Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani/Capitolo II

Capitolo II

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Capitolo I Capitolo III
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II.

Progressi del Despotismo, e della decadenza
de‘ costumi tra i Romani.


Dopo la morte dì Tiberio  1 erano i domani così pronti a fare, e soffrire tutto ciò, che prescritto si fosse dal loro assoluto Monarca, che il dispotico potere di lui, e l'incertezza dell’onore, dei beni, e della vita dei sudditi dovevano indispensabilmente andar sempre piò crescendo ogniqualvolta il successore del morto tiranno avuto non avesse tanta fortezza d’animo onde a fronte dei più lusinghieri, e replicati incentivi tener del continuo a freno la propria sensualità, avarizia, e sete di vendetta, non meno che quelle de’ suoi medesimi favoriti, ed amici. Ma la Provvidenza per imperscrutabili cause diede allora appunto ai Romani un Padrone, il quale sembrava piuttosto destinato a vivere in una casa di pazzi, che a salire sul Trono, e che per conseguenza allorquando la sorte collocato lo ebbe nel Soglio de’ Cesari diedesi in breve tempo a conoscere qual nemico degli nomini, e distruttore di quella parte di Mondo a lui sottoposta, [p. 70 modifica]conforme il sagace Tiberio n’aveva di già formato il prognostico1.

Caligola  2 fu uno di quelli individui, che nella più infelice guisa siansi mai dati alla luce da qualchesiasi donna (male natus), e mi resta molto meno possibile a comprendere in qual modo un mostro di tal carattere produr giammai si potesse dal sangue del nobile Germanico, e nel seno della non meno illustre Agrippina, di quello che come l’imperfetta Natura fosse capace di unir tanto ingegno, benchè perverso, del quale Cajo era veramente dotato, con un così alto grado di originaria depravazione, ed una total mancanza di qualunque sentimento d’umanità. Le passioni tutte, e i vizj di questo Tiranno, l’incredibile di lui dissimulazione finchè visse Tiberio2 la sua incetuosa voluttà3, la sua inaudita ghiottornia, profusione [p. 71 modifica]e sfacciataggine4, la sua maligna invidia5, il suo orgoglio senza esempio6, la sua più che puerile incostanza7, e finalmente la ferina sua crudeltà oltrepassarono di tal forma tutti i limiti dei traviamenti, delle dissolutezze, e dei delitti degli uomini più corrotti, non però furibondi, che da ogni suo vizio, e passione, non meno che dalla deforme di lui figura8, e dalle sue imprese dedur si poteva ch’egli era invaso da una innata, ed incurabile frenesia9. [p. 72 modifica]

Tal era il destino dei Romani, allora padroni del Mondo, che essi non solamente soffrir dovettero per parte dei proprj Despoti molto più di quello, che patito avevane qualche Nazione da loro soggiogata, ed oppressa; ma per maggiore scorno, ed avvilimento costretti furono inoltre a sopportarlo da furibondi, ed imbecilli Tiranni.

Tiberio fece senza dubbio un gran male, ma sempre sotto il manto della giustizia. Cajo Cesare al contrario operava il tutto all’aperto, e nei modi più violenti, quasi che egli fosse stato il solo, e vero Padrone delle proprietà, dell’onore, e della vita de’ suoi sudditi, e tutte le azioni di lui esser non potessero se non che giuste. Egli non fu contento di aver violate tutte le sue Sorelle, e di farle quindi violare in sua presenza dai proprj schiavi, nè di strappare al suo Marito Drusilla, la più amabile delle medesime, e di vivere pubblicamente con essa come con la propria moglie, ma considerava altresì tutte le altre Romane quai sue legittime Spose, e Concubine. Ogni volta per tanto che costui invitava a pranzo alcuni dei primarj Romani colle loro Donne voleva che esse passassero adagio adagio dinanzi a lui ad oggetto di poterle meglio vedere, ed attentamente esaminare come se state fossero altrettante schiave, che gli venissero esposte in vendita. Quando poi tra le convitate egli trovavane alcuna, che gli sembrasse degna de’ suoi favori, allora anche durante il banchetto la faceva chiamar in [p. 73 modifica]disparte, e qaiadi lodava subito, o biasimava tutte le prerogative, o i difetti, che scoperti aveva nella sua persona, o ne’ suoi amplessi10. Trattandosi di un Despota, il quale così capricciosamente si prendeva giuoco dell’onore degli uomini, e delle donne più insigni, parmi che appena meriti di esser narrato che non di rado egli spediva a varie Donne congiunte in matrimonio lettere di divorzio a nome degli assenti loro Mariti; altre facevane tosto venire a Roma sulla fama della bellezza delle loro Genitrici, ed Avole; e finalmente, nel giorno stesso delle loro nozze carpiva ad alcuni Sposi le lor promesse o consegnate Consorti, e poscia davasi il vanto di avere, ad esempio di Romolo e Remo, rapitori delle Sabine, trovata anch’esso una Donna11.

Cajo Cesare rispettava similmente così poco la dignità dei Romani come il lor decoro, ed onore. [p. 74 modifica]Egli frustava di propria mano varj insigni membri di Magistrato, e costringeva alcuni illustri soggetti, che coperte avevano le prime cariche, a correre per qualche migliajo di passi accanto al suo cocchio, o come schiavi a servirlo a tavola12. Talvolta faceva pure verso la mezza notte svegliare, e condurre al suo palazzo di versi Consolari, e dopo avergli ivi per lungo tempo obbligati ad attenderlo col maggior timore di qualche imminente fatal disgrazia, ad un tratto usciva fuori in mezzo alla più sonora musica cantando, o rappresentando con gesti, e salti qualche squarcio di una Commedia a lui prediletta, e poscia spariva colla medesima celerità, con cui era comparso13. Quei Consolari, che ciò sopportavano, dovevano altresì contentarsi di essere invitati a pranzo a nome di un cavallo, e che questo cavallo fosse lor destinato per ajuto, e compagno nell’impiego che essi occupavano14.

Caligola andava talmente persuaso di essere il legittimo Padrone di tutte le sostanze dei Romani che non si vergognò di manifestare eziandio questa sua opinione ai proprj Comandanti, ed Incaricati d’affari15. Dopo che egli in meno [p. 75 modifica]di un anno ebbe dato fondo ad uno dei maggiori tesori, che siansi mai raccolti in Europa, e che viddesi per conseguenza esausto ad un tratto di numerario, allora annichilò con ardita mano le più antiche, e non mai violate leggi sulle successioni ereditarie, abolì perfino come nulle, ed ingrate le ultime disposizioni di quei Primipili  3, che non l’avevano chiamato a parte delle loro sostanze, e ad onta dei più chiari, e precisi testamenti dichiarò suoi i beni dei defonti tutte le volte che qualcuno asserì d’aver inteso che da essi avuta si fosse l’idea di lasciarli all’Imperatore16. Ciò fu causa che gli stessi ignoti  4 e i Padri di famiglia ad oggetto di non privare i posteri di tutte le proprie sostanze incominciarono a costituirlo pubblicamente erede delle medesime in compagnia dei rispettivi loro famigliari, e figliuoli. Tutti quelli per altro, che in tal guisa operavano, posto che ancora seguitato avessero a vivere dopo una sì fatta disposizione, erano chiamati da esso dileggiatori, e perciò spedivane egli ad alcuni torte, ed altre paste avvelenate, onde punirgli di tali scherni17. I facoltosi, niuno eccettuato, comparivano agli occhi suoi rei degni di morte, e molti di questi vennero da lui rimproverati, che fossero, cioè, così temerarj di volerlo [p. 76 modifica]passare in ricchezza. Avendo egli un giorno condannato a morte, e alla perdita dei loro beni quaranta accasati si vantò con Cesonia sua Sposa, nell’atto che questa svegliavasi dal suo sonno di mezzo-giorno, di quanto aveva mandato ad effetto durante il breve di lei riposo. In altra circostanza essendosi egli all’improvviso assentato dal giuoco, in cui con menzogne, e spergiuri ingannava, e rubava nel modo il più vergognoso, ed infame, fu ben presto di ritorno con alti gridi di gioja esclamando che non aveva mai giuocato così bene come in quel punto. Questo bel giuoco altro non era stato se non che nel discender ch’ei fece nella corte del suo Palazzo incontrato avendo due ricchi Cavalieri Romani ordinò che sul momento arrestati fossero, e spogliati dei loro effetti18.

Questo Tiranno soltanto ingegnoso nel derubare, tormentare, e schernire i suoi sudditi non si contentava di togliere apertamente a persone innocenti vita, e sostanze, ma servivasi altresì dell’ingiusta sua preda ad oggetto d’immerger altri in una simil disgrazia: imperocchè nel [p. 77 modifica]mentre che egli vender faceva al pubblico incanto i beni dei condannati, obbligavane i compratori ad offrire a gara per cose di poco, o di niun valore somme di denaro così esorbitanti che alcuni vi sacrificavano tutto il lor Capitale, e quindi toglievansi disperatamente la vita19.

Non vi fu alcuna classe di persone, e di cose, cui egli non aggravasse di nuove imposte20. Comecché però queste non venivano indicate al Popolo per mezzo degli ordinarj Editti, ed essendosi dal medesimo, a motivo della frode, e della confusione, che ne risultavano, fatta alla fine istanza onde l’Imperatore rendesse pubblicamente noto ciò che eseguir dovevasi, così egli diede ordine che le Leggi riguardanti le nuove imposizioni scritte fossero in carattere talmente minuto, ed affisse in luoghi così alti, ed oscuri che niuno potesse leggerle, non che [p. 78 modifica]copiarle. Per ultimo, affinchè non rimanesse inutile alcuna specie di scrocchio, e di latrocinio, stabilì nel proprio palazzo un sito di pubblico bordello; volle, conforme praticavasi in Roma in simili luoghi, che si scrivessero ii nomi di libere, e nobili Donne, e Giovanetti sulle porte delle respettive loro abitazioni, ed obbligonne poscia gli inscritti a stare nelle debite ore davanti alle proprie celle per prostituirsi venalmente a chiunque si presentava. In seguito ad oggetto di accrescere al detto suo lupanare il concorso delle persone, e trarne per conseguente maggior profitto egli mandò alcuni de’ suoi servi per tutte le strade, e luoghi, pubblici di Roma ad invitarvi e Giovani e Vecchi, ed eresse nel medesimo tempo varj banchi di cambio, ove a persone povere di contanti, ma sicure, somministravasi ad usura tutto il danaro, che loro occorreva. Fecesi inoltre la nota dei concorrenti all’Imperial postribolo, ed acquistavansi un gran merito coloro, i cui nomi s’incontravano spesso nei diarj a ciò destinati, venendo essi per tal modo tenuti come patriottici protettori dell’Imperiale Tesoro21.

Caligola, il quale, oltre agli altri vizj fra loro opposti, univa la più stravagante profusione ad una del pari smodata ingordigia del denaro, s’infuocava talmente all’aspetto di grandi masse d’oro che qual furibondo incominciava [p. 79 modifica]tosto a passeggiarvi sopra a piedi scalzi, e ad introdurvi le mani, nè davasi pace se non dopo essersi spogliato e rivolto tutto nudo su quei tesori22.

Caligola teneva eziandio rispetto alle persone dei Romani un contegno anche più violento, arbitrario di quello, che praticava con il loro decoro, e colle loro sostanze; ed essi lasciavansi quasi toglier la vita prima delle lor case, ville, e magnificenze. Siccome Tiberio fra tutte le sue pretese virtù niuna tanto n’amava quanto la dissimulazione, così Caligola ammirava soprattutto in se medesimo quella rara imperturbabilità di spirito, per cui punto non commovevasi alla vista dei più orribili tormenti, e supplizj23. Egli si compiaceva oltremodo di ridurre avanti ad uno specchio il suo volto più deforme ancora di quel che fosse naturalmente24; ed il segno più certo, onde veniva da costui riconosciuta per sua la Figlia partoritagli da Cesonia, era quello della di lei rusticità, e fierezza, essendo essa, benché lattante, così stizzosa, e insolente che sempre avventavasi colle dita, e colle mani al [p. 80 modifica]volto, ed agli occhi degli altri bambini25. Tiberio nelle sue crudeltà osservava mai sempre un certo esterior rispetto alle leggi, volendo che anche gli innocenti accusati fossero alla presenza del Senato, e che dal medesimo ne ricevessero la condanna. Caligola all’opposto, senza accusatori, senza Giudici, e senza processo trar faceva a morte chiunque per le ricchezze per la beltà, pei talenti, e per le virtù aveva la disgrazia di dispiacerli, e sembrava che fra tutti i diritti del supremo potere Egli apprezzasse singolarmente quello, che davagli la facoltà di toglier la vita con un sol cenno e con una sua sola parola alle più innocenti, cospicue, ed amabili persone. Infatti essendosi egli un giorno in un lauto banchetto abbandonato sul momento a un gran riso, ed avendogli i Consoli, che gli stavano appresso, chiesto umilmente qual fosse in Lui stata la causa di una così vivace espressione di allegrezza, diede loro immantinenti questa risposta = come non ho io motivo di ridere quando pepso che potrei farvi strozzar ambidue con un sol cenno! Ogni volta pertanto che Egli baciava la propria Consorte, o qualch’altra leggiadra Donna le diceva = questo bel capo caderebbe tostochè io soltanto ne dessi l’ordine =, ed era solito esprimersi colla medesima sua Cesonia che anche a forza di tormenti tentar voleva di strapparle [p. 81 modifica]di bocca il segreto  7 per cui Ella veniva da Lui amata con tanto trasporto26. Già fino dalla sua prima gioventù Egli rimirava le torture, e i supplizj con sommo interno piacere27, e questa non natural barbarie si accrebbe talmente con gli altri di lui vizj allorché ebbe fatto acquisto del Sovrano dominio che in niuna cosa fu così ingegnoso, e sottile come nell’invenzione, ed atrocità dei tormenti, e delle varie specie di morte. Egli, bramava28 che il popolo Romano avesse una sola testa, ed aveva pure formano il progetto di mettere a morte il Senato intero, e tutte le legioni, che al tempo di suo Padre si erano sollevate contro Tiberio; e non eravi alcun detto, che fosse da Lui pronunziato con maggior frequenza di questi, mi odino quanto vogliono purché mi temano; e poscia, ferisci, ed uccidi in modo che Essi sentano di morire29. Si rammaricava fortemente che il suo governo non venisse segnalato da qualche grande, e pubblica calamità, e che per conseguente attesa la troppa felicità dei tempi potesse correr pericolo di cader nell’oblìo, mentre sotto Angusto era avvenuta la strage di Varo, come sotto Tiberio la rovina del Teatro de’ Fidenati. Egli perciò [p. 82 modifica]auguravasi bene spesso, e ad alta voce o una memorabile sconfitta delle sue truppe, o una pestilenza, e carestia, ovvero terremoti, ed incendj30. Parimenti null’altro tanto lo dilettava quanto il poter far nascere sanguinosi tumulti fra il popolo, o micidiali attruppamenti, o improvvise rovine di edifizj, che togliessero a migliaja di persone la salute, e la vita. Aizzava di buon grado gli uni contro gli altri i Nobili ed i Plebei nell’Anfiteatro31, chiudeva i granaj, ed annunziava al popolo la carestia; costrinse ad arrischiare e perder la vita coloro che in tempo di sua infermità avevano fatto voto di voler morire per lui; gettar faceva alle bestie feroci i prigionieri non solo, ma altresì gli innocenti vecchj, ed i cagionosi, onde in tal modo risparmiar la carne32, che diversamente sarebbesi dovuta comprare per le medesime; e in ultimo dopo aver invitato tutto il popolo Romano ad osservare quel maraviglioso ponte lungo tre mila seicento passi da Lui costruito sopra un seno di mare presso Baja, lo fece spietatamente andar in rovina allorquando ingombro trovavasi di curiosi33. Prima di [p. 83 modifica]questa catastrofe Egli aveva ordinato ad alcuni marinaj, e soldati di respingere con aste, e remi lungi dal lido, e nuovamente gettar in mare tutti quelli, che salvati si fossero in qualsivoglia altro modo fuori che a nuoto. Ei condannava i più ragguardevoli personaggi alle più ignominiose, ed orribili pene, e specie di morte, e vale a dire, alla costruzion delle strade, ai lavori delle miniere, al bollo ed alla fustigazione, non meno che ad esser segati pel mezzo, ed a vivere in certe gabbie ove come bestie dovevano star carponi. Un sopraintendente ai pubblici spettacoli fu per più giorni di seguito battuto in sua presenza con catene di ferro, nè prima da Lui fatto porre a morte se non quando incominciò ad offenderlo il fetore, dell’imputridito suo capo34. Inoltre avendo un giorno indotte certe persone ad uccidere con stili, e poscia fàr in pezzi un Senatore all’ingresso del Palazzo, ove il Consiglio teneva le proprie adunanze non rimase contento di un tal fatto fintantochè non gli furono presentati tutti gli avanzi dello straziato corpo di quell’infelice35 Egli faceva bene spesso nei più allegri banchetti, per suo proprio divertimento, dar fa tortura, o la morte ad alcuni carcerati da gente [p. 84 modifica]ben esperta in tal arte36, e talvolta era così impaziente di vedere scorrere l’uman sangue, che sulla sera andando a spasso uccideva di propria mano al lume delle lampadi Cavalieri, e Senatori unitamente alle loro Donne37. Costringeva i Padri ad esser testimoni del supplizio dei proprj figli; e siccome un giorno uno di essi a motivo di sua certa indisposizione erasi scusato di trovarsi presente ad un tale spettacolo lo mandò a prendere in una delle sue Lettighe38. Più di sovente ancora invitava a pranzo i padri di quei figli che erano stati da Lui giustiziati, spediva loro in segno d’allegrezza tazze, ghirlande, ed unguenti, e facevali poscia attorniare da alcune Guardie, coll’ordine di star attente se i medesimi accettavano, ed apprezzar sapevano i suoi favori39. I Romani eran già avezzi a ringraziare il proprio Tiranno dopo che [p. 85 modifica]il medesimo privati gli avea delle sostanze, e dei figli40, ed a lasciarsi eziandio toglier la [p. 86 modifica]vita a suo piacimento; ma molte volte caddero essi quai vittime dei suoi capricci allorché appunto speravano di aver meritata la di Lui grazia. Ciò accadde principalmente subito dopo la morte di Drusilla, la più amabile delle sue Sorelle, e Concubine, laddove era incerto se egli desiderava che essa compianta venisse od onorata qual Dea41. Nel mentre che costui procurava di mitigare col giuoco dei dadi il furibondo suo dolore, puniva colla morte tutti quelli, che semplicemente avean riso, o fatto uso dei bagni, o mangiato coi lor Genitori, Figli, e Consorti, non che gli stessi venditori di acqua calda42, bevanda molto grata ai Romani, e nel medesimo tempo bramava che Drusilla venerata fosse come un’Ente sovrumano, e beato.

Tutte le mentovate crudeltà di Caligola, e la vergognosa rassegnazione dei Romani agli empj voleri di questo Tiranno si manifestano soprattutto nel loro vero aspetto quando si sà che siffatto distruttore degli Uomini tenevasi seriamente per un Dio, e che come tale i Romani lo adoravano con maggior zelo, e pompa dello stesso Jupiter Optimus Maximus. Prima ancora che Caligola pensasse di farsi adorare qual Nume egli supponeva che i figli dei Sovrani [p. 87 modifica]nascessero con tutte le virtù convenevoli al grado loro nel modo medesimo, con cui i bambini vengono, per lo più alla luce coi delineamenti, e colle sembianze dei lor Genitori43. Istruito però ben presto da’ suoi Adulatori che egli era superiore ai Principi, ed ai Re, non mancò di rendersene pienamente persuaso colla seguente riflessione; che siccome i Guardiani delle pecore, delle vacche, e di altri animali non sono pecore, o vacche, ma uomini, così esso come custode, e condottiere di uomini, ed anche di Re esser doveva di una condizione molto più nobile e sublime di quella degli altri uomini. Da principio egli si contentava di uguagliarsi ai divinizzati Eroi o Semidei, e compariva quindi in pubblico ora con le insegne, e cogli attributi di Bacco, ora con quelli d’Ercole, o di Trofonio, d’Amfiarao, d’Amfiloco, o dei Castori, si metteva fra le statue di questi ultimi, e facevasi adorar come loro. In breve però lo stesso onore di un Semideo non fu sufficiente a render pago il suo orgoglio; motivo, per cui si pose al pari dei così detti immortali Numi, vale a dire, d’Apollo, di Marte, di Mercurio, e di Giove. Egli considerava soprattutto Giove come suo fratello, e qual sua amante Diana; si tratteneva spesso in colloquj col Dio Capitolino, gli [p. 88 modifica]parlava or piano or forte all'orecchio, ed allorchè non ne riceveva alcuna risposta, incominciava ad altercar seco lui. In fine, onde avvicinarsi maggiormente al suo divin fratello, prolungar fece l’Imperial palazzo fino al Tempio di Giove. Quando balenava, e tuonava, egli pure col mezzo di una certa sua macchina faceva lo stesso quanto più poteva verso Giove, e scagliando dalla medesima alcune grosse pietre nell’aria pronunziava ad alta voce le seguenti parole di Omero ἤ μ´ ἀναείρ´ ἢ ἐγώ σε se tu uccidi me io uccido te44. Nella notte invitava la piena, e risplendente Luna a’ suoi abbracciamenti, e poscia assicurava che questa Dea era realmente a lui discesa dal Cielo. Egli credeva talmente che ciò fosse vero che chiese a Vitellio se mai veduta l’aveva tener seco lui discorso, ed accarezzarlo; su che quell’insigne maestro di adulazione gli rispose «A voi altri Dei è soltanto permesso di vedervi scambievolmente».

Siccome Caligola era fermamente persuaso della propria Divinità, così congetturava che le adulazioni dei Romani, e delle Provincie, che ergevangli Altari, e Templi, fossero altrettanti contrassegni di una sincera, e leal devozione. In conseguenza avendo egli fatto, o volendo far trasportare a Roma le più famose statue degli Dei Greci, troncar loro il capo, e sostituirvene altrettanti delle sue erasi pure fisso in menta. [p. 89 modifica]di collocare la propria statua anche nelle Sinagoghe e perfino nel Tempio di Gerusalemme. Allorchè pertanto gli Ebrei gli mandarono un ambasciata a fin d’impedire questa profanazion dell’Altissimo, Egli disse ai membri della medesima, e specialmente a Filone: Voi siete dunque quegli Empj, che non volete adorarmi, quando che da tutti gli altri uomini sono tenuto, e venerato qual Dio? ma siccome comprese che gli Ebrei si sarebbero piegati a tutt’altro, ed avrebbero tutto arrischiato per non ricevere la sua statua nel tempio di Iehovah, così egli licenziò in seguito gli ambasciatori con queste precise parole. = Coloro, i quali riconoscer non vogliono che a me è stata concessa una natura divina, mi sembra ch’essi non sieno tanto malvagi, ed increduli quanto ciechi, e privi d’intendimento.

I Romani erano a loro eterno disonore piò pieghevoli, e vili del popolo circonciso da lor disprezzato, e abborrito. Essi adoravano il loro tirann come il Giove Remano (Jovem Latialem), ed i più facoltosi, ed illustri soggetti si disputavano a gara, e colle maggiori corruzioni l’onore di esser accolti nel numero dei sacerdoti del vivente Dio Imperatore, fra i quali quest’insensato, ed iniquo Despota ammetter fece il suo cavallo, ed anche se stesso per ciò che concerneva la visibile, ed umana di lui natura. La sua statua d’Oro era quotidianamente vestita com’esso lui, ed ogni giorno gli si faceva il sacrifizio di un gran numero dei più [p. 90 modifica]rari volatili tanto domestici, che selvaggi45. I Romani avrebbero adorato Caligola oltre allo spazio di tre anni, e dieci mesi se egli astenuto si fosse dall’insultare, e dal deridere alcuni dei più illustri soggetti, che finalmente il posero a morte46. Fu a dir il vero una trista, e particolar circostanza quella che il popolo Romano dopo tali Capi così cospicui, quali erano stati Cesare, e Augusto, avesse dovuto lasciarsi dominare da una serie consecutiva di furibondi Despoti, e che la famiglia de’ Cesari poco dopo il suo inalzamento al più alto Trono della Terra degenerasse, e impervertisse a tal segno che i più illustri Padri, come Germanico, e Druso, ebbero per figli un Caligola e un Claudio.

Claudio  8 venne fìn dalla prima sua fanciullezza qual incurabile imbecille disprezzato, e negletto da tutta la propria famiglia47. Nessuno arrischiavasi di farlo veder al popolo sul timore che egli posto ne fosse in ridicolo unitamente alla regnante sua casa, e molto meno Augusto, e Tiberio ebbero il coraggio di affidargli pubblici impieghi. La stessa sua madre lo chiamava un mostro, un infelice, che dalla natura era stato incominciato, ma non compiuto. Con tali disposizioni, e trattamenti de’ suoi più [p. 91 modifica]prossimi congiunti è molto mirabile che Claudio coltivar potesse il suo spirito nel modo appunto, ch’ei fece. Egli superò Caligola, e la maggior parte degli Imperatori, che gli successero, nella dottrina, e nell’eloquenza, ed uguagliò del tutto, o quasi del tutto lo stesso suo antecessore in ingeguo malaugurato, e infelice. Il suo corpo, e il suo spirito avevano similmente fino dal loro primo sviluppo contratti per lo meno i medesimi difetti, e pregindizj di quei di Caligola, ad eccezione che la stravaganza di quest’ultimo s’accostava piuttosto ad un barbaro furore. Claudio al contrario era più ridicolo, e tale si fè conoscere durante tutto il corso della sua vita per la ributtante deformità del suo corpo, per una del continuo vacillante incostanza di discorsi, e di fatti contradittorj per un’imbecille dimenticanza, e spensieratezza, per la più vergognosa timidità, e soggezione, e in fine per una non interrotta abitudine di dire, e di fare cose puerili, fredde, ed improprie48. [p. 92 modifica]

Era senza dubbio quasi impossibile di abusarsi del potere arbitrario più di quello che erasi praticato da Caligola, e di tollerarne con maggior pazienza de’ Romani qualunque eccesso; eppure sotto il medesimo Caligola non ottenne il Despotismo tutta la forma orientale, che in appresso si sviluppò sotto Claudio. Caligola restò ucciso dagli Ufiziali delle Guardie del corpo non già per ambizione, o amor di patria, ma per uno spirito di vendetta, e Claudio essendo stato da un soldato comune tratto fuori dal di dietro di una tenda, ove se ne stava nascosto, venne condotto nel Campo delle Pretoriane Coorti49. [p. 93 modifica]Nel punto, in cui il Senato, debolmente però, e con lentezza, consultavasi circa al modo di spegnere la famiglia de’ Cesari, e richiamare la libertà, allora la Plebe in massa circondando il Palazzo delle sue adunanze chiese ad alta voce un Sovrano, un Padrone, e tanto esso quanto il Popolo accettar lo dovettero dalle mani delle Guardie del corpo. Benché Claudio fosse di sua natura imbecille tuttavia comprendeva bene di quanto egli era debitore ai Pretoriani; motivo, per cui fece ad ognuno di questi un considerevol regalo, che poi divenne obbligo, e sorgente di continue sommosse, e rivoluzioni, del pari che di pubblica miseria, e di mostruose avanie50. Nel principio del suo governo Claudio si fidava così poco di qualsivoglia persona, toltine i soldati, giacchè questi conferito avevangli il Trono, che non usciva giammai del proprio Palazzo se non se circondato da armate Guardie, e non faceva, nè accettava mai alcuna visita fintanto che non eransi nel primo caso esaminati i guanciali e le coperte delle stesse camere degli infermi frugate nell’altro le più illustri donne, e fanciulle sul timore che da loro nascosta si fosse qualche arma mortale, fra le quali egli comprendeva ancora gli stili destinati allo scrivere51. L’‘inquieta diffidenza, che il debole Claudio nudriva del suo popolo, e null’altro [p. 94 modifica]eguagliar potevasi che alla cieca, ed assoluta fiducia, con cui egli si abbandonava ai suoi favoriti. Stranieri Castrati, e Liberti dirigevano Lui, e lo Stato Romano con pari assoluta sovranità, e tatti rubavano, ed uccidevano senza che egli informato ne fosse, o l’osservasse da se medesimo, poichè anche quando prendevansi essi la pena di renderlo inteso de’ lor progetti52, lo facevano sempre con tal arte, e accortezza, che egli veder doveva le persone e le cose in un aspetto del tutto falso. Tra tutte le debolezze di Claudio non ve ne fu alcuna, di cui non si facesse abuso onde formare l’altrui rovina, e che piu della sua crudeltà, e timidezza venisse così di frequente presa di mira, e sedotta. Egli era così stolido, e dappoco che approvò persino, o pose in oblìo la morte di varj Consolari, e quella ancora della propria moglie, benché non fosse stata da lui prescritta53. Sembrami pertanto che dall’esempio di costui debbasi quasi dedurre la conseguenza che tutti gli insensati, e gli stolidi non sieno unicamente privi di compassione, ma benanche fieri, e crudeli, e provino un interno trasporto nell’osservare i tormenti, e le ambascie degli altri uomini. Claudio molte volte non poteva aver la pazienza di aspettare le non comuni specie di torture, e di morte; e sotto il suo governo venne giustiziato un maggior [p. 95 modifica]numero di Parricidi di quello che praticato si fosse in tutti i secoli precedenti54. Egli non differì mai qualsivoglia sanguinario spettacolo, nè donò mai ad alcun vinto combattente la vita per non perdere il piacere di rimirare le smanie, e i contorcimenti dei moribondi 55.

Per quanto però Claudio fosse meritevole dell’altrui disprezzo, ed insolenti, e orgogliosi si dimostrassero i vili suoi Castrati, ed altri Liberti, ciò non ostante il Senato, e i più illustri membri del medesimo servivano, e adulavano l’uno, e gli altri nel modo il più vituperoso. ed indegno56. Si conferì a Pallante egualmente che agli altri Favoriti un ammasso di distintivi, di cariche, e d’ordini, di cui essi secondo le vegliami Leggi, e costumanze non potevano far acquisto, e donossi inoltre al detto Liberto, (il quale aveva già rubato un capitale di sette millioni, e mezzo di talleri  9,) come in ricompensa della sua fedeltà, e rettitudine una grossa somma di danaro, che però fu da Claudio a nome del medesimo suo Favorito rinunziata con dire che egli era contento della propria sua povertà. Finalmente ad eterna [p. 96 modifica]vergogna del Senato si scolpirono tutte queste umilianti adulazioni in una tavola di bronzo, che poscia venne appesa ad una statua del gran Giulio Cesare affinchè, conforme dicevasi nel Senatus-Consulto, tali virtù, e, meriti ispirassero ad altri il coraggio di seguirne l’esempio57.

Agrippina del pari bramosa di regnare che traditrice, e impudente tenne nascosta la morte del marito, avvelenato da lei fintanto che tratto non ebbe al suo partito le Guardie del corpo e i lor Comandanti, ed allora Nerone  10 fu [p. 97 modifica]dapprima portato nel campo dei Pretoriani, ed indi in Senato qual nuovo Monarca, e Imperator dei Romani58. Nerone senza dubbio messe a morte tutti i suoi congiunti di sàngue, e fra questi la stessa sua madre, ogni suo benefattore, e maestro, e chiunque distinguevasi con particolari doti, e virtù, ed aveva pure in mira di levar dal Mondo tutti i Senatori, e distruggere l’ordin loro59. Di più diede il fuoco a Roma  11, saccheggiò i Romani, come le Provincie, e desiderava di regolarsi in guisa che non rimanesse più nulla ad alcuno, dandosi il vanto che da nessun Romano Imperatore erasi ancor conosciuto ciò, che esso eseguir poteva60. Tutti questi orrori, e quest’eccesso di Despotismo non erano però nella minima parte nuovi, mentre Tiberio, Caligola, e Claudio avevan detto, e fatto lo stesso, ed alquanto di peggio, e Nerone non fu certamente un mostro così abbominevole come Caligola, Domiziano, Commodo, ed Eliogabalo, quantunque il proprio suo padre si fosse espresso che da lui, e da Agrippina non altro generar potevasi che un soggetto detestabile, e [p. 98 modifica]di universale desolazione, e rovina61. Se Nerone si distinse da’ suoi antecessori, ciò accadde singolarmente perchè sotto il medesimo l’arte di uccidere coi veleni era uno dei primi raggiri della corte, e l’avvelenatrice Locusta divenne su tal proposito una delle più illustri fantesche della medesima62; perchè egli cantando, e rappresentando coi gesti alcune sceniche composizioni non solo vituperò la sua Imperial dignità, ma inclusive quella di un Nobile Romano, e di qualsivoglia persona libera, ed incorrotta, mentre la pratica delle arti teatrali non andava in Roma disgiunta dalla perdita dell’onore di cittadino; e perchè in fine perdette così interamente di vista tutto il rispetto, che portar si dee alla verecondia, e all’onoratezza, che non ebbe a vergogna di sposarsi pubblicamente con un Eunuco, ed in seguito con uno de’ suoi amanti63. [p. 99 modifica]

Nerone peraltro non commesse mai alcuna laidezza, a cui prima non fosse da altri stato istigato, e quasi alcun delitto, pel quale non si rendessero grazie ad esso, o agli Dei, talchè può dirsi con tutta franchezza che anch’egli rimase in questa parte inferiore al Senato, ed al Popolo, giacché Tacito, e Svetonio espressamente assicurano, che l’applauso, e le adulazioni dei Romani lo rinvigorirono, ed infiammarono tanto nelle sue disonorevoli imprese teatrali, quanto nei suoi sanguinarj, e tirannici misfatti. Tostochè si penetrò che Nerone sarebbesi volentieri dato a conoscere anche in Roma come un eccellente attore, e cantante, allora tutto il popolo lo pregò a far udire la celeste sua voce; e siccome per un tratto di timidezza fu da lui promesso di cantare solamente nel suo giardino alla presenza di coloro, che bramavan di udirlo, così i soldati unirono con tal calore le loro suppliche a quelle del popolo che egli [p. 100 modifica]finalmente inscriver si fece nel ruolo dei pubblici cantori64, e ricusò le insegue della vittoria, che il Senato gli offerse senza che esposto ei si fosse alla prova di meritarla65. L’artificioso, e ritmico applauso, con cui la plebe Romana sull’esempio dell’Alessandrina ricompensava il canto, e il recitativo di Nerone66 rese costui in breve tempo così ardente, ed infaticabile nell’uno, e nell’altro che udir facendosi per più giorni di seguito, toglieva quindi la salute, e la vita a molti di coloro, che offerto avevano sacrifizj agli Dei la la celeste sua voce67. Infatti allorquando egli cantava niuno ardiva di uscir dall’Anfiteatro, ben sapendosi esser ivi diverse Guardie appostate, alle quali era stato prescritto di porvi attenzione, e che chiunque abbandonava il suo posto veniva subito notato per una prossima, o lontana, ma sempre certa rovina. Da ciò ne nacque che molte donne partorirono nell’Anfiteatro; qualche altro spettatore vi mori di stanchezza, e di noja, o per non poter soddisfare a certi naturali bisogni; ed alcuni si finser morti ad effetto di essere portati altrove dai loro amici, e vicini. Curiosità, e timore spinsero in sì gran numero le persone nell’Anfiteatro che perfino molti illustri soggetti ne vennero dalla calca del popolo soffocati, o malconci all’entrarvi, o all’uscirne. [p. 101 modifica]

Il Senato, i Cavalieri, ed il popolo non solamente battevano le mani a Nerone nell’atto, in cui cantava, recitava, e gestiva, ma altresì allorquando ebbe fatti perire alcuni innocenti, e persino la propria Madre, e la propria Consorte. Dopo la morte di Agrippina egli se ne stava irresoluto, ed inquieto nelle varie Città della Campania ignorando come il Senato, ed il Popolo l’avrebbero accolto in Roma68. Gli adulatori però, di cui niuna Corte fu così abbondante come la sua, lo sollevaron ben presto da tale ambascia col rappresentargli che il nome di Agrippina era sommamente detestato dal popolo; che mediante la morte di lei erasi piuttosto accresciuto che diminuito il favor del medesimo verso del proprio Imperatore; e che in conseguenza egli ritornasse pure di buon animo a Roma per ivi godere al suo arrivo dei lieti contrassegni di rispetto, e di gioja, con cui sarebbe stato ricevuto da tutti. Nerone ottenne più di quello, che promesso gli avevano i suoi adulatori. Tutto il Popolo, ed il Senato gli andarono incontro in abiti di gala; ogni luogo trovavasi pieno di donne, e di ragazzi distribuiti, e disposti secondo la loro età, e il loro grado; e su tutte le strade, ed i vicoli eransi fatte inalzare diverse gradinate, e palchi, conforme costumavasi di praticar pei Trionfi. Allorchè Nerone osservò questo pomposo apparecchio si trasferì [p. 102 modifica]orgogliosamente al Campidoglio qual Padrone, e vincitor dei Romani, ad oggetto di renderne grazie a Giove, e quindi s’immerse in ogni genere di licenza, da cui per l’addietro erasi alquanto astenuto attesa la stima, che aveva della propria madre69. Le servili adulazioni dei Romani furono, è vero capaci, di render tranquillo quest’uccisor di sua Madre per rispetto alla propria sicurezza, ma non già di estinguere i rimorsi della coscienza, che il commesso misfatto andava di tratto in tratto suscitando nel tirannico di lui cuore. Egli medesimo confessava bene spesso di esser perseguitato dall’immagine della sua Genitrice al pari che dai flagelli, e dall’ardenti fiaccole delle Furie70. Nerone dopo il suo matricidio poteva del continuo anche nei maggiori delitti viver sicuro del comune applauso nel modo stesso che egli erasi reso capace di tutto. Infatti quando costui ebbe tolto la vita, e procurava eziandio di rapir l’onore alla sua sposa Ottavia, la quale era così innocente che nè per corruzioni, nè a forza di [p. 103 modifica]tormenti potè mai indurre alcuno ad accusarla di qualche infedeltà, finché da ultimo un de’ suoi cortigiani per nome Aniceto  12 si vanto di aver con essa goduto di un illecito commercio) allora il Senato ringraziò gli Dei pel fausto supplizio dell’Imperatrice, ed arricchì di preziosi doni i Templi degli Immortali. Io fo, dice Tacito, con diligenza menzione di tutto questo affinchè coloro, i quali s’interessano negli avvenimenti di quei tempi, non ignorino che sempre si ringraziavano gli Dei per ogni proscrizione, e supplizio d’innocenti, e che le stesse azioni religiose, le quali altre volte erano un contrassegno di pubblica gioja, divennero allora un monumento di pubblica miseria, e di universale tristezza71. A misura, soggiunse Egli in altro luogo, che la Città regurgitava di cadaveri di giustiziati riempivasi il Campidoglio di vittime, e di oblatori72, mentre l’uno per la morte o la proscrizione di suo figlio, l’altro per quella di un’amico, di un fratello, o di simili congiunti rendevane grazie agli Dei, adornava la sua casa, e prostravasi umilmente ai piedi di Nerone onde baciare l’insanguinata sua destra. I più famosi Oratori si mossero ad arringare contra Trasea Petone, e Barea Sorano, ed accusarono come rei di lesa Maestà certi uomini con i quali pareva che [p. 104 modifica]Nerone spegner volesse la virtù stessa73. I medesimi Oratori infamarono pure la loro eloquenza con ismodati elogi, ed apoteosi di Poppea  13 e della figlia che costei generò a Nerone74. Tutto il Senato raccomandò agli Dei il ventre di Poppea, corse ad Anzio ov’ella avea partorito, ordinò feste, sacrifizj, e Templi alla fecondità, e poscia inalzata venne da esso la suddetta bambina alla classe delle Dee, e le si decretarono divini onori tosto che la medesima nel quarto suo mese finì di vivere75.

Nerone non cadde già per vendetta di alcuni illustri congiurati a cui aveva tolto padri, o figli, amici, ovvero congiunti, e sostanze, ma per disperazione di un debol uomo, il quale aveva fatto di tutto per rendersi uguale a lui senza ch’ei punto se n’accorgesse76. Quando però Galba  14 seppe che Nerone il temeva, e andava prendendo alcune disposizioni onde privarlo dì vita, allora per paura negò apertamente di prestargli ubbidienza, nel modo medesimo che Nerone, non già perchè egli fosse disprezzato e abborrito, ma solo per timore delle legioni di Galba abbandonato venne dalla vil Plebe, e dai corrotti, e perfidi Pretoriani. L’innalzamento di [p. 105 modifica]Galba al Trono de’ Cesari palesò uno degli ultimi gran segreti del Romano Despotismo vale a dire che i Comandanti delle Truppe insorger potessero contr’ai proprj Sovrani, e che questi non solo venissero scelti in Roma dal Popolo, e dal Senato, o dalle Guardie del corpo, ma nelle provincie ancora dalle truppe, che lè occupavano77. Da quel punto in poi le Armate conobbero la loro irresistibil forza, e non solo stimolarono gli ambizioni, ma spesse volte costrinsero altresì alcuni Uomini probi, e dabbene a condurle contra quei medesimi Imperatori, ai quali prestato avevano giuramento di fedeltà. Ciò produsse frequenti rivoluzioni, ed infinite guerre intestine, che andarono sempre crescendo fino alla caduta dell’Impero occidentale, e furono la causa primaria della sua rovina.

Galba, Ottone, e Vitellio comparvero l’un dopo l’altro sull’alto soglio Romano, ma ne vennero tutti tre sbalzati quasi colla medesima celerità, con cui vi erano ascesi. Galba cadde per la ragione che egli non diede ai Pretoriani il regalo promesso loro dai di lui amici, e che stante i pochi esempj della profusione de’ suoi Antecessori era già divenuto un obbligo. Quel vecchio avaro fuor di proposito andava dicendo che egli comprar non voleva, ma scegliere i suoi Guerrieri. Questa espressione però, che [p. 106 modifica]secondo il retto giudizio di Tacito gli faceva molto onore, non era d’altronde corrispondente al resto del suo governo78, poiché i suoi favoriti vendevano pubblicamente cariche, giustizie, ed ingiustizie, ed esercitavano qualsivoglia violente estorsione, conforme erasi già operato sotto il precedente Sovrano. Siccome Galba fu il primo Imperatore, che non ebbe origine dal sangue de’ Cesari, così lo fu ancora circa al rimaner estinto per mano di un gregario soldato, e ad essere dopo morte vilipeso, e straziato nel modo il più orribile, e vituperoso79; esito, che in appresso molti Sovrani del Mondo ebbero comune coi più perfidi delinquenti.

Il suo successore Ottone  15 era stato uno dei più corrotti confidenti di Nerone, e questo fu il solo requisito, che lo fece salir sul Trono per tre mesi, giacche il popolo, e i Pretoriani aspettavano sotto di esso il ritorno dei tempi di Nerone, e quello delle Neroniane feste, e prodigalità. In conseguenza l’uno, e gli altri gli aggiungevano spesso fra le altre adulazioni il soprannome di Nerone, cui egli per altro era in dubbio se ricusar dovesse, o accettare80. Allorquando egli pregò per la prima volta i Pretoriani a farsi autori della sua fortuna, disse ai medesimi che non altro per se ritener [p. 107 modifica]voleva se non ciò che essi gli avrebbero accordato81, gettò loro de’ baci, e si diportò qual umil servo per poi addivenire un assoluto Monarca82. La sua morte fu secondo Svetonio tanto più gloriosa in quanto che egli non se l'affrettò a motivo di una vile disperazione, ma per un suo natural contraggenio alla guerra civile, non potendo nemmeno soffrire il pensiere di mandar al macello tanti valorosi soldati, che difender volevano la sua autorità, e la sua fama,83. La nobil condotta, che tenne Ottone nel dar fine a’ suoi giorni commosse a tal segno molti de’ suoi guerrieri che questi tanto sul suo sepolcro, che in rimote Provincie si trafissero colle loro spade84.

Ottone, e Vitellio furono due terribili esempj, dai quali rilevasi che mediante le più servili adulazioni, e i più innaturali vizj, e appetiti non solamente potevasi far acquisto di ricchezze, e di cariche luminose, ma altresì aver accesso all' alto soglio dell assoluto Monarca dello [p. 108 modifica]Staro Romano85. Tiberio, Caligola, e Nerone furono al certo più iniqui, e sanguinarj di Vitellio  16, ma niuno di tali mostri si dimostrò, come costui, così vituperosamente infingardo, stomachevole, e brutale nelle sue dissolutezze, e del tutto privo di ogni dote di cuore, e di spirito, con cui le stesse maggiori scelleraggini, ed oscenità restano qualche volta coperte, o diminuite. Egli fù nella sua infanzia, e gioventù uno dei prostituti di Tiberio, che questo vecchio voluttuoso raccolse in Capri. In seguito acquistossi la grazia di Cajo col mestier di cocchiere, di Claudio a motivo della sua abilità, e destrezza nel giuoco, e di Nerone per esser giunto in nome dei Popolo a strappargli di bocca la promessa di farsi dal medesimo udir sul Teatro con gli altri Attori, e cantanti86. Col mezzo adunque dì tali arti indegne egli pervenne come suo Padre al possesso delle maggiori cariche, e ricchezze. Galba, poiché lo disprezzava, lo spedi in qualità di Comandante [p. 109 modifica]delle Truppe nella così detta Germania bassa. Quivi Vitellio colle sue maniere popolari si conciliò in breve tempo l’animo dei gregarj soldati, conforme per l’innanzi ottenuto aveva quello degli Imperatori87, e le Legioni accolsero un tal mostro divoratore come un dono degli Dei, poiché lo credevano generoso, e condiscendente. Vitellio incontrò ben presto un fine degno del viver suo; imperocché fu così vilipeso, e maltrattato nell’atto medesimo, in cui spirava, che il deforme aspetto della sua morte estinse perfino in ogni animo qualunque sentimento di compassione88. Nel mentre adunque che la rovina pendeva già sul suo capo egli se ne stava qual pingue giumento sdrajato al rezzo del suo giardino, e prendevasi così poco affanno del futuro come del passato, che a null’altro pensava che al bastante suo nutrimento89. Non sarebbesi quindi dovuto mai [p. 110 modifica]credere che questo abjetto, e infingardo animale stato fosse ad| un tempo così rapace, e sanguinario qual era infatti. Quando Vitellio arrivò sul camoo di battaglia presso Cremona, già ingombro di fetenti cadaveri, si espresse che un nemico ucciso, e molto più se questi era un cittadino, mandava un odore eccellente, ed un’altra volta fu udito gloriarsi di aver pasciuto gli occhi proprj sulli strazj dei moribondi nemici90.

Nelle frequenti rivoluzioni, che le Guardie del corpo, o gli eserciti, andavano suscitando, il Senato, ed il Popolo si mantenevano sempre uguali a se stessi. L’uno, e l’altro applaudivano, e adulavano qualunque Sovrano, che presentava loro la sorte, ed all’opposto lo maledicevano, e maltrattavano tostochè n’era oppresso91. Allorchè dapprima si vociferò che [p. 111 modifica]Ottone erasi portato nel campo dei Pretoriani, e che questi aveanlo accolto favorevolmente, il Popol Romano corse in folla all’Imperial Palazzo, e chiese a Galba la morte di lui, e quella de’ suoi seguaci con la stessa facilità, e leggierezza, con cui nel Circo, o nel Teatro dimandato avrebbe qualche spettacolo. Ciò non successe già, dice Tacito, dopo matura riflessione, o per attaccamento a Galba, giacchè la plebe era capace in un giorno stesso, a manifestare con uguale zelo opposti sentimenti, ma in forza di un abito da lungo tempo contratto di adulare qualsivoglia Sovrano con artificiose lodi, ed acclamazioni92. Essendosi pochi momenti dopo sparsa la nuova che Ottone età stato ucciso, il Senato, ed i Cavalieri, che per l’avanti atteso avevano l’esito delle turbolenze, imitarono ad un tratto la schiava Plebe, e per un trasporto del loro zelo servile abbatterono le porte dell’Imperial palazzo lagnandosi che fosse stata lor tolta l’esecuzione della vendetta93. E per dire il vero coloro, dai quali si fece in tal circostanza il maggiore schiamazzo, furono senza dubbio quei medesimi, che nell’ora stessa comprovarono col fatto la loro infedeltà, e codardìa: [p. 112 modifica]imperocchè saputosi poi con sicurezza che Ottone non solamente era in vita, ma andava in traccia di Galba, e che questi frappoco sarebbe perito, allora i Nobili, ed i Plebei si trasferirono subito al campo. Ognumo cercava di prevenir l’altro; tutti maledicevano Galba, lodavano il giudizio, e la scelta dei Pretoriani, e baciavano ad Ottone la mano, di maniera che sarebbesi dovuto credere che il Senato, ed il Popolo si fossero in sul momento rinnovati del tutto94. Allorchè in Roma Galba andava incontro al proprio eccidio, e Ottone inalzavasi sulla di lui rovina venne Vitellio proclamato Imperatore dall’Esercito di Germania. Per verità non poche erano le doglianze, che facevansi in Roma per rapporto alla trista situazione, in cui trovavasi allora tutto lo Stato, di dover sostenere molte sanguinose battaglie, onde aver per capo Ottone, o Vitellio, 1‘ uno, e l’altro egualmente corrotti:95 tuttavolta la Plebe profuse con tal calore, ed entusiasmo applausi ad Ottono nell’atto, in cui questi si dispose alla guerra, come se essa augurato avesse prosperità, e benedizioni al Dittator Cesare, o ad Augusto96. [p. 113 modifica]Non meno grande era in apparenza lo zelo dei Senatori; tuttavia i più avveduti tra i medesimi si guardavano bene97 dì non distinguersi tanto nei loro improperi contra Vitellio, o se credevano pericoloso il mostrarsi su questo proposito inferiori agli altri, si regolavano però sempre con tal arte, e accortezza che mediante le proprie forti grida, e quelle dei lor vicini niuno intender poteva ciò ch’essi andavan dicendo. Nulla agguagliò l’imbarazzo, e l’angustia, che provarono i primarj Romani allorquando Ottone li pregò, non a dividere seco lui i pericoli della guerra, ma unicamente di seguirlo alla medesima come amici, e compagni, poiché dice Tacito, tutti i Nobili erano già da lungo tempo disusati al mestiere delle armi, il ceto di mezzo, o i Cavalieri non trovavansi meno di essi inesperti nelle fatiche, e nell’arti della milizia, e sì gli uni che gli altri comparivano tanto più timidi, e vili quanto più cercavano di nascondere il loro timore98.

Tosto che Ottone ebbe col suo seguito, e coi suoi Guerrieri lasciata la Città di Roma non si provò più in quella Metropoli la minima pena di quanto ne sarebbe avvenuto. Si celebravano [p. 114 modifica]le feste, e gli spettacoli ricorrenti con la medesima disinvoltura, e spensierata allegrezza, che praticata sarebbesi in grembo alla più stabil pace, a segno tale che quando il Popolo raccolto nell’Anfiteatro intese la nuova che Ottone erasi ucciso di propria mano, allora ei fece applauso al nome di Vitellio, portò in giro nei Templi l’immagine di Galba coronata di fiori, e di foglie di lauro, ed eresse un trofeo di ghirlande nel luogo stesso, che era stato da lui bagnato col proprio sangue99. Per quanto biasimevole fosse stata la condotta, che tenne Vitellio durante tutta la sua campagna, e dopo il suo ritorno in città, e ridicolo il pensiere, con cui quest’infingardo parasita pretese di esaltare la propria moderazione, ed attività, ciò non ostante la Plebe acclamò ad alta voce l’indegno vincitore colle medesime adulazioni, che essa già imparate aveva sotto i precedenti Governi, e fu egualmente sollecito il Senato a ricolmarlo di tutte quelle onorifiche distinzioni tante volte da lui profuse agli altri Tiranni100.

Vitellio dopo breve tempo sperimentò l’incostanza, e l’iniquità dei Romani in un modo non men vergognoso, e umiliante di quello, con cui di già provate le avevano i suoi antecessori. Si avanzavano più che mai i Generali di Vespaziano, e Vitellio trovavasi sprovvisto di [p. 115 modifica]contanti, e di soldati . In tal duro frangente la Plebe si offerse di portarsi in massa alla guerra, e i Grandi promessero di sborsare il danaro occorrente. Quando però avvicinossi il tempo di somministrarlo, e di mettersi in cammino disparvero tutti gli arcifanfani adulatori, e lasciarono il loro Monarca senza alcun soccorso101. Nel punto, in cui i Flaviani invasero la Metropoli, l’infame Plebe, come se fosse ad uno spetacolo, batteva le mani ad ambidue i partiti a misura che l’uno, o l’altro rimaneva or quà or là vincitore; levava i vinti dagli angoli delle case, e delle botteghe, ove eransi nascosti, ad oggetto di farli metter a morte, e dava loro il sacco egualmente che a quelli, presso de’ quali i medesimi cercato avevano di salvarsi. In quel giorno, dice Tacito, presentava la Città intera un’orribile, e difforme aspetto102. Si vedevano sanguinose zuffe non lungi da’ bagni ripieni di gente, e da case di pubblico bordello. Pubbliche meretrici, e giovanastri a lor simili stavano appresso a mucchi di cadaveri, ed a torrenti di sangue cittadino; si praticava ogni dissolutezza come in mezzo alla più licenziosa pace, e qualunque genere di delitti coma nella più sfrenata guerra, talchè sarebbesi dovuto credere che tutta la Città fosse ad un tempo per l’eccessivo libertinaggio, e per la più [p. 116 modifica]fiera barbarie divenuta maniaca, e furibonda. Anche per l’avanti sotto Silla, e Cinna gli Eserciti Romani si eran battuti dentro la Dominante, ma nei tempi della Repubblica non videsi mai quella non natural sicurezza, che apparve durante il massacro dei Vitelliani, e de’ Flaviani, ove neppure per un istante sospesi furono i soliti divertimenti, ed in cui anzi pareva che le micidiali battaglie servissero di supplemento, e di lustro alle feste del giorno. La misera Plebe103 si dava intanto bel tempo, e stravizziava come se la pubblica rovina formasse la sua fortuna104. Sarebbe difficile anche al più grande Oratore il dipingere la degenerazione del Popol Romano con maggior energìa e sceltezza di parole di quel che abbia fatto Tacito nell’addotto suo passo. [p. 117 modifica]Stante il breve governo, e la sanguinosa morte dei tre ultimi sovraccennati Imperatori l’Imperial diadema Romano era divenuto simile ai preziosi avanzi di un naufragato vascello, che spinti quà, e là dall’onde dell’impetuoso Oceano cadono in potere del più destro, che voglia impadronirsene il primo. Duemila uomini, che erano già stati spediti in soccorso di Ottone come il fiore, e l’estratto delle tre Legioni della Mesia, avendo dopo la morte del medesimo Imperatore commessi gravi disordini, procurarono di ottenerne impunità, ed anche ricompense col creare un Sovrano a lor modo, sulla supposizione di poterlo fare collo stesso diritto, con cui gli Eserciti Spagnuolo, Pretoriano, e Germanico avevano respettivamente eletti Galba, Ottone, e Vitellio. Questi duemila uomini pertanto avendo presi in esame tutti i Comandanti delle Provincie, e delle Truppe, dai quali crasi già coperto il Consolato, e non essendosi fra loro trovati d’accordo per rispetto allo sceglierne alcuno, s’attennero finalmente a Vespasiano mercè delle raccomandazioni di alcuni dei loro compagni d’arme, che militato avevano sotto di lui105. Vespasiano  17 fu dopo Augusto il secondo restauratore della Romana Potenza. Sotto i governi distruttori, e tirannici di Tiberio, e de’ suoi successori Roma stessa non trovavasi in minor decadenza di quel che lo fossero tutte le altre parti [p. 118 modifica]dello Stato, ed ogni classe di persone se ne stava sepolta in quella medesima abiezione, e soverchia licenza, che Augusto per quanto aveva potuto erasi dato la pena di moderare, o di togliere. Vespasiano fece per la seconda volta edificare, e abbellire la Città deformata dagli incendj, e da altre disgrazie; rinnovò o eresse fino dai fondamenti i Templi degli Dei, ed altri pubblici edifizj; riformò, ed accrebbe di nuovi membri i primi due ordini dello Stato; punì, e corresse le fatte violenze, e ruberie, assuefece le Truppe ad una rigorosa disciplina, da coi si erano interamente sottratte; volle che prevalessero l’equità e la giustizia; incoraggì, e premiò gl’Artefici, e i Letterati, e rimesse in qualche ordine le pubbliche finanze, già da gran tempo rovinate, e sconvolte106.

I due figli, e successori di Vespasiano, vale a dire Tito, e Domiziano, delusero entrambi in un modo del tutto opposto l’aspettativa; e l’opinion dei Romani. Il primo, avanti che salisse sul Trono, era tenuto per crudele, e [p. 119 modifica]voluttuoso107. Al contrario pochi avevano sospettato nell’altro la spaventosa barbarie, e niuno la sfacciata rapacità, che in esso manifestaronsi allorchè fu Imperatore108. Tito si acquistò giustamente il soprannome di delizia del genere umano, poiché egli considerava d’avere, per così dire, perduto quel giorno109, in cui non erasi fatto da lui qualche segnalato benefìzio al suo Popolo. Domiziano per altra parte meritato avrebbe con ugual fondamento il titolo di flagello degli Uomini, poiché egli uccideva come Caligola, e rubava al pardi Nerone. Gli Istorici rispettivi ci -hanno, è vero, fatta la pittura di Domiziano meno circostanziata di quelle di molti altri Imperatori; eppure noi non conosciamo così bene lo spirito di alcun altro Despota, come quello di costui, e lo stato dei costumi, e della situazion dei Romani sotto alcun altro governo come sotto il suo mercè de’ due più celebri Oratori, e Poeti  18, che risvegliati furono, e protetti dalla generosità, e dalla dolcezza di Vespasiano, e di Tito.

Caligola, e Nerone non furono senza dubbio men barbari, e crudeli di Domiziano, ma essi agivano scopertamente tanto nelle lor crudeltà, quanto nelle lor stravaganze. Domiziano all’opposto era tanto più da temersi, e tanto più [p. 120 modifica]feroce quanto più affettava bontà, ed amicizia110. Allorché egli pertanto voleva spogliare dei loro beni, uccidere, mutilare, o in nuove guise tormentare, e crocifiggere alcuni dei più illustri Romani, parlava loro dapprima secondo il solito nei termini più graziosi, e obbliganti, o gli ammetteva alla propria mensa, ove erano trattati da lui colla maggior ospitalità, e cortesia; onde poi n’accadde che tali contrassegni del suo favore vennero quindi considerati come forieri di proscrizione, e di morte. Quanto più era la copia del sangue, che da esso sparger facevasi, tanto più aumentavasene in lui la sete, cosicchè in ultimo parve che annichilar, volesse tutto lo Stato con un sol colpo111. Egli fece riempir di Guardie il Palazzo, ove si adunava il Senato, quasi che voluto avesse porne a morte ogni Membro, e benchè ciò non avvenisse, furono tuttavia giustiziati ad un tratto molti Consolari, e proscritte altrettante Matrone in Isole remote, e deserte. Dopo che costui mediante la più mostruosa profusione videsi esausto di danaro, allora divenne altrettanto truffatore, e rapace quanto era di già sanguinario, e crudele . Qualunque delatore, e qualunque accusa gli sembravano un sufficiente motivo per carpire tanto ai viventi proprietarj, quanto agli eredi dei [p. 121 modifica]defunti le loro sostanze112, a segno tale che in fine ei si rese padrone delle più insigni fabbriche della Città, e delle più belle ville di tutta l’ ltalia, che poscia andarono indispensabilmente a decadere per essere le medesime o lasciate del tutto in abbandono o abitate soltanto da alcuni Schiavi, e Liberti113. Un Principe così crudele, ed avaro avea ben ragione di non gioire che dei vizj de’ suoi sudditi, e di compiacersi di coloro, che gli eran simili, giacchè questi lo adulavano, e lo servivano ne’ suoi capricci114. Perciò tutte le case, i templi, le strade, e le pubbliche piazze non furono mai così ripiene di falsi accusatori come sotto Domiziano115, giacchè al tempo di Trajano, affine di liberar la Città da tal razza di serpenti, si credè necessario di caricarne un’intera squadra navale, e con essa abbandonarli poscia all’onde, e ai venti del mare. Le stesse cause, per cui le persone più indegne si riunivano intorno a Domiziano, e andavano tra loro d’accordo nell’opprimere i migliori soggetti, resero pure questo medesimo Sovrano tiranno, e nemico di tutte le virtù, e dei virtuosi, cui egli invidiava, e temeva ad un tempo116. I maggiori Capitani, come Giulio Agricola, ed altri, sarebbero irremissibilmente periti se [p. 122 modifica]essi, per qnanto era in loro potere, cercato non avessero di occultare le proprie vittorie, e virtù, e lungi dal pretendere alcuna ricompensa mescolati non si fossero con la massa degli altri schiavi. A tali Eroi nulla riusciva di maggior pericolo quanto l’applauso del Popolo, e le maligne lodi dei Cortigiani, le quali assai più che le falle accuse inasprivan l’animo di quest’invidioso, ed iniquo Despota117.

Domiziano sofferse piuttosto che le Armate della Pannonia, della Germania, della Dacia e della Mesia battute fossero per l’imperizia, e la viltà dei lor Condottieri, e che i trionfanti Barbari devastassero le più floride, ed ubertose Provincie118, di quello ch’ei potesse indursi, conforme bramava tutto il Popolo, di spedire a quella volta un abile Generale, qual era Agricola, ove da questi raccolti sarebbonsi nuov’altri allori. Di più vedendosi incapace di far fronte ai valorosi abitanti del Reno, e del Danubio comprò persino da loro una pace vergognosa e umiliante invece di sottoporre ad una esatta e rigorosa disciplina le proprie [p. 123 modifica]Legioni; poiché sempre ei temeva che coll’esercitare le truppe, ed aguzzar le armi contra i nemici potessero le medesime esser rivolte, e impiegate pure un giorno contro di Lui119. Siccome questo Tiranno si rendeva tanto più formidabile, e truce verso tutti coloro, che lo circondavano, quanto più disprezzato ei veniva dai nemici dell’Impero così Egli aveva molto più timore di tutti i suoi servi, e sudditi di quello che a loro capace fosse d’incuterne120, tal che esso fu il primo dei Romani Despoti, che a causa delle sue crudeltà venisse del continuo tormentato dal crepacuore, e dal sospetto di qualche insidia, e congiura121. Egli non aveva spesse volte il coraggio di uscire dalle più interne stanze del suo palazzo, ove se ne stava nascosto qual bestia selvaggia racchiusa nella sua tana, e nè tampoco di far parola ad alcuno122. [p. 124 modifica]Spaventavasi inoltre al più leggiero strepito, ch’egli udisse, ed eziandio a quello dei remi, coll’ajuto dei quali la sua barca tanto sul mare che sui fiumi veniva da altre condotta o rimurchiata al pari di un conquistato vascello123. Non mangiava mai coi Grandi, che invitati aveva a mensa, ad oggetto di poterli considerare con tanto più di assiduità, e d’esattezza124, e se ne giva solo a passeggiare in certi corridoj fatti da lui costruire con lastre di un marmo trasparente, onde aver luogo di veder del continuo ciò che accadeva lungi dal suo cospetto  19. Domiziano procurava, è vero, nella misantropica solitudine, in cui ritiravasi, di distrarre o sopprimere il suo tormentoso timore con ogni sorta di sensual compiacenza125, ma i desiderj, ed i sensi di questo voluttuoso, e ghiotto Tiranno incominciarono ben tosto ad indebolirsi, così che poi gli rimanevano ogni giorno molte ore di una noja mortale, quale egli, benché Sovrano di tanti Popoli, e Regni, occupar non sapeva con altro sollievo fuorché con quello di prendere, e d’infilzare alcune mosche.

Se alcuna cosa indur poteva Domiziano ad [p. 125 modifica]uscire dalle inaccessibili sue camere, altro non era al certo che il desiderio di udir condannare a morte diversi accusati, vederne eseguir la sentenza, e poter contare i lamenti, e i sospiri degli infelici126. Supera infatti ogni credere che nn Tiranno così temuto, e pauroso di tutto, suppor potesse d’essere stimato dagli uomini virtuosi, e ‘ che non solo il Popolo, ma anche i più grandi Oratori e Poeti dell’età sua lo riputassero un Dio. Egli si rallegrò sommamente allorchè nell’ultima volontà di Agricola scoperse che questo da esso invidiato, e depresso Generale avevalo istituito erede de’ suoi beni unitamente alla propria figlia, e alla propria consorte. La gioja peraltro, che il medesimo Domiziano provò a questo riguardo, non ebbe certamente origine in lui da avarizia, ma da vanità; poichè servivagli come d’incenso l’essere stato in tal guisa onorato da quel gran Capitano. Il suo spirito era così offuscato dalle continue adulazioni ch’ei non giungeva a comprendere che solo un cattivo Principe può’ essere da un buon Padre messo a parte delle [p. 126 modifica]proprie sostanze127. Gli ordini, che esso emanar faceva a nome de’ suoi Procuratori, incominciavano sempre con le seguenti parole = così comanda il nostro Signore, e Dio128 =, e questi erano i soli titoli, che gli si davano tanto a voce, che in iscritto. Le sfacciate adulazioni, che Domiziano riceveva, e in certo modo bramava rilevar si possono dalle prove, che son rimaste nell’Opere di Quintiliano129, e specialmente di Marziale, il quale ne ha imbrattato quasi ogni libro de’ suoi Epigrammi con varie delle più vituperose, e umilianti. Non contento dunque questo bisognoso Cavalier Romano di anteporre i ridicoli trionfi di Domiziano a quelli di tutti i più antichi, e celebri Capitani, come il governo di lui ad ogni altro dei passati secoli, e di esaltare l’attual libertà dei Romani, e la bellezza della loro Città al di sopra di quelle dei più felici tempi130, ebbe altresì l’impudenza di scrivere che se Domiziano avesse voluto bilanciare i suoi conti coi Numi, tutti gli abitanti dell’Olimpo, anche dopo la vendita dei loro celesti giojelli sarebbero stati nondimen troppo poveri per rindenizzarlo di quanto egli ai medesimi [p. 127 modifica]donato aveva, e fatto a pro loro131. Se nel tempo stesso, dic’egli in un altro Epigramma, m’invitassero a mensa Domiziano, e Giove, e fossi più vicino al Cielo, che all’Imperial Palazzo, nulladimeno risponderei, = Vada pure all’Olimpico Giove chi ne ha volontà mentre io ho in Terra il mio Giove, che mi mantiene132 =. Dopo tali esempj di eccessiva adulazione forse non dovrei riferir neppure che lo stesso Poeta, il quale anteposto aveva Domiziano a tutti gli Dei, e singolarmente a Giove, fece ad uno ad uno il parallelo dei fatti d’Ercole con quelli di Domiziano, e dopo maturo esame ne concluse che questo vile Tiranno superato avesse di gran lunga il suddetto Eroe divinizzato133. [p. 128 modifica]I mostri, di cui fin qui ho descritti i costumi, avevano a tal segno esauste tutte le specie d’oscenità, e di scelleraggini che resero estremamente difficile allo stesso Gommodo, e ad Eliogabalo di comparire in qualche parte del tutto nuovi, e inventori. Sebbene adunque anche i due ultimi aspirassero al vanto di essere i più corrotti, ed infami di tutti gli uomini, pure contra lor voglia calcarono essi quasi sempre le traccie di qualche loro predecessore, e non si distinsero dai propij modelli, e maestri se non col portare il più che potevano all’eccesso qualunque genere d’iniquità, e col porre in opera ogni mezzo, onde render noto, e palese quello, che per l’avanti erasi praticato di nascosto; come se facendo uso della massima sfacciataggine nelle proprie scelleratezze, ed oscenità acquistar si potesse un nome immortale. Commodo  20 non pago di togliere come Caligola l’onore, e poscia la vita alle sue sorelle, e di violare tutte le donne, e fanciulle, che gli andavano a genio, raccolse eziandio un Harem di trecento meretrici, e di altrettanti bei giovani ad effetto di agguagliarsi del tutto ad un Re [p. 129 modifica]dell’Oriente134. Di più non bastandogli di soffrire e di fare tutto ciò, che prima sofferto avevano, e fatto i più infami libertini, egli volle pure che tutto il Popolo non l’ignorasse. In conseguenza dopo essersi fatto veder in pubblico con abiti muliebri, ed aver nella circostanza di un suo trionfo costretto il proprio Drudo a star dietro di lui sul suo carro trionfale nel mentre che lo andava di tratto in tratto accarezzando, comandò ancora che tutto questo registrato fosso nei pubblici Annali135. Egli invidiava in tal guisa a Nerone la gloria di essersi pubblicamente fatto osservare ed udir dal Popolo sul Teatro che non solo discese sull’arena, e inscriver si fece nel ruolo dei Gladiatori, ma prescrisse inoltre che gli si ergesse un Monumento con un epigrafe, la quale annunziasse che 1000 di tai soggetti erano stati vinti da lui136. Non solo egli uccideva Grandi, e Plebei senza motivo, e pretesto, o per vedere com’essi se ne morivano137, ma incendiar voleva l’intera Città, e far tagliare [p. 130 modifica]a pezzi tutto il Popolo raccolto nel Teatro138. Non solo ei vendeva dignità, e provincie, giustizie, ed ingiustizie, la vita, e la morte d’innocenti, e di colpevoli, ma ad oggetto di far proseguire un tal traffico a nome suo, ne creò altresì varj agenti, a cui poscia cedeva una porzion del guadagno139. Questo pubblico commercio produsse il non più udito fenomeno che vennero, cioè, nominati venticinque Consoli in un sol anno. Il Tiranno cambiava ogni giorno, e a tutte le ore i primarj Uffiziali delle Guardie del Corpo, affinchè le medesime gli fossero tanto meno pericolose, ed egli vender potesse con maggior frequenza quelle ricercate, ed illustri lor cariche140. Per ultimo non solo accordò l’esercizio del proprio assoluto potere a qualcuno de’ suoi Favoriti, ma obbligossi perfino con un patto solenne di ceder loro il peso di tutti gli affari del governo onde potere senza alcun disturbo, ed a suo piacimento dissipare i tesori, e le facoltà di tutto lo Stato141. Tutte queste mostruosità di Commodo non impedirono però al Senato di chiamarlo Dio, ed [p. 131 modifica]Ercole Romano, e di fargli, come se realmente fosse tale, sacrifizi, ed offerte. Egli era così privo di senso comune che accettò il nome di Saggio dopo aver nominato Console l’adultero di sua Madre, e quello di Felice, e di Britannico allorchè faceva massacrare non pochi innocenti, e la Brettagna formato aveva il disegno di insorgere contro di lui142.

Eliogabalo  21 era troppo disprezzato perchè non potesse versar tanto sangue quanto erane già stato sparso da’ suoi antecessori simili a lui, mentre non fu neppure capace di far dal Senato diseredare, e dai Soldati mettere a morte Alessandro  22 suo figlio adottivo143, ma agguagliò o superò tutti i suoi Predecessori nella puerile, e crudele superstizione144, nel capriccioso, e premeditato dissipamento145, nella plebea, e indegna furberia146, nella ricercata, e ingegnosa mollezza, voluttà, e leccornia147, e specialmente nella quasi incredibile impudenza, con cui faceva pompa di qualunque suo vizio, e dissolutezza, affine di rendersi in tal guisa superiore a tutti i più celebri Dissipatori, Crapuloni, e Voluttuosi148. Tutta la sua Corte era composta di certi [p. 132 modifica]meschini individui, che per l’innanzi figurato avevano sul Teatro, nel Circo, o sull’Arena, od eransi presso di lui fatto un merito col mezzo di certe visibili prerogative149. Egli vendeva, e regalava gl’impieghi più onorifici, e le Provincie ai più indegni giovanastri, ed era pure in pensiere di far occupar da ruffiani150 la prima, e più importante dignità di Roma, vale a dire la Prefettura della stessa Città. Ei dimandava spesso con impudente, e derisoria bizzarrìa ai più anziani, ed illustri soggetti se essi nella lor gioventù praticato avevano, e andassero tuttor praticando ciò, ch’esso faceva ed avrebbe fatto in appresso; e quando alcuno dei medesimi per la vergogna arrossiva, allora esclamava ridendo erubuit, salva res est. Certi Vecchj, ed anche quei medesimi, che spacciavansi per filosofi, si vestivano, ed adornavano sul gusto degli effeminati, e molli Romani, onde con un’artificiosa rassomiglianza di costumi acquistarsi la grazia, ed il favor del Monarca151. Eliogabalo desiderava di non aver figli affinchè per avventura non ne uscisse uno buono; e andava dicendo che qualora dotato ei fosse d’eredi, darebbe loro certi maestri capaci di rendergli perfettamente simili a Lui. Egli non voleva solamente come Nerone esser chiamato [p. 133 modifica]Regina, e Signora, ma portava ancora donneschi vestiti, ed abbigliamenti, filava ed aveva la smania di cangiar sesso mediante il soccorso dell’arte152.

In fine faceva spesso riunir insieme tutte le pubbliche meretrici della città; trattava con esse d’ogni segreto della lor professione e le chiamava quasi sue compagne d arme col titolo di commilitones; titolo di cui servivansi i Generali parlando ai lor soldati, ed eserciti153. All’opposto egli disprezzava talmente il Senato che lo chiamava una adunanza di illustri Schiavi, conforme diceva null’altro essere il popolo che una massa di miserabili154. Da quanto si è fin qui detto di costui sembrami che a niuno de’ suoi antecessori, e successori si possa con più di verità appropriare, come a Lui stesso quello che Tacito disse di Messalina, cioè, che cercato aveva d’acquistarsi il massimo onore colla pratica delle più grandi infamità, e scelleratezze.

Note dell'autore

  1. Quod sagacissimus senex ita prorsus perspexerat, ut aliquoties praedicaret, se natricem Populo R. Phaetontem orbi terrarum educare. Svet. in Calig. Cap. 11.
  2. Hic omnibus insidiis tentatus elicientium cogentiumque se ad querelas nullam unquam occasionem dedit: perinde oblitterato suoruni casu, ac si nihil cuiquam accidisset: quae vero ipse pateretur, incredibili dissimulatione transmittens. Tantique in avum, et qui juxta erant, obsequii, ut non immerito sit dictum; nec servum meliorem ullum nec deteriorem dominum fuisse. Svet. in Calig. Cap. 10.
  3. Ib. Cap. 24.
  4. Svet. Cap. 25.
  5. Ib. Cap. 34. 35.
  6. Ib. Cap. 22. et Philo locis mox citandis.
  7. Veggasi sopra tutto Dione Cassio al lib. 59. cap. 4. Egl’è uno dei migliori passi di questo Istorico, che certamente è stato copiato o tradotto da qualche Opera di un molto maggior Ingegno.
  8. Ibid. Cap. 50. Senec. de Const. sap. Cap. 18.
  9. Circa alle sue imprese guerresche veggasi Svet. al Cap. 43. e seg. Lo stesso Autore dà altresì contezza al Cap. 37. de’ suoi tentativi, e provvedimenti di Architettura„; nihil tam efficere concupiscebat, quam quod effici negaretur„. La sua demenza non era solamente riconosciuta da’ suoi contemporanei, ma anche da lui medesimo.„ Valetudo, dice Svetonio,„ ei neque animi, neque corporis constitit. Puer comitiali morbo vexatus: — Mentis valetudinem ipse senserat, ao subinde de secessu, deque purgando cerebro cogitavit. — Incitabatur insomnia maxime: neque enim plus, quam tribus nocturnis horis quiescebat, ac ne his quidem placida quiete. — Non immerito mentis valetudini attribuerim diversissima in eodem vitia summam confìdentiam, et contra nimium metum.
  10. Svet. in Calig. c. 36. Senec. de Constant. Sap. c. 18. „ Asiaticum Valerium in primis amicis habebat . . . . Huic in convivio, item in concione voce clarissima qualis in concubitu esset uxor ejus, objecit. Dii boni, hoc virum audire, Principem scire, et usque eo licentiam pervenisse, ut non dico consolari, non dico, amico, sed tantum marito Princeps et adulterium suum narret et fastidium? „ Quest’Asiatico fu tra tutti coloro, che soffersero un simil oltraggio, il solo, che vendicossi, ed uno dei Capi dei congiurati, che ucciser Caligola colle loro spade.
  11. Ibid. c. 25, e 36.
  12. Svet. c. 26.
  13. ib. c. 54.
  14. ib. c. 55.
  15. Ibid. c. 47. „ Scripsitet Procuratoribus triumphum appararent quam minima summa; sed quantus numquam alius tuisset quando in omnium hominum bona jus haberent„.
  16. Svet. c. 38.
  17. Ib. c. 38.
  18. Ib. c. 41. Avendo egli un giorno, allorché giuocava, inteso d’esser rimasto senza danaro fece immantinente porre a morte alcuni de’ più ricchi Galli, e confiscare i loro averi, e poscia deridendo i suoi compagni di giuoco disse ai medesimi, che essi giuocato avevano per acquistar pochi denari  5 nel mentre che se n’erano da lui guadagnate molte migliaja . Dione Lib. 59. c. 22. p. 926.
  19. Svet. c. 38, 39. Caligola era così capriccioso, e stravagante nelle sue ruberìe come nelle sue crudeltà. Essendosi, un giorno addormentato un ricco Romano allorché si vendevano all’incanto varj effetti confiscati, incominciò fra il sonno a fare diversi inchini col capo. Caio avendo ciò osservato disse al pubblico banditore che non trascurasse fra i compratori quel Signore, che co’ suoi accenni indicava continue offerte. Colui lo servì puntualmente, ed a nome del dormiente compratore accrebbe fino alla somma di più botti d’oro  6 il prezzo di tredici Gladiatori.
  20. Ibid. c. 40.
  21. Svet. c. 41.
  22. Svet. c. 42.
  23. ibid. c. 29. „ Immanissima facta augebat atrocitate verborum. Nihil magis in natura sua laudare se atque probare dicebat, quam, ut ipsius verbo utar, ἀδιατρεψίαν
  24. Svet. c. 50.
  25. Svet. c. 25.
  26. Svet. c. 32, 33.
  27. Ibid. c. 11.
  28. ib. c. 30, 49.
  29. ib. c. 30. „oderint, dum metuant. — ita feri, ut se mori sentiant„.
  30. Svet. c. 31.
  31. ib. c. 26 — 33.
  32. ib. et Dio. Cass. Lib. 59, c. 10, p. 913. Egli fece tagliar la lingua a quelli infelici che ebbero una tal disgrazia, affinchè non potesser gridare.
  33. ib. Svet. Dione non dice nulla dell’inique disposizioni che furono da lui date per la rovina del suddetto ponte L. 59, c. 18, 19, p. 921. Edit. Reim.
  34. ib. 27.
  35. ib. c. 28.
  36. „Saepe in conspecto prandentis, vel commissantis seriae quaestiones per tormentahabebantur. Miles decollandi artifex quibuscumque e custodia amputabat„. c. 32.
  37. Senec. de Ira III. 18.
  38. Svet. c. 27.
  39. Ibid. et Senec. II De ira II. 33. In questo luogo racconta Seneca la trista Istoria di un vecchio, ed infermo Padre, il quale venne invitato per ischerzo, e divertimento a pranzo da Caligola, dopo che il medesimo gli ebbe fatto uccidere il proprio figlio pel solo motivo ch’egli aveva una bella chioma, e costumava di andar ben vestito.
  40. Senec. De tranq. animi c. 14 „ agebant eniin gratias, et quorum liberi occisi, et quorum bona ablata erant„. In questo luogo istesso racconta Seneca la fine sommamente notabile di un Romano chiamato Canio Giulio, il quale essendo entrato in una disputa con Caligola fu dal medesimo congedato colle seguenti parole. „ Ne forte inepte spe tibi blandiaris, duci te iussi„. Canio Giulio rispose con tutta la pacatezza „gratias ago„ tibi, optime Princeps„ e con altrettanta indifferenza aspettò fino al decimo giorno la morte annunziatagli. Questo Nobile Romano era appunto occupato al giuoco con uno de’ suoi amici allorché il Centurione venne a chiamarlo al supplizio. Egli contò quindi le pietruzze, con cui giuocava, ed avendo osservato che ne aveva una di più del suo avversario ne chiamò scherzando in testimonio il Centurione, affinchè esso dopo la morte di lui non potesse vantarsi di avergli vinto. In seguito rivoltosi ai suoi tristi amici disse loro che esaminassero intanto se l’anima è immortale, mentre all’opposto ci ne verrebbe fra poco in chiaro. Allorché poi il suo filosofo, che lo accompagnava alla morte gli dimandò nell’avvicinarsi al patibolo cosa da lui si pensasse in quel punto, il medesimo rispose che erasi proposto di far attenzione nel momento del mortal colpo se l’anima si accorga, e senta di abbandonar il soggiorno del corpo. Di più egli promise nel tempo stesso di ritornare ad istruire i suoi amici di quanto avrebbe provato, o inteso rispetto allo stato delle anime dopo morte. Tanto scrive Seneca.
         Anche Canio Giulio ebbe il coraggio di morire, ma non quello di uccidere il Tiranno, che viveva ad infamia, e rovina dei Romani
  41. Svet. c 24. Senec. Consol. ad Polib. c. 36
  42. Dione L. 59. c. 11. p. 915.
  43. Svet. c. 24 et Phil. jud. Legat. ad Cajum pagin. 557, 558, 559, 570, 575, 597, 599. Vol. II. edit. Mangey.
  44. Dione Cass. L. 59, 58, pag. 934.
  45. Phil. et Svet. 11. cc.
  46. Svet. c. 59. Seneca de const. Sap. c. 18.
  47. Svet. c. 5 in ej. vita.
  48. Svet. cap. 15, 16, 29, 30, 35, 39, 40. Tacit. Annal. XI. 38. La sua timidezza, e condiscendenza, e se posso così esprimermi, la sua credulità non tralucono così bene da alcun’altra circostanza della sua vita, come da quella, in cui egli si lasciò indurre a sottoscrivere il contratto di matrimonio fra la sua sposa Messalina, e il bel Silio, affinchè certi funesti presagi, con cui era stato atterrito, passar potessero dal suo capo sopra quello di Silio. — La sua spensieratezza poi si rileva tutto dai seguenti fatti. Allorchè gli fu portata la nuova della morte di Messalina, cui egli ad onta delle mostruose di lei stravaganze amava col maggiore trasporto, non dimandò già se ella fosse rimasta estinta di propria, o per altrui mano, ma chiese un bicchier di vino, e solennizzò il suo banchetto secondo il solito. Parimenti nei giorni successivi egli non diede mai il più piccolo contrassegno d’odio, o di gioia, nè di collera, o di tristezza, o di altre passioni d’animo, e nemmeno al vedere gli allegri nemici di Messalina, e i desolati suoi figli — . Poco dopo il supplizio di costei non rimirandola egli a tavola nel suo solito posto, dimandò persino qual fosse il motivo, per cui non veniva ancora la di lui sposa. Inoltre fece inclusive invitar al pranzo, o al giuoco molti di coloro, che il giorno avanti erano stati da lui condannati a morte nulla riflettendo alla sentenza che in quell’istesso giorno avea data. Tac. I. c. et Svet. c. 39.
  49. Svet. in Calig. c. 59. in Claudio c.10.
  50. Svet. c. 10.
  51. Ib. c. 35.
  52. Svet. c. 28, 29, 37.
  53. Ibid. II, cc.
  54. Svet. c. 34.
  55. Ib.
  56. Ibid. c. 28. Annal XII. 53.. Plin. Epist. VII, 29. VIII. 6, in cui gli ultimi passi contengono l’iscrizione del sepolcro di Pallante, e quindi il Senatus- Consulto, che decretava a favor dello stesso Pallante le ricompense più luminose.
  57. Quand’anche anche colla favola di bronzo si fosse perduto quel verognoso Senatus-Consulto, tuttavolta dalle adulazioni, che seneca stesso fece a Polibio, uno dei Liberti di Claudio, ed a Claudio medesimo, si sarebbe potuto comprendere qual’era lo spirito di quei tempi. Qualora Seneca avesse voluto in qualche maniera, conservare la propria fama conveniva ch’ei sopprimesse queste adulazioni, e la velenosa Satira contra l’ucciso Claudio. Un adulatore però ’ molto più insigne di Seneca fu il padre del susseguente Imperator Vitellio. Costui avendo ottenuto per grazia speciale da Messalina l’onore di levarle le scarpe, e conservarne una per memoria, la portava del continuo fra l’abito, e la sottoveste, e non contento di questo si faceva spesso vedere a cavarla fuori, e baciarla teneramente. Questo medesimo soggetto aveva fra i Suoi Dei Penati le statue d’oro di Narciso, e di Pallante, o disse a Claudio nella circostanza, in cui solennizzate furono dal medesimo le Feste secolari: „Saepe tu facias!„ Io desidero che tu le possa solennizzare spesso. Svet. in Vitel. c. 3.
  58. Svet. c. 8.
  59. Ibid. c. 35— 38.
  60. Ib. c. 32. „Nulli delegavit officium, ut non adjiceret: seis quid mihi opus sit, et, hoc agamus, ne quis quidquam habeat„ e al c. 37. Elatus, inflatusque tantis velut successibus, negavit quenquam principum seisse, quid sibi licerat„.
  61. Svet. c. 6. „ Praesagio fuit etiam Domitii patris vox, inter gratulationes amicorum, negantis quidquam ex se, et Agrippina nisi detestabile, et malo publico nasci potuisse„.
  62. Ib. c. 33.
  63. Ibid. c. 28, 39, 33. Tac. XV. 37. XVI. 4. Ipse, dice Tacito „ per licita atque illicita foedatus nihil flagitii reliquerat, quo corruptior ageret, nisi paucos post dies uni ex illo contaminatorum grege cui nomen Pythagorae fuit, in modum solemnium conjugiorum denupsisset. Inditum Imperatori flammeum. Visi auspices, dos et genialis torus, et faces nuptiales: cuncta denique spectata, quae etiam in femina no operit„. Svetonio, invece di Pitagora, fa menzione del Liberto Doriforo: „ cui, sicut ipsi Sporus, ita ipse denupsit: voces quoque, et ejulatus vim patientium virginum imitatus„. Nerone chiamar facevasi κύρια καὶ βασίλεια κὶ δέσποινα. Dione Cassio 63. 13. pag. 1035. Egli dimandò, come fece in seguito Eliogabalo, se era possibile che il suo Sporo αὐτὸν δι᾽ ἐντομῆς ἐμπροσθίας τῇ τέχνῃ ποιῆσαι L. 69. 1365. et ibi Reim. Tali orribili nozze vennero solennizzate e cantate dei Greci, e questo il Popolo desiderava persino: καὶ γνησίους σφισι παῖδας γεννηθῆναι Dio. Cass. 63. 13.
  64. Svet. c. 21.
  65. Tac. XVI. 4.
  66. Svet. cap. 20.
  67. Ibid. c. 23. Tacito XIII. 15.
  68. Tac. Annal. XIV. l3.
  69. Tac. Ann. XIV. 13. „ Hinc superbus, ac publici servitii victor capitolium adiit, grates exsolvit eo.
  70. „ Neque tamen sceleris conscientiam, quamqnam et militum, et Senatus populique gratulationibus confirmaretur, aut statim aut unquam postea ferre potuit: saepe confessus, exagitari se materna specie, verberibus furiarum, ac taedis ardentibus. Svet. c. 34.
  71. Annal. XIV. 64.
  72. Ib. XV. 71.
  73. Annal. XVI. 21 e seg.
  74. Ibid. XV. 23.
  75. Ibid. XV. 23. „ Rursuque exortae adulationes, censentium honorem divae, et pulvinar, aedemque, et sacerdotem„.
  76. Svet. in Galba c. 9 .
  77. Tac. Hist. Lib. 1. c. 4. „ Evulgato Imperii arcano, posse principem alibi, quam Romae fieri.
  78. Tac. Histor. I. 5.
  79. Ibid. Hist. I. 41.
  80. Ib. I. 78. Svet. c. 7.
  81. Svet. c. 6.
  82. Tac. I 36. „ Nec deerat Otho protendens manus, adorare vulgum, jacere oscula, et omnia serviliter pro dominatione.
  83. Svet. in Othone c. 9. Tac. Hist. II. 47.
  84. Tac. II 49 . Quidam militum juxta rogum interfecere se, non noxa neque ob metum sed aemulatione decoris, et caritate principis. Ac postea promiscue Bedriaci, Placentiae, aliisque, in castris celebratum id genus mortis.
  85. Rispetto a Vitellio veggasi particolarmente Svet. in ejus vita. C. 4, e seg. Tac. Hist. I. 53. e seg. Pur troppo è vero che sotto tutti i deboli, e malvagi Imperatori accadde ciò che Giovenale scrisse de’ tempi suoi,

    „ Aude aliquid brevibus Gyaris, et carcere dignum,
         Si vis esse aliquis: probitas laudatur, et alget.
         Criminibus debent hortos, praetoria, mensas,
         Argentum vetus et stantem extra pocula aprum.

    Sat. I. v. 73 e seg.

  86. Svet. c. 4.
  87. Svet. c. 7. e Tac. I. c.
  88. „ Vinctae pone tergum manus: laniata veste foedum spectaculum ducebatur, multis increpantibus, nullo illacrymante. Deformitas exitus misericordiam abstulerat. Tac. Hist. III. 85.
  89. „ Ib. III. 36. at Vitellius — curis luxum obtendebat: non parare arma, non alloquio exercitioque militem firmare, non in ore vulgi agere: sed umbraculis hortorum abditus, ut ignavia n animalia quibus si cibum suggeras, jacent, torpentque, praeterita instantia, futura, pari oblivione transmiserat.
  90. Tac. 39. Svet. c. 10. 14.
  91. Giovenale descrive con ugual eccellenza la servile rassegnazione dei Romani, e le altre cattive abitudini de’ suoi contemporanei Sat. X. v. 73.

                                                                             „ Sed quid
    Turba Romi? sequitur fortunam ut semper, etodit
         Danmatos.idem populus, si Nurtia Tusco
         Favisset, si oppressa foret secura senectus
         Principis, hac ipsa Sejanum diceret hora
         Augustum. Jam pridem, ex quo suffragia nulli
         Vendimus, effudit curas. Nam qui dabat olim
         Imperium, fasces, legiones, omnia nunc se
         Continet, atque duas tantum res anxius optat.
         Panem, et Circenses.

  92. „ Tac. Hist. I. 52 . Neque enim illis judicium aut veritas, quippe eodem die diversa pari cer tamine postulaturis: sed tradito more, quemcumque principem adulandi licentia acclamationum, et studiis inanibus.
  93. Ib. I. 35.
  94. „ Tac. Hist. I. 45. Alium crederes Senatum, alium populum. Ruere cuncti in castra, anteire proximos, certare cum praecurrentibus, increpare Galbam, laudare militum judicium, exosculari Othonis manum etc.
  95. Hist. I 50.
  96. Ib. I. 90.
  97. Tac. 83 88.
  98. „ Primores senatus aetate invalidi, et longa pace desides; segnis, et oblita bellorum nobilitas; ignarus militiae eques; quanto magis oocultare, ac abdere pavorem nitebantur, manifestius pavidi. ib.
  99. Tac. Hist. II. 53.
  100. Ib. II. 90.
  101. Tac. Hist. III. 58.
  102. Ib. III. 83.
  103. Vulgus, cui una ex Republica annonae cura, III. 38.
  104. „ Nuno inhumana securitas, et ne minimo, quidem temporis voluptates intermissae, velut festis diebus id quoque gaudium accaderet . Exultabant, fruebantur nulla partium cura malis publicis laeti. III. 83.„ Frà i vincitori ve ne fù uno il quale dimandò un premio per aver ucciso il proprio fratello. „ Celeberrimos auctores habeo, tantam victoribus adversus fas, nefasque irreverentiam fuisse, ut gregarius eques occisum a se proxima acie fratrem professus praemium a Ducibus petierit. Nec illis aut honorare eam caedem jus hominum: aut ulcisci, ratio belli permittebat.
  105. Svet. in vit. Vespas. c. 6.
  106. Svet. c. 8. 9. Vespasiano disse: „ quadringenties millies opus esse, ut Resp. stare posset c. 16.„ Budeo ha con ragione osservato che deve leggersi quadragies in vece di quadringenties. Quadragies millies formano cento millioni di talleri. Vespasiano non avrebbe potuto raccogliere una somma dieci volte maggiore quand’anche avesse congiunta colla sua parsimonia la rapacità di Caligola, e di Nerone.
  107. Svet. in Tit. c. 7.
  108. Ib. in Domit. c. 9.
  109. Ib. in Tit. c. 8.
  110. Svet in ej. vita c. 10, 11.
  111. Tac. in vit. Agr. c. 45.
  112. Svet. c. 12.
  113. Plin. panegyr. c. 50, 51.
  114. Ib. c. 45.
  115. Ib. 33, 34. c.
  116. Tac. in Vit. Agric. c. 39-41.
  117. Tac. II. cc. « id sibi maxime formidolosum, privati hominis nomen supra principis attolli: Frustra studia fori, et civilium artium decus in silentium acta si militarem gloriam occuparet. Causa periculi non crimen ullum, aut querela laesi cujusquam, sed infensus virtutibus princeps, et gloria viri, et pessimum inimicorum genus, laudantes.
  118. Tac. I. c. c. 41.
  119. Plin. panegyr. c. 18.
  120. Ibid. c. 48, 49, 72.
  121. Ib. et Svet. c. 14.
  122. Plin. panegyr. cap. 48. « Cum velut bestia specu inclusa, nuno propinquorum sanguinem lamberet, nunc se ad clarissimorum civium strages caedesque proferret. Obversabantur foribus horror et minae, et par metus admissis, et exclusis; Ad haec, ipse occursu, visuque terribilis. Superbia in fronte, ira in oculis, foemineus pallor in corpore, in ore impudentia multo rubore suffusa. Non adire quisquam, non alloqui andebat, tenebras semper secretumque captantem, nec unquam ex solitudine sua prodeuntem nisi m ut solitudinem faceret„.
  123. Plin. c. 72.
  124. Ib. c. 49.
  125. Svet. c. 22, «Libidinis nimiae assiduitatem concubitus velut exercitationis genus clinopalen vocabat etc. et Plin. Paneg. c. 49 exquisita ingenia coenarum ec.
  126. Tac. in Agricolae vit. c. 45. „ Nero tamen subtraxit oculos jussitque scelera, non spectavit: Praecipua sub Domitiano miseriarum pars erat, videre, et aspici: cum suspiria nostra subscriberentur: cum denotandis tot hominum palloribus sufficeret saevus ille vultus, et rubor quo se contro pudorem muniebat.
  127. Tac. c. 43.
  128. Svet. c. 13.,, Dominus, et Deus noster sic fieri jubet,,.
  129. Lib. IV. Prooem.
  130. Lib. V. 19. VI, 4.
  131. Mart. IX. 4.
  132. Ibid. IX. 92.
  133. Mart. IX. 102. Egli chiuse quest’epigramma coi seguenti versi.

    „ Templa Deo, mores populis dedit, otia ferro,
         Astra suis, Coelo sidera, serta jovi.
         Herculeum tantis numen non sufficit actis:
         Tarpejo Deus hic commodat hora patri.

    Con ragione disse dunque Tacito del governo di Domiziano: ( vit. Agr. c. 2.) „ Dedimus profecto grande patientiae documentum, et sicut vetus aetas vidit, quid ultimum in libertate esset ita nos quid in servitute, adempto per inquisitiones, et loquendi audiendique commercio. Memoriam quoque ipsam cum voce perdidissemus si tam in nostra potestate esset oblivisci, quam tacere„. In quei tempi spaventevoli gli uomini virtuosi erano così rari come i vecchj d’illustri natali, e di grandi ricchezze.

    „ Egregium sanctumque virum si cerno,
         Bimembri hoc monstrum puero, vel
         Mirandis sub aratro
         Piscibus inventis, et fetae comparo mulae etc.

    juv. Sat. XIII. 63. e seg. e IV 96 e seg.

                                                                      Sed Olim
         Prodigio par est cum nobilitate senectus.

  134. Lamprid. c. 5, 6.
  135. Lamprid. in Commod. vita c. 3, 13, 15. „ Habuit praeterea morem, ut omnia, quae turpiter quae impuro, quae crudeliter, quae gladiatorie, quae lenonice faceret, actis urbis indi juberet„.
  136. Ibid. c. 12 et ibi Comment.
  137. Ibid. c. 7, 8, 10. Così egli fece un giorno aprir il ventre ad un uomo pingue per veder in qual modo scappavan fuori tutti gli intestini di colui.
  138. Lamprid. c. 15.
  139. Ibid. c. 14.
  140. Ibid. c. 6.
  141. Ibid. c. 5. „ Perennis persuasit Commodo ut ipse deliciis vacaret, idem vero Perennis curis incumberet, quod Commodus laetanter accepit„.
  142. Lampr. c. 8.
  143. Ibid. c. 13.
  144. Ibid. c. 6, 8.
  145. Ibid. c. 26, 31, 32.
  146. Ibid. c. 25, 29.
  147. Ibid. c. 6, 7, 11, 26, 29, 31, 32.
  148. Ibid.
  149. Lampr. c. 6.
  150. Ibid. c. 11, 12, 20.
  151. Ibid.
  152. Dion. L. 79. c. 14, 16. pag. 1362, 1364, 65.
  153. Ibid. c. 26.
  154. Ibid. c. 20.

Note del traduttore

  1. [p. 280 modifica]Tiberio cessò di vivere presso Miseno nella famosa Villa Luculliana in età di circa 78. anni, dei quali gli ultimi 23. furono da Lui passati sul Trono. Avvi chi crede che egli possa essere stato avvelenato, ovvero soffocato da Caligola ad oggetto di vendicare la barbara morte de’ suoi Genitori, e fratelli. Suet. in Tib.
  2. [p. 280 modifica]Cajo sopranominato Caligola a caligis specie di coturni, proprj dei soldati, ch’ei portava nella sua infanzia, nacque secondo Plinio in Treveri, secondo Lentulo Getulico a Tivoli, e al dire di Suetonio in Actis Antii. Costui fu il solo dei figli maschj di Germanico, e d’Agrippina, che mediante la sua sopraffina malizia, e le raccomandazioni del famoso Astrologo Trasillo potè essere preservato dalla rabbia, e crudeltà di Tiberio, ed occupare in seguito il Trono giustamente dovuto all’estinto suo Padre. Suet. in Calig.
  3. [p. 281 modifica]Primipili erano detti i Comandanti delle prime Centurie, vale a dire i primi Centurioni, che fino dal tempo di Giulio Cesare formavano un corpo rispettabile nella Romana milizia. Commentarj di Cesare.
  4. [p. 281 modifica]I Romani chiamavano specialmente ignoti coloro, i quali per essere Servi, o Schiavi, e in conseguenza privi della patria potestà erano poco conosciuti, e non riscuotevano perloppiù alcuna considerazione. Talvolta dagl’Antichi Autori si è dato ancora questo nome ad alcuni uomini celebri i quali trovavansi privi di figliuoli. Forcellini Vocabolario.
  5. [p. 281 modifica]Il denaro Romano equivaleva all’incirca a nove delle nostre crazie, e dividevasi in sesterzj, in assi, e in quadranti. ibid.
  6. [p. 281 modifica]Alcuni autori Tedeschi, e Ollandesi si servono spesso; come fa il Sig. Meiners, dell’espressione, una botte, due botti, tre botti d’oro per indicare la quantità di 100000, 200000, 300000 fiorini, d’Ollanda, de’ quali ognuno vale poco più di 4 quattro paoli. Questo sistema ha molta rassomiglianza con quello dei Turchi, i quali sogliono dare il nome di borsa ad ogni somma di 500. piastre.
  7. [p. 281 modifica]Si diceva infatti, che Cesonia, affine di assicurarsi maggiormente la stima, e l’affetto di Caligola gli dasse una bevanda amatoria, la quale per soprappiù lo ridusse furibondo. Suet. in Calig. [p. 282 modifica]
  8. [p. 282 modifica]Claudio era, come Germanico, figlio di Antonia minore, e di Druso fratello di Tiberio. Non vi è stato alcun Romano Imperatore, che al pari di Claudio abbia avute tante mogli, e così dissolute, come specialmente furono le due ultime, vale a dire Messalina, e Agrippina. Non si comprende in qual modo costui potesse unire a tanta dottrina, di cui diede molte riprove, un’imbecillità, ed una stupidezza straordinaria, qualora non si ammetta che la sua soverchia timidezza, crudeltà, e concupiscenza lo tenessero in una perpetua astrazione. Egli aggiunse due nuove lettere all’Alfabeto latino, ed ebhe il vanto di ridurre di nuovo sotto la sua obbedienza la tumultuosa Brettagna, per il che ritornando a Roma ne riportò l’onor del Trionfo. Suet. in Claud. Tac. Annal. 11. 12.
  9. [p. 282 modifica]Il tallero è una moneta di Germania, il quale presso di noi vale all’incirca nove paoli, e due crazie.
  10. [p. 282 modifica]Nerone nacque in Anzo dalla nobile famiglia Domizia, e contava fra i suoi Avi materni il valoroso Germanico di cui sua madre era figlia. Essendo questa passata alle terze nozze con Claudio suo zio, Nerone fu dal medesimo adottato per suo erede naturale e quindi sposando Ottavia, figlia del suddetto Imperatore, e di Messalina, potè senza contrasto succedergli nel Trono in età di soli 17. anni. Reca stupore, al dire degli Storici, che Nerone [p. 283 modifica]dopo avere per quattro anni consecutivi governato così bene l’Impero si abbandonasse ad un tratto, e a tal segno ai più enormi vizj, e delitti che non ve ne fu alcuno nel quale non si segnalasse, motivo per cui dichiarato in fine nemico della Patria, e condannato a morte dal Senato stesso dovette darsi miseramente alla fuga, ed uccidersi da se medesimo coll’ajuto di uno de’ suoi servi. Tacit. Annal. 12. Suet in Neron.
  11. [p. 283 modifica]Rimane incerto, secondo Tacito, se l’incendio di Roma accaduto sotto Nerone fu per opera di costui, ovvero del caso, o di alcuni fanatici. Il fatto però sta che Egli per garantirsi dal furor del Popolo ne diede tutta la colpa agli infelici Cristiani, ed esercitò sopra ai medesimi la prima, e la più terribile persecuzione che abbia sofferta la Cattolica Chiesa. Baronio Istor. Eccl.
  12. [p. 283 modifica]Era Aniceto Liberto d’origine, e Prefetto della flotta stazionata a Miseno, posto, al quale specialmente egli ascese per aver saputo cattivarsi l’animo di Nerone fin dai primi suoi anni. Esso fu quello che indicò al suddetto Imperatore il modo di far perire in mare la propria Madre Agrippina, e che non essendo in ciò riuscito si unì ad altri suoi complici, e la trucidò con più colpi. Questo suggeritore, e ministro d’iniquità fu però relegato da Nerone medesimo nell’Isola di Sardegna ove credesi che ei perisse. Tacit. annal. XIII.
  13. [p. 284 modifica]Poppea Sabina figlia di Tizio Ollio, Questore, venne da prima presa in moglie da Rufo Crispino, ed indi da Ottone. Poscia, avendola quest’ultimo dovuta cedere a Nerone, Ella restò sempre presso il medesimo in qualità di sua amica, e concubina fino al punto in cui divenuto egli Imperatore ebbe la contentezza di essere da Lui dichiarata sua Sposa. Lo Stesso Nerone peraltro a motivo di un diverbio, che con Lei ebbe ritornando da una licenziosa festa, l’uccise con un calcio datole nel basso ventre allorchè era gravida. Suet. in Neron. Tac. an. XV.
  14. [p. 284 modifica]Sergio Galba venne alla luce presso Terracina dalla nobile, ed illustre famiglia Sulpizia, ed ebbe per Genitori Sergio Sulpizio, e Mummia Accaja. Il segnalato suo valer militare, e la severa sua disciplina furono causa che Egli venne acclamato Imperatore dall’Esercito Spagnuolo contro Nerone, e poscia confermato come tale dal Senato, e dal Popolo. La smisurata sua avarizia però, e la troppa autorità, che dal medesimo accordavasi a proprj Liberti lo resero ben presto così odioso ai Pretoriani che questi messisi a favorire Ottone lo trucidarono nel foro di Roma, in capo a pochi mesi dacchè era salito sul Trono, e portarono in trionfo la di Lui testa al predetto suo successore. Suet. in Galba Tac. Hist. lib. 1.
  15. [p. 284 modifica]Gli Antenati di Salvio Ottone provenivano da una nobilissima, ed onorata [p. 285 modifica]famiglia di Ferentino, la quale traeva origine da Principi Etrusci. La moderazione singolare con cui Egli amministrò nel corso di dieci anni il Portogallo, ove in qualità di Questore fu mandato da Nerone per gelosia di Poppea, e molto più la risoluzione ch’ei prese di togliersi la vita per terminare la guerra civile lo hanno, al dire di alcuni autori, purgato abbastanza da tutti gli errori da Lui commessi in giuventù, e posto giustamente nel numero dei buoni Imperatori. Suet. in Oth. Tac. Histor. lib. 1. 2.
  16. [p. 285 modifica]Vitellio apparteneva ad una nobile famiglia Romana di cui è ignoto il vero principio sapendosi solamente che il di Lui Padre Lucio occupò alcune illustri cariche sotto Claudio, e diede qualche saggio della sua abilità, e buon’indole. Fra i varj esempj prodotti dal Sig. Meiners circa alle stomachevoli adulazioni di costui può aver luogo specialmente anche questo di essere cioè stato egli il primo a dire che bisognava riconoscere, e adorar Caligola come un Dio. Tac. Hist. lib. 1. 2. 3. et Suet. in Vitell.
  17. [p. 285 modifica]Flavio Vespasiano non fu debitore della sua fortuna, e del suo innalzamento al Trono se non che ai proprj meriti, e talenti giacchè ei discendeva da una povera, ed oscura famiglia di Falacrino paese della Sabina non lungi da Rieti. Se alcuna cosa ha potuto adombrare la gloria di questo [p. 286 modifica]veramente grande Imperatore fu solo l’aver egli fatto uccidere l’infelice Giulio Sabino, unitamente alla virtuosa sua Consorte Eponnina, e loro figli. Le sue più famose imprese militari furono le vittorie da lui ottenute sopra i Britanni, e la conquista della Giudea dippoi terminata felicemente sotto Tito mediante l’occupazione di Gerusalemme. Suet. in Vesp. et in Tib. Tac. Hist. lib. 2. et seq.
  18. [p. 286 modifica]E due Oratori, e i due Poeti, che maggiormente si segnalarono colle loro Opere sotto Domiziano, Nerva, e Trajano furono Plinio il giovine, e Quintiliano circa ai primi; Giovenale, e Marziale rapporto agli altri. Fabrizio Bibliot. Latina.
  19. [p. 286 modifica]A malgrado di tante precauzioni, che Domiziano usava onde non esser tolto di vita, conforme predetto avevano i Caldei, Egli fu ucciso nel proprio Palazzo in conseguenza di una cospirazione ordita contro di Lui dai suoi proprj amici, e Liberti unitamente a Domizia sua moglie. Benchè questo Principe fosse oltremodo vizioso, vile, e crudele tuttavolta egli diede qualche saggio di virtù, e di grandezza d’animo che fanno molto onore alla di Lui memoria. Xiphil. et Sext. Aurel. Victor. in Domit.
  20. [p. 286 modifica]La somma crudeltà, avarizia, e sfacciata concupiscenza di Commodo scemarono di molto, se è possibile, il pregio dell’esimie qualità, e virtù di Marco Aurelio suo [p. 287 modifica]Padre, il quale in tutt’altri che nel proprio figlio, di cui ben conosceva l’indole, avrebbe dovuto eleggersi un successore al Trono. Dopo una serie consecutiva di cinque in sei ottimi Sovrani, dai quali erasi con tanto lustro governato, e restituito alla sua antica gloria il Romano Impero, Commodo fu il primo, secondo Gibbon, che ne intraprese la fatal caduta, e rinovò l’esempio di molti altri Imperatori, i quali furono messi a morte dai proprj Sudditi. Egli fu strozzato da un robustissimo Palestrita nell’atto appunto in cui vomitava il veleno, che Marzia suo favorita, ed Ecletto suo Ciamberlano dato gli avevano nel vino ad oggetto di non essere massacrati da Lui, o dal furibondo Popolo. Lamprid. in Commodo. Herod. lib. 1.
  21. [p. 287 modifica]Avendo Macrino, già eletto Imperatore subito dopo l’uccisione di Caracalla, obbligato Moesa, sorella della defunta Giulia moglie di Settimio Severo, ad abbandonare Antiochia, e la Corte, Ella si ritirò in Emesa colle due sue figliuole, Soemia, e Mammea entrambe vedove, e dottate ognuna di un solo figlio. Quello di Soemia chiamato Bassiano esercitando in Emesa le auguste funzioni di sommo Sacerdote del Sole piacque talmente colle sue graziose maniere, e col seducente suo aspetto ai Soldati Romani di quella Città, che crederono di riconoscere in Lui le [p. 288 modifica]sembianze di Caracalla. L’accorta Moesa si approfittò con destrezza di tale persuasione, e facendo correr la voce che Bassiano era veramente figlio di costui, e della sua Soemia profuse per ciò tanto denaro che esso, il quale erasi già cambiato il proprio nome in quello di Antonino venne dichiarato Imperatore dalla guarnigione Romana di Emesa. Essendo in seguito stato sconfitto, ed ucciso Macrino con suo figlio Diadumeniano, e rimasto il nuovo Antonino padrone di tutto il Romano Impero Egli pensò di trasferirsi, siccome fece, in Roma ove appena giunto prese il sopranome di Eliogabalo, cioè di sommo Sacerdote del Sole, attribuendo a tale Divinità la portentosa di Lui fortuna. Le sue stravaganze però, i suoi vizj, e l’inaudita sua sfacciataggine, ed incapacità ebbero per risultato che verso la fine dell’anno quarto dacchè era salito sul Trono Egli fu trucidato dai proprj Soldati in età di soli 20. anni incirca. Il suo corpo dopo essere stato strascinato per tutte le strade di Roma, e lacerato da un popolo furibondo venne gettato nel Tevere; ed il Senato consegnò ad un’eterna infamia la di Lui memoria. Herod. lib. 5. Eutrop. lib. 8.
  22. [p. 288 modifica]Alessandro Severo era figlio di Mammea sorella della madre di Eliogabalo, dal quale fu adottato per figlio mediante le persuasioni di Moesa loro Nonna a cui [p. 289 modifica]stava molto a cuore di render in tal modo più stabile il Trono nella sua famiglia. Le virtù di Alessandro benchè assai giovine, resero questo Principe sommamente rispettabile, ed utile al Romano Impero; ma l’avarizia, e l’orgoglio di Mammea sua madre, e fors’anche la sua troppa condiscendenza ai voleri della medesima formarono la sua rovina. Egli fu per opera di Massimino, suo successore, ucciso da alcuni soldati del suo esercito adunato sulle sponde del Reno per andare a combattere contro i Barbari. Lamprid. in Alex. Herod. Lib. 5. et 6.