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mente inscriver si fece nel ruolo dei pubblici cantori1, e ricusò le insegue della vittoria, che il Senato gli offerse senza che esposto ei si fosse alla prova di meritarla2. L’artificioso, e ritmico applauso, con cui la plebe Romana sull’esempio dell’Alessandrina ricompensava il canto, e il recitativo di Nerone3 rese costui in breve tempo così ardente, ed infaticabile nell’uno, e nell’altro che udir facendosi per più giorni di seguito, toglieva quindi la salute, e la vita a molti di coloro, che offerto avevano sacrifizj agli Dei la la celeste sua voce4. Infatti allorquando egli cantava niuno ardiva di uscir dall’Anfiteatro, ben sapendosi esser ivi diverse Guardie appostate, alle quali era stato prescritto di porvi attenzione, e che chiunque abbandonava il suo posto veniva subito notato per una prossima, o lontana, ma sempre certa rovina. Da ciò ne nacque che molte donne partorirono nell’Anfiteatro; qualche altro spettatore vi mori di stanchezza, e di noja, o per non poter soddisfare a certi naturali bisogni; ed alcuni si finser morti ad effetto di essere portati altrove dai loro amici, e vicini. Curiosità, e timore spinsero in sì gran numero le persone nell’Anfiteatro che perfino molti illustri soggetti ne vennero dalla calca del popolo soffocati, o malconci all’entrarvi, o all’uscirne.

  1. Svet. c. 21.
  2. Tac. XVI. 4.
  3. Svet. cap. 20.
  4. Ibid. c. 23. Tacito XIII. 15.