Luna paese incomodo/Come fu iniziata la grande impresa. Nascita del razzo lunare

Come fu iniziata la grande impresa. Nascita del razzo lunare

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Come fu iniziata la grande impresa. Nascita del razzo lunare
Prologo L'attuazione di una grande impresa
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Come fu iniziata la grande impresa.

La nascita del razzo lunare.

(Scrive il prof. Nicola Piccardi di Ancona)


Più che un astronomo, sono un astrofisico, un ricercatore di fatti che abbiano un rapporto qualsiasi con la meccanica celeste. Vivo solo, da tanti anni, in una casuccia che mi lasciarono i miei genitori, in vetta a un poggio presso Recanati: qui passo il mio tempo, studiando, lavorando, nel mio piccolo osservatorio che costituisce lo sbalordimento dei paesani, i quali mi credono una specie di mago.

Vengono spesso a trovarmi mia sorella Romilde, e i suoi cari figliuoli, Marcello e Silvano. Ma loro abitano lontani, oltre la città. Ogni anno, nella buona stagione, lascio la casa alle cure di una vecchia domestica (la Cecchina) e me ne vado a zonzo per il mondo, a ritrovare i soli amici che mi sia fatto nella mia lunga esistenza: il dott. Max Boering, ad Hannover, l’ingegner James Hebert, a San Francisco. [p. 19 modifica]

La nostra amicizia è nata attraverso le pubblicazioni scientifiche. Io scrivo, loro scrivono....

Tanti anni sono, un mio studio su l’atmosfera della Luna, riportato da una rivista americana, mi provocò una risposta personale del dott. James che si occupa anche lui di problemi selenografici. Un articolo del dott. Max Boering, invece, che affermava la morte «fisica» del nostro satellite, spinse me a scrivere una risposta all’illustre studioso tedesco. Poi le nostre lettere si incrociarono e in tal modo imparammo a conoscerci attraverso il tempo e la distanza e a volerci bene.... Una cosa che non presenta nessun carattere straordinario, eccezionale, vero?

Bene: accadde, l’anno scorso, di primavera, che il dott. Max mi mandasse questo ritaglio di giornale accompagnato dalle seguenti parole: «Leggete e quando avrete letto, venite a trovarmi. Comprenderete poi perché vi infliggo la spesa e la noia di un lungo viaggio». Ecco quel che conteneva il ritaglio una corrispondenza da Roswel (Nuovo Messico) di cui riassumo le parti essenziali: [p. 20 modifica]Piú che un astronomo sono un astrofisico. [p. 22 modifica]

L'obice Del Prof. Goddard

«Quantunque il prof. Robert H. Goddard abbia tenuto strettamente segreto qualsiasi particolare e nascosti tutti i preparativi della sua colossale esperienza di spedire un obice o, meglio, un «fuso», fuori dell’atmosfera terrestre, avvicinando alcuni suoi assistenti siamo riusciti ad avere alcune notizie precise sul prossimo tentativo dello scienziato americano, appartenente alla Clark University.

«Come è noto, una solida teoria afferma che per fare uscire un qualsiasi corpo solido fuori della atmosfera terrestre, è necessario sottrarlo all’influenza della forza di gravità e, in termini esatti, imprimergli una velocità-limite o una velocità-critica, alla superficie del nostro globo, di 11.280 metri il secondo. Soltanto raggiungendo questa velocità un oggetto o una persona possono rendersi indipendenti dalle catene che li uniscono alla Terra. Per avere un’idea approssimativa sulla misura della velocità citata, basti pensare che la macchina più veloce del mondo fino ad oggi costruita, e cioè l’idroplano «Macchi Castaldi 72» di Agello, ha potuto al massimo raggiungere, per ora, i 200 metri il secondo. [p. 23 modifica]

«Ma il problema della velocità, oltre a dipendere dalla scoperta di un combustibile capace di sviluppare una forza cosí grande è anche strettamente connesso a quello della forma e della costituzione dell’oggetto al quale la velocità deve essere impressa. Il prof. Goddard, dopo essersi consultato con il celebre Lindbergh, ha scelto il «fuso» perché, secondo lui, è questa la forma più adatta per un veicolo destinato ai viaggi interplanetari.

«Infatti, in un «fuso», le esplosioni possono prodursi gradualmente e successivamente: perché diversamente dagli obici, cui in un primo momento si era pensato, il fuso non richiede una unica spinta di gas esplosivi per passare brutalmente dallo stato d’inerzia alla velocità massima, ma consente una serie consecutiva di scoppi che progressivamente possano lanciarlo in alto nel cielo. Dopo parecchi anni di calcoli teorici e di esperienze in miniatura, il prof. R. H. Goddard è giunto alla conclusione: egli invierà alla Luna (o meglio verso la Luna) un proiettile caricato di polvere di magnesio, la cui luminosità sarà quindi visibile, con i telescopi, dalla superficie terrestre. Il principio sul quale si basa il tentativo del prof. Goddard è che sarebbe teoricamente possibile espellere dalla zona di gravitazione ter[p. 24 modifica]restre un proiettile, se questo proiettile fosse almeno seicento volte più pesante di quello che dovrebbe essere alla fine dell'esperimento. In altri termini: volendo far arrivare nella Luna un oggetto di un chilo, il proiettile «portante» dovrebbe pesare, su la Terra, almeno 600 chilogrammi....

«Circa due anni fa il prof. Goddard è iuscito, con un combustibile di sua invenzione, chiamato «polvere infallibile» a far raggiungere ad un fuso una velocità di eiezione di 3000 metri il secondo.

«Ora, 3000 metri costituiscono appena il quarto della velocità occorrente (circa 12 chilometri il secondo). Il tenace professore avrebbe, forse, sospeso i suoi studi, se non fossero intervenuti, nello stesso tempo, l’enciclopedico e misterioso colonnello Lindbergh e l’Istituto Carnegie, il quale, come è noto, finanzia tutte le imprese scientifiche anche audaci e sballate. Con i fondi messi a sua disposizione, il dottor Goddard poté riprendere le esperienze su vasta scala.

«Queste esperienze hanno infine avuto, a quanto si afferma, risultati cosí soddisfacenti che il prof. Goddard avrebbe quasi ufficialmente deciso di procedere entro la prima quindicina del prossimo mese ad una prova in grande stile, per la quale [p. 25 modifica]però egli attenderebbe il ritorno in America del colonnello Lindbergh, che in fondo sarebbe stato, oltre che consigliere, valido collaboratore dello scienziato americano.

«Le innovazioni piú importanti apportate al «fuso» riguardano principalmente la qualità del carburante, la sua combustione e la stabilità del proiettile. Rispetto al primo, la formula è, naturalmente, tenuta segreta. Tuttavia, alcune indiscrezioni lasciano supporre che si tratti di idrogeno atomico, il quale può fornire l’energia necessaria per conseguire la velocità critica di uscita dall’attrazione terrestre, e, cioè, 14.970 calorie per chilogrammo. Nei riguardi del meccanismo di utilizzazione del combustibile impiegato, il Goddard sarebbe anche riuscito a far sí che la velocità del proiettile possa automaticamente regolarsi a diverse altezze a seconda del bisogno, e ciò grazie ad un congegno specialissimo introdotto nella camera di combustione. Infine, la stabilizzazione del «fuso» sarebbe ottenuta mediante l’applicazione di un giroscopio simile a quelli che sono oggi installati sugli aeroplani che navigano radiocomandati. L’impenetrabilità della quale si è circondato il prof. Goddard non concede di sapere con certezza verso quale punto dello spazio sarà diretto il primo «fuso». [p. 26 modifica]Il prof. Goddard avrebbe quasi ufficialmente deciso.... [p. 28 modifica]Alcune dichiarazioni dello scienziato stesso, ed il fatto che egli da moltissimi anni si sia dedicato allo studio della possibilitá di colpire la Luna un proiettile lanciato dalla Terra, hanno spinto molti studiosi a supporre che il mo- mento di tentare questa straordinaria prova sia vicino.

«Bisogna aggiungere che il mondo scientifico sarebbe pienamente soddisfatto anche se il razzo del prof. Goddard non arrivasse fino alla Luna, e superasse soltanto 50 o 100 chilometri di altezza: perché anche in tal caso si aprirebbero nuove possibilitá per la conoscenza e lo studio dei se- greti dell’alta atmosfera. E in tal modo, il massimo sogno dell’uomo, quello di uscir finalmente dai confini della gravitazione terrestre, si avvicinerebbe alla pratica attuazione....».

La decomposizione dell’atomo

Pochi giorni dopo mi trovavo ad Hannover, nel laboratorio chimico del dott. Max Boering, dove era giá il dott. James Hebert, chiamato da uno straordinario telegramma di cui ricordo sempre il testo: «Venite a trovarmi il piú presto possibile. Voglio rivelarvi il segreto della piú [p. 29 modifica]grande scoperta del XX secolo. Ci sarà anche il prof. Piccardi. Vi aspetto».

Max Boering è un uomo maraviglioso. Ha poco più di cinquant'anni, ma è solido e svelto come; un giovinotto. Il suo volto pallido ricorda certe maschere greche scolpite nel marmo: perfetto di linee, ma un po’ duro di espressione, non si vede mai contrarsi per una qualche commozione interna: la sua impassibilità statuaria è compensata solo dalla lucidità degli occhi nerissimi, sempre cerchiati di azzurro. Quel giorno mi sembrò anche più pallido del consueto uno spettro con gli occhi fosforescenti. Lavorava ad un apparecchio di cui sul principio non riuscii a capire lo scopo. Ma dopo che egli ci ebbe tenuta una rapida lezione esplicativa sulla possibilità di disintegrare l’atomo e di trarre, da questo portentoso esperimento radioattivo, l’inizio di una potenza incalcolabile, mi cominciò a battere il cuore. Max aveva dunque trovato il «motore» necessario a sospingere un «razzo» fuori della gravitazione terrestre!

Altro che Goddard, altro che esplosivo fatto di idrogeno atomico! Che cosa potevano mai rappresentare le 3o.ooo calorie sviluppate da un chilo di idrogeno di fronte ai miliardi di calorie sviluppate da un solo grammo di materia [p. 30 modifica]...una rapida lezione esplicativa sulla possibilità di disintegrare l’atomo. [p. 32 modifica]disintegrata? Max, dopo averci spiegato in qual modo era pervenuto alla grande scoperta, trasse dal suo apparecchio molto cautamente alcune fiale e ci disse:

— Ecco. Questa è una fiala dell’esplosivo R. 45, e questa è una fiala dell’esplosivo R. 78. Sono ugualmente potenti. Il loro scoppio equivale, per ciascuna, a mezzo milione di calorie. Solo che la R. 45 esplode alla temperatura di 18 gradi, e la R. 78 alla temperatura di 200 gradi centigradi sotto zero: presso a poco quella degli spazi interplanetari. Faremo un esperimento con quella di 18 gradi. In questo mio apparecchio è racchiusa tanta energia da far saltare in aria l’Europa intera: ma.... non vi spaventate: le fiale sono mantenute ad una temperatura costante di zero gradi, e non vi è dunque alcun pericolo.

Andremo in un campo qui vicino. Vi mostrerò che non ho perduto inutilmente il mio tempo.

Il dott. Hebert osservò, con una certa apprensione, che il termometro segnava già, nel laboratorio, 19 gradi e che non era prudente, forse, maneggiare a lungo la fialetta dell’esplosivo R. 45. Max scosse il capo, sorrise, mentre involgeva la terribile fiala in un pannolino bagnato.

— Occorrono circa due ore perché questa fiala, in una atmosfera di 18 gradi sopra zero, [p. 33 modifica]possa esplodere. Abbiamo tutto il tempo di andare nel campo, di metter la fiala in un solco, e allontanarci. Lo scoppio avverrà senza rumore: e i suoi effetti non potranno estendersi a piú di due chilometri all’intorno. La regione è disabitata.

Cosí facemmo. Sulla vetta di una collina sparsa di alberi bassi, a un tre chilometri dal suo laboratorio, Max depose la fiala dell’R. 45. Noi ci tenevamo ad una rispettosa distanza: lui, invece, tornò verso di noi, a passo lento e sicuro, e ci indicò una capannuccia di frasche sul limitare della pianura.

— Andiamo laggiú. Ho già disposto per un servizio di vigilanza intorno al campo.

Ci infilammo dentro la capannuccia e aspettammo io e il dott. Hebert, ansiosi: Max, invece, tranquillissimo. Teneva l’occhio fisso sul suo cronometro e non batteva ciglio. Quando furono scoccate le due ore previste, egli si scosse un tantino e ci avverti placidamente:

— Ecco. Ora il fenomeno dovrebbe prodursi.

Proprio in quel punto, vedemmo levarsi una gran nube nera dalla collina, e il terreno traballò sotto i nostri piedi. L’aria ci avvolse come in una tromba, ci sbatté a terra. Poi, quando tutto fu passato, Max ci condusse sul luogo dove era scoppiata la fiala. Misericordia! Era come vi [p. 34 modifica]....al posto della collina adesso si apriva un baratro nero. [p. 36 modifica] fosse caduto un enorme bolide: al posto della collina adesso si apriva un baratro nero, un immenso imbuto con le pareti vetrificate dal calore!

— Non occorre che vi dica — ci spiegò più tardi Max Boering — che, volendo adoperare questo mezzo di propulsione in una astronave, noi dovremmo costruire un apparecchio atto a regolare e a dirigere, per così dire, la tremenda forza dell’esplosivo. E questo è possibile, collocando le fiale in una sorta di cannoncini costruiti con un metallo resistente all'azione esplosiva dell’R. 45 e dell’R. 78. Ho fatto in proposito qualche studio....

Il Razzo Lunare

Una volta in possesso della forza di spinta, ci riuscì facile disegnare il razzo, ossia un grosso proiettile vuoto, press’a poco simile a quelli che sono stati immaginati da coloro che hanno vagheggiato la possibilità di un viaggio nei pianeti. Il prof. Goddard, ad esempio, per superare teoricamente le difficoltà di trascinar nello spazio insieme col razzo contenente i viaggiatori e gli apparecchi scientifici, l’enorme peso del carburante, aveva immaginato una macchina, che [p. 37 modifica]doveva, per cosi dire, frammentarsi durante il, cammino. Fatti i primi mille chilometri, esaurita la carica, il proiettile si liberava automaticamente di una prima sezione: e continuava col rimanente, da cui, dopo altri mille o duemila chilometri, si staccava un’altra sezione: e la, macchina, alleggerita a poco a poco della maggiore parte del peso, avrebbe proseguito per forza propria finché, giunta al limite dell’attrazione terrestre ed entrata in quella lunare, sarebbe caduta sulla Luna.

Per attenuare i disastrosi effetti di una caduta da circa trentamila chilometri, il Goddard pensava a due coefficienti: uno, la scarica degli ultimi razzi, che avrebbero rallentato la velocità della discesa: l’altro, un enorme paracadute che avrebbe permesso all'aeronave di calare, piano piano, sulla superficie lunare. Certo; se nella Luna non c’è atmosfera, l’aiuto di un paracadute sarebbe stato nullo: ma forse Goddard allora credeva, che una atmosfera, per quanto rarefatta, ci fosse intorno al nostro satellite; almeno tale da poter servire al rallentamento.

Il nostro «razzo» invece doveva essere quasi tutto dedicato ai viaggiatori e alle loro necessità. La macchina di spinta, situata nella culatta del proiettile, non prendeva più di un terzo dell’intero apparecchio mobile: i due terzi, come [p. 38 modifica]ho detto, sarebbero stati occupati dalla nostra «casa». Era come l’interno di uno scompartimento ferroviario bene imbottito e provvisto di lettucci ribaltabili, di mobili metallici, di strumenti scientifici e da lavoro. La parte conica del proiettile avrebbe rappresentato il solaio della casa: là si sarebbe raccolto tutto quanto potesse occorrere nel gran viaggio: le provviste, le armi, le vesti, un impianto radio. Avevamo pensato anche alla macchina per rifornire di ossigeno l’atmosfera del vagone e a quella per il riscaldamento elettrico dei liquidi e dell’ambiente. E non doveva mancare, tra gli innumerevoli congegni, un piccolo cannone, in costruzione a Skoda, destinato al lancio di obici di alluminio oltre i confini dell’attrazione selenitica.

Terminati gli studi e i disegni, ci accorgemmo che ormai per l’attuazione dell’ardito disegno non ci mancava più che una sciocchezza: il denaro.

Su questo problema di carattere finanziario discutemmo a lungo. E da ultimo James, sempre impassibile, dichiarò: — Ci occorrono cinque o sei milioni di dollari. Voi non li avete. Io neanche. Per questo, domani mi imbarco ad Amburgo. Al di là del mare i dollari mi aspettano. [p. 39 modifica]

Gli scafandri per vivere sulla Luna

Mentre James, ritornato in America, raccoglieva i fondi per la grande impresa, io e Max preparavamo i piani delle varie costruzioni meccaniche, studiando i particolari più minuziosi del viaggio. Dato che, anche accettando la mia teoria dell’atmosfera lunare mille volte più rarefatta di quella che i nostri arditi esploratori trovarono su le vette dell’Himalaja — dato, ripeto, che noi non avremmo potuto respirare sulla superficie della Luna, ci lambiccammo il cervello per fabbricare (almeno con i disegni e le cifre) un tipo di scafandro da palombaro, corazzato internamente con grosse piastre di alluminio, connesse e congegnate in modo da permetterei una discreta libertà di movimenti. Avremmo adoperato un condensatore di ossigeno per la nostra respirazione, una specie di serbatoio collocato sulle spalle. Questo voluminoso apparecchio, secondo i nostri calcoli, avrebbe superato il peso di un quintale e mezzo: ma il peso, essendo sulla Luna ridotto a un settimo di quello terrestre, come è noto, noi non dubitavamo affatto di poter sopportare, senza risentirne eccessiva fatica, il guscio metallico che doveva impedirci [p. 40 modifica]Avevamo pensato anche a alla macchina per rifornire di ossigeno l’atmosfera. [p. 42 modifica]di scoppiare per la pressione interna o di morire asfissiati.

Fin qui nulla di straordinario. Una volta risolto il problema massimo - quello della forza di propulsione - gli altri potevano essere facilmente studiati e chiariti da un qualunque dilettante di fisica. Però nei nostri calcoli e nelle nostre previsioni si presentava sempre una incognita: che cosa sarebbe successo di noi, animali costretti a vivere e a muoversi secondo la legge della gravitazione, quando questa gravitazione fosse divenuta nulla? Perché era evidente che una volta lanciati nello spazio, per la estrema velocità annullante la gravità, nel nostro vagone-razzo avremmo dovuto lottare contro gli ignoti e forse tremendi effetti della mancanza del peso....

Sul meglio delle nostre discussioni arrivò un telegramma dall’America, naturalmente di James, cosi concepito:· «Istituto Carnegie assegnato dieci milioni dollari nostro gran tentativo. Occorre cominciar subito lavoro. Venite San Francisco».

Purtroppo, un attacco di influenza costrinse il nostro ottimo Max a mettersi in letto. Toccò a me di andare in America. Prima però feci una corsa a Recanati, per raccogliere documenti e notizie intorno all’astro che dovevamo esplorare. [p. 43 modifica]Avevo il cuore in sussulto, mentre viaggiavo verso il mio caro paese.

Gli è che a Recanati dovevo accomodare una certa cosa.... che mi preoccupava alquanto. È proprio necessario scrivere anche questa vicenda familiare, che ha solo un vago riferimento con la cronaca pura e semplice del mio viaggio? Si, è per lo meno opportuno: voglio che il mio eventuale lettore (ne avrò mai? Chi sa!) sappia tutto di me; e mi giudichi come merito.

Marcello e Silvano, i Dioscuri

Dunque, quando ebbi deciso di prender parte alla spedizione per la Luna, cominciarono i miei guai di cuore. Mi credono un po’ misantropo, e forse è vero, ma in materia di affetti familiari io sono un ipersensibile. Voglio un gran bene a mia sorella Romilde e ai suoi ragazzi, rimasti orfani di padre quando eran piccini piccini. Ho contribuito a far si che potessero vivere e svilupparsi materialmente e moralmente bene, ho vegliato alla loro educazione. Cosi intelligenti, cosí buoni, tanto Marcello quanto Silvano! Adesso mi toccava di lasciarli! Come dire questo alla Romilde? Povera figliuola! Quante sere, per tenermi [p. 44 modifica]compagnia, veniva insieme con i suoi due gemelli, sempre ansiosi di frugare, di interrogare, di sapere, e si sedeva tranquillamente in un angolo, passando le ore a guardarmi armeggiare tra i cannocchiali e il telescopio, mentre da uno spicchio aperto nella cupola pioveva su noi la fredda luce delle stelle. Ma i ragazzi non stavano tranquilli; eh no! Negli ultimi tempi specialmente si erano intestati a voler costruire modelli di aeroplani che non volavano mai.

Avrei dovuto dar loro le precise cognizioni per questo genere di lavori: ma, purtroppo, tutte le volte che cominciavo i miei insegnamenti, l’orologio mi ricordava i miei doveri di studioso e di osservatore: e lasciavo sul meglio quei figliuoli per salire al telescopio e cominciar le ricerche su una macchiolina sperduta nella superficie di Marte, sul movimento di una cometa, su la colorazione di un gruppo stellare, su l’aspetto variabile dell’anello di Saturno....

Allora, quei monelli, abbandonati a se stessi, correvano nell’officina a far raccolta di filo di rame, di legno, di rotelle, di cartoni, e ricominciavano, a modo loro, la costruzione dell’apparecchio «più veloce e più sicuro del mondo».

Mentre pensavo di lasciare la Terra per la Luna, pensavo anche al modo di lasciare mia [p. 45 modifica]sorella e i ragazzi. Finanziariamente, le nostre condizioni si equivalgono: io possiedo, come mi pare di aver già scritto, una casetta, qualche podere, l’osservatorio e un discreto gruzzolo in banca: lei è proprietaria di due case in Recanati e di una magnifica villa, lasciatale dal marito, presso Loreto. Ha anche qualche terreno e molto denaro liquido. Non era il problema finanziario che mi preoccupava. Avanti la partenza, avrei fatto testamento legando ogni mia sostanza a Romilde e ai figliuoli. Ma...

Il male era un altro: io non sapevo come spiegare la cosa a mia sorella. Perché io ho sempre avuto una gran soggezione di quella donna cosi alta, cosi bruna, cosi fiera. Quando ero ragazzo, temevo Romilde più della mia povera madre.

Perciò, ritornando dalla Germania, non sapevo come comportarmi. Era un problema che mi sembrava insolubile. Ma alla stazione di Recanati credetti, finalmente, di aver trovato la soluzione. 《Clausura》 — dissi, guardandomi intorno per la paura di essere conosciuto — ecco: clausura nell’Osservatorio! Poi, una lunga lettera spiegativa. Poi, partenza per la Luna! Cosi, entrai a notte alta nell’Osservatorio, insieme con la mia vecchia domestica, e le feci questo discorsino:

— Cecchina: io sono morto provvisoriamente. [p. 46 modifica]...lasciavo sul meglio quei figlioli per salire al telescopio. [p. 48 modifica]si capisce. Tu devi aiutarmi. Chiunque ti chieda di me, tu non ne sai nulla: non ho scritto, non ho dato disposizioni, niente; anche tu stai in pensiero. Invece ogni sera; quando sei certa di non essere veduta da anima viva, vieni qui a portarmi da mangiare.... L’importante è che tu sappia tener la bocca chiusa, specie con... con mia sorella...

― E anche con i vostri nipoti? ― Cecchina sbarrava i grandi occhi color nocciola.

— Quelli, in ispecie!

La Cecchina giurò che si sarebbe attenuta rigorosamente alle mie disposizioni. Infatti, la sera dopo, la vidi entrare, con circospezione, dall’usciolino di servizio dell’Osservatorio. Ma dietro di lei, vidi anche, con sommo spavento, scivolare una grande ombra: l’ombra di Romilde.. e dietro Romilde, apparvero i due ragazzi! 《Sono perduto》 pensai, passandomi la mano sulla fronte madida di sudore. Però nello stesso tempo decisi di accettare la battaglia; anche perché non mi era possibile una qualsiasi ritirata. Cominciai con voce soave:

— Oh! Romilde cara....

Romilde mi interruppe subito, aspra, passando all’attacco. — È più di un mese che non mi scrivi. Ritorni dall’estero e non mi avverti [p. 49 modifica]del tuo arrivo. Ti chiudi qui dentro, e non cerchi di vedermi. E quel che è peggio, non domandi neanche di vedere i tuoi nipoti. A che giuoco giuochiamo? Sei impazzito? Che ti è successo?

Marcello e Silvano, a questo punto, mi abbracciarono le gambe strillando:

― Zio cattivo! ziaccio!... Non ci vuoi più bene!...

Mi vennero le lacrime agli occhi; ma, finalmente, compresi qual era il mio dovere in un momento cosi delicato. Raccogliendo tutto il mio coraggio, dissi, di un fiato:

― Io debbo andare nella Luna. Non è un obbligo assoluto, intendiamoci. Ma è un impegno d’onore. Due miei amici han risoluto di andarci:

due miei colleghi: un tedesco e un americano. Io, io...ho promesso di seguirli. Il viaggio non è semplice, come puoi capire. Son quattrocentomila chilometri da percorrersi nello spazio: dieci volte il giro del mondo. E poi, la Luna... sì, ecco, la Luna non è un astro come la Terra: voglio dire, un astro munito di comodità per i viaggiatori... Non è una stazione turistica, insomma. Dirai: perché vuoi andarci, allora? Ah! perché? Perché? Come spiegare certe cose? Io ho sempre avuto fin da ragazzo una passione speciale per la Luna. Mi ficcavo a letto e sognavo la Luna. [p. 50 modifica]Più tardi, studiando astronomia, potei, in parte, soddisfare la mia sete di curiosità.... Mia sorella, a questo punto, mi interruppe:

― Con chi vai nella Luna? Immagino che avrai scelto accuratamente i tuoi compagni....

― Sono i miei soliti compagni.... ne ho parlato spesso anche con te.... il dott. Max Boering, di Hannover, e l’ingegnere James Hebert di San Francisco.... La colpa è stata di Max, che un giorno mi manda a chiamare e mi rivela un suo portentoso segreto.... Sai: da cosa nasce cosa. La scoperta di Max rendeva possibile una corsa negli spazi interplanetari.... Forse ignori che, fino ieri, l’ostacolo più grave per tentativi di questo genere, era costituito dal carburante. Si parlava di idrogeno atomico, di 15.ooo calorie per chilogrammo.... infine, cose che non possono interessarti. Un giorno, insieme con James Hebert, venuto dall’America, decidemmo: «Faremo un salto fino alla Luna!». E cosi, ci mettemmo a lavorare. Io non sapevo come spiegarmi con te....

Feci avvicinare Romilde alla scrivania, nell’angolo più remoto dell’Osservatorio, e le disposi sotto gli occhi le mie carte, i disegni di James, i calcoli dell’ingegnere tedesco sulla potenza dell’esplosivo, gli articoli ritagliati dai giornali, una quantità di fotografie rappresentanti i modelli del [p. 51 modifica] razzo, e la macchina per il lancio. Romilde sfogliava, osservava, leggeva. Poi si mise a sedere sulla mia vecchia poltrona di cuoio rugoso e scortecciato, alzando il viso per guardarmi. La lampadina della scrivania le accendeva misteriose scintille nei larghi occhi azzurri.

— Senti, caro, — parlò piano, nettamente, dopo una lunga meditazione — io trovo bellissimo questo tuo viaggio. Non capisco perché tu non me ne abbia parlato prima, che tu abbia preferito nasconderti, mentire, piuttosto che confidarti con me. Pensavi che tua sorella ti avrebbe sconsigliato da una simile impresa? Forse non mi conosci. Vuoi che venga con te?

Mi sentii stringere la gola per la commozione.

— Come? Che dici? tu? e i ragazzi?

— Anche loro!

Marcello e Silvano si posero a strepitare:

— Anche noi!... anche noi.

— Ma non diciamo sciocchezze!... Tentiamo di ragionare, piuttosto. Tu sai di che cosa si tratta. Quel mio amico tedesco ha scoperto un formidabile esplosivo: l’ingegnere americano farà costruire una macchina volante, una specie di astronave, che potrà vincere la forza di attrazione terrestre con la spinta dell’esplosivo. I calcoli sono perfetti. Noi sappiamo fino a un decimo [p. 52 modifica]I calcoli sono perfetti. [p. 54 modifica]di secondo il tempo che impiegherà il nostro razzo à percorrere i quattrocentomila chilometri che ci dividono dalla Luna: sappiamo fino a un milligrammo quanto esplosivo sarà necessario per darci la spirita iniziale, per aiutarci nel viaggio e, infine, per rallentare la nostra discesa nella Luna. Tutto è a posto, nei nostri disegni, nei nostri prèventivi. Ma non è escluso che, nonostante questi minuziosi studi, queste misure, questi calcoli, il razzo si fermi per via, o si spezzi, o precipiti di là dall’orbita lunare. Aggiungi che, se ’ noi arriveremo senza guai nella Luna, l’impresa non potrà dirsi finita: dovremo, probabilmente, lottare contro ostacoli e pericoli, appetto ai quali quelli vinti nella traversata ci sembreranno trascurabili.

Pensa: la Luna è un paese selvaggio, dove si trovano soltanto sassi e rupi calcinate dal Sole: non c’è aria - o almeno, non ce n’è in quantità sufficiente per i nostri polmoni di animali terrestri l’acqua è sparita da un pezzo.... Nessuna possibilità di vita normale, nell’alternarsi delle gelide notti di trecento cinquant’ore e negli interminabili giorni, durante i quali la temperatura arriva a quella dell’acqua bollente....

Non avevo il coraggio di dirti queste cose....

Temevo che tu mi prendessi davvero per pazzo.... [p. 55 modifica]E poi non sapevo trovar le parole per separarmi da questi figliuoli, cui voglio.bene come fossero miei....

Improvvisamente Marcello mi prese una mano e mi diSse, con una voce che non gli avevo mai sentito:

- Zio Nicola, credi che io non trovo niente di strano nel fatto che tu voglia andare nella Luna. E, davvero, sarei contento di fare il viaggio con te!

- Anch’io! — affermò Silvano. — Ma, se anche tu non ci porterai, noi un giorno fabbricheremo un grande aeroplano stratosferico e verremo a trovarti.

- Non si può andare nella Luna in aeroplano - mormorai, intenerito, - perché di qui a lassù non c’è atmosfera. Ma in qualche modo, anche se, per disgrazia, dovessi ritardare il mio ritorno; troverò modo di farvi avere mie notizie.

- Davvero, zio? - Silvano e Marcello battevano le mani con entusiasmo.

- Sì.... Credo.... suppongo.... con la radio....ci occorrerebbe un apparecchio trasmittente e uno ricevente di potenza incalcolabile. Onde cortissime, lanciate da una energia che no~ è ancora facile produrre. Nonostante, proveremo!...

- Anche noi proveremo — dichiarò [p. 56 modifica]seriamente Marcello. — Mi metterò a studiare da domani la storia della radio!

Silvano si grattava un orecchio, imbarazzato.

- E allora, il grande aeroplano, quando si fa?

- Quando avremo trovato il modo di parlare con lo zio, nella Luna!

- E partirai presto? — mi domandò, a questo punto, Romilde.

- Non so. Dipenderà da quello che mi scriveranno i compagni. Partiremo da San Francisco. L’Istituto Carnegie ci ha aiutato, e anche altri istituti, in Germania, in Italia, ci hanno assicurato il loro appoggio.

- Caro fratello! - interruppe mia sorella, carezzandomi un po’ una guancia, maternamente.

- E c’era bisogno di far tanto mistero per una cosa cosi semplice? Quando, la sera, vedrò apparire la Luna, dirò ai miei figliuoli: «Guardate, vostro zio è lassù!... Vostro zio è uno dei tre esploratori più audaci e fortunati del ventesimo secolo!» E tu, che penserai?

Quando vedrò apparire nel cielo lunare la immensa sfera della Terra, dirò: «Ecco: là, in quel mondo tutto verde, ci sono i miei cari nipoti e mia sorella.... tutta la mia famiglia!».

Cosi le cose si aggiustarono per il meglio. Ma prima di lasciare Recanati, dovetti, per [p. 57 modifica] contentare Marcello e Silvano, costruire alla meglio un razzo, che lanciai, la sera stessa della · mia partenza, dalla ’ terrazza dell’osservatorio. 11 razzo, caricato con un po’ di polvere; naturalmente, non riuscì a sollevarsi: e allora Silvano, fisso nella sua idea, mi rimproverò amorevolmente:

- Vedi, zio, che sarebbe stato meglio che tu avessi scelto un aeroplano.per andare nella Luna!

(Qui finisce il manoscritto del dott. Piccardi, e segue quello del dott. Max Goering, il quale riproduce in ·principio una lettera di ]ames Hebert, da San Francisco). [p. 58 modifica]Navigatori aerei sono arrivati all’altezza di oltre 10.000 metri....