Luna paese incomodo/L'attuazione di una grande impresa
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L’attuazione di una grande impresa.
«Caro Max, qui tutto procede a maraviglia. Ma ci guardiamo bene da far noti i nostri disegni, i nostri esperimenti ai’ giornali. Ne avremmo alcuni favorevoli; altri invece, la maggior parte, ci assalirebbero con le loro critiche spietate e ci coprirebbero di ridicolo. Bisogna che tutto si svolga nell’ombra, come se invece di lavorare per il progresso e per la civiltá, noi preparassimo qualche mostruoso delitto. Le officine che costruiscono il razzo sanno che questa nostra macchina è destinata alla esplorazione della stratosfera, cosa ·divenuta di moda, oggi. Tutti, o col pensiero, o con l’aerostato, o con l’aeroplano, vanno nella stratosfera, átla ricerca di quei famosi raggi cosmici che nessuno sa ancora con precisione che cosa sieno; ma di cui tútti, ed in specie gli. scienziati, parlano con · religioso rispetto. Si è fatta molta strada, dopo il primo volo del prof. Piccard, e molta se ne fará ancora....». Io ridevo, leggendo queste parole di James. Sapevo bene che il genialissimo amico si compiaceva a volte di burlarsi della scienza e degli scienziati: ma senza cattiveria, perché, insomma, con quelle amabili ironie egli burlava se stesso e le proprie quotidiane fatiche. I raggi cosmici hanno sempre costituito il tema più affascinante dei miei studi. Che cosa, sono, insomma, i raggi cosmici?
Oggi gli scienziati affermano e spesso dimostrano sperimentalmente che dagli spazi cosmici, e specialmente da alcuni astri, ci giungono vere e proprie radiazioni, su onde e relative lunghezze di onde. L’origine e gli effetti di queste onde sul nostro centro planetario, il Sole, costituiscono il tema di studi, di ricerche da parte dei biologi e dei fisici.
Gli esperimenti compiuti fino ad oggi, nei laboratori, sugli aerei, sui più alti ghiacciai, hanno provato che queste radiazioni o vibrazioni dell’etere possono attraversare strati di materia spessa fino a dieci metri e che esiste anche una variazione diurna di queste onde, che si fanno più intense quando alcune regioni del cielo sono allo zenith piuttosto che in vicinanza o disotto all’orizzonte. Insomma, la scoperta dei raggi cosmici costituisce una conquista nuova ben degna di interesse, perché, tra l’altro, fa intravedere la possibilità di misteriose influenze e legami tra le. onde cosmiche e i fenomeni vitali su i vari pianeti. Ma lasciamo questo complicato argomento, estraneo al mio tema, e riprendiamo la cronaca del nostro viaggio.
Durante i giorni della mia lieve infermità, avevo scritto una lunga lettera a James per invitarlo a studiare bene il problema della pressione atmosferica nell’interno del vagone-razzo. L’uomo è un animale costruito per vivere in alcune condizioni essenziali: densità di atmosfera, pressione, luce, calore.
Vi sono tuttavia · casi nei quali l’uomo può sorpassare, data la sua grande adattabilità fisica, i suddetti limiti. Navigatori aerei sono arrivati all’altezza di oltre diecimila metri senza risentirne gran danno. Questo perché, in aeroplano o nella navicella di un «più leggero dell’aria», l’uomo non compie alcuno sforzo muscolare, mentre invece chi si innalza con i propri muscoli sui fianchi delle alte montagne prova assai più presto gravi disturbi circolatori di pressione. Nonostante è certo che l’uomo può sopportare, meglio degli animali, la bassa pressione atmosferica. Un gatto portato a quattromila metri muore: invece alcuni sacerdoti buddisti vivono magnificamente nel chiostro di Hanle (alto Tibet) a 5039 metri. Nel Perù, per continuare gli esempi, si trova una stazione postale a 4382 metri; La Paz a 3726 metri; Quito a 2908 metri. La capitale. dell’Etiopia è ad una quota di 2650 metri. In Europa, il più alto luogo abitato è l’ospizio del Gran San Bernardo, a 2474 metri.
Molti sanno che la vita animale terrestre finisce verso i 3000 metri di altezza. Solo gli insetti, in ispecie i coleotteri, si trovano nelle zone montane, a 4000 metri. Degli uccelli il più audace è il condor, che si spinge a novemila metri di altezza; l’aquila non supera i cinquemila e il nibbio i quattromila. Oltre i novemila metri l’aria è deserta, almeno apparentemente : perché forse si agitano ancora, invisibili, negli strati atmosferici, gli infusori, animalucci microscopici che il vento solleva come polvere e che sono sparsi fino ad altezze sconosciute.
Le condizioni nelle quali vivono gli uomini alla superficie della Terra, sono, press’a poco, quelle degli animali del mare; con la differenza che mentre noi siamo condannati a respirare nel fondo dell’oceano aereo, gli animali marini vivono negli strati superficiali del loro oceano. Ciò perché noi siamo costruiti per una pressione d’aria di un chilo per ogni centimetro quadro. La superficie di un uomo di media statura è di circa un metro e mezzo: ne viene di conseguenza che ciascuno di noi sopporta continuamente e senza protestare, il peso notevole di 15.soo chilogrammi!
Questa pressione corrisponde a 760 millimetri della colonna barometrica. Ma, come ho detto prima, l’uomo può agevolmente sfidare pressioni molto minori. A 7000 metri di altezza, cui spesso arrivano gli aviatori e gli aeronauti, la pressione è di soli 320 millimetri: meno della metà di quella normale.
Questa pressione dovrebbe trovarsi, secondo le ultime osservazioni degli astrofisici, sul pianeta Marte: ragione per cui, alla peggio, un abitante terrestre potrebbe vivere relativamente bene anche sulla superficie di Marte.
RESPIRARE : ECCO IL PROBLEMA
Sulla Luna.... Ora, in questi appunti, devo
scrivere una cosa che dispiacerà al mio buon
amico Piccardi che è un ostinato difensore d ella
teoria dell’abitabilità della Luna. Sulla Luna, purtroppo, non si sono trovate né con l’osservazione
diretta, né con la indagine indiretta, cioè con lo
spettroscopio, tracce di una atmosfera ponderabile. Forse sul nostro vecchio satellite screpolato e vetrificato l’aria si è rifugiata nelle cavità profonde, nei Crateri, nei crepacci: e, forse, se di questa atmosfera estremamente rarefatta si dovessero calcolare la densità e la costituzione, avremmo risultati inferiori a quelli offerti da un attento esame del gas rimasto in una macchina pneumatica dopo l’estrazione dell’aria. In tali condizioni, evidentemente, gli organismi terrestri non potrebbero svilupparsi e vivere: ma, può anche essere che nella Luna la vita abbia forme e costituzioni assolutamente diverse dalle nostre.
Anche sulla Terra troviamo esempi di organismi che vivono in elementi disparatissimi: il pesce delle grandi profondità. oceaniche, che può sopportare l’enorme pressione dell’acqua a duemila e più metri di profondità, e quei corpuscoli, bacteri e microrganismi, che rimangono sospesi nello spazio sin oltre i cinquemila metri.
James mi aveva risposto che non temessi di nulla, perché tanto lui che il professor Piccardi, arrivato in tempo per studiare a fondo il problema, erano riusciti, dopo esperimenti probativi, a formarsi l’assoluta certezza di poter vivere alcuni giorni nel vagone-razzo senza soffrire alcun disturbo circolatorio e di respirazione. L’aria, nell'interno dell’astronave, avrebbe avuto la stessa pressione di quella che gli uomini sono assuefatti a sopportare sulla superficie della Terra.
Il pericolo di essere troppo leggeri
Secondo dubbio: avevamo lungamente discusso con il prof. Piccardi durante la sua permanenza nel mio laboratorio, sulla gravità. Noi dovevamo, gradualmente, è vero, ma con.progressione rapidissima, arrivare. alla velocità di spinta di 11.280 metri al secondo.
Ė noto che questa benedetta faccenda del peso è proporzionata alla massa e per conseguenza alla forza di gravità del pianeta che ci ospita. Sulla Luna, dove la forza di attrazione è sette volte minore che sulla Terra, un uomo normale, che conservasse anche lassù inalterata la propria energia fisica, potrebbe alzare pesi di trecento e più chili e far salti di dieci o quindici metri. Su uno degli asteroidi che circolano tra Marte e Giove, lo stesso uomo compirebbe prodigi straordinari: potrebbe, con lievissimo sforzo, volare, e lanciar sassi oltre i confini ·dell’attrazione del piccolo pianeta. Trasportato su Giove, invece, astro enorme, millequattrocento volte più grosso della Terra, questo ipotetico viaggiatore durerebbe tica a tenersi in piedi, o forse perirebbe schiacciato dal proprio peso!
Per tornare al mio ragionamento, dirò che la immensa velocità impressa al nostro razzo farà perdere a noi e agli oggetti chiusi con noi nell’apparecchio gran parte del nostro peso. Noi dovremo forse infilare i piedi in speciali staffe assicurate al pavimento per non esser condannati a galleggiare continuamente nell’aria con rischio di battere, ad ogni mossa troppo brusca, la testa contro il soffitto. I fastidi di una simile condizione di cose sono facilmente immaginabili: occorrerà forse uno speciale allenamento per assuefarsi a maneggiare gli oggetti più comuni: dal fornello a spirito alla penna stilografica, dal cannocchiale al foglio di carta. Difficile anche ci riuscirà di mangiare: come, ad esempio, costringere due sardine a rimanere distese sul piatto, come versare nel bicchiere un po’ d’acqua, la quale, invece di scendere, salirà a fiotti rotondi verso il cielo dell’astronave?
Ma anche ammesso che simili inconvenienti si possano superare, la mancanza quasi totale del peso non provocherà qualche grave squilibrio nel nostro organismo? E dato che la mancanza di peso costituisca un pericolo, quali mezzi si dovranno mettere in pratica per attenuare questo squilibrio? Come si curerà, insomma, il «male dello spazio»?
Ecco i punti più difficili e forse più importanti dell’intero disegno. Perché a che gioverebbe fabbricare un razzo destinato ai viaggi nell’infinito, se i suoi abitatori dovessero servirsene soltanto per morire? Quale scopo avrebbe il lancio di un nostro veicolo «vuoto» sul pianeta Marte?
E necessario che le astronavi del duemila contengano esploratori e scienziati, i quali, al termine di ogni loro maravigliosa traversata, possano uscire sani e salvi dal loro veicolo per visitare il nuovo mondo su cui banno la fortuna di metter piede.
A queste mie osservazioni il prof. Piccardi e il buon James risposero con lunghe lettere tranquillanti. Secondo loro, insomma, nel vagonerazzo, piccolo pianeta lanciato nello spazio dalla volontà degli uomini (e dal mio esplosivo, aggiungo) dovrebbe costituirsi automaticamente una gravità proporzionale alla massa dell’apparecchio. Non gran cosa: ma sufficiente, tuttavia, a mantenere la coesione delle nostre cellule.
E allora, Dio ci aiuti!
Il trasporto dell’esplosivo
Ormai eravamo vicini alla data fissata per il grande tentativo: il 1° settembre 1937. James e i1 prof. Nicola Piccardi mi avevano raccomandato, di prendere il · più presto possibile un piroscafo per Nuova York: avevano necessità assoluta della mia collaborazione per gli ultimi preparativi. Si presentava però un arduo quesito alla mia coscienza: il trasporto delle fiale dello esplosivo a bordo di una nave passeggeri. · Potevo io mettere tanti miei simili in un rischio cosi terribile? Non pensai neanche per un attimo a procedere per ’la via apparentemente più breve e più semplice, cioè quella di rivelare il mio segreto alla direzione della Compagnia di navigazione. Certamente avrei incontrato difficoltà di vario genere, senza contare il danno sicuro di rendere palese una scoperta cosi straordigaria. No, no, il mezzo più sicuro era quello di portare a bordo le fiale in due casse speciali, nelle quali io avessi praticamente annullati gli effetti di qualche possibile urto brusco, e dove la temperatura adatta per la conservazione di ciascun tipo di esplosivo fosse sempre. rigorosamente mantenuta. La mia coscienza, è vero, mi gridava di non ricorrere a questo espediente delittuoso:ma, d’altra parte, ·la mia passione di scienziato urlava più forte. Passai lunghe e penose ore di incertezza. E forse non avrei compiuto l’atto che non mi vergogno adesso di chiamare «brigantesco» se il caso non mi avesse aiutato, presentandomi un’occasione davvero eccezionale.
Conoscevo da alcuni anni una brava ragazza, Elda, ·sorella di un certo Otto Bauer, capitano della marina mercantile, che faceva spesso viaggi attraverso l’Atlantico a bordo di una sua vecchia ciabatta di. nave, destinata, ormai, al trasporto del carbone e del legname. Credo, ma non: posso giurarlo, che Otto Bauer si dilettasse anche in audaci operazioni di contrabbando. Insomma, ecc.o, quando rivelai a Elda il mio imbarazzo nel dover trasportare a Nuova York i miei delicati congegni, ella mi consigliò di parlarne col fratello. L’idea mi parve buona e mandai subito a chiamare il capitano Otto: un omaccione ruvido e scontroso. Contrariamente però a quel che mi figuravo, il fratello di Elda accettò le mie proposte subito, senza opporre la minima obiezione. Anzi, davanti a tanta remissività,.mi sentii obbligato di accennargli, vagamente, ai possibili pericoli di quel trasporto di «materiali scientifici».
— Sono macchine sensibilissime....
— Avremo buon tempo. La merce.non sarà troppo sbattuta.
— Ma, oltre che sensibili, i miei apparecchi presentano qualche pericolo....
— Benissimo, dottore. I pericoli non mi spaventano. Ho trasportato in tempo di guerra carichi interi di nitroglicerina. La fortuna mi ha sempre protetto....
— Oh!... non. si tratta, nel nostro caso, di nitroglicerina — (ebbi a questo punto il timore di aver parlato troppo). — Tutt’al piú, di una specie di carburante....
— Fosse anche una provvista di bombe, non ritirerei la mia parola. Ho promesso di portare voi e il vostro carico a Nuova York, e manterrò la mia promessa.
— Quando si parte?
— Anche domani notte, 6 luglio, se vi aggrada. La mia nave si chiama «Breslau». Vi aspetto domani ad Amburgo.
La sera stessa caricai le preziose casse sulla mia macchina e, dopo una commossa separazione da Elda — era stata, per il passato, una mia abilissima collaboratrice nel reparto chimico — , presi con prudente lentezza la via di Amburgo. Il carico sulla nave di Otto si compì senza il minimo inconveniente. E all’ora fissata potemmo ....di portare a bordo le fiale in due casse speciali.... partire. Dovendo trascorrere una ventina di giorni a bordo del «Breslau», passai le prime ore del viaggio a prepararmi un alloggio discretamente comodo e accogliente. Il capitano Otto promise di rendermi meno noioso il tempo della navigazione raccontandomi le sue peripezie di contrabbandiere all’epoca della grande guerra. Ne aveva in serbo una collezione tale da offrir materia a uno scrittore per almeno una diecina di volumi, tutti vari e dilettevoli. Dopo cena, cominciò i suoi racconti, e mi tenne desto fin quasi all’alba. L’inizio prometteva bene.
O le fiale, o salteremo in aria!
Ma una notte che aveva bevuto troppo rum, quel tanghero mi parlò bruscamente:
— Sentite, mein herr: mia sorella Elda mi ha rivelato molte cose su di voi e su i vostri studi. Sembra che abbiate scoperto un nuovo esplosivo, prodotto dalla disintegrazione della materia o qualche cosa di simile. Non m’intendo di fisica, io, e non sono laureato in chimica, come mia sorella. Ebbene: voi dovete darmi un po’ delle vostre fiale.... perché il vostro combustibile è liquido, vero? Non molte, intendiamoci, non voglio passar da esigente!... ma tante.da far saltare l’Europa, ecco! In compenso, voi non mi pagherete nulla del trasporto.
Sulle prime, cercai di fingere uno straordinario stupore: però il capitano Otto con poche parole mi convinse d ella inutilità di questo genere di difesa.
— Suppongo che voi portiate in America una quantità di esplosivo superiore a quel che vi necessita.... Giusto? Ora, io vi chiedo una piccolissima parte del vostro tesoro. Sono come un mendicante che chiedesse ad Enrico Ford due dollari di elemosina. Non aggrottate le ciglia. Mi accontento di qualche fiala, una diecina: non più.
La collera cominciava ad accendermi il sangue.
— Immagino che voi scherziate.... — e, quasi istintivamente mi frugai nella tasca dei calzoni per cercarvi la pistola.
Il capitano Bauer notò il gesto e si pose a ridere.
— Non si tratta di girare un film della malavita americana, qui. Potete risparmiare le cariche della vostra pistola. Ho avuto, stamani, la precauzione di cambiarle in altrettante con cartucce a salve. Dunque; niente colpi inutili. Io vi domando ancora, da buon amico, di regalarmi qualche fiala....
A questo punto scattai, allungai i pugni fin sul viso di Otto, urlando:
— Nulla! Capite? Non posso darvi nulla!
Il vecchio contrabbandiere torse la bocca, mi guardò con una strana espressione di minaccia, poi tirandosi indietro, mormorò quasi tranquillamente:
— Se non cederete con le buone, pazienza. Ormai io sono risoluto. Mi impadronirò del vostro segreto, o salteremo in aria con la nave!
Queste parole, dico la verità, calmarono subito il mio sdegno. Pensai che Otto fosse diventato improvvisamente pazzo. Mi si disegnò nella mente la possibilità di evitare la tragedia con un ripiego geniale. Lí per lí, non sapendo trovar parole piú persuasive, dissi:
— Almeno, lasciatemi il tempo di riflettere!
— È vero, — approvò il capitano Otto. — Voi siete il padrone delle vostre fiale. Aspetteremo fino a domani sera.
Quella notte, però, non dormii.
La fine del capitano Otto
Poco avanti l’alba, approfittando del sonno del capitano Otto, entrai nella cabina dove erano state collocate le casse delle fiale. Il rischio era grave, ma bisognava pure che tentassi! Scelsi alcune:fiale dell’«R. 45» e dell’«R. 78» e, valendomi dei delicati arnesi che avevo portato meco, le aprii e le vuotai in un recipiente dove era già stato versato un liquido che chiamerò, per essere capito, dissolvente. Questo liquido, di cui mi ero servito durante le mie esperienze, era una specie di annullatore delle. proprietà distruttive dei miei esplodenti. Qui sarebbe inutile entrare in più lunghe spiegazioni tecniche. Chi legge, tuttavia, potrà figurarsi l’estrema delicatezza di questo lavoro, compiuto alla luce rossastra di una lampadina elettrica, tra i sobbalzi e gli ondeggiamenti, con la paura continua di essere sorpreso dal terribile Otto.
Ero quasi arrivato alla fine: avevo riempito le fiale di acqua e stavo per saldarle alla lampada, quando sentii ridere dietro le mie spalle. Mi voltai....
— Bravo! — la voce del capitano mi picchiava, duramente, nel cervello. — Voi adesso vi affaticate a prepararmi qualche innocente balocco! Ma io non sono tanto ingenuo, mein herr: oh!?... i vostri calcoli falliranno. Salteremo in aria tutti, e ci divertiremo insieme!
Era finita. Il capitano aveva smesso di ridere: il suo largo viso, arrossato dai venti dell’Oceano e dalle eccessive libazioni, mi apparve come una maschera grottesca e feroce. Lottare contro quell’uomo sarebbe stato forse inutile: tuttavia volli tentare. Mi lanciai su di lui, lo presi alla gola.
— Non ti darò nulla, furfante! sudicio pirata!...
Otto Bauer aveva una forza da bruto: fu facile, per lui, liberarsi dalla mia stretta, respingermi, colpirmi più volte con i pugni enormi sul viso, farmi rotolare, quasi svenuto, sul pavimento della cabina. A traverso un velo sanguigno, vidi quell’orribile gigante curvarsi su me e vidi riapparire lo sconcio riso su la sua faccia di pitecantropo.
— Adesso non mi contenterò più di una parte del tuo tesoro, mein herr.... adesso mi prenderò tutto.... tutto, capisci? E diventerò il padrone del mondo!...
Ma proprio in quel punto, accadde l’irripensabile. Otto Bauer, divenuto improvvisamente livido, stralunò gli occhi, barcollò, si passò le mani sul capo, mugolando come una bestia ferita.... Lo stupore mi fece dimenticare, lí per lí, i colpi ricevuti, tanto che potei alzarmi, e muover qualche passo verso il mio nemico. Questi continuava a gemere, a barcollare, cercando di sostenersi alle pareti della cabina. Poi crollò, di sfascio, e sentii il tonfo del suo corpo sul piancito. Apparvero allora sull’uscio le ombre di alcuni marinai. Lo sciagurato venne raccolto, trasportato nella sua cabina. E il secondo di bordo mi spiegò:
— Patisce di questi attacchi.... Forse se la caverà. Il medico, dopo l’ultimo colpo, gli ordinò di non bere. Ma sí...! Appena vede una bottiglia di gin, diventa matto!
Il giorno dopo stava peggio. Non si alzò più dal suo lettuccio. Non parlava, non si muoveva. Ho sempre nella memoria la visione di quel suo gran corpo affondato nella cuccetta, come in una bara, dei suoi occhi vitrei fissi in qualche cosa che forse egli solo vedeva.
Potei, in tal modo, sbarcare senza altri guai a Nuova York, portando meco il mio prezioso bagaglio.
Fortunatamente mi aspettavano al porto i mei amici, il dottor Piccardi e James Hebert, i quali avevano provveduto a far venire presso la banchina una grossa macchina che ci avrebbe trasportati a San Francisco.
Otto giorni di corsa: arrivammo nella grande città californiana il 31 luglio, di sera, e subito andammo verso il campo dove erano state impiantate le officine per la costruzione del razzo interplanetario. Questi continuava a gemere, a barcollare.Amarezze degli ultimi giorni
Ormai la bella astronave, costruita in alluminio e bene attrezzata all’interno, poteva dirsi pronta alla grande prova. Si stava lavorando alacremente, adesso, al a fabbricazione del pozzo da cui avrebbe dovuto partire. Si intende che dentro il pozzo erano stati disposti giganteschi ammortizzatori capaci, stando almeno ai nostri calcoli preventivi, di attenuare fino al cinquanta per cento gli effetti della brusca partenza. L’astronave, sempre secondo i nostri piani, sarebbe stata collocata sopra una base ad anello, sostenuta dagli ammortizzatori idraulici e tuffata nel pozzo colmo di acqua. Le prime esplosioni sarebbero dunque avvenute nell'acqua; e appena avessero raggiunto l’intensità necessaria per il sollevamento del razzo, sarebbero entrate in azione le molle. In tal modo, ripeto, le conseguenze dell’improvviso balzo nell'aria avrebbero dovuto essere quasi annullate.
D’altro canto, noi fidavamo sullo sforzo delle molle interne del gigantesco proiettile, le cui pareti, come ha già accennato il mio compagno italiano, dottor Piccardi, erano non solo imbottite ma provviste su tutta la superficie interna di ammortizzatori ad aria e di un soffice coltrone di sostanza impenetrabile al calore e al freddo.
Poiché, all’ultimo momento, ci parve di non aver esagerato nelle prec auzioni, p e nsammo anche di collocare sul fondo dell’astronave tre brande metalliche, assicurate su speciali ammortizzatori a d olio. Al momento della partenza, ci saremmo distesi sulle brande e avremmo se rrato intorno a l nostro corpo grosse cinghie passate nell’intelaiatura metallica di quei robusti congegni. Uno di questi lettucci sar ebbe stato messo vicino al quadro dei comandi, in modo che uno di noi potesse facilmente spinge re i vari bottoni e le leve di comando.
- É vero che noi partiremo con una velocità iniziale di solo 300 metri ii secondo - ripeteva spesso il dottor Piccardi - ma anche 1080 chilometri di velocità oraria sono molti.... sono troppi.... per viaggiatori con le ossa fragili!
James ribatteva sempre che per attutire gli effetti di questa violenta partenza sarebbero bastati gli ammortizzatori esterni, quelli del pozzo, e che tutti gli altri non avrebbero avuto il tempo di entrate in azione.
Senonché, qualche sera dopo, in una cena consumata all'aperto insieme con le maestranze del cantiere, il discorso di un direttore tecnico, l’ingegner Laughton, mi mise nell'anima la più penosa delle incertezze. L’ingegner Laughton, in sostanza, inneggiò alla nostra audacia e ci salutò come «pionieri del più grande e più disperato tentativo di ricerca immaginato dagli uomini». James domandò la parola per chiedere all'oratore che cosa avesse voluto intendere con la espressione: «tentativo disperato».
Allora l’ingegnere Laughton trasse di tasca una copia del giornale più importante di San Francisco, lo apri, lo fece sventolare come una bandiera davanti agli occhi dei convitati.
Il «Sund» parla del vostro generoso esperimento! Afferma che voi avete sbagliato i vostri calcoli, che l’esplosivo non riuscirà a darvi la spinta sufficiente per oltrepassare i limiti dell’atmosfera terrestre: che non resisterete all'urto della velocità impressa al razzo: che ricadrete sulla Terra, e la vostra morte gloriosa servirà di esempio e di incitamento a tutti gli ardimentosi delle cinque parti del mondo!...
- Non è questo che noi vogliamo - precisò, in tono commosso, il prof. Piccardi. Noi siamo matematicamente sicuri di poterei spingere fin nella Luna, di poter sbarcare e soggiornare nel nostro satellite, e di poter anche, un giorno, ritornare!... Confesso, per quel che mi riguarda, che ho motivi specialissimi per desiderare un felice ritorno....
Ah! i giornali! - sospirò James. - Che disgrazia, per gli scienziati!
L’ingegner Laughton bevve lungamente alla nostra salute, e gli operai ci gridarono il loro entusiasmo. Ma questo non ci impedì, quella sera stessa, di riunirei per un rapido riesame dei nostri disegni.
Ci credereste? Tutto ci parve cosi semplice, cosi perfetto, cosi logico, che riuscimmo a ritrovare la serenità: e la fiducia, e i nostri cuori ripresero il loro ritmo giocondo. James, l’ottimista, affermò che il nostro razzo poteva dirsi la macchina più perfetta ideata dall'uomo fino all'anno 1937. Elogiò il mio esplosivo chiamandolo insuperabile e infallibile. Per ultimo il dott. Piccardi ci rivelò, in brevi parole, le sue ultime scoperte intorno al problema di una vita, almeno vegetale, alla superficie della Luna. Ci disse cose nuove e interessanti, che ci meravigliarono e ci incuriosirono.
Espose certe sue strane teorie sulla vita nei mondi e tentò di convincerci che anche nel nostro globo esistono microscopici organismi cui non è necessario l’ossigeno e che possono reggere a temperature di oltre 50 gradi sotto zero. Ci raccontò la storia di una specie di radiolario ritrovato ancor vivo, nel mezzo di un aereolito.... «Insomma - egli finì col dire - perché nei bassifondi lunari non dovrebbero trovarsi ancora piante ed organismi, anche rudimentali?».
Ed io e James, ad un tempo, esclamammo:
- Benissimo, andiamo a vedere!
L'ora storica
Il primo settembre, alle sette e cinquanta di sera, entrammo nell’astronave: avvitammo coscienziosamente la cerniera della porticina, mettemmo in azione le macchine per produrre l ’ossigeno. Fuori, erano i nostri operai, i nostri ingegneri.
Nessun rappresentante della stampa, nessun curioso, nessun personaggio illustre. (Avevamo diramato centomila inviti, ma per la sera del 5 settembre....). Cosi, con quel piccolo sotterfugio, la nostra partenza poté avvenire come in famiglia.
Alle sette e cinquantacinque ci sdraiammo sui lettucci.
Fuori, la pianura splendeva, inargentata dalla Luna....
Come battevano i nostri cuori! Credetti, a un certo momento, che fosse stato messo m azione qualche motore nel razzo! Invece eravamo noi.... noi che scandivamo, con i nostri palpiti ansiosi, i secondi che ancora ci separavano dal primo scoppio!
- Attenti! - disse James, che guardava il cronometro al polso.
- Viva la Germania! — feci io: e il prof. Piccardi a sua volta: - Viva l’Italia!
James, dopo un brevissimo intervallo, esclamò: - Viva la Repubblica Stellata!
Poi, mormorò piano:
-Ecco.... si parte!
Allungò la mano verso la leva di comando dei motori di scoppio. E subito d sentimmo proiettati da una forza inconcepibile verso il soffitto deil’astronave....!
Il manoscritto del prof. Hebert
... Riprendo la cronaca del mio collega Max Boering, che, dopo aver scritto le righe precedenti, ha dovuto fermarsi per i forti dolori al polso destro. Si tratta di una lussazione riportata nell'urto violentissimo della partenza. Siamo stati lanciati con una velocità iniziale non esageratamente forte: diciotto chilometri il minuto, un migliaio di chilometri l’ora: rapidità di poco superiore a quella dei velivoli più veloci. Ma questo brusco passaggio dalla immobilità assoluta alla velocità di trecento metri il secondo ha messo a dura prova tutti i sistemi di attenuazione escogitati e impiantati nel pozzo di lancio e nell'interno del fuso, nonché il nostro organismo. Si sa per prova che noi possiamo viaggiare a velocità fortissima sui treni e sui velivoli, senza risentirne alcun danno: cento o duecento o mille chilometri l’ora, e anche più, non hanno influenze sensibili sul nostro equilibrio nervoso. L’importante è che si possa giungere a queste cifre orarie con lenta progressione. Vi immaginate, per esempio, quel che succederebbe delle ossa dei viaggiatori se un «ultrarapido» partisse improvvisamente con la sua velocità massima di duecento chilometri? Riconosco adesso che l’ultima precauzione introdotta nel razzo pochi giorni avanti la partenza, quella, cioè, dei lettucci sostenuti da molle a spirale di straordinaria potenza, è stata particolarmente utile.
Dobbiamo anzi a questi robusti congegni la nostra salvezza. Dieci minuti dopo l’urto, passato il primo stordimento, abbiamo potuto scioglierei dalle cinghie e scivolare sul piancìto della cabina: Max si è fasciato subito il polso, poi ha bevuto un paio di bicchierini di wisky: ci è parso, al principio, il più sbattuto di noi tre: ma poi abbiamo visto con nostra grande soddisfazione che si rimetteva rapidamente. Di li a poco si è scosso, si è cacciato sul naso gli occhiali e ci ha domandato con voce ansiosa: - Ricadiamo?
- Non sembra. - Il professar Nicola, l’italiano, è corso al quadro dei comandi per consultare i quadranti. - Il tachimetro segna già mille metri il secondo.... Siamo a trecento chilometri dalla Terra.
- Stupendo! - e sul viso di Max Boering si è diffusa un'espressione di grande beatitudine. Il mio «R. 45» funziona a dovere! Non ci sarà bisogno di provare l’«R. 78».... Aspettiamo altri cinque minuti a dare il massimo dell’accensione.
Forse stiamo attraversando gli ultimi sottilissimi gas dell'atmosfera terrestre. Ancora pochi minuti e potremo cantar vittoria! Gli scoppi si succedono regolarmente. Noi puntiamo diritti allo Zenith! Che bellezza, amici miei!...
- La pressione è quasi quella della Terra: - lo scienziato italiano seguitava ad esaminare gli apparecchi - 730 millimetri.... Un po’ di umidità....benissimo. Aria di collina. C’è una cosa, però.:..
E l’ottimo Nicola ha fatto un salto, arrivando a toccare con la testa il soffitto della cabina. ....mettemmo in azione le macchine per produrre l’ossigeno.
-... c’è la diminuzione del peso!... Si, ma questo non ci dà troppo fastidio, vero? Almeno per adesso. Noi non risentiamo disturbi circolatori, grazie alla normalità della pressione atmosferica dentro il fuso.... Cari amici! Ormai questo razzo è il nostro mondo: un minuscolo mondo di otto metri per quattro, creato da noi, e da noi provveduto di aria, di calore, di centro di gravità, di moto: una isoletta lanciata nello spazio, con le sue brave leggi fisiche e astronomiche, e che ha diritto di navigare in tutto l’universo!
- Sono ormai le otto e mezzo — ho proposto io allora, praticamente. — Noi dobbiamo rimetterci da una scossa non lieve; se prendessimo un tè e tornassimo a sdraiarci sui lettucci? Intanto, i razzi lavoreranno per noi. Verso la mezzanotte, avremo raggiunto il massimo di velocità 12 chilometri al secondo. Basterà seguitare un’ora con questo slancio. All'una spegneremo il motore, e viaggeremo tranquillamente nello spazio, con la spinta ricevuta.... Penserò io a svegliarvi per interrompere l’accensione. Adesso, amici, riposiamo.
Max crollava il capo.
Non sarebbe meglio aprire uno degli sportelli del nostro proiettile? E un lavoro lungo, bisogna svitare i dadi interni. Però....
- Appunto: rimettiamo a domattina questo lavoro delicato e noioso. D’altra parte, non siamo ancora usciti dal cono d’ombra proiettato dalla Terra nello spazio: non vedremo niente....
- Forse sì - ha detto Nicola Piccardi, con una improvvisa inquietudine; - forse potremo vedere la Luna numero due!
- Ma ci credi tu, alla Luna numero due? intanto mi ero messo a preparare il tè al fornello elettrico. - A una Luna grande come un’arancia, che girerebbe intorno al nostro globo a poche migliaia di chilometri d’altezza?... Sono invenzioni di riviste illustrate a corto di notizie buone....
- Io alla Luna n. 2 ci credo - ha brontolato recisamente l’amico Nicola. -Dovrebbe avere un diametro di poco più che mezzo chilometro, e viaggerebbe con una velocità doppia della nostra. Nulla di preciso, è vero, perché nessun astronomo ha.mai veduto nel telescopio questa Luna, che, se esiste davvero, deve perdersi. nella luce diffusa dalla Terra. Ma, insomma, se ci fosse, e se noi tagliassimo la sua orbita nel momento medesimo del suo passaggio.... Sì, dico.... ehm! anche piccina come tu dici, James, ci sbriciolerebbe ugualmente.... ·
Nonostante questi discorsi, alle otto e quarantacinque, bevuto il tè, ci siamo stesi sui lettucci e ci siamo addormentati profondamente, rimandando ad un’altra occasione la.soluzione del problema della Luna n. 2.
Nota
Dalle 4 del mattino del 2 settembre 1937 cominciai a scrivere una specie di giornale di bordo, che riporto integralmente in questo resoconto fedele del nostro viaggio.
2 settembre ore 5 ant.
Ogni cosa procede in modo perfetto. Come avevo promesso agli amici, a mezzanotte mi sono destato e ho chiuso la chiavetta del comando di accensione. Il razzo ora continua la sua corsa per la spinta iniziale. Siamo ormai ad oltre cinquantamila chilometri dalla Terra: la nostra velocità d’impulso decresce di minuto in minuto, ma sarà sufficiente a farci superare quella linea ideale nella quale l’attrazione della Terra e quella della Luna si incontrano, cioè a circa 350 mila chilometri dal nostro pianeta.
Qui, nel piccolo mondo che ci siamo costruito, il termometro segna 20 gradi centigradi: la pressione è sempre su i 730 mm. Il barometro indica «bel tempo asciutto».
Date queste ottime condizioni meteorologiche, ci siamo permessi una abbondante colazione, che, insieme col riposo notturno, ci ha restituito la forza fisica e la serenità dello spirito. Abbiamo eseguito la non facile manovra dell’apertura di una larga finestra, e abbiamo, finalmente, contemplato lo spettacolo maraviglioso dello spazio viola-nero, tutto punteggiato di costellazioni giallastre.
La Terra, sotto di noi, splende ormai come un immenso disco di smeraldo lanciato nel vuoto: su, in alto, la Luna ingrandisce a vista d’occhio: adesso è una spera d’argento sospesa sullo sfondo formicolante di stelle. Il razzo sembra immobile nell'Universo. Ma la lancetta del tachimetro corre: viaggiamo nel vuoto, è vero, però un ingegnoso apparecchio meccanico- elettrico applicato al nostro giroscopio e al motore segna, almeno approssimativamente, le distanze che percorriamo nello spazio. Si viaggia a circa ventimila chilometri l’ora: cinque chilometri il secondo. Non dovendo superare la resistenza di una atmosfera, il nostro «mobile» non perde troppo rapidamente la forza dell’impulso.
- Quando arriveremo? - domanda a un tratto Max Boering affacciandosi alla botola da cui si scende nella cabina delle macchine. - Ho ....cominciai a scrivere una specie di giornale di bordo. già ispezionato gli apparecchi e i depositi dell’esplosivo. Tutto a posto. Ora bisogna ricordarsi che la discesa nella Luna equivale a una caduta dall'altezza di quasi trentamila chilometri.... e che per rallentare questa caduta, i nostri razzi ci saranno necessari.
Il professor Piccardi solleva il naso dai suoi appunti:
— Dobbiamo calcolare altre 37 ore avanti di arrivare al confine, diremo cosi, dell’attrazione terrestre. Quando saremo arrivati a quel limite, basterà lasciarsi cadere. E in poche ore arriveremo alla superficie della Luna.
— Converrà riaccendere i razzi a un migliaio di chilometri dal suolo lunare — brontolò Max, risalendo nella nostra cabina. — Oh! Abbiamo molte ore davanti a noi....
Verso la luna
2 settembre, ore 7 di sera.
La Luna è a circa centomila chilometri da noi. La vediamo quattro volte più grande che sulla Terra. I rilievi accidentati della sua superficie, le ombre crude dei monti, le larghe zone grigie delle pianure, ci appaiono nitidamente, come se le guardassimo attraverso le lenti di un buon canocchiale. Sfavillano di incomparabile splendore quei misteriosi rilievi che formano intorno alla montagna di Tycho come una raggera. Penso che in America una simile visione sarebbe pagata molti milioni di dollari, assai più di un film con Greta Garbo e Bob Taylor.
Seduti presso il vetro della finestra, seguitiamo a fissare con ansietà l’isola ignota su cui, tra poco, scenderemo, primi pionieri terrestri nel mondo selenitico.
- Strano! - mormora il mio collega tedesco, sgranocchiando una tavoletta di cioccolato. - Noi andiamo, rassegnati e tranquilli, verso un astro che sappiamo inabitabile e inabitato.... eppure, è tanta la passione che ci anima, che nessuno di noi vuol pensare ai rischi tremendi ai quali va incontro!
Nicola, l’astronomo italiano, rizza le orecchie.....
- Pericoli! Ma ne abbiamo superati altri, assai più grandi di quello di un «semplice» arrivo sulla Luna! Vi par niente, a voi, il farsi lanciare nel vuoto, fuori dei confini della gravitazione terrestre, da una terribile forza distruttiva? Vi par niente l’esserci chiusi in una scatola di metallo e l’aver affidato le nostre vite ad un semplice apparecchio produttore di ossigeno? Di aver superato distanze nello spazio in confronto a cui quelle raggiunte dai più arditi aeronauti e dai più valorosi aviatori possano dirsi semplici salti di cavallette? Eppure, eccoci qui in perfetta salute, a guardarci serenamente in faccia.... E intorno a noi ruotano vertiginosamente le terre dell’Universo. Siamo qui, a dispetto di tutte le leggi fisiche che tengono incatenati gli uomini alla superficie del loro mondo! Siamo qui, come nella carrozza di un rapido, ad aspettare l’ora della cena e quella del riposo.... Di che cosa dobbiamo temere? Noi scenderemo leggermente sulla superficie lunare, valendoci della forza di spinta dei razzi, che faranno bravamente da freni.
Arriveremo in pieno giorno, cioè quando il sole batterà spietatamente sulle terre lunari. Poi usciremo dal fuso, respirando l’aria compressa dei serbatoi che porteremo sulle spalle. Cammineremo leggeri leggeri, quasi sfiorando il suolo del nostro satellite. Tutto andrà bene, se non ci allontaneremo troppo dal razzo, che sarà, almeno per i primi tempi, il nostro asiJo e la nostra base di rifornimento.
- Ma quando le nostre provviste di acqua e di aria saranno esaurite.... - Max ingoiava ora lesto lesto grossi bocconi di cioccolata, come per darsi coraggio — che faremo, allora? - Troveremo acqua e aria, sulla Luna.
A questo punto sono intervenuto: il problema dell’atmosfera lunare ci ha già trovati di fronte, io e il professar Piccardi: ma adesso mi è sembrato che l’argomento meritasse un chiarimento definitivo.
- Chi vi dice che sulla Luna si possa trovare ancora un po’ di acqua? In America questa ipotesi è stata dichiarata assurda.
Il prof. Nicola si è levato di tasca un fascicolo, e me lo ha posto tra le mani, quasi con un gesto di sfida.
- Leggete. È un compatriota di Max che scrive, il dott. Guglielmo Meyer, un tempo direttore dell’Osservatorio «Urania» di Berlino. Leggete, prego....
L’esistenza dell'acqua sulla Luna
(secondo uno scienziato tedesco)
Ecco quello che lessi e che ricopio testualmente:
«Tutti gli effetti importantissimi dell’attività dell’acqua dipendono presso di noi dall'incessante circolazione del mobile elemento, dal mare alle nubi, e da queste alla superficie terrestre, e finalmente, a mezzo dei corsi d’acqua, di nuovo al mare. Non sarebbe possibile immaginare questa attività dell’acqua che scalpella le montagne della superficie liscia della Terra, senza le nubi, dalle quali essa scende in forma di pioggia e di neve. Ma sulla Luna non ci sono nubi. Esse dovrebbero talvolta velare piccole o vaste regioni lunari e ciò non avviene mai. Sempre, purché la nostra atmosfera non sia ·torbida, i paesaggi lunari ci appaiono limitati da contorni tanto netti quali noi non potremmo vederli sulla nostra Terra da un simile punto d’osservazione; sulla Luna non vi è penombra, simile a quella che presso di noi è prodotta dalla luce diffusa dal nostro involucro vaporoso....
Per contro, talvolta, pare che leggeri veli di nebbia riescano ad offuscare al nostro sguardo alcune ristrette regioni lunari. Alcuni osservatori d ella Luna spesso non riuscirono ad avvertire particolarità a loro ben note, mentre ne vedevano altre più difficili e più oscure all'intorno; poco dopo, queste problematiche regioni, su cui già si sospettavano mutamenti, ritornavano ad apparire quali erano prima.
«Anche il magnifico circo montagnoso di Platone, all'estremo nord delle Alpi lunari, rivela apparenze strane e riferibili a cause da discutersi. Con accurate osservazioni di lunga durata è stato stabilito che la superficie interna di quel circo di montagne cambia regolarmente la sua tinta con la posizione del Sole. A tutta prima, quando il Sole incomincia a rischiara re la superficie interna, nulla di notevole si manifesta: la superficie bigia diviene sempre più chiara. Ma più tardi, non appena il Sole ha raggiunto l’altezza di più di zero gradi, deviando dalla regola,- quel piano non continua a divenire più chiaro, fino a Luna piena, ma per contro più scuro, all'incirca fino all'istante di mezzogiorno per quel luogo, per ricominciare a farsi più lucido con l'abbassarsi del Sole. È impossibile l’attribuire ad una qualsiasi illusione ottica questo fenomeno che, d'altronde, non si constata mai altrove sulla Luna; esso sarebbe spiegabile, ammettendo che piccoli resti di umidità racchiusi nei circoli siano vaporizzati dal calore del Sole, cosi da formare coltri di nebbie, che si stendono sul suolo della superficie esterna, e che soltanto il Sol e meridiano riesce a dissipare.
«Con ciò l’osservazione dimostra che, in ogni modo, l’acqua allo stato liquido o di vapore esiste sulla Luna in quantità molto piccola; ma con ciò non è detto che essa vi debba mancare nel suo terzo stato di aggregazione, quello solido, come il ghiaccio. A questo riguardo l’occhio terrestre è messo sull'avviso dal fatto che sulla Luna molte vette montagnose sono, come presso di noi le vette delle Alpi, più bianche che non i loro dintorni più bassi: invero alcune di esse rilucono cosi fortemente, che spesso col loro bagliore rompono le fitte tenebre della notte lunare, allorquando la Terra manda loro la sua luce, e la Luna si mostra a noi nella luce cinerea. Allora con il cannocchiale si vedono talvolta alcuni punti luminosi, per lo più gli stessi che anche a Luna piena si fanno notare per il loro vivo splendore; cosi, ad esempio, le regioni di Aristarco ed Erodoto risplendono si fortemente nel crepuscolo che li circonda, che una volta si credette di poterli riguardare come focolari di vulcani ancora attivi.
«Alcuni astronomi, sia pure seguendo i concetti terrestri, chiamano un errore geologico l’ipotesi che sulla Luna le vette possano essere costituite da un materiale diverso da quello del restante delle montagne su cui sorgono (per esempio, il marmo), eccetto che non si voglia considerare quest’altro materiale come ghiaccio. Però non devesi dimenticare che la causa che presso di noi copre di ghiaccio le montagne non può agire che in misura assai più debole sulla Luna, tanto povera di aria; ché se la Luna fosse generalmente priva di atmosfera, il freddo dello spazio celeste, in ogni caso vicino ai zoo gradi sotto zero, senza differenza d’altezza avvolger-ebbe tutta la superficie lunare. Però, se colà ci fosse ghiaccio, almeno temporaneamente, dovrebbe pure esserci un’atmosfera di vapore acqueo. E allora, questo vapore d’acqua formerebbe un mantello che potrebbe spiegare la differenza di temperatura a seconda dell’altezza. Cosi, il fatto che non solo le cime dei monti, ma i più bassi fondi dei crateri, ordinariamente irradiano luce viva, potrebbe costituire l’indizio della presenza del ghiaccio anche in quei luoghi profondi. Forse, se sulla Luna è esistito qualche liquido, questo deve essersi raccolto nelle basse regioni della sua superficie; e se, più tardi, si è solidificato in ghiaccio, pur astraendo dall'azione protettrice di un qualsiasi involucro aereo, il procedimento di trasformazione avrà dovuto iniziarsi nelle cavità recondite, dove l’azione dissolvente del Sole deve esser quasi trascurabile a causa dell’ombra che durante la massima parte. del giorno lunare le pareti dei circhi proiettano sul suo interno».
La linea neutra, ovvero: la scomparsa del peso
3 settembre, ore 17.
Ci avviciniamo alla famosa «linea neutra», nella quale il nostro razzo e quanto è contenuto in esso dovranno perdere completamente il loro peso. Per intenderei, dirò che, teoricamente, l’attrazione della Terra non finisce mai, attraverso lo spazio; però nell'incontro con la sfera di attrazione di un altro corpo celeste, può temporaneamente, annullarsi, salvo a riprendere più oltre.
Se la Luna e la Terra fossero due globi di uguale grandezza e peso, l’incontro delle due 1 sfere di attrazione dovrebbe avvenire a metà strada dall'uno all'altro astro: ma siccome il nostro satellite è quarantanove volte più piccolo della Terra, la sua massa è un ottantesimo di quella terrestre e la gravità appena un settimo, ne viene di conseguenza: che anche la sua sfera di attrazione è limitatissima rispetto a quella della Terra: non arriva a 35.000 chilometri. Noi entreremo dunque «nell'impero fisico» della Luna quando saremo arrivati a circa 350.000 chilometri dalla Terra, ossia, secondo i calcoli del prof. Nicola, alle ore 18.46.
Siamo un po’ curiosi di provare gli effetti dell’annullamento totale del peso....
3 settembre, ore 19.30.
Il bizzarro fenomeno è ormai terminato; ricominciamo a discendere sul pavimento della cabina, risentendo nuovamente gli effetti della gravitazione. Soltanto, ora, non è più quella terrestre: è quella lunare. Merita conto dedicare al fatto qualche riga. Alle ore 18 e mezzo abbiamo cominciato a sentirei anche più stranamente leggeri del consueto. Allora Max, estraendo dalla dispensa tre bicchieri e una bottiglia di vecchio vino del Reno, ha detto:
- I naviganti festeggiano il passaggio sull'Oceano della linea dell’equatore. Noi, naviganti dello spazio, festeggeremo il passaggio dell a «linea neutra tra la Terra e la Luna»: avvenimento che, speriamo, sarà ripetuto da altri fortunati viaggiatori dopo di noi....
Tenevamo tutti gli occhi all'orologio nel mezzo del quadro dei comandi. Alle diciotto e quarantadue, ci è sembrato di perdere, quel poco di peso che ci legava ancora al nostro pianeta .... poi usciremo dal fuso. natale. Infatti, agitando appena le braccia, ci siamo innalzati, lenti lenti, fino al soffitto della cabina, dove abbiamo appoggiato -la · sommità dei nostri crani.
- Tra poco ci siamo.... - ha esclamato festosamente il prof. Nicola - stappiamo la bottiglia!
Max aveva disposto in mezzo a noi i tre bicchieri, che galleggiavano nell'aria, liberamente. Con un cavatappi a leva, la bottiglia è stata stappata: ma il liquido non ha potuto essere versato nei calici, perché usciva, a piccole bolle; dalla bottiglia e andava ad applicarsi al soffitto, riunendosi in una vasta macchia lucida.
- Non importa bere - ha osservato il prof. Nicola - quel che preme, è oltrepassare senza inconvenienti questo critico momento. Senza che noi possiamo accorgersene, il nostro razzo sta adesso compiendo un capovolgimento totale. Fino adesso, abbiamo viaggiato con la punta rivolta allo Zenith, verso la Luna. Adesso, per scendere sul nostro satellite, dovremo rivolgere la punta del nostro fuso verso la Terra. Io non; provo alcun disturbo circolatorio.... e voi?
Io e Max abbiamo scosso negativamente il capo.
- La cosa si spiega facilmente - ha detto poi Max - Noi non siamo, in questo momento, soggetti alle leggi della gravità: logicamente, l e molecole del nostro corpo, non trattenute più da alcuna forza coesiva, dovrebbero disgregarsi e disperdersi n ella cabina insieme col nostro sangue.... ridotto a bolle, come il vino, che abbiamo veduto ornare il soffitto. Invece eccoci qui, tutti e tre, saldamente costruiti e compatti, come sempre. Io credo che questa nostra integrità:fisica si debba alla pressione atmosferica che ci salva. Peccato che, con tutto questo, non si possa bere....
- Berremo più tardi! - ho esclamato, mentre annaspavo verso la finestra. - Il vino ci sembrerà più buono quando saremo fuori di pericolo.... ecco! Si.... mi sembra che il disco lunare giri sotto di noi. Evidentemente, il fuso si capovolge....
- Le diciotto e cinquanta. - la voce dell’ottimo Nicola squillò con inaspettata sonorità nel breve spazio della cabina. Siamo già da quattro minuti «cittadini lunari»! E nella caduta verso il nostro satellite noi abbiamo già percorso alcuni metri. Ma la velocità dovrà aumentare secondo il quadrato della distanza. Poche ore, e saremo all'ultimo miglio.... Vi dirò l’ora esatta dell’arrivo.... perché bisogna che ci prepariamo in tempo....
Cosi,fino alle 19,30, siamo rimasti a fluttuare nell'aria come tre grossolane caricature d’arcangeli....
Panorami lunari
3 settembre, ore 21.
Abbiamo cenato tranquillamente, poi ci siamo rimessi al nostro osservatorio. Lo spettacolo offerto dal disco lunare per tre quarti illuminato dal Sole, è veramente magnifico. Si cominciano a distinguere abbastanza nitidamente i particolari della superficie, cosi arida e tormentata. Il sistema di Tycho, la sua raggera luminosissima che si parte da una quantità di crateri, è li, sotto i nostri occhi abbagliati! Sembra una stella che si sia schiacciata contro la luna. Possiamo cosi rilevare il carattere montagnoso di questo piccolo globo; qui però predominano le montagne anulari, mentre sulla Terra le catene dei monti costituiscono la regola generale. Ma di queste catene se ne trovano anche sulla Luna, come il giogo degli Appennini, che appare adesso sul limite d’ombra; è un gigantesco ammasso di picchi, forse due o tremila, con le cime stranamente arrotondate a forma di cupola. Sotto la catena degli Appennini lunari si stende il Mare Imbrium, una immensa pianura circolare, fiancheggiata di bastioni rocciosi. Il canocchiale che abbiamo portato con noi, di duecento ingrandimenti, avvicina la luna a circa centocinquanta chilometri.
Sono ancora troppi per poter vedere le particolarità di questo suolo che, se non accadranno inconvenienti, potremo visitare tra poco. Per esempio, non riusciamo ancora a. rintracciare i famosi solchi che spaccano, talvolta per centinaia e centinaia di chilometri, la crosta lunare.
Invece, come ho scritto più sopra, ci appaiono distintamente i sistemi dei raggi, specie quelli di Tycho e di Copernico. Si sentono dare le più strane e svariate spiegazioni sulla natura di questi raggi, che non sono né sollevamenti né depressioni, perché non gettano ombra di alcun genere. Taluni astronomi credono debba trattarsi di striscie di lava raffreddata da secoli. Altri, più fantasio si, come il Meyer già ricordato in questi appunti, hanno ammesso l’ipotesi che la lucentezza dei raggi di Tycho sia prodotta da lunghi agglomerati di ghiaccio. Comunque, gli scienziati terrestri non ne sanno niente: e spetterà a noi il non lieve ufficio di dare la sicura esatta spiegazione del problema.
Domani arriveremo. Ricominciamo a discendere sul pavimento. È stanchezza o commozione? Mi si chiudono gli occhi....
3 settembre, ore 23.
Improvvisamente, il prof. Nicola si sveglia per dirci:
- Ricordatevi che arriviamo alle nove, quaranta minuti e venti secondi del 4 settembre!...
Ho rifatto ora i miei calcoli.
Infatti il nostro egregio amico, seduto sul lettuccio, stava scrivendo su un librettino, alla luce della lampada notturna.
- Il calcolo è facile. Abbiamo attraversato la linea di equilibrio fra le due attrazioni alle diciotto e quarantasei.
Eravamo arrivati ai quarantasette cinquantaduesimi del viaggio. Ci restavano a percorrere ottomilaseicentocinquanta leghe: ebbene, questa distanza noi la stiamo semplicemente superando,!asciandoci cadere sulla Luna. Data la minor forza di attrazione del nostro satellite, impiegheremo in tutto cinquantamila secondi, ossia tredici ore, quarantatré primi e venti secondi.
Arriveremo perciò, alle nove e quarantuno di domattina. Buona notte.
Le ultime ore
Il professor Nicola spenge il lume e torna a sdraiarsi. Io rimango qualche tempo con gli occhi spalancati, a riflettere. Strano! Mi par di sentire l’angoscia della caduta velocissima. Giù, sotto di me, i centomila crateri lunari aprono le loro voragini per inghiottirmi.... Penso all’America, la grande patria che non rivedrò forse più....
4 settembre, ore 5 del mattino.
La Luna riempie quasi tutto l’orizzonte. È terribile vedere come il nostro razzo vi si precipita contro!... Arriveremo sul suolo lunare con la velocità di circa duemila chilometri il secondo:
il che sarebbe assai grave per le nostre povere persone, se non avessimo a bordo i mezzi di ridurre e annullare gli effetti di questa caduta.
Dobbiamo richiudere lo sportello esterno per evitare la possibile rottura del grossissimo cristallo della finestra: ma prima vogliamo ancora dare uno’ sguardo al «paesaggio» contro il quale ci stiamo avventando. Le ombre appaiono sempre più crude e _riti nere, forse per la gran luce che • il Sole rovescia ora sui monti e sulle pianure del mondo che siamo ormai prossimi a «scoprire». Il professar Nicola Piccardi mi indica e mi descrive, rapidamente, le particolarità di una regione su cui non avevo ancora fermato l’occhio: il golfo delle Iridi. Questa vasta insenatura rocciosa dovrebbe avere molta somiglianza con il golfo di Napoli; che io non ho mai veduto, del resto. Ma il mio compagno di viaggio, da buon italiano, in questo paragone si esalta.
- E vero.... c’è qualcosa che richiama alla mente il golfo di Napoli.... Ma per l’amor del cielo, quel nostro golfo è un angolo del paradiso, tutto verde e azzurro, e questo... Sembra un cantuccio dell’Inferno. Eh! Gli astronomi hanno molta fantasia. Perché, vedete?, nel centro dell’arco è un bel cratere isolato, quasi un fratello del Vesuvio. Ecco: di fronte all'apertura del golfo, due monticelli che dovrebbero corrispondere alle isole di Capri e di Ischia. Ed ecco là, verso la destra, un’area sparsa fittamente di crateri, proprio come i Campi Flegrei sul golfo di Napoli.
Nonostante, come si vede bene anche di qui, il golfo delle Iridi è almeno quattro volte più grande dello specchio d’acqua racchiuso tra Capo Miseno e la Punta Campanella. Guardate lassù,
quella macchia grigia tondeggiante. E il cosi detto mare degli Umori.... e, sul margine di questo mare, il circo di Gassendi, largo più di cento chilometri: uno dei pochi circhi che abbi~mo la piattaforma interna più alta della pianura circostante. Un po’ più in basso,.. sì.... vedete....?, due piccoli crateri.... Keplero e Aristarco. Ebbene, ecco: quest’ultimo, ed il cratere gemello Erodoto - molto più distante - hanno fatto dannare tanti astronomi! Già, perché Aristarco è straordinariamente bianco, ed Erodoto, a volte, si copre di vapori. Guardate! Guardate!.... Si direbbe che una nube d’argento passi sopra il circo di Erodoto....
Con queste ultime parole chiudiamo la parentesi scientifica e seguitiamo a vivere, intensamente, la nostra drammatica avventura.
Serriamo i dadi che chiudono l’imposta metallica. La visione della Luna, scompare. Siamo ormai come ciechi chiusi.in una prigione di metallo....e cosi rimarremo fino all'arrivo sulla Luna: sei ore al massimo. Arriveremo sul suolo lunare con la velocità di circa duemila chilometri.
L’accensione
4 settembre, ore 9 e 10 minuti.
Abbiamo rimesso in azione gli esplosivi. Il razzo ha avuto una brusca scossa: poi il tachimetro ha segnato un forte rallentamento nella velocità della caduta. Da millecinquecento chilometri al secondo eccoci a milletrecento.... a milleduecento.... a mille.... a ottocento.... Certo, in pochi minuti, arriveremo al minimo necessario per assicurarci.una dolce discesa. Ma dove discenderemo? Ormai, come ho scritto sopra, noi non possiamo veder niente. Arriveremo sulla vetta di un’alta montagna? Nel bel mezzo di una pianura? Ecco una cosa, alla quale non abbiamo pensato: quella di dotare il razzo di una specie di periscopio che ci permettesse l’osservazione del cielo e della luna in qualunque momento del viaggio. Ma, chissà, quest’altra volta, quando ripeteremo la corsa, provvederemo....
Ore 9 e 25 minuti.
È improvvisamente cessata l’accensione! E il tachimetro indica che ricominciamo a precipitare! Max è disceso nella cabina delle macchine.
Troppo tardi! Siamo arrivati!. . . .
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Una grande scossa, una mezz'ora d’intontimento. Improvvisamente ho sentito la voce squillante del collega italiano:
- Niente di rotto!?
- Niente di rotto - ha risposto la voce di Max Boering.
- È necessario però studiare meglio le partenze e gli arrivi, con questi maledetti razzi....
Io, che mi sto alzando a fatica, penso che, forse, il difficile problema potrà risolversi in avvenire con la costruzione di un nuovo motore più elastico e più obbediente ai comandi.
Max Boering, mentre si struscia una gamba, risponde al mio pensiero:
- Ogni invenzione ha bisogno di essere riveduta, provata, modificata. Abbiamo avuto troppa fretta. Volevo dir questo, quando venni al campo di lancio · di San Francisco. Intanto però noi dovremo pur contentarci di questo primo razzo, cosi brutale nella partenza e nell'arrivo, se vorremo ritornare alla Terra....
- Però, è un bel fatto! - L’italiano riaccende la luce, osserva il quadrante di marcia.
Noi siamo arrivati nella Luna!... Il tachimetro segna la distanza percorsa: 395,430 chilometri.
Non c’è male. Signori, noi possiamo considerarci, ormai, cittadini lunari. E poiché la cosa deve inorgoglirei, propongo di stappare una nuova bottiglia di vino per salutare l’avvenimento.
Nonostante il malumore che mi ha preso dopo il formidabile scossone dell’arrivo (certi fatti fisici influiscono sul morale) non ho voluto contraddire il mio bravo compagno e sono andato a prendere una bottiglia dall'armadietto praticato nello spessore della parete. Abbiamo bevuto. Credo anche, che, a un certo momento, uno di noi abbia gridato:
- Viva la Luna!
Di lì a poco, tutti e tre in coro, ripetevamo, a squarciagola: - Viva la Luna! Viva il nostro satellite!...
Più tardi, Max, armato di chiave inglese, è andato a girare i bulloni che tengono serrata la lastra di protezione del gran cristallo. Lavoro lungo e faticoso, ma che alla fine, quando la lastra è caduta lungo il fianco del razzo, è stato compensato da una vista indimenticabile.
Per la prima volta, gli uomini hanno contemplato la selvaggia superficie della Luna! Qui è apparso chiaro come la rapida visione degli astri, nel breve campo di un telescopio, sia ben lontana e diversa dalla realtà. Gli astronomi, per esempio, assicurano di conoscere perfettamente i particolari della crosta lunare. Parlano di paesaggi orridi, macchiati di nero e di bianco, di crepacci, di circhi, di trincee sassose, di monti aguzzi, di abissi spaventevoli: una specie qi anticamera dell’Ade. Non essendovi atmosfera sulla Luna, i contorni appaiono sempre crudi e taglienti: dove il Sole arriva a colpire, è un bagliore inconcepibile: dove è l’ombra tutto sparisce in un uniforme color inchiostro di China.
A questi asprissimi contrasti di luce e di tenebre, si aggiunge la mancanza dei colori. La vegetazione non mette mai una nota di varietà e di gaiezza nei panorami lunari. La Luna è ridotta alle condizioni di un’enorme massa minerale, che i giorni torridi e le notti interminabili fanno passare da una temperatura di trecento gradi a quella di duecentocinquanta sotto zero.
Gli astrofisici sono cosi convinti, ormai, della inabitabilità della Luna, che rinunciano anche a formulare ipotesi su questo inutile tema. Adesso però io posso scrivere, con sicurezza, che anche gli osservatori hanno sbagliato nelle loro frettolose osservazioni. La Luna ha, è vero, l’apparenza di un mondo abbandonato e sterile (almeno a giudicare dal breve paesaggio che ci ....il paesaggio che ci appare attraverso il cristallo della finestra. appare a traverso il cristallo della finestra), ma i contorni delle rupi non sono troppo taglienti, i monti lontani non appaiono tanto vicini, qualche leggera colorazione è perfettamente visibile, qua e là, tra i bastioni di roccia e la pianura.... insomma, qui è come se l’aria. facesse davvero il suo compito di attenuare, sfumare, allontanare i rilievi troppo bruschi, conservando la prospettiva del paesaggio. Il cielo è di un color viola molto scuro, e nonostante sfolgori il sole meridiano, possiamo, a occhio nudo, veder luccicare qualche stella. Sono contento di queste osservazioni preliminari.
- Gioco il mio cannocchiale contro una sigaretta, che qui, sulla Luna, c’è l’aria!
Questa mia affermazione fa sorridere Max Boering di compiacenza.
- Certo!... L’aria ci deve essere... Che figura farebbero certi astronomi, se fossero qui con noi!
- Mettiamoci gli scafandri e usciamo!
Il professar Piccardi guarda con il binocolo i monti che orlano la fine dell’orizzonte.
- Presto, amici! Andiamo fuori!
- Perché tanta fretta? - domanda Max, strizzandomi l’occhio. - Noi qui stiamo bene. Ad uscire c’è sempre tempo. - E se la Luna scoppiasse ad un tratto? Non arriveremmo più a farcene nemmeno un’idea precisa.... - Tu alludi alle previsioni catastrofiche di quell'astronomo francese, il professar Jeans.... La Luna si troverebbe in un momento critico, dovrebbe spezzarsi: dapprima in due, poi in quattro e, successivamente, in otto pezzi, per sminuzzarsi, poi, a grado a grado, in una quantità innumerevole di particelle. In questo caso, secondo un’ipotesi generalmente ammessa, la Terra un giorno godrebbe di un chiarore lunare perpetuo e si troverebbe rinchiusa in un anello costituito dal pulviscolo del suo povero satellite frantumato.... Sì. Questi.. son bei discorsi. Ma sta' tranquillo, avremo tutto il tempo di visitare la Luna, e la Luna non scoppierà. Non bisogna credere troppo alle previsioni di certi scienziati dalla fantasia lugubre....
-Oh, caro Nicola, e Max intanto si arrampica verso il soffitto, dov'è il magazzino delle vesti e degli arnesi - non temo affatto che questo mondo scoperto oggi da noi, si polverizzi. In ogni modo, avremo sempre un buon migliaio di secoli davanti a noi di piena tranquillità. Io prendo lo scafandro: e vi invito a imitarmi! L’amico Piccardi mi guarda; accennandomi la desolata campagna Selene.
-Pensare - mormora, con una piccola smorfia di tristezza - che la Luna è una parte del nostro mondo! Ma che differenza!
- Infatti. Nei tempi dei tempi, il nostro pianeta era costituito di materia fusa, che compiva la propria rotazione ad una velocità quattro. volte superiore a quella attuale. Per effetto di questa velocità,. una parte di materia incandescente si staccò dal nostro pianeta e andò a formare un nuovo piccolo astro, che fu la Luna.
E in origine, la Luna era assai prossima alla Terra, tanto prossima da compiere la propria rivoluzione quasi a contatto con il nostro globo.
Poi, poco alla volta, il satellite si allontanò fino a raggiungere l’attualè distanza di circa quattrocentomila chilometri....
- Ma perché è cosi diversa dalla Terra? Una figlia che non somiglia, almeno in certi segni approssimativi, la madre, rappresenta un fenomeno triste.
- Aspettiamo a trinciar giudizi l Mettiamoci gli scafandri e usciamo; dopo aver visitato questo strappo piccolo globo, dopo aver visitato il cratere di Platone e di Eratostene, dopo aver veduto lo splendido Tycho, dopo aver esaminato le caratteristiche dei monti anulari e quelle degli abissi che fendono le pianure, allora, allora sí, potremo dire la nostra! E i nostri giudizi non saranno ipotesi: saranno i risultati indiscutibili della nostra diretta osservazione!