a lui scrisse. In una (Senil. l. 4 ep. 7) che questi gli scrisse dalla villa d’Arquà, e che perciò dee credersi scritta circa il 1370, ei risponde a una lettera che Luigi aveagli diretta, ringraziandolo deli1 amore che per lui avea sempre mostrato, e gli confessa che avea cominciato ad amarlo, mentre Luigi era quasi ancora fanciullo, per un certo felice pronostico ch’ei ne facea, e che allora lo amava vie maggiormente, sperando di vederlo presto quale il bramava. Quindi aggiugne che gli manda in dono, come chiesto gli avea, il libro delle Confessioni di S. Agostino, cui già avea ricevuto da Dionigi da Borgo S. Sepolcro; e in tal maniera, dice, questo libro partito già dalla casa d’Agostino, ad essa farà ritorno. Con che ci mostra che Luigi era allora già religioso. Nell1 altra che è intitolata generalmente ad un amico (Epist. sine tit. ult.)} ma che vedesi chiaramente scritta a Luigi, svolge più a lungo ciò che nell’altra avea solo accennato. Grande e copioso argomento di speranza non meno che d’allegrezza tu somministri a’ tuoi amici, dic’egli, e a me sopra tutti, di cui non vt-Jia Jorse alcuno che intorno a te abbia levate più alto le sue speranze. Un egregio ingegno ti ha Dio conceduto, e lo avviva cogli stimoli di una nobile industria, per cui hai già acquistate pregevoli cognizioni e per la tua età ammirabili di molte cose Nè solo V intendimento a conoscerle ti ha egli donato, ma la facilità ancora a spiegarle Fornito di sì rare [p. 252 modifica]2J2 LIBRO doti col favor di Dio e degli uomini, nella prima gioventù tu sei entrato nell ardua e diffidi carriera della Religione sotto l’insegne di Agostino dietro alle quali niuno ha mai errato, se non volendolo, e i cui esempj sono la più sicura via al Cielo e alla gloria. Tu eri quasi ancora fanciullo, quando quel tuo parente dabbene e mio amico a me ti condusse, benchè quasi tuo malgrado per timidità puerile. Appena io ti vidi, ne concepii tosto grandi speranze; talchè contro il mio costume in età sì disuguale ti divenni amico. Quindi tornando tu sovente a vedermi, io ti rimirava con piacere sempre maggiore, e mi stupiva come in sì tenera età tanto bramar tu potessi la mia amicizia; e io dicea spesso meco medesimo, e poscia ancor cogli amici, come già S. Ambrogio. Questo fanciullo, se avrà vita, sarà qualche gran cosa. Frattanto son passati più anni...ed essendo tu tornato in patria, sono stato lungo tempo privo della tua presenza. Or ecco il mio giovinetto che a me ritorna, ma come dice Ovidio: Jam juvenis, jam vir, jam se formosior ipso. Quindi lo esorta assai lungamente a continuare gli studi già cominciati, or che è giunto a un’età ferma e virile e ad essi più che ogni altra opportuna, e singolarmente lo avvisa che non badi a coloro che sotto pretesto de’ teologici studj vorrebber distoglierlo dalla amena letteratura, poichè, egli dice, egli è espediente a un teologo di sapere oltre la teologia più altre cose, anzi, se fosse possibile, quasi tutte. Conchiude finalmente con esortarlo a scrivere [p. 253 modifica]SECONDO i53 un’opera in confutazione delle empietà e degli errori d’Averroe, che allora aveano molti seguaci in Italia, come nel capo seguente vedremo. Questa lettera ancora sembra scritta verso l’anno 1370, come pensa anche l’abate de Sade (Mém. de Petr. t. 3, p. 761). XXIV. Queste due lettere del Petrarca mi fanno credere che il Marsigli verso l’anno 1350, essendo in età di circa venti anni, venisse a Padova, mandatovi da’ suoi superiori per motivo di studio. Di fatti l’amicizia del Petrarca col Marsigli non può fissarsi prima del detto anno, perciocchè negli anni innanzi il Petrarca era stato, come a suo luogo vedremo, in continui viaggi; nè erasi fermato sì lungamente in un luogo, che avesse potuto aver col Marsigli quei frequenti colloquii ch’egli descrive. E non sembra pure che ciò potesse avvenire più anni dopo, perciocchè il Petrarca non fissò il soggiorno in Padova che circa il 1361, e non pare che se allor solamente avesse cominciato a conoscer Luigi, potesse poi aver tempo di vederne que’ felici progressi che ne accenna nella seconda lettera, la quale io credo, come sopra si è detto, che fosse da lui scritta alcuni anni innanzi alla sua morte. L’anno 1350 ei si trattenne in Padova più mesi, ove ebbe un canonicato, e questa parmi perciò l’epoca più probabile della conoscenza da lui fatta col nostro Luigi. Questi non fu pago degli studi che fatti avea sotto la direzion del Petrarca, e poscia in Firenze sua patria, ove, come abbiamo veduto, egli era tornato; ma volle passare in Francia e prender la laurea, benchè in età già xxiv. Suoi studi, rd elogi di esso falli. [p. 254 modifica]254 LIBRO avanzata, nella università di Parigi. L’anno 1370 egli era in Avignone; perciocchè in un codice citato dall’ab. Mehus (Vit. Ambr. camald. p. 285) si trova copia di una pistola la quale il maestro Luigi deir Ordine de Frati di S. Agostino scrisse d? Avignone a Firenze a Niccolò Soderini 1370. Ove però io penso che il titolo di maestro gli sia stato anticipato oltre il dovere dal copiatore, poichè l’anno 1375 ei non era che baccelliere (*). Così raccogliam da una lettera che Coluccio Salutato gli scrisse a Parigi nel detto anno, dandogli nuova della morte del Petrarca e del Boccaccio accadute, nello stesso anno la seconda, nel precedente la prima. Venerabili viro Fratri Loysio de Marsiliis de Florentia Ordinis Sancti Augustini Sacrae Theologiae Baccalario in Studio Parisiensi (ib. p. 283). E in Parigi era pure sin dall’anno innanzi in cui scrisse una lettera a Guido dal Palagio sulla morte del Petrarca, che è stata con alcune altre lettere posta in luce dal canonico Biscioni (Lettere di SS. e BB. fiorent p. 36), e due ancora si conservano nella Riccardiana di Firenze, ch’egli da Parigi scrisse al medesimo Guido negli anni 1377 e 1378 (Cat. Bibl. riccard p. 278). Egli è vero che in un’altra sua lettera, scritta da Parigi a’ 20 di agosto del 1375, ei parla in modo che sembra (*) Il P. lettor Verani, più volte da me lodato, mi ha fatto avvertire che forse il Mursigli avea già avuto il magistero in Padova verso il 1370, ma che poi passato a Parigi, dovette ivi prendere successivamente di nuovo i consueti gradi d’onore, e che perciò nel i375 era detto sol baccelliere. [p. 255 modifica]secondo a55 disposto a tornar dopo quell’anno in Italia (Lett. di SS. eBB.fior. p. 47), ma probabilmente ei prolungò di qualche anno il suo soggiorno in Parigi. Ei vi ebbe poscia il titolo ancor di maestro, di cui il vedremo fra poco onorato in una lettera dal Comun di Firenze. Tornato in patria fece conoscere qual progresso lietissimo avesse fatto non solo ne’ teologici studj, ma ancora, secondo il consiglio del Petrarca, nella letteratura d’ogni maniera. Fra i molti passi qua e là sparsi nella citata Vita d’Ambrogio camaldolese, due soli io ne scelgo più di tutti opportuni a provare quanto dotto uomo fosse Luigi, e quanto si adoperasse in istruire e in eccitar gli altri allo studio. Il primo è tratto da’ Dialogi latini di Leonardo Aretino, nei quali egli induce Coluccio Salutato a ragionare in lode del Marsigli, e dopo aver narrato ch’ei soleva spesso andare a lui per giovarsi di sì erudita conversazione, quando, dice, io era con lui, prolungava a molte ore il discorso, e nondimeno io ne partiva sempre con dispiacere; perciocchè io non poteva saziarmi giammai della presenza di sì grand’uomo. Qual forza, Dio immortale, qual abbondanza aveva egli nel ragionare, e qual vastità di memoria! Ei possedeva non sol le cose che a Religione appartengono, ma quelle ancora, che sogliam dire gentilesche. Avea ognor sulle labbra Cicerone, Virgilio, Seneca ed altri antichi scrittori, e non sol riferivane i sentimenti e i pensieri, ma spesso ancora ne recitava le parole, per modo che pareva dire non cose altrui, ma sue. Niuna, cosa poteva io dirgli giammai che gli giugnesse nuova; [p. 256 modifica]256 LIBRO tutto egli sapeva, tutto aveva presente. Io, al contrario, molte cose da lui ho udite e apprese, e in molte cose di cui mi stava dubbioso, ei mi ha confermato col suo parere (Vita Ambr. camald. p. 283). Più bello ancora è il passo tratto dalla Vita di Niccolò Niccoli latinamente scritta da Giannozzo Manetti, in cui dopo aver descritti i primi studj da Niccolò fatti in età già adulta, diedesi egli pertanto, dice, a coltivar V amicizia e a porsi sotto la direzione di Luigi Marsigli, uomo singolare a que’ tempi per santità di costumi e per eccellenza di sapere, da cui perciò poteva insieme co’ buoni studj apprendere ancora F arte di vivere saggiamente. Era allora il nome di Luigi sì celebre e sì famoso , che la casa di lui era di continuo frequentata da giovani e da uomini egregi d ogni maniera, i quali per istruirsi a lui da ogni parte accorrevano non altrimente che ad oracol divino. Entrato dunque alla scuola di sì grande e sì dotto maestro, con tal diligenza vi attese, che appena mai gli si toglieva di fianco. Quindi ne venne che, oltre una vasta cognizione di moltissime cose, ei ne riportò ancora egregi costuni ed ottimi ammaestramenti. Perciocchè fra le altre cose che a questa viva sorgente, sembrò ch’egli attingesse, fu la purezza della lingua latina, la cognizion delle storie domestiche non men che straniere, e la scienza della, sacra Scrittura, nelle quali cose era Niccolò profondamente versato (ib. p. 76). E siegue poscia a descrivere il frutto che il Niccoli ne trasse anche per P onestà de1 costumi e per la virtù d’ogni maniera, di cui Luigi gli era esempio. [p. 257 modifica]SECONDO 25j XXV. Sì grande era la stima di cui Luigi go- G*^’Jti. deva in Firenze, che benchè religioso, fu non-ji><*««p* dimeno adoperato talvolta ne’ pubblici affari j rrnte: tiu e due ambasciate singolarmente si rammentali ",orle* dal Mehus, sull1 autorità delle Cronache di quei tempi (ib. p. 285), da lui sostenute pel Comun di Firenze l’an 1381 a Lodovico duca d’Augi ò , mentre guerreggiava con Carlo re di Napoli. S. Antonino racconta (Hist.p. 3, tit. 22, c. 2) inoltre che avendo l’antipapa Clemente mandato l’an 1387 suoi oratori a’ Fiorentini, il magistrato non volle dar loro udienza, finchè da Luigi non fu assicurato che ciò poteasi fare lecitamente. Ma più onorevole testimonianza della stima in cui era Luigi presso de’ Fiorentini, è la lettera da essi scritta 1 anno i38^ al pontefice Bonifacio IX per averlo a lor vescovo, che è stata pubblicata dal medesimo abate Mehus ib.). Dopo aver detto eh1 essi son lieti di aver non pochi nella lor patria degni d1 esser.promossi a tal dignità, e perchè fra gli altri, soggiungono, risplende qual singolar lume di scienza Luigi Marsi gli eremitano, a giudicio ancor de’ più dotti, maestro incomparabile di teologia, noi non possiamo, pe’ tanti meriti di cui è adorno, nelle nostre suppliche dimenticarlo. Quest’uomo ancora dunque sì celebre e sì eccellente noi raccomandiam caldamente a V. S. perchè lo sollevi al reggimento di questa chiesa. Basterebbe a ciò fare la fama di cui egli gode , che non altrimenti che i raggi solari si sparge e risplende per ogni parte, e con ragione. Perciocchè nella famosissima universi là di Parigi, non già per favor di bolle, Tiiuboschi, Voi V. 17 [p. 258 modifica]j58 libro ma secondo le leggi di quello Studio, con gran fatiche e sudori egli ha ottenuto il magistero, ed ha stese sì ampiamente le sue cognizioni, che di lui si può dire ciò che diceasi già di S. Agostino padre del suo Ordine , cioè che non è possibile legger cosa cui maestro Luigi non sappia. Così prosieguono essi lodando il sapere e poscia i costumi e le virtù del Marsigli, e la prudenza nel reggimento del suo Ordine da lui mostrata nella carica di provinciale della provincia di Pisa, e conchiudono pregando il pontefice a volerlo dar loro a vescovo ed a pastore. La richiesta de’ Fiorentini non ebbe effetto, anche perchè dal principio dell’arrecata lettera par che raccolgasi che più d’uno furon da essi proposti al pontefice per tal dignità. Continuò dunque Luigi a vivere privata’ mente, e ad istruire anche in età già avanzata, come raccogliesi da un passo di Poggio fiorentino (Pogg. Op. ed. Basil 1538, p. 47°)> colla sua dotta conversazione i Fiorentini che a lui accorrevano, fino alla morte che avvenne a’ 21 d’agosto del 1394, come da una memoria di que’ tempi pruova il Mehus (l. cit p. 286). Quindi vuolsi corregger l’errore degli scrittori agostiniani citati dal Fabricio (Bibl. med. et inf Latin, t 4, p 289), e seguiti da altri che ne prolungan la vita, altri fino al 1436, altri fino al 1450. Se vi ebbe veramente, come essi affermano, un Luigi Marsigli che nel Concilio fiorentino disputasse contro de’ ’ Greci, convien dire ch’ei fosse diverso da quello di cui abbiam finora parlato. I Fiorentini per onorare la memoria di sì grand’uomo, nella chiesa [p. 259 modifica]secondo a5y di Santa Maria del Fiore fecer dipingere alcuni anni dopo da Lorenzo Bicci, celebre pittore, un deposito finto di marmo (Vasari, Vite de’ pitt. t. 1, ed. di Liv. p. 523), ove leggesi ancora la seguente iscrizione: Florentina Civitas ob singularem eloquentiam magni viri Luisii de Marsiliis sepulcrum ei publico sumptu faciendum statuii. XXVI. Di un uomo sì dotto, qual era il Marsigli, pare che ci dovrebbon esser rimaste più opere che facessero sempre più chiara pruova del sapere ond’egli era fornito. E nondimeno, se se ne traggan le lettere poc’anzi da noi citate, che sono sei in numero, scritte in lingua italiana, e per lo più ascetiche, non solo non abbiamo alle stampe cosa alcuna da lui composta , ma assai poco ancora ci si accenna di opere manoscritte. L’abate Mehus parla della sposizione che in lingua italiana egli scrisse di alcune poesie del Petrarca (l. cit. p. 261), che ora conservasi in un codice della biblioteca Laurenziana in Firenze. Una lettera da lui scritta a Carlo V re di Francia è registrata nel Catalogo della real biblioteca di Parigi (t. 3 y cod. 1463, 4128), ma senza indicarne nè l’argomento, nè l’anno. Gli scrittori agostiniani, citati dal Fabricio, ne rammentano ancora alcune altre opere teologiche e scritturali \ ma come essi parlano di un Marsigli che visse fin verso la metà del secol seguente, io non so se esse si debbano a lui attribuire, o a quello di cui ragioniamo. Questi per avventura, occupato continuamente nell’istruire que’ molti che a lui ne venivano, non ebbe agio a scriver XXVI. Opere da Ini comporle. [p. 260 modifica]’jGo LIBRO gran libri, ma giovò forse più in tal modo agli studi, che non avrebbe fatto coll’opere che ci avesse lasciate. RuSliu- XXVII. Tutti questi teologi, de’ quali abtorno a Mar- biamo fin qui ragionato, usarono saggiamente del loro sapere a difesa de’ dogmi cal tolici e primi stud.. a(| jgtruxion Fedeli. Ma altri vi ebbe al tempo medesimo che ne fecero uso troppo diverso, e se ne valsero ad eccitar dissensioni e a spargere errori. Io già mi son protestato di non voler ragionare della contesa insorta intorno alla povertà religiosa nell’Ordine de’ Minori; e nondimeno mi tratterrò a esaminar la quistione de’ sentimenti di Giovanni XXII intorno la vision beatifica, in cui niuna parte ebbe l’Italia. Lascerò dunque in disparte e F. Ubertin da Casale e F. Buonagrazia da Bergamo e F. Michel da Cesena, ed altri cotali scrittori che per la prima delle accennate quistioni tanto sconvolser la Chiesa , e niun vantaggio recarono alla letteratura. E se pur havvi chi brami di saper di essi, potrà bastevolmente trovare di che appagare il suo desiderio presso il Wadingo. Di un solo Italiano prenderò qui a trattare un po’ più stesamente, che fu uomo di grande ingegno, e che avrebbe potuto giovar molto alla Chiesa, se contro di essa non l’avesse rivolto: dico del celebre Marsiglio da Padova. I moderni scrittori padovani il dicon della famiglia de’ Mainardini. Ma io penso che maggior fede si debba a uno storico antico, concittadino e contemporaneo, cioè ad Albertino Mussato che il dice dei Raimondini: Marsilius de Raymundinis Cinti Padiumus [p. 261 modifica]SECONDO 261 plebejus, philosophiae gnarus et ore disertus (Script. rer. ital. vol. 10, p. 773). Assai gravemente ha errato, di lui ragionando , il Papadopoli che il dice entrato nell1 Ordine de* Minori, e mischiatosi esso pure nella contesa intorno alla povertà (Hist. Gjmn. patav. t. 2, p. 154)* Oli scrittori francescani non hanno mai annoverato tra’ lor religiosi Marsiglio, e in niun monumento ei vien detto religioso; nè abbiamo indicio che egli avesse alcuna parte nella suddetta contesa. Più certe notizie, ma finora , ch’io sappia, non avvertite da alcuno, abbiamo in una lettera in versi a lui scritta dal sopraddetto Mussato. Ella è indirizzata ad Magistrum Marsilium Physicum Paduanum ejus inconstantiam arguens (ep. 12 ad calc. t. 6, partis 1 Thes. Antiq. Ital. p. 48$). Albertino comincia dal lodar altamente Marsiglio cui dice figliuol di Matteo: Una micans Patavae pridem jam credita terrae Praedilecta boni proles benefausta Matthaei. Quindi gli chiede se vero sia ciò di che spargasi voce eh’egli, abbandonati i libri , si fosse rivolto all’armi: gli ricorda i lieti progressi che fatti avea ne’ filosofici studj: Philosophia tibi dederat sublimis in illa Scibile quidquid erat; nec non jam cesserat haerens Ingenio natura tuo deprensa potenter. Singolarmente avea Marsiglio coltivata la medicina; e qui Albertino rinnovagli la memoria del consiglio che Marsiglio gli avea già chiesto , cioè s’ei dovesse appigliarsi allo studio [p. 262 modifica]262 LIBRO delle leggi, o a quello della medicina, e la sincera risposta eli egli aveagli fatta, dicendogli ch’ei ben ne conosceva P indole c le inclinazioni , e che vedendolo avido di ricchezze, non gli avrebbe mai consigliato il prender la troppo pericolosa via del foro, ma quella anzi della medicina, con cui più sicuramente e più innocentemente avrebbe potuto arricchire. Siegue poscia a dire Albertino che Marsiglio avea mostrato di arrendersi a un tal parere, e che era perciò partito dalla patria: e qui accenna alcune sinistre vicende accadutegli, ma sì oscuramente, ch’io non ne intendo nulla: Carpis iter: sed proh! sors dira sub omine laevo Calle quidem primo demulsus ab ore canino , Implesti faciles saevis hortatibus forte latratibus) aures. Inde repens Ligures ut non (forte mox) migraveris oras Fama subit, quod te saeva mulcedine captum Implevit(forte Implicuit) torta saevissima vipera canda. Forse questi ultimi versi ci vogliono indicare che Marsiglio venuto a Milano, vi fosse trattenuto per qualche tempo, e adoperato da’ Visconti, raffigurati nella vipera, che è la loro divisa; e i primi forse alludono a qualche sinistro incontro ch’egli avesse con Cane dalla Scala. Checchè sia di ciò, Albertino siegue, dicendo che Marsiglio, dopo aver battute diverse vie, non veggendosi in alcuna di esso troppo felice, erasi di nuovo rivolto alla medicina , e che erasi posto sotto la direzione di un valente dottore: Vadis ad egregium Doctorem temporis hujus, Teque locas lateri, carptimque volumina Physis Decurrens, perhibes imo quae sumpseris haustu. [p. 263 modifica]SECONDO 263 Finalmente, dopo averlo avvertito che un tale studio richiede non poco tempo, e dopo aver di nuovo parlato della voce sparsa ch’ei fosse divenuto guerriero, conchiude esortandolo a valersi della gioventù, di cui gode, per rimettersi sul buon sentiero: Fertile tempus habes, pulchra fiorente juvonta » Quo te restituas, si te regat insita virtù*. XXVIII. Questa lettera di Albertino a Marsiglio si dee, a mio parere, riferire a quel tempo mo-..1 * . D.• • n.. • , 1*.. • trufferie in in cui questi era in Parigi, cioè a’ primi anni Parigi, del secolo xiv. È certo ch’ei fu ivi rettore di quella università l’an 1312 (e non di quella di Vienna, come ha creduto il Fabricio Bibl. med. et inf. Latin, t. 5, p. 33), il cui errore già è stato avvertito dal Lambacher (Bibl. civ. Vindob. p. 156) e da monsig. Mansi), e il du Boulay parla di alcuni provvedimenti per essa dati, mentre ei sostenea tal carica (Hist. Univ. Paris, t 4? p. 163). È certo inoltre ch’egli ivi fu professore, e ne abbiamo la pruova nell’esame giudiciale fatto l’an 1328 a Francesco da Venezia accusato d’essere stato in Parigi servidore e complice de’ delitti di Marsiglio, il qual processo è stato dato alla luce prima dal Baluzio e poi dall’Oudin (De Scriptor. eccl. t 3,p. 886, ec.): perciocchè Francesco, interrogato di ciò, risponde ch’egli non era mai stato servidor di Marsiglio, nè mai avea con lui abitato, nisi dumtaxat serviendo sibi utScho• Scholaris, parando mensam, et dando vini mi aliquoticns et raro, si cut et nonnulli alii Scholares faciebant; ove riflettasi di passaggio al costume [p. 264 modifica]j64 libro che aveano gli scolari di servir talvolta come* di paggi a’ loro maestri. È certo, per ultimo, ch’egli esercitovvi la medicina, come si raccoglie dallo stesso processo in cui Francesco, interrogato se avesse ne’ viaggi accompagnato Marsi* glio, risponde di non averlo mai seguito fuor di Parigi, se non che aliquotiens associavit dictum, Marsilium tantum eundo videlicet spatiatum, et etiam visitando aliquos infirmantes Parisius: quia idem Marsilius sciebat in medicina, et interdum practicabat. Ma dopo avere per qualche tempo esercitata la medicina, si rivolse allo studio della teologia, e convien dire ancora che ne prendesse la laurea, perciocchè ei persuase i molti Italiani che erano in Parigi, che dovea leggere un corso teologico, e con tal pretesto si fece da essi prestare somma non piccola di denaro. Così si afferma nello stesso processo, e il passo è troppo interessante, perchè non debba esser qui riferito, a cagione degl’italiani che in esso si nominano, tutti sconosciuti, trattone Roberto de’ Bardi: Item dixit, quod dictus Marsilius fingens cautelose se lecturum Parisius cursum in Theologia, recepit pecuniam mutuo a quibusdam amicis suis, videlicet a Domino Roberto de Bardis studente Parisius recepit novem florenos auri mutuo. Item a Magistro Andrea de Reate Sirurgico (l. chirurgico) recepit decem libras Parisienses. Item a Magistro Petro de Florentia Physico decem florenos vel decem libras Parisienses. Item audivit dici, quod Dominus Andreas de Florentia Magister Regis Franciae mutuavit dicto Marsilio pecuniam , tamen nescit summam. Marsiglio nel [p. 265 modifica]SECONDO a65 ricercar questo denaro avea probabilmente di mira il viaggio suo di Germania alla corte di Lodovico il Bavaro; perciocchè, come abbiamo dallo stesso processo , egli il raccolse uno o due mesi prima di partire da Parigi: e quando ei fu partito, i creditori che si vider delusi, ne menarono gran romore: dum sciverunt recessum ipsius Marsilii conquerebantur de ipso, ac eumaem public e de praedictis receptis per eum mutuo pecuniis diffamabant. Non tenne dunque giammai Marsiglio scuola di teologia in Parigi, ma verisimilmente a questo studio si applicò solo per servirsene nel suo disegno di difender la causa di Lodovico il Bavaro nella funesta discordia che si accese tra lui e Giovanni XXII, della quale parlano tutte le storie di que’ tempi. Anche in Parigi però sembra ch’ei cominciasse a spargere i suoi errori, come si accenna nel processo pubblicato contro Lodovico (Thes. Anecdoct t. 2,p. 683) \ ma ei dovette ivi farlo più occultamente, per non esporsi a qualche grave pericolo. XXIX. Il continuator della Cronaca di Gu- xxix. gli elmo de Nangis, pubblicata dal Dachery pomo0 Tiu (Spicileg. t. 3), parla del passar che fece Mar- ^vko^i b«siglio alla corte di Lodovico sotto l’anno 1318, ma dice solo in generale, che ciò accadde circa hi.cat".1 ** quel tempo. Ma essendo le discordie fra ’l sacerdozio e l’impero nate solo nel 1324, è certo che con vien differirlo d’alcuni anni. E infatti lo stesso scrittore più precisamente ne parla all’anno 1326, dicendo che Marsiglio insieme con Giovanni da Gand, che gli fu indivisibil compagno, andarono da Parigi alla corte di [p. 266 modifica]366 LIBRO Lodovico; che conosciuti ivi da alcuni de1 cor* tigiani, da* quali già erano stati veduti in Parigi, furono introdotti al sovrano, da cui ricevuti cortesemente, cominciarono a insinuargli i loro errori; che Lodovico allora non si mostrò sì di leggeri disposto a seguirli, ma che nondimeno volle ch’essi fossero onorevolmente trattati in corte , dicendo che così conveniva fare con uomini che eran venuti ad implorare la sua protezione. Così ammesso in corte Marsiglio col suo compagno, venner sempre più crescendo nella grazia di Lodovico, e co’ libri da lor composti ottenner finalmente di fargli abbracciare le loro opinioni. Essi sono stati poi dati alle stampe da’ Protestanti e dal Goldasto singolarmente (De Monarchia, t. 2). Il più voluminoso è quello che è intitolato Defensor pacis, in cui Marsiglio (a cui principalmente si attribuisce) tratta diffusamente della podestà ecclesiastica e della secolare, restringendo in modo la prima, che viene a soggettarla interamente alla seconda. Più brevi sono due altri trattati, uno della Traslazion dell’impero, l’altro della Podestà imperiale nelle cause matrimoniali. A me non appartiene l’epilogar le opinioni e gli errori di questo scrittore. Essi si posson vedere in molte bolle da Giovanni XXII contro di lui fulminate, le quali sono state date alla luce dal Rinaldi (ad an. 1327, ec.) e da’ PP. Martene e Durand (Thes. Anecdot. t. 2, p. 704, ec.). Io osserverò solamente che, per confessione di Alberto Pigino, impugnato!* valoroso degli errori di Marsiglio nel secolo xvi, non vi ha scrittore che con maggior diligenza, con maggior [p. 267 modifica]SECONDO a(>7 forza e con eloquenza maggior (di quella di Marsiglio abbia combattuta l’autorità del romano pontefice (De eccL Hierarch. l. 5, c. 1). In tal maniera ottenne Marsiglio non sol di accendere sempre più lo sdegno di Lodovico contro il pontefice, ma di condurlo ancora a quelle risoluzioni che cagionarono un funesto scisma alla Chiesa, coir elezione in antipapa di F. Pietro da Corvara dell’Ordine de’ Minori, avvenuta l’anno 1328. In quest’anno Marsiglio, poichè vide Roma occupata dal Bavaro, vi si trasferì; e da lui onorato e distinto, giovò non poco ad accrescerne il partito, spargendo pubblicamente i suoi errori e traendo molti all’ubbidienza dell’antipapa (Raynald. Ann. eccl. ad an. 1328. n. 9). Giovanni XXII di ciò sdegnato, scrisse ordinando che egli insieme con Giovanni da Gand fosse arrestato; ma non potè ottenere esecuzione a’ suoi comandi, di che egli si dolse nella sua lettera scritta ai Romani, e pubblicata dal Dachery (l. cit. p. 736). In occasione del venir che fece Marsiglio in Italia nel detto anno, Albertino Mussato, che allora era esule a Chiozza, gli scrisse un’altra breve lettera in cui rammenta il potere di cui Marsiglio godeva presso di Lodovico: Diceris hortator series et pondera regum Consiliis stabilire tuis, et sistere Regi. L. cit. p. 51. E lo prega perciò a ricordarsi di Padova sua patria, e a procurarne i vantaggi, e insieme a notar le cose che andassero avvenendo, e trasmettergliele poscia , perchè le potesse inserire [p. 268 modifica]368 LIBRO nella sua Storia. Lo stesso Albertino nel frani* mento di Storia di Lodovico il Bavaro, che ci ha lasciato, accenna la grazia di cui Marsiglio non meno che F. Ubertino da Casale godevano presso r imperadore: In iis Italici duo erant qui Ludovici productioni operas multas dederant, eiusque lateri se se adjunxerant, quorum consiliis potissimum fruebatur, Marsilius de Raymundinis Civis Paduanus plebejus, Philosopì ria? gnarus et ore disertus, et Ubertinus de Casali Genuensis Monachus vir similiter astutus et ingeniosus (Script. rer. ital. vol. 10, p. 773). XXX. Che avvenisse poi di Marsiglio, noi - possiamo sì facilmente determinare. Alcuni scrittori padovani, citati dal Papadopoli, narrano ch’egli ravvedutosi de’ suoi errori, divenne poscia sì caro al pontefice Giovanni XXII, che l’anno 1328 fu da lui fatto arcivescovo di Mi* lano; altri presso lo stesso scrittore affermano solamente che un Marsiglio da Padova fu bensì fatto arcivescovo di Milano, ma che non si può accertare che fosse quegli di cui parliamo; e che se pur fu egli stesso, è probabile che fosse solo arcivescovo nominato da Lodovico; e ch’egli morì verosimilmente circa il 1330. Ma tutti questi son sogni. Ne’ monumenti della chiesa milanese non trovasi alcun indicio di un Marsiglio di Padova, che ne fosse o vero o falso vescovo. E Marsiglio non sol non morì circa l’anno 1330. ma viveva ancora ed era fermo ne’ suoi errori l’anno 1336, perciocchè in un monumento pubblicato dal Rinaldi Ann. eccl. ad an. 1336, n. 36), in cui si contengono le [p. 269 modifica]SECONDO 269 promesse da Lodovico il Bavaro fatte nel detto anno al pontefice Benedetto XII, per riconciliarsi colla Chiesa, questa è nominatamente espressa, ch’egli avrebbe non solo abbandonati, ma ricercati ancor per punirli i disseminatori delle eresie, e fra essi Marsiglio da Padova. Dopo quest’anno però, io non ne trovo menzione alcuna, nè so s’ei morisse ravveduto de’ suoi errori, o in essi ostinato. XXXI. Rimane per ultimo a dir di quelli che *XXI: „ . *.... * fvcrillori d* in questo secolo illustrarono la storia sacra , storia ertleNon ci è ancor avvenuto di far menzione di J£ alcuno che dopo la decadenza dei buoni studiLocca* si accingesse a scrivere una intera storia ecclesiastica. La lode di averla prima d’ogni altro intrapresa deesi a Bartolommeo, detto più comunemente Tolommeo, da Lucca domenicano vescovo di Torcello. I PP. Quetif ed Echard (Script. Ord. Praed. t. 1, p. 541 > ec.), il Muratori e il Sassi (Script. rer. ital. vol. 11 , p. 743, ec.) hanno già di lui scritto sì ampiamente e sì esattamente, ch’io non debbo che recare in breve ciò ch’essi provano con autentici documenti. Tolommeo, nato l’anno 1236 in Lucca della nobil famiglia de’ Fiadoni, ed entrato nell’Ordine de’ Predicatori, ebbe la sorte non sol di esser discepolo, ma di divenire ancora amico e confidente di S. Tommaso d’Aquino, di cui udì più volte la confessione. Fu due volte priore del suo convento in Lucca, e più altre onorevoli cariche sostenne nel suo Ordine. Ch’ei fosse bibliotecario della santa sede e confessore di Giovanni XXII, concedono gli stessi PP. Quetif ed Echard che non [p. 270 modifica]2*70 LIBRO se ne recano abbastanza autentici documenti. Ben è certo che l’anno 1318 ei fu fatto vescovo di Torcello, e il ch. senatore Flaminio Cornaro ha pubblicato il giuramento di fedeltà che l’anno seguente a’ 17 di novembre ei prestò al patriarca di Grado (Eccl. Torc. t. 1, p. 79). Ma poco appresso la troppa compiacenza di Tolommeo pei suoi nipoti che si abusavano dell’autorità del vescovo loro zio, gli sollevò contro una fiera tempesta, per cui scomunicato dal patriarca di Grado l’anno 1321, dovette dargli una conveniente soddisfazione (ib. p. 31, 80). I PP. Quetif ed Echard aveano fissata la morte di Tolommeo circa l’anno 1322, ma il Sassi e il suddetto senator Cornaro dimostrano ch’ei visse fino al 1327, e che quell’Egidio de’ Galluzzi che alcuni gli dan successore l’anno i322, debh’esser tolto dalla serie de’ vescovi di Torcello. La Storia ecclesiastica di Tolommeo è stata prima d’ogni altro pubblicata dal Muratori (Script. Rer. ital. l. cit). Essa comincia dalla nascita di Cristo, e giugne fino al 1313 (a). Ne’ tempi antichi, altro ei non fa, secondo l’uso di quel secolo, che copiar gli scrittori che avea tra le mani. Ma nella storia de’ suoi tempi ci dà molte particolari notizie che altrove non si ritrovano, e che accrescon non poco pregio a quest’opera. Scrisse egli ancora una breve Cronaca dall’anno 1061 fino (a) Nella Laurenziana conservasi un codice delia Storia di Tolommeo da Lucca, in cui da altro ignoto scrittore essa è stata continuala fino all’anno i.0rh l*1 qual continuazione non venne a notizia del Muratori (Baiidini Cat. Codd. lai. hiurcnt. t. 1, p. 124 j cc*)• [p. 271 modifica]SECONDO 271 al i3o3, che, dopo alcune altre edizioni, è stata inserita dal Muratori nella accennata raccolta (ib. p. 1247). alcune altre opere da lui composte si veggano i medesimi PP. Quetif ed Echard che coll’usata lor diligenza ne han ragionato, e inoltre il Fabricio colle giunte di monsignor Mansi (Bibl. med. et inf. Latin, t.6, p. 20). XXXII. Le Vite de’ Santi ancora ebbero in questo secolo uno scrittore, il cui lavoro però non ha ancor veduta la luce. Ei fu Pietro Calo da Chiozza dell’Ordine de’ Predicatori, il quale scrisse, circa il principio del secolo, in due gran volumi le Vite de’ Santi. I PP. Quetif ed Echard parlano di alcuni codici che se ne conservano in Bologna e in Roma (l. cit p. 511). Ma più diligentemente descrivesi dal ch. Foscarini (Letterat venez. p. 356) una copia distinta in sei grossi volumi e assai elegantemente scritta, che se ne conserva in Venezia nella biblioteca de’ Domenicani de’ SS. Giovanni e Paolo. Opera ancor più ampia sull’argomento medesimo scrisse in questo secolo stesso Pier de’ Natali veneziano, piovano prima della chiesa de’ SS. Apostoli in Venezia dal 1363 sino al 1370, poscia verso questo tempo fatto vescovo di Equilio ossia di Jesolo nel Trevisano; della qual città e del qual vescovado parla assai eruditamente il dottissimo Apostolo Zeno (Diss. voss. t. 2: p. 32), il quale ancora ci dà altre notizie intorno alla famiglia di questo vescovo, e intorno all’opera delle Vite dei Santi da lui divisa in dodici libri. Più edizioni se ne hanno rammentate dal medesimo Zeno, il quale si fa XXXII. Scrittori Ielle Vile le1 Santi, [p. 272 modifica]2J2 LIBRO a confutare 1’opinione di alcuni che mostrai* di far più conto delle Vite de’ Santi scritte nel secolo precedente da Jacopo da Voragine, che di quelle del Natali. Del medesimo sentimento è il ch Foscarini, il quale, di lui ragionando, Egli sostenne, dice (l. cit. p. 357), indicibili fatiche spogliando non solo gli antichi Padri, ma di mano in mano gli scrittori successivamente venuti. Gittò pur V occhio sopra codici singolari, come fu il Martirologio di S. Girolamo; e quantunque prendesse molto dal Calo, non omise però le Cronache più approvate, di maniera che sarebbe V opera sua riuscita a lodevol termine, se cotanta diligenza si fosse abbattuta in luce migliore di tempi, onde giusto motivo di emendarla si offerse al P. Alberto Castellano. Fino a quando vivesse il vescovo Pietro, non si può diffinire, come dimostra il medesimo Zeno. Ma certo han gravemente errato que’ molti scrittori, da lui medesimo annoverati, che lo han fatto fiorire verso la fine del secol segueute. xram. XXXIII. Io non farò che accennare alcune Altre Sto- |. • i • i rie purlico- alu’ C storie sacre particolari che appartengono doVic" Coni or- a questa medesima età , come la Cronaca della n,,là- chiesa di Atina da’ tempi di Giulio Cesare sino all’anno 1355, pubblicata prima dall’Ughelli (Ital. sacra, t. 10, p. 37), poscia di nuovo dal Muratori (Script. Rer. ital. vol. 7 3 p. 901), e quella del monastero della Cava dal 569 al 1318 , data in luce dal Muratori medesimo (ib. p. 915); la Cronaca del monastero di S. Sisto di Roma, scritta verso il 1318 da Benedetto da Montefiascone domenicano, che [p. 273 modifica]SECONDO 273 è inedita (Script. Orci. Praed. t. 1, p. 536) 5 quella dell’Ordine de’ Monaci di S. Girolamo scritta l’anno 1371 da Benedetto di maestro Tedaldo fiorentino, uno dei primi fondatori deir Ordin medesimo, che conservasi manoscritta nella Badia de’ Benedettini in Firenze, e la cui primi parte è stata pubblicata dal Cardinal Querini (Epist. dec. 10, ep. 1); le Vite di Sant’Agnese da Montepulciano e di Santa Caterina da Siena domenicane, scritte di Raimondo da Capova del medesimo Ordine, morto nel 1399, delle quali e del lor celebre autore si veggano i PP. Quetif ed Echard (l. cit. p. 679); la breve Storia de’ Patriarchi d’Aquileia sino al 1358, inserita dal Muratori nella sua Raccolta degli Scrittori delle cose italiane (vol. 16, p. 5)} la Relazione dell’elezione di Urbano VI, scritta da Tommaso d’Acerno vescovo di Nocera de’ Pagani, e dal medesimo Muratori data alla luce (ib. t. 3, pars 2, p. 711) my e altre cotali storie, di cui lungo sarebbe il fare anche una semplice enumerazione. Dovrò io ad esse aggiugnere il celebre libro intitolato Liber conformitatum S. Francisci cum Domino nostro Jesu Christo? Le semplicità di cui il troppo credulo autore lo ha riempito, han data occasione a’ Protestanti di menarne un infinito rumore contro la Chiesa cattolica, come se ella approvasse ogni cosa che da alcuno de’ suoi si scriva e si pubblichi. Il Marchand, fra gli altri, ha credute ben impiegate quasi sedici gran colonne del suo Dizionario a ragionarne (Dict. Hist. p. 3, ec.), per metterci innanzi tutte l’edizioni che se ne son fatte, tutti i libri che contro di esso si TuiARoscHi, Voi. V. 18 f [p. 274 modifica]3^4 LIBRO son pubblicali, tutte le altre opere nelle quali esso è stato o compendiato o rifuso , e insieme tutte le villanie che i Protestanti all’occasion di esso han vomitate contro i due Ordini de’ Minori e de’ Predicatori, alle quali aggiugne anche egli le sue in buon numero. Io credo che i miei lettori mi sapran grado, se non verrò annojandoli col parlare di un tal libro, che meglio sarebbe lasciare in dimenticanza tra la polvere delle biblioteche, a cui lo ha condannato la critica più avveduta. L* autore ne fu Bartolommeo da Pisa dell* Ordine de* Minori , che lo presentò al generale capitolo del suo Ordine l’anno 1399, e morì due 3,101 appresso in Pisa. Il Wadingo Bibl. Ord. Min. p. 48$), e dopo lui l’Oudin (De Script, eccl. t. 3 , p. 1175) e il Fabricio (Bibl. med. et inf. Latin, t. 1, p. 50) e il Marchand rammentano alcune altre opere di questo autore, di cui più è a lodar V intenzione che la dottrina , e che non dee perciò aver gran parte nella Storia della Letteratura (a). (a) Alla comune opinione che fa autore del Libro della Conformità Bartolommeo degli Albizi, o piuttosto di Albisio pisano, sembra opporsi l’iscrizion sepolcarle a lui posta, che vedesi in Pisa nella chiesa che già era de’ Conventuali; perciocchè in essa dicesi ch’ei morì A. D. MCCCLI die X Dec. , cioè ann’ prima che il Libro delle Conformità fosse dal suo autor presentato al gen irale capitolo. M 1 il Wadingo (Ann. Min. ad on. i3t)c), n. 9) avea già osservato ch’è corso errore in quella iscrizione, e che dov< a scolpirsi MCCCCI. E osserva lo stesso scrittore che F. lìartolommeo di Albiso è lo stesso che F. Bartolommeo da Rinonico , castello posto una volta a levante di Pisa circa otto miglia lungi dalla città, da cui traevano forse l’origine « [p. 275 modifica]SECONDO 2^5 XXXIV. Per questa ragione medesima io non x™^ji(l farò che accennare il nome di Telesforo o Teo- attribuii*. foro o Teosoforo (che in tutte queste maniere Cu^«”r.° si trova scritto) da Cosenza, eremita , di cui si ha in molte biblioteche un libro inedito di Profezie intorno a’ Papi e allo stato della Chiesa ne’ tempi avvenire. Il Muratori (Antiq. Ital. t. 3, p. 99) ha dato in luce parte di questo libro, qual si legge in un codice mss. di questa biblioteca Estense, e da essa raccogliesi ch’esso fu scritto l’anno 1386. Ma molte delle predizioni che in esso contengonsi, e che da’ fatti poscia accaduti sono state smentite, ci fan vedere ch’ei non fu troppo felice nel profetare. Per altra parte, di questo profeta non trovasi alcun’altra notizia; nè altro di lui abbiamo alle stampe, fuorchè un piccol Compendio storico degli Scismi che avevan travagliata la Chiesa (Ap. Goldast. de Monarch. t. 2, p. 1424), da cui si cava ch’ei visse sino a’ tempi di Gregorio XII e dell’antipapa Benedetto XIII, opera troppo piccola di mole e di valore ugualmente, perchè dobbiamo qui trattenerci a illustrar la memoria dello sconosciuto i suoi maggiori. Quindi l’autore delle Conformità è anche l’autore di una Vita della li. V. scritta nel? che ms. conservasi nella Laurenziaua , nella quale lo scrittore si nomina Fra ter Bartholonimeus de ]{in ottico de Pisis Sacme Theolog:ae Magister indignus Ordinis Minorimi Professor. Questo punto si vedrà fra non molto più ampiamente trattato dal eli. 1\ m «ostro Antonio Felice Mattei, minor conventuale, nell’Elogio dello stesso F. Bartolommeo, eh’ei si appareccliia « pubblicare. [p. 276 modifica]scrittore della medesima. Di lui han parlato più a lungo il gesuita Papebrochio (Acta SS. maji, t. 7, p. 139) e l’Oudin (De Script eccl. t. 3, p. 2217).