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il medesimo privati gli avea delle sostanze, e dei figli1, ed a lasciarsi eziandio toglier la

  1. Senec. De tranq. animi c. 14 „ agebant eniin gratias, et quorum liberi occisi, et quorum bona ablata erant„. In questo luogo istesso racconta Seneca la fine sommamente notabile di un Romano chiamato Canio Giulio, il quale essendo entrato in una disputa con Caligola fu dal medesimo congedato colle seguenti parole. „ Ne forte inepte spe tibi blandiaris, duci te iussi„. Canio Giulio rispose con tutta la pacatezza „gratias ago„ tibi, optime Princeps„ e con altrettanta indifferenza aspettò fino al decimo giorno la morte annunziatagli. Questo Nobile Romano era appunto occupato al giuoco con uno de’ suoi amici allorché il Centurione venne a chiamarlo al supplizio. Egli contò quindi le pietruzze, con cui giuocava, ed avendo osservato che ne aveva una di più del suo avversario ne chiamò scherzando in testimonio il Centurione, affinchè esso dopo la morte di lui non potesse vantarsi di avergli vinto. In seguito rivoltosi ai suoi tristi amici disse loro che esaminassero intanto se l’anima è immortale, mentre all’opposto ci ne verrebbe fra poco in chiaro. Allorché poi il suo filosofo, che lo accompagnava alla morte gli dimandò nell’avvicinarsi al patibolo cosa da lui si pensasse in quel punto, il medesimo rispose che erasi proposto di far attenzione nel momento del mortal colpo se l’anima si accorga, e senta di abbandonar il soggiorno del corpo. Di più egli promise nel tempo stesso di ritornare ad istruire i suoi amici di quanto avrebbe provato, o inteso rispetto allo stato delle anime dopo morte. Tanto scrive Seneca.
         Anche Canio Giulio ebbe il coraggio di morire,