<dc:title> Storia della letteratura italiana </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Girolamo Tiraboschi</dc:creator><dc:date>1822</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Storia_della_letteratura_italiana_(Tiraboschi,_1822-1826)/Tomo_VII/Libro_I/Capo_V&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20190302235639</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Storia_della_letteratura_italiana_(Tiraboschi,_1822-1826)/Tomo_VII/Libro_I/Capo_V&oldid=-20190302235639
Storia della letteratura italiana - Capo V – Stampe; Biblioteche; Raccolte dl’Antichità Girolamo TiraboschiTiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VI, parte 2, Classici italiani, 1824, VIII.djvu
[p. 295modifica]Capo V.
Stampe, Biblioteche, Raci'olle. di Antichità.
I. L’infaticabile diligenza con cui molti Italiani del secolo xv si erano adoperati nel ricercare i codici degli antichi scrittori, appena
lasciò a’ lor posteri occasione alcuna di meritarsi ugual lode. Leon X, come si è detto nel
secondo capo di questo libro, propose ampissimi premii, e profuse tesori affine di scoprir nuovi libri. Ma il maggior frutto ch' ei ne
traesse, fu il ritrovarsi dei’ primi cinque libri
degli Annali di Tacito, a lui inviati dall'Allemagna, e da lui pagati cinquecento zecchini
(V. Mazzucch. Scritt ital. t. 2, par. 2, p. 1020).
Non giova dunque ch’ io entri qui a ricercare
di alcune altre cose di minor conto che si andarono discoprendo; perciocchè io non debbo
occuparmi in cotai minutezze, ove da ogni parte
si offre grande e luminoso argomento di storia.
Per la stessa ragione, dopo avere nel precedente tomo trattato dell’ introduzion della
stampa, e della rapidità con cui essa si stese
in quasi tutte le città italiane, non mi tratterrò a esaminare in quali altre città in questo
[p. 296modifica]296 LIBRO
secolo fosse ricevuta quest arte, e come fosse
sostenuta e promossa. Nel che parmi degno
d osservazione fra le altre cose ciò ch io ho
rilevato dalla stampa degli Statuti delle Acque
fatta in questa città di Modena l’an 1575, ove
veggi amo che due cavalieri erano soprastanti
alle stamperie della medesima. Perciocchè vi
premettono una piccola prefazione Bartolommeo Calori e il cav. Giambatista Molza, i quali
s intitolano Typorum Mutinensium Praefecti.
Non così dee tacersi il nome di alcuni
celebri stampatori italiani che colle belle cmagnifìche loro edizioni. e alcuni ancora col lor
sapere, aggiunsero nuovo pregio a quest’arte
e nuovo onore all’ Italia.
II Fin dagli ultimi anni del secolo prece; denti crasi trasportato a Milano Alessandro Minuziano natio di S. Severo nella Paglia; odivi
alla scuola di Giorgio Menila forma tosi all1 eloquenza e alla letteratura, fu creduto degno
di occupar quella cattedra stessa; e fu per più
anni professore in Milano dell'arte oratoria, e
ancora di storia. Questo onorevole impiego non
lo distolse dal volgersi all impressione de libri,
e dopo essersi per alcuni anni servito degli
altrui torchi, a quali contribuiva egli stesso col
suo denaro non meno che colla sua diligenza
nel fare che l edizioni fosser corrette ed esatte,
prese poi ad aver ei medesimo i suoi caratteri
proprii; e il primo saggio che ne diede, fu la
magnifica edizione di tutte l’Opere di Cicerone,
fatta in Milano nel i4f)8 c nel x4i)9 *n qunttro
gran tomi in foglio, la qual fu la prima che
si facesse di tutte insieme le Opere del padre [p. 297modifica]PRIMO
della romana eloquenza. Continuò poscia ilMinuziano a darci altre edizioni di diversi antichi
e moderni scrittori; e uomo, com’egli era,
erudito e colto, a molte premise sue prefazioni
scritte con molta eleganza, nelle quali talvolta
si duole della fatal negligenza per.cui l’ arte
della stampa era presto degenerata per l'ignoranza degli artefici e per l’avidità del guadagno
degli editori. Era egli diligentissimo nel confrontare tra loro gli antichi codici e nel ricavarne la più sicura e la più giusta lezione.
Egli ancora però non andò esente da quella
taccia per cui le stampe d’Italia hanno sempre
sofferto non leggier danno, cioè di voler tosto
pubblicar da’ suoi torchi ciò che dagli altrui è
già uscito. Quando Leon X fece stampare in
Roma i sopraccennati libri di Tacito, il Minuziano fu destro in modo da averne i fogli di
inano in mano cbe si stampavano, e quindi di
apparecchiarne egli al tempo medesimo un' altra edizione. Dello sdegno ch’egli perciò incorse
di Leon X, de’ disturbi che ne sostenne, e
della maniera con cui calmò la procella contro
di lui sollevatasi, si può vedere feruditissimo
Sassi che di questo stampatore valoroso ragiona
a lungo (Prolegom. ad Hist typogr. mediol,
p. 107), e osserva che dopo il 1521 di lui
più non trovasi memoria alcuna, e ch è probabile che verso quel tempo ei finisse di vivere.
III. Al tempo stesso che il Minuziano rendeva celebri le stampe milanesi, Aldo Manuzio
il vecchio aggiugneva nuovo onore alle venete.
Di lui già si è parlato nella storia del secolo precedente, e abbiam veduto ch’ei morì nel 15 j 5. [p. 298modifica]298 uufto
Paolo di lui figliuolo era allora fanciullo di tre
anni soli, e rimase sotto la cura di Andrea Torresano da Asola suo avolo materno,• sotto il cui
nome insiem con quello di Aldo continuò coll usata eleganza la stamperia manuziana. In fatti
ne’ libri impressi in tal tempo leggesi comunemente: in aedibus Aldi et Andreae soceri,
finchè morto anche Andrea nel 1529, ella si
rimase oziosa fino al 1533. Intorno a che, oltre
le Notizie del Manuzio di Apostolo Zeno, da
noi altrove citate, veggasi ciò che della Vita
di Paolo ha scritto con singolar esattezza il
ch. sig. ab Pietro Lazzeri (Miscellan. Colleg.
rom. t. 2, p. 191, ec.), delle cui fatiche io qui
gioverommi, scegliendo, anzi accennando soltanto le cose più importanti. Paolo frattanto,
istruito dapprima con poco successo nelle belle
lettere da alcuni pedanti, poscia per sua buona
sorte passato sotto la direzione di Benedetto
Ramberti uomo assai dotto, fece in esse sì felici progressi, che può rimanere dubbioso se
più abbia giovato agli studi col pubblicar le
altrui opere, o collo scrivere le sue. Nel 1533
riaperse la sua stamperia, e la data di essa
era comunemente: In aedibus haeredum Aldi
Manutii et Aendrae soceri. Nel 1535 passò a
Roma, ove gli venian date speranze di cose
grandi; ma il solo frutto ch’ ei trasse da questo viaggio, fu lo stringersi in amicizia con
alcuni de’ più dotti uomini che ivi erano allora,
e principalmente con Marcello Cervini, con
Bernardino Maffei e con Annibale Caro. Tornato
presto a Venezia, formò ivi una corale accademia di dodici nobili giovani ch’ egli veniva [p. 299modifica]l'RIMO 2()C)
struenilo ne’ buoni studi. Nel qual esercizio
durò circa tre anni, dopo i quali viaggiò per
diverse città d Italia, singolarmente affìn di
vederne le migliori biblioteche. Sembra però,
ch’ egli continuasse a tenere o pubblica o privata scuola. Certo in tal esercizio egli era
nel 1550, perciocchè il Robortello in una lettera scritta da Venezia nell’ aprile del detto
anno dice: Paulus Manutius hic egregius habetur Ludimagister in instituendis pueris: Hypodidascalum etiam nactus est peritissimum (Cl.
Viror. Epist. ad P. Victor, t. 1, p. 74)- Fino
al 1540 egli co’ suoi fratelli, Manuzio il maggiore, Antonio l’ultimo, tenne ferma la società
co’ figliuoli di Andrea Torresano nel negozio
della stampa. Nel detto anno si divise da loro.
e prese a segnare le sue edizioni con queste
parole: Apud Aldi filios, o pure In aedibus
Paulli Manutii. I Torresani continuarono anch’essi nell’esercizio dell’arte loro; e Bernardo
uno di essi passato a Parigi vi aprì una stamperia che tuttor durava nel 1581, e dicevasi
ancor la biblioteca di Aldo. Io lascio di rammentare diversi viaggi di Paolo, e le frequenti
malattie, principalmente degli occhi, a cui fu
soggetto, che tanto più gli riuscivan moleste,
quanto più il distoglievano dagli amati suoi
studi. Questi frattanto l avean già renduto sì
celebre, che da molte parti veniva invitato con
ampie offerte. Recatosi a Bologna nel 1555,
quel senato cercò di tenerlo a vantaggio maggiore dell’ università: Questa, mattina, scriv
egli stesso a’ 30 di settembre del detto anno
(Lettere, l. 3, lettera 3). di con sentimento [p. 300modifica]300 MURO
universale è passato il partito, ch io sia condotto con provisione di 350 scudi et altri commodi, tanto che la cosa va alli 400. L utile è
assai grande, ma l onore è maggiore, non essendomi da questi Signori verun obbligo imposto, salvo che di aver cura, che si stampino
que libri, onde possa lo studio trarre profitto,
e la Città riputazione. Ma poscia, per nuove
difficoltà insorte, la cosa non ebbe effetto. Lo
stesso accaddè delle premurose istanze che al
tempo medesimo gli fece il cardinale Ippolito di
Este il giovane, perchè venisse a starsene appresso a lui; istanze dal Manuzio accettate,
ma poi rendute inutili e dalla peste che infieriva in Ferrara, e dalle indisposizioni quasi continue del Manuzio medesimo. Poco miglior fu
il destino per cui fu egli trascelto a soprantendere alle magnifiche edizioni che l’Accademia
veneziana apparecchiavasi a dare; perciocchè,
come si è detto, essa ebbe troppo breve durata, e venne presto al nulla. Prima però, che
ciò avvenisse, era già il Manuzio passato a
Roma per l’esecuzione di uno dei’ più gloriosi
disegni che mai si formassero pel vantaggio
della letteratura, e che dee perciò da noi esporsi
qui esattamente.
IV. Fin dal 1539) due gran cardinali Marcello
Cervini e Alessandro Farnese avean formata
l idea di aprire in Roma una magnifica stamperia, da cui si venissero pubblicando di mano
in mano tutti i più pregevoli manoscritti greci
che nella Vaticana si conservavano. Era stato
a tal fine trascelto il celebre stampatore Antonio Blado Asolano, il quale trasportatosi perciò [p. 301modifica]PRIMO 30!
a Venezia, avéa piegato il Manuzio a largii fondere i caratteri e ad apparecchiargli le altre
cose opportune al bisogno: Magna enim optimae voluntatis documenta saepissime dedistis,
scrive il Manuzio al Cervini parlando ancor del
Farnese (l. 1, ep. 7), majora etiam dare cogitatis, cum quidem, ut Antonius Bladus ad
me detuli £, pulcherrimam rem et vobis dignissimam aggressi, omnes libros Grucce seri pio s,
qui nunc in Bibliotheca Palatina conditi asservantur, praelo subjicere cogiteris... cui se muneri Bladus a te esse praepositum ajebat, itaque venisse ad nos, ut et eos typos, quibus
atramento illitis charta imprimitur, conjlandos
curar et, et si qua pr aeterea sunt ad opus ne'
cessarla maturaret. Questo sì bel disegno ebbe
almeno in parte il suo effetto, e ne son pruova
le bellissime edizioni uscite da torchi del Blado, e quella singolarmente di Omero co Comenti di Eustazio. Frattanto la necessità di
opporsi alle recenti eresie che sempre più andavano dilatandosi, e di riformare gli abusi
secondo gli ordini del Concilio di Trento, fece
conoscere che conveniva principalmente rivolgere il pensiero a dare alla luce le opere de’
SS. Padri e di altri scrittori ecclesiastici, che
servissero come di argine all impetuoso torrente dell’errore e del libertinaggio. Acciocchè
dunque le edizioni di queste opere riuscissero
in modo, che all’eleganza de’caratteri si congiungesse la correzione, il pontef Pio IV
chiamò a Roma il Manuzio, a cui assegnò cinv quecento annui scudi, e gli fece sborsare anticipatamente il denaro necessario pel trasporto [p. 302modifica]3oa LIBRO
eli tutta la sua famiglia e del corredo della sua
arte; nel che è verisimile che gran parte avesse
il cardinale Borromeo nipote del papa, col cui
consiglio reggevasi allora ogni cosa. Trasferissi
Paolo a Roma nella state del 1561. Delle opere
dal Manuzio pubblicate ne nove anni che ivi
trattennesi, de’ valentuomini che in quelle edizioni gli furon d’ ajuto, tra’ quali si annoverano
il Sirleto, il Faerno, il Panvinio, Latino Latini e più altri, veggasi il suddetto ab. Lazzeri
che ne ragiona minutamente, provando ogni
cosa con autorevoli documenti. La stamperia
del Manuzio era posta in Campidoglio nel palazzo stesso del Popolo romano, e perciò ne’
libri ivi stampati leggesi per lo più Apud Paulum Manutium in aedibus Populi Romani. Pareva che quel soggiorno, e l’impiego ivi affidatogli, dovesse fissare in Roma il Manuzio.
Ciò non ostante o perchè gli sembrasse che
alla fatica non corrispondesse il guadagno, o
perchè le frequenti sue indisposizioni ne sconcertassero l’animo, nel 1570 prese congedo;
e nell’ autunno tornò a Venezia. De’ motivi che
condussero a tale risoluzione il Manuzio, parla
a lungo il sopraccennato scrittore, il quale mostra ch’ egli medesimo non è coerente a se
stesso nel ragionarne, e reca or una or un’altra ragione. e scrivendo ad uno si chiama per
ogni riguardo felice in Roma, scrivendo ad un
altro quasi al tempo medesimo si duole del
suo misero stato, incostanza per avventura,
come si è detto, in lui cagionata dalle sue indisposizioni. [p. 303modifica]PK1MO 3o3
V. D’ allora in poi appena ebbe il Manuzio
stabil soggiorno. Nel 1571 fu per qualche tempo
a Genova, passò alcuni mesi dell’anno seguente
in Milano, d’onde tornalo a Venezia, si pose
di nuovo in viaggio per Roma per prendere
una sua figlia che ivi avea lasciata in un monastero, e ricondurla alla patria. Ma trovò ivi
un pontefice che troppo stimava gli uomini
dotti, per lasciarseli fuggir dalle mani. Gregorio XIII il volle in Roma, e assegnogli perciò un annuale stipendio, non molto ampio,
è vero, ma che lasciava il Manuzio in una totale libertà, per attendere, come più gli piacesse, a’ suoi studi. Questo secondo soggiorno
in Roma fu assai più breve del primo, non
per incostanza di Paolo, ma per la morte che
lo sorprese dopo lunga malattia a1 1 a d' aprile
del’an 1574, contando egli il sessantesimosecondo dell età sua. Uomo degno, a dir vero,
di assai più lunga vita, e più degno ancora
d’immortal ricordanza. Le molte e comunemente belle ed esatte edizioni ch’ egli ci diede
di parecchi antichi e moderni scrittori, potrebbon bastare per annoverarlo tra quelli che molto
han giovato a promuover le lettere. Egli però
non pago di pubblicar da' suoi torchi le opere
altrui, le illustrò ancora colle sue prefazioni e
co’ suoi conienti 5 il che egli fece singolarmente
con tutte l’Opere di Cicerone e di Virgilio, le
quali da lui si ebbero più corrette e più rischiarate. Molto a lui pure dovettero le antichità
romane; perciocchè egli osservatore diligentissimo delle iscrizioni, e di altrui cotai pregevoli
monumenti, ne fece sovente uso nel dichiarare
v.
Suoi studi
e, sua nini
te e su« u|»e
rr.
/ [p. 304modifica]3o4 LIBRO
parecchi passi più oscuri. Il Calendario romano
fu da lui prima d’ Ogni altro trovato e dato in
luce per mezzo di Aldo suo figlio nel i5G(» insieme con due operette ch’egli vi aggiunse, una
intitolata De ve te rum dicrum radane, l’altra
Kaleni lari i Romani explicatio (Fos carini. Letterat Venez. p. 378). Avea egli formata l idea
di una grande opera in cui pensava di rischiare tutto ciò che alle romane antichità appartiene; ma da altre occupazioni distoltone, ne
diè solo un saggio col libro delle Leggi romane
da lui pubblicato in Venezia Panno 1507 (a),
c dedicato al cardinale Ippolito da Este, e alcune altre parti dell’ opera stessa già distese
da Paolo furon poi pubblicate da Aldo. Egli
innoltre fu il primo a formar raccolta di Lettere
di diversi così italiane come latine, e delle
prime diede in luce in diversi tempi tre libri
dal 1542 al 1564 (V Fontanini colle note del
Zeno, L i,o. 1^9), delle seconde pubblicò un
libro nel 1556. Al par di queste raccolte sono
pregevolissime le Lettere che abbiamo dello
stesso Manuzio nell’una e nell’altra lingua. Dodici sono i libri delle latine più volte stampati; dalle quali ben si conosce quanto studio
avesse fatto il Manuzio sulle opere di Cicerone,
e quanto felicemente ne imitasse lo stile. Lo
(a) Del libro delle Leggi romane stampato dal Manuzio nel l'i'i’j si hanno diversi esemplari con molte
diversità dall’uno alt altro, singolarmente dopo la pagina 73, in cui si osserva un cambiamento totale, il che
pruova che due edizioni ei ne fece in quell’ anno medesimo, e la seconda più corretta e più accresciuta della
prima. [p. 305modifica]PRIMO 3o5
Sdoppio vi ha trovate (in Grosippo,p. 22) alcune parole che non sono Ciceroniane; ma ciò
non ostante ogni uom saggio vorrà essere un
Manuzio anzichè uno Scioppio. Alcune altre lettere inedite ne son poi uscite in luce (Miscel.
Coll rom. t 2, p. 387). Più rare sono le Lettere
italiane, delle quali io non so che si abbia
altra edizione dopo la prima del i56o (“), ed
esse ancora si leggono con piacere per la semplicità e per la non affettata eleganza con cui
sono scritte. Aggiungasi a ciò i Proverbi, un
Trattato degli Elementi stampato nel j 55^
(Fontan. l. c. t 2, p. 326) e alcuni altri opuscoli di minor conto. Se egli fosse autore in
ciò ch è la sposizione latina del Catechismo
romano, come si afferma da molti, il vedremo
a luogo più opportuno. Il Foscarini osservando
che il Manuzio nella prefazione premessa al
Concilio di Trento, da lui pubblicato, ne promette ancora in breve tempo la Storia, crede
ch egli avesse in animo di comporla. Ma a
me sembra che ciò possa intendersi ancora
di qualche altro, la cui Storia pensasse il Manuzio di pubblicare. Io trovo bensì che il Manuzio avea disegnato di scriver l'Istoria della
Casa d’Este, intorno a che abbiamo una lettera dello stesso Manuzio a Giambatista Pigna
(Manuz. Lettere. p. 125) colla risposta del
Pigna (Lcttei'c di diversi. Veri. i564, P- 80),
ma il disegno non ebbe effetto.
(*) L’edirione delle Lettere italiane di Pnolo Mainino fatta nel i^tio non è nè la prima, nè l'unira.
Prima di essa se n’era fatta un'altra nell’anno i55(i.
TlHAUOSCHi, Voi. X.
20 [p. 306modifica]3o6 LIBRO
\ I. Io potrei ({ili recare i magnifici elogi che
ne hanno fatto molti scrittori di que tempi,
e quelli principalmente che nell eleganza dello
scrivere erano o uguali, o non di molto inferiori allo stesso Manuzio, come Jlartolo rum co
Birci (t. 2 Op. p. 308, ec.), il Paggiano (Epistol. t 2, p. GB, ec), il Paleario (t. 1,
ep. 17) e il Mureto che gli era amicissimo, e
che non ardisce di decidere se più debba a
Cicerone il Manuzio, o al Manuzio Cicerone
(Var. Lect. l. 1, c. 6, ec.). Ma basti per tutti
quel del Bonfadio, uomo il quale ben sapeva
che fosse scrivere con eleganza. Questi in una
lettera al Manuzio, trattando delle difficoltà dello
stile epistolare, Quei lunghi periodi in fatti, dice
(Lettere., p. 56 ed bresc. 1758), hanno troppo
gran campo, e Ciio/n vi si perde dentro, oltre che in lettere, familiari par che non convengano. È molto più bello e più sicuro quel
breve giro, ove voi così felicemente v aggirate,
senza punto mai aggirarvi, e volteggiate lo scriver vostro con una leggiadria mirabile, senza
mai cadere. Seguirò dunque voi, e mi parrà
aver fatto assai, s io potrò appressarmi, che
di giungervi pochissimi possono sperare, di
passarvi nessuno. Avete un apparato di parole
ricchissimo, e le parole sono illustri, significanti, e scelte; i sensi o sono nuovi, o se pur
comuni, gli spiegate con una certa vaga maniera propria di voi solo, che pajon vostri, e
fate dubbio a chi legge, se quelle pigliano ornamento da questi, o questi da quelle, (Qua spargete un fiore, là scoprite un lume, e si acconciamente, che par che siano nati per adornare [p. 307modifica]PIVIMO 30^
ed illustrar (quel luogo, ove voi li ponete, nè
ci si vede ombra d ujjettazione. fi pritu ipio
guarda il fine; il fine pende dal prim ipio; il
mezzo è conforme all uno ed all altro con
una conformità varia, che sempre diletta, e
mai non sazia; le quali cose danno altrui più
presto causa di maraviglia, che ardire di poterle imitare. Nè però vuolsi dissimulare che il
Manuzio ancora ebbe riprensori e nimici. Nè
è maraviglia, perciocchè come ne’ cibi, così
nelle lettere ancora diversi sono i gusti, e ciò
che sembra ad alcuni perfetto, da altri credesi
difettoso. Più grave è l’accusa a lui data da
Gabriello Barri, il quale ce lo rappresenta come
un solenne plagiario e ardito usurpatore delle
fatiche altrui. In una sua lettera a Pier Vettori,
scritta il primo di agosto dell’an 1557;, egli
arreca un passo della Grammatica latina di Aldo
Manuzio il vecchio, in cui afferma che Giano
Parrasio essendo in Milano al principio del secolo XV, avea pubblicati senza il suo nome
certi frammenti d’antichità, e che avea quasi finita un’opera in XXV libri divisa su diversi punti d’erudizione, intitolata De rebus
quaesitis per Epistolam. Soggiugne poscia il
Barri che Paolo Manuzio, detto da lui avis implumis, et furax insignis, ebbe dal cardinale
Seripando la suddetta opera del Parrasio e i
Comenti del medesimo sulle Epistole ad Attico;
ch’egli spacciò i Comenti per suoi, e dall'altra
opera scelse alcuni passi soltanto, e li diede alla
luce fingendo che tale edizione fosse eseguita a’
tempi di Aldo suo padre; e che diede il rimanente dell' opera al giovane Aldo suo figlio, a cui [p. 308modifica]3o8 LIBRO
pure il Barri dà il nome di Cornacchia spennata,
perchè egli ancora se ne facesse bello; e che
Aldo di fatti, benchè, com’egli dice, quasi ancora fanciullo, divisa l’opera in più parti dedicate a più cardinali, la pubblicò qual sua,
ritenendo però il titolo medesimo che il Parrasio le avea dato (Cl Viror. Epist. ad P. Victor. t. 2, p. 108). E questa accusa ripete lo
scrittore medesimo in una sua opera (De Situ
et Antiq. Calabr. l. 2, c. 7). Egli è il solo che
rinfacci al Manuzio sì grave delitto; e nell’atto
stesso di rinfacciarlo, ci fa vedere la falsità
dell’accusa. L’opera del Parrasio fu pubblicata
la prima volta da Arrigo Stefano nel 1567, e
nella lettera da lui premessa a Lodovico Castelvetro ci dice di averla avuta non già dal Manuzio, ma dal Giova, uomo erudito di quell’età, di
cui si trova menzione in varie lettere del medesimo tempo. Ma diasi pure che il Giova avessela
dal Manuzio. L'opera del Parrasio, secondo il
Barri, eya in venticinque libri, e dovea perciò
essere molto voluminosa. Or ciò che abbiamo
sotto il nome di esso, è un picciol libro; e picciolo parimente è quello di Aldo sotto il medesimo titolo; sicchè amendue insieme appena
possono formare una picciola parte della grande
opera che al Parrasio si attribuisce. Perchè dunque il giovane Aldo non si appropriò il rimanente? Innoltre se Paolo diè quell'opera al figlio, perchè la divolgasse qual sua, ei doveva
almeno avvertirlo che ne cambiasse il titolo;
altrimente veggendo il titolo stesso usato prima
dal Parrasio, poi da Aldo, poteano alcuni sospettare che questi avesse copiato il primo. Nè [p. 309modifica]PRIMO 3o9
era allora Aldo quasi fanciullo, come dal Barri
si afferma; perciocchè nato nell’anno 154 7,
contava quasi 30’ anni di età quando nell’an 1576 pubblicò il detto libro. Finalmente,
a comprovar tali accuse richieggonsi monumenti sicuri; e niuno qui ne abbiamo fuorchè
la semplice affermazione del Barri, che non
può aver forza bastevole a farci credere i due
Manuzj troppo diversi da quelli che sempre
sono stati creduti.
Vii. II suddetto Aldo figliuol di Paolo seguì,
benchè alquanto da lungi, gli esempii del padre
e nel coltivare le lettere, e nel promuoverle
per mezzo della sua arte. Paolo lo ebbe da
Margarita Odoni sua moglie a’ 12 di febbrajo
del 1547 (V. Lazze ri, Misceli Coll. rom. t. 2,
p. 210), ed usò la più sollecita diligenza nell educarlo e nell' istruirlo. Fu dapprima professore di belle lettere nelle scuole della Cancelleria in Venezia, ove s’istruivano i giovani che
aspiravano alla carica di segretari della Repubblica, e tenne quella cattedra dal 1577 fino
al 1585, in cui fu chiamato a Bologna ed occuparvi quella che per la morte del famoso Sigonio era restata vacante. E questa scelta è
una pruova evidente della gran fama a cui Aldo
era fin d’allora salito. La Vita di Cosimo de’
Medici da lui frattanto data alla luce il rendette caro al gran duca Francesco, che nel 1587
gli fece offrire la cattedra di umane lettere in
Pisa con sì onorevoli condizioni, che Aldo non
seppe ricusarla, benchè al tempo medesimo
venisse invitato a Roma ad occupar quella che
già avuta avea il Mureto. Il soggiorno in Pisa [p. 310modifica]3 IO LIBRO
gli ottenne l’onore di essere ascritto all'Accademia fiorentina, ove ai'28 di febbraio del 1588
recitò una Lezione sopra la Poesia, che fu poscia stampata. Benchè Aldo avesse già ricusata
la cattedra offertagli in Roma, ivi nondimeno
si serbò sempre tale speranza di averlo, che
il luogo gli si mantenne vacante. Nè le speranze
furon fallaci. Aldo nel novembre del 1588 determinossi a quel viaggio, e ivi fu ricevuto con
grande applauso. Colà fece ei trasportare la copiosissima sua libreria di ben ottantamila volumi, parte raccolta già da Aldo il vecchio e
da Paolo, parte da lui medesimo. Alle occupazioni della pubblica cattedra gli aggiunse (Clemente VIII nel i5i)2 quella di soprantendere
alla stamperia Vaticana. Ma cinque anni appresso, cioè a’ 28 di ottobre del 1597, in età
di soli cinquatun anni non ancora compiuti
diè fine a’ suoi giorni. Tutte queste particolarità della vita di Aldo il giovane da me in
breve accennate si posson vedere più ampiamente distese da Apostolo Zeno nelle già indicate Notizie. Egli ribatte ancora l’accuse con
cui l" Eritreo par che abbia cercato di oscurarne la fama (Pinacoth. pars 1, p. »84)»
dipingendolo come uomo ridotto allo stremo
della miseria, abbandonato in Roma dai’ suoi
scolari, uno o due soli de’quali venivano ad
ascoltarlo, deforme e mostruoso di aspetto e
aggiugnendo che ei ripudiò capricciosamente
la propria moglie accuse tutte delle quali il
Zeno mostra apertamente l insussistenza e la
falsità. Egli ancora ragiona minutamente di
tutte l’edizioni di diversi antichi e moderni [p. 311modifica]PRIMO 3 i i
scrittori clic ci ha date, e di tutte le opere
da lui stesso composte. Grande ne è il numero,
e grande la varietà degli argomenti; perciocchè e l antichità e la storia e la gramatica e
e la poesia e l’eloquenza e la filosofia morale
furono da lui illustrate con varii libri. Alcuni
di essi, come quello dell’Eleganze e quello assai
pregevole dell’Ortografia, furono da lui pubblicati in età ancor fanciullesca. Ma si può credere con fondamento che molta parte in essi
avesse l amor paterno. La più celebre fra tutte
le opere di Aldo sono i dieci tomi de’ Comenti
su tutte le Opere di Cicerone, ove però a suoi
egli unì quelli di suo padre. Il Zeno arreca i
favorevoli giudizii che di queste opere han dato
molti scrittori; e ribatte l’accusa di plagio
che alcuni gli hanno apposta. Ciò non ostante,
confessa egli medesimo che se Aldo imitò gli
esempii paterni, non giunse però ad uguagliarne
l eleganza e la dottrina. Molti affermano che
Aldo lasciò per testamento all’università di Pisa
la sua biblioteca; ma assai meglio ci ha informati del destino di questa biblioteca l eruditissimo Foscanini: Il Chiarissimo Zeno, dic
egli (Letterat venez. p. 392), pende a credereche andasse in dispersione alla morte di
lui. come se ne vanno (quasi tutte le Librerie
private. Da sicure memorie ms. di Giovanni
Delfino, poi Cardinale, ch era allora in Roma
Ambasciadore a Clemente Ottavo, da noi vedute j abbiamo, che morto Aldo alCimprovviso
per troppa crapula, e senza fare alcuna ordinazione delle cose sue, furono bollate le sue
stanze dalla Camera per certo credito che [p. 312modifica]312 LIBRO
pretendeva, e fu sequestrata ogni cosa da molti
altri creditori; che tra quelli e i nipoti del
morto fu divisa la Libreria visitata prima, e
spogliata d alcuni pezzi per ordine del Papa;
che non all’ università di Pisa, ma ebbe in
animo di lasciarla alla Repubblica di Venezia,
e che di questa intenzione si trovava qui una
lettera di lui. Intorno a che si può leggere ancora l erudita dissertazione della Libreria di
S. Marco del ch. sig. d Jacopo Morelli (p.).
Vili. Il Minuziano e i due Manuzii dovean
esser in questa Storia con distinzion rammentati, perchè all esercizio dell arte loro congiunsero un erudizione assai superiore al loro impiego. Ma non debbon passarsi sotto silenzio
alcuni altri che, se non furono dotti, colla
bellezza però delle loro edizioni accrebbero e
all’ arte loro e per essa all Italia onore non
ordinario. Celebri sono le stampe di Filippo
Giunti in Firenze, e di altri della stessa famiglia ivi e in Venezia, e anche in Lione (V. Crevenna Catal. de la Collect. de Livres t 6, p. 146).
Giovanni Giolito de Ferrari di Trino del Monferrato, dopo avere esercitata quest’ arte nella
sua patria, si trasferì a Venezia, ove ed egli
e poscia Gabriele di lui figliuolo, e per ultimo
Giovanni e Giampaolo figlio di Gabriele si acquistarono in essa tal nome, che le loro stampe
sono tuttora l oggetto dell amore e delle ricerche di molti (Zeno, Note al Fontan. t. 1.p. 3;)8).
Gabriele ebbe la sorte di avere a correttori delle
sue stampe parecchi forniti di buona letteratura,
come il Brucioli, il Sansovino, il Dolce, il Betussi (ivi, t. 2, p. 461). Ma ciò non ostante, le [p. 313modifica]PRIMO 3 13
rclizioni de* Gioliti sono non rare volte leggiadre
più che corrette, poichè a correggere i libri
suol essere più opportuno un mediocre ma
paziente conoscitore, che un uomo dotto (*).
Daniello Bombergh di Anversa aprì in Venezia
una magnifica stamperia ebraica nell1 anno i5i8
(Foscarini, Letterat. Venez. p. 343). Gregorio
Giorgio veneziano eresse in Fano a spese di
Giulio II la prima stamperia arabica che si
vedesse in Europa, e ne uscì un libro nel 1514
(ivi) (a), e pochi anni appresso fu pubblicato
nella medesima lingua l'Alcorano da Paganino
da Brescia (Quirini Ep. ad Saxium ad calc.
Bibl Script, mediol. p. 12). Bellissime edizioni
abbiamo parimente di Vincenzo Valgrisi in
(*) Fra i dotti che coll’erudite loro fatiche renderon
celebri P edizioni de’ Gioliti e quelle ancora de’ Giunti
e di altri stampatori veneziani, deesi anche annoverare
il P. Francesco Turchi carmelitano, di cui abbiamo
prefazioni, note e giunte a diverse opere «la essi pubblicate. E fra le altre cose si vuole osservare cbe ei fu
il primo ad aggiugnere supplementi alla Storia di Livio
tradotta dal JVar«li e pubblicata da' Giunti nel iHy5. Un
grave errore è corso nelle Annotazioni di Apostolo Zeno
alla Biblioteca del Fontanini, ove si afferma (l. i,p. 287)
che il Turchi trasse un tal supplemento da quel del
Freinshemio, perciocché questi non nacque che nel 1608,
e nel 16T4 pubblicò i suoi Supplementi. Della quale
osservazione io son «lrbitore all' eruditissimo sig. conte
Rambnldo degli Azzoni Avogaro canonico di Trcvigi
da me più volte lodato.
(a) Il libro arabico stampato in Fano nel t5t4 é
intitolato Scptcm Ilorae Canonicae, e ne esiste copra
ottimamente conservata in questa ducal biblioteca di Modena. Di esso ha parlato ancora il celebre sig. abate
Ginmhernardo De Rossi nella sua prelazione agli Epitalami i stampali in Parma (p. 18). [p. 314modifica]3.4 libro
Venezia. ili Leonardo Torrent i no in Firenze e
in Mondovì, del! Sermatelli pure in Firenze,
di Gottardo da Ponte in Milano, di Comin
Ventura in Bergamo, di Paolo Gadaldino in
Modena, di Alessandro Paganino prima in Venezia, poi in Tusculano presso il lago di Garda, di
Seth) Viotto in Parma e di più altri, di cui non
giova il far più distinta menzione. Pietro Paolo
Porro di patria milanese ci diede un saggio di Biblia poliglotta, stampando in Genova nel 1516 il
Salterio in lingua ebraia, greca, arabica e caldea. Ed ei debb essere quello stesso che nel 1514
insieme con suo fratello Galeazzo avea stampato in Torino il Corale già da noi mentovato,
ove nella dedicatoria al duca Carlo III essi si
dicono cittadini di Torino, e dicono di essere
stati prima monetieri, orefici e gioiellieri di
quella corte: Cum illustrissimis et Philippo patri, et Philiberto fratri, tum moneta cudenda,
tum aureis et monili bus, et re giis scalpturis
formandis artifices impense operam praestiterimus. Della qual notizia io mi riconosco debitore al ch. sig. baron Vernazza da me altrove
lodato. Alcuni ancora de’ nostri passarono Oltremonte, tra’ quali, oltre il Torresano nominato poc’anzi, Pietro Perna lucchese trasferitosi
circa il 1542 a Basilea, fu un de’ più celebri
stampatori di quella città, e ne sarebbe ancora
più onorevole la memoria, s’ei non l’avesse
oscurata coll apostasia della cattolica religione.
Di lui ha scritto la Vita il ch. sig Domenico Maria Ma.mi, stampata in Lucca nel 1763.
Ma lasciando in disparte una digiuna e poco
utile serie di stampatori, passiamo a dire della [p. 315modifica]PRIMO 31 5
magnificenza da alcuni principi italiani usata
nel promuovere e nel fomentare quest arte.
IX. Cos'uno de1 Medici, il cui nome glorioso
ci verrà innanzi quasi ad ogni passo di questa
Storia, come ad ogni altra cosa che giovar potesse agli studi, così a questa ancora volse il
pensiero. Il gran numero di pregevoli codici e
di opere inedite che serbavasi nella biblioteca
da suoi maggiori e da lui stesso fondata, gli
fece conoscere di qual vantaggio sarebbe stato
alle scienze, se o tutti, o almeno i migliori
uscissero alla pubblica luce. A tal fine fatto venire dairAlleniagna uno stampatore di molto
nome, lo animò colla promessa di magnifiche
ricompense a esercitare ivi la sua arte. Questi
chiese otto mesi di tempo a fare i necessarii
apparecchi, si accinse poscia all impresa, e
cominciò a pubblicare diversi libri. Così raccogliam da due lettere di Pier Vettori scritte
nell an 1547 in cui ciò avvenne; nella prima
delle quali, de 15 aprile, indirizzata a Francesco Davanzati, Fautor bonarum artium, dice
(Victor. Epist. p. 22), omnisque generis litterarum amator eximius, nostrae Ci vi tatis Princeps, evocavit huc typographum hominem, propositi sque praemiis non parvis, voluit in hac
urbe ejus artis officinam instruere. Ille autem
ad ornandam tabernam, ceteraque, quae opus
forent, comparanda, tempus octo mensium postulavit, quorum dimidia fere pars jam abiit.
Nell’altra ch è scritta al medesimo Cosimo a’ 13
di settembre, tra le altre cose da lui fatte a
pio delle lettere, così esalta ancor questa (ib.
p. 24): Quantum hoc beneficium est, quod [p. 316modifica]3 16 LIBRO
jamdiu mente versas, cuique summis opibus
inservis, et. jam in eum locum deduxjsti, ut
cito fructus non parvos laturum sit! Quantum,
inquarti, bene fidimi est} quod veteres Scriptores a majoribus tuis summo studio collectos,
atque e Graeciae ruinis incendiisque ereptos,
formis excudere, et ad usus eruditorum divulgare vis; atque huic rei efficiendae Germanum
hominem. qui hujus generis magna negati a tota
Europa genit, propositis amplissimis praemiis
huc evocasti, atque. apud nos typographam officinam struere, atque ornare mandasti! Chi
fosse lo stampatore tedesco dal Vettori accennato, non è difficile l’accertarlo. Appunto
nel 1548 veggiam cominciare in Firenze le
belle ed eleganti stampe del Tormentino, e continuare fin verso il 1564 nel qual tempo vedremo tra poco che quella stamperia fu trasportata altrove. Il Torrentino però, di cui non
so qual fosse la patria, non era, a mio parere, che semplice esecutore nell edizione de’ libri. Il raggiro di tutto il negozio era affidato
ad Arnoldo Arlenio tedesco, ch è quegli, s’io
non m’inganno, di cui parla il Vettori. Era
questi già da più anni addietro librajo famoso
in Italia, e abbiamo diverse lettere a lui scritte
da Celio Calcagnini fin dal 153(> e dal 1537,
dalle quali si vede che questi e più altri a lui
ricorrevano per. essere provveduti de' libri de’
quali abbisognavano (Calcagn. Op. p. 173,
183, 3i4> 2i5). Nè solo era egli librajo di
professione, ma era ancora uomo assai erudito
in ogni sorta di lettere, come ora il vedremo
appellarsi da Giambattista Giraldi e dal Vettori. [p. 317modifica]%
PRIMO 3 i 7
L'Àrlonio dunque e il Torreutino secondarono
le premure di Cosimo, e in Firenze aprirono la nuova loro stamperia, da cui negli
anni seguenti usciron molte e assai belle edizioni. Ma le intenzioni di quel sovrano per le
guerre e per le altre sinistre vicende non ebbero quell effetto che potea sperarsene. Nel i564
1 rovinili 1"Allenici in Mondovì insieme col Torrentino, che ivi Tanno seguente pubblicò gli
Ecatommiti del Giraldi, ch era nella stessa città
professore. Questi scrivendo nel detto anno al
Vettori gli dà avviso che TArlenio uomo eccellente in ogni sorta di letteratura erasi colà
recato per esercitarvi la sua arte (Cl. Viror.
Epist. ad P. Victor, t. 1, p. 103), e il Vettori a lui rispondendo compiange la sventura
di quel valentuomo, che in Firenze non avea
potuto trovare stabile sussistenza, benchè molti
ivi fossero che gliel aveano, ma inutilmente,
proccurata: Est pio fedo ille vir, dice dell’Arlenio il Vettori (Victor. Epist. p. 122). probus
ac bene doctus, semperque in studis honestarum artium versatus: habet autem hic honestissimos homines, qui valde charum ipsum
habent, etjortunas ejus ornare conati sunt,
aut saltem tantum illi commodi procurare, ut
vivere apud nos posset mediocriter, vel potius
vie tifare, nec tamen efficere umquam potuere,
quod studuere, malo, ut arbitror, fato hujus
viri. Est sane ille ei curae, cui praepositus
istic est, valde idoneus, et in ipsa p litri munì
excrcitatus; majora tamen ab eo, nisi fallar,
ex poetari potcrant, uberioresque fructus ex ingenio et eruditione ipsius capi. A questi tempi [p. 318modifica]3 i 8 LIBRO
medesimi io penso che debbasi riferire un’ altra
lettera dello stesso Vettori a Francesco Filippo
Pedemonti, che non ha data, nella quale parlando di uno stampator di Firenze, che’egli non
nomina, dice: Sed ejus officina nunc omnis,
valde antea instructa et ornata, exinanita et
dissipata est, operaeque abiere: id autem factum est difficultate horum temporum, ac propriis ipsius angustiis; nam tempora hic valde
dura atque adeo calamitosa sunt, vicino ac
prope cotidie nobis imminente acerrimo bello
(ib. p. 53). In fatti dopo il 1563 non troviamo
più alcuna edizione del Torrentino in Firenze,
e la stampa di quattro lezioni di Annibale Rinuccini, che dal Fontanini! si segna al 1565,
Apostolo Zeno dimostra che fu fatta nel i5(>i
(Note al Font. t. 1, p. 339). Ma anche in
Mondovì non dovette esser lungo il soggiorno
dell’Arlenio e del Tormentino, e dopo il 1565
non trovo che avvenisse di loro. E convien
credere ch’ essi abbandonassero il Piemonte,
perciocchè dagli Editti de’ duchi di Savoja raccolti dal senatore Giambattista Borelli, e stampati in Torino nel 1681, raccogliesi che l’an 1573 fu da Venezia chiamato a Torino
Niccolò Bevilacqua, perchè presiedesse a una
compagnia ivi formata per l introduzion della
stampa, e con molti privilegi da que' sovrani
graziosamente onorata (par. 3, l. 10 p. 1092,
tit 25 (*).
(*) Ciò che ho qui asserito intorno al Torrentino e
all’ Arlenio, riceve maggior lume da un bel monumento
trasmessomi da Torino dal ch, sig. baron Giuseppe [p. 319modifica]PRIMO 3l()
X. Abbiamo veduto poc1 anzi die 1 due cardinali Alessandro Farnese c Marcello Cervini
avea no fatto aprire in Roma una magnifica stamperia verso il i546, la cui direzione fu confidata ad Antonio Biado. Quindi al fine del terzo
tomo de1 Conienti di Eustazio sopra Omero,
stampato nel 1549, s‘ *eKoe: Impressimi Roinae apud A ri tonium Rladtim Asulanum et socioSj typis Joannis Honorii Manli ensis Sale liti ni Ribliotecae Palatinae instauratoris mdxlix.
Yeranzza. Contiene esso una supplica data al duca Emanuel Filiberto dagli eredi del Torrentino, in cui l’Arlenio come procuratore ed agente degli heredi del Torrentino gli rappresenta che S. A erasi già degnata di
entrare per la terza parte nella compagnia della stampa
fondata in Mondovì da alcuni cittadini, e che innoltre
al Torrentino, che dalla Toscana erasi colà trasferito,
avea assegnata provvisione di 20 scudi al mese per tre
anni; che morto poi il Torrentino, i suoi eredi avean
continuto l’impegno da lui preso: ma che non avendo
la compagnia serbati i patti fatti col Torrentino, gli
eredi perciò si trovavano oppressi da’ debiti; e quei' del
Mondovì avean loro sequestrato tutto l attrezzo dell’arte
loro. E a maggior loro danno si era aggiunto che della
provvisione al Torentino assegnata nulla erasi mai ricevuto; e gli eredi in tre anni eran rimasti creditori di
720 scudi. Dice ancora che quei’ del Mondovì aveano
in loro mano tre’ crediti e libri stampati dai’ detti eredi, e appartenenti al duca, pel valore di 520 scudi,
e perciò prega S. A. a ordinare che quelli del Mondovì
consegnino agli eredi i suddetti crediti e libri a conto
de’ 720 scudi, di cui erano creditori: e implora la clemenza del duca per riguardo singolarmente a molti figliuoli del Torrentino e a due figlie di età oltre a’ 25
anni. Alla supplica viene appresso il rescritto del duca
segnato in Torino a’ 31 di marzo del 1571, in cui comanda che si eseguisca ciò di che aveagli l’A elenio
porta preghiera. [p. 320modifica]3ao libro
E questa stamperia ebbe anche il nome di Camerale, come pruova l ab. Lazzeri (Miscell.
Coll. rom. t. 2. p. 2.46). Fu poi allo stesso
fine chiamato a Roma, come si è detto, Paolo
Manuzio che per più anni vi si trattenne. La
gloria però di avere stabilmente fondata la stamperia che fu detta Vaticana o Apostolica, e
poscia la stamperia dell’ apostolica Camera,
deesi a Sisto V. La dedica delle Opere di
s. Gregorio Magno da Pietro da Tossignano
pubblicate dalla stamperia medesima nel 1588
contiene grandi elogi di quel pontefice per sì
bella idea da lui concepita, e con singolar magnificenza da lui condotta ad effetto, affine
principalmente di pubblicar le Opere de santi
Padri, e tutto ciò che giovar potesse al decoro
e al vantaggio della cattolica Fede. Le magnifiche edizioni della Version dei' Settanta e della
Biblia latina di Sisto V, e poscia ancor quella
di Clemente VIII, e più altre di molto pregio
furono il frutto delle grandi idee di Sisto. Domenico Basa fu destinato al regolamento di
quella stamperia, nella quale furono allora spesi
quarantamila scudi, come afferma il Rocca, che
scriveva in Roma a’ tempi dello stesso pontefice (De lì ibi. T'adc. p. f\ 1 \ cd. Rom. 1091).
IN è è a stupirne, perciocchè per testimonianza
dello stesso scrittore fu ella fin d allora fornita
non sol di caratteri greci e latini, ma di ebraici
ancora, arabici e serviani, e di carte eccellenti,
e di ogni altra cosa necessaria alla perfezion
di quell arte, e furono innoltre stipendiati dottissimi uomini, perchè soprautendessero alle
edizioni. [p. 321modifica]primo 3ai
AI. Prima elio Sisto V concepisse sì bella
idea, un’altra aveane formata e felicemente eseguita il cardinale Ferdinando de’ Medici, cioè
quella di aprire una stamperia di caratteri orientali# in cui si venissero pubblicando quei’ libri
scritti in quelle lingue medesime che giovar
potessero ad istruire i popoli dell’Oriente, e a
ricondurli sul sentiero della salute. Copiose notizie di questa stamperia si posson leggere ne’
Ragionamenti del Bianchini intorno a’ Gran Duchi di Toscana (p. 51, ec.), e in una lettera
del ch. can Bandini (Novelle lett. 1772,
p. i-jijec.), i quali adducono le testimonianze
degli scrittori di quei’ tempi. Io ne accennerò
solo le più importanti, che basteranno a mostrare quanto f'osser vasti i disegni di quel gran
principe. Gregorio XIII, che non pago di profondere immensi tesori a vantaggio ed a gloria
della Religion cristiana, procurava ancora di
accender negli altri il medesimo zelo, fu il
primo ad ispirarne il pensiero al cardinale Ferdinando, e a tal fine il dichiarò protettore dell’Etiopia e de’ due patriarcati d’Alessandria e
di Antiochia, affidando a lui in tal modo la
salvezza di quelle sterminate provincie. Il cardinale, degno erede de’ suoi maggiori, si accinse tosto all’impresa in tal modo, clic piò
11011 si sarebbe potuto sperare dal più potente
sovrano. Nella Siria, nella Persia, nell Etiopia
e in varie altre provincie dell’Oriente mandò
esperti ed eruditi viaggiatori, e tra essi singolarmente i due fratelli Giovambattista e Girolamo Vecchietti fiorentini, e di essi e di più
altri si valse a raccogliere c a trasportare a
TutÀBoscui, Voi X. 21 [p. 322modifica]322 LIBRO
Koma non pen ili codici clic doveausi poscia
stampare. Quindi fatti fondere con grandissima
spesa i caratteri di quelle lingue, ebraici, siriaci, arabici, etiopici, armeni e più altri, e
raccolta in sua casa una scelta adunanza di
dottissimi uomini, fra’ quali alcuni ve n’ avea
venuti dall’Oriente, commise la direzione di sì
grande impresa a Giambattista Raimondi, uomo
in quelle lingue dottissimo. La Gramatica arabica e la caldaica, e alcune opere di Avicenna
e di Euclide nella prima di dette lingue furono i primi saggi che si esposero alla pubblica
luce. Seguirono appresso i Vangeli nella lingua
medesima, e poscia ancora colla versione latina,
dei’ quali soli per testimonianza del Raimondi
furono stampate tre mila copie, affinchè si potessero spargere in ogni parte dell’Oriente. Avea
innoltre il Raimondi formato il disegno di stampare la Sacra Biblia in sei delle principali lingue dell’Oriente, cioè nella siriaca, nell arabica,
nella persiana, nella etiopica, nella coptica e
nell’ armenica, sicchè queste unite a testi e alle
versioni latine, greche, ebraiche e caldaiche, che
già si avevano, formassero dieci lingue, aggiuntivi ancora i Dizionarii e le Grammatiche di ciascheduna. Il Possevino ci ha dato il catalogo de’
libri che fino all’anno 1603 erano da quella stamperia usciti (Bill, sclccto, /. 9, c. 5), e il Labbè
quello assai più copioso di tutti gli altri che doveansi pubblicare (Bibl. nova MSS. p. 250, ec.).
La morte di Gregorio XIII accaduta nel 1585,
e il succedere che fece due anni appresso il
cardinale Ferdinando al gran duca Francesco
suo fratello, fece in gran parte cadere a terra [p. 323modifica]PRIMO 323
sì gloriosi disegni. Ciò non ostante si proseguì
ancor per più anni a pubblicar altri libri cogli
stessi caratteri, avendone il nuovo gran duca
conceduto l'uso a’ pontefici Clemente VIII e
Paolo V, e poscia ancora alla Congregazione
de Propaganda Fide istituita da Gregorio XV.
In fatti ne’ libri di lingue orientali stampati in
Roma sul cominciar del secolo XVII si legge
Ex Typographia Medicea linguarum externarum. Ma poscia furono que’ caratteri trasportati a Firenze, ove nella guardaroba del Palazzo
vecchio si conservan tuttora. Di tutto ciò ch'io
ho fin qui brevemente accennato, si veggan le
pruove presso i due mentovati scrittori.
XII. Tante e sì celebri stamperie erette in
ogni parte d’Italia come agevolaron non poco
col moltiplicar le copie de buoni libri il coltivamento delle belle arti, così renderon più facile non solo a’ sovrani, ma a molti privati
ancora il formar numerose biblioteche, e l’accrescer quelle che già si eran raccolte. Tra esse
la Vaticana per opera singolarmente di Sisto IV,
che aveala e magnificamente rifabbricata e a
vantaggio pubblico aperta, era al principio di
questo secolo la più famosa. Il maggior pregio
di essa però erano i codici a penna, de quali
più che de’ libri stampati erano andati in traccia coloro che ne aveano avuta la direzione;
sì perchè essendo tanto maggiore il lor prezzo,
non poteano i privati sì facilmente farne l’acquisto, sì perchè i codici stessi erano di gran
vantaggio alla stampa e per le nuove opere
che per essa veniansi pubblicando, e pe’ lumi
che da essi traevansi per correggere e migliorar [p. 324modifica]324 Limo
r edizioni. Per questa ragion medesima continuarono i romani pontefici che venner dopo,
a far principalmente ricerche dai' codici manoscritti. Di Giulio II non abbiamo memoria alcuna che cel dimostri sollecito nell aumentare
quella biblioteca; e solo leggiamo nella Vita del
Bembo, che fin dalla Dacia gli fu inviato un
antichissimo libro scritto in cifre, cioè con caratteri abbreviati, i quali dal Bembo stesso furono spiegati felicemente. Ma ei però non dee
qui passarsi sotto silenzio; perciocchè a più
comodo uso de' pontefici stessi un altra biblioteca fu da esso formata, non tanto pel numero, quanto per la scelta de libri pregevole
assai, e per gli ornamenti di pitture e di marmi
che le aggiunse. A una lettera del cardinale Bembo
siam debitori di questa notizia; perciocchè egli
scrivendo allo stesso pontefice a' 20 di gennaio
del 1513, così gli dice: Eam tu curam et ilili genti ani cornili aemulatus: ad Ulani e gre già ni
Bibliotìiccam laticanam ab iis, qui fuerunt
ante te, Pontijicibus nuiximis comparatavi, addi s, ailjungisijue alterarli, non illam quidem librorum numero, sed tum eorum, quibus est
referta, probitate atque praestantia, tum loci
commoditate amoenitateque propter elegantiam
marmorum et picturarum, speculasque belli ss imas, quas habet, ad usum Pontificum multo
etiam amabiliorem (Epist famil. l. 5, ep. 8). Di
questa nuova biblioteca io non trovo altra menzione. La Vaticana frattanto ebbe in Leon X,
successore di Giulio, un pontefice tutto rivolto
ad accrescerla e farla sempre mgliore. Abbiam
già mostrato quanto egli si adoperasse, e quanti [p. 325modifica]PRIMO 3a5
tesori profondesse per inviare nelle più lontane
provincie uomini dotti a raccogliere nuovi codici; nè è a stupire che sotto di lui fosser si
grandi gli aumenti di quella biblioteca. Fausto
Sabeo, che a’ tempi di Leone e di sei altri pontefici ne fu custode, in un suo epigramma indirizzato allo stesso pontefice all’ernia di essere
stato da lui mandato fra barbare e lontane nazioni, affin di raccogliete nuovi codici:
Ipse tuli pro te discrimina, damna, labores,
Et varios casus barbarie in media,
Carcere ut eriperem, et vinclis et funere libros,
Qui te conspicerent et patriam reduce«.
l'.pìgrarimi. p. 402., ed. rom. 1556.
La magnificenza e lo splendore di questo pontefice avrebbe sollevata la Vaticana a fama molto
maggiore, se o più lungo tempo ei fosse vissuto, o avesse avuti per successori pontefici a
lui somiglianti. Ma Adriano VI rimirava come
gentilesche profanità tutti i libri non sacri; e
Clemente VII, benchè fosse pontefice di animo
grande, visse a tempi troppo infelici, e avviluppatosi nelle guerre de’ principi, espose Roma
all orribile sacco del 1527, che alla biblioteca
medesima fu sommamente fatale, poichè molti
libri divenner preda dell ignoranza e del furore
de barbari saccheggiatori, come pruova lo Schelhornio colla testimonianza del Reisnero che ne
fu testimonio (Amoenit litter. t. 7, p. 120). Una
elegia del suddetto Sabeo, in cui introduce la
medesima Biblioteca che mostra a Clemente
l’infelice stato a cui è condotta, cela rappresenta nel più compassionevole aspetto, c ci [p. 326modifica]3aG LIBRO
mostra insieme che il pontefice costretto allora
a pensare a tutt’altro, non curavasi punto di
essa:
Dicere non possum, qnod sim tua, visere quam non
Hactenus ipse velis, Septime, nec pateris.
Hinc gemo et illacrymor, quod sim tibi vilior elga,
Sordidior coeno, Thesiphone horridior.
Hac ratione tuum petii ipsa coacta tribunal,
Quamvis erubeam tam misera et lacera, ec.
ib. p. 846. I
AITI. Paolo III. che con più saggio consiglio
tenendosi neutrale nelle guerre de principi,
amò sopra ogni cosa il titolo e la lode di padre comune, potè riparare almeno in gran parte
i danni che le precedenti guerre avean recato a
Roma. Quindi anche la biblioteca Vaticana cominciò in certo modo a risorgere sotto questo
pontefice, il quale fra le altre cose le aggiunse
due scrittori, un greco, l altro latino, de’ quali
fosse pensiero non solo il custodire i codici,
ma il copiare ancor quelli che per vecchiezza
o per danni sofferti cominciassero a consumarsi
(V. praef. ad vol. 1 Catal. Codd. mss. orient
Bibl. vatic, p. 22). Grandi vantaggi potea questa biblioteca sperare da Marcello II, s’egli
avesse avuto più lungo pontificato. E ne pochi giorni che il tenne, rivolse tosto ad essa
il pensiero, aggiugnendole due revisori o correttori de’ libri, de’ quali poi ei volea valersi,
quando avesse eseguito il disegno che avea formato di aprire nella biblioteca medesima una
stamperia greca e latina, per dare in luce le
opere inedite ivi serbate (Rocca de Bibl. Vatic.
p. 56; Pollidori, Vita Marceli li, p. 126). [p. 327modifica]i
pnt.no 3'jj
Due con el ton de' libri greci vi furon posti da
Pio IV (rt), il quale innoltre ordinò con sue lettere
a Onofrio Panvinio e a Francesco Avanzati che
diligentemente andassero in cerca di codici di
ogni sorta di Lingue, comprese ancor le orientali,
per accrescerne la Vaticana (Rainald. Ann. eccl,
ad an. i5(34). Non men solleciti in aumentarla
furono e S. Pio V e Gregorio XIII, il primo de
quali fece trasportar da Avignone 158 volumi
di Lettere e di Bolle de’ Papi, che ivi erano
sin allor rimasti, il secondo di molti suoi libri,
parte manoscritti, parte stampati, le fece dono
praef. ad vol. 1 Catal. l. c.). Ma tutto ciò
parve ancor troppo poco al pontef Sisto V,
che fra le opere di prodigiosa magnificenza da
lui intraprese nel breve suo pontificato di soli
sei anni (*) volle ancora che fosse tutta di nuovo
rifabbricata, e con disegno assai più maestoso,
la biblioteca Vaticana; e ne commise la cura
al celebre architetto il cav Domenico Fontana, il quale, secondando le premure e la
magnificenza di Sisto, in un anno solo le diè
compimento. La descrizione «.IL questo grande
edificio e degli ornamenti ricchissimi d’ogni
maniera che vi sono aggiunti, e dclfordine con
cui gli scafali e i libri sono disposti, si può
vedere ne Ragionamenti della Libreria Vaticana
(a) Non due, ma un solo fu il corretto!’ greco da
Pio IV posto nella biblioteca Vaticana, e il breve con
cui egli nel iHGv, istituì questo ufficio e ubiditilo a Matteo Vari chcrico di Coriù, è stato pubblicato daif abate Marini (Archi atr. pontif. t. i, p. 3ò >).
(*) 11 pontiiìrato di Sisto V non fu di sei anni compiti, ma oltrepassò il quinto di pochi mesi. [p. 328modifica]3a8 libro
di Manuzio Pausa stampati nel i5j)o, e nell’opera già citata del Rocca, che venne in luce
l’anno seguente, e nella prefazione al primo
tomo del Catalogo de’ Codici orientali della biblioteca medesima pubblicato dagli Assemani.
Questi scrittori medesimi ci hanno ivi data la serie de’ bibliotecarii e de' custodi di essa, e l’una
e l'altra ci fa vedere quanto fosser solleciti i
papi d’affìdarne la cura a dottissimi uomini.
Tra’ primi dopo Giuliano da Volterra, da noi
nominato altrove, troviamo eletto bibliotecario
da Giulio II a' 17 di luglio del 1510 Tommaso
Fedro Inghirami, e dopo la morte di lui avvenuta a' 5 di settembre del 1516 Filippo Beroaldo
il giovane da Leon X. Due anni soli sopravvisse
Filippo; e a lui fu surrogato nel settembre
dcl 1518 Zenobio Acciaiuoli domenicano che
finì di vivere ai’ 27 di luglio dell anno seguente.
Girolamo Aleandro gli succedette nel giorno
stesso, e durò in quella carica fino al 1538,
in cui l Aleandro, fatto cardinale, depose l’impiego fin allor sostenuto, che fu conferito ad
Agostino Steuco della Congregazione de’ Canonici regolari di S. Salvadore. Poichè egli finì
di vivere nel 1548, Paolo III volle che in avvenire la carica di bibliotecario della Romana
Chiesa fosse secondo l’antico costume propria
di un cardinale; e il primo che ad essa prescelse, fu Marcello Cervini, a cui poi successivamente vennero appresso i cardinali Roberto
de’ Nobili, Alfonso Caraffa, Marcantonio Amulio, Guglielmo Sirleto, Antonio Caraffa, Marcantonio Colonna e Cesare Baronio, della maggior
parte de’ quali dovrem fare in questa Storia [p. 329modifica]PRiMO j2()
menzione* Tra i custodi, per tacere d’alcuni
altri men celebri, troviamo singolarmente Lorenzo Parmenio da S. Genesio, che fu in quell’impiego dal 1511 fino al 1522 che fu l’ultimo
di sua vita (*), e Fausto Sabeo nato in Chiari
nel territorio di Brescia, che, nominato custode
da Leon X, visse fino al 1559. Di lui, come
si è accennato, abbiamo alle stampe cinque libri di Epigrammi, nei quali ei si scuopre non
troppo colto poeta. Ma convien dire ch egli
avesse assai favorevole opinione di se medesimo, perchè scrivendo in essi a tutti i pontefici a’ cui tempi egli visse, di tutti si duole
perchè non si vede abbastanza ricompensato.
Di lui ha parlato più a lungo il cardinale Querini (Specimen Litterat. brix. pars 2, p. 167, ec.).
XIV. A qual vicende fosse soggetta la ricchissima biblioteca raccolta da Cosimo, da
Pietro e da Lorenzo de’ Medici, si è già da
noi veduto nel tomo precedente. Gli avanzi di
essa erano al principio di questo secolo in Roma, ove il cardinale Giovanni de’ Medici, che
fu poi Leone X, comperatigli da’ Religiosi di
S. Marco di Firenze pel valore di 2652 ducali,
(*) Non l’anno 159.2, ma il i5aq fu l’ulti in Q della
vita di Lorenzo Parmenio, come ei mostrano le notizie
che ce ne ha date il eh. sig. canonico Rondini nel riferire un poemetto inedito di questo scrittore, che ha
per titolo De dadi bus per Gallos Italiae alla lis et de
triumpho Julii Sccundi Pont. Max., il qual conservasi
nella Laurenziana. Alcune altre poesie se ne leggono
nelle Raccolte de’ Poeli latini, e un opuscolo De Operi bus et rei il'; gestis Julii 11 Pont. Max. ne è di fresco venuto alla luce (Anecd. rom. t. 3, p. 299). [p. 330modifica]33o LIBRO
gli avea fatti trasportare nel 1508 (V. Band.
praef. ad voi. i Calai. MSS. graec. Bibl Laur.
p. 13). Clemente VII, prima ancora di esser
pontefice, li rimandò a Firenze, e ordinò all'immortal Buonarroti che presso la basilica
di S. Lorenzo innalzasse un vasto e maestoso
edifizio, ov essi fosser riposti, e a mantenere e
ad accrescere la biblioteca medesima assegnò
rendite stabili. La fabbrica cominciata per ordine di Clemente, e col disegno del Buonarroti, fu poi condotta a fine colla direzione
di Giorgio Vasari dal gran duca Cosimo I l’an 1571. Nè fu pago questo gran principe di
assegnare a sì pregevoli codici stanza degna di
loro. Ne accrebbe ancora il numero a dismisura, comperandoli a gran prezzo, e facendogli
venire anche da’ più lontani paesi. Della regia
magnificenza in ciò usata da Cosimo si parla
a lungo e ne’ più volte citati Ragionamenti intorno a’ Gran Duchi del sig. Giuseppe Bianchini, e nelle prefazioni premesse così al Catalogo de’ Codici orientali di quella biblioteca
compilato del can Piscioni, come a quello
de’ Codici greci del can Bandini, ove se
ne producono i più accertati monumenti *, e
quest’ ultimo scrittore ci ha ancor data la descrizione della biblioteca medesima, ponendola
in diversi rami sotto l’ occhio de’ reggitori. Alle
pruove e a" documenti che ad essi s’arrecano,
io aggiugnierò solo la testimonianza di Pier
Vettori che fino dal 1547 scrivendo allo stesso
Cosimo, rammenta la fabbrica che allor si andava innalzando, e il gran numero di libri che
da ogni parte quel gran principe raccoglieva: [p. 331modifica]PRIMO 33I
,4 Clemente Tril Pont. Max. magni/ice inceptam h'ibliothecam, inchoatam tamen, imperfectamque relictam absolvis, ac magnis sumptibus aedificas, nec ornarnentis tantum ipsjus
pompaeque indui gè s, veruni etiam illam sedulo
supples accurata librorum conquisitione, con**erisquc illue omnes, qui ad te amatorem summum ipsorum ab iis. qui tibi gratificari cupiunt,
deferuntur (Epist. p. 24 Il che pure egli ripete in un’altra del 1568, scritta al cardinale
Ferdinando, in cui esalta la sollecitudine e la
premura di Cosimo nel radunar da ogni parte
i più pregevoli libri, e nel condurre al suo termine la stessa biblioteca (ib. p. 158). Ma la
maggior lode di Cosimo si è l’ ottimo uso ch ei
fece de’ suoi libri medesimi, permettendo agli
eruditi il valersene per confrontare e correggere
l edizioni degli antichi scrittori, e animandogli
a dare in luce quelle opere inedite che ivi stavan nascoste, c che potean giovare alle scienze;
fra le quali dee nominarsi singolarmente l’edizione delle Pandette fatta per comando di Cosimo da Lelio Torelli nel famoso codice di
esse già trasportato da Pisa. I due figliuoli e
successori di Cosimo, Francesco e Ferdinando,
seguiron gli esempii del padre, e di molti altri
codici accrebbero la Laurenziana, che per tal
modo giunse presto a tal fama, che fu considerata, in ciò che appartiene a’ codici manoscritti, come una delle più illustri d’ Europa.
E ne è pruova il Catalogo de’ detti codici, di
cui oltre quello degli orientali datoci dal can Biscioni, abbiam già avuti tre tomi de’
greci, e tre de’ latini con molta fatica e con [p. 332modifica]33a rumo
uguale erudì/.ione distesi dal can Bandini,
da cui speriamo di avere in breve il compimento di questa grand’ opera.che alla famiglia
de’ Medici, e per essa a Firenze e a tutta l’Italia sarà un eterno monumento di gloria (a), u
XV. La biblioteca Estense in Ferrara dal marchese Leonello e da’ duchi Borso ed Ercole I
era stata accresciuta di moltissimi ed assai pregevoli codici, come si è a suo luogo mostrato.
Di Alfonso le di Ercole II, benchè la protezione di cui onoraron le scienze, non ci lasci
dubitare che anche in questa parte ne dessero
chiare pruove, non mi è però avvenuto di ritrovarne special menzione negli scrittori di que
tempi. Al duca Alfonso II era riserbata la gloria di emulare la magnificenza di Sisto V e di
Cosimo I, anzi di stenderla ancor più oltre
ch’essi non avessero fatto. Essi aveano principalmente rivolte le lor premure a far acquisto
di codici manoscritti. Alfonso non solo di essi
andò in traccia, ma comandò che senza riguardo a spesa si comperassero quanti libri
erano usciti alla luce dopo l invenzion della
stampa. Questo sì vasto disegno fu da lui
formato nel primo anno del suo governo, cioè
nel 1559, e pochi mesi appresso in gran parte
era già stato eseguito; anzi allora pensava Alfonso di aprire ancora in Ferrara una magnifica
stamperia sull’ esempio di altri principi, affine di dar per essa alla luce quelle opere inedite che si credessero dover recar giovamento
(a) Il canonico Ramimi lia compila questa grand' o
pera con altri due tomi. [p. 333modifica]piu no 333
lettere. Di questa notizia, sfuggita finora,
per quanto a me sembra, a tutti gli scrittori di tale argomento, io son debitore agli
Annali degli Estensi, opera inedita di Girolamo Faletti, che si conserva in questa biblioteca. Era l’ autore da Ferrara passato a
Venezia ambasciatore del duca, e di là indirizzandogli i primi sei libri de’ detti Annali,
che giungono fino al 1300 (nè io credo ch'ei
si stendesse più oltre), dopo altre lodi di Alfonso, rammenta ancor questa, e il passo è
troppo interessante, perchè io non debba qui
recarlo nel suo originale latino: Quae cum sint
ipsa per sè maxima valde tamen illustrantur
egregio illo planeque divino, quod superioribus
mensibus iniisti comparandae bibliothecae consilio, ut omnes omnium disciplinarum libros
non modo scriptos, sed quoscumque per annos CXIII idest post inventam typographiam
editos ubique existimamus, in unum qualibet
impensa coactas, diligenier asse/vandos cu rares
egregie... atque hoc a te primo imperii tui
anno et cogitatum simul, et magna etiam ex
parte confectum est. Itaque nunc habet, habebitque quotidie magis Ferraria tua Bibliothecam Estensem, in qua, si quis ve Ut, ut in amplissimo tfteatro, viri ut es omnes spedare possi t.
Non enim tardarti libro rum omnium linguarum
et doctrinarum copiam aut a magnis illis Regibus Philadelpho Alexandriae, Eumene Pergami, aut ab A si nio Politone Romae collectam
esse crediderim, quantam tu diti gente r ubique
conquiri et emi vel infinito sumptu jussisti.
Quid? quod etiam de tj pographia, qua se rip ti [p. 334modifica]334 irono
libri sludiosis omnibus communicentur, Ferrariae statuenda, cogitationem suscepisli? Sii questo secondo disegno del duca Alfonso fosse
condotto ad effetto, non ne trovo memoria.
Ma il primo solo basta a renderne il nome immortale <*)• E «e ad Alfonso fosse toccato in
(*) Rei monumenti intorno alla regia magnificenza
del duca Alfonso II nel raccogliere libri e antichità, e
nell’ introdurre una bella stamperia in Ferrara, mi ha
somministrato questo ducale archivio. Fin dal 1556,
mentre egli era ancor principe ereditario, e trovavasi in Francia, formò il pensiero di adunare una copiosa raccolta di libri, e a 18 di luglio scrisse di colà
al Pigna suo segretario la seguente lettera: Magn. M,
Gio. Battista mio Ch. Perchè io disegno di drizzar costì qualche bella Libreria, desidero, che mi mandiate
al ritorno che farà in qua Monsig. Alvarotto, una nota
di tutti i libri, che vi parrebbe, che ci si havessero a
metter tanto della volgar nostra, quanto della Latina,
et altri che parrà a Voi, che sii bisogno, perchè ne
farei condur una gran parte di qua. Et perchè so,
quanto questa cosa habbia da piacervi, non ve ne dirò
altro, se non che pregherò il Sig. Dio, che vi contenti.
Dalla Badia di Suales il 18 di Giulio del LVI.
Alli piaceri vostri il Principe di Ferrara
Alfonso da Este.
Di ciò poi, ch’egli fece essendo già duca, ci fanno testimonianza due lettere a lui scritte dal celebre Girolamo Faletti suo ambasciadore a Venezia. Nella prima,
ch è de: 23 di novembre dell’anno i5Go, cosi gli scrive: Circa lo Stampatore per mandare costì, vado ritenuto assai, che non vorrei inviarle., chi presto avesse
a fallire, o in breve s’havesse a levarsene, ma sì bene
chi avesse a perpetuare lungamente, et fosse anco con
menor gravezza dell Eccellenza Vostra fosse possibile,
perciocchè il Giolito, et altri si sono offerti venire a
levare una bella stamperia costà; ma con quelle condizioni, che l hanno levata in Firenze, havendo da [p. 335modifica]PRIMO 335
sorte d’ aver successori che conservando pacificamente f come fecero i Medici, l’antico loro
dominio, avc.sser potuto seguirne le tracce e
quella Eccellenza trecento scudi l anno, per l Eccellenza V. i.stimerei dannosa: tengo bene convenevole pratica con duo, et spero l’oliarne uno a voglia mia, che
le sarà al fermo di soddisfazione. L Aristotile correttissimo tengo nelle mani, havuto con fede di non lo
mostrare a persona che sia; ma perchè il farlo trascrivere sarebbe cosa longa et di soverchia spesa, ho
risoluto di comprare un Aristotile di questi del Manuzio, salvo se l Eccellenza V. non mi rimettesse quello, che già le ho mandato e farlo incontrare et correggere secondo questo, nel che vi anderà per un poco
di tempo; ma ritrovandosi già in mano mia, ella è
sicura di haverlo. Quello, cui è questo Aristotile, si
ritrova havere molti de’ libri, che forono del Re Matthia, scritti a mano, così Greci come Latini, dal quale
poichè per prezzo non si possono havere, essendo questo d’avvantaggio ricco et potente, vedrò nondimeno
col tempo et con la destrezza cavarne a poco a poco
il meglio, et rendasi V Eccellenza E. sicura, che non
passerà molto, che ne sarò possessore, con comodo di
poterne fare trascrivere la miglior parte. Per ora le
mando una Cassa di altri libri Greci et Latini » secondo ella vedrà per Pinchiusa nota. Che essendo
quanto le posso dire, non vi essendo cosa di nuovo da
parte alcuna degna di lei, resto con ogni umiltà pregando la solita felicità a S. Eccellentissima Persona.
Di V. Eccellenza
Humiliss. et Obbedientiss. Serv.
Girolamo Faletti.
Nota dei Libri Greci a mano che sono nella Cassa.
Cathena super Trinitate.
Nilas super 'Eri ni tate.
Anastasius de Vita Christiana.
Eusebius in Cantica.
Andreas super Apocal. [p. 336modifica]336 LIBRO
gli esempi, la biblioteca Estense sarebbe forse
anche ne1 tempi addietro andata del pari colle
più grandi d1 Europa. Ma lo smembramento del
loro Stalo ^ accaduto dopo la morte il1 Alfonso ^
lor noi permise} anzi il trasporto «.iella biblioteca medesima ila Ferrara a Modena dovette
esserle di gravissimo danno} perciocché non
può a meno clic fra la confusione e il tumulto
di tai trasporli, la negligenza d’ alcuni e la mala
fede o l'ingordigia di altri non cagioni l’irreparabil perdita di molti e de1 più pregevoli libri.
Michaellis Pselli Epistola.
Michaellis Pu lii Dio pira.
Michaellis Glicae Historia.
Jo. Chrisostomi Homeliae.
Proclus in Alcib. Platonis.
Egli è verisimile che il possessore de’ libri del re Mattia
divenisse poi più pieghevole, e che vendesse al duca
que’ codici, i quali distinti ancora coll’arme di quel sovrano si trovano in questa ducal biblioteca, come altrove ho avvertito, benchè allora io credessi che più antico fosse l’acquisto di essi fatto da’duchi di Ferrara.
Nell i seconda, ch è de’ 2 di giugno del 1561, Mando,
gli scrive, in mano del Sig. Pigna un Volume del Ramondo, et uno de libri Greci accoppiati da quello del
Gadaldino, il quale non ha più, et volendo ch’io
facci trascrivere alcuni, che sono nella Libreria di S
Marco, si degnerà avvisarmelo, et similmente se vuole
le faccia scrivere altro più in materia di Ramo rido i
Il Globo del cardinale Bembo ho comperato per XV
scudi, che tanto vale il metallo, che v’è attorno, et
l ho dato a miniare con animo di farlo uscire il più
bello C habbi Principe al mondo, ne costerà in tutto
scudi 25. Che sarà il fine della presente dopo essermi
raccomandato nella sua liberalissima grazia.
Di vostra Eccellenza
Humiliss. Obbedientis. Serv.
Girolamo Paletti. [p. 337modifica]r
PRIMO 33^
XVI. Di queste tre biblioteche ragion voleva
che si parlasse più stesamente, pe’ tanti e si
bei monumenti che ce ne sono rimasti. In più
altre città al tempo medesimo per opera de
lor principi, e de’ lor magistrati si vider formarsi altre ragguardevoli biblioteche. Quella di
cui il cardinale Bessarione avea fatto dono alla
Repubblica veneta, che finora non avea avuta
sede stabile e certa, ebbela finalmente per decreto di quel senato Tanno 1515, con cui si
ordinò ch’ella fosse fabbricata presso la basilica
di S. Marco. Le guerre nelle quali trovossi involta quella Repubblica, furon probabilmente cagione che l esecuzion del decreto si differisse
fino al quando il celebre architetto Jacopo
Sanso vino innalzò a tal fine il magnifico edifizio
che ancor al presente si vede. La descrizione
di esso, e degli ornamenti che lo abbelliscono,
gli aumenti della biblioteca medesima, il giovamento che da’ codici di essa si è tratto per
molte edizioni, la serie de’ bibliotecarii, tra’
quali veggiamo il Sabellico, Andrea Navagero,
il Bembo, Benedetto Ramberti, Giovanni Dempstero, Bernardino Loredano e più altri dottissimi uomini, e molte altre notizie appartenenti
alla biblioteca medesima si posson vedere nella
Dissertazione della Libreria di S. Marco del
sig. d Jacopo Morelli, stampata in Venezia
nel 1774 in cui con molta esattezza ed erudizione non ordinaria ha rischiarato questo argomento. Emanuel Filiberto duca di Savoia,
come in ogni altra cosa, così in questa ancora
diede a conoscere la grandezza delle sue idee
e la nobiltà del suo animo. Girolamo Campeggio
TiRÀiioscm, Voi X. 22 [p. 338modifica]338 LIBRO
dedicando a lui nel 1572 le Rime di Faustino Tasso, e annoverando le ragioni per le
quali si fa coraggio ad offrirgliele, La seconda ^ dice, è per la grandissima affezione, che
V. A. dimostra alle Lettere et a ver tuo si, H
che ne dà buonissimo assaggio al mondo con
tre cose particolari, che si veggio no chiaramente. La prima è il vedere, con (quanta diligenza
cerchi di adornar non solo la sua magnifica
Città di Turino, ma tutto il suo Stato d uomini vertuosi in tutte le facoltà da diverse parti
del mondo. La seconda lo fa chiaro al mondo
di tal nome il felice principio, che ha dato a
far quella di gaissima impresa del teatro, nel
quale in poco spazio d hore si potrà vedere
tutto quello, che sarà stato fatto nel mondo
dopo, che egli ebbe principio, in tutte le cose,
e con tal magistero, che ne resteranno in istu- J
pore quelli, che verranno dopo di noi. La terza >
c r haver con tanta sua reputazione condotto ®
qui nella sua mag. Città quella stampa, che
fra le Italiane n ha poche, o nessuna, che gli
ponghi il piede avanti. Di questo magnifico edificio che era insieme biblioteca e galleria di
antichità, e di cose naturali, e di monumenti
delle belle arti, parla ancor brevemente il Pingonio (Augusta Taurin. p. 88, 131, 132). Il
Palladio, che fece pel quel sovrano il disegno
del palazzo ducal di Torino, è probabile che
disegnasse ancor quella gran fabbrica che dicevasi or teatro, ora specola, ora biblioteca (a).
{(i) L’architi*Ho di «jucslo grande edificio non fu Palladio, ma Lodovico dc: Mulini aixliiutro di quel duca* [p. 339modifica]huimo 33y
¡Sitino ce ne liu data più giusta idea di Aquilino Coppini, professor di eloquenza in Pavia,
in due sue lettere scritte da Torino nel 1609,
nella prima delle quali, A Castro, dice, (Epist.
l 1, p. 11, ed. mediol. 1613), per Pomoerium
Boream versus cxcurrit Xjrstus si ve Specula
centum et octoginta passus longa. Cum enim
me Carlus Ravana Ducius Bibliothecarius eo
duxisser, volui ambulando di me tiri omnium pulcherrimum locorum, in quo Astrologica istrumenta pretiosissima, et innumerabiles Codices
cum impressi tum manuscripti nuceis inclusi
scriniis custodiuntur. Haec auro micantia, amplis interjecra fenestris, per quas in urbem et
hortos, prataque Pado adjacenlia, ut que in
fcrtiles, qui trans)flumen suaviter attolluntur,
colles, prospectus patet Imagines Heroum et Heroinarum Sabaudae domus cui vivimi cxprcssae
coloribus, signa perantiqua militari/im doctornmque homitiiun auraùs iniposita basibus, astrorum omnium in suas sedes distributorum pictura, qua pretiosum lacunar fulget, spectantium
oculos mentesque insatiabili pascunt voluptate. Quicumque Taurinum veniunt ex finitimis
remotisque provinciis, magnum se beneficium
accipere arbitrantur, si videndi hujusce loci
facultatem impetrent. Nell’altra ancor più chiaramente descrive la regia magnificenza di quella
biblioteca (ib. p. 38): Verum hoc te fortasse
magis afficiet, si dixero, hodie me in Speculata
c pare anche eli" ci ne pubblicasse allora la descrizione,
come si è osservalo iu questo Giorual modenese (l. 3i),
p. 212). [p. 340modifica]34o LIBRO
et Bibliotfiecam Ducis esse ingrcssum; (pieni
forum. Deus Immortalisi quam magnificumi
quam regi um! quanta libro rum copia loca pie.
taluni, qua pie tura, quibus signi s decoratimi!
Quidquid excelluit inter doctos, quidquid inter
pictores et statuarios, id omne uno illo loco
videtur esse conclusum. Hoc Lyceum fornicata
contignatione subnixum admirabili prorsus est
structura, ut vcl ausi in affirmare, nullum ejusmodi aedi/ir inni in loto orbe cum hoc esse conferendum. Jn longitiuìinem e.vcurrit passus centum et nonaginta; tegunt pañetes scrinili nueea
in Iriplicem contigli a tionem divisa améis ilis fineta segmentis. In iis Codices tum manuscripti
tum impressi, et pretiosa matheniaticorum instrumcntorum s upelle jc. Sigua plurima vi deas
pcrantiqua e marmore et auratas bases, ec. Questi due passi ho io qui voluti riportar per disteso, perchè non sono stati, ch'io sappia,
avvertiti sinora da alcuno, e pochissimo di
questa biblioteca ci dicono gli scrittori; e innanzi al! Catalogo de' MSS. di quella reale università nulla si narra dell’ origine e de’ progressi di essa (a). Delia biblioteca d’Urbino non
abbinili che scarse memorie, benché il favore
(a) Primi del Ravenna era stato bibliotecario insieme
e matematico di Carlo Emanuele I Bartolommeo Cristiani, ch era anche stato scrittore e lettore di Emanuel
Filiberto, e fu poi anche precettore di Vittorio Amadeo I e de’ principi suoi fratelli. Di questo uomo assai
dotto pe’ suoi tempi negli studi della matematica e della
filosofia, e morto poco dopo il 1605, ci ha date esatte >
notizie il ch. sig. baron Vernazza di Freney stampate
in Torino nel 1783, ove ancora ci dà il catalogo delle
opere da lui composte. [p. 341modifica]PRIMO 34l
in cui furono a quella corte in ogni tempo le
scienze, ci renda probabile che que' duchi andasser sempre aumentandola di nuovi codici e
di pregevoli libri. L ultimo di essi, veggendo
la sua famiglia vicina ad estinguersi, fece dono
di quella famosa biblioteca alla stessa città
d'Urbino, assegnando ancora un’annua pensione
al mantenimento di un bibliotecario Cimarelli,
Stor, d Urb. p. 127). Intorno a’ Gonzaghi io
non ho veduto autor di que’ tempi che parli
di biblioteca ch’ essi avessero nella lor corte.
Ma non è probabile che principi sì liberali
verso le scienze ne fosser privi; e la proferta
fatta al cardinale Ercole di una ricca biblioteca,
che doveva essere trasportata fuori d’Italia,
come altrove si è dello, ei fu vedere che
quella corte era amante di tai tesori.
XV II. Tra’ privati medesimi furon moltissimi
in questo secolo quelli che raccolsero nelle lor
case copiose biblioteche, e alcuni di essi con
tal corredo e con tal pompa di libri, che sembrarono gareggiare co’ più potenti sovrani; avvenendo in ciò ancora ciò che in più altre cose
veggiam sovente accadere, cioè, che l’esempio
degli uni sia stimolo agli altri, e che i secondi
non sian paghi d’imitare soltanto, ma vogliano
ancora andare innanzi ai primi; e che abbiano
in ciò talvolta riguardo più all insaziabile avidità letteraria, e forse anche a una vana ambizione, che alle proprie lor forze. A me non è
possibile l andar qui ricercando di tutti coloro
che potrebbono a questo luogo essere rammentati. Di alcuni soli, come per saggio, farò menzione, lasciando in disparte, per non allungarmi [p. 342modifica]«
34 2 LIBRO
troppo oltre, più altri che forse ne sarebbon degni ugualmente. Di quella che avea raccolta il cardinale Domenico (Grimani, dottissimo
uomo e splendidissimo mecenate de’ dotti, parla
tra gli altri Erasmo in una lettera a lui scritta da
Londra nel 1515, in cui gli chiede scusa se
era partito da Roma, senza prender da lui congedo; e ne reca una ragione troppo onorevole a
quel gran cardinale, cioè il timore che Erasmo
avea di essere dall’eloquenza, dalla dottrina e
dalle maniere amabili del Grimani costretto a
trattenersi ivi suo malgrado più lungamente.
La biblioteca del cardinale da lui ivi è detta
ricchissima e copiosa di libri in tutte le lingue
(Erasm. KpisLL i, cp. 167). Essa era composta,
secondo il Ciaconio (Vit Pontif. et Cardin,
in Alex. VI), di ottomila volumi; ed egli morendo nel 1523 ne fece dono alla chiesa di
S. Antonio di Castello de’ Canonici regolari di
S. Salvadore in Venezia, ov ella fu trasportata
e conservata, e dal cardinale Marino Grimani
patriarca accresciuta di molte opere, come afferma il celebre Steuco nella dedica a lui fatta
de’ suoi Comenti sul Pentateuco: Hoc autem
opus tuae sapientiae dedicatur, qui non solum
nobis ad hanc rem praeclarum lumen ostendisti, sed et omni Religioni Christianae incredibilem utiUtatem attulisti, cum tu patruusque
tuus Dominicus G rimarius, et ipse Cardinalis
collectis ex miserabili naufragio pretiosissimis
libris, qui toto orbe terrarum dispersi, vel in
tenebris delitescebant, vel proximum eorum ab
igne vel alio casti impomicimi exit inni, magnaque eorum ex omnibus linguis facta caterva, [p. 343modifica]PRIMO « 343
praeclamm, et cui forte nulla secunda sit toto
orbe Christiano, Bibliothecam in aedibus S. Antonii Venetiis erexistis, in quibus libris sine
dubio Religionis nostrae decus et dignitas conservatur. Questa scelta e copiosa biblioteca ivi
si conservò fino al secolo XVII, in cui un improvviso incendio del tutto la consumò (Agostini, Scritt. ven. t 1, praef. p. 34)• Scelta parimente e non meno copiosa era la biblioteca
del cardinale Sadoleto, prima ancora che fosse
innalzato all onor della porpora. Aveala egli
lasciata in Roma nel partire che’ei fece per andarsene a Carpentras poco innanzi al crudel
sacco del 1527, che fu sì funesto alle lettere:
e per rarissima sorte essa non avea in quell’occasione sofferto alcun danno, benchè tutte le
altre cose del Sadoleto fosser divenute preda
dell ingordigia dei vincitori. Fu essa dunque
posta su di una nave che facea vela per Francia, e già era questa giunta a que lidi, quando
scopertasi tra’ passeggeri la pestilenza, non si
permise loro lo sbarco, e i libri del Sadoleto
furono insiem con essi trasportati in lontani
paesi, senza ch’ei ne risapesse più nuove: Ita,
dice egli, dopo aver raccontato il fatto, asportati sunt in alienas et ignotas terras, exceptisque
voluminibus paucis, quae deportavi /necton fine
projicisccns, mei reliqui illi tot labores, quos
impenderamus Graecis praesertim codicibus conquirendis, et undique colligendis, mei tanti sumptus, meae curae omnes iterum jam ad nihilum
reciderunt (Epist. J'amil t. 1, p. 195, ec. ed.
Rom.). Più celebre ancor fu quella del Cardinal [p. 344modifica]I
^44 * LIBRO
Pietro Bembo, di cui parla il Beccadelli nella
Vita di esso, accennandone fra le altre cose i
due antichissimi codici di V irgilio e ili Terenzio, che or sono nella Vaticana, alcuni fogli
originali di Francesco Petrarca, i libri di Poesie provenzali e più altri in ogni lingua, sì
stampati che manoscritti, da lui con grandissima spesa raccolti (V. Raccolta di'gli S/or.
Ven. /. 2, pref. p. 40). Molti altri codici di questa insigne biblioteca rammenta Apostolo Zeno
(In notis ad Vit. Bembi, per Jo. Casam, ib.
p. 15); il quale aggiugne che molti di essi
passarono poscia nella biblioteca d' Urbino, e
di là nella Vaticana. Pier Vettori accenna quella
del cardinale Niccolò Ridolfi, e la dice ricchissima di antichi libri, da lui con grandi spese
e con sommo ardore raccolti (Epist p. 26 >.
Ridolfo Pio, nipote del celebre Alberto signor
di Carpi, fatto cardinale da Paolo III nel i53(>,
onoralo di ragguardevoli cariche, e per le sue
virtù e pel suo saper celebrato dagli scrittori
di que tempi, e da molti ancora creduto degno
di essere sollevato alla cattedra di S. Pietro
(V. Epist. Cl. Viror. ed. ven. 1568, p. 137),
e morto nel 1564, ebbe egli ancora una assai
copiosa biblioteca, di cui fanno menzione e il
cardinale Sadoleto in una sua lettera del 1535
(Epist. Famil. t. 2, p. 280 ed. Rom.), e il
suddetto Vettori (l. c, p. 39), che da essa
ebbe un codice di alcune opere di Clemente
Alessandrino. In essa era fra gli altri il famoso
codice di Virgilio emendato nel quinto secolo
dal console Turcio Bufo Aproniano, che or [p. 345modifica]PRIMO 345
conservasi nella Laurenziana (a). Lo stesso Alberto zio di Ridolio, di cui altrove diremo più
a lungo, avea raccolta gran copia di libri per
valersene ne’ suoi studi, ne’ quali occupava
tutto quel tempo che da’ pubblici affari ri manca gli libero. La Storia di questa biblioteca ci
è stata data di fresco dal dottissimo Cardinal
Stefano Rorgia (Anecd. rom. t. 1, p. (»5). Alberto ne fece dono ad Agostino Steuco canonico regolare di S. Salvatore, e Fabio di lui
fratello donolla poi in gran parte al Cardinal
Marcello Cervini. Questi amantissimo egli ancora de’ libri, avendola di molto accresciuta,
lasciolla per testamento al Cardinal Guglielmo
Sirleto; e poiché il Sirleto fu morto, compendia
pel prezzo di quattordicimila scudi il Cardinal
Ascanio Colonna. Quindi, dopo la morte di
esso, ne fece acquisto pel prezzo di tredicimila scudi il duca Giannangelo d’Allaemps.
(a) La storia delle vicende del codice Virgiliano della
Laurenziana è descritta in una lettera dal cardinale Innocenzo del Monte al duca Cosimo, a cui lo cedette,
pubblicata dal sig. Galluzzi (Stor. del Gran Ducato di
Tosc. l.2. c. 10). Fu prima del cardinale Antonio dal
Monte, nelle cui mani non sappiamo come venisse, poscia del pontef Giulio III, e indi del suddetto Cardinal Ridolfo Pio; e quando il cardinale Innocenzo fu
chiuso prigione in Castel S. Angelo, il cardinale Ridolfo
non curossi di renderglielo; e poichè il cardinale Ridolfo
fu morto, il codice fu trasportato alla Vaticana. San
l’io V ordinò poscia, che fosse renduto al cardinale Innocenzo, che nel 1568, richiestone dal duca Cosimo,
gliel cedette. Veggasi anche il Catalogo de: Codici latini della Laurenziana (t. 2, p. r»8i, ee.). l’er ciò che
appartiene alla biblioteca di Alberto Pio, ne ho parlato più a lungo nella Biblioteca modenese (t. \, fi. i(>2b [p. 346modifica]«
XVIII.
Ju Ferrara.
340 LIBRO
Passò poscia alle mani del cardinale Pietro Ottobuoni, che fu poi Alessandro VIII, e che
lasciolla alla sua famiglia; finchè Benedetto XIV
essendo ella stata frattanto accresciuta e di
molti libri comperati da diversi posseditori e
dei’ codici manoscritti della reina Cristina di
Svezia, la uni alla Vaticana. Così questa biblioteca ebbe la sorte d aver successivamente
padroni che, conoscendone il pregio, la conservarono e l aumentarono con diligenza; il
che se di tutte le altre fosse avvenuto, noi
non avremmo a dolerci, come tante volte ci
convien fare, della trascuratezza dei’ nostri maggiori.
XVIIl. L’esempio degli Estensi in Ferrara
eccitò molti tra’ cittadini privati a raccogliere
a imitazion loro una ragguardevole copia di
libri. E tra essi deesi il primo luogo a Celio
Calcagnini, singolarmente per l’uso a cui destinolli'!. Egli nel suo testamento, parte del quale
si riferisce dal Borsetti (Hist. Gymn. ferr. pars 1,
p. 198), fatto a’ 4 di maggio dell’an 1539,
lasciò tutti i suoi libri a’ Religiosi dell’Ordine
de" Predicatori in Ferrara, e insiem con essi
diversi stromenti di matematica, a condizione
che si dovesser riporre nella loro biblioteca e
servire a pubblico uso, e specialmente della
sua nobil famiglia; e ordinò innoltre che ai’ religiosi medesimi si pagassero 50 scudi d’oro
in oro pei’ banchi e per gli altri arredi necessarii alla disposizione dei’ libri. Morì il Calcagnini non già nell’an 1546, come affermasi
dal Borsetti, ma nel 1541, come prova il Barufaldi (Guarin. Suppl. ad Hist. fcrr. Gjrmn. [p. 347modifica]PRIMO ¿47
pars 2, p. 36)', e a’ 29 di maggio dell anno
stesso, fatto l’ inventario de’ libri, questi furono consegnati a que’ Religiosi. Il Baruffaldi
accenna (ib. pars 1, p. 36) questo inventario
fatto da Giangirolamo Monferrato alunno del
Calcagnini e ferrarese, dice che su ne conservava l’originale presso Alberto della Penna ferrarese, e che passò poscia nella biblioteca del
cardinale Imperiali; e aggiugne, che da esso
raccogliesi che i codici mss del Calcagnini erano 3584, numero, a vero dire, assai
grande, e forse superiore in que’ tempi alle
forze d’un uom privato. E veramente un altro
inventario, che tuttora conservasi nell’archivio
del sig. marchese Francesco Calcagni ni, scritto
all’occasione della mentovata consegna, ci mostra che i libri di Celio, parte manoscritti,
parte stampati, erano in tutto 1 249; clic soli
1187 furono dati a’ Domenicani, perciocchè 43
rimasero in casa Calcagnini, e gli altri 19 non
si ritrovarono. Fu indi fabbricata la bella biblioteca che tuttor vedesi in quel convento,
benchè moltissimi dei’ libri di Celio più non
si trovino *, e alla fabbrica di essa concorse la
magnificenza di molti Nobili ferraresi, le cui
armi gentilizie si veggono nelle colonne che
sostengono quel vasto edifizio. Sulla porta di
esso fu posto il mausoleo del Calcagnini, ove
ancora se ne conservano le ossa. Le due iscrizioni che ne adornano l’ esteriore e l’interior
porta, si riportano dal Borsetti. Eravi innoltre
un busto di marmo rappresentante lo stesso
Celio, che or più non si vede, e vi rimane
sol l iscrizione intorno alla niccliia: COGLIYrS [p. 348modifica]348 LIBRO
CALCAGNINVS AP. S. PROTON. I V. DOC.
ET CANON. FERRARI KN. Di tutte le quali notizie io son debitore al ch. sig. co Gneo
Ottavio Boari che gentilmente me l’ha trasmesse. Il Lomejero (De Biblioth. c. 10), e dietro lui tutti quasi gli Oltramontani che trattano
delle biblioteche, e gli Enciclopedisti ancora,
affermano che questa biblioteca è ancora ornata di statue, di medaglie, di bronzi e di altre antichità di tal sorta raccolte da Pirro Logorio. Ma tali ornamenti nè sono ivi, nè ivi
mai sono stati; nè io so onde abbia avuto
origine un tal errore. A questa pubblica biblioteca deesi aggiugnere quella de’ Carmelitani
nella stessa città di Ferrara, cominciata già,
come nel precedente tomo si è detto, nel secolo xv, e poscia in questo accresciuta di
molto. e fabbricata di nuovo dal famoso teologo di quell’Ordine Giammaria Verrati. Gran
copia di libri ivi parimente raccolse Bartolommeo Ferrini, in lode di cui abbiam l' orazion
funebre di Bartolommeo Ricci, che assai n
esalta gli studi singolarmente di poesia italiana,
e dice innoltre, ch’egli, avuta per testamento
la biblioteca di Bonaventura Pistofìlo stato già
suo maestro, aveala poi con grandi spese accresciuta, raccogliendo libri da ogni parte colla
direzione di Gregorio Giraldi, e facendogli ancor legare con molta eleganza: In Biblioteca
autem sibi costituenda, Dii boni, quid non impendit? cui unquam sumptui pepercit, cum liber aliquis nobilis editus esseti! Omnium librariorum indices adibat, quos bono nomine in
illis libros offendissct, ad Gregorium Gjraldum [p. 349modifica]PRIMO 34i)
Apolli tieni suum Delphicum referebat; ejus
consilio postea aut eos emebat, aut rejiciebat,
(¡nani Bibliothecam ca diligenti a (ut elegantissimam librorum conglutinationem omittam) eo
studio, eo nitore custodiebat, qua se ipsum,
qua os suum faciebat (Ricci Op. t. 1,
p. 73, ec.) C).
XIX. Di più altre biblioteche troviam menzione negli scrittori di que’tempi, molte delle
(quali si son conservate fino a dì nostri. La Riccardiana in Firenze, il Catalogo dei’ cui MSS ci ha dato il celebre dott Lami, fu
raccolta verso la fine del secolo da Riccardo
Romolo Ricciardi, e accresciuta poscia da’ discendenti, come si può vedere nella prefazione
premessa al suddetto Catalogo. Del fondatore
di questa biblioteca, che fu insieme grande
(*) Benché il passo del Navngero, ohe produrremo
nel capo seguente, ci mostri clic fin dalla fine del secolo precedente la biblioteca dell’ università di Paria
era stata trasportata in Francia, par'nondimeno che in
qualche modo essa ancora vi sussistesse verso il i5ii;
perciocché Cesare Cesariano ne’ suoi Conienti su Vitnivio in quell’ anno stampali, parlando de* precetti che dà
quello scrittore per fabbricare la biblioteca, dice: La
Biblioteca, cioè la Libreria, corno è in Vapìa consti,
taira da Galeazio L'icccomilc Duca Mediolanensc celeberrimo (p. 57); e poco appresso insicin con essa
indica più altre biblioteche annesse alle più celebri università d'Italia: Aduncha le provincie si dovesseno
adottare. (cioè si dovrebbono dotare) tic grandissima
Bibliotheca, si corno in Italia sono Papi a, Taurino,
Bononia, Ferrara, Padova, Pixa, Perugia, Roma et
¡Scapoli, et altri loci, dove si legeno la pubblica lecitone di varie et universale scientre, siccome in la nostra Metropoli Mcdiolanense. [p. 350modifica]35o LIBRO
raccoglitore di antichità d’ogni geuere, splendido protettore de" dotti, e versato egli ancora
ne'buoni studi, ha scritta a lungo la Vita il
medesimo Lami (Memorabil. Italor. t. 2,pars 2).
Quella che aveano i Gesuiti pel lor collegio romano. divenne presto una delle più rinomate,
per le copiose raccolte che vi si unirono, di
libri sì stampati che manoscritti di Marcantonio Murero, del P. Francesco Torriano, di
Giambattista Coccini decano degli auditori di
Ruota, dei padri Giovanni Lorino, Benedetto
Giustiniani, Jacopo Lainez, Pietro Passino, de'
cardinali Bellarmino e Toledo, e poscia ancor
di più altri (V. Lazzeri, pref. ad voi. 1 Misceli.
Coll, rom p. 14). La biblioteca degli Agostiniani nella stessa città, detta Angelica dal p Angiolo Rocca che ne fu il fondatore, ebbe
origine al principio del secolo susseguente, e
a’ que’ tempi riserbiamo il parlare di essa e del
dottissimo fondatore della medesima. Quella de’
Canonici regolari di S. Salvadore in Bologna,
che e pel numero e per le rarità e la sceltezza
de’ codici e per la bellezza ancora dell’edifizio
è una delle più ragguardevoli, appartiene al
principio del secolo di cui scriviamo, quando
il P. Pellegrino Fabbri priore più volte di quella
canonica, e poscia generale dell'Ordine, raccolse gran copia di eccellenti libri d’ogni maniera, e fece innalzare la magnifica biblioteca
in cui essi si custodiscono. Di essa parla distesamente il dottissimo P. abate. Trombelli (Memorie istor. di S. Maria di Reno, ec., c. od\)t
il quale riferisce e le sinistre vicende ch essa
ha talvolta sofferte, e gli aumenti clic lian [p. 351modifica]PRIMO 351
compensati tai danni; ma per effetto della sua
usata modestia, non dice che a lui stesso dee
moltissimo la suddetta biblioteca e per gli ornamenti ad essa aggiunti, e pe’ molti codici ed
altri pregevoli libri di cui Tha arricchita, e pel
nome che col suo sapere, colle sue opere e
colle sue singolari virtù ha conciliato ad essa,
a quella sua canonica e a tutta la sua Religione.
Di varie biblioteche che sono in Padova, e
singolarmente di quella de’ canonici della cattedrale, formata sin dal secolo precedente dal
cardinale Pietro Foscari vescovo di Padova, di
quella di s Giustina e di più altre parla a
lungo il Tommasini nella sua opera intitolata
Bibliothecae Patavinae MSS. In Napoli, fra
molte celebri biblioteche, è degna di particolar
ricordanza quella di S. Giovanni di Carbonara,
a cui fece dono di tutti i suoi libri il cardinale
Girolamo Seripando, e insiem con essi di que’
di Antonio suo fratello, e di que’ di Giano
Parrasio, che al detto Antonio gli avea lasciati
per testamento (Montefauc. Diar. Ital. p. 3 08).
XX. Di moltissimi altri privati potrei qui far
menzione, che in raccogliere libri superaron la
stessa lor condizione. Ma a porre qualche confine
a sì vasto argomento, basti il dire di due, de’
quali fu in questo genere più celebre il nome, e
che all avidità di far acquisto di libri congiunsero un raro discernimento a conoscerne il valore. Io parlo di Gianvincenzo Pinelli e di Fulvio
Orsini che al tempo medesimo, il primo in
Padova, il secondo in Roma, passarono ne’
dolci studi tutta la loro vita. Del primo ha
scritta diffusamente la Vita Paolo Gualdo nobile [p. 352modifica]35a LIBRO
vicentino ed arciprete della cattedrale di Padova,
amicissimo del Pinelli, con cui era lungo tempo
vissuto, ed essa si ha tra quelle degli Uomini
illustri pubblicate dal Batesio. E tra le Lettere
degli Uomini illustri, stampate in Venezia nell'an 1744 ne abbiamo alcune di Giuliano
Medici e di Girolamo Mercuriale (p). 424) 468),
nelle quali somministrano al Gualdo diverse notizie per compilar questa Vita. Egli fu figlio di
Cosimo Pinelli e di Vincenza Ravaschiera, amendue famiglie nobili genovesi; ma nacque in Napoli nel 1535. Ivi dato ad istruir negli studi
a Gian Paolo Vernaglione, con tal ardore ad
essi si volse, e sì felicemente li coltivò, che
non v’ ebbe sorta alcuna di letteratura e di
scienza in cui non fosse dottissimo. Le belle
lettere, la filosofia, la matematica, la medicina,
la musica, la giurisprudenza, le lingue ebraica,
greca, latina, francese, spagnuola. italiana furon gli studi de’ quali più si compiacque, e ne’
quali si rendette più illustre. Ed ei non avea
ancora che 23 anni di età, quando Bartolommeo Maranta celebre medico gli dedicò
nel 1558 il suo Metodo de’ semplici medicamenti. La lettera con cui l’indirizza al Pinelli,
è piena di elogi di questo rarissimo giovane,
di cui loda altamente e lo studio della medicina e delle altre scienze, e il bell’orto botanico ch’erasi formato in casa, facendo venire
da’ più lontani paesi le erbe più singolari. Da
Napoli passò poscia a Padova verso la fine dell’anno stesso, e abbiamo una lettera a lui scritta
dal Seripando, allora arcivescovo di Salerno e
poi cardinale, nella quale si rallegra con lui cbe [p. 353modifica]primo 353
abbia fissato il suo soggiorno in quella città.
ove la compagnia di dottissimi uomini che ivi
sono, potrà essergli di gran vantaggio (Lettere
di diversi, Ven. 1564, l. 3, p. 63). Nè andaron deluse cotali speranze. Nel 1561, quando
il Pinelli non contava che 26 anni di età,
il Ruscelli scrivendo a Filippo II, ed esponendogli il bisogno di destinare chi scrivesse la
Storia di Carlo V con quella dignità e con quell'eleganza che a sì grande soggetto si conveniva, Fra i due più opportuni a tal uopo, propose
il l’incili, e ne fece questo magnifico elogio:
Dopo lunghissima, considerazione, ch io ho fatta
sopra tal bisogno, mi sono finalmente fermato
coi pensiero in Giovan Vincenzo Pinelli il quale
per padre è della Pinella, e per madre della Bava schiera, case onoratissime in Genova (ove io
soglio dire, che la natura non produce cosa
se non perfetta) et onoratissime parimenti in
Napoli.... Questo gentiluomo si è poi fin dalla
prima sua fanciulezza venuto nudrendo negli
studi con tanta felicità, che quando non dovea
passar foi'sc i diciasette anni, erano per avventura in Italia pochissimi di età matura, che
l avanzassero, e molto pochi, che l agguagliassero nella cognizione delle lingue megliori e
delle scienze. Di modo che, per tacer io di
molte altre cose in questo proposito, Bartolommeo Maranta de primi Medici e Filosofi di
Europa... si tenne fin d allora di accrescere
grandissimo splendore ad un bellissimo libro di
esso Maranta in lingua Latina con dedicarlo)
al già detto Gentiluomo, così giovanissimo di
anni, come già vecchio pieno di scienze, di
Tiraboschi, Voi X. a3 [p. 354modifica]354 LlIiKO
giudizio, c ili nome illustre. Il (/(tal giovane lui
voluto poi tuttavia seguir gli studi con tanta
diligenza e sollecitudine, che non se ne è forse
veduta in altri altra tale da già molt' anni. E
tenendolo il padre nello Studio di Padova molto
comodo di denari, egli tutto quello, che molti
altri nobili giovani e ricchi sogliono le più volte
spendere in pompe, sollazzi, e spese più vane
che utili e necessarie, ha speso di continuo in
accomodar quanti rari uomini son venuti capo
/arido in quella Città non in tutto comodi dei
lor bisogni, ed in onorare ogni sorta di virtuosi
e sopra tutto in tener una Libreria degna di'ogni gran Principe e Repubblica, non che di.
qualsivoglia Gentiluomo particolare. Tal che
senza alcun dubbio non si vede in lui alcuna
cosa giovanile se non Iaspetto, Fetà, e il vigore, e s ha acquistato nome in tutte queste
Città, ed in tutta l'Italia di essere stato creato
dalla natura per un raro esempio di quasi tutto
quello, ch ella sa, e ch'ella può; poichè egli
in età così fresca si vede arrivato a tanto colmo
di Scienze, e a così notabilmente virtuosa vita,
e in tanta rara opinione e speranza di tutti coloro, che lo conoscono per presenza o per fama \
pubblica (Lettere di Principi, t. 1, p. 227, ed.
ven 1564. Somiglianti, benchè più brevi, sono
gli elogi che di lui fa Paolo Manuzio in una lel• era a lui medesimo scritta (Famil l. 4, ep. 5),
e in una altra ad Ottavio Sammarco, nella quale
con lui si rallegra che goda in Padova della
conversazion del l incili, di cui esalta con somme
lodi la probità, la cortesia, l' erudizione, lo studio e la modestia, per la quale, benchè degno, [p. 355modifica]PRIMO 355
de' piti grandi onori, da tutti nondimeno si
tenea lontano, pago della sola virtù (ib. l. 7,
ep. 16). Benchè fosse di complessione assai
gracile, e travagliato da grandi incomodi, non
mai cessò nondimeno d occuparsi ne diletti
suoi studi, i quali anzi erano l unico suo conforto, quando i dolori più crudelmente lo travagliavano. La casa del Pinelli era quasi una
continua accademia ove si univano gli eruditi,
e ove nel conversare con lui trovavano e indirizzo e stimolo a’ loro studi. Nè ciò solo, ma
nel Pinelli essi aveane un tenero padre e uno
splendido benefattore, sempre prontissimo a
sovvenirli ne’ loro bisogni, amico di tutti e lontanissimo da quelle gare che son sì frequenti
fra i dotti. Così visse in Padova tutto il rimanente de’giorni suoi il Pinelli, caro a quei’cittadini e a tutta la Repubblica veneta, e caro
non meno a tutti i più eruditi italiani e stranieri che ne ammiravano il vasto sapere e la
singolare magnificenza a pro delle lettere, paragonato perciò giustamente dallo storico de
Thou (Hist l. 126, n. 17) a Pomponio Attico,
la cui vita tutta era stata impiegata nel dolce,
ma glorioso ozio delle beffarti. Le molte opere
a lui dedicate dagli scrittori di que tempi, che
sembrano gareggiare tra loro nell'esaltare con
somme lodi il Pinelli, saranno un’eterna testimonianza dell' altissima stima di cui presso tutti
ei godeva. In Padova parimente, e non già in
Napoli, come ha scritto il Bosca (De orig. et
statu Bibl. Ambr. I. 1), egli finì i suoi giorni
nel 1601 con molti segni di quella singolare
pietà ch egli avea professata costantemente. [p. 356modifica]35G li tino
Uomo eruditissimo, com'egli era, avrebbe potuto darci più opere che ne rendessero eterno
il nome. Ma egli fu più sollecito di giovare ad
altri; che di cercar gloria a se stesso, e di
lui non abbiamo alle stampe che alcune lettere sparse in diverse raccolte, e una di esse
aggiunta alla Vita di Ulisse Aldrovandi, scritta
dal ch. sig. co Giovanni Fantuzzi. Tutto il
suo studio fu rivolto a raccogliere con finissimo
discernimento libri manoscritti e stampati, a
confrontarli tra loro, ad aggiugnervi al margine riflessioni e note opportune e se ne può
vedere un saggio toccante la Cronaca veneta
di Andrea Dandolo presso il ch. Foscarini Letterat. venez. p. 131). Nè solo di libri, ma di
stromenti matematici ed astronomici ancora, di
fossili, di metalli, di carte geografiche, di disegni e d’ogni altra cosa spettante ad erudizione
ei fu diligentissimo raccoglitore. Il Gualdo riferisce che alcuni credevano ch’egli stesse distendendo un Comento su qualche opera d Aristotele, e una Storia e descrizion generale delle
principali provincie, e delle primarie città. Ma
aggiugne che, benchè ei fosse amicissimo del
Pinelli, non potè mai sapere precisamente che
cosa egli scrivesse. Poichè il Pinelli fu morto,
la bellissima biblioteca da lui raccolta, dopo
vari contrasti, fu posta in mare divisa in tre
navi per essere trasportata a Napoli, ov eran
gli eredi. Una di esse cadde in mano a corsari, che considerando que’ libri come inutile
ingombro, ne gittarono parte in mare, il rimanente fu disperso sulla spiaggia di Fermo, che
tutta si vide ingombra di carte qua e là sparse j [p. 357modifica]PRIMO 357
e molte di esse furono da pescatori impiegate o a chiudere i forami delle lor barche, o
invece di vetri alle loro finestre; finchè il vescovo di Fermo raccoltine, come potè, gli
avanzi, questi furon mandati a Napoli, ove
pur giunse il restante di quella biblioteca, benchè già in gran parte dissipata e dispersa.
Essa fu poi comperata dal cardinale Federico
Borromeo, il quale per ottenere che gli fosse
venduta, e per vincerla sopra i molti avidi
compratori che si facevan innanzi, pagò fino
a 3400 scudi d’oro (Bosco., 1. cit); la qual
somma sborsata per una piccola parte, può
farci conoscere qual fosse il valore di tutta
quella biblioteca.
XXI. Miglior fu il destino di quella di Fulvio
Orsini romano, di cui abbiamo l’elogio nella
Pinacoteca dell’Eritreo (pars 1, p. 9, ed.
Lips. 1692), e la Vita più lungamente scritta
da Giuseppe Castiglione d’Ancona, stampata
in Roma nel 1657. Ei fu per nascita illegittimo,
e benchè dapprima allevato splendidamente.
insorte poscia gravi discordie tra’ genitori, sarebbe forse rimasto privo di educazione, se
Delfino Gentile romano canonico della basilica
Lateranense, scorto il felice talento di quel fanciullo, non avesse preso a istruirlo nelle lingue
greca e latina, e nello studio delle antichità,
delle quali era egli assai intendente. Cresciuto
negli anni, entrò successivamente al servigio
dei’ cardinali Ranuccio, Alessandro e Odoardo
Farnesi, e la lor protezione gli diede agio e
di raccogliere gran copia di libri, e singola!
mente di codici antichi, e di valersene a suo [p. 358modifica]358 LIBRO
non meno clic a comune vantaggio. Appena vi
ha antico scrittor latino pubblicato a quei’ tempi, a cui non si veggano aggiunte note di Fulvio, principalmente in ciò che appartiene alle
varie lezioni di diversi codici. E moltissimi ne
avea egli nella sua biblioteca, i quali da lui
rimiravansi non altrimente che gran tesori, comunque fosser talvolta guasti per molti errori.
Avea egli col lungo uso e col continuo studio
acquistata una singolare perizia nel conoscerne
l'antichità e il valore, e di questa sua scienza
era più geloso forse, che non convenga ad uom
dotto -, perciocché racconta di se medesimo il
cardinale Federigo Borromeo (VeJiigicrula ostcnt.
l. 1, c. 1), ch essendo un dì coll Orsini, il
pregò a volergli insegnare le leggi con cui potesse discernere i codici antichi da’ moderni,
e ch egli, chiuso il libro che avea allor tra le
mani, rivolse altrove il discorso, e il cardinale
solea dire perciò, che trattandosi di libri antichi, non conveniva fidarsi di Fulvio, che
troppo n era avido per additarne ad altri-il
pregio. La fama sparsa del sapere di Fulvio
fece che nel ei fosse invitato con ampissime offerte dal re di Polonia (Mureti Epist.
l. 1, ep. 66). Ma egli, amante di un erudito
ritiro, non si lasciò lusingare da un invito che
ne avrebbe interrotti gli studi. Continuò dunque
a vivere in Roma fino all'an 1600, in cui
in età di 70 anni finì di vivere j e se ne
può vedere Tiscrizion sepolcrale presso il P. Galletti (Inscript. rom. t. 1, p. 4G))? e ne’ ln0_
munenti aggiunti alla V'ita di Angelo Colocci,
eruditamente descritta dal sig. ab. Gianfrancesco [p. 359modifica]PRIMO 35l)
Lancellolli (p. 112), e insiem colle Opere del
medesimo stampati in Jesi nel 1772, ove si
avverte che per errore dell incisore del marmo
è segnato XI ìli Kal. Junii, mentre dovea
scriversi XV, che fu veramente il dì della morte. Dell Orsini abbiamo alle stampe un trattato
De Familiis Romanorum. l’Appendice al trattato De Triclinio del Ciaconio; opere amendue
rl)6 ben dimostrano e il lungo studio e la vasta erudizion dell" autore. Egli innoltre, avendo
oltre a libri raccolta gran copia di statue e di
busti, e d’iscrizioni antiche di uomini illustri,
e ornatane la sua biblioteca, le fece a comun
vantaggio incidere, e aggiuntivi gli elogi a
dichiarazione di esse, le pubblicò in Roma
nel 1 ùjo, col titolo: Imagines et elogia virorum illustrium et eruditorum ex antiquis lapidibus et numismatibus expressa cum annotationibus Fulviis Ursini. Una lettera italiana
per ultimo e alcune latine ne sono state pubblicate nel Giornale de letterati di’Italia (t. 2(».
p. 328), e negli Aneddoti romani (t. 3,p. 417)•
Le fatiche da lui sostenute nel raccogliere libri
non andarono a vuoto; perciocchè egli, saggiamente pensando, ne fece dono nel suo testamento alla Vaticana, in cui ancor si conservano, ed hanno perciò giovato più volte ad
altri eruditi scrittori, ed è stato da tutti esaltato con somme lodi. Vaglia per molti altri l'elogio a lui fatto dal sopraccitato de Thou (Hist.
l. 121, n. 15): Fulvius Ursinus patria Romariu.s vir Grucce Latineque dodissimus, ac puri ori s antìquitatis indagator diligenti ssi mus. qui
compiimi vetenim utnusque lingua e Scriptorwn [p. 360modifica]XXII
Munifirrn
>.i de’ Mrdiri nel ta. •
ro^lirtr li
aulirliiù.
3Go liduo
monumenta aut primus edidit, aut edita dedit
meliora, areta cu/n Oc Inviano Pantagatho, (in
bri eie Faemo, Latino Latini o, Paulo Manu-j
Èro studioru/n consensione conjimetris, oc praei
cipue curri Antonio Angustino, qnanuliu Ramni
fi Ut, cu/us, postfjuam in Hispaniam dìscessif,
pi uri mas lucubrationes sua industria illustratis
p ub li cavi t: in farnitia Alexantlri Farnesii Cardinalis eximii Litteratorum fautoris din vij'it,
et septuagenarius ineunte Majo obiit, ad D. J«anni s Lateranensis, cujus Sacri Collegi era: sodali s, sepultus.
XXII. Nel tempo medesimo che in ogni parte
d’Italia si andavano raccogliendo codici e libri,
e si formavano tali biblioteche che anche al presente risvegliano l'ammirazione e l'invidia degli
stranieri, col lusso e coll’ardore medesimo si
andava in traccia di medaglie, di statue, di cammei, d’iscrizioni e di altri cotali venerabili
avanzi dell’ antichità più rimota. l)i ciò ancora
dobbiamo a questo luogo trattare, riserbandoci
a fare altrove menzione di quelli che presero
scrivendo o ad illustrare le antichità stesse, o
a prescrivere leggi per accertare il valore e
per discerner le merci vere dalle supposte. E
qui parimente deesi prima d ogni altro ragionare de’ principi che saggiamente crederono i
lor tesori ben impiegati nel far tali acquisti. Tra
essi non v’ebbe chi andasse più oltre nella
magnificenza, che i gran duchi di Toscana.
Cosimo, Pietro e Lorenzo nel secolo precedente
ne avean data loro l’esempio; e abbiam veduto
a suo luogo, quanto gran copia di antichi monumenti d’ ogni maniera essi avesser raccolta. [p. 361modifica]PRIMO 361
Sfatte luttuose vicende che al fin del secolo xv
sofferse quella famiglia, come de’ libri, così
gran parte ancora delle antichità andò dispersa,
Insiem co’ libri però si ricuperarono da Leon X
ancor molti cammei ed altre pietre di gran
valore, di cui Pietro e Lorenzo gli aveano riccamente ornati, come fan fede i libri medesimi
che tuttor si conservano nella biblioteca Laurenziana. E convien dire che anche altri cotai
monumenti o ritornassero all’antica lor sede, o
fosser di nuovo acquistati; perchè dopo la
morte del duca Alessandro molti di essi furon
di nuovo dispersi e portati altrove, come colla
testimonianza del Varchi pruova il Bianchini
(Ragionam, de Gran Duchi, p. 19, ec.). A
riparare sì gravi danni era destinalo il gru 11
duca Cosimo I, il quale fece una ricchissima
collezione di antichità, e profuse in essa immensi tesori, e fece innalzare la real galleria
per custodirle. Il suddetto scrittore ci avverte
che fra' manoscritti della libreria strozziana in
Firenze si conservano due lunghi carteggi, uno
fra Jacopo Duni, segretario e auditore di Cosimo, e Stefano Alli che in Roma era incaricato di raccogliere antichità pel gran duca,
l altro tra ’l segretario Concino e l Cardinal di
Montepulciano, ne’ quali continuamente si tratta
della compera di statue, di marmi, di medaglie, di monete antiche, e delle somme grandissime di denaro che perciò spedivansi a
Roma. Ed altre somiglianti memorie della magnificenza in ciò usata dal duca Cosimo si conservano nella real galleria, come mi ha avvertito
il ch. sig. Giuseppe Pinelli, che ora ne è direttore, [p. 362modifica]36 u 1 LIBRO
e da cui e insieme dal sig. ab Luigi Lanzi
speriamo di aver presto la Storia e la descri»
zione di questo sì ricco museo. Nè solo go.
deva Cosimo di radunare cotai tesori, ma compiacevasi egli stesso di adoperarsi colle proprie
mani nel ripulirli. Questa sì pregevol raccolta
di monumenti antichi d’ogni maniera fu lasciata da Cosimo al suo successore e figliuolo
Francesco I, il quale non pago di accrescerne
sempre più il numero, come raccogliesi da molte
lettere di Ercole Basso (Lettere pittor. t 3), accrebbene ancora le stanze, facendo fabbricar
quella che dicesi la Tribuna, ove le più belle
rarità in tela ed in marmo si veggon raccolte
per modo, che questa real galleria è stata sempre ed è tuttora l’oggetto della maraviglia de
viaggiatori eruditi, e vi si vede in opportuno
e vaghissimo ordin disposto quanto tutte le
belle arti hanno in ogni tempo e presso ogni
nazione prodotto di più ammirabile e di più
raro (Bianchini, l. c. p. \o) (a), Ferdinando I
non fu in questo genere di lode punto inferiore
nè al fratello nè al padre. Mentre era cardinale
in Roma, fece egli ancora una magnifica collezione di antichità d’ ogni sorta, e fece fra le
altre cose l acquisto della celebre Venere detta
poi Medicea, che basta essa sola a conciliar
(a) Della sollecitudine e della magnificenza del duca
Cosimo I nel raccogliere antichità d ogni genere, alcuni
bei documenti si possnn vedere nella Storia del Gran
Ducato di Toscana ultimamente pubblicata d;d sig Gallimi (l. 2, c. io} l. 3, r. io). Le opere del sig. Peli
e del sig. abate l.anzi qui accennate han poscia veduta
la luce. [p. 363modifica]PRIMO 363
nome immollale c all1 antico artefice che la formò, e al magnanimo principe che la ritolse alfobblio. Molli de' monumenti da sè raccolti trasportò seco Ferdinando a Firenze, quando salì
sul trono del defunto fratello, e di essi e di
più altri che continuò a raccogliere, arricchì vie
maggiormente quella gran galleria (ivi,p. 54,63).
La Venere però non fu colà trasportata che sotto
il gran duca Cosimo III, e solo dal regnante
Pietro Leopoldo si è fatto condurre a Firenze
il famoso gruppo della Niobe, che fu esso pure
acquisto del cardinale Ferdinando. Di tutte le
quali cose, da me solo per brevità accennate,
si posson vedere più copiose notizie e presso
il detto scrittore e nelle prefazioni ai diversi
tomi del Museo fiorentino, e più esatte ancora le avremo nella Storia da me poc’ anzi accennata.
XXIII. Benchè sembrasse che la magnificenza
de Medici e le lor premure nello scavar da
ogni parte e nel raccogliere tai monumenti,
non lasciasser luogo ad altri di emularne la gloria, appena però vi ebbe principe in Italia nel
corso di questo secolo, che non pensasse ad
ornare per somigliante maniera la propria corte,
il museo Vaticano ebbe il suo cominciameli! o
dal cardinale Marcello Cervini, che gran numero
vi ripose di medaglie, di statue e di altre antichità, ed eccitò col suo esempio i posteri a
renderlo sempre più ricco e copioso (V. Polidori, Vita Marcelli II, p. 49)- i duchi di Ferrara, come in altro genere di regia munificenza
a pro delle lettere, così in questo andaron del
pari con’ più potenti sovrani. Ne è pruova la [p. 364modifica]364 LIBRO
rara copia di pietre incise e scolpite, e di
antiche medaglie, che tuttora, benchè dopo tante
vicende, conservasi in questo museo Estense.
Non abbiam monumenti che ci mostrino chi
fosse tra essi il primo a formarlo. È assai probabile che Borso e Leonello ed Ercole I cominciassero a far ricerche d antichità j ed è
certo che a tempi di Ercole II erane già raccolta gran copia. Ne abbiamo un saggio nel Catalogo delle antiche medaglie d’oro, ch erano
presso a quel duca, fatto da Celio Calcagnini,
che si ha in un codice di questa biblioteca. Il
lor numero giunge fin presso a novecento j ed
è verisimile che non solo di tali medaglie essi
fossero andati in traccia, ma che vi avessero
aggiunte quelle di argento e di bronzo, delle
quali parimente si vede tuttora in questo museo un assai ragguardevol numero. Già abbiam
veduto poc’anzi che i duchi di Savoia ancora
aven preso diletto di tali ricerche, e che la
loro biblioteca era da ogni parte ornata di bellissimi monumenti. La corte ancor dei’ Gonzaghi videsi in ogni parte adorna di antichità,
come si è dimostrato parlando del favore di
cui que’ principi onoraron le scienze. Fra essi
però si distinse singolarmente Cesare Gonzaga
signor di Guastalla, che a niuno dei’ principi del
suo tempo fu inferiore nel coltivare e nel protegger le lettere. Nel copioso carteggio di questo principe, che tuttor si conserva in Guastalla, veggonsi moltissime lettere a lui scritte
in Roma tra il 1562 e il 1567 da Girolamo Gali mberto vescovo di Gallese, di cui valeasi Cesare nel raccogliere le antichità. In esse quasi [p. 365modifica]piamo 365
di altro non si ragiona che di statue, di medaglie, di busti, di bronzi e di marmi antichi,
che il Garimberto per ordin di lui andava adunando e inviandogli a Guastalla, ove Cesare
ne stava formando una tal galleria che poche
uguali dovea avere in Italia. Il Garimberto medesimo ne faceva per se stesso raccolta; e dalle
stesse lettere si conosce che questo ardore nelfandar in cerca di tai monumenti era allora
universale in tutta l’Italia. Il ricchissimo museo
Farnese per ultimo, che fu poscia nel corrente
secolo trasportato a Napoli, ebbe probabilmente
principio nel tempo di cui scriviamo; ed è verisimile ch esso fosse opera principalmente de’
cardinali Alessandro e Ranuccio, i’ quali abbiamo veduto quanto fossero spendidi nel favorire e nell’avvivare gli studi.
XXIV. Questo sì vivo ardore nel disotterrare
e nel rendere in certo modo alla vita i monumenti antichi, fu proprio ancor di moltissimi
tra’ privati. E appena fu uom dotto nel corso
di questo secolo, che non si dilettasse di averne
gran copia. Roma principalmente col porre sott’occhio de’ riguardanti tanti venerabili avanzi
dell’antica grandezza, che avean superata l’invidia del tempo e il furore de’ barbari, parea
che stimolasse i suoi abitanti a scavare e a ricercare da ogni parte per iscoprir quelli ch
eran l imasti vittima dell’ ignoranza de’ secoli
precedenti. Le descrizioni che Ulisse Aldrovandi, Andrea Fulvio, Lucio Mauro e più altri
ci diedero a quel tempo delle antichità che in
Roma si conservavano, ci fan conoscere che
molti de’ più ragguardevoli cittadini pensavano
XXIV.
(ÌJU <If|;Ii
l'alimi ili
somigliami
tinnii», [p. 366modifica]36(5 li uno
di’ esse fossero il miglior ornamento di cui potessero abbellire le loro stanze. Il libro singolarmente dell Aldrovandi intorno alle antiche
statue che serbavansi in Roma, ci mostra che
moltissimi eran coloro che ne aveano ornate
le loro case; e gran copia ne veggiamo accennate
principalmente in quelle del cardinale Federigo
Cesi, di Bindo Altoviti, de’cardinali Farnesi,
di Latino Giovenale, di Vincenzo Stampa, del
cardinale Gaddi, del cardinale Rodolfo Pio, la
• • i* •
cui passione per tai monumenti raccogliesi ancora da una lettera di Ambrogio Nicandro a
Pier Vettori (Epit. Cl Vir. ad P. Victor, t. 1,
p. 49), di que della Valle, di Giuliano Cesarini, del cardinale Savelli, di Valerio dalla Croce, del cardinale Bernardino Ma (Tei, di Giulio
Porcaro, di monsig Giacomelli, di Stefano
del Bufalo, di Lorenzo Ridolfi, e, più che altrove, nella villa del suddetto cardinale Pio a
Monte Cavallo. In questa biblioteca Estense si
ha copia di alcuni Epigrammi latini di Girolamo Brittonio stampati da’ fratelli Dorici in
Roma senza nota d’anno, e pubblicati all’occasione del disotterrar che si fece alcune larve
di marmo innanzi alla soglia del palazzo del
Cardinal Nicco'ò Ridolfi; il qual opuscolo del
Brittonio è sfuggito alla diligenza del co. Mazzucchelli. Somigliante festa fecesi de’ poeti romani nel 1506, quando fù ritrovata la famosa
statua di Laocoonte, intorno a che è degna
d’esser letta una lettera di Cesare Trivulzi a
Pomponio suo fratello, scritta da Roma al 1
di giugno del detto anno (post Marq. (Gudii
Epist p. • 43). Gran numero di antiche statue [p. 367modifica]MIMO 36avea raccolto in Trevi sua patria Benedetto
Valenti avvocato del Fisco sotto Clemente VII
e Paolo III, intorno alle quali due latini dialoghi scrisse, intitolati de Antiquitatibus Valentinis, Francesco Alighieri, il primo stampato
in Roma nel 1537, il secondo publicato di
fresco negli Aneddoti romani (t. 2, p. 109),
ove il ch. sig. ab Amaduzzi ragiona a lungo
di essi, e degli errori che nel ragionarne han
commessi il marchese. Maffei e il co. Mazzucchelli,
credendo che il primo dialogo fosse inedito
e che in esso si trattasse delle antichità di Verona. Quanto adorni di tai monumenti fossero
in Roma gli orti di Angiolo Colocci, ne abbiamo
fra le altre la testimonianza di Onofrio Panvinio:
Hortuli Colotiani, dic egli (Festor. l. 2), ad
aquam Virginem sui maxima vetustonun mori umenlomm copia instructissimi, quae primis
illis temporibus, quibus antiqui tati s studi uni caput extollere coepit, unus Angelus Colotius
sanctissimus doctissimus vir eo in loco summa cum diligentia hinc inde collegit, magnani
mi hi 1 use rip ti omini mullitiulinein suppedilarunt.
Leandro Alberti ci ha lasciata memoria che il
cardinale Paolo Cesi, detto da lui Paolo della
Cesa, morto nel 1537, avea raccolto nel suo
palazzo in Roma belle, vaghe, et antique statove,
avelli. epitafiii et altre simili cose Italia,p. 92,
ed. bol. 1550). In Roma parimente io credo che
cominciasse a formare la sua raccolta di antichità Pietro Bembo, cui egli posarne! soggiorno
di molti anni in Padova accrebbe per modo,
che, per testimonianza del Beccadelli e di altri
scrittori di quei tempi, ella avea forse poche [p. 368modifica]3tf8 Liimo
pari in Italia (V. Foscarini, Lett. venez. p. 383)
e vi si vedea fra le altre la famosa tavola Isiaca,
che ora è nella real biblioteca di Torino. Il
Bembo, quando da Padova passò in Roma,
già cardinale, non seppe stare senza le sue
medaglie ed altre antichità) e degna è d’esser
letta su ciò la lettera ch’egli scrive a M. Flaminio Tomarozzo, perchè gliele mandi a Roma, dalla quale raccogliesi quanto grande ne
fosse il numero e la sceltezza (Op. t. 3, p. 266).
Una lettera scritta da Baldassar Castiglione ad
Andrea Piperario in Roma nel 1523 ci mostra
ch’egli ancora era assai avido di somiglianti
acquisti (Castigl. Lettere, t. 1, p. 105). Annibal
Caro, benchè non fosse molto agiato di beni
di fortuna, non sapeva però metter freno alla
sua passione nel raccoglier medaglie. Scrivendo
a M. Giuseppe Giova a Lucca, che gliene avea
mandate in dono parecchie, gli dice (Lettere.
t. 2, lett. 129)): Venendo accompagnate (le vostre lettere) con un presente di medaglie (amor
mio principale) e di tante in una volta, sappiate, che m hanno dato una contezza suprema.
E oltrccche mi sieno state tutte carissime e
preziose per l’ animo, con che me l avete donate, siate certo, che ancora quanto alla qualità di esse mi sono in maggior stima, che voi
non pensate, perchè ce ne ho trovate assai
buone, e alcune rarissime, tanto che il mio
erario, il quale ebbe quasi il primo tesoro da
voi, or ne divenuto si ricco, che comincia a
competere con i più famosi degli altri antiquarii; e se la rimessa, che mi promettete di Lione, è tale, spero di superarli. Ed era egli in [p. 369modifica]PRIMO 3(K)
(al genere in tendentissimo, come da più altre
lettere di lui medesimo è manifesto (ivi, t. 3,
lett 119, 120, ee.) (a).
(a) Vuoisi qui incordare a gloria de’ romani pontefici
ciò ch’ essi operarono, affine di ben conservare il ricco
tesoro d’antichità, di cui vedesi Roma in ogni sua parte
adorna. Aveane già dato esempio fin dal secolo precedente Eugenio IV col proibire che alcuna statua antica si estraesse da Roma, e Pio II e Sisto IV con
rinnovar la medesima proibizione. Paolo III, appena
eletto pontefice, con suo Breve de’ 28 di novembre
del 1534 •» che è stato pubblicato dal eh. sig. abate Marini (Degli Archiatri pontif. t. 2, p. 280), nominò commissario sopra le antichità di Roma il celebre Latino
(Giovenale, incaricandolo di soprantendere agli archi,
a’tempi, a’ trofei, a teatri, agli anfiteatri, a'circhi,
alle naumachie, a’ portici, a sepolcri, alle iscrizioni,
alle statue, a’ quadri, agli acquedotti, e in somma ad
ogni sorta di antichi monumenti, e di vegliare perchè
essi fossero conservati, nè venissero ingombri da erbe
o da sterpi, nè sopra vi si fabbricasser!’ case, nè venissero spezzati o infranti, nè impiegati in altre fabbriche,
o trasportati altrove. Di Latin Giovenale, che fu della
famiglia de Manetti, e di cui non vera l’uomo più
opportuno a sostener quell’ impiego, copiose notizie ci
ha date il soprallodato ab Marini (ivi,t. 1, p. 384
t. 2, p. 353), e ne ha prodotta l’iscrizion sepolcrale
che gli fu posta nella Minerva, quando egli finì di vivere nel i:553 in età di 67 anni, nella quale
si annoverano tutti gli onorevoli impieghi da lui sostenuti. A questa occasione ricorda il medesimo autore
((.2, p. 283, ec.) un altro Breve di Paolo IV, con
cui nel 1556 nominò conservatore e saprantendente alle
antichità il cancelliere Urbano Mario Frangipani, e
quello con cui Pio IV nel 1562 affidò la medesima cura
a’cardinali Marcantonio Amulio ed Alfonso Gesualdi,
incaricandoli ancora di provvedere che niuno osasse di
alterare o di supporre cotai monumenti, e un altro
di S. Pio V sullo stesso argomento (ivi, p 314)•
Tiradoschi, Fol. X. [p. 370modifica]XXV.
Raccoglimi! «li aliti*
f lui!• in \ vBtnii»
•I7O LIBRO
XXV, Y eneziu, benché non avesse nel proprio
.suo seno sepolte antichità greche e romane
che invitassero i cittadini a scoprirle e a rimetterle in luce, vide nondimeno formarsi non
pochi musei, tanto più ammirabili, quanto maggiore era la difficoltà e la spesa in far venir
di lontano i monumenti. E il primo che ne
formasse una pregevol raccolta, fu il cardinale Domenico Grimani, da noi mentovato in
questo capo medesimo che grandissima copia
di statue e di altre antichità d’ogni genere
avendo adunate, e questa collezione essendo
poi stata di molto accresciuta da Giovanni
Grimani patriarca d’Aquileia, nipote di Domenico, amendue poscia ne fecero liberal dono
alla Repubblica; e questi sono in gran parte
que monumenti medesimi che ora adornano
l’antisala della libreria di S. Marco, la descrizione de’ quali ci è stata data nel 1740 dagli
eruditi cugini Zanetti (V. Foscarini Letter. venez. p. 373, ec., 382, ec.). L’esempio de Grimani, e quello del Bembo da noi nominato di
sopra, fu quasi un segnale ch eccitò in moltissimi tra Veneziani un vivo entusiasmo nel
far ricerca d’antiche medaglie e di altri simili
monumenti. Il Sansovino ne annovera parecchi,
cioè Lionardo Mocenigo, Francesco e Domenico
Duodo, Battista Erizzo, Luigi Mocenigo, Simone
Zeno, Giovanni Grilli, Francesco Bernardo,
Gian Paolo Cornaro, Giacomo Gambacorta, Agostino Amadi, Monsig Soperchio, Giulio Calistano, Domenico delle due Regine, Rocco
Diamantaro (Venezia, p. 372), a' quali il Foscarini aggiugne (Letter. venez. p. 386) Antonio [p. 371modifica]PRIMO 371
Zantam, Sebastiano Erizzo, il doge Lorenzo
Priuli, il suddetto Giovanni Grimani e Daniel
Barbaro patriarchi d’Aquileja, Girolamo Lione, Stefano Magno, Francesco Barbo, Antonio
Calbo, Benedetto Cornar o, Francesco Veni ero.
Alessandro Contarini, Alvise Renieri, l ab
Giustiniano, Torquato Bembo, Gabriello Vendramino, Antonio Manuzio e Rinaldo Odoni; intorno ad alcuni de’ quali più esatte notizie può
somministrare a chi le brami il suddetto eruditissimo Foscarini. Fra i molti musei veneti, de’
quali potrei dire non brevemente, basti il far
qualche cenno di quello di Andrea Loredano,
che pochi ebbe pari in quel secolo. Paolo Manuzio a lui scrivendo nel 1552, e parlando di quel
museo, Io vi entrai una volta, gli dice (Letter.
volg.p. 73, ec. ed. Ven. 1560), essendo V. M.
in Villa, per grazia singolare del suo virtuosissimo figliuolo M. Bernardino. Parvemi nel
primo aspetto di esser entrato nel Romano Foro,
quando per ambizione degli Edili era meglio
adorno ne giorni delle feste e giuochi pubblici,
Io mirava tC intorno di lieta maraviglia confuso,
riguardando ora alle statue, ed ora alle pitture, parevami di riconoscere il marmo di Prassitele, il bronzo di Policleto, i colori di Apelle.
Fattomi poi più vicino alle medaglie, vidi l oro
e l'argento, vidi il pregiato metallo dell’ infelice
Corinto, vidi chi la distrusse. Eranvi dei Greci
e de' Barbari molte figure > de Romani infinite,
con bello e considerato ordine disposte, tutte dal
naturale con verissima somiglianza ritratte, alcune in parte guaste dal tempo, alcune affatto
intere fino a sopraccigli ed alle rughe della [p. 372modifica]372 LIBRO
fronte, tutti i più famosi Consoli, tutti i maggiori
Imperatori, tutte le guerre, i trionfi, gli archi, i
sacrificii, gli abiti, le armature mi stavano davanti agli occhi, le (quali cose con attento pensiero particolarmente riguardando, tante belle
notizie in poche ore nella mente raccolsi, che
nè Livio, nè Polibio, nè tutte l’Istorie insieme
avevano altrettanto in molti anni potuto insegnarmi, ec. Di questo museo medesimo fra grandi
elogi Carlo Sigonio (praef. ad Comm. Fastor,
ac. Triumph.; praef ad SchoL in Livium; praef.
ad Lib. de Tempor. Athen.)y il quale più volte
confessa di essersi singolarmente valuto di que’
monumenti nell’illustrare le antichità, e loda
la cortesia con cui e Andrea e Bernardino di
lui figliuolo gliene aveano conceduto l’ uso. Anche il Mureto, dedicando a Bernardino le sue
Osservazioni sopra Catullo, remmenta la grandissima copia di libri, di statue, di monete e
di altri monumenti dell’antichità, che Andrea
di lui padre avea con somma diligenza da tutta
l'Europa raccolti, talchè la casa di esso era
in Venezia come un tempio delle Muse, da
tutti gli uomini eruditi frequentato a gara.
XXVI. Per questo impegno medesimo nel
radunare i monumenti dell’ antichità, troviam
lodati più altri nel corso di questo secolo. Celio Calcagnini, scrivendo a Buonaventura Pistofilo ministro del duca di Ferrara Alfonso I,
accenna la gran quantità di antiche monete
ch’ egli avea studiosamente raccolte e sì ben
racchiuse e disposte, che poteansi da amendue
le parti mirare senza toccarle (Op. p. 207,
ed. Basii. 15/|4)* Abbiam più lettere di Paolo [p. 373modifica]PRIMO 3r»3
Manuzio scritte ad Agostino Angelelli da Fabbriano, dalle quali raccogliesi che questi ancora
era diligentissimo raccoglitor di medaglie (l. 8,
ep. 20; l. 9, ep. 7, 8?9). Una numerosa serie
di medaglie imperiali avea parimente nei’ primi
suoi anni raccolta Bonifacio Vannozzi pistojese,
finchè entrato poscia nel clero prese ad adunar quelle dei' papi, com egli stesso racconta
in una sua lettera (Vannozzi, Lett t. 1, p. 91).
Il marchese Maffei ricorda la bella raccolta che
di medaglie, di statue, di libri e di varie antichità d’ogni genere avea fatta Agostino Maffei in Verona al principio di questo secolo
(Verona illustr. par. 2, p. 272). Alfonso Ariosto verso la fine di questo secolo avea talmente
adornata la sua casa in Ferrara di ogni sorta
di antichità, ch’essa pareva un museo; e, come
narra il Superbi scrittore contemporaneo, non
veniva a Ferrara alcun principe, o altro ragguardevole personaggio, che non andasse a vederla
(Appar. degli Uom. ill. par. 3). Ma questi monumenti ancora andaron poscia dispersi, come
mi ha avvertito il ch. sig. dott Antonio Frizzi
nelle belle ed esatte notizie trasmessemi intorno
agli Ariosti. Molti altri ne annovera, oltre alcuni
de’ già accennati, Enea Vico, facendo il catalogo di quelli, delle cui medaglie egli ha fatto
uso nella sua opera sopra esse, e sono Alessandro Corvino, Antonio Capodivacca, Giannandrea Averoldo, Giannantonio Cagnolino, Giorgio Canler, Marco Mantova (*), Matteo Foriero,
{*) Tra quelli che nelle lor case raccolsero gran copia di antichità, ho accennato il celebre giureconsulto [p. 374modifica]XXVIÌ.
Raccolte
<)’ i jirmnn
uni ir Le.
374 LIBRO
monsignor dei Martini, Niccolò Stopio, Pierluigi Romano, Terenzio di Camera, Tiberio
Deciano (a).
XXV il. Voglionsi a questo luogo per ultimo
rammentare almeno alcuni di quelli che, se non
Marco Mantova. Ma dee qui riferirsi un bel' passo dell orazion funebre in onor di esso recitata da Antonio
Riccoboni, il qual ci dimostra in qual pregio fosse il
suddetto museo: Partis igitur excellenti doctrinae M. Mantua,
npìbus, inter alia multa, quae magnificentissime ennJ'ecit, suuni, ut modo dicebam, Musaeum mirabiliter
adornavit, ita ut eliam in x uni mis Principibus prope
incredibilem ejus emendi excitarit cupiditatem, et praecipue in Galliae Rege Christianissimo, cujus nomine
Gallis quibusdam nobilissimis ipsum emere cupientibus,
etiam me praesente, a udiente, et rem verbi s illorum
procurante, non se venditurum ejusmodi Musaeum tanto
Regi, sed donaturum professus est; quod negotium, ut
cum praestanti ejus digitate tractatum, sic ill's Regís
sui mandata transgredi recusantibus, non sine magna
gratiarum actione dissolutum est.
(a) 11 Mongitorc (Bibl. sicul. t. 1, p. 360) parla di
un antichissimo museo di antichità, che in Messina avea
raccolto verso la fine del xv secolo Giampietro da Villadicani nobile messinese, ch era stimato del valore di
ventimila scudi. Di questa magnifica collezione parla
anche un certo f Antonio da Granata in una lettera
scritta da Messina a’ 29 di ottobre del 1583 al cardinale
Luigi d’Este, che originale conservasi in questo segreto
archivio ducale. E se altro egli non soggiugnesse, noi
crederemmo di buon animo a lui e al Mongitore tutto
ciò che di questo gran museo ci raccontano. Ma il buon
f Antonio prosiegue a dire che il Villadicani in attestato di ossequio al cardinal medesimo gli manda un
pezzo dello stesso museo, cioè un Dente di Hercole gigante donato già da Paolo IV al cardinale di Pisa, e
da questo alla famiglia de’ Villadicani. Se a questo eran
somiglianti gli altri tesori di questo museo, ognun vede
quanto fossero stati ben impiegati per esso i ventimila
scudi. [p. 375modifica]PRIMO
ornarono le loro case di monumenti antichi, ci
diedero pruova della stima in cui gli avevano, coll’andare in traccia di essi e delle iscrizioni singolarmente, traendone copia e unendole insieme a
vantaggio degli studiosi. Benedetto Ramberti segretario del Senato veneto, e custode della pubblica biblioteca di S. Marco, avendo dovuto per
comando della Repubblica viaggiar più volte in
Allemagna, in ispagna e in diverse altre provincie tra’l i53o e ’1 ¡5^0, andò raccogliendo
quante potè trovare iscrizioni, e ne formò un
ampio codice che tuttor conservasi, e di cui
ci dà un’esatta descrizione il padre degli Agostini, che del Ramberti e di qualche altra operetta da lui composta ragiona colla consueta sua
diligenza (Scritt venez. t. 2, p. 556, ec.). Somigliante opera avea intrapresa Francesco Pedemonte, il quale avendo copiato gran numero
d’iscrizioni, pensava di darle in luce dedicandole al re Filippo II, e voleva perciò mandarle
a Pietro Vettori, acciocchè fossero stampate in
Firenze, com’egli gli scrive da Napoli (Cl. Viror. Epist. ad P. Victor. t. 3, p. 236). Ma avendogli il Vettori risposto che la stamperia di Firenze erasi allora dissipata e di sci olla (Victor,
ep. p. 53), pare che il disegno del Pedemonte
non fosse condotto ad effetto. Due Veneziani,
Pellegrino Broccardo e Marco Grimani, recatisi
quasi al medesimo tempo in Egitto, vi osservarono i monumenti ivi rimasti, e singolarmente
le famose piramidi, eie delinearono, copiando
ancor le iscrizioni che in varii luoghi leggevansi. Nè l’uno nè l’altro lavoro ha veduta la luce;
ma di quel del Grimani si è valuto il Serlio [p. 376modifica]376 LIBRO
ftarlando di quelle piramidi, intorno a che si può
leggere la non mai abbastanza lodata opera del
Foscarijii (Lette rat.. venez. p. 377, ec.), il quale
accenna ancora (ivi, p. 374) le iscrizioni della
Spagna, che avea raccolte Lionardo Ottobuoni.
Un codice di antiche iscrizioni romane raccolte
da Antonio Belloni di Aquileia, segretario del
car Domenico Grimani, avea presso di sè
Apostolo Zeno (Letti. 1, p. 104) Giulio Bologni, figliuolo di quel Girolamo da noi mentovato nel tomo precedente, trascrisse nel 1517
tutte le lapide antiche di Verona, di Brescia,
di Salò sulla Riviera bresciana, e di Bergamo,
la qual Raccolta conservasi ancora in Trevigi
presso il sig. Burchelati da noi altrove lodato
(Mazzucch. Scritt. ital. t. 2, par. 3, p. 1489,
nota 14). Grandissima quantità d’iscrizioni avea
da tutte le provincie raccolta il Panvinio, e disponevasi a darne una compita e general collezione, come pruova il marchese Maffei (Ver.
illustr. par. 2, p. 365, ec.), il quale crede probabile che delle fatiche di lui si giovasse poi
in gran parte il Grutero. Sebastiano Maccio,
nato in Castel Durante, essendosi aggirato per
diverse città d’Italia verso la fine di questo
secolo, per tenere or nell’una, or nell’altra
pubbliche scuole, in ognuna di esse osservò
diligentemente, e fedelmente copiò le antiche
iscrizioni, e ne formò un codice (Erytraei Pinacoth. pars 1, p. 278), il quale però non credo
che abbia mai veduta la luce. Lo stesso fece
Giovanni Zarattino Castellini natio di Faenza,
ch essendo circa il medesimo tempo vissuto
lungamente in Roma, appena lasciava passar [p. 377modifica]primo 3? n
giorni» ni cui non andasse qua e là scorrendo
dentro e fuori della città, ove si facevano scavi,
per osservare e copiare i monumenti che si traevano alla luce (ib. p. 5i).
XXVIII. Mentre questi e più altri scrittori andavano raccogliendo in ogni parte d’Europa le
antiche iscrizioni, altri occupavansi singolarmente a scoprire e a pubblicar quelle della lor
patria. Fin dal 1521 fu pubblicata in Roma l’opera intitolata Epigran ¡incita anticjuae Urbis,
che va sotto il nome dello stampatore Mazzocchi, e che da alcuni credesi opera di Angiolo Colocci (V. Lari cello tti. Vita del Colocci. p. 38) (*).
Girolamo Rossi celebre storico di Ravenna aggiunse alla sua Storia tutte le antiche iscrizioni
cbe nella sua pairia si conservavano. Torello
Saraina e il suddetto Panvinio quasi al tempo
medesimo raccolsero e pubblicarono quelle di
Verona, c quelle di Vicenza Bernardino Trinagio. Quelle di Brescia non vider la luce die al
principio del secolo seguente per opera di Ottavio Rossi. Ma egli si valse di una Raccolta
assai più copiosa che verso la metà del secolo xvi aveane ivi fatta un certo Aragonese
dimorante in Brescia. Un bel codice di essa,
cbe sembra originale, conservasi in Ferrara
presso il sig. conte Gneo Ottavio Boari; e cbe
(*) La raccolta intitolata Epigrammata Antiquae Urbis fu veramente oper.» del Mazzocchi ch’era stampatore dell' Accademia romana, ed era per la sua erudizione degna di andar del pari cogli altri stampatori
eruditi di quell età. Così mi ha avvertito il ch
sig. ab Serassi, che intorno ad esso ha raccolte molte
interessanti notizie.
,! [p. 378modifica]378 LIBRO
il detto Aragonese ne sia l’autore, si trae dal
riflettere ch’ei cita sovente lapide antiche presso
di sè esistenti, e quelle stesse si veggono citate
dal Rossi, come esistenti presso l'Aragonese.
Pierio Valeriano pubblicò l’iscrizioni antiche di
Belluno sua patria; la qual opera suol andar
congiunta a quella De infelicitate Literatorum.
Molti monumenti appartenenti a Milano e alla
Lombardia furono pubblicati da Bonaventura
Castiglione nella sua opera intitolata Gallorum
Insubrum antiquae sedes, stampata in Milano
nel 1541 • Andrea Alciati, uomo grande ugualmente e nei' severi studi legali e negli ameni
della letteratura, oltre l’averne inserite parecchie ne’ quattro libri della Storia di Milano, fece
una più compita Raccolta di tutte le iscrizioni
che nella sua patria si conservavano, e se ne
hanno codici nella Vaticana e nell’Ambrosiana,
e un altro era già nella libreria de’ Gesuiti di
S. Fedele in Milano, di cui ci ha data la descrizione il ch. ab Zaccaria (Calogerà, Opusc.
t. 41,p 137 \ Francesco Ciceri, nato in Como,
ma fatto poi cittadin di Milano, ove per molti
anni tenne scuola di belle lettere, veggendo che
non poche iscrizioni erano sfuggite all’Alciati,
aggiunse alla detta Raccolta un copioso supplemento, che suole ad essa andar congiunto.
Si può vedere l’elogio che ci ha dato del Ciceri l Argelati (Bibl. Script, mediol t. 1, pars:2,
p. 429) (a), a cui io aggingnerò che si hanno
(a) 11 P. abate D. Pompeo Casati cisterciense nulla ci
lascia omai a bramare intorno a Francesco Ciceri. Ei ne
ha pubblicato in Milano nel 1782 sedici libri di lettere [p. 379modifica]rumo 371)
alle stampe alcune lettere del Cortese al Ciceri (Marq. Giuiii, ec. Epist p. 126, ec.), dalle
quali raccogliesi l’anno in cui questi da Lugano,
ove finallora avea tenuta scuola, passò a Milano, per aiutare in questo impiego il detto Maioragio, cioè il i548, e molte altre di Giovanni
Oporino stampatore di Basilea al medesimo Ciceri (ih. p. 164, ec.); che tra le lettere scritte
a Pietro Vettori, una ne ha egli pure scritta al
primo di settembre del 15*j8, in cui dice che
erano ornai venti anni che per ordine del Senato
era pubblico professore (Epist. cl. Viror. ad
P. Victor. L 2, p. 127), e che il Vettori risposegli con altra lettera piena di sentimenti di
stinta pel sapere del Ciceri Uklctor. Epist.
p. 198) (*). De1 Supplementi elei Ciceri parla
latine finora inedite con quattro Orazioni, e inoltre
un libro di lettere di Maffeo di lui figliuolo. L’eleganza
con cui esse sono scritte, le notizie che in gran copia
ci somministrano per la storia letteraria di quel secolo,
e le annotazioni piene di erudite ed esatte ricerche colle
quali il benemerito editore le ha illustrate. rendono
questa edizione sommamente pregevole. Ei vi ha premessa la \ ila di questo colto scrittore, in cui tutto
ciò che appartiene agli studi da e&o fatti, agli impieghi sostenuti, alle opere scritte, si vede con singolar
diligenza esaminato e rischiarato. Egli ha fra le altre
cose provato che Francesco non fu nè comasco, come
io aveva pensato, nè milanese, come altri aveano scritto; ma che nacque in Lugano, e ch ei finì di vivere
tra ’I 1 *>94 e ”1 15q6.
(*) Una lunga ed elegante lettera di Francesco Ciceri a Paolo Manuzio, scritta da Milano il 1 di
settembre del 1.569, in cui racconta quanto ne suoi
studi venisse assistito da Ottaviano Ferrari, da Bartolommeo Capra e da Annibale Croce, è stata pubblicata
dal ch. sig. can Bandini (Collrct. vtter. Moti uni.
p. 123). [p. 380modifica]il suddetto abate Zaccaria (l. cit. t. 40, p. 439), il quale per ultimo descrive “’incora il codice delfautiche iscrizioni di Como, raccolte da Benedetto Giovio (ib. p. 49)) di cui direm tra gli storici, nel qual capo altri ancora nomineremo che in somiglianti fatiche utilmente occuparonsi. E ciò basti per saggio deli’instancabile ardore con cui gl’italiani di questo secolo si volsero a ricercare, a raccogliere, a pubblicare le antichità, riparando per tal maniera il disprezzo in cui esse si eran per tanto tempo lasciate giacere.