Dialoghi d'amore/I D'amore e desiderio, Dialogo primo
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FILONE e SOFIA
D’AMORE E DESIDERIO
DIALOGO PRIMO
Sofia. Discordanti mi paiono, o Filone, questi effetti, che la cognizione di me in te produce; ma forse la passione ti fa dire cosí.
Filone. Da’ tuoi discordano, che sono alieni d’ogni correspondenzia.
Sofia. Anzi fra lor stessi son contrari affetti della volontá, amare e desiderare.
Filone. E perché contrari?
Sofia. Perché le cose che da noi son stimate buone, quelle che aviamo e possediamo, le amiamo; e quelle che ci mancano, le desideriamo: di modo che quel che s’ama, prima si desidera e, di poi che la cosa desiderata s’è ottenuta, l’amore viene e manca il desiderio.
Filone. Che ti muove ad avere questa oppinione?
Sofia. L’esemplo de le cose che sono amate e desiderate. Non vedi tu che la sanitá, quando non l’aviamo, la desideriamo, ma non diremo giá amarla; dipoi che l’aviamo, l’amiamo e non la desideriamo. Le ricchezze, le ereditá, le gioie, innanzi che s’abbino, son desiderate e non amate; dipoi che si sono avute, non si desiderano piú, ma s’amano.
Filone. Benché la sanitá e le ricchezze, quando ci mancano, non si possino amare perché non l’aviamo, niente di manco s’amano d’averle.
Sofia. Questo è un parlare improprio il dire amare, cioè di volere avere la cosa, che si vuol dire desiderarla: perché l’amore è della medesima cosa amata, e il desiderio è d’averla o acquistarla; né pare possino stare insieme amare e desiderare.
Filone. Le tue ragioni, o Sofia, piú dimostrano la sottigliezza del tuo ingegno che la veritá de la tua oppinione; perché se quello che noi desideriamo, non l’amiamo, desideraremo quel che non s’ama e, per consequente, quel che s’aborrisce e ha in odio: che non potria essere maggiore contradizione.
Sofia. Non m’inganno, o Filone, ch’io desidero quel che, se bene per non possederlo non l’amo, quando l'averò, sará amato da me e non piú desiderato; né, per questo, desidero mai quel ch’io aborrisco, né ancor quello ch’io amo; perché la cosa amata si ha, e la desiderata ci manca. E qual piú chiaro esemplo si può dare che quel de’ figliuoli? che chi non gli ha, non gli può amare, ma gli desidera; e chi gli ha, non gli desidera, ma gli ama.
Filone. Cosí come dimostri per esemplo di figliuoli, ti deveresti ricordare del marito; il quale, innanzi che s'abbi, si desidera e amasi insieme, e, dipoi che s’è avuto, manca il desiderio e alcuna volta l’amore; se bene in molte, non sol perseveri, ma ancor cresca; il che molte volte occorre similmente al marito, de la moglie. Questo esemplo non ti par piú suffiziente per confermare il mio detto, che il tuo per reprovarlo?
Sofia. Questo tuo parlare mi satisfá in parte ma non in tutto, massime seguendo il tuo esemplo, simigliante al dubio del qual disputiamo.
Filone. Ti parlarò piú universalmente. Tu sai che l’amore è de le cose che sono buone o ver stimate buone, perché qual vuoi cosa buona è amabile. E cosí come son tre sorte di buono, profittevole, delettabile e onesto, cosí sono ancor tre sorte d’amore: che l’uno è il delettabile, l’altro il profittevole, e l’altro l’onesto. Li quali due ultimi, quando si hanno, in alcun tempo debbeno esser amati, o veramente innanzi che sieno acquistati, o ver di poi. Il delettabile non è amato giá di poi; perché tutte le cose che dilettano i nostri sentimenti materiali, di sua natura, quando son possedute, piú presto sono aborrite che amate. Bisogna adunque, per questa ragione, tu conceda che tal cose s’amano innanzi che si possegghino e, similmente, quando si desiderano; ma perché, dipoi che interamente si son possedute, manca il desiderio, manca ancor il piú de le volte l’amore di quelle. E per questo concederai che l’amor e ’l desiderio possono stare insieme.
Sofia. Le tue ragioni (secondo il mio iudizio) hanno forza per provare quel tuo primo detto; ma le mie, che gli son contrarie, non son però debili né spogliate di veritá. Come è possibile adunque che una veritá sia contraria de la medesima veritá? Solvimi questa ambiguitá, che mi fa stare assai confusa.
Filone. Io vengo, o Sofia, per domandarti rimedio a le mie pene; e tu mi domandi soluzione dei tuoi dubi. Forse il fai per desviarmi da questa pratica, la qual non t’aggrada; o veramente perché i concetti del mio povero ingegno ti dispiaceno, non manco che li affetti della mia affannata volontá.
Sofia. Non posso negare non abbi piú forza in me, a commovermi, la soave e pura mente, che non ha l’amorosa volontá; né per questo credo farti ingiuria, stimando in te quel che piú vale: che, se m’ami come dici, debbi piú presto procurare di quietarmi l’intelletto, che incitarmi l’appetito. Sicché, lassato da parte ogni altra cosa, solvimi questi miei dubi.
Filone. Se bene la ragione in contrario è pronta, niente di manco per forza bisogna ch’io segua il tuo volere: e questo viene dalla legge che han posto i vincitori amati a’ sforzati e vinti amanti. Dico che sono alcuni contrari in tutto a la tua oppinione, li quali tengono l’amore e il desiderio essere in effetto una medesima cosa, perché tutto quel che si desidera vogliono ancor che s’ami.
Sofia. Sono manifestamente in errore: ché, se ben se li concede tutto quel che si desidera s’ami, certo è molte cose s’amano che non si desiderano, come interviene in tutte le cose possedute.
Filone. Hai arguito contra rettamente; ma alcuni altri credono che l’amore sia un certo che, qual contenga in sé tutte le cose desiderate, ancor che non s’abbino, e similmente le cose buone acquistate [e] avute, quali non si desiderano piú.
Sofia. Né questo ancor mi consuona; perché, come si dice, molte cose son desiderate le quali non possono essere amate, perché non sono in essere: e l’amore è de le cose che sono, e il desiderio è proprio di quelle che non sono. Come possiamo noi amar i figlioli e la sanitá, se non l’aviamo? se ben la desideriamo. Questo mi fa tener l’amore e ’l desiderio esser due affetti contrari de la volontá. E tu m’hai detto che l’uno e l’altro possono star insieme. Dichiarami questo dubio.
Filone. Se l’amore non è se non de le cose che hanno essere, il desiderio perché non sará di quelle ancora?
Sofia. Perché, cosí come l’amore presuppone l’essere de le cose, cosí il desiderio presuppone la privazione di quelle.
Filone. Per qual ragione l’amore presuppone l’essere de le cose?
Sofia. Perché bisogna che il conoscimento preceda all’amore: ché nissuna cosa si potria amare, se prima sotto spezie di buona non si conoscesse; e nissuna cosa cade in nostro conoscimento, se prima effettualmente non si trova in essere. Perché la mente nostra è uno specchio ed esemplo o, per dir meglio, una immagine de le cose reali: di modo che non è cosa alcuna che si possa amare, se prima non si truova in essere realmente.
Filone. Tu dici la veritá. Ma, ancor per questa medesima ragione, il desiderio non può cadere se non nelle cose che hanno essere; perché non desideriamo se non quelle cose che primamente conosciamo sotto spezie di buone. E per questo il filosofo ha diffinito il buono esser quello che ciascuno desidera; poi che il conoscimento è de le cose che hanno essere.
Sofia. Non si può negare che ’l conoscimento non preceda al desiderio. Ma piú presto direi che, non solamente ogni cognizione è delle cose che sono, ma ancora di quelle che non sono: perché il nostro intelletto giudica una cosa che è come la giudica, e un’altra che non è cosí. E poiché il suo offizio è il discernere in l’essere delle cose e nel non essere, bisogna conosca quelle che sono e quelle che non sono; direi adunque che l’amor presuppone la cognizione de le cose che sono, e il desiderio di quelle che non sono e di quelle che noi siamo privi.
Filone. Tanto a l’amore quanto al desiderio precede il conoscimento de la cosa amata o disiderata, qual è buona. E a nissuno di loro la cognizione deve essere altro che buona: perché tal cognizione saria causa di far aborrire la cosa conosciuta totalmente, e non desiderarla o amarla. Si che l’amore come il desiderio parimente presuppongono l’essere de le cose, cosí in realitá come in cognizione.
Sofia. Se il desiderio presupponesse l’essere de le cose, ne seguirebbe che, quando giudichiamo la cosa che è buona e desiderabile, sempre tal giudizio saria vero. Ma non vedi tu che molte volte è falso, e non si truova cosí ne l’essere? parrebbe adunque che il desiderio non presupponesse sempre l’essere de la cosa desiderata.
Filone. Questo medesimo che dici, non meno accade ne l’amore che nel desiderio: perché molte volte quella che è stimata buona e amabile, è gattiva e debbe esser aborrita. E cosí come la veritá del giudizio de le cose causa li diritti e onesti desidèri, da’ quali derivano tutte le virtú e fatti temperati e opere laudabili: cosí la falsitá di tal giudizio è causa de’ gattivi desidéri e disonesti amori, da’ quali tutti i vizi ed errori umani derivano. Talché l’uno come l’altro presuppone l’essere de la cosa.
Sofia. Non posso teco, o Filone, volare tanto alto: veniamo, di grazia, piú al basso. Io pur veggo nissuna di quelle cose che piú desideriamo propriamente s’ami.
Filone. Noi desideriamo ben sempre quello che non aviamo, ma non per questo quello che non è: anzi il desiderio suol esser de le cose che sono, quali non possiamo avere.
Sofia. Ancor suole esser di quelle cose, che effettualmente non sono e desideriamo ben che sieno, quali non desideriamo giá averle: come desideriamo che piova quando non piove, e che facci buon tempo, e che venga uno amico, e che alcuna cosa si facci. Le qual cose, perché non sono, desideriamo che sieno per averne profitto, ma non per averle; né per questo diremo amarle. Di modo che ’l desiderio è de le cose che non sono.
Filone. Quel che non ha essere alcuno, è niente: e quel che è niente, cosí come non si può amare, ancor non si può né desiderar né avere. E queste cose che hai dette, se ben non sono in essere presente attualmente quando si desiderano, niente di manco l’essere loro è possibile; e de l’essere possibile ancor si può desiderar che venghino a l’essere attuale. Cosí come quelle che sono e non l’aviamo, da la parte che sono si possono desiderare che sieno possedute da noi. Sí che tutto il desiderio o è che abbi da essere quel che non è, o di avere quello [che] ci manca. Come vuoi che ogni desiderio presupponga in parte l’essere in parte la privazione, e desideri il compimento che gli manca de l’essere? Sí che ’l desiderio e l’amor son fondati ne l’essere de la cosa, e non nel non essere. E a la cosa desiderabile tre titoli gli debbeno precedere per ordine: il primo è l’essere, il secondo la veritá, terzio che sia buona; e con questi, viene a essere amata e desiderata. Il che non potria essere, se innanzi non fusse stimata per buona, perché in altro modo non s’amerebbe né desiderarebbe. E innanzi che sia giudicata buona, bisogna sia riconosciuta per vera; e come realmente si truova innanzi del conoscimento, bisogna che abbi l’essere reale. Perché prima è la cosa in essere, di poi s’imprime ne l’intelletto, e di poi si giudica essere buona: e ultimamente s’ama e desidera. E per questo il Filosofo dice che l’essere vero e [il] buono si convertono in uno. Se non che l’essere è in se medesimo; e il vero, quando è impresso ne l’intelletto; il buono è quando viene da l’intelletto e volontá a l’acquisto de le cose mediante l’amore e desiderio. Di sorte che, non meno il desiderio presuppone l’essere, che l’amore.
Sofia. Io pur veggo che desideriamo molte cose, l’essere de le quali non solo manca nel desiderante, ma ancora in lor medesime: come è la sanitá e li figliuoli, quando non l’aviamo; in le quali certamente non cade amore, ma solamente desiderio.
Filone. Quello che si desidera, se bene manchi al desiderante e in sé non ha essere proprio, non per questo è privato in tutto de l’essere, come dici: anzi bisogna che in qualche modo abbi essere, altrimenti non potria essere conosciuto per buono né desiderato, se ben non ha essere proprio. E cosí dico de la sanitá ne l’infermo, che la desidera perché ha essere ne li sani, e ancora era in lui innanzi s’infermasse. E similmente de’ figliuoli: se bene non hanno essere in quelli che li desiderano perché gli mancano, niente di manco hanno essere in gli altri; perché qual vuoi uomo è ovver è stato figliuolo; e per questo, chi non gli ha, gli conosce e giudica essere cosa buona e gli desidera. E queste tali sorte d’essere son bastanti dare ad intendere la sanitá a l’infermo, e cosí a quelli che desiderano figliuoli e non gli hanno. Di modo che l’amore e ’l desiderio sono de le cose che in qualche modo hanno essere reale e son conosciute sotto spezie di buone; escetto che l’amore pare essere comune a molte cose buone, possedute e non possedute, ma il desiderio è di quelle che non son possedute.
Sofia. Secondo il tuo parlare, ogni cosa desiderata saria amata, come dicesti esser oppinione d’alcuni; e saria un genere che conterria in sé tutte le cose stimate buone: e cosí quelle che non si posseggono e si desiderano, come quelle [che] si posseggono e non si desiderano, tutte, secondo la tua oppinione, sariano amate. E a me non pare che le cose che del tutto mancano (come queste che dissi de la sanitá e de’ figliuoli), chi non le ha, benché le desideri, le possi amare: perché l’essere che dicesti avere in gli altri, non basta per conoscerle, e per conseguenzia non basta per amarle. Perché non amiamo li figliuoli d’altri né la sanitá d’altri; ma la propria: e quando ci manca, come si può amare, se ben si desidera?
Filone. Non siamo adesso molto lontani da la veritá; ancor che vulgarmente tutte le cose desiderate si dicono essere amate per essere stimate buone. Ma, correttamente parlando, non si possono dire amate quelle che non hanno alcuno essere proprio, come è la sanitá e figliuoli quando ci mancano. Parlo de l’amor reale: ché l’immaginato si può avere in tutte le cose desiderate, per l’essere che hanno nell’immaginazione; dal qual essere immaginato nasce un certo amore, il suggetto del quale non è la cosa propria reale che si desidera (per non avere ancor essere in realitá, propriamente), ma solo il concetto di quella cosa, pigliata del suo essere comune. E di tale amor il suo soggetto è improprio, perché non è vero amore, ché gli manca il suggetto reale; ma è solamente simulato e immaginato, perché il desiderio di tal cose è spogliato di vero amore. Di sorte che si truovano nelle cose tre sorte d’amore e desiderio: de le quali alcune sono amate e desiderate insieme: come è la veritá, la sapienza e una persona degna, quando non l’aviamo; altre sono amate e non desiderate: come son tutte le cose buone avute e possedute; alcune altre son desiderate e non amate: come è la sanitá, li figliuoli quando ci mancano, e l’altre cose che non hanno essere reale. Sono adunque le cose amate e desiderate insieme, quelle che son stimate buone e hanno essere proprio e ci mancano; le amate e non desiderate son quelle medesime, quando l’aviamo e possediamo; e le cose desiderate e non amate son quelle che, non solamente ci mancano, ma ancora non hanno in sé essere proprio, nel qual possi cadere amore.
Sofia. Ho inteso il tuo discorso, che assai mi piace. Ma io veggo molte cose che hanno essere proprio reale e, quando non l’aviamo, le desideriamo; ma non l’amiamo fin che non si sono avute, e allora s’amano e non si desiderano: come son le ricchezze, una casa, una vigna, una gioia: quali, stando in poter d’altri, si desiderano e non s’amano per essere d’altri, ma, poi che si sono avute, mancando il desiderio di quelle, se li pone amore. Sí che, innanzi che sieno acquistate, solamente son desiderate e non amate; e dipoi che sono acquistate, solamente sono amate e non desiderate.
Filone. In questo hai detto la veritá. E io non dico che tutte le cose desiderate (che hanno essere proprio) sieno ancor amate; ma ho affermato che quelle che son desiderate, parimente debbeno aver essere proprio, ché altrimenti, si ben si desiderano, non si possono amare. E per questo non t’ho dato esemplo né di gioia né di casa, ma di virtú, di sapienzia, o di degna persona; ché queste, quando mancano, sono amate e desiderate parimente.
Sofia. Dimmi la causa di questa differenzia che si truova ne le cose desiderate che hanno essere proprio: perché alcune di quelle, quando son desiderate, ancor possono essere amate, e alcune no.
Filone. La causa è la differenzia de le cose amabili. Le quali, come sai, sono di tre sorte: utili, delettabili e oneste; le quali diversamente si hanno ne l’amore e nel desiderio.
Sofia. Dichiarami la differenzia che è infra loro, cioè amare e desiderare. E perché meglio vi possa intendere, vorrei che facessi diffinizione a l’amore e al desiderio, a fin che in tal diffinizione possi comprendere tutte tre le sorti di quelle.
Filone. Non è cosí facile diffinire l’amore e il desiderio con diffinizione accomodata a tutte le sue spezie, come ti pare; ché la natura d’essi diversamente si truova in ciascuno di loro; né si legge gli antichi filosofi averli dato cosí ampia diffinizione. [Ampia diffinizione], niente di manco, per quello che secondo la presente narrazione mi consuona, è diffinire che cosa sia affetto volontario de l’essere o di avere la cosa stimata buona che manca, e di diffinire l’amore, che è affetto volontario di fruire con unione la cosa stimata buona. E da queste diffinizioni conoscerai, non solamente la differenzia di tali affetti de la volontá, (che l’uno, come t’ho detto, è di fruire la cosa con unione, e l’altro de l’essere o di averla); ma ancora vedrai, per quelle, il desiderio essere de le cose che mancano, [e] niente di manco l’amore può essere di quelle che si hanno e ancor di quelle che non si hanno; perché il fruire con unione può essere effetto de la volontá, cosí ne le cose che ci mancano, come in quelle che aviamo; perché tal’affezione non presuppone abito né mancamento alcuno, anzi è comune a tutti due.
Sofia. Ancor che tali diffinizioni avrebbero bisogno di piú larga dichiarazione, pur mi basta assai per introduzione di quello che ti domando de la causa de la diversitá che si truova in amare e desiderare, in le tre sorte che hai detto: utile, delettabile e onesto. Segue adunque.
Filone. L’utile come sono ricchezze, particulari beni d’acquisto, non sono mai amate e desiderate insieme. Anzi, quando non si hanno, si desiano e non s’amano, per essere d’altri; ma quando sono acquistate, cessa il desiderio d’esse, e allora si amano come cose proprie e si godeno con unione e proprietá. Niente di manco, se ben cessa il desiderio di quelle particular ricchezze giá possedute, nasce immediate nuovi desii d’altre cose aliene: e quelli uomini la volontá de’ quali guarda a l’amore de l’utile, hanno diversi e infiniti desii, e, cessando l’uno per l’acquistare, viene l’altro maggiore e piú affannoso. Tal che mai saziano sua volontá di simili desidéri; e quanto piú posseggono, tanto piú desiano; e sono simili a quelli che cercano spegnare la sua sete con l’acqua salata, che, quanto piú beveno, tanto in lor produce maggior sete. E questo desío de le cose utili si chiama ambizione o vero cupiditá; il temperamento di quello si chiama contentamento o vero satisfazione del necessario, ed è eccellente virtú; e chiamasi ancora suffizienzia, perché si contenta del necessario. E li savi dicono che ’l vero ricco è quello che si contenta di quel che possiede. E cosí come l’estremo di questa virtú è la cupiditá del superfluo, cosí l’altro estremo è il lassare di desiare il bisogno, e chiamasi negligenzia.
Sofia. Che dici tu, Filone! Non son molti filosofi che giudicano tutte le ricchezze doversi lassare? E alcuni, per dire il vero, non le hanno lassate.
Filone. È stata ben questa oppinione d’alcuni filosofi stoici e accademici. Ma quella non è negligenzia il lassare di desiderare e procurare il bisogno; ché lo facevano per convertirsi alla vita contemplativa con intima e contenta contemplazione: alla quale vedevano le ricchezze essere grande impedimento, perché occupano la mente e la divertiscono da la sua medesima opera speculativa e da la contemplazione, ne la qual consiste sua perfezione e felicitá. Ma li peripatetici tengono che s’abbi da procurare le ricchezze, essendo di bisogno per vita virtuosa; e dicono che, se ben le ricchezze non son virtú, sono almanco instrumento di quelle, perché non si potria usare liberalitá né magnificenzia, limosine né altre opere pietose, senza beni necessari e bastanti.
Sofia. Non è assai, per simili opere virtuose, la buona disposizione de l’animo, pronto per farle quando avesse il modo? E cosí, senza ricchezze, l’uomo potria essere virtuoso.
Filone. Non basta tal disposizione senza l’opere; perché le virtú son abito di ben fare, le quali s’acquistano perseverando ne le buone opere. Ed essendo cosí che tali opere non si possono fare senza beni, ne segue che senza quelli non si possono aver simili virtú.
Sofia. E perché non conobbero questo li stoici? e li peripatetici come possono negare che le ricchezze non divertino l’animo da la felice contemplazione?
Filone. Concedono li stoici che alcuna virtú domestica e urbana non si può acquistare senza beni. Ma non t’inganni che consista in quelli la felicitá: anzi in la vita intellettiva e contemplativa; per la quale si debbeno lassare le ricchezze, e ancor le virtú che da quelle procedono veder non si convertino in vizi, ma in altre virtú piú eccellenti e piú propinque a l’ultima felicitá. Né questo possono negare li peripatetici. Né in fra loro è altra differenzia se non che li stoici, con il desio del piú nobile, non férno conto del necessario per alcune virtú morali, quali hanno bisogno de’ beni: come in effetto conviene agli uomini molto eccellenti che, cercando acquistare l’ultima felicitá, avendo la chiarezza del sole, cercano lume di candela, massime conoscendo tali beni il piú de le volte essere causa di vizi piú che di virtú. Ma li peripatetici, conoscendo le ricchezze non essere necessarie a simili uomini quali son chiari, hanno dimostrato altre gran virtú per inferiori di quelle e hanno monstrato come alcune di quelle virtú s’acquistano mediante li beni. Però cosí l’uno come l’altro concedono che la negligenzia è il lassare di desiare il necessario, qual è in quelle virtú che non s’hanno mediante l’intellettual contemplazione. Sará adunque vizio contrario de la cupiditá del superfluo; e la suffizienzia di desiderare il necessario è il mezzo delli due estremi, il quale è eccellente virtú nel desio de le cose utili.
Sofia. Sí come hai mostrato del disio de le cose utili un mezzo virtuoso e due estremi viziosi, trovansi altri simiglianti mezzi ed estremi ne le cose utili e giá possedute?
Filone. Sí che si truovano, e non meno manifesti. Perché il sfrenato amore che si ha alle ricchezze acquistate o possedute, è avarizia: qual è offizio vile ed enorme; perché quando l’amore de le proprie ricchezze è piú del debito, causa la conservazione di quelle piú del dovere, e di non dispensarle secondo l’onestá e l’ordine de la ragione. La moderazione in amare tali cose, con la conveniente dispensazione di quelle, è mezzo virtuoso e nobile; e chiamasi liberalitá. Il mancamento de l’amore di queste cose possedute e non conveniente dispensazione di quelle, è l’altro estremo vizioso, contrario de l’avarizia; e chiamasi prodigalitá. Sí che l’avaro come il prodigo son viziosi, sequendo gli estremi de l’amor de le cose utili; il liberale è virtuoso, che segue il mezzo di quelli. E in questo modo che t’ho detto, si truova l’amore e il desiderio in le cose utili temperatamente e stemperatamente.
Sofia. Mi consuona questo modo che m’hai detto. Vorria intendere ne le cose delettabili come l’amor sia in loro; che mi par piú a nostro proposito.
Filone. Cosí come ne le cose utili il proprio e reale amore si truova insieme col desiderio, similmente in le delettabili il desio non si parte da l’amore: perché tutte le cose delettabili che mancano, fin che interamente si sono avute e s’abbi a suffizienzia di quelle, sempre che si desiderano o s’appetiscono, parimente s’amano. Il bevitore desidera e ama il vino innanzi che lo beva, fin che sia sazio di quello; il goloso desidera e ama il dolce innanzi che il mangi, fin che di quello sia sazio; e comunemente quel che ha sete, sempre che lo desidera, ama il bevere; e quello che ha fame, desidera e ama la vivanda; e l’uomo similmente desidera e ama la donna innanzi che l’abbi, e cosí la donna l’uomo. Hanno ancor queste cose delettabili tal proprietá che, avute che sono, cosí come cessa il desiderio di quelle, cessa ancor il piú delle volte l’amore, e molte volte si converte in fastidio e aborrizione: perché quel che ha fame o sete, di poi ch’è sazio, non desidera piú il mangiare né il bevere, anzi gli viene in fastidio. E cosí interviene in l’altre cose che materialmente dilettano: perché con sazietá fastidiosa cessa egualmente il desiderio di quelle; di modo che tutti due ne le cose delettabili vivono e muoiono insieme. Bene è vero che si truovano ne le cose delettabili alcuni intemperati, cosí come si truovano nell’utili: li quali mai si saziano né mai cercariano essere sazi, come sono i golosi, imbriachi e lussuriosi, a’ quali dispiace la sazietá, e prestamente tornono di nuovo al desio e amor di quelle, ovvero in desio d’altre di quella sorte. E il desio di tali cose delettabili si chiama propriamente appetito, cosí come quel de l’utile si chiama ambizione o ver cupiditá. L’escesso di desiderare queste cose che dánno dilettazione propria, e il conversare in quelle, si chiama lussuria: la qual’è vera lussuria carnale, o di gola, o d’altre superflue delicatezze, o indebite mollicie; e quelli che in simili vizi si nutriscono, si chiamano lussuriosi. E quando la ragione in qualche parte resiste al vizio, se ben da quello è superata, allora quei tali viziosi si chiamano incontinenti. Ma quelli che lassano la ragione del tutto, senza cercare di contrastare in parte alcuna a l’abito vizioso, si chiamano distemperati. E cosí come quest’estremo di lussuria è, ne le cose delettabili, vizio correspondente a l’avarizia e cupiditá ne l’utile, cosí stimo essere vizio l’altro estremo de la superflua astinenzia, qual’è, ne l’utile, correspondente vizio a la prodigalitá: perché l’uno è via a la robba, non conveniente a l’onesto vivere, e l’altro lassa la dilettazione necessaria al sostentamento de la vita e a la conservazione della sanitá. Il mezzo di questi due estremi è grandissima virtú, e chiamasi continenzia. E quando, simulando ancor la sensualitá, la ragion vince con la virtú, si chiama temperanzia. Quando la sensualitá del tutto cessa di dar stimulo a la virtuosa ragione, e l’una e l’altra consiste in contenersi temperatamente de le cose delettabili, senza mancare del necessario e senza pigliare del superfluo, la chiamano alcuni, questa virtú, fortezza; e dicono che ’l vero forte è quello che se medesimo vince, perché il delettabile ha piú forza ne la natura umana che non ha l’utile, per essere quello con il quale lei conserva il suo essere. E per tanto chi può moderare questo escesso, con veritá si può chiamare vincitore del piú potente e intrinseco inimico.
Sofia. Mi piace quanto hai detto de l’amore e appetito in le cose delettabili. Ma mi occorre un dubio in quel che hai detto, che le cose delettabili si desiderano e amano quando ci mancano e non quando sono avute. Ché, se ben è cosí la veritá quanto al desiderio, non pare essere vero ne l’amore di quelle: perché nel tempo che le dilettazioni s’acquistano, allora s’amano, ma non prima quando mancavano: perché par che ’l gusto di tal dilettazione vivifichi l’amore di quelle.
Filone. Non manco incita l’appetito e aguzza il desio e gusto di quelle, che si vivifichi l’amore: e tu sai che non s’appetisce né desidera se non quel che manca.
Sofia. Or come va questa cosa? perché noi vediamo che le cose delettabili, avendosi, non solamente s’amano ma ancor s’appetiscono. Adunque, quel che s’ha, deve mancare e non aversi.
Filone. È ben vero che simil cose, acquistandosi, s’amano e desiderano; ma non dipoi che interamente sono avute; perché, avute che sono, viene la lor compagnia, e perdesi egualmente l’appetito e l’amor di quelle; ché, mentre s’acquistano, non cessa il mancamento, fino a la sazietá. Anzi dico che, col primo gusto, si sforza il riconoscimento per l’approssimazione del delettabile, e con quello s’incita piú l’appetito e vivificasi l’amore. E la causa è il sentimento de la privazione; e con la presenzia e partecipazione del gusto del delettabile che manca, si fa piú forte e pungitivo e, quando si gusta tanto di tal diletti che si venghi a saziare, leva del tutto il mancamento: e con quello si leva insieme e cessa l’appetito e amore di tal dilettazione, e viene in fastidio e disamore. Sí che l’appetito e l’amore son congiunti al mancamento del delettabile e non a l’acquisto di quello.
Sofia. Mi basta in questo ciò che hai detto. Ma avendo detto quello in che sono simiglianti e dissimiglianti l’utile e il delettabile, in la ragione d’amare e desiderare, seguendo la causa de la simiglianza manifesta; mi resta occulta la ragione de la diversitá o contrarietá de la volontá. La quale vorria conoscere: dico, perché ne l’utile l’amore non si trova con il desio insieme, anzi mentre si desidera non s’ama, e cessando il desio viene l’amore; e nel delettabile si truova il contrario, perché, tanto quanto si desidera s’ama, e cessando il desiderio cessa ancora l’amore. Dimmi come in due sorte d’amore tanto simiglianti si truova tante opposizioni, e qual’è la causa.
Filone. La causa è la diversitá di godere queste due sorte di cose amate e desiderate. Perché, essendo l’utile ne la continua possessione de la cosa, quanto piú si possiede, tanto piú si gode sua utilitá; per la quale l’amore non viene fin che non si possiede; e cessa il desiderio e poi vien continuandosi, quando si possiede; e mancando la possessione e veramente cessando dipoi ch’è avuta, se ben sará desiderio, non però sará amore. Ma del delettabile, la dilettazione sua non consiste in possessione né in abito o perfetta acquisizione, ma in una certa attenzione mescolata col mancamento; la qual cessata, in tutto fa mancare la dilettazione, e conseguentemente cessa l’appetito e l’amor di tal delettabile.
Sofia. Mi pare ragionevole che ’l desio richieda il mancamento del delettabile; ma l’amore piú presto mi parrebbe richiedesse la presente dilettazione del delettabile; e come sia che non s’abbi in quel che del tutto manca, non si può ancor in essa avere amore, ben che s’abbi il desio. Di modo che l’amore del delettabile deve essere solamente in quanto diletta, e non innanzi quando manca, né di poi quando sazia.
Filone. Sottilmente hai dubitato, o Sofia; e in questo è ancor la veritá di quel che dici, perché l’amor del delettabile non debbe essere quando la dilettazione è mescolata col mancamento. Ma tu hai da sapere che nel puro appetito del delettabile cade una fantastica dilettazione, se ben non si gode ancora in effetto; quel che non accade in ambizione de l’utile: anzi il mancamento suo produce tristezza al desiderante. E per questo vedrai comunemente gli uomini appetitosi del delettabile essere allegri e giocondi, e gli ambiziosi de l’utile essere malcontenti e malinconici. E la causa è perché il delettabile ha maggior forza ne la fantasia, che l’utile, quando manca; e l’utile ha maggior forza che ’l delettabile in la real possessione. Di sorte che nel delettabile non s’ha mancamento appetitoso senza dilettazione, né dilettazione effettuale senza mancamento; e per questa ragione in tutti due parimente s’ha amore e desiderio; escetto che nel mancamento appetitoso l’appetito e ’l desiderio hanno piú forza che l’amore, e ne la effettual dilettazione l’amore è piú forte che l’appetito.
Sofia. Mi consuona quel ch’hai detto: perché vediamo li immaginati sogni de le cose che molto dilettano produrre effettual dilettazione; e alcune volte il causa la forte fantasia di quelle, e ancor che siamo desti; la qual efficacia non è ne l’immaginazione de le cose utili. Ma una cosa mi resta a sapere, ch’è questa: de la comparazione di queste due sorte d’amore, qual di loro si truova piú ampla e universale, e se si possono trovare insieme in una medesima cosa amata.
Filone. Molto piú alto, amplo e universale è il delettabile, perché non tutto il delettabile è utile; anzi le cose che piú sensibilmente dilettano sono poco utili a quella persona che dilettano, tanto in la propria disposizione del corpo e sanitá, quanto ne li beni acquistati. Ma quella dilettazione, concorrendo con l’utile per la maggior parte, quando per l’utile è conosciuta, è delettabile quanto piú ne l’utile dei beni acquistati. Li quali sempre, acquistandosi, generano dilettazione a chi gli acquista, ancor che ne la sua continua possessione la dilettazione non sia tanta; perché tutta la dilettazione par che sia remedio de l’effetto de l’acquistare di quel che manca: donde piú consiste ne l’acquistare de le cose, che nel possederle.
Sofia. Son satisfatta di quel che m’hai detto de le cose delettabili. Giá mi parrebbe tempo d’intendere de l’amore e desiderio de la sorte de le cose oneste, perch’è il piú eccellente e piú degno.
Filone. Amare e desiderare le cose oneste è veramente quello che fa l’uomo illustre; perché tali amori e desidéri fanno eccellente quella parte de l’uomo piú principale per la qual è uomo, o ver quella ch’è piú lontana da materia e oscuritá e piú propinqua alla divina chiarezza: qual’è l’anima intellettiva; ed è quella sola che, fra tutte le parti o potenzie umane, si può schifare dalla brutta mortalitá. Consiste dunque l’amore e desiderio de l’onesto in due ornamenti del nostro intelletto: ciò è virtú e sapienzia; perché questi sono il fondamento de la vera onestá. La qual precede a l’utilitá de l’utile e a la dilettazione del delettabile, per essere il delettabile principalmente nel sentimento utile e nel pensamento, e l’onesto ne l’intelletto, che tutte l’altre potenzie escede; e per essere l’onesto il fine per il quale gli altri due sono ordenati. Perché l’utile è cercato per il delettabile, che, mediante le ricchezze e beni acquistati, si può godere e’ diletti de la natura umana; il delettabile è per sostentamento del corpo; il corpo è istrumento che serve a l’anima intellettiva in sue azioni di virtú e sapienzia. Talché ’l fine de l’uomo consiste ne l’azioni oneste, virtuose e sapienti, le quali tutte l’altre azioni umane precedono e tutto l’altro amore e desiderio.
Sofia. Tu hai mostrato l’eccellenzia dell’onesto sopra il delettabile e utile; ma il proposito nostro è verso la differenzia ch’è fra l’amore e il desiderio ne l’onesto, e come sono simiglianti a quel che si truova nel delettabile e utile.
Filone. Giá ero per dirtelo, se non m’interrompevi. L’amore e desiderio de le cose oneste è in parte somigliante a l’utile e delettabile insieme, e in parte simile al delettabile e dissimile a l’utile, e in parte simile all’utile e dissimile al delettabile, e in altra parte dissimile a tutti due.
Sofia. Dichiarami ciascuna di queste parti separatamente.
Filone. È simile l’onesto a li due altri, utile e delettabile, nel desiderio, perché è sempre di quel che manca: ché, cosí come si desiderano le cose utili e delettabili quando mancano, cosí si desidera la sapienzia e atti e abiti virtuosi quando non s’hanno. È tanto simile l’onesto al delettabile in questo: che in tutti due parimente si truova l’amore col desiderio. Perché del medesimo modo che le cose delettabili, quando si desiderano, s’amano ancor che non siano avute; cosí la sapienza e virtú, mentre che non s’hanno, non solamente si desiderano ma ancor s’amano. Ma in questo l’onesto è dissimile a l’utile, anzi è contrario, che le cose de l’utile, quando non s’hanno, si desiderano e non s’amano.
Sofia. Qual’è la causa di questa simiglianza che ha l’onesto col delettabile, e de la dissimiglianza ch’ha con l’utile? ché di ragione le cose oneste (come la virtú e sapienzia quando non s’hanno non si debbono amare; ché la virtú e sapienzia nostra, quando non l’aviamo, non ha in sé essere alcuno) o son de la sorte de la sanitá non avuta o de le cose che non hanno alcuno essere per il qual possino essere amate.
Filone. L’utile, quando non si possiede in atto, è totalmente alieno da chi lo desidera; e per questo, ancor che si truovi e abbia essere, non può essere amato. Ma il delettabile, come giá t’ho detto, innanzi che s’abbi realmente, il desiderio di quello produce una certa incitazione e un certo essere delettabile ne la fantasia, il qual è suggetto de l’amore, perché quel poco essere è proprio de l’amante in se medesimo. E non manco, anzi molto piú, il desiderio de la sapienzia e virtú e cose oneste causa un certo modo d’essere di quelle cose nell’anima intellettiva; però che il desiderare virtú e desiderare sapienzia è propria sapienza ed è piú onesto desiderare. E questo tal essere, ne le cose oneste che si desiderano e non s’hanno, è proprio in noi altri ne la parte piú eccellente; e però è degno il desiderio di tal cosa d’essere accompagnato da non lento amore. Di modo che piú ampiamente può seguire l’essere desiderabile che si truova ne l’onesto, che quel che si truova nel delettabile. Sicché in tutti due si truova il desio accompagnato con l’amore, quando non s’hanno: il quale non si truova ne l’utile.
Sofia. Mi basta. Dichiarami l’altre due parti che restano.
Filone. Si confá l’onesto con l’utile ne l’amor de le cose interamente avute e possedute: ché sí come le cose utili, dipoi che si sono acquistate, s’amano, cosí la sapienzia e virtú de le cose oneste, dipoi che si posseggono, sono grandemente amate. Ne la qual cosa l’onesto è dissimile al delettabile, perché, dipoi che ’l delettabile s’è avuto perfettamente, non s’ama, ma piú presto suol venire in odio e fastidio. Adunque l’onesto è dissimile a tutti due, utile e delettabile, non solamente ne l’essere accompagnato sempre da l’amore, cosí quando si desidera e non s’ha, come quando s’ha e non si desidera, (il che non si truova in alcuno degli altri due); ma ancora è dissimile a loro in un’altra cosa e notabil proprietá: che la virtú negli altri due consiste nel mezzo de l’amare e desiderare, (il superfluo de le cose delettabili e utili son gli estremi da’ quali procedono tutti li maggior vizi umani); ma ne le cose oneste, quanto l’amor e desiderio è superfluo e sfrenato, tanto piú è laudabile e virtuoso. E il poco di questo è vizio; ché chi di tale amor e desiderio fusse privato, non solamente sarebbe vizioso ma ancora inumano; però che l’onesto è il vero bene, e il bene, come dice il Filosofo, è quel che tutti gli uomini desiderano, se ben ciascuno naturalmente desideri sapere.
Sofia. Altrimenti mi par avere intesa questa dissimiglianza.
Filone. In che modo?
Sofia. Dicono che de l’onesto l’estremo del superfluo è virtuoso, perché, quanto piú si desidera ama e segue, tanto piú è virtú; e l’estremo del poco è vizio, perché non è maggiore vizio che lassare d’amare le cose oneste. Negli altri due, utile e delettabile, si truova l’opposito: perché la virtú consiste ne l’estremo del poco desiderare amare e seguire le cose utili e delettabili; e ’l vizio consiste ne l’estremo del molto cercarle e ne l’escessiva sollecitudine di quelle. Di sorte che la virtú de l’onesto è ne l’escessivo amore di quello, e il vizio nel poco amore; e la virtú de l’utile e delettabile è in amarli poco, e il vizio in amarli assai.
Filone. In alcuna sorte d’uomini è vera questa tua sentenzia, perché la virtú de l’utile e delettabile consiste ne l’estremo del poco amarli e seguirli; ma non è vera universalmente, perché comunemente ne la vita morale la virtú di questi due consiste nella mediocritá e non in estremo alcuno. Ché, cosí come è vizio amare troppo l’utile e delettabile, cosí è vizio ancora il non amarlo, o, per dire meglio, amarlo manco del bisogno, come di sopra t’ho detto. E li peripatetici (è ben vero) in quelli che seguono la vita contemplativa e intellettuale, ne la qual consiste l’ultima felicitá, hanno per vizio la cura de le cose utili e il desiderio del delettabile, non solo ne l’escesso, ma ancora nel mediocre; e la strettezza è necessaria per la intima contemplazione, perché l’uso di quelli è non poco impedimento; e il necessario suo consiste in molto manco che non fa quel de’ virtuosi mortali, secondo provano li stoici. Di modo che ne la vita morale la virtú consiste nel mezzo de le cose utili e delettabili; e in la vita contemplativa consiste ne l’estremo del poco utile e delettabile. In la vita morale tutti due l’estremi son vizi; ne la contemplativa il vizio consiste solo nel poco.
Sofia. Conosco come tutte due le sentenzie hanno luogo; ma dimmi la causa di questa dissimiglianza che si truova fra l’onesto, l’utile e ’l delettabile.
Filone. La causa è questa: che, sí come il sfrenato appetito de la dilettazione e l’insaziabil cupiditá de le ricchezze, mettono al fondo la nostra anima intellettiva e nel loto de la materia, e oscurano la mente chiara con la tenebrosa sensualitá; cosí l’insaziabile e ardente amore de la sapienzia e virtú de le cose oneste è quello che fa divino il nostro intelletto umano, e [che] il nostro fragil corpo, vaso di corruzione, converte in istrumento d’angelica spiritualitá.
Sofia. La moderazione e mediocritá ne le cose utili e delettabili, non l’hai tu per oneste?
Filone. Poi che son virtú, perché non saranno ancora oneste?
Sofia. Adunque, se sono oneste, l’estremo suo perché è vizio? Ché tu hai detto le cose oneste aver la virtú ne l’escesso, e non nel poco e ancor ne la mediocritá; e da l’altra parte dici che de la mediocritá de l’utile e delettabile l’escesso è virtú. Questo parimente è contradizione.
Filone. Poiché hai sottile ingegno, procura di farlo sapiente. La virtú che si truova ne l’utile e delettabile, non è per sua natura: perché la sensual dilettazione (ovver la fantastica utilitá de le cose esteriori, che sono aliene di spiritualitá intellettiva, qual’è origine de le cose oneste), in quella quanto l’amore e desiderio è piú eccellente, tanto la virtú e onestá è piú degna. Ma l’utile e ’l delettabile solo possono avere ragione intellettuale ne la moderazione e mediocritá de l’amore e desiderio di quelle: ché tal moderazione e mediocritá è solamente la virtú che in quelle si truova, e, mancando quel mezzo, piú o meno è vizio ne l’utile e delettabile. Perché questi tali amori, spogliati di ragione, sono gattivi e viziosi e piú presto d’animali bruti che d’uomini; e il mezzo, che la ragione fa in questo, è solamente vero amore. E da quel mezzo si verifica che, quanto piú escessivamente si desidera ama e segue, tanto piú veramente è virtú. Perché giá tal desiderio non è piú dilettazione né utilitá; ma depende da la moderazione di quelle, ch’è virtú intellettiva e veramente è cosa onesta.
Sofia. M’hai satisfatto de le differenzie che si truovano ne l’amare e desiderare le cose volontarie; e ho inteso la causa di tali differenzie. Ma io voglio ancora sapere da te, d’alcune cose amate e desiderate, di qual sorte de le tre sopradette spezie d’amore sono: comè la sanitá, i figliuoli, il marito, la moglie, e ancora la potenzia, il dominio, l’imperio, l’onore, la fama e la gloria; che tutte son cose che s’amano e desiderano; e non è ben manifesto se sono del genere de l’utile o del delettabile, o vero de l’onesto. Ché, se bene in una parte paiano delettabili per la dilettazione che si consegue in averle, da l’altra parte pare che non sieno: perché, dipoi che si hanno e si posseggono, ancor s’amano, senza venire in sazietá e fastidio. Il che piú presto parrebbe de le cose utili e oneste, che de le delettabili.
Filone. La sanitá, ancor che consegua l’utile, pure il proprio suo è il delettabile. E non è inconveniente che de le cose delettabili alcune ne sieno utili; cosí come de l’utili molte ne sono delettabili; e in tutte due alcune si truovano oneste. La sanitá adunque principalmente ha del delettabile conveniente alla sua dilettazione; e non solamente è utile, ma ancora è onesta: e per questo la sazietá sua non è noiosa né mai viene in fastidio come l’altre cose puramente delettabili che, quando si posseggono, non si stimano, come quando mancano e si desiderano. È un’altra causa ancora per la quale la sanitá non s’ha a noia né viene in fastidio: perché il sentimento de la sua dilettazione non è solamente appresso i sentimenti materiali esteriori, come il gusto a modo de le cose che si mangiano, o del tatto come la carnal dilettazione, o de l’odorato come gli odori li quali presto vengono in fastidio; ma ancora è appresso i sentimenti spirituali, che piú tardi si saziano. Perché non consiste in odire, come le dolci armonie e le soavi voci, né ancora in vedere, come le belle e proporzionate figure; anzi la dilettazione de la sanitá si sente con tutto il sentimento umano, cosí del sentimento esteriore come interiore, e ancora ne la fantasia; e quando non si ha, non solamente si desidera con l’appetito sensitivo, ma ancora con la propria volontá governata dalla ragione. Di sorte che è una delettazione onesta, ben che per la continua possessione suole essere manco stimata.
Sofia. Mi basta quel che hai detto della sanitá. Di’ de’ figliuoli.
Filone. Li figliuoli, benché qualche volta sieno desiderati per l’utile, come è per la successione delle ricchezze e per l’acquisto di quelle, niente di manco l’amore suo e natural desiderio è ancor delettabile: e però non si truova simigliante ne gli animali bruti, ché le lor delettazioni non si stendono se non ne li cinque sentimenti esteriori sopra nominati. Ché, se bene il vedere e udire i figliuoli causa dilettazione a’ padri, non per questo il fine del suo desiderio è solamente in averli: ché la principal dilettazione consiste ne la fantasia e cogitazione (quale è spiritual potenzia, che non è quella de’ sentimenti esteriori); e per questo non è la sua sazietá fastidiosa. E maggiormente, che non si desiderano sol con il puro sensuale appetito, ma ancora con la volontá dirizzata da la mente razionale; qual’è governatrice non errante de la natura. Ché (come dice il Filosofo) mancando agli animali l’individuale perpetuitá, conoscendosi mortali, desiderano d’essere immortali almanco per li figliuoli: che è desiderio de la possibile immortalitá degli animali mortali. E per essere in questo differente la dilettazione de’ figliuoli a l’altre cose delettabili, segue che, quando si hanno, non vengono in sazietá fastidiosa. E in questo son simigliami alla sanitá; ché non solamente per la possessione cessa l’amore, anzi, dipoi che si sono avuti, s’amano e conservano con efficace diligenzia: e questo viene per il desiderio che gli resta de la futura immortalitá. Di sorte che la dilettazione de’ figliuoli, ha la proprietá del continuo amore che si truova ne le cose oneste: come interviene ne la sanitá.
Sofia. Ho compreso quel che m’hai detto de l’amor de’ figliuoli. Dimmi adesso de l’amore de la moglie al marito, e del marito alla moglie.
Filone. Manifesta cosa è che l’amor de’ maritati è delettabile; ma debbe essere congionto con l’onesto. E per questa causa, dipoi che s’è avuta la dilettazione, resta il reciproco amore sempre conservato e cresce continuamente, per la natura de le cose oneste. Congiugnesi ancora ne l’amore matrimoniale l’utile con il delettabile e onesto, per ricevere continuamente li maritati utile l’uno de l’altro: il quale è una gran causa di far seguire l’amore in fra di loro. Talché, essendo l’amor matrimoniale delettabile, si continua per la compagnia che ha con l’onesto e con l’utile e con tutti due insieme.
Sofia. Dimmi ora del desiderio che hanno gli uomini de la potenzia, dominio e imperio: di che sorte è, e come s’intitula l’amor di quelli.
Filone. Amare e desiderare le potenzie è del delettabile congionto con l’utile. Ma perché la sua dilettazione non è materiale quanto al sentimento, ma spirituale ne la fantasia e cogitazione umana, e ancora per essere congionta con l’utile; però gli uomini che posseggono le potenzie non si saziano di quelle. Anzi i regni, imperi e domini, dipoi che sono acquistati, s’amano e conservano con astuzia e sollicitudine: non perché abbino de l’onesto (ché, in vero, in pochi di simili desidéri si trova onestá), ma perché l’immaginazione umana, ne la qual consiste la dilettazione, non si sazia come li sentimenti materiali; anzi di sua natura è poco saziabile, e tanto piú per essere quelli desidéri non manco de l’utile che del delettabile. Il quale è causa d’amare tali domini posseduti e di conservarli con grande sollicitudine, desiderando sempre crescerli, con cupiditá insaziabile e appetito sfrenato.
Sofia. Mancami a sapere, de l’onore gloria e fama, in qual de le tre sorti d’amore si deve collocare.
Filone. L’onore e gloria è di due sorte: l’uno falso e bastardo, e l’altro vero e legittimo. Il bastardo è il lusinghiero della potenzia; il legittimo è premio de la virtú. L’onore bastardo, che li potenti desiderano e procurano, è de la sorte del delettabile: ma perché la sua dilettazione non consiste nel saziabile sentimento, ma solamente ne l’insaziabil fantasia; però in quella non interviene sazietá alcuna, come accade ne l’altre cose delettabili. Anzi, se bene gli manca l’onesto, perché in effetto è alieno da ogni onestá, non manco, dipoi che è acquistato, si continua e conserva con desiderio d’insaziabile augumento. Ma l’onore legittimo, come che sia premio de le virtú oneste, se bene è di sua natura delettabile, la sua dilettazione è mescolata con l’onesto. E per questo, e per essere ancora il suggetto suo la smisurata fantasia, interviene che, di poi s’è acquistato, s’ama e desidera l’augumento suo con insaziabil desiderio. E non si contenta la fantasia umana di conseguire l’onore e gloria per tutta la vita, ma ancora la desidera e procura largamente per di poi la morte: la qual propriamente si chiama fama. È ben vero, ancor che l’onore sia premio de la virtú, non però è debito fine degli atti onesti e virtuosi, né per quello si debbe operare. Perché la fine de l’onesto consiste ne la perfezione de l’anima intellettiva. La quale con li virtuosi atti si fa vera, netta e chiara; e con la sapienzia si fa ornata di divina pittura. Però non può consistere ne l’oppinione degli uomini, che pongono l’onore e la gloria ne la memoria e scrittura che conservano la fama; né manco debbe consistere il proprio fine de la pura onestá nel fantastico diletto che piglia il glorioso della gloria e il famoso della fama. Questi son bene i premi che debitamente debbeno conseguire i virtuosi, ma non il fine che li muove a fare l’opere illustri. Debbesi lodare la virtú onesta; ma non si debbe operare la virtú per essere lodato. E se ben li lodatori fanno crescere la virtú, scemaría piú presto, quando essa lode fusse il fine perché si facesse. Ma per la colligazione che hanno tali dilettazioni con l’onesto, sempre sono apprezzate e amate, e sempre si desidera augumentarle.
Sofia. Di quelle cose t’ho domandato, son satisfatta; e conosco essere tutte de la sorte del delettabile fantastico; ma in alcune si mescola l’utile, e in alcune altre l’onesto, e in alcune tutti due: e per questo l’abito suo non genera sazietá né fastidio. Al presente mi resta a sapere da te de l’amicizia umana e amor divino: di che sorte sono e di che condizione.
Filone. L’amicizia degli uomini qualche volta è per l’utile e qualche volta per il delettabile. Ma questi non sono perfetti amici né ferma amicizia: perché, levata l’occasione di tali amicizie, voglio dire che cessando l’utile e la dilettazione, finiscono e dissolvensi l’amicizie che da quelle nascono. Ma la vera amicizia umana è quella che è causa de l’onesto e vincolo de le virtú: perché tal vincolo è indissolubile e genera amicizia ferma e interamente perfetta. Questa è solamente fra tutte l’amicizie umane la piú commendata e lodata; ed è causa di colligare gli amici in tanta umanitá, che ’l bene o male proprio di ciascun di loro è comune a l’uno e l’altro; e qualche volta diletta piú il bene e attrista il male a l’amico che al proprio paziente; e spesso piglia l’uomo parte degli affanni de l’amico per alleggerirlo di quelli o veramente per soccorrerlo con l’amicizia ne le sue fadighe, ché la compagnia ne le tabulazioni è causa che manco si sentono. E il Filosofo diffinisce tali amicizie dicendo che ’l vero amico è un altro se medesimo, per denotare che chi è ne la vera amicizia ha doppia vita costituita in due persone, ne la sua e in quella dell’amico; talché l’amico suo è un altro se medesimo, e ciascuno di loro abbraccia in sé due vite insieme, la propria sua e quella de l’amico; e con eguale amore ama tutte due le persone, e parimente conserva tutte due le vite. E per questa causa comanda la sacra scrittura l’onesta amicizia dicendo: «Amarai il prossimo come te medesimo»; vuole che l’amicizia sia di sorte che si faccino uniti parimente, e un medesimo amore sia ne l’animo di ciascuno degli amici. E la causa di tale unione e colligazione è la reciproca virtú o sapienzia di tutti due gli amici. La quale, per la sua spiritualitá e alienazione da materia e astrazione de le condizioni corporee, remuove la diversitá de le persone a l’individuazione corporale; e genera ne gli amici una propria essenzia mentale, conservata con sapere e con amore e volontá comune a tutti due, cosí privata di diversitá e discrepanzia come se veramente il suggetto de l’amore fusse una sola anima ed essenzia, conservata in due persone e non multiplicata in quelle. E in ultimo dico questo, che l’amicizia onesta fa d’una persona due, e di due una.
Sofia. De l’amicizia umana in poche parole m’hai detto assai cose. Veniamo a l’amor divino: ché desidero saper di quello come del supremo e maggiore che sia.
Filone. L’amor divino non solamente ha de l’onesto, ma contiene in sé l’onestá di tutte le cose e di tutto l’amor di quelle, come che sia perché la divinitá è principio, mezzo e fine di tutti gli atti onesti.
Sofia. Se è principio, come può essere fine e ancor mezzo?
Filone. È principio, perché da la divinitá depende l’anima intellettiva agente di tutte le onestá umane: la quale non è altro che un piccolo razo de l’infinita chiarezza di Dio, appropriato a l’uomo per farlo razionale, immortale e felice. E ancora questa anima intellettiva, per venire a fare le cose oneste, bisogna che participi del lume divino: perché, non ostante che quella sia prodotta chiara come razo de la luce divina, per l’intendimento della colligazione che tiene col corpo e per essere offuscata da la tenebrositá de la materia, non può pervenire all’illustri abiti de la virtú e lucidi concetti de la sapienzia, se non ralluminata da la luce divina ne’ tali atti e condizioni. Ché, cosí come l’occhio, se ben da sé è chiaro, non è capace di vedere i colori le figure e altre cose visibili senza essere illuminato da la luce del sole, la quale, distribuita nel proprio occhio e ne l’oggetto che si vede e nella distanza che è fra l’uno e l’altro, causa la visione oculare attualmente; cosí il nostro intelletto, se bene è chiaro da sé, è di tal sorte impedito negli atti onesti e sapienti da la compagnia del rozzo corpo, e cosí offuscato, che gli è di bisogno essere illuminato da la luce divina. La quale, reducendolo da la potenzia a l’atto, — e illuminate le spezie e le forme de le cose procedenti da l’atto cogitativo, quale è mezzo fra l’intelletto e le spezie de la fantasia, — il fa attualmente intellettuale, prudente e sapiente, inclinato a tutte le cose oneste e renitente da le disoneste: e levandoli totalmente tutta la tenebrositá, resta lucido in atto perfettamente. Sicché, ne l’un modo e ne l’altro, il sommo Dio è principio dal quale tutte le cose oneste umane dependeno, cosí la potenzia come l’atto di quelle. Ed essendo il supremo Dio pura, somma bontá, onestá e virtú infinita, bisogna che tutte l’altre bontá e virtú dependino da lui come da vero principio e causa di tutte le perfezioni.
Sofia. Giusto è che ’l principio de le cose oneste sia nel sommo fattore; né in questo era dubio alcuno. Ma in che modo è mezzo e fine di quelle?
Filone. La pia divinitá è mezzo a ridurre a effetto ogni atto virtuoso e onesto. Perché, essendo la provvidenzia divina appropriata con maggior spezialitá a quelli che participano de le divine virtú, e tanto piú particolarmente quanto piú participano di quelle; non è dubbio che non sieno grandemente adiutrici ne l’opera di tali virtú, dando aiuto a quelli tali virtuosi per conseguire gli atti onesti e riducerli a perfezione. Ancora è mezzo ne’ tali atti in un altro modo: perché, come contiene in sé tutte le virtú e eccellenzie, è esemplo imitativo di tutti quelli che cercono operare virtuosamente. Qual maggior pietá e clemenzia che quella de la divinitá? Qual maggior liberalitá che quella che di sé fa parte a ogni cosa prodotta? Qual piú integra giustizia che quella del suo governo? Qual maggior bontá, piú ferma veritá, piú profonda sapienzia, piú diligente prudenzia, che quella che conosciamo essere ne la divinitá? non perché la conosciamo secondo l’essere che ha in se medesima, ma per l’opere sue che vediamo ne la creazione e conservazione de le creature de l’universo. Di modo che. chi considera ne le virtú divine, l’imitazione di quelle è via e mezzo a tirarci a tutti gli atti onesti e virtuosi e a tutti i savi concetti a’ quali l’umana condizione può arrivare: ché, non solamente Dio è padre a noi ne la generazione, ma maestro e maraviglioso amministratore per attraerci a tutte le cose oneste mediante i suoi chiari e manifesti esempli.
Sofia. Mi piace molto che l’onnipotente Dio non solamente sia principio d’ogni ben nostro, ma ancor mezzo. Vorria sapere in che modo è fine.
Filone. Solo Dio è fine regolato di tutti gli atti umani. Perché l’utile è per acquistare il conveniente delettabile; e la necessaria delegazione è per la sustentazione umana; la quale è per la perfezione de l’anima; e questa si fa perfetta primamente con l’abito virtuoso, e dipoi di quello venendo alla vera sapienzia: il fine de la quale è il conoscere Dio, quale è somma sapienzia, somma bontá e origine d’ogni bene. E questo tale conoscimento causa in noi immenso amore, pieno di eccellenzia e onestá: perché tanto è amata la cosa onestamente, quanto è conosciuta per buona; e l’amore di Dio debba eccedere ogni altro amore onesto e atto virtuoso.
Sofia. Io ho inteso che altra volta hai detto che, per essere infinito e in tutta perfezione, non si può conoscere da la mente umana; la quale è, in ogni sua cosa, finita e terminata. Perché, quello che si conosce, si debbe comprendere. E come si comprenderá l’infinito dal finito, e l’immenso dal poco? e non potendosi conoscere, come si potrá amare? Ché tu hai detto che la cosa buona bisogna conoscerla, prima che s’ami.
Filone. L’immenso Dio tanto s’ama quanto si conosce. E cosí come dagli uomini interamente non può esser conosciuto, né ancor la sua sapienzia da la gente umana; cosí non può interamente essere amato in quel grado dagli uomini, che da la parte sua si conviene. Né la nostra volontá è capace di cosí escessivo amore; ma de la nostra mente è conoscere secondo la possibilitá del conoscitore, ma non secondo l’immensa eccellenzia del conosciuto. Né la nostra volontá ama secondo che lui è degno d’essere amato, ma quanto si può estendere in lui ne l’atto amatorio.
Sofia. Si può ancor conoscere la cosa che per il conoscente non si comprenda.
Filone. Basta che si comprenda quella parte che de la cosa si conosce: ché il conosciuto si comprende dal conoscente secondo il potere del conoscente, e non secondo quello del conosciuto. Non vedi tu che s’imprime e comprende la forma de l’uomo nel specchio, non secondo il perfetto essere umano, ma secondo la capacitá e forza de la perfezione del specchio? il quale è solamente figurativo e non essenziale. Il fuoco è compreso da l’occhio, non secondo la sua ardente natura, ché se cosí fusse l’abbruciaría; ma solamente secondo il colore e la figura sua. E qual maggiore esemplo che essere compreso il grande emisperio del cielo da sí piccola parte come è l’occhio? Vedi che è tanta la sua piccolezza, che si truova alcun savio che crede essere indivisibile, senza potere ricevere alcuna divisione naturale. Però l’occhio comprende le cose secondo la sua forza oculare, sua grandezza e sua natura; ma non secondo la condizione de le cose viste in se medesime. E di questa sorte comprende il nostro piccolo intelletto l’infinito Dio: secondo la capacitá e forza intelligibile umana, ma non secondo il pelago senza fondo de la divina essenzia e immensa sapienzia. A la qual cognizione segue e responde l’amor di Dio conforme a l’abilitá de la volontá umana, ma non proporzionata all’infinita bontá di esso ottimo Dio.
Sofia. Dimmi se in questo amor di Dio si mescola desiderio.
Filone. Anzi non è mai spogliato l’amor divino d’ardente desiderio: il quale è d’acquistare quel che manca del conoscimento divino; di tal modo che, crescendo il conoscimento, cresce l’amore de la divinitá conosciuta. Ché, escedendo l’essenzia divina il conoscimento umano in infinita proporzione, e non manco la sua bontá l’amor che gli umani gli portono; però resta a l’uomo sempre felice ardentissimo e sfrenatissimo desiderio di crescere sempre il conoscimento e amor divino. Del qual crescimento l’uomo ha sempre possibilitá, da la parte de l’oggetto conosciuto e amato; benché da la parte sua potria essere fussero determinati tali effetti in quel grado che l’uomo piú innanzi non può arrivare; o vero che, ancor dipoi de l’essere ne l’ultimo grado, gli resta impressione di desiderio per sapere quel che gli manca, senza posservi mai pervenire, ancor che fusse beato per l’eccellenzia de l’amato oggetto sopra la potenzia e abito umano. Benché tal restante desiderio ne’ beati non debbe causare passione per il mancamento; poiché non è in possibilitá umana aver piú; anzi gli dá somma dilettazione l’essere venuti ne l’estremo de la sua possibilitá e nel conoscimento e amor divino.
Sofia. Poi che siamo venuti a questo, vorria sapere in che modo consiste questa beatitudine umana.
Filone. Diverse sono state l’oppinioni degli uomini nel suggetto de la felicitá. Molti l’hanno posta ne l’utile e possessione de’ beni de la fortuna e abbundanzia di quelli fin che dura la vita. Ma la falsitá di questa oppinione è manifesta: perché simili beni esteriori sono causati per li interiori; di modo che questi dependono da quelli, e la felicitá debbe consistere ne li piú eccellenti; e questa felicitá è fine de l’altre e non per nessuno altro fine; ma tutti son per questo, massime che simili beni esteriori sono in potere de la fortuna, e la felicitá debbe essere in potere de l’uomo. Alcuni altri hanno avuta diversa oppinione, dicendo che la beatitudine consiste nel delettabile: e questi sono l’epicurei, quali tengono la mortalitá de l’anima, e nissuna cosa credono essere felice ne l’uomo escetto la dilettazione in qual si voglia modo. Ma la falsitá di questa loro oppinione non è ancora occulta: perché il delettabile corrompe se medesimo quando viene in sazietá e fastidio, e la felicitá dá intero contentamento e perfetta satisfazione. E di sopra abbiamo detto che ’l fine del delettabile è l’onesto; e la felicitá non è per altro fine, anzi è causa finale d’ogni altra cosa. Sicché senza dubio la felicitá consiste ne le cose oneste e negli atti e abiti de l’anima intellettiva; quali sono li piú eccellenti e fine degli altri abiti umani; e son quelli mediante li quali l’uomo è uomo e di piú eccellenzia che nissuno altro animale.
Sofia. Quanti e quali sono questi abiti degli atti intellettuali?
Filone. Dico che son cinque: arte, prudenzia, intelletto, scienzia e sapienzia.
Sofia. In che modo le diffinisci?
Filone. L’arte è abito de le cose da farsi secondo la ragione; e son quelle che si fanno con le mani e con opera corporale; e in quest’arte s’intercludeno tutte l’arti meccaniche, ne le quali s’adopera l’instrumento corporale. La prudenzia è abito degli atti agibili secondo la ragione, e consiste ne l’opera de’ buoni costumi umani; e in questa s’interclude tutte le virtú che s’operano mediante la volontá e gli effetti volontari d’amore e desiderio. L’intelletto del quale [abito] è principio di sapere; quali abiti son conosciuti e concessi da tutti naturalmente, quando li vocabuli sono intesi: come è quello che ’l bene si debbe procurare e il male fuggire e che li contrari non possono stare insieme e altri simili, ne’ quali la potenzia intellettiva s’opera nel suo primo essere. La scienzia è abito de la cognizione e conclusione, qual si genera de li sopradetti princípi: e in questa s’interclude le sette arti liberali, nella quale s’opera l’intelletto nel mezzo del suo essere. La sapienzia è abito di tutte due insieme, che è di principio e di conclusione di tutte le cose che hanno essere. Questa sola arriva al conoscimento piú alto de le cose spirituali; e li greci la chiamano teologia, che vuol dire scienzia divina; e chiamasi prima filosofia, per essere capo di tutte le scienzie; e il nostro intelletto s’opera in questa nel suo ultimo e piú perfetto essere.
Sofia. La felicitá in quale di questi due abiti veri consiste?
Filone. Manifesto è che non consiste in arte né in cose artificiali, che piú presto levano la felicitá che la procaccino; ma consiste la beatitudine negli altri abiti, gli atti de’ quali s’includeno in virtú o sapienzia, ne le quali veramente la felicitá consiste. Sofia. Dimmi piú particolarmente in qual di queste due consiste ultimamente la felicitá, o ne la virtú o ne la sapienzia.
Filone. Le virtú morali son vie necessarie per la felicitá; ma il proprio suggetto di quelle è la sapienzia, la quale non saria possibile averla senza le virtú morali: ché chi non ha virtú non può essere sapiente, cosí come il savio non può essere privato di virtú. Di modo che la virtú è la via de la sapienzia, e lei il luogo de la felicitá.
Sofia. Molte sono le sorte del sapere e diverse sono le scienzie, secondo la moltitudine de le cose acquistate e la diversitá e modo che son conosciute da l’intelletto. Dimmi adunque in quale e in quante consiste la felicitá: se è in conoscere tutte le cose che si truovano, o in parte di quelle, o se consiste ne la cognizione d’una cosa sola; e qual potria essere quella cosa che la sua cognizione fa il nostro intelletto felice.
Filone. Furono alcuni sapienti che stimarono consistere la felicitá ne la cognizione di tutte le scienzie de le cose; e in tutte, senza mancarne alcuna.
Sofia. Che ragione mostrano in confirmazione de la loro oppinione?
Filone. Dicono che ’l nostro intelletto è in principio pura potenza d’intendere; la qual potenzia non è determinata a alcuna sorte di cose, ma è comune e universale a tutte; e, come dice Aristotile, la natura del nostro intelletto è possibile a intendere e ricevere ogni cosa, come la natura de l’intelletto agente; che è quello che fa le simili intellettive, e illumina di quelle il nostro intelletto, e gli fa fare ogni cosa intellettuale, e illumina e imprime ogni cosa ne l’intelletto possibile, e non è altro che essere redutto da la sua tenebrosa potenzia a l’atto, illuminato per l’intelletto agente. Segue che la sua ultima perfezione e sua felicitá debbe consistere ne l’essere interamente redutto di potenzia in atto di tutte le cose che hanno essere: perché, essendo esso in potenzia a tutte, debbe essere la sua perfezione e felicitá nel conoscerle tutte; di sorte che nissuna potenzia né mancamento resti in lui. E questa è l’ultima beatitudine e felice fine de l’intelletto umano. Nel qual fine dicono che ’l nostro intelletto è privato in tutto di potenzia ed è fatto attuale; e in tutte le cose s’unisce e converte nel suo intelletto agente illuminante per la rimozione de la potenzia, qual causa la sua diversitá. E in questo modo l’intelletto possibile si fa puro in atto: la quale unione è ultima perfezione e la vera beatitudine. E questa si chiama felice coppulazione de l’intelletto possibile con l’intelletto agente.
Sofia. Questa loro ragione mi pare manco efficace che alta; ma piú presto mi pare che inferisca il non essere de la beatitudine, che ’l modo de l’essere suo.
Filone. Perché?
Sofia. Perché, se non può essere l’uomo beato fin che non abbi conosciuto tutte le cose, non potrá mai essere: ché è quasi impossibile un uomo venire in cognizione di tutte le cose che sono, per la brevitá de la vita umana e la diversitá de le cose de l’universo.
Filone. Vero è quel che dici. E manifestamente è impossibile che un uomo conosca tutte le cose, e ciascuna per sé separatamente. Però che in diverse parti de la terra si truova tante diverse sorte di piante, e d’animali terrestri e volanti, e d’altri misti non animati; e un uomo non può scorrere tutto il cerchio de la terra per conoscerli e vederli tutti. E quando potesse vedere il mare e sua profonditá, ne la quale si truovano molte piú spezie d’animali che ne la terra (tanto che si dubbita di qual si truovi piú nel mondo o d’occhi o di peli; perché si stima non essere manco il numero degli occhi marini che ’l numero de’ peli degli animali terrestri); ne fa bisogno esplicare l’incomprensibile riconoscimento de le cose celesti, né del numero de le stelle de l’ottava sfera, né de la natura e proprietá di ciascuna. La moltitudine de le quali formano quaranta otto figure celesti: de le quali dodici sono nel zodiaco, che è la via per la quale il sole fa il suo corso; e vintiuna figura sono a la parte settentrionale de l’equinozio, fino al polo artico manifesto a noi altri, qual chiamano tramontana; e l’altre quindici figure che restano, son quelle che noi altri possiamo vedere ne la parte meridionale, da la linea equinoziale fino al polo antartico a noi altri occulto. E non è dubbio che in quella parte meridionale, circa del polo, si truovano molte altre stelle, in alcune figure a noi altri incognite per essere sempre sotto al nostro emisferio; del qual siamo stati migliara d’anni ignoranti, benché al presente se n’abbia qualche notizia per la nuova navigazione de’ portughesi e spagnuoli. Né bisogna esprimere quel che non sapiamo del mondo spirituale, intellettuale e angelico, e de le cose divine; de le quali nostra cognizione è minore che una goccia d’acqua in comparazione di tutto il mare oceano. E lasso ancor di dire quante cose di quelle che vediamo che non le sapiamo, e ancor de le proprie nostre: tanto che si truova chi dice le proprie differenzie essere a noi altri ignoranti. Ma almanco non si dubita essere molte cose nel mondo che non le possiamo vedere né sentire, e per questo non le possiamo intendere: ché, come dice il Filosofo, nissuna cosa è ne l’intelletto che prima non sia nel sentimento.
Sofia. Come! non vedi tu che le cose spirituali s’apprendeno per l’intelletto senza essere mai viste o sentite?
Filone. Le cose spirituali son tutte intelletto: e l’intellettual luce è ne l’intelletto nostro come è in se medesima, per unione e propria natura. Ma non è come le cose sensate: che, avendo bisogno de l’intelletto per l’opera de l’intellezione, si ricevono in quello come una cosa ne l’altra si riceve; che, per essere tutte materiali, con veritá si dice che non possono essere ne l’intelletto se prima non si truovino nel senso, che materialmente le conosce.
Sofia. Tutti quelli che intendono le cose spirituali, credi tu l’intendino per quella unitá e proprietá che hanno con il nostro intelletto?
Filone. Non dico questo; se bene è questa la perfetta coniunzione de le cose spirituali. Si truova un altro modo ancora, che si conoscono le cose spirituali per l’effetti visti o sentiti; come vedi che, per il continuo movimento del cielo, si conosce che il motore non è corpo né virtú corporea, ma intelletto spirituale separato da materia; sí che, se l’effetto del suo movimento non fusse prima nel sentimento, non saria conosciuto. Doppo questa cognizione ne viene un’altra piú perfetta de le cose spirituali: che si fa intendendo il nostro intelletto la scienzia intellettuale in se medesima, truovandosi in atto per la identitá de la natura e unione sensuale che ha con le cose spirituali.
Sofia. Intendo questo. Non lassiamo il filo. Tu dici che la beatitudine non può consister nel conoscimento di tutte le cose, perché è impossibile. Vorria sapere come alcuni uomini savi abbino dato luogo a tale impossibilitá, non possendo consistere in quella la felicitá umana.
Filone. Quei tali non intendono consistere la beatitudine ne la cognizione di tutte le cose particulari, distribuitamente; ma chiamano sapere tutte le cose il sapere di tutte le scienzie, che trattano di tutte le cose in un certo ordine e universalitá; che, dando notizia de la ragione di tutte le cose e di tutte le sorte de l’essere suo, dánno universal conoscimento di tutte, se bene alcune particularmente non si truovano nel sentimento.
Sofia. E questo conoscimento di tutte le cose è possibile che l’abbi un uomo?
Filone. La possibilitá di questo è molto lontana. Onde il Filosofo dice che tutte le scienzie, da una parte, sono facili da truovarsi e, da l’altra, difficili: son facili in tutti gli uomini e difficili in uno solo. E se pure si truovassero, la felicitá non può consistere in conoscimento di molte e diverse cose insieme: perché, come il Filosofo dice, la felicitá non consiste in abito di cognizione, ma ne l’atto di quello: ché il sapiente quando dorme non è felice, ma quando fruisce e gode de l’intelligenzia è felice. Adunque, se cosí è, in uno solo atto d’intendere di necessitá consiste la beatitudine: perché, se ben si possono tenere insieme molti abiti di scienzia, non però si può attualmente intendere piú che una cosa sola: di modo che la felicitá non in tutte né in molte e diverse cose conosciute può consistere, ma solamente in cognizione d’una cosa sola bisogna consista. È ben vero che, per venire a la beatitudine, bisogna prima grande perfezione in tutte le scienzie: cosí ne l’arte del dimostrare e dividere la veritá dal falso in ogni intelligenzia e discorso, la quale si chiama logica; come ne la filosofia morale, o ne l’usare de la prudenzia e de le virtú agibili; come ancora ne la filosofia naturale, che è de la natura di tutte le cose che hanno movimento, mutazione e alterazione; come ancora ne la filosofia matematica, quale è de le cose che hanno quantitá, o numerabili o mensurabili. La quale, se si conosce di numero assoluto, fa la scienzia de l’aritmetica; e se è di numero di voci, fa la scienzia de la musica; ed essendo di misura assoluta, fa la scienzia de la geometria; e, se tratta de la misura de’ corpi celesti e suoi movimenti, fa la scienzia de l’astrologia. E sopra tutto bisogna essere perfetto in quella parte della dottrina che è piú prossima a la felice coniunzione; la quale è la prima filosofia, che sola si chiama sapienzia: e questa tratta di tutte le cose che hanno essere, e di quelle intende, piú principalmente, quanto maggior e piú eccellente essere hanno. Questa sola dottrina tratta de le cose spirituali ed eterne. L’essere de le quali, circa la natura, è molto maggiore e piú conosciuto de l’essere de le cose corporee e corruttibili; ben che sieno manco conosciute da noialtri che le corporee per non potersi comprendere da’ nostri sensi come quelle. Tal che il nostro intelletto è, ne la cognizione, come l’occhio del spiritello a la luce e cose visibili; che la luce del sole, che in sé è la piú chiara, non la può vedere, perché il suo occhio non è bastante a tanta chiarezza e vede il lustro de la notte che gli è proporzionato. Questa sapienzia e prima filosofia è quella che arriva al conoscimento de le cose divine possibili a l’umano intelletto: e [per] questa causa si chiama teologia, che vuol dire sermone di Dio. Di sorte che il sapere de le diverse scienzie è necessario per la felicitá; ma essa non consiste giá in quelle, anzi in una perfettissima cognizione d’una cosa sola.
Sofia. Dichiarami che cognizione è questa, e di che cosa, che sola fa l’uomo beato: che sia qual si voglia, a me pare strano che abbi a precedere in causa la felicitá a la cognizione de la parte [piú] che del tutto: ché quella prima ragione, per la quale concludesti consistere la felicitá ne l’attuale conoscimento di tutte le cose o scienzie in le quali nostro intelletto è in potenzia, mi pare che concluda che, essendo quello in potenzia, tutta la sua beatitudine debbe consistere in conoscerle tutte in atto. E se è cosí, come può essere felice con una sola cognizione, come tu dici?
Filone. L’argumenti tuoi concludeno; ma le ragioni dimostrano piú [tosto] come la veritá non può essere contraria de la veritá, e bisogna dar luogo a l’una o a l’altra. E debbi intendere che la felicitá consiste nel conoscere una cosa sola; [e] che nel conoscimento di tutte, ciascuna per sé divisamente, non può consistere; anzi [di] tutte insieme in uno conoscimento d’una sola cosa, nella quale sono tutte le cose de l’universo. E, quella conosciuta, si conoscono tutte insieme, in uno atto e in maggiore perfezione che se fussero conosciute ciascuna da per sé divisamente.
Sofia. Qual’è questa cosa che, essendo solamente una, è tutte le cose insieme?
Filone. L’intelletto, di sua propria natura, non ha un’essenzia signalata, ma è tutte le cose. E se è intelletto possibile, è tutte le cose in potenzia: ché la sua propria essenzia non è altro che l’intendere di tutte le cose in potenzia. E se è intelletto in atto, puro essere e pura forma, contiene in sé tutti li gradi de l’essere e de le forme e degli atti de l’universo: tutti insieme in essere, in unitá e in pura simplicitá. Di modo che chi lo può conoscere vedendolo in essere, conosce, in una sola visione e simplicissima cognizione, tutto l’essere di tutte le cose de l’universo insieme, in molta maggiore perfezione e puritá intellettuale di quelle che si truovono in se medesime: perché le cose materiali hanno molto piú perfetto essere ne l’attuale intelletto, che in quello che hanno in sé proprio. Sí che, con il solo conoscimento de l’attuale intelletto si conosce il tutto de le scienze de le cose e si fa l’uomo beato.
Sofia. Dichiarami adunque che intelletto è questo che, conoscendosi, causa la beatitudine.
Filone. Tengono alcuni che sia l’intelletto agente, che, coppulandosi con il nostro intelletto possibile, veggono tutte le cose in atto insieme con una sola visione spirituale e chiarissima, per la quale si fa beato. Altri dicono che la beatitudine è quando nostro intelletto, illuminato totalmente da la coppulazione de l’intelletto agente, è fatto tutto attuale senza potenzia, e vede in se medesimo secondo sua intima essenzia intellettiva; ne la quale sono, e vede, tutte le cose spiritualmente e, in uno e medesimo intelligente, la cosa intesa e l’atto de l’intellezione, senza alcuna differenzia né diversitá di scienzia. Ancora questi dicono che, quando in tal modo il nostro intelletto è essenziato, si fa e resta uno medesimo essenzialmente con l’intelletto agente, senza restare in loro alcuna divisione o multiplicazione. E in questi modi ragionano de la felicitá i piú chiari de’ filosofi. E largo saria, ma non proporzionato al nostro parlamento, il dire quello adducono in pro e in contra. Ma quello ch’io ti dirò è che gli altri che piú contemplano la divinitá, dicono (e io con quelli insieme) che l’intelletto attuale, che illumina il nostro possibile, è l’altissimo Dio; e cosí tengono per certo che la beatitudine consiste ne la cognizione de l’intelletto divino. Nel quale sono tutte le cose primamente e piú perfettamente che in alcuno intelletto creato: perché in quello sono tutte le cose effettualmente, non solamente per ragione d’intelletto, ma ancor causalmente, come in prima e assoluta causa di tutte le cose che sono. Di modo ch’è la causa che le produce, la mente che le conduce, la forma che le informa; e per il fine che l’indirizza, son fatte; e da lui vengono, e in lui ultimamente ritornano come in ultimo e vero fine e comune felicitá. Ed è il primo essere; e per sua participazione tutte le cose sono. Lui è il puro atto; lui il supremo intelletto dal quale ogni intelletto, atto, forma e perfezione depende. E a quello tutte s’indirizzano come a perfettissimo fine; e in esso spiritualmente stanno, senza divisione o multiplicazione alcuna, anzi in simplicissima unitá. Esso è il vero felice. Tutti hanno bisogno di lui, e lui di nissuno. Vedendo se medesimo, tutti conosce; e, vedendo, è da sé visto. E la sua visione, tutto è somma unitá a chi il può vedere e, se ben non è capace, conosce di quello quanto è capace. E vedendo l’intelletto umano o angelico, secondo la sua capacitá e virtú, tutte le cose insieme in somma perfezione, participa la sua felicitá, e per quella si fa e resta felice secondo il grado del suo essere. Non ti dirò piú di questo, perché la qualitá de la nostra narrazione non il consente; né ancor la lingua umana è suffiziente a esprimere perfettamente quello che l’intelletto in questo sente; né per le voci corporali si può esprimere l’intellettual puritá de le cose divine. Basta che sappi che la nostra felicitá consiste nel conoscimento e visione divina, ne la quale tutte le cose perfettissimamente si veggono.
Sofia. Non ti dimandarò piú di questo caso, che mi pare basti in quanto alle mie forze, se giá non è superfluo. Ma un dubbio m’occorre, ch’io ho inteso altre volte: che la felicitá non consiste precisamente in conoscere Dio, ma in amarlo e fruirlo con dilettazione.
Filone. Essendo Dio il vero e solo oggetto de la nostra felicitá, noi altri l’amiamo con conoscimento e amore. E li sapienti furono diversi in questi due atti: cioè, se proprio atto de la felicitá è conoscere Dio, o vero amarlo. E a te deve bastare il sapere che l’uno e l’altro atto fa di bisogno ne la beatitudine.
Sofia. Vorria sapere la ragione che ha mosso ciascuno de l’inventori di queste due sentenzie.
Filone. Quelli che tengono che la felicitá consiste in amare Dio, fanno questa ragione: che la beatitudine consiste ne l’ultimo atto che la nostra anima opera verso di Dio, per essere quello l’ultimo fine umano; e come sia che prima bisogna conoscerlo e di poi amarlo, ne segue che, non nel conoscimento, ma ne l’amor di Dio, che è l’ultimo atto, consiste la felicitá. S’aiutano ancora de la dilettazione che è principale ne la felicitá; la quale è de la volontá. Onde dicono che il vero atto felice è volontario: cioè l’amore; nel quale consiste la dilettazione e non ne l’atto intellettuale, perché [questo] non partecipa cosí de la dilettazione. Gli altri in contrario fanno questa ragione e dicono: che la felicitá consiste ne l’atto de la principale e piú spirituale potenzia de l’anima nostra: e come sia che l’intellettiva potenzia è piú principale che la volontá e piú astratta da materia, ne segue che la beatitudine non consiste ne l’atto de la volontá, che è amarlo, ma dicono che al conoscimento segueno l’amor e la dilettazione come accessorie, ma che non sono il fin principale.
Sofia. Non manco efficace mi pare l’una ragione che l’altra; pur vorria sapere la tua determinazione.
Filone. È difficile cercare di terminare una cosa tanto disputata dagli antichi filosofi e moderni teologi; ma per contentarti sol questo ti voglio dire in questa nostra narrazione, con la quale m’hai disviato dal dirti, come desidero, l’afflizione del mio animo verso di te.
Sofia. Dí questo solamente. E di poi che saremo sazi de le cose divine, piú puramente potremo parlare de la nostra amicizia umana.
Filone. Fra le proposizioni che sono vere e necessarie, l’una è che la felicitá consiste ne l’ultimo atto de l’anima, come in vero fine; l’altra è che consista ne l’atto de la piú nobile e spiritual potenzia de l’anima, e questa è l’intellettiva. Ancor non si può negare che l’amore presuppone conoscimento; ma non per questo segue che l’amore sia l’ultimo atto de l’anima. Perché tu puoi sapere che di Dio [e di] tutte le cose amate e desiderate si truovano di due sorte di conoscere. L’una è innanzi de l’amore causato da quella, la quale non è cognizione perfettamente unitiva. L’altra è dipoi de l’amore, da l’amore causata: la qual cognizione unitiva è fruizione di perfetta unione; ché ’l primo conoscimento del pane fa che l’ami e desideri chi ha fame; ché, se prima non lo conoscessi esemplarmente, non lo potria amare e desiderare. E mediante questo amore e desiderio veniamo a la vera cognizione unitiva del pane, la quale è quando in atto si mangia: ché la vera cognizione del pane è gustarlo. E cosí accade de l’uomo con la donna: che conoscendola esemplarmente s’ama e desidera, e da l’amore si viene al conoscimento unitivo che è il fine del desiderio. E cosí è in ogni altra cosa amata e desiderata: ché in tutte l’amore e desiderio è mezzo che ci leva da l’imperfetto conoscimento a la perfetta unitá che è il vero fine d’amore e desiderio; quali sono affetti de la volontá che fanno, de la divisa cognizione, fruizione di cognizione perfetta e unita. E quando intenderai questa naturalitá intrinseca, conoscerai che non son lontani dal mentale desiderio né si discostano da l’amore mentale, se bene l’aviamo di sopra in suggetto comune altrimenti esplicato. Di modo che l’amore veramente si può diffinire che sia desiderio di godere con unione la cosa conosciuta per buona; e ancor che il desiderio, come altra volta t’ho detto, presupponga assenzia de la cosa desiderata. Ora ti dico che, quando bene la cosa buona sia e si possegga, si può in ogni modo desiderare non d’averla (poi che è avuta), ma di fruirla con unione conoscitiva; e questa futura fruizione si può desiderare, perché ancor non è. Questo tal desiderio si chiama amore; ed è di cose non avute che si desideravano avere, o veramente de l’avute che si desiderano godere con unione; e l’uno e l’altro propriamente si chiama desiderio, ma il secondo piú propriamente amore. Di sorte che diffiniamo l’amor desiderio di fruir con unione, o veramente desiderio di convertirsi con unione ne la cosa amata. E tornando a l’intento nostro, dirò che: prima, quel conoscimento debbe essere di Dio; secondo, che si può avere, di cosa tanto immensa e tanto alta. E conoscendo noialtri la sua perfezione, perché non bastiamo a conoscerla interamente, l’amiamo, desiderando fruirlo con unione conoscitiva la piú perfetta che sia possibile. Questo tanto amore e desiderio fa che siamo astratti in tanta contemplazione, che ’l nostro intelletto si viene a sollevare: in modo che, illuminato d’una singolare grazia divina, arriva a conoscere piú alto che l’umano potere e l’umana speculazione; e viene in una tale unione e coppulazione col sommo Dio, che piú presto si conosce nostro intelletto essere ragione e parte divina, che intelletto in forma umana. E allora si sazia il desiderio suo e l’amore, con molta maggior satisfazione di quella che aveva nel primo conoscimento e nel precedente amore. E ben potria essere che restasse l’amore e il desiderio, non d’avere il conoscimento unitivo, ché giá l’ha avuto, ma di continuare la fruizione di tal unione divina, che è verissimo amore. E ancora non affirmaria che si senta dilettazione in quello atto beato, escetto in tempo che s’acquistò: perché allora si ha dilettazione, per acquistare la cosa desiderata che mancava. Ché la maggior parte de le dilettazioni sono per remedio del mancamento e per l’acquisto de la cosa desiderata; ma, fruendo l’atto de la felice unione, non resta impressione alcuna di difetto, anzi una intera satisfazione d’unitá, la quale è sopra ogni dilettazione, allegrezza e gaudio. E in conclusione ti dico che la felicitá non consiste in quello atto conoscitivo di Dio il quale conduce l’amore, né consiste ne l’amore che a tal cognizione succede; ma sol consiste ne l’atto coppulativo de l’intima e unita cognizione divina, che è la somma perfezione de l’intelletto creato. E quello è l’ultimo atto e beato fine, nel quale piú presto si truova divino che umano. E per questo la sacra scrittura, — di poi che ci ammonisce che debbiamo conoscere la perfetta e pura unitá di Dio, e, di poi, che dobbiamo amarlo piú che l’utile della cupiditá e piú che il delettabile de l’appetito e piú che ogni altro onesto de l’anima e volontá razionale,— dice, per ultimo fine: Pertanto con esso Dio vi coppulate; e in un’altra parte, promettendo l’ultima felicitá, solamente dice: Et con esso Dio vi coppularete; senza promettere nissuna altra cosa, come vita, eterna gloria, somma dilettazione, allegrezza e luce infinita, e altre simili; perché questa coppulazione è la piú propria e precisa parola che significhi la beatitudine; la qual contiene tutto il bene e perfezione de l’anima intellettiva, come quella che è sua vera felicitá. È ben vero che in questa vita non è cosí facile avere tal beatitudine; e quando ben si potesse avere, non è cosí facile continuare in quella sempre. E questo è che, mentre viviamo, il nostro intelletto ha qualche sorte di vincolo con la materia di questo nostro fragil corpo. E per questa causa qualcuno, che è venuto a tal coppulazione in questa vita, non continuava sempre in quella per la colligazione corporea: anzi, dipoi de la coppulazione divina, tornava a riconoscere le cose corporee come prima; escetto che, ne la fine de la vita stando, l’anima coppulata lassò in tutto il corpo, retinendosi lei con la divinitá coppulante in somma felicitá. L’anima di poi, separata da questa colligazione corporea, essendo stata di tanta eccellenzia senza impedimento alcuno, gode in eterno sua felice coppulazione con la luce, de la sorte che godeno quella li beati angeli e intelligenzie separate, motori e celesti corpi, ciascuno secondo il grado de la sua dignitá e perfezione perpetuamente. Al presente mi pare, o Sofia, che ti debbi bastare questo poco de le cose spirituali; e tornando a me, vedi s’io posso remediare alla passione che mi dánno li miei affetti volontari per sostentazione di questa corporea compagnia.
Sofia. Voglio prima saper da te di qual sorte d’amore è quel che dici che mi porti; perché, avendomi tu mostrato la qualitá di molti differenti amori e desidéri che in gli uomini si truovono, e avendoli tutti colligati in tre sorte d’amore, però dechiarami di qual di queste sorti d’amore è quello che mi porti.
Filone. La sorte de l’amor ch’io ti porto, o Sofia, non la posso intendere né la so esplicare. Sento sue forze, ma non le comprendo: ché, essendo sí appassionato, di me è fatto signore e di tutto l’animo. E come principale amministratore mi conosce; e io, che son servo comandato, non basto a conoscerlo. Niente di manco conosco che il desiderio mio cerca il delettabile.
Sofia. Se cosí è, tu non debbi domandare remedio ch’io satisfacci a la tua volontá, né incolparmi se non te lo concedo: ché giá m’hai mostrato che, quando si consegue l’affetto delettabile del desiderio, non solamente cessa il desiderio, ma ancora si priva d’amore e convertesi in odio.
Filone. Non ti contenti eleggere de la nostra confabulazione per te dolce frutto e salutifero! Ma cosí Dio non vuole che elegga, per darmi in satisfazione frutto amaro e velenoso. E in questo non potrai lodarti di gratitudine né adornare di pietá, poi che con la saetta, che il mio arco tira in tuo favore, tu crudelmente vuoi trapassare il cuore.
Sofia. Se l’amarmi reputi cosa degna, come io stimo, saria indegna cosa ch’io causassi che si privasse l’amore che mi porti, concedendo la satisfazione del tuo desiderio; e in questa concessione sarei veramente crudele non meno a me che a te, privando te de l’amore verso di me e me d’essere amata. E sarò pietosa a tutti due negandoti il fine del tuo sfrenato desiderio, acciò non abbi fine il soave amore.
Filone. Tu t’inganni, o mi vuoi ingannare, facendomi fondamento falso e non al proposito de l’amore, ch’io t’abbi detto che cercare il desiderato facci privare l’amore e convertirlo in odio; che non è cosa piú falsa.
Sofia. Come falsa? Non hai tu detto che la qualitá de l’amor delettabile è quella che la sua sazietá si converte in odio fastidioso?
Filone. Non ogni delettabile, quando si cerca, viene in fastidio; che la virtú e il sapere dilettano la mente e mai fastidiano, e si procura e desidera il suo crescimento. E non solamente queste cose che sono oneste, ma ancora l’altre non oneste, come la potenzia, onori, ricchezze, dilettano quando s’acquistano e non vengono mai in fastidio; anzi, quanto piú di quelle si ha, piú sí desiderano.
Sofia. Mi pare che contradica a quel che hai detto di sopra del delettabile.
Filone. Quel che di sopra ho detto è che ’l delettabile a li sentimenti esteriori solamente e ancor a li materiali (come è il gusto e il tatto) adduce sazietá e fastidio; ma quello che diletta gli altri sentimenti, come il vedere, udire e odorare, non gli tira cosí in sazietá e fastidio. Dice Salomone che non si sazia l’occhio di vedere né l’orecchia d’udire; e molto manco si sazia la fantasia e immaginazione de le cose che le dilettano, come son gli onori, le ricchezze, domíni e simili cose. Le quali sempre si cercano: ma molto piú insaziabile è la dilettazione de la mente e de l’intelletto negli atti virtuosi e sapienti. La dilettazione de’ quali quanto piú è insaziabile tanto piú è eccellente e onesta.
Sofia. Intendo bene che la dilettazione, quanto è in potenzia piú spirituale de l’anima, tanto piú è insaziabile e manco fastidiosa. Ma secondo il comune uso, la dilettazione, che ’l tuo desiderio cerca da me, è del sentimento del tatto; che è quello nel quale piú presto cade la sazietá fastidiosa; si che di ragione si può negare.
Filone. Manifesto è che a li sensi del tatto e del gusto (li quali fra tutti cinque son fatti, non solamente per sostentazione de la vita de l’uomo individuo, ma ancora per sostentazione de la spezie umana, con la simigliante generazione successiva, che è opera del tatto) la natura ha posto termine a l’opera di questi due piú che a nissuno degli altri sentimenti, che sono vedere, udire e odorare. E la causa è perché questi tre non son necessari a l’essere individuale de l’uomo né ancora a l’essere successivo de la specie, ma sono solamente per commoditá e utile degli uomini e degli animali perfetti. Donde, cosí come il suo essere non è necessario, cosí non ha bisogno di termini o limitazione ne la sua operazione; e cosí come il non vedere, il non udire, il non odorare non priva la vita de l’uomo, cosí non la priva il superfluo vedere, il superfluo udire, o il frequente odorare, se giá non fusse per accidente. Ma il gusto e il tatto, cosí come l’essere suo è necessario a la vita e successione umana, di modo che, se non fussero, si privaria; cosí l’escesso suo saria causa de la privazione de l’uomo: perché il molto mangiare e il molto bevere non manco ammazzaria l’uomo che la fame e la sete; e cosí la frequente coppula carnale; e l’escessivo caldo o freddo nel tatto saria causa de la sua corruzione. Ché, essendo vincolo di maggiore dilettazione in questi due sentimenti, per la necessitá sua a l’essere de l’uomo proprio e successivo, fu di bisogno limitarli naturalmente; perché, se bene la dilettazione li trasportasse a escesso dannoso, il limite naturale li refrenasse, acciò che tale escesso non potesse corrompere l’individuo. Di modo che la natura non manco sapienza ha usato in mettere natural limite e freno al sentimento del gusto e del tatto, [piú] che agli altri sentimenti, per la sua conservazione, che in quella che ha usato in producerli per l’essere suo. E se bene l’appetito de l’amante con l’unione coppulativa si sazia, e di continente cessa quel desiderio o veramente appetito; non per questo si priva il cordiale amore, anzi si collega piú la possibile unione. La quale ha attuale conversione d’uno amante ne l’altro, o vero è fare di due uno, removendo la divisione e diversitá di quelli quanto è possibile, restando l’amore in maggiore unitá e perfezione. E resta in continuo desiderio di godere con unione la persona amata; che è la vera diffinizione d’amore.
Sofia. Dunque mi concedi che ’l fine del tuo desiderio consiste nel piú materiale de li sentimenti, che è il tatto; ed essendo l’amore cosa cosí spirituale, come dici, mi maraviglio che metti il fin suo in cosa tanto bassa.
Filone. Non ti concedo che sia questo il fine del perfetto amore: ma t’ho detto che questo atto non dissolve l’amore perfetto, anzi il vincola piú e collega con gli atti corporei amorosi; che tanto si desiderano quanto son segnali di tal reciproco amore in ciascuno de’ due amanti. Ancora perché, essendo gli animi uniti in spirituale amore, i corpi desiderano godere la possibile unione, acciò che non resti alcuna diversitá e l’unione sia in tutto perfetta; massime perché, con la correspondenzia de l’unione corporale, il spirituale amore s’augumenta e si fa piú perfetto, cosí come il conoscimento de la prudenzia è perfetto quando corrispondeno le debite opere. E in conclusione ti dico che, ancor che di sopra abbiamo diffinito l’amore in comune, la propria diffinizione del perfetto amore de l’uomo e de la donna è la conversione de l’amante ne l’amato, con desiderio che si converti l’amato ne l’amante. E quando tal amore è eguale in ciascuna de le parti, si diffinisce conversione de l’uno amante ne l’altro.
Sofia. Ancora che le tue ragioni sieno non manco verisimili che sottili, io fo giudizio de l’esperienza: a la quale piú che a nissuna altra ragione si debbe credere. Si veggono molti che amano, e, avuto da le loro amate quello che desiderano degli atti corporei amorosi, non solamente cessa il loro desiderio, ma ancora l’amore totalmente e qualche volta si converte in odio. Come fu quello d’Amone figliuolo di David: il quale con tanta efficacia amò Athamar sua sorella, che era venuto per quella infermo e in pericolo di morte; e, dipoi che Jonadab con inganno e violenza gli fece conseguire quel che da lei desiderava, incontinente gli venne tanto in odio che cosí, in forma di violata, la fece partire di mezzo di casa sua.
Filone. L’amore è di due sorte. L’una genera il desiderio o vero appetito sensuale: ché, desiderando l’uomo alcuna persona, l’ama. E questo amore è imperfetto, perché depende da vizioso e fragile principio, perché è figlio generato dal desiderio: e tale fu l’amore d’Amon verso di Athamar. E questo è vero (come dici che interviene) che cessando il desiderio o appetito carnale, per la satisfazione e sazietá di quello, incontinente cessa totalmente l’amore; perché cessando la causa, che è il desiderio, cessa l’effetto, che è l’amore, e molte volte si converte in odio, come fu quello. Ma l’altro amore è quello che di esso è generato il desiderio de la persona amata, e non del desiderio o appetito; anzi, amando prima perfettamente, la forza de l’amore fa desiderare l’unione spirituale e corporale con la persona amata: sicché, come il primo amore è figliuolo del desiderio, cosí questo gli è padre e vero generatore. E questo amore quando ottiene quello che desidera, l’amore non cessa, se ben cessa l’appetito e desiderio; perché, levato l’effetto, non per quello si leva la causa. Massime che, come t’ho detto, non cessa mai il perfetto desiderio, che è di godere l’unione con la persona amata, perché questo è congionto sempre con l’amore ed è di sua propria essenzia; ma cessa immediate un particulare desiderio e appetito degli atti amorosi del corpo, per causa del limite terminato che la natura ha posto in quelli tali atti; e se bene non sono continui, niente di manco piú presto son vincoli di tale amore che occasione di dissolverlo. Di modo che non debbi scusarti del perfetto amor ch’io ti porto, per il defetto che si truova ne l’imperfetto: perché l’amor ch’io ti porto non è figliuolo del desiderio, anzi il desiderio è figliuolo di quello che gli è padre. E le mie prime parole furono, che il conoscerti causava in me amore e desiderio; non dissi desiderio e amore: perché il mio non procede mai dal desiderio; anzi fu primo di lui, come [questo] prodotto da quello.
Sofia. Se l’amor che tu mi porti non viene da l’appetito, né è generato dal desiderio, né nato d’ozio e lascivia umana (come dicono li nostri), fammi intendere chi è quello che l’ha prodotto. Ché non è dubbio che ogni amore umano si genera e nasce di nuovo, e a tutti li nati bisogna che ci sia generatore; ché non si può truovare figliuolo senza padre, né effetto senza causa.
Filone. Il perfetto e vero amore, che è quello che io ti porto, è padre del desiderio e figlio de la ragione; e in me la retta ragione conoscitiva l’ha prodotto. Che, conoscendo essere in te virtú, ingegno e grazia non manco di mirabile attraizione che di ammirazione, la volontá mia desiderando la tua persona, che rettamente è giudicata per la ragione in ogni cosa essere ottima e eccellente e degna di essere amata; questa affezione e amore ha fatto convertirmi in te, generandomi desiderio che tu in me ti converti, acciò che io amante possa essere una medesima persona con te amata, e in equale amore facci di due animi un solo, li quali simigliantemente due corpi vivificare e ministrare possino. La sensualitá di questo desiderio fa nascere l’appetito d’ogni altra unione corporea, acciò che li corpi possino conseguire in quella la possibile unione de li penetranti animi. Guarda, o Sofia, che per essere cosí successivamente in me da la ragione conoscitiva prodotto l’amore e da l’amore prodotto il desiderio, [apprendesti] per le mie prime parole, che il conoscerti causò in me amore e desiderio; perché il conoscimento ch’io ebbi de le tue amabili proprietá causò ch’io t’amasse, e l’amarti m’inviò a desiderarti.
Sofia. Come dici che ’l vero amore nasce da la ragione? Ché io ho inteso che ’l perfetto amore non può essere governato né limitato da ragione alcuna, e per questo il chiamano sfrenato, perché non si lassa domare di freno da la ragione né ornare da quella.
Filone. Hai inteso la veritá, ma s’io dissi che tale amore nasce de la ragione, non t’ho detto che si limiti e sia drizzato da questa. Anzi ti dico che, dipoi che la ragione conoscitiva il produce, l’amore, nato che è, non si lassa piú ordinare né governare da la ragione, da la quale fu generato; ma calcitra contro la madre e fassi, come dici, sfrenato tanto che viene in preiudizio e danno de l’amante, perché quel che bene ama, se medesimo disama. Il che è contra ogni ragione e dovere; ché l’amore è caritá e da se medesimo debbe principiare: il che non facciamo, ché amiamo piú altri che noi medesimi; né questo è poco. E per essere l’amore, dipoi che è nato privato d’ogni ragione, si dipinge cieco senza occhi; e perché la madre Venere ha gli occhi belli, però desidera il bello. E la ragione giudica la persona bella buona e amabile: e di qui nasce l’amore. Si dipinge Cupido ancora nudo, perché il grande amore non si può dissimulare con la ragione né coprire con la prudenzia, per l’intollerabili pene che lui dá. Ed è piccolino, perché gli manca la prudenzia, né per quella si può governare. Ha l’ale, perché amore con celeritá entra negli animi e con celeritá gli fa andare a trovare sempre la persona amata. Astratto da se medesimo; e per questo Euripide dice l’amante vive in corpo d’altri. Dipingesi saettando, perché ferisce da longa, e saetta il cuore come proprio segnale; ancor perché la piaga d’amore è come quella de la saetta improvisa, stretta di bocca e di profonda penetrazione, non facile a vedersi, difficile a curarsi, e molto grave a sanare. Chi mira quel di fuore, gli pare poco; ma secondo l’intrinseco è pericolosissima, e il piú de le volte si converte in fistola incurabile. E ancora, cosí come la piaga fatta da la saetta non si sana, se ben si distempera l’arco, o si rompe, che l’ha tirata; cosí quella che fa il vero amore non si remedia per alcuna dilettazione che la fortuna gli possa concedere e che la persona amata in alcun tempo gli possi dare, né ancor si può saldare per mancamento de la cosa amata ne l’irreparabil morte. Sicché non ti maravigliare se ’l perfetto amore, essendo figliuolo de la ragione, non è ordenato da quella.
Sofia. Anzi mi maraviglio che possa essere laudabile amore quello che non è governato da la ragione e prudenzia; ché io teneva che questa fusse la differenzia fra l’amore virtuoso e il lascivo in tutto disordenato e sfrenato; donde io sto pensando quale è il perfetto.
Filone. Non hai bene inteso, perché il sfrenamento non è proprio de l’amore lascivo, ma ha una proprietá ad ogni efficace e grande amore, o onesto o disonesto che sia; escetto che ne l’onesto sfrenamento fa maggiore la virtú, e nel disonesto fa maggiore l’errore. Chi può negare che negli onesti amori non si truovino maravigliosi e sfrenati desidéri? Qual piú onesto che l’amore divino? e qual è di maggiore infiammazione, e piú sfrenato? né si governa giá per la ragione reggitrice e conservatrice de l’uomo; ché molti per l’amore divino non stimano la persona e cercano perdere la vita; e alcuni per il molto amare Dio disamano se stessi, cosí come l’infelice, per molto amare se medesimo, disama Dio. E venendo alla conclusione, quanti hanno cerco finire la sua vita e consumare la persona infiammati de l’amore de la virtú e gloriosa fama? La qual cosa non il consente l’ordenaria ragione, anzi indirizza ogni cosa per poter vivere onestamente. E ti diria ancora che molti hanno cerco allegramente morire per amore de li suoi onesti amici; de’ quali ti potria dire molti esempli, che li lasso per non essere prolisso. Di poi non manco penso essere irreprensibile l'infiammato amore e la sfrenata affezione de l’uomo a la donna che de quella a l’uomo, pur che nasca da vero conoscimento e vero giudizio che la giudichi degna d’essere amata: qual amore tiene non manco de l’onesto che del delettabile.
Sofia. Pur vorrei che il tuo amore fusse regolato da la ragione, che gli è stata genitrice, la qual governa ogni degna persona.
Filone. L’amore che è regolato dalla ragione non vuole forzare l’amante; e ben che abbi il nome de l’amore, non ha l’effetto. Perché il vero amore sforza la ragione e la persona amante, con mirabile violenzia e d’incredibil sorte; e piú che altro impedimento umano, conturba la mente ove è il giudizio, fa perdere la memoria d’ogni altra cosa, e di sé solo l’empie, e in tutto fa l’uomo alieno da se medesimo e proprio de la persona amata; il fa inimico di piacere e di compagnia, amico di solitudine, malinconoso, pieno di passioni, circundato di pene, tormentato da l’afflizione, martorizzato dal desiderio, nutrito di speranza, stimulato da disperazione, ansiato da pensamenti, angosciato da crudeltá, afflitto da suspizioni, saettato da gelosia, tribulato senza requie, fadigato senza riposo, sempre accompagnato da dolori, pieno di sospiri; respetti e dispetti mai gli mancano. Che ti posso dire altro? se non che l’amore fa che continuamente la vita muoia e viva la morte de l’amante. E quel ch’io truovo di maggiore maraviglia è che, essendo cosí intollerabile ed estremo in crudeltá e tribulazioni, la mente per partirsi da quelle non spera, non desidera e non il procura, anzi, chi il conseglia e soccorre, il reputa mortale inimico. Ti pare, o Sofia, che in tal laberinto si possi guardare a la legge de la ragione e regola de la prudenzia?
Sofia. Non tante cose, o Filone! ch’io veggo bene che negli amanti piú abbonda la lingua che le passioni.
Filone. È segno che tu non le senti, perché tu non le credi; ché non si può credere la grandezza del dolore de l’amante, se non chi lo participa. Se mia infirmitá fusse cosí stata contagiosa, tu non solamente crederesti quel ch’io ti dico e patisco, ma molto piú. Perché quello ch’io sento, non il so dire, né tacerlo; né la minima parte di quel che patisco è quel ch’io dico. E come puoi tu pensare che ne l’afflizione, nella quale l’amante si truova tutto conturbato, la ragione confusa, la memoria occupata, la fantasia alienata, il sentimento offeso da immenso dolore; resti la lingua libera per poter fingere fabulose passioni? Quel che parlo è quello che le parole possono significare e la lingua esprimere. Il resto l’intenda chi l’avversa fortuna gliel’ha fatto sentire, e chi l’amarissima dolcezza d’amore ha gustato, e il suo saporito veleno in principio non ha saputo né voluto né possuto rifiutare; perché io, per mia fé, non ho né truovo modo di posserlo esplicare. Ardeno li miei spiriti, il mio cuore si consuma, e la mia persona è tutta un incendio. Chi in tal stato si truova, se potesse, non credi tu che si liberasse? ma non può, perché non ha la libertá di liberarsi né cercarsi di liberare. Come adunque si può governare per ragione chi non è in sua libertá? Ché tutte le suiezioni corporali lassano solamente la volontá libera; e la suiezione de l’amore è quella che lega prima la volontá de l’amante e di poi a quella tutta la persona insieme.
Sofia. Non è dubbio che gli amanti patiscono molte afflizioni finché abbino conseguito quel che piú desiderano; ma di poi tutta la fortuna viene in bonaccia. Di sorte che queste pene piú presto procedono dal desiderio de la cosa non avuta, che dal proprio amore di quella.
Filone. Né ancora in questo parli come esperta. Perché, di quelli amanti che le lor pene cessano con l’acquisto de la carnale dilettazione, l’amore loro non depende da la ragione, ma da l’appetito carnale; e, come di sopra t’ho detto, le loro pene e passioni son carnali, ma non spirituali come quelle immense di mirabile penetrazione e d’intollerabil pongimento che sentono quelli amanti l’amor de’ quali da ragione depende. Questi tali per carnai delettazione non ricevono al dolore remedio, né a l’amore mitigazione; anzi ti dico e affermo che, se le pene loro prima erano grandi, dipoi di tale unione sono molto maggiori e piú incomportabili.
Sofia. Qual’è la causa che, avendo quel che desiderano, la passione sua debbi crescere?
Filone. Perché tal amore è desiderio d’unione perfetta de l’amante ne la persona amata; la quale non può essere se non con la totale penetrazione de l’uno ne l’altro. Questo negli animi che sono spirituali è possibile: perché li spirituali incorporei con li mentali ed efficacissimi effetti si possono contrapenetrare, unirsi e convertirsi in uno. Ma in li diversi corpi che ciascuno di loro ricerca proprio luogo segnalato, questa tale unione e penetrazione, respetto de la desiderata, resta dipoi del desiderio piú ardente di quella unione, che perfettamente non si può conseguire. E procurando sempre la mente l’intera conversione ne la persona amata, lassa la propria, essendo sempre con maggiore affezione e pena per il mancamento de l’unione: la quale né ragione né volontá né prudenzia possono limitare, né resisterli.
Sofia. Mi pare che l’animo alquanto consenta a le tue ragioni. Ma una cosa mi resta in ogni modo strana di concedere: che si truovi amore o altra cosa buona ne l’uomo, o vero nel mondo, che non sia governata da la ragione. Poiché è manifesto lei essere la regolatrice e governatrice d’ogni cosa buona e laudabile (ché tanto è la cosa degna quanto partecipa di ragione); come adunque puoi affermare che ’l perfetto amore non sia governato da quella?
Filone. Poiché questo solo ti resta dubbio, questo solo ti voglio dichiarare ne la presente confabulazione. Debbi sapere che negli uomini si truovano due sorti di ragione: l’una chiameremo ordenaria e l’altra estraordenaria. L’intento de la prima è reggere e conservare l’uomo in vita onesta; donde tutte l’altre cose s’indirizzano a questo fine; e tutto quello che impedisce la buona vita umana, la ragione il desvia e reprova. Questa è quella ragione ch’io t’ho detto che non può limitare né governare il perfetto amore; perché tale amore pregiudica e offende la propria persona e vita e bene essere con intollerabili danni, per seguire la persona amata. Ma de la ragione estraordenaria l’intento suo è conseguire la cosa amata; e non attende a la conservazione de le cose proprie, anzi le pospone per l’acquisto de la cosa che s’ama, come si debbe posponere il manco nobile per il piú eccellente. Perché, come dice il filosofo, l’amato ha ragione di piú perfetto che l’amante: ché, essendo fine di quello, il fine è piú nobile che quello che è per il fine. Dipoi, ragionevolmente si debbe fatigarsi per quel che è piú: e lo puoi comprendere per esemplo naturale e morale. Naturale: vedrai ferire uno ne la testa e naturalmente porre innanzi il braccio per salvare la testa, per essere piú nobile. Cosí, essendo fatto uno l’amante e l’amato, ed essendo l’amato la parte piú nobile di questa unione e l’amante la manco nobile, naturalmente l’amante non schifa ogni afflizione e pena per acquistare l’amato; e con ogni cura e diligenzia il segue come vero fine, abbandonando ogni cosa propria di se stesso, come cosa che appartiene ad altri. L’esemplo morale è che, siccome la prima ragione ci comanda conservare le ricchezze per nostro proprio bisogno, a fine che bene e commodamente possiamo vivere; e la seconda ci comanda dispensarle commodamente in altri, come per fine piú nobile, qual è acquistare la virtú de la liberalitá; dunque la prima ragione ci comanda procurare l’utile e piaceri onesti, e la seconda ci comanda fatigare e travagliare l’animo e la persona per cosa piú nobile e degna, con ragione, d’essere amata.
Sofia. Qual di queste due sorte di ragione pensi tu, Filone, deversi seguire?
Filone. La seconda è piú degna e di eminente grado, cosí come la prudenzia del liberale è piú sublime nel dispensare le ricchezze virtuosamente, che la prudenzia de l’avaro in accumularle per il suo bisogno: ché, se bene è prudenzia l’acquistare ricchezze, maggiore e piú degna è distribuirle liberalmente. E l’uomo che si conserva con ragione in degno e eccellente amore, senza goderlo, è come un arboro sempre verde grande abbundante di rami, ma di nissun frutto; il quale veramente si può chiamare sterile. E senza dubbio, a chi manca eccellente amore, poche virtú l’accompagnano. È ben vero che chi diverte se medesimo a amor lascivo e brutto, qual nasce da appetito carnale, non confermo per la ragione de’ meriti de la cosa amata, è un arboro che produce frutto velenoso che mostra qualche dolcezza ne la scorza. Ma quel primo amore eletto da ragione si converte in gran suavitá, non solamente ne l’appetito carnale, ma ne la mente spirituale con insaziabile affezione. E quando tu saprai, o Sofia, di quanto momento sia l’amore in tutto l’universo mondo, non solamente nel corporeo ma molto piú nel spirituale, e come, da la prima causa che ogni cosa produce fin all’ultima cosa creata, non è alcuno senza amore; tu l’averai in maggior venerazione, e allora conseguirai maggiore notizia de la sua genealogia.
Sofia. Se mi vuoi lassare contenta, mostrarai questo ancora.
Filone. È tardi per simile narrazione. E giá è ora di dar riposo a la tua gentil persona, e lassare la mia mente afflitta ne la solita vigilia: quale, se ben resta sola, sempre è accompagnata da te, e non è manco soave che angosciosa contemplazione. Vale.