Il Trentino/Capitolo V
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Capitolo Quinto.
Le acque: fiumi e torrenti; sorgenti minerali; laghi e paludi; pesca e pesci.
A. Fiumi e torrenti. 1. Il mare di Venezia la cui area di terreno scolante si ragguaglia- a 122.500 Kmq., è il bacino di ricevimento dell’acque del Trentino, che ad esso affluiscono coi bacini minori dell’Adige, della Brenta, del Po e della Piave.
L’Adige, che appartiene al Trentino nel suo corso mediano, costituisce il principale bacino idrografico della regione e ne occupa la parte centrale; ad occidente dell’Adige vi sono gli importanti bacini del Sarca e del Chiese, ad oriente il bacino dell’Astico e quello dell’alta Brenta dalla sorgente fino alla stretta di Primolano, con parecchi confluenti, che nascono nel Trentino e si versano in esso solo sul territorio veneto, e finalmente pochi rigagnoli che confluiscono nella Piave.
Il Trentino, nei suoi limiti di regione storica, non abbraccia un completo sistema fluviale, ma solo porzioni più o meno estese, più o meno ben marcate di bacini. Per questo la descrizione idrografica della regione trentina è piuttosto complicata e difficile; noi nella nostra esposizione, cercheremo di dare per ogni fiume importante dei ragguagli completi, estendendoci maggiormente per la parte che riguarda il Trentino e soltanto riassumendo ciò che spetta il corso dei vari fiumi, dal confine politico — il che press’a poco equivale al limite delle Alpi — fino al mare.
L’idrografia fluviale del Trentino è ricca di vari tipi: possiede l’Adige, che è un fiume di primo ordine; vicino ad esso, dei tipi di fiume di second’ordine, come il Sarca; poi dei corsi d’acqua, che devono definirsi come fiumi-torrenti, e che spettano a quello, che il Marinelli vorrebbe chiamare tipo friulano, fiumi lavoratori, che sboccano dopo breve corso in spianate costituite da materiale d’alluvione, con letti enormi, quali la Brenta e forse anche l’Avisio e il Noce. In questi fiumi-torrenti sboccano i rivi, i rughi e i torrenti alpini con cascate grandiose. Molte acque del Trentino hanno poi carattere speciale perchè ristagnano in bacini lacustri o corrono in spaccature profonde decine e centinaia di metri; e v1 è infine da tener conto di una complicata e ricca idrografia sotterranea, non peranco illustrata.
Ciò che è però la nota predominante delle acque del Trentino è il carattere torrentizio, che certe hanno permanentemente e che altre possono assumere, con velocità grandissima.
Per le ablazioni dei ghiacciai e per le copiose precipitazioni, in brevissimi periodi, l’Adige stesso può esser soggetto in poche ore a piene formidabili. E pur troppo a questa caratteristica corrisponde la storia dolorosa e ormai famigliare al Trentino dei danni enormi, recati alle campagne e alle città, e dei paesi distrutti. Ci basti ricordare: il villaggio di Cadrabio in Val di Fiemme, del quale si fa menzione nelle carte del sec. XII e che fu distrutto fra il sec. XIII e il XIV dalle acque del torrente Gambis1; il paese di Fano nella conca Crentonicense subissato, in. tempo d’inondazione da una frana nel 16482; il villaggio di Caorzo nella Valsugana, assalito ripetutamente dal torrente Centa nel 1748 e 1750, completamente distrutto; la plaga di Piazzuoli che sprofondò nel 18853; il paese di Grigno, più volte quasi completamente distrutto e poi rifabbricato, il comune di Canal S. Bovo, colpito a più riprese dalle acque di un lago, che avea infranto le dighe, che lo sostenevano; il paese di Caregno presso Strigno, subissato in epoca ignota4.
A simili catastrofi si devono aggiungere i danni finanziari, che apporta ogni singola innondazione. Quella del 1882 — secondo i rilievi ufficiali — arrecò al Trentino un danno complessivo di quasi 10 milioni di fiorini; quelle minori del 1885 e del 1888 rispettivamente un danno di 1,858.699 fiorini e di 993,395.
E ciò che è più deplorevole, queste sfrenate forze d’acqua non furono e non sono, sotto altri aspetti, quasi punto sfruttate, quando scorrono tranquille fra pascoli e prati e potrebbero recar vita nuova alle officine e alle industrie.
2. A differenza della maggior parte dei fiumi delle Alpi centrali, che scorrono paralleli all’asse principale della catena alpina da occidente verso oriente, (come l’Inn, la Salza, l’Enns, la Drava) l’Adige5scorre in questa direzione solo per brevissimo tratto, tenendo poi in tutta la parte del suo corso, fino alla pianura veneta, una direzione da settentrione a mezzogiorno. Per estensione di bacino esso è il terzo fiume d’Italia ed è probabilmente il secondo per lo sviluppo di corso. Nella sua parte superiore l’Adige ha un bacino assai vasto, che raccoglie tutte le acque del versante meridionale delle Alpi, da Reschen-Scheideck fino a Birlucke, per un tratto che misura in linea retta 131 Km.6.
In questo punto difatti si congiungono l’Adige e il Passer provenienti da W. e l’Eisack col Rienz e la Talfer scendenti ad E. Questi due fiumi, l’Adige e l’Eisack, provenienti dai più alti passi delle Alpi, dominano una superficie di 6867 Kmq.
Si considera come sorgente dell’Adige la polla di un ruscello che scaturisce a 1571 m. d’altezza a N. del paese di Reschen e che si precipita dopo breve corso nel laghetto di Reschen (1475), da molti designato come la sorgente del fiume.
Riceve un forte contributo d’acque dal Karlinbach e discende con leggier pendio (11 m. per Km.) al lago di Haider (1445 ni.) e più veloce (60 m. per Km.) scorre attraverso il piano di Mals, per Km. 20.30, fino a Glurns, dove accoglie il Rammbach (a circa 915 m.). A questo punto l’Adige, piegandosi verso oriente, attraversa la Val Venosta fino a Merano, dove ad esso si unisce il Passer all’altezza di circa 293 m., raggiungendo così nel tratto tra Glurns e Merano (41.4 Km.) una pendenza di 13 m. al Km. A Merano comincia a diminuire la sua pendenza; il fiume entra nel suo corso mediano e piega verso sud. A Bolzano esso ha percorso 98 Km. con la media di 14 m. al Km., mentre nel tratto da Merano a Bolzano esso ha una pendenza di circa 2 m.
A mezzogiorno di questa città viene da sinistra l’Eisack7 (Isarco), la cui sorgente si trova non lungi dallo Steinjoch all’altezza di circa 2000 m., donde si precipita con vertiginosa fuga al Passhöhe (1362 m.), abbassandosi 274 m. al Km. A Grossensass riceve da destra il torrente Pflersch, ricco d’acque e corre nella direzione di SW. fino a Sterzing (930 m. circa), dove il suo corso misura 15.3 Km. A Bressanone (Brixen), nel punto più occidentale del corso, riceve il Rienz, il cui bacino è di Kmq. 2077, e la lunghezza di Km. 80, mentre, al punto di confluenza, l’Eisack è lungo Km. 45 ed ha un bacino di Kmq. 435. Il Rienz imprime la sua direzione all’Eisack spingendolo verso l’Adige.
Il corso intero dell’Eisack è di Km. 85, la sua media pendenza di 21 m. al Km.; calcolata nei singoli tratti essa è di 14 m. sopra il Brenner, dal Brenner a Sterzing di 33 m., da Sterzing al Rienz di 12 m. e dal Rienz all’Adige di 8 m. per Km. L’Eisack è più veloce dell’Adige e naturalmente, perciò, scarica in esso una gran quantità di materiali; d’altra parte, data la lunghezza del suo corso, la sua portata d’acqua, la sua posizione centrale nel versante meridionale dell’Alpi, tra il Rienz e l’Adige, fa meraviglia che esso non abbia conservato il suo nome dopo la confluenza con quest’ultimo. Dalla confluenza coll’Eisack comincia il bacino medio dell’Adige, che spetta interamente, meno pochissimi tratti, al territorio trentino. Il limite di questo bacino mediano col bacino superiore e col bacino inferiore e coi domini d’altri fiumi, la Piave, la Brenta, il Sarca e l’Oglio, è dato a N. dalla linea di vetta, che spiccandosi dal Cevedale nella direzione di W. a E., corre attraverso il gruppo dell’Ortler e il crinale delle Alpi di Val di Non, raggiungendo il M. Luc (2433 m.) e il Gantkofel (1866 m.), coincidendo fino a questo punto col confine storicopolitico della regione già da noi tracciato; tale linea si abbassa poi dal Gantkofel, per la Kemetscharte (1790 m.), al paese di Girlan (484 m.), punto di confluenza dell’Adige coll’Eisack. Quindi essa taglia quasi orizzontalmente la Val d’Adige fino allo Stadlegg (1619 m.) e prima in direzione di SE. corre al Daumberg (1513 m.), poi in direzione di S. al Corno Bianco (2314 m.), donde piegandosi verso SW. raggiunge il M. Tolargo 2027 m.). Dal M. Tolargo il limite di displuvio prosegue verso NE, fino al giogo di Sella (2218 m.) e al Pisciadù (3008 m.), sempre collimando col confine storico-politico.
Dal Pisciadù, comincia la linea del displuvio orientale dell’Adige col torrente Piave; essa sale a S. al Boespitz (3152 m.), si abbassa alla Sella di Pordoi (2242 m.), corre ad E. fino al M. Mesola (2645 m.) e a SSW. alla Marmolata (3360 m.) e quindi scende fino a S. Pellegrino, per rielevarsi alla Cima di Bocche (2748 m.), e al Cimon della Pala (3186 m.) verso SE, dove cessa il displuvio colla Piave e comincia quello con la Brenta. Proseguendo si spinge a occidente al Colbricon (2804 m,), al Coltorondo (2531 m.) e in direzione di SW. alla forcella Moena (2598 m.), al giogo di Cadino (1954 m.) e allo Scalet (2491 m.) e, svoltando ad W., si abbassa di nuovo a Pergine (480 m.), risale alla Marzola (1787 m.), al Becco di Filadonna e al M. Maggio (1857 m.). Cessa a questo punto il displuvio fra la Brenta e l’Adige e abbiamo da seguire invece la linea ben marcata, che divide il bacino medio dal bacino superiore dell’Adige. Tale linea taglia il Pian delle Fugazze (1165 m.); piega ad W. sfiorando il Corno (1357 m.), si dirige a S. fino al Corno d’Aquilio (1545 m.), punto estremo meridionale del Trentino e nel Regno d’Italia corre al M. Pastello (1122 m.) e al M. Leone, donde una retta, in direzione EW., che taglia l’Adige al ponte della ferrovia Verona Caprino, ne chiude il corso medio e risale a Cavaion Veronese. Sulla sponda occidentale del fiume, il confine di displuvio segue la catena del M. Baldo per la punta di Naole e l’Altissimo (displuvio fra il Garda e l’Adige), scende al passo di Nago per risalire allo Stivo (2058 m.) e al Cornetto di Bondone (2180 m.). Prosegue verso N. pel Col di Castion (1475 m.), Covelo, la Paganella, Andalo, e, piegando a NW. per il Grostè (2561 m.), M. Spinale e M. Nambino, sfiora ad E. la Presanella (3564 m.), la Cima Presena e la Cima Lago Scuro (3044 m.), (displuvio Oglio Adige); quindi, seguendo il confine politico, continua verso N. al P. del Tonale (1884 m.), al Corno dei Tre Signori (3329 m.) e poi verso NE. al M. Vioz (3664 m.), da cui a N. fino al Cevedale, donde si prese le mosse.
Entro questi limiti il bacino medio dell’Adige misura 3925 Kmq. di superficie dei quali 111 appartengono al Regno d’Italia.
Il percorso del fiume dalla confluenza coll’Eisack fino al termine delle Alpi, dove riceve il torrente Tasso, è di 130 Km. con una pendenza complessiva di 148 m., vale a dire di m. 1.14 per Km. Con tal declivio, seguendo una direzione da N. a S., esso non è in grado di approfondire il suo letto e deve subire l’influenza dei rapidi torrenti alpini, che lo costringono a piegarsi ora a destra, ora a sinistra. Dopo Bolzano l’Adige corre incassato tra roccie granitiche e dolomitiche; fra Salorno (224 m.) e Cadino entra nel territorio trentino.
Da Salorno fino a Mezzotedesco esso corre in mezzo a terreni paludosi composti di torba. Però l’alternarsi continuo delle alluvioni e i lavori di bonificazione vanno togliendo a quei terreni il carattere acquitrinoso. Il letto dell’Adige si allarga dopo Bolzano e, mentre fra Merano e Bolzano la sua larghezza non supera i 45 m., tra Bolzano e Trento esso va da 54 m. a 70 m. per aumentare in seguito fino a 100 m. da Trento al confine italiano, a 130 m. presso Verona, a 155 da Verona al mare. La massima larghezza del bacino medio dell’Adige ha luogo a Bolzano, mentre a Trento esso si restringe per la concorrenza della Brenta e del Sarca, che scorrono ad una distanza di appena 13 Km. dall’agro trentino. Dopo Trento il bacino si allarga nuovamente nei monti Lessini. 3. Nel territorio tirolese da Girlan (confluenza coll’Eisack) a Salorno l’Adige riceve pochi affluenti e anche questi di secondaria importanza. Essi sono: a sinistra, la Val di Branten (lunga 13 Km.), il Rio Renner, il Rio di Aldein, il Rio di Ora (Schwarzenbach, lungo 10 Km.), il Rio di Trodena e pochi altri rigagnoli; a destra il lago di Caldaro, esteso per 1.5 Kmq. di superficie e profondo appena 7 m.8, raccoglie le acque di molti brevi corsi, che scendono dalla ripida parete e per mezzo di un canale — detto di Caldaro — le versa nell’Adige.
Il primo affluente importante che l’Adige riceve sul territorio trentino è il Noce, il cui bacino, che si estende per 1369.42 Kmq.9, è limitato a N. dalla linea di displuvio già descritta del bacino medio dell’Adige, dal Cevedale fino al Gantkofel (1866); a E. dalla linea che dal Penagal (1738 m.) si abbassa alla Mendola (1360 m.), tocca il Roen (2115 m.), il Corno di Tres (1812 m.), il Montesello (1859 m.) cala a Mezzotedesco e si unisce al torrente stesso fino alla confluenza coll’Adige (201 m.), per risalire verso occidente alla Paganella, donde si allaccia alla linea del bacino medio dell’Adige fino al Cevedale.
Il Noce nasce alle falde del Corno dei tre Signori a 2670 m., scende, in mezzo a roccie prevalentemente composte di micaschisti, fino a Cogolo (1158 m.), correndo nella direzione da ponente ad oriente attraverso prati sparsi di malghe per 14.7 Km., precipitando ora in rapide, ora in cascate, con un declivio di 102 m. per mille; a Cogolo si unisce al Noce di Peio, che scaturisce (m. 2483) alle falde della Cima Nera, alimentato dai ghiacciai del Cevedale e scende nella valle della Mare con una rapidissima pendenza (108 m. per Km.). Così ingrossato, piega verso mezzogiorno, riceve a destra il torrente Drignana, prosegue fino alla confluenza a sinistra colla Vermigliana ed entrando nella Val di Sole formata da Quest’ultima, ricchissima di affluenti (a destra la Rivolonda, la V. di Palù e la Val di Barco, a sinistra la V. d’Albiolo, di Strino e la Vermiana), rallenta di molto la sua rapidità con una media pendenza di m. 30 al Km. Riprende quindi la primiera direzione in mezzo a roccie prevalentemente calcaree ricevendo: a destra, il torr. Foce, la val della Fus, il Rio Ossaja, il Leores, il Meledrio, che scende dalla Selva di Campiglio (1882 m.) e confluisce a Dimaro (1466 m.); a sinistra il Rio Corediva, il Rio Valleta e il Rio Pontaella. In quest’ultimo tratto lungo Km. 11 la pendenza media è di 16,7 per mille. Dopo Dimaro prosegue verso greco fino a Mostizzolo alla confluenza col Barnes, dove il pelo dell’acqua è 500 m. sul livello del mare, mentre il ponte, che lo attraversa poco sopra, è a 591 m. Termina a questo punto la valle di Sole. La lunghezza del Noce da Dimaro a Mostizzolo è di Km. 14.1 e la media pendenza di 18.8 per 1000 dove però giova notare che la pendenza è mìnima nel tratto fino a Malè (7.5 per 1000 in Km. 4.7) e maggiore dopo (24.5 per; 1000 in Km. 9.4). In questo tratto riceve, alla sinistra il Rabbies, che scende impetuoso dall’Alpe di Sternai (2655 m.), la Valbaiarda e il torrente Barnes, che attraversa la valle di Bresimo; alla destra la Valle dei Cavalli, la Val Sorda, il Rio Ritento.
Dopo Mostizzolo il Noce, per una parte non piccola del suo corso rinchiuso in profonde gole, volge verso SE. e poi recisamente a S. descrivendo un arco; circa 1200 metri dopo la confluenza col Barnes accoglie a destra un altro torrente notevole, il Pescara, e dopo altri 3700 m. la Novella (presso Cles a 420 m. d’altezza), che brontola nelle viscere della terra e si divincola fra le pareti di sasso, che sferza con fragore inaudito. Tra il Barnes e la Novella la pendenza media del Noce è di 16.9 per 1000 m. Poco sotto Cles il torrente s’avvalla maggiormente tra le rupi e corre infossato tra queste fino alle vicinanze di Denno. Anche i torrenti che accoglie scorrono tra spaccature profonde, che rimangono nascoste all’occhio che spazii nel largo e danno al paese il carattere d’un altopiano. Essi sono: a destra, il Rio Ribos e la Tresenga, che esce dal lago di Tovel; a sinistra, il Rio Verdes, che si unisce al Rio di San Romedio, il Rio Strento (Fontanelle) e il Rio Pongaiola. Da Cles a Denno il Noce misura Km, 10.7 e il suo declivio, che nella discesa diventa sempre minore, si ragguaglia a m. 10.9 per Km.
Oltrepassato Denno, il Noce s’allarga per gli estesi campi di alluvione, aumenta le sue acque con nuovi affluenti, la Valsenata, il Lovernatico, e lo Sporeggio a destra, e il Rio di Rinasio a sinistra. Al passo della Rocchetta si restringe di nuovo, come avvallato, per poche centinaia di metri e ritorna alla luce nel piano di Mezzolombardo, correndo maestosamente tra forti arginature, che difendono i vigneti della ubertosa campagna. Il Rio della Valle e la Valmanara a destra, la Val delle Carbonare a sinistra, gli recano l’ultimo saluto delle Alpi, prima che, giunto a Zambana, si getti nell’Adige a m. 201 sul livello del mare.
La sua foce fa coll’arteria dell’Adige un angolo acuto, mentre, prima del 1850, le acque del Noce si versavano in essa ad angolo retto, di fronte al paese di S. Michele, determinando così un conoide di deiezione di ben 3 Km. che sbarrava la Val d’Adige, ne difficoltava lo scolo e creava paludi.
La lunghezza del Noce da Denno alla foce è di Km. 17.1 e la media pendenza di 5.9 al Km. Complessivamente il corso del Noce misura Km. 79.4. I suoi tributari hanno tutti una considerevole lunghezza e una tale portata d’acqua da rendersi quasi suoi concorrenti e rivali.
Diamo dei più importanti di essi gli elementi principali:10. Alla lunghezza complessiva del Noce (Km. 79.4) corrisponde una media pendenza generale di m. 81 al Km. La larghezza dell’alveo è variabilissima; va da pochi metri — dove il torrente corre fra i crepacci — fino a forse ¾ di Km. nei pressi di Denno.
Le piene del torrente — data la profondità del letto — non sono molto minacciose. La zona maggiormente esposta ai pericoli delle piene è l’agro di Mezzolombardo, a difesa del quale si costruirono robuste e forti arginature.
La strana caratteristica dell’acque di questo bacino, d’esser cioè quasi sempre inabissate nel fondo dei crepacci, ha determinato la necessità di creare numerosi e grandiosi acquedotti per la coltivazione dei terreni e per aver forza motrice alle industrie. I più grandi di questi acquedotti — costrutti spesso con opere ardimentose e con spese enormi — sono quelli di Cles e S. Zeno.
Abbastanza frequenti sono i ponti, che congiungono le pareti delle profonde spaccature, in cui corre il Noce, e alcuni come il ponte di S. Giustina presso Cles, profondo 138 m., il Ponte Alto, ora abbandonato, profondo m. 52, e il P. di Mostizzolo (profondo m. 85) sono costruzioni arditissime di grande importanza 11. Tav. IV.Cimon della Pala.
Il Noce non si presta, come gli altri torrenti trentini, alla
fluitazione del legname.
In complesso, da quanto abbiamo detto si può concludere, che il Noce presenta i caratteri di un fiume-torrente di prima importanza.
4. Alla distanza di 2.7 Km. dalla confluenza del Noce, l’Adige riceve alla sinistra l’Avisio presso alla borgata di Lavis. Esso è per importanza il terzo tra gli affluenti principali dell’Adige e raccoglie le acque d’una superfìcie di 940.50 Kmq.12. Il suo bacino, è limitato a NW. dalla linea di displuvio, che partendo dalla Marmolata, va fino al M. Tolargo, dividendo il bacino medio dell’Adige da quello dell’Eisack, e prosegue a SW. per il Bärenjoch (1577 m.), il Castion (1530 m.), il Monte Corona (1037 m.). A Lavis si abbassa (238 m.) all’Adige, lungo il quale procede fino ad Ischia per circa 2 Km. occupati dal delta; la linea di displuvio risale quindi in direzione di E. per Meano, al Corno (956 m.) al M. Gorsa, a Cerramonte, (1517 m.) declinando al displuvio colla Fersina sopra il lago delle Piazze a 1020 m.; sfiora il M. Costalta (1957 m.), il passo di Regnana (1463 m.) e da questo in direzione di NE. corre allo Scalet (2491 m.) e al Passo di Cadino, (1954 m.), continuando per il displuvio già indicato tra l’Adige e la Brenta fino alla Marmolata.
L’Avisio scaturisce al Passo della Fedaia dal laghetto omonimo (2046 m.) e, dopo un breve e rapidissimo percorso da E. ad W., di Km. 6.3, in un letto di roccia per lo più dolomitica, con una pendenza media di 78.2 per mille, riceve il Rio Contrin a Penia (1553 m.), che gli porta un largo contributo d’acque dei ghiacciai della Marmolata e gl’imprime la sua direzione verso NW., fino alla sua confluenza a destra col Rio Antermont e col rio Duron sotto Campitello (1425 m. circa).
In questo secondo tratto (Km. 5.4) scorre meno impetuoso, discendendo in media m. 23.7 al Km. Da Campitello piega verso SW., solcando così in forma di grande arco la Valle di Fassa, fiancheggiata da villaggi e da campi, accogliendo nel suo letto veri torrenti rigurgitanti di ghiaia; a destra il Rivo Donna, il Rio d’Antermoia (lungo 4.3 Km.), il Rio Soial, il Vajolon, il Rio di Pallacca, il Rio di Marma, il Rio di Costalunga; a smista il Rio Greppa e il Rio S. Nicolò, col Rio dei Monzoni, formante la valletta classica dei geologi, dove un grande ammasso di sienite, residuo d’un nucleo vulcanico, si presenta proprio nel centro d’una catena calcareo-dolomitica, e il Rio di S. Pellegrino, che si precipita nell’Avisio presso Moena (1160 m. circa). Da Campitello a Moena il torrente scorre con un declivio di 19.3 per 1000, per 13.7 Km. e nella ultima parte si scava la via in uno stretto burrone.
Da Moena a Predazzo risplende come una striscia d’argento in una conca di verzura; accoglie alla destra il Rio di Vaisorda e il Gardeno, ricchi di ciottoli di granito; alla sinistra, il Travignolo, il suo affluente principale, che, scendendo in mezzo ad un letto in parte calcareo e in parte porfirico dalle falde (1923 m.) della Vezzana e del Cimon della Pala, lungo la valle di Paneveggio, riceve le acque del torrente Valles, del Rio di Bocche, del Rio di Camvere e del Rio di Viezzena a destra; del Rio Colbriccon, della Val Ceremana, del Valon, del Rio delle Laste, del Vaimaggiore a sinistra, abbassandosi nel suo percorso di 20 Km. di circa 45 m. al Km. Poco dopo Predazzo (1018 m.) si volge da levante verso ponente in mezzo ai prati della valle di Fiemme, eternamente sacrificati alle sue terribili piene ed ai frequenti inghiaiamenti. Dopo il Travignolo vi affluiscono a destra il Rio di Vaia verta, il Rio Bianco, il Rio di Stava, il Rio dei Molini (lungo Km. 8.3), che attraversa la borgata di Cavalese, e il Rio di Predaja; a sinistra il Rio di Pozze (Km. 5.6), che nasce dai laghi delle Cascate del Nardis (bacino del Sarca). Trutte, il Rivo di Sadole, il Rivo di Castello, il Rivo di Cavelonte (valle ricca d’acque minerali), il torrente Lagorai, chi attraversa il laghetto omonimo a m. 1868, il torrente della Roda, il Rio di Moena e il Rio di Cadino, che scende dalla forcella di Cadino (1954 m). Il punto di confluenza di questo torrente trovasi sotto il paese di Molina a circa 790 m.: la lunghezza del percorso dell’Avisio da Predazzo a questo punto è di Km. 16.8 e la media pendenza è di 13.6 per Km.
Dopo Molina il torrente s’infossa nei profondi burroni delle spaccature porfìdiche della Valle di Cembra, balza e freme tra gli scogli, rasentando raramente la campagna, fino alla borgata di Lavis, ricevendo nuovi tributi d’acque a destra dal Rio del Molino e dal Rivo dei Pezzi, a sinistra dal Rivo di Brusago, dal Rio di Regnana e da quello di Vall’alta. Da Molina allo sbocco nell’Adige sotto Lavis (197 m.) il torrente misura Km. 35.5 corrispondenti alla pendenza di m. 16.6 al Km.
Alla sua foce l’Avisio forma un largo conoide, lungo 3 Km. e largo alla base più di tino. Questo conoide, che principia alla borgata di Lavis, si protende in direzione perpendicolare e spinge l’alveo dell’Adige contro le pareti occidentali della, valle. Per impedire che più oltre venga trascinata nell’Adige così grande quantità di congerie fu costrutta a 4 Km. circa dalla foce (e a mezzo chilometro circa dal paese di Lavis) la serra, detta di S. Giorgio, alta venti m. e larga sessanta.
Come già accennammo, la valle bagnata dall’Avisio si divide in tre parti, chiamate Valle di Fassa, Valle di Fiemme e Val di Cembra. Dalla sorgente alla confluenza col Travignolo scorre la prima; come punto di divisione tra la seconda e la terza si può considerare la confluenza del Rio Cadino. La media pendenza dei confluenti dell’Avisio — specie se considerata’ con quella generale dell’Avisio di 21.1 al Km. — ci porge delle cifre altissime, le quali, mentre non ci meravigliano punto in prossimità delle sorgenti dell’Avisio tra le nude roccie, sono assai notevoli invece nella parte media e inferiore della valle e ci fanno pensare ai danni enormi di questi torrenti sé le pendici dei monti non fossero ricche di selve ben conservate.
Offriamo in questo specchietto gli elementi dei tributari dell’Avisio. Abbiamo tenuto conto di molti anche piccoli, per far notare la caratteristica generale dei corsi d’acqua di questa valle, vale a dire la brevità congiunta ad una rapidissima
pendenza.Tributari dell'Avisio
La lunghezza complessiva del corso dell’Avisio è di 87.3 Km. e vi corrisponde, come vedemmo, una pendenza media di m. 21.1 al Km. La sua larghezza minima in qualche punto della V. di Cembra non supera i quattro metri e la massima oltrepassa 1 Km. alla foce presso Lavis.
Nell’anno 1882 (celebre per l’inondazione) l’Avisio raggiunse la massima portata di 1220 Kmc. al secondo. Le piene dell’Avisio sono fra le più fatali al Trentino, specialmente nel corso inferiore. Si ha memoria di ripari e di arginazioni fatte presso la borgata di Lavis nel XIII-XIV secolo. Fra le arginazioni recenti il lavoro più cospicuo è quello della serra di S. Giorgio, a cui abbiamo già accennato.
L’Avisio serve molto alla fluitazione dei legnami, di cui la valle è ricchissima. Questo sistema della fluitazione risale a molti secoli addietro ed abbiamo un’ordinanza vescovile del 1581, mandata al luogotenente di Fiemme, collo scopo di obbligare i negozianti di legname alla contribuzione delle spese dovute per le riparazioni. Tale ordine fu ripetuto anche nel 161013.
Dei vari ponti, che esistono sull’Avisio, veramente importanti sono quello della ferrovia della Val d’Adige, costrutto in pietra, lungo circa 1200 m., sopra quello sterminato campo di ghiaie del conoide, che nei tempi di pioggia si tramuta in un’immensa fiumana; e quello presso la borgata di Lavis, costrutto in ferro, lungo 48 m., largo 6.20, alto 7.80, sopra lo specchio medio dell’acqua. I ponti della Val di Cembra sono per la maggior parte ponti pedonali, costrutti in legno o muratura, nè di maggior valore sono quelli della valle di Fiemme.
All’Avisio, data la sua pendenza (che relativamente non è molto elevata), la sua portata e la sua lunghezza, si può attribuire, e con maggior ragione che al Noce, il nome di fiumetorrente.
5. Sempre rasentando la parete occidentale della valle, l’Adige dopo Lavis corre in un alveo, che fu recentemente raddrizzato con un taglio all’Ischia Podetti14 (già Wolkenstain). In questa località si trovano allineate sopra una fronte di 350 m. una serie di polle (resorgive dell’acqua del Lago di Terlago) scolanti in un canale, che sfocia nell’Adige dopo un percorso di circa 1 Km., con una portata di 150 dm³ al minuto secondo in tempo di magra. Da questo punto l’Adige senza ricevere altri affluenti, corre in direzione rettilinea fino a Trento dove sboccano in esso, con direzione quasi perpendicolare al suo alveo, due valli, una alla destra e l’altra alla sinistra. L’occidentale è formata dal torrente Vela, che scende dal gruppo di Bondone in direzione da ostro a tramontana e poi da ponente a levante; l’orientale è formata dalla Fersina, che nella sua prima parte corre da greco a libeccio e quindi — tolte poche ed insignificanti deviazioni — da oriente a occidente. Ambedue queste valli laterali sono strette ed infossate nel loro corso inferiore, con un piccolissimo bacino di scolo, mentre s’allargano notevolmente nella loro parte superiore. Di esse la più importante è quella della Fersina, perchè più grande, ricca di giacimenti minerari, con acque perenni, e tristamente nota per le sue innondazioni fatali alla città di Trento, che ora lambisce e un tempo divideva in due parti.
Del torrente Vela null’altro noi abbiamo a dire, se non che esso scaturisce sotto la malga Vason a 1350 m. circa e scorre per 8.1 Km. con una pendenza media di 143 m. al Km.
Della Fersina dobbiamo parlare più distesamente. La linea di displuvio, che separa il bacino della Fersina dai bacini contermini, è assai decisa a settentrione e a greco, verso il bacino dell’Avisio, e nella parte orientale, verso il bacino degli affluenti di sinistra della Brenta, mentre appare assai dubbia e poco inarcata nella parte meridionale, verso il lago di Caldonazzo, per ridiventare poi chiara ed evidente a libeccio in prossimità di Trento. Tagliando a mezzo quest’ultima, tale linea corre dapprima da libeccio a greco sulla collina di Cognola nei pressi della città, s’innalza rapidamente a 1096 m. col monte Calisio e si mantiene quasi sempre alla stessa altezza, toccando il Corno (955 m.), il M. Gallina (946 m.), il Doss delle Greve (989 m.), il Doss dei Brusadi 891 m.), il M. Gorsa (1039 m.), si abbassa al lago di Lases (639 m.) che divide per metà, e si rialza subito alla vetta del M. Serra (1517 m.); piega bruscamente da maestro a scirocco, abbassandosi al Passo delle Piazze (1067 m.), per raggiungere l’altezza di m. 1957 nel gruppo di Costalta; si inflette di nuovo verso greco fino alla Cima Vasoni (2312 m.), detta Rochjoch dai Mocheni — punto più settentrionale dell’intero bacino — e quindi corre decisamente da N. a S., sfiorando la Cima di Palù (2032 m.), la Cima delle Scalette (2205 m.), la Cima di Sette Selle (m. 2396), il Sassorotto (2321 m.), la Sopra Conelle (2308 m.), il Laiton (2383 m., detto Gronlaìt dai Mocheni) e il Fravort (2234 m.); si volge quindi nella direzione da levante a oriente, toccando la Panarotta (2002 m.) e la Cima d’Orno, attraversa indecisamente le colline e il piano di Pergine; risale dalla collina di Susà alla Terra Rossa (1736 m.), al Chegul (1471 m.), e scende perpendicolare alla valle dell’Adige in un punto, che si trova rimpetto al paese di Ravina; e va quindi a ritroso del fiume per circa 3 Km. fino alla foce della Fersina.
Fatti speciali, sui quali avremo occasione di tornare nel corso del presente lavoro, ci impediscono di dare a questa linea da noi tracciata un valore assoluto e definitivo. Fu anzitutto constatato che nei periodi di piena il lago di Lases, posto nell’insenatura fra il M. Gorsa (1039 m.) e il M. Serra (1517 m.), sommità tagliate dalla linea di displuvio, scarica le sue acque, parte nel versante dell’Avisio e parte in quello della Fersina. Ma non è altrettanto sicuro che ciò avvenga (per via sotterranea) anche nei tempi normali. Un problema simile si presenta per il Lago Santo, che, oltre a un canale di scolo superficiale verso l’Avisio, pare dia origine a sorgenti disposte nel bacino della Fersina. Questi fenomeni possono allargare notevolmente il bacino imbrifero, in modo che si può avere un bacino superficiale inferiore al vero bacino reale, reso maggiore dalle comunicazioni sotterranee. Fenomeni analoghi sono frequenti nei paesaggi carsici15 ; nel bacino della Fersina, dove non v’è la menoma traccia e neppure la possibilità di forme d’erosione carsiche, essi assumono una speciale importanza, ma di ciò parleremo in seguito; e in seguito pure ci converrà parlare di un canale artificiale, che presso Pergine asporta dalla Fersina una discreta quantità d’acqua, che poi scorre nella Brenta.
La Fersina16 ha un bacino imbrifero di 182.73 Kmq. e nasce da due laghetti (2050 m.), ai piedi della Cima di Cave (2219 m.), uno dei quali è detto Lago di Nardemole. Il torrente, appena uscito dai laghi, ristagna a poca distanza in un terzo laghetto, per correre poi rapidamente in direzione da S. a N., discendendo di 550 m. in 2 Km. di lunghezza. Si volge quindi in direzione da greco a libeccio e scorre meno impetuoso nella vasta e verdeggiante conca di Palù, ricevendo il tributo di molti rigagnoletti, che in esso si versano da tutte le parti quasi a guisa di ventaglio. Tratto tratto il torrente sparisce all’occhio dell’osservatore e si disperde nelle praterie paludose: la valle vien man mano restringendosi e nuove acque il torrente riceve alla destra e alla sinistra da ruscelli di secondaria importanza, di cui il maggiore è il Mühlbach. Proprio là dove si precipita questo torrentello, la valle si restringe e tutto il corso superiore del torrente — toltane la prima rapidissima discesa da ostro a settentrione — ci appare come l’asse longitudinale di un’elisse.
A questo primo ovale ne segue un secondo di minore estensione, che si rinchiude al Dos del Cius, dove il torrente scorre profondo e incassato. I torrenti, che sfociano in questo tratto, cominciano ad essere più importanti. Abbiamo a destra le vallate di Mala, dei Ponti e di Viarago, a sinistra il Rigoler. Quest’ultimo, lungo 5 Km., ha una media pendenza di 200 m. per Km.
Nella prima elisse la pendenza media della Fersina è di m. 85 per Km., nella seconda di 100 m. al Km. Tutta questa parte del fiume fino alla stretta del Cius si conosce col nome di Val dei Mocheni. Dopo la stretta del Cius il letto del torrente si allarga nuovamente e invade colle sue ghiaie buona parte del pianoro di Pergine, per poi restringersi gradatamente ed in fine abissarsi in un’oscura gola che lo conduce a Trento.
A Pergine nella località detta alla Stanga per mezzo di un canale artificiale si asporta dalla Fersina una piccola massa d’acqua (400 dm³ al m. s.) che, attraversata la borgata di Pergine, va a sboccare nel Lago di Caldonazzo e per esso nella Brenta.
Dopo Pergine sfociano nell’alveo della Fersina alcuni torrenti, uno dei quali, il Sila, per la quantità e per la perennità delle acque può dirsi ad essa rivale.
Essi sono a destra il Rio Nero, il Rio di Costa, il torrente Sila, la Farinella o R. di Civezzano; alla sinistra il Rio di Roncogno e il Sale.
Il Rio Nero (lungo 7.50 Km.) nasce nella località Fadalto a 1400 m. ed alimenta l’officina elettrica di Pergine. Esso ha una portata media di 150 a 300 dm³ al m. s.
Le origini del Sila si devono cercare nella montagna di Costalta e sono costituite dalle varie polle, che formano molti rigagnoletti, defluenti, parte superficialmente, parte fra i rottami, di cui è sparsa la montagna, nel lago delle Piazze. Questo alla sua volta alimenta con un canale di scolo il Lago della Seraia ed ha per emissario il Sila. Il Sila, uscito dal lago della Seraia, attraversa la parte settentrionale dell’altopiano di Pinè e poi scende rapidamente a cascatelle e sbalzi e congiunge le sue acque con quelle, che defluiscono dal laghetto della Val di Fornace.
Al Ciré — località che servì spesso di accampamento agli eserciti diretti verso Trento, fra gli altri a quello del generale de’ Medici nel 1866 — esso sfocia nella Fersina, nel punto in cui questa comincia ad abissarsi.
Il bacino imbrifero del Sila è di 40 Kmq.; il suo percorso di 8.4 Km.; la sua pendenza dal L. della Seraia (974 m.) alla foce (circa 430 m.) di 64 m. per mille.
Degli altri affluenti il Salè nasce sul lembo occidentale della Marzola a circa 750 m. e, in tempi non molto remoti, sfociava direttamente nell’Adige; ora, dopo i lavori di arginatura all’estremo corso della Fersina, il suo letto fu deviato ed esso divenne tributario della Fersina.
Come abbiamo già detto, la Fersina attraversa il pianoro di Pergine ed è in questo tratto che riceve i due importanti immissari di destra. Dal Dos del Cius — porta d’ingresso nel piano — al Cirè, dove l’alveo del torrente si restringe, il suo corso diretto da oriente a ponente misura Km. 5.20, la sua pendenza è di m. 17 al Km. Nel tratto da Cirè a Trento, lungo 5 Km., la Fersina riprende la direzione da greco a libeccio, si sprofonda fra due strette pareti e balza per quattro serre: quella di Chantangel, della Madruzza, di Pontalto e di Ponte Cornicchio.
La prima venne costrutta sotto il forte di Cantànghel (Untere Strassensperre); la seconda e la terza serra si trovano presso la casa detta Pontalto in prossimità di Trento; la Madruzza ha 15 m. d’altezza e la terza (detta di Pontalto) è di m. 38; la quarta di Ponte Cornicchio, all’estremità orientale di Trento, è presso l’officina elettrica della città.
Lungo la città, la Fersina corre attualmente pensile sulla circostante pianura fra robustissime arginazioni e, prima di sfociare nell’Adige, dilaga vastamente, signoreggiando e invadendo colle sue ghiaie estesi territori. Alla foce essa, misura 1 Km. di larghezza, mentre dove essa è arginata, non supera i 20 m. La caduta complessiva della Fersina (cioè il dislivello fra la sorgente e la foce) è di m. 1866 ; la sua lunghezza di Km. 29.50 la sua pendenza media di m. 63 per 1000.
La Fersina, uscita dalla stretta di Pontalto, non si dirigeva un tempo, come ora, in direzione SW. ma attraversava la città di Trento in direzione da E. a W.17. Il più antico alveo della Fersina, di cui s’ abbia conoscenza, taglia nel mezzo la città di Trento e si vuole far risalire all’età romana. Gli argini di quest’alveo si trovarono nell’attuale Piazza d’Armi, nella Via Calepina e nella Piazza dietro il Duomo. Un secondo alveo abbandonato fu scoperto presso Piazza della Fiera, parallelo al primo. Quando sia avvenuto questo primo spostamento è difficile a indagarsi. Di certo si sa che sotto il vescovo Bernardo Clesio (1514-1539) la Fersina fu allontanata ancor più dalla città e incanalata nella direzione attuale. Solo recentemente si fece qualche leggiero spostamento di minima importanza.
La portata media della Fersina presso Ponte Alto è di 1000 dm³ al m. s., quella delle magre ordinarie di 800 e quella delle straordinarie di 500 dm³.
La massima magra osservata dal 1886 in poi fu di 340 dm³ La massima portata di piena finora osservata fu di 155 dm³ al secondo.
Durante le piene la Fersina trascina con sè un’enorme congerie di materiale porfidico, e questo spiega l’azione fortissima che, esercitò sul proprio letto. Anzitutto essa valse a terrazzare tutto il pianoro di Pergine, che un tempo inquinava colle sue acque e attraverso il quale assai probabilmente si versava nel lago di Caldonazzo18e quindi nella Brenta. Poi, trovatasi forse preclusa la via dal cono alluvionale del Rio di Roncogno, si gettò nella profonda spaccatura, che va da Trento a Pergine ed è dovuta a dislocazioni tettoniche. Entrata in questo letto, lo approfondi notevolmente, specie sotto Pontalto, dove trovò presa negli strati di scaglia, facilmente erodibili.
Le piene della Fersina furono sopratutto dannose alla città di Trento, che, per premunirsi contro la furia del torrente, costrusse argini fin dai tempi più remoti e creò consorzi, che dovessero pensare alla difesa del torrente. L’opera più impor tante di arginazione è la serra di Pontalto, iniziata sotto il vescovo Clesio e modificata e ricostrutta continuamente fino ai tempi nostri.
Ora l’acqua della Fersina viene sfruttata dai ritrovati moderni delle scienze; dal 1890 Trento, mercè l’officina elettrica situata sulla sponda della Fersina e da esso alimentata, ne ritrae benefici grandissimi.
La valle superiore della Fersina è priva di ponti, come di vie. I Mocheni, abitanti di quella plaga, non hanno mai voluto sentir parlare di strade; invece di strade si accontentano di adoperare il letto del torrente quando non è in piena e di far viaggi grandissimi sulle montagne, quando il torrente è gonfio. Si ha così nel cuore del Trentino un’oasi, che sotto l’aspetto della viabilità rappresenta le condizioni dei popoli selvaggi.
Nel pianoro di Pergine si hanno dei ponti in legno, che comunicano colle varie strade, che portano sull’altopiano di Pinè. Ponti in pietra si hanno nella parte inferiore, nelle vicinanze di Trento. Do in nota l’elenco dei più importanti, con alcune indicazioni 19.
6. Fra Trento e Rovereto sfociano nell’Adige torrentelli di poca importanza. Essi sono a destra il Rivo di Sardagna, che precipita con una cascata notevole, la Val dei Tovi, che ha costrutto un largo conoide, sul quale sorge il paese di Ravina, la Valle Magno e la Valle di Cei; alla sinistra il Rio di Vaifonda, che sfocia a Matarello, dove si fece un taglio per raddrizzare il corso dell’Adige, il Rio Secco, presso Besenello e il Rossbach presso Calliano. L’azione di questi due torrenti avea creato delle larghe risvolte nel letto del fiume, che recentemente furono levate. Il Rossbach, che alcuni vorrebbero chiamare Rio Cavallo o Rio di Calliano, ha un percorso di 9.5 Km. ed esce dal laghetto intermittente di S. M. in Echen (1268 m.).
A Rovereto sfocia nell’Adige l’ultimo dei torrenti importanti, che lo alimentano nel bacino medio. E il torrente Leno, il cui bacino imbrifero è limitato dalla linea, che parte dalla Cima Posta (2200 m.), all’estremità SSE. della valle, corre attraverso le cime Levante (2021 m.), Mezzana (1647 m.), Corni Zugna (1865 m.), Zugna Torta (1257 m.), abbassandosi presso Lizzanella all’Adige (m. 175 circa). Risale poi sul versante opposto (tagliando Rovereto), al Monte Finoncio (1603 m.) e al M. Maggio (1857 m.) posto all’estremità NNE. della valle; di lì al Pasubio (2236 m.) e attraverso il piano delle Fugazze raggiunge per il M. Baffelan (1791 m.) la Cima Posta.
Il Leno è formato dalla confluenza del Leno di Vallarsa col Leno di Terragnolo. Di questi il primo nasce sotto al Pian delle Fugazze a circa 1000 m., e, correndo, sempre in mezzo a rocce calcaree, accoglie le acque delle vallette laterali, (a sinistra: delle Frenche, di Sinello, di Chegerlon; a destra: di Prigione, di Piazza, del Ciore, dei Foxi, del Grobe) percorre Km. 18.1 spesso in mezzo a dirupate pareti e prima di unirsi al Leno di Terragnolo, riceve le acque delle sorgenti dello Spino (una delle quali assai notevole perchè intermittente e perchè prima di emetter l’acqua, in primavera, manda boati e muggiti) che, secondo recenti studi, non sarebbero se non vene d’acque sotterranee dello stesso Leno, che si infiltrano attraverso le ghiaie del fondo di un antichissimo letto del torrente20.
Il Leno di Terragnolo nasce alla Malga Culva, in Val Culva, a 1082 m., scorre in un bacino formato prevalentemente da gessi e da calcare diphia, riceve tributo d’acque, a sinistra dalla Val Zuccaria e dalla Val di Sole, a destra dalla Val dei Punti e dalla Val Grande e, traversando una valle desolata, dove si vedono campicelli in mezzo alle ghiaie del torrente o quasi sospesi sui franosi pendii, percorre fino allo stretto ed orrido varco di S. Colombano (punto di confluenza a 300 m. circa) 15 Km. Da S. Colombano fino all’Adige il Leno percorre fra terreni alluvionali Km. 4.1. La media pendenza del Leno di Vallarsa è di 52.1 per mille, quella del Leno di Terragnolo di 38.6 e quella del Leno da S. Colombano alla foce di 30.4 per Km.
La portata media del Leno di Terragnolo è di 800 dm³ al m. s., la minima di 600; quella del Leno di Vallarsa oscilla fra i 1000 e i 1400 dm³, la minima è di 790. Dei vari ponti, che traversano i due Leni, i più importanti sono quelli di S. Colombano, della Cartiera Nuova, di S. Maria, della ferrovia e il Furbetto. Di essi do in nota gli elementi principali21.
Il Leno si presta molto alla fluitazione di stanghe, pel Leno di Vallarsa essa è valutata a 400.500 stanghe all’anno e pel Leno di Terragnolo a 100.000.
Nella Valle Lagarina l’Adige — entro i confini del Trentino — riceve ancora a destra: il R. Cameras, che esce dal Lago di Loppio, il Sorne, che sbocca presso Chizzola e il Viana che sbocca ad Avio; alla sinistra: la Val Cipriana, il torrente S. Valentino, il torrente Ala (che nasce alle falde del Castelletto a 1727 m. e percorre la Valle dei Ronchi), la Val Fora, la Val Fredda e la Val Rocapia.
7. Uscito dal territorio trentino l’Adige conta fra i suoi più importanti affluenti prima di Verona: a destra, il Tasso, alla sinistra i progni di Fiumane, di Negrar; dopo Verona, alla sinistra la Val Pantena, la Val Squaranto, la Val Mezzane, il progno d’Ilasi e l’Alpone; sul fianco sinistro si staccano dall’Adige il Naviglio Adigetto, il Canale di Loreo, che col Canal Bianco vanno nel Po; a Cavanella d’Adige si stacca a sinistra il Canal della Valle. L’Adige sbocca nell’Adriatico a Porto Fossone, producendo un interramento, che pel periodo degli ultimi 70 anni venne calcolato assieme a quello della Brenta di 9 Kmq.
L’Adige, uscito dalle Alpi, mantiene quasi uguale il suo declivio (m. 0.94 al Km.) fino ad Albaredo, mentre dal piede delle Alpi al mare esso ha una pendenza media di m. 0.5 per Km. ed una lunghezza di 176 Km. Sotto Albaredo invece esso scorre più alto delle campagne circostanti, il che non succede che per rari e brevissimi tratti del corso medio. In certi luoghi, p. e. tra Legnago e Boara Pisani, il letto sovrasta di 3, 4 e più metri alla pianura. Nella sua corsa da Albaredo al mare si abbassa appena di 21.8 m. cioè 2 dm. per Km. La sua direzione fino a Verona è longitudinale come quella del corso medio; da Verona a Badia, da maestro a scirocco; da Badia al mare ancora da ponente a levante e, quindi, talora in vallate longitudinali, talora in trasversali.
Al punto di confluenza coll’Eisack, l’Adige comincia ad essere navigabile; però un vero movimento di navigazione nel fiume non esiste che nel corso inferiore. Prima della costruzione della ferrovia del Brenner erano frequenti le zattere di legnami, che da Bolzano e da Trento si fluitavano al mare.
Un documento del 1181 ci ricorda che Egna era l’arsenale, dove si fabbricavano le zattere, e il magazzino dei legnami condotti dalla Valle di Fiemme attraverso il passo di S. Lugano. Nell’anno 1188 vengono concesse prerogative ad una corporazione di zattieri dal vescovo Alberto. Stazioni di zattere si avevano alle foci di tutti i torrenti e ai principali sbocchi stradali, a Bolzano, a Egna, a S. Michele, a Lavis, a Trento presso la Torre Verde, a Calliano, a Sacco — chiamato porto in alcuni documenti del sec. XIII — e ad Avio.
Il transito di zattere sull’Adige durò fino, alla metà del secolo nostro e si mantenne così vivo, che nel 1801 la navigazione nell’Adige era presa in considerazione nell’articolo XVII della pace di Luneville22.Ora è un caso se si vede nell’Adige a Trento o a Rovereto qualche zattera di legnami; però da Legnago fino allo sbocco nell’Adriatico il fiume è percorso da navigli di mole considerevole.
Riepilogando quanto dicemmo sul corso dell’Adige, noi lo possiamo considerare diviso in tre parti: la prima, nella quale esso ha una massima velocità e corre tra una serie di montagne ricchissime di ghiacciai. Questa parte termina a Bolzano e copre, secondo il Penck, una superficie di 6867 Kmq.
Secondo il Ritter appartengono a questa prima sezione dell’Adige 155 ghiacciai con una superficie di 223.6 Kmq.
Nella seconda parte, da Bolzano alla confluenza col Tasso, è minore la sua pendenza, minore il numero dei ghiacciai (che sono 30, con una superficie di 53.9 Kmq.), che gli portano tributo d’acque, e più stretto il suo letto. La superficie è di 3925 Kmq., di cui 112 appartengono al territorio del Regno d’Italia.
Nella terza parte, costituita dalla pianura, la sua pendenza è addirittura minima. La superficie è di 3812 Kmq., la media larghezza di 21 Km.
Tutta la superficie del bacino dell’Adige è di 14.604 Kmq.23 e la media larghezza di 36 Km. La sua lunghezza reale è di 404 Km.24, mentre la linea retta, che unisce la sorgente colla foce, è di 235 Km., cosicché la lunghezza reale è 1.70 della minima, a cui potrebbe essere idealmente ridotto.
L’Adige, quantunque non scorra tra le Alpi che per poco più della metà del suo percorso, può dirsi un fiume alpino, avendo nelle Alpi gran parte del suo bacino. Il territorio nel quale esso scorre, ci si presenta diviso in due triangoli; uno, compreso interamente nelle Alpi, la cui base coincide con la cresta centrale di esse, tra Reschen e Birlucke e di cui il vertice è ai piedi delle Alpi stesse. Esso comprende 228 Km. del corso e circa il 73% dell’area del bacino dell’Adige; il secondo triangolo poggia sulla cresta dei Lessini ed ha il suo vertice allo sbocco del fiume. Racchiude più di ¼ del bacino e quasi la metà del corso. Solo un terzo di esso giace nelle Alpi, occupando la schiena murale delle stesse.
Secondo i Cenni monografici la portata minima dell’Adige alla pianura è di mc. 100 al secondo, la media di 220, la massima di 2500. A Trento 25 la massima magra assoluta del periodo 1862-1890 si verificò nel Gennaio 1885 e ad essa corrispose una portata di 72 mc. La portata media è di 322 mc. La massima piena si ebbe a Trento il 10 Settembre 1882 e ad essa corrispose una portata di 2305 mc. al secondo, portata, che sarebbe salita a 3305 mc. se non lo avessero impedito le varie rotte delle arginazioni. La portata media delle massime piene è di 1095 mc. al m. s.
Lungo l’Adige sono numerosi gli idrometri: nel territorio trentino ce ne sono 18. Il primo è quello al confine del distretto di Bolzano, che ha lo zero a m. 206.368; l’ultimo quello al ponte di Sacco collo zero a m. 166.397. Dalle operazioni fatte nel periodo 1862-90 risulta che il livello medio dell’Adige è di m. 1.08 sopra lo zero degli idrometri, che in media giacciono a due metri sopra il fondo delle acque.
Nel periodo della magra assoluta (Gennaio 1885) il livello era a m. -0.45 all’idrometro di S. Lorenzo presso Trento.
Il livello massimo constatato si ebbe al 18 Settembre 1882 con +6.11 sopra l’idrometro di S. Lorenzo. Il mese dell’anno, in cui si hanno le maggiori magre è il Febbraio, al quale seguono il Marzo, il Gennaio, il Dicembre, l’Aprile. In tutti questi mesi il livello del fiume è sotto la media assoluta; nel Maggio il fiume comincia ad elevarsi sopra il medio livello, sotto il quale ritorna alla fine di Ottobre. I massimi elevamenti del livello avvengono nei mesi di Settembre e Ottobre.
Terribili sono i disastri, che le rotte dell’Adige arrecano nel corso inferiore, dove esso scorre come un fiume pensile; ma non meno gravi sono i danni, che funestano di frequente il Trentino. Secondo il Biadego si ebbero a Legnago, dall’anno 589 al 1883, ben 238 inondazioni, delle quali il 60% in primavera, il 33% in autunno, il 7% in estate. Le piene nali sono improvvise e terribili; le primaverili invece sono insistenti, ma meno pericolose, per la maggior lentezza nello scioglimento delle nevi.
Delle cause meteorologiche, che determinano le piene dell’Adige, parlerò in altra parte di questo lavoro; qui è necessario ricordare che fra le altre cause vanno annoverate il diboscamento e la mancanza di coordinazione nell’arginazione del fiume, che appartenne ed appartiene a differenti governi.
Il Bruckner26 e dietro a lui il Weber von Ebenhoff27, servendosi del ricco materiale storico sulle inondazioni dell’Adige, raccolto dal Biadego, dal Bocchi e da altri, tentarono alcune induzioni sulla periodicità delle inondazioni nel medio e nell’alto bacino dell’Adige.
La più antica inondazione, di cui ci siano notizie esatte, è quella del 1757. Trentadue anni dopo, nel 1789, seguì un’altra terribile inondazione. Ancor trentadue anni più tardi s’ebbe quella del 27-28 marzo 1821. E finalmente nel 1855 si ricorda la celebre rotta dell’Adige nella Val Venosta. Il Weber osservò inoltre che queste grandi inondazioni non avvengono isolate, ma accompagnate da altre, giacché nel primo decennio dei 32 anni si hanno in media 5 inondazioni, mentre nei rimanenti 20 anni un’inondazione è un caso eccezzionale.
In conclusione l’Adige avrebbe in un secolo tre periodi di
piene; il primo nel secondo decennio, il secondo nel quinto,
il terzo nel nono. Ecco i dati degli ultimi periodi:
- 1747-1758.... (4 inondazioni: 1747, 51, 57, 58)
- 1780-1789.... (5 » 1780, 87, 88, 89)
- 1816-1829.... (5 » 1816, 17, 21, 23, 29)
- 1844-1855.... (5 » 1844, 45, 46, 51, 55)
- 1882-1890.... (4 » 1882, 85, 88, 90)
I periodi intermedi furono:
- 1769-1779.... (alcune piccolissime inondazioni)
- 1790-1815.... (1 inondazione nel 1806)
- 1830-1843.... (nessuna inondazione)
- 1856-1881.... (1 inondazione nel 1868).
Parrebbe dunque, che le inondazioni dell’Adige avessero ogni 32 anni un turno, dal quale si scosterebbero solo le inondazioni del 1806 e del 1868.
Le piene dell’Adige più memorabili nel Trentino si trovano segnate a Trento sull’idrometro alla Portela, punto più depresso della città, e nel paese di Sacco. I dati di quest’ultimo hanno maggiore attendibilità, poiché a Sacco il letto del fiume è roccioso e pochi cambiamenti possono essere in esso avvenuti. Ecco in ordine cronologico le piene indicate sull’idrometro di Sacco.
1445 | +0.47 | 21 | Ottobre | 1841 | +0.08 | ||
2 | Settembre | 1757 | +0.94 | 31 | Agosto | 1845 | +0.17 |
7 | Settembre | 1766 | +0.67 | 3 | Ottobre | 1868 | +0.58 |
11 | Ottobre | 1789 | +0.27 | 17 | Settembre | 1882 | +1.48 |
All’idrometro di Trento sono indicate due piene del 1500; la prima del 1512 (altezza sopra l’idrometro 4.31) la seconda del 1566 (altezza 4.82).
Sulla temperatura delle acque dell’Adige vennero fatte delle osservazioni quotidiane presso Trento dal 1876 al 1885, per opera del ministro della guerra conte Kuhn. Tali osservazioni furono studiate e raccolte dal Forster28. Io ne riporto in compendio i risultati definitivi in due specchietti.
Medie mensili della temperatura dell’Adige a Trento dal 1876-85.
Gennaio |
2°.9 | Luglio |
15°.4 |
Febbraio |
4°.9 | Agosto |
14°.5 |
Marzo |
7°.6 | Settembre |
13°.6 |
Aprile |
11°.1 | Ottobre |
10°.0 |
Maggio |
12°.2 | Novembre |
5°.7 |
Giugno |
14°.0 | Dicembre |
3°.6 |
Media annua | 9°.7. |
Differenza
della temperatura dell’aqua in confronto di quella dell’aria (1876-85).
Gennaio |
2°.2 | Luglio |
-7°.8 |
Febbraio |
0°.8 | Agosto |
-6°.9 |
Marzo |
-1°.0 | Settembre |
-4°.2 |
Aprile |
-1°.45 | Ottobre |
-2°.0 |
Maggio |
-4°.6 | Novembre |
-0°.0 |
Giugno |
-6°.9 | Dicembre |
-2°.2 |
Media annua | -2°.5. |
Temperatura dell’acqua.
Inverno |
3°.7 | Estate |
15°.0 |
Primavera |
10°.3 | Autunno |
2°.8 |
Differenza fra la temperatura dell’aria e quella dell’acqua.
Inverno |
-1°.6 | Estate |
-7°.2 |
Primavera |
-2°.35 | Autunno |
-2°.1 |
Risulta da questi dati che l’Adige nei tre mesi estivi è più freddo di 7°.2 dell’aria, mentre d’inverno è più caldo di 1°.7. Nella media annua il calore è inferiore di 2°.5 alla temperatura dell’aria. La massima temperatura si ha nel mese di Luglio e Agosto, con una media di 15°.4 e 15°.5. Nel mese di Novembre la temperatura dell’acqua è identica a quella dell’aria.
Questi dati si riferiscono alla temperatura delle acque alla superficie; sulla temperatura dei diversi strati non s’è ancora fatto alcun studio. Basandosi sui dati da noi sommariamente esposti, il Forster classifica l’Adige fra i cosi detti fiumi di ghiacciaio, che hanno nell’inverno una temperatura superiore a quella dell’aria ambiente, mentre nell’estate il calore dell’aria esterna supera di molto quello della corrente acquea. Nella media annua tali fiumi hanno una temperatura inferiore di almeno 1°.0 a quella dell’aria.
Poche furono le determinazioni fisico-chimiche fino ad ora eseguite sull’acqua dell’Adige29. La minima quantità di materia sospesa in un metro cubo d’acqua — constatata nell’Adige presso Verona — fu di 0.05 Kgr. nel mese di Febbraio; la massima di Kgr. 12.305 in Settembre. Riproduco in un quadro i valori del peso medio mensile delle materie sospese in un metro cubo, secondo le ricerche del Dal Sie, fatte nel 1877-78, tenendo conto delle oscillazioni del livello.
Si vede da questi dati, che il minimo e il massimo delle materie contenute non rispondono sempre alla massima o minima depressione dell’acqua, il che, secondo il Del Sie, pare derivi da ciò, che il decantamento dell’acqua nei tempi di magra avviene lentamente, e l’intorbidamento avviene rapidissimo nei periodi di piena.
Nelle alluvioni dell’Adige da Egna a Trento sono assai scarsi gli elementi calcarei, che abbondano invece nel tratto da Trento a Verona; ciò dipende dal fatto, che nel bacino dell’Adige, a monte di Trento, prevalgono le roccie cristalline, le quali forniscono il felspato roseo, l’augite verde e i granelli di pasta felsitica, che caratterizzano le sabbie del fiume fino a Trento, mentre a S. di Trento predominano le roccie calcaree.
Nell’Adige è notevole la variazione di colore constatata nelle sabbie profonde. Queste hanno un colore verdiccio o grigio freddo, che differisce assai dal colore delle moderne e superficiali. La spiegazione di tale varietà di colore va cercata in fenomeni chimici della riduzione o dissodazione. Come varia secondo i mesi la quantità di materia sostenuta in sospensione nelle acque dell’Adige, così queste variano anche per la composizione nei diversi mesi dell’anno, mentre si ritengono costanti rispetto alla composizione, le acque dei fiumi, che escono dai grandi bacini lacustri.
Ci resterebbe a dire qualche cosa dell’Adige sotto l’aspetto antropogeografico: delle arginature, dei cambiamenti di letto, che esso subì per opera dell’uomo e dei ponti, che uniscono le sponde. Ma pel primo argomento preferiamo rimandare il lettore alle molte memorie 30 di carattere tecnico, riassumendo solo le notizie di maggior conto, riguardanti il territorio trentino in questo secolo; pel secondo ci limiteremo a dare gli elementi dei principali ponti, che traversano l’Adige nel territorio trentino, omettendo di parlare di quelli del bacino superiore e di quelli grandiosi di Verona e della pianura veneta in genere.
Un rilievo topografico e idrotecnico del fiume fu fatto negli anni 1803, 1804 e 1805 per ordine di Francesco I. Ma, sopravvenuta nel 1805 l’invasione francese, i lavori furono sospesi. Furono ripresi nel 1813 e, dopo che fu stabilito un piano di regolamento, l’imperatore vi assegnò una dotazione annua di 30.000 fiorini. I lavori furono iniziati nel 1817 e suddivisi in tre parti secondo i circoli di Bolzano, Rovereto e Trento. Se non che, le rettifiche operate nella sezione superiore, portarono dubbi vantaggi al circolo di Bolzano, e funesti danni alle sezioni inferiori. Si fecero nuovi progetti e questi furono a lungo osteggiati. Si iniziarono alcuni lavori di regolazione all’Ischia Perotti e a Lidorno, per correggere le viziose curve determinate dalla violenza della Fersina; nel 1852 si fece il taglio di Virginia; nel 1855-58 quelli di Briamasco, di Centa e Nomi. Dopo il 1868 si fece il progetto di migliorare radicalmente le condizioni del fiume e a tale scopo lo si divise in tre sezioni (una da Merano a Bolzano, una seconda da Bolzano a S. Michele, una terza da S. Michele al confine) e si fecero altrettanti consorzi. I lavori, metà a spese dei consorzi e metà a spese dello Stato, furono iniziati nel 1879. La piena terribile del 1882 mise sossopra le arginazioni della terza sezione già ben avviate presso Nomi, Calliano e Mattarello, e indusse ad una riforma nel piano del lavoro, consistente nell’elevamento di un metro di tutti gli argini. Dopo il 1882 e dopo il 1890 il governo decretò nuovi importi per la regolazione dell’Adige nella provincia del Tirolo.
I principali ponti, che congiungono le opposte sponde dell’Adige, nel territorio trentino sono:
8. Separato per mezzo del Buco di Vela dal bacino dell’Adige a pochi, Km. di distanza da Trento, s’incontra il bacino del Sarca.
Esso è racchiuso, nella parte spettante al Trentino, dalla linea di displuvio, che, partendo dalla Presanella (3564 m.) all’estremità NNW. della valle, corre prima a W, poi verso S., lungo il confine politico, tagliando le vette del Lago Scuro (3164 m.) e del Mandrone (3291). Abbandona quindi il confine e sfiora la Vedretta della Lobbia, il Carè Alto (3465 m.), il Cop di Breguzzo (3002 m.), la Cima di Vaibona (2890 m.). Di qui in direzione di E. corre al M. Penna (2249 m.), al M. La Roda (2168 m.), al Palone (1641 m.), e, traversando il displuvio tra il Lago di Ledro e il Palvico, risale al Tremalzo (1975) al M. Tombea (1947 m.) e al Cingla (1670 m.), donde continua attraverso la linea di vetta delle prealpi bresciane nel territorio del Regno, fino a Salò. Sul versante opposto, il limite del bacino corre sulla cresta del Baldo e segue la linea di displuvio Adige-Sarca, già da noi indicata, fino alla Presanella.
I limiti del bacino inferiore, col Chiese a occidente e coll’Adige a oriente — dopo che il Sarca, uscito dal Carda, assume il nome di Mincio — corrono incerti nella pianura padana. La superficie complessiva del bacino secondo lo Strelbitsky è di 3057.00 Kmq., dei quali 1290.83 appartengono al Trentino. Il Sarca nasce in due rami: Il primo e più importante è il Sarca di Genova, che scaturisce dalla Vedretta della Lobbia a 2050 m., scorre in mezzo a rocce granitiche sul Pian di Cuc (1569 m.), s’interna tra le pareti solcate dai rigagnoli della Val di Cercen e di Gabbiolo, balza per una cascatella e, entra nelle vaste praterie di Caret (1419 m.), qua e là disseminate di massi granitici; indi, nella direzione da ponente a levante, si precipita flagellando i massi di tonalite per una serie di balze, rupi e scaglioni imponenti; a destra riceve Tacque delle valli Stablel, Fargorida, Làres, Seniciaga; a sinistra quelle della Rocchetta e del Nardis. Il Làres, che scende dal ghiacciaio omonimo, il Nardis, (V. illustr. a pag. 107) che cola da quello della Presanella, si uniscono al Sarca formando due cascate maestose. La prima, di circa un centinaio di metri, è la più selvaggia e pittoresca del Trentino e può gareggiare con le più celebri del Tirolo e della Svizzera. La valle, che il Sarca percorre dalle sorgenti fino a Carisolo, chiamasi Val di Genova ed è celebre nel mondo turistico per la sua alpestre bellezza e come punto di partenza alle vette dell’Adamello e della Presanella; è non meno nota per le leggende strane create intorno ad essa dalla fantasia popolare.
Dalle sorgenti a Baldino (a circa 780 m.) esso misura 17.5 Km. e si precipita con una pendenza media di m. 72,5 per Km. A questo punto si unisce col Sarca di Campiglio (Val Nambino), che ha origine dal lago di Nambino (1769 m.) alla sua volta alimentato dagli emissari del Lago di Serodoli e Lago Nero (2385 m.) e da molti altri piccoli bacini lacustri. In esso confluiscono: a destra il Sarca di Nambron (col Cornisello e col Sarca d’Amola) e il Rio, che scende dal Lago Ritorto (2057 m.); e a sinistra il Sarca di Valagola.
Dopo Baldino, il Sarca rallenta di molto la sua corsa, volgo a Tione e placidamente percorre la Val di Rendena, in mezzo a terreni alluvionali, reso più forte dai torrenti Borzago, Valentino e Finale, che in esso sfociano a destra. A NE. di Tione v’affluisce l’Arnò, all’altezza di 435 in. Si ha così una media pendenza pel tratto da Baldino a Tione (lungo Km. 15.8) di m. 15.5 per Km. Dopo la confluenza con l’Arno il Sarca si volge da ponente ad oriente. Morfologicamente però il suo prolungamento dovrebbe avvenire e deve essere avvenuto in direzione da NE. a SW. giacchè la valle che si apre a. NE. del lago d’Idro continua fino a Pinzolo ed è percorsa in parte dal Chiese, in parte dal suo affluente l’Adanà, e in fine dal torrente Arno che a breve distanza da quello corre in direzione diametralmente opposta e si versa nel Sarca31. Lo spartiacque quasi insensibile fra il Sarca e il Chiese (Arno e Adanà) è presso il laghetto di Roncone (786 m.) nel quale ristagna l’Adanà. Nel suo corso da W. a E. il Sarca corre avvallato tra profondissimi dirupi fino alle Arche, dove il pelo dell’acqua è a circa 400 m.
In questo tratto percorre 12.8 Km., con una pendenza media di m. 10.5 al Km., e riceve alla sinistra i torrenti Manez, Dalgone e Saon, alla destra il Ridenér e il Lomasone. Di nuovo il torrente si inabissa fra rocce calcaree in una stretta profonda, eletta di Limarò, e, arricchito dall’acque dell’Ambiez e di quelle che il Lago di Molveno, scaricandosi sotto terra, gli porta col Rio di Bondai a sinistra, esce alle Sarche da quelle angustie, in mezzo ad un’aprica valle circondata di ridenti colline. Gli scorre parallelo il Rimon, che esce dal Lago di Toblino e, dopo 4.7 Km. di percorso, si getta in quello di Cavedine, per uscirne tosto in un canale, che s’allaccia al Sarca; nella sottostante pianura conta un solo affluente notevole, il Salagoni, e, serpeggiando maestosamente, si versa e ristagna nell’ampio bacino del Garda. Dalle Arche alle Sarche (263 m.) il torrente è lungo 8.55 Km., con una media pendenza di m. 16.2 per mille, e dalle Sarche al Garda (65 m.) Km. 22.55, con un declivio medio di m. 8.78 per Km.
Complessivamente il Sarca, dalla sorgente alla foce nel Garda, misura 77.2 Km., ha una caduta di 1986 m. ed un declivio medio di 25.7 m. al Km.
Nel Garda riceve molti altri torrenti. Ad occidente scendono dalle Alpi di Val di Ledro: il Varone, famoso per alcune grotte e per la sua cascata, l’Albola e il Ponale. Quest’ultimo esce dal Lago di Ledro presso Molina e percorre la valle omonima. Il Lago di Ledro è alla sua volta nutrito: a S. dal torrente Sut, colle vallette di Bastard e Fontana; ad W. dal torrente Marangla, ingrossato a sinistra dal Sache, dalla Val Croina, dalla Val dei Molini e dal Rio di Concei. Quest’ultimo nasce alle falde della Gaverdina a circa 2300 m. e raccoglie a sinistra le acque di Val Sorda e di Val di Vai e a destra quelle della V. dei Molini. Queste acque, trattenute ad E. da una morena frontale, incisero la barriera per crearsi un emissario (lungo Km. 5.6) il Ponale, che, con un declivio di m. 106 per Km., balza di scoglio in scoglio fino all’alta rupe soprastante il Garda, nel quale s’inabissa con un’imponente caduta. Alcuni altri torrenti scendono dalle Alpi di Val di Ledro nel territorio del Regno e di questi i più importanti sono il Campione, la Val Toscolana, che raccoglie le acque della V. Vestino, della V. di Droanello e della Val di Vesta e, poco a N. di Salò, la Val di Suro.
Così pure dal versante orientale scendono dalla catena del Baldo fuori e dentro il territorio trentino molti piccoli affluenti: la Val Bona, la V. di Trovai, la V. delle Nebbie, la V. del Sengello e la V. Tesino.
Dal lago di Garda il Sarca esce col nome di Mincio, a Peschiera, e sfocia nel Po ad W. di Sacchetta, di contro a Breda (14.10 m.) dopo un percorso complessivo di 19.2 Km.32 dalla sorgente alla foce.
Come al solito do gli elementi principali dei tributari del Sarca nel territorio trentino.Tributari del Sarca
Sulla portata del Sarca non ci è stato possibile raccogliere notizie esatte.
Dalla direzione dello stabilimento ittiologico di Tortole vennero fatte dello osservazioni termiche nelle acque del Sarca, nel punto dove esso sbocca nel Garda. Da esse si può dedurre: che le acque del Sarca arrivano nel più crudo inverno tutt’al più a 3°75 C. e nel massimo caldo estivo 17°50 C.; e che nella stagione estiva segnano una curva termica giornaliera costante, discendente dalla mezzanotte al mezzogiorno, ascendente dal mezzogiorno alla mezzanotte.
Il Sarca si presenta con tutte le caratteristiche di un fiume nella pianura sovrastante ad Arco; da Ceniga (116 m.) al Garda il suo declivio è di 5 m. al Km., è solcato da ponti di discrete dimensioni ed il suo letto ha un’ampiezza ragguardevole e potrebbe benissimo esser percorso da barche. Si sa del resto che nel 1200 e nel 1300 esisteva sulle sue rive un porto, dove gli uomini di Calavino, Madruzzo e di Lasino aveano il diritto di caricare e scaricare le loro merci33. Nel corso superiore esso è un torrente, non solo per la sua media pendenza, ma per le cascate frequenti e per le orride e profonde strette nelle quali scorre.
Sul Sarca fu scritto un poemetto latino dal Bembo34.
9. Abbiamo notato come l’alta valle del Chiese non sia, morfologicamente, se non la continuazione della Val Rendena. Ora questa parte, che costituisce il bacino superiore del Chiese appartiene al Trentino con una superficie di 413.49 Kmq. che si ragguaglia press’a poco alla terza parte dell’area totale del bacino (Kmq. 1590). Il limite di displuvio del bacino superiore è dato dalla linea, che parte dal Croz di Lares (3354 m.) all’estremità NE. della valle di Fumo, e corre, come fu detto parlando del bacino del Sarca, dal M. Tremalzo (1975 m.) al M. Gingia (1670 m.), al M. Stimo (1467 m.), al M. Zingla (1497 m.), al P. di Fobiola (961 m.), al M. Spino (1486 m.), attraversando in fine le colline moreniche della sponda occidentale del Garda, per confondersi poi nell’intricato sistema di canali della pianura sottostante a Peschiera.
Sul versante occidentale, la linea di displuvio risale dalla pianura sfiorando le sommità del M. Voccia (1169 m.), del M. Pino (806 m.), della Prealba (1271 m.), del Dorsone (1340 m.). Scende al passo di Lodrino (736 m.), s’eleva al M. Ario (1757 m.), al Dosso Alto (2065 m.), al M. Colombine (2215 m.), al M. Frerone (2673 m.), al M. Gistino (2778 m.), e di qui, coincidendo quasi sempre col confine politico del Trentino verso la Lombardia, corre attraverso i ghiacciai e sulle cime del gruppo dell’Adamello fino alla vedretta di Fumo e alla Cima di Lares.
Il Chiese nasce alla vedretta di Fumo a circa 2500 m. e nella direzione di SW. percorre la valle di Fumo, coperta di nevi e morene, e quella di Daone, ricca di boschi verdeggianti e di prati, raccogliendo in mille ruscelli le acque, che scendono dalle vedrette dell’Adamello, del Lares, del Carè alto, e i torrenti Breguzzo e Danerba a sinistra ed Avolo a destra. Alla confluenza col Danerba, a circa 1220 m., esso ha già percorso Km. 17.3 con una media pendenza di m. 79.7 al Km. Si volge quindi decisamente verso SE. per un tratto di 14.7 Km., abbassandosi m. 47.2 per Km. fino a Casone (514 m.), ingrossato a destra dalle acque della V. di Leno, del Redotem, del Casinei, che esce dal lago omonimo (2051 m.) e del Ribor; a sinistra dal torrente di Val Bona, e dal Rio Adanà. Qui si volge bruscamente a SW., traversando le Giudicarie esteriori, una valle tutta lombarda per tipo, posizione e dialetto, e si getta nel Lago d’Idro (368 m.), dopo un percorso di 17.5 Km., con un declivio medio di 8.3 per 1000.
I suoi tributari alla destra sono la Val Averta (V. Giulis), il Sorino, il Caffaro col Rio Ricomassimo e il Rio Barbara; a sinistra il torrente Palvico, che attraversa il laghetto d’Ampola (738 m.), che ora si sta prosciugando artificialmente.
Complessivamente il Chiese, dalla sorgente alla foce nell’Idro, misura Km. 49.5 ed ha una caduta di 2132 m.; la sua portata media — in base a misurazione eseguiti, però, per breve tempo — è di m³ 17-18 al m. s.
Dal lago d’Idro — profondo m. 122 ed esteso per circa 11 Kmq. — il Chiese esce a Lavenone e. dopo un percorso complessivo di 160 Km., ricevendo nuove acque da pochi altri torrenti, sfocia nell’Oglio presso a S. Paolo.
Pongo in nota gli elementi più importanti dei tributari del Chiese 35che nascono e sboccano nel territorio trentino.
10. Poche colline, poche eminenze separano il bacino dell’Adige da quello della Brenta, che è limitato a N. e a E. dalla linea di displuvio, che parte da Pergine (480 m.) e continua per il Fravort ecc., come già fu descritto parlandosi dei confini dell’Avisio, fino al Cimon della Pala (3186 m.); dal Cimon della Pala piega a S.. seguendo la linea di vetta delle Alpi e delle Prealpi feltrine, per perdersi poi nella pianura padana. A W. e a S. il limite di displuvio è dato da una linea che parte da Pergine, si eleva alla Marzola, e traverso il Passo di Lavarone corre sulla linea di vetta del cordone occidentale dell’Altopiano dei Sette Comuni vicentini.
Della Brenta36si ritengono comunemente come sorgenti i Laghi di Caldonazzo e di Levico, mentre forse bisognerebbe risalire il corso del torrente Centa, che nasce dalla Fricca (a circa 1850 m.) e poco sopra il paese di Caldonazzo al Maso Dossi (498 m.) si infiltra nei terreni ghiaiosi — eccettuati i periodi di piena — per ricomparire in prossimità del lago, nel punto dove questo si scarica nella Brenta, in piccole e numerose polle. Non molto tempo avanti esso sboccava direttamente nel lago, come si vede da un’apertura sulla strada, che da Calceranica va a Caldonazzo37. Lo stesso fenomeno presentano altri torrentelli, tra cui quello di Val Zesta e di Scuro.
Nè, volendo studiare la questione con tale criterio, bisognerebbe dimenticare il tributo d’acque; che anche la Fersina porta al lago di Caldonazzo e quello assai maggiore, che deve avergli portato nei tempi passati.
Il bacino idrografico della Brenta — secondo i Cenni monografici — è di Kmq. 2304, dei quali 1400 appartengono alla parte montuosa e 708.90 al territorio trentino.
Dal lago di Caldonazzo (449 m.) e dal lago di Levico (m. 440) escono due modesti rivoli, che si uniscono, dopo un percorso di Km. 3.7 il primo e di Km. 2.1 il secondo, e formano la Brenta. Nel territorio trentino essa scorre fra i terreni alluvionali, accarezzando l’amena costiera della Valsugana, sparsa di piccole città e di borghi, volgendosi per un percorso di 13.6 Km. (fino al 2.° ponte di Borgo sullo stradone imperiale a 380 m.) verso NE. e piegandosi pel corso di Km. 15.6 ad arco verso SE., fino alla confluenza col terribile torrente Grigno (250 m. circa).
In questo tratto riceve a sinistra le acque dei torrenti Rosa, Larganza (colla V. di Portella e la V. Elba), del Ceggio (colla V. di Orna), del Maso (colla V. di Fregio, colla V. del Calamento, col Rio Montatone. colla Val Sorda a destra; col Rio Caserina a sinistra), del torrente Chiepina (col Suzumana a destra e il Rio Fierollo a sinistra), della Val Bronzole e del Griglio, che scende dai laghetti di Cima d’Asta (2442 m.) e s’ingrossa via via nella sua impetuosa- corsa colle acque, che a sinistra riceve dalla Val Tolva e dal Rio Secco.
A destra accoglie il Centa, il Moggio (Val di Sella), la Coalba, la Val Maora, il Rio di Marco, la Val dei Confini, che si infiltrano nelle ghiaie a poca distanza dalla Brenta, come il Centa. La media pendenza dalla confluenza dei due rivi, che escono dai laghi (430 m.), fino a Borgo (380 m.) è di 3.7 per mille, e da Borgo a Grigno (260 m.) di 7.6 per mille. Dopo la confluenza col Grigno, la Brenta corre decisamente a S. ed esce dal territorio trentino a N. di Primolano, dopo un percorso di pochi Km. (pendenza di circa 7 m. per Km.) e a non molta distanza dal punto di confluenza col Cismone.
Questo è il maggiore dei suoi affluenti, quello che gli imprime un corso deciso in direzione da N. a S. e ne arricchisce il letto — aiutato in questo anche dagli altri affluenti di sinistra, che abbiamo ricordati — di porfidi quarziferi, di melafiri e di sieniti. Esso ha un bacino imbrifero di Kmq. 663, dei quali 445.42 spettano al Trentino, ed una lunghezza complessiva di 51 Km. Nasce a circa 2150 m. alle falde del M. Castellazzo, si volge verso S. fino alla confluenza col Vanoi, (442 m.) punto in cui esce dal territorio trentino (al quale appartiene per 28 Km. del suo percorso) e con un letto assai vasto e ramificato sfocia nella Brenta a Piovega di sotto (199 m.).
I suoi affluenti nel territorio trentino sono: a destra, il Rio Brentella, il Rio Zigoler, il Rio di Pietro, il torrente Vanoi e il Senaiga; a sinistra la V. della Vecchia, il torrente Canali, il Noana e l’Olaro. Il Vanoi, tra di essi il più notevole, nasce in una larga plaga piena di piccolissimi laghetti (laghetti di Lasteali) a circa 2250 m. e scorre per 27 Km., formando un arco W-NE. nella valle di Canal S. Bovo, con un declivio medio di 76.2 per 1000, ricevendo a destra le acque del Rio di Caldosa, del R. Boalon e del Lozen e a sinistra quelle del torrente Regalia del Viaza, del Rebrut e di Val Caldiere.
II Senaiga sfocia nel Cismone nel territorio veneto e percorre una valle ricca di fenomeni carsici.
La portata media del Cismone è di 12 m³ al m. s; portata, che nei tempi di piena può crescere fino a 4-20 mc., vale a dire può esser 35 volte superiore alla media. Questa caratteristica speciale, unitamente alla direzione da N. a S. e ad un declivio di 61 m. per 1000 nel territorio trentino, e di 10.5 nel territorio veneto, gli danno un’importanza tanto grande, da doverlo considerare come un ramo superiore della Brenta, e fa meraviglia che esso non abbia dato il suo nome anche al corso medio e inferiore della valle. C’è del resto un motto degli abitanti di quei paesi, che chiaramente indica questa condizione di cose e suona:
La Brenta non la savia Brenta
Se ’l Cismon no ghe des na spenta.
La valle, che la Brenta percorre dopo la confluenza col Cismone fino a Bassano (129 m.) (lunga Km. 29; medio declivio m. 3.1 al Km.), è detta Canale di Brenta ed è incassata fra le pareti dell’altopiano dei Sette Comuni e le pendici del M. Grappa, dalle quali riceve pochissimo contributo di acque.
Uscito dalle Alpi, corre ora allargando fino ad un Km., come in vicinanza di Bassano, or restringendo a pochi metri il suo letto (a Limena è largo in media 80 m.), con una pendenza non mai superiore ai 3 m. per 1000 fino a Stria (11 m.), dove si divide in due rami, uno dei quali sbocca nella laguna veneta presso Fusina (1.25 m.) e l’altro si perde nelle valli di Rancaro, d’inferno, Pascolon e Conche, rimontando fino a Codevigo il flusso marino.
Presso la foce il suo corso è lentissimo (pendenza: 0.35 m. per Km.; velocità: m. 0.85 per m. s.) ed è in relazione con una quantità di canali, che servono in parte per l’irrigazione e in parte per la navigazione.
La lunghezza complessiva della Brenta è di 208 Km. e la sua media pendenza generale di m. 2.85. La sua portata, secondo le osservazioni fatte a Stra e Sandon, è di mc. 138.84 al m. s., la minima discende a me. 25, la massima sale a me. 1036.
In nessun punto la sua pendenza supera gli 8 m. al Km., eppure la Brenta è uno dei fiumi più rovinosi e più violenti nei periodi di piena per effetto dei suoi affluenti alpini, che hanno tutti enormi pendenze. Abbiamo dato alcuni elementi del Cismone; non molto dissimili sono quelli che spettano agli altri affluenti, che si versano nella Brenta nel territorio trentino e che al solito riassumiamo in una tabella 38.
Tutti questi tributari costruiscono alla loro foce enormi depositi, che nei periodi di piena vengono trasportati alla pianura, dove formano i cordoni litorali e contribuiscono all’insabbiamento della laguna. Si calcola che il volume annuo (anni d’osservazione 1840-50) delle bellette depositate dalla Brenta alla sua foce sia stato di me. 1.500.000; il volume delle deposizioni in poltiglia (che quando sieno essiccate si riducono alla terza parte circa) fu calcolato al 2.50 per mille del volume d’acqua. Dal 1851. al 1867 il volume delle poltiglie depositate fu di mc. 764.700; in 27 anni complessivamente me. 31.000.00039. Nel 1866 il delta della Brenta era di ettari 1800 e crebbe ad ettari 3000 nel 1878.
Nel Trentino i danni più terribili nelle piene sono prodotti dal torrente Griglio al punto di confluenza col fiume.
La Brenta serve alla fluitazione del legname, che da prima viene slittato pei menadori (sentieri erti e sassosi) o condotto sciolto pei torrenti, poi, dopo la confluenza del fiume col Cismone, viene raccolto in zattere e trasportato al mare. Si calcola che il quantitativo di legname fluitato in un anno dal Cismone sia di 1S00 tonnellate, mentre quello fluitato dalla Brenta ammonta a 18,000 tonnellate. Nel tronco inferiore, la Brenta è navigabile. Notevoli mutamenti ebbe a subire il corso della Brenta per opera dell’uomo. Oltre alle notevolissime deviazioni nella pianura padovana e ai numerosi canali costrutti in connessione ad esso, sui quali non possiamo trattenerci, vanno ricordati i lavori intrapresi nel tratto superiore, da Caldonazzo al confine del Regno, per distruggere le dannose paludi alle quali avea dato origine il corso vizioso del fiume.
Nell’anno 1802 fu prosciugato il lago dei Masi e contemporaneamente fu abbassato il livello del lago di Caldonazzo procurandoglisi così un più largo emissario.
Nel 1812 si rettificò nuovamente l’alveo del fiume e lo si abbassò ottenendo così la sparizione di un altro lago paludoso, il lago morto di Roncegno, che infestava l’aria. I lavori furono a più riprese continuati nel nostro secolo ed ora di ristagni dell’acqua non v’è quasi più traccia.
I ponti che traversano la Brenta nel territorio trentino sono tutti di modeste dimensioni; la maggior parte sono in legno e non superano i 15 m. di lunghezza.
11. Appartiene per brevissimo tratto al Trentino il corso di un altro fiume, le cui sorgenti sono a piccola distanza da quelle della Brenta. Esso è l’Astico, che nella pianura unisce le sue acque con quelle del Bacchiglione. Siccome quest’ultimo si trova assolutamente fuori dal territorio trentino, noi ci limitiamo a considerare il bacino dell’Astico, che è il suo principale affluente e che si estende per 665 Kmq. Il limite di displuvio dell’Astico segue la linea di vetta del gruppo Pasubio Scanupia, s’abbassa alla Sella di Lavarono e segue il crinale, che forma l’orlo d’occidente dell’altopiano dei Sette Comuni, per perdersi poi nella pianura bassanese. L’Astico nasce alle falde del Sommo Alto, e precisamente alla Malga della Mora, a circa 1200 m. Nel territorio trentino corre per 14 Km. (con un declivio medio di m. 57 per 1000) ricevendo a sinistra la Val Longa, a destra il Rio Torto, la Val Torra e la Val D’Assa. Uscito dai confini, che esso segna per 7 Km., riceve il Posina; esce ingrossato dai monti e raggiunge la pianura veneta a Breganze. Dal ponte di Breganze in poi corre fra robuste arginature fino a Poianella, dove si getta nel Tesina e con esso raggiunge il Bacchiglione. 12. Nel territorio trentino abbiamo finalmente due torrenti che sfociano nella Piave. Essi sono il Biois e il Miss ed i loro bacini occupano «na superficie complessiva di Kmq, 26.75.
Il primo, che corre nel versante orientale del plesso della Marmolata, scende dalla Campagnazza a circa 2300 m. a scorre per Km. 5.6 nel territorio trentino, segnando per breve tratto il confine. Sbocca nel Cordevole, affluente di destra del Piave a Cencenighe.
Il Miss nasce alle falde della Cima d’Oltro a circa 2500 m. e scorre, sempre segnando il confine politico, per 5 Km. e mezzo; esce dal territorio trentino alla sua confluenza col Pezzea, piccolo torrentello trentino. Esso sfocia nel Cordevole a Oregno.
B. Sorgenti minerali. Delle sorgenti non minerali (nel senso ristretto della parola) del Trentino nessuna, o quasi nessuna,, fu oggetto di studi dal punto di vista scientifico, sia per ciò che riguarda l’analisi chimica, sia per le condizioni geologiche e litologiche della regione sorgentifera.
Le sorgenti minerali invece — delle quali il Trentino è ricchissimo — furono abbastaza largamente studiate dal punto di vista chimico e pratico-economico.
Parecchie fra le acque minerali del Trentino hanno una celebrità mondiale e si deve alla fama di alcune fra esse se molte altre, di cui si è positivamente constatato il valore, sono rimaste pressoché ignote. Fra le polle minerali del Trentino prevalgono le ferruginose e le raineico-arsenicalì. Seguono le calcare-magnesiache e le idro-solforose. Noi le ricordiamo pei singoli bacini in ordine alfabetico, dando di ciascuna l’ubicazione e pochi altri dati perché — essendo molte non ben studiate chimicamente — riesce pressoché impossibile fare degli aggruppamenti con criterio scientifico40
1. Bacino medio dell’Adige. Delle valli che metton foce nell’Adige la più ricca d’acque minerali è l’Anaunia. In essa si contano 7 sorgenti ferruginose. Esse sono: 1. Bresimo nella valle omonima, percorsa dal torrente Barnes. Giace a NW. dei paesello di Bevia (1036 m.) (frazione di Bresimo). Si hanno due polle: una serve per bagni, l’altra per bibita. Solo della prima fu fatta un’analisi qualitativa in base alla quale fu giudicata ferroso-salina. Esiste in prossimità alla fonte un piccolo stabilimento eli bagni. — 2. Celentino. Trovasi nella valle di Peio a circa 100 m. sopra la famosa, fonte antica di Peio (1390 m.). Appartiene alle classe delle minerali acidulo-ferruginose. Di quest’acqua si fa estesissimo commercio. — 3. Fontanino. E il nome ciato ad una sorgente di acqua, acidulo-salino-ferruginosa, che scaturisce pur essa nella valle di Peio, in prossimità alla sovraccennata. — 4. Fondo. Questa fonte fu scoperta nel 1838 da alcuni contadini, seguendo un. tracciato giallo-ruggine sulla roccia. È acidulo-salino-ferruginosa. Dista 15 minuti dal paese di Fondo (987 m.). Poco nota. — 5. Mocenigo di Rumo (a circa 950 m. nella valle di Rumo). Fu scoperta nel 1763. E ferruginosa; di essa mancano affatto le analisi. Esiste uno stabilimento. — 6. Peio. Questa fonte ferruginosa, una delle più celebri del Trentino, giace a 1390 m. nella valle omonima. Ha una portata di circa 339 dm³ all’ora. Se ne fa un commercio estesissimo e vi accorrono numerosi gli ammalati. — 7. Rabbi (1247 m.). E la rivale di Peio, situata nella valle di Rabbi, percorsa dal torrente Rabbies. Venne classificata come acidulo-ferruginoso-gassosa. Esistono due polle: una detta l’antica fonte, l’altra la nuova. La portata della prima è di 125 dm³ al m. s.; quella della seconda di circa 80 dm3. Dalla prima si esportano annualmente circa 400.000 bottiglie d’acqua, di 400 grammi l’una, Presso la fonte si hanno stabilimenti alpini di prima importanza. Per numero e importanza di fonti all’Anaunia segue, sempre restando nel bacino dell’Adige, la valle dell’Avisio. Le sorgenti di questa sono in prevalenza calcaro-magnesiache o idrosolforose. Eccole: 1. Carano (1086 m.) in prossimità di Cavalese. Fu dichiarata calcareo-magnesiaca. Ebbe un tempo fama, ora è poco usata. — 2. Cavelonte; nella valletta omonima, che sfocia presso Panchià nella valle media dell’Avisio. E a 1303 m. sul mare. E salino-ferruginoso. Portata 3 dm³ al m. s. Temperatura 10°.8 C. Vi è in prossimità uno stabilimento abbastanza frequentato. 3. Contrino. Giace nella valle di Contrino a S. di Penia (1553). E una polla idrosolforosa, di cui non s’è ancor fatta l’analisi. Dove sgorga vi è un lago detto Lago Puzzolento. — 4. Durone. Trovasi presso il villaggio di Campitello a circa 1550 m. Non fu ancora analizzata ed è ritenuta magnesiaca. — 5. Pontara. Dista mezz’ora circa da Cavelonte. Fu dichiarata calcareo-magnesiaca. E usata solo dagli abitanti delle valli vicine. — 6. Pozza. Trovasi alle falde del M. Alloco nella valle di S. Pellegrino. Dall’analisi risultò idro-solforosa con traccie d’iodio e bromo. Non vi sono in prossimità stabilimenti.
Nei bacini minori degli affluenti della Val d’Adige non si conosca che una sola polla minerale. È quella di Brentonico sulle falde settentrionali del M. Baldo. L’acqua di questa fonte, distante mezz’ora dal paese, fu classificata come terroso-salina. È poco nota.
2. Più che per il numero, può dirsi rivale al bacino dell’Adige per la rinomanza delle sue polle minerali, il bacino della Brenta nel quale si hanno le stazioni balneari di acque rameico-arsenicali di Levico e Roncegno, notissime ovunque.
Alcune polle ferruginose, invece, di questa valle sono pressoché ignote. Le ricordo tutte nel solito ordine alfabetico; 1. Caldonazzo. Questa fonte fu detta carbonato-ferruginosa. Giace a SW. del paese (490 m.) alla distanza di pochi minuti. Portata: circa 120 dm³ all’ora. — 2. Centa. La sorgente è a circa 860 m. sul livello del mare. Sgorga, dal M. Stedila alla distanza di un Km. circa dal paese di Centa. Quantunque analizzata da lungo tempo è poco conosciuta. Fu dichiarata gazzosa-magnesifera. — 8. Prae. Dista circa due ore da Olle (frazione di Borgo). È calcare-magnesiaca. — 4. Roncegno.
Sgorga all' altezza di 150 m. circa sopra a Roncegno (505) nella valle detta del Diavolo. Fu scoperta verso la metà del nostro secolo; dapprima poco nota, crebbe in fama negli ultimi anni. E ferruginoso-arsenicale ed è ritenuta come la più forte delle acque arsenicali conosciute. Durante i massimi freddi invernali la sorgente cessa il suo stillicidio; l’acqua, che si adopera non solo nei bagni, ma anche ad uso di bibita, viene raccolta in 11 grandiosi serbatoi di granito. — 5. Sella. Trovasi nella valle omonima, percorsa dal torrente Moggio. È acqua bicarbonato-magnesiaca. Ha una temperatura piuttosto bassa (6°75 C.) Gli stabilimenti di Roncegno e Levico hanno ecclissato la fama, che godeva un tempo. — 6. Vetriolo. All’altezza di m. 1490 si hanno due sorgenti ferruginoso-rameico-arsenicali in due grotte: l’una detta la Caverna del Vetriolo, l’altra Caverna dell’Ocra. Nelle grotte, oltre le due polle principali, si hanno molte piccole sorgenti capillari. La portata delle acque della Caverna del Vetriolo è di 11 dm3 al m. s. e con acquedotti viene condotta a Levico. La portata della sorgente nella Caverna dell’Ocra è di 22 dm³ al m. s. Quest’ultima si usa solo per bibita. — 7. Zaberle. Giace ai piedi del M. Telvana presso Borgo. Rassomiglia a quelle di Prae e Sella.
3. Ci resta infine da dire qualche cosa delle sorgenti minerali del bacino del Sarca. Esse sono: 1. Breguzzo (778 m.). La fonte si trova a due ore circa dal paese. É ferruginosa con traccie di fosforo; poco nota; fu scoperta al principio del secolo — 2. Campi. (667 m.) a NW. di Riva. In base ad un’analisi qualitativa fu dichiarata acidulo-ferroso-salina: è quasi ignota. — 3. Campiglio. Evvi presso il grandioso stabilimento climatico di Campiglio (1515 m.) una sorgente, che segna il suo cammino con depositi ocracei e col colore gialloruggine, Si ritiene ferruginosa; non fu ancora analizzata. — 4. Cornano. (400 m. circa). E l’unica acqua semitermale del Trentino; era nota ai Romani che vi costrussero delle terme. Ha una temperatura di 23° C. e fu denominata dai chimici alcalino-bromo-jodata. Vi è presso la fonte un importante stabilimento idroterapico.
C. Laghi e paludi. La limnologia del Trentino — come fu già notato dal Damian41 — offre un’evidente riprova del fenomeno dimostrato dal Peschel, dal Bohm e dal Supan42, die i laghi sono rare volte isolati e invece appaiono più spesso a gruppi. Nei dintorni di Trento evvi la tendenza a questi aggruppamenti di laghi di varia dimensione e quelli fra essi, che in. linea retta non distane dalla città più di 16 chilometri, raggiungono il numero di 3043. Altri aggruppamenti fittissimi di laghi si hanno nel plesso di Cima d’Asta, dove essi raggiungono il numero di 118 e nella sella di Campiglio fra la cima Tosa (3176 m.) e la Presanella (3564 m.), dove nel raggio di una decina di Km. si hanno 33 laghi.
Oltre a ciò, fanno testimonianza di aggruppamenti ancora più densi nel tempo passato i residui di bacini lacustri, che si trovano nel circondario di Trento — specie nell’altopiano dì Pinè - bacini di cui si hanno traccie nei terreni paludosi o si ha memoria nei documenti storici e cartografici44.
Del resto, a proposito di laghi scomparsi, basti ricordare che il Bohm45 potè constatare, studiando l’ottima carta dell’Anich, esser scomparsi nella provincia tirolese ben 118 laghi — spettanti in gran parte al Trentino — dal 1774 al 1886.
Una catteristica speciale poi dell’idrografia lacustre trentina è quella di presentarci — analogamente all’idrografia fluviale — i tipi più vari di laghi, per origine, per estensione, per forma e per condizioni fisiche; dai circhi dell’alta montagna al grande bacino prealpino del Garda; dai laghetti carsici ai bacini formati da sbarramento di morene o di frane; dalle vaste conche rotondeggianti agli stretti seni lacustri, che sembrano fiords marini; dai laghi coperti di bianche ninfee e ingemmati di isole agli specchi cupi, per tre quarti dell’anno ghiacciati, che riflettono nelle loro acque le nere boscaglie o le rocce dirupate; dai laghi paludosi, che vanno scomparendo, ai laghi, intermittenti, le cui acque cedono spesso il posto a una verde e ricca vegetazione.
Noi in questo breve saggio sulla limnologia trentina daremo anzitutto l’elenco dei laghi più importanti di ogni bacino idrografico entro il territorio trentino, riportando i rispettivi dati areometrici e batometrici e quelle notizie sull’origine e sulle condizioni fisiche, che sono già state accertate da altri o da noi46; in secondo luogo faremo una tavola statistica. di tutti i laghi secondo la loro pertinenza ai vari plessi montuosi, che compongono il Trentino, e secondo la loro distribuzione altimetrica; infine riassumeremo le più importanti, notizie sull’avanzamento degli studi della flora e fauna dei laghi trentini.
1. Bacino medio dell’Adige. Dei vari bacini secondari, die spettano alla superficie imbrifera del corso medio dell’Adige, quelli dell’Avisio e del Leno sono privi di laghi notevoli per estensione, mentre ne sono abbastanza ricchi i bacini del Noce, della Fersina e di alcuni affluenti di minor importanza.
a. Bacino del Noce. Lago di Tovel. Giacie nel gruppo di Brenta (lat. 46"13', long. 28°,87 E.F.) a N. della C. Valscura (2671 m.) e della Loverdina (2238 m.), all’altezza di m. 1162 sul livello del mare. È circondato da nere selve, che contrastano colle bianche guglie di dolomia, che s’elevano alle loro spalle.
Secondo gli scandagli del Damian la profondità massima raggiunge m. 35. La sua forma è oblunga; il suo diametro longitudinale è di un chilometro; la massima larghezza di 300 m., la sua superficie di 0.52 Kmq. Le sue pareti sono ripide ed hanno un angolo medio di pendenza di 9°. Ha una media profondità di 16.7 metri ed un volume di 0.0087 Kmc. In tempi passati il bacino dovea avere una maggiore estensione.
A SE. un ruscello poco importante, ha spinto i suoi depositi nel lago e potrebbe col tempo dividerlo in due parti disuguali. Tanto il suo affluente, come l’emissario non appariscono alla superficie in vicinanza dello specchio lacustre, se non in tempo di grandi pioggie. Questo lago è soggetto ad abbassamenti ed elevamenti notevoli di livello. Ha comune con altri laghi del Tirolo la leggenda, che narra di un muggir lungo e prolungato che assomiglia, al rombo del tuono e che esce dalle acque anche nelle ore più serene ed è spesso foriero dell’uragano47. Questa leggenda può avere origine nel fatto che realmente si ode il rumore delle acque dell’emissario, la Tresenga, scorrenti sotto i grandi massi. Questo torrente ricompare alla luce a circa 3 Km. dal lago, ai piedi di un deposito di detriti, che non possono però ritenersi come avanzi morenici di formazione glaciale per la mancanza assoluta di minerali estranei, ma devono attribuirsi a franamenti.
Date queste condizioni si deve ascrivere questo bacino ai laghi vallivi alpini di formazione post-glaciale, per sbarramento avvenuto mediante frana. Nell’inverno il lago di Tovel gela fin quasi allo spirare d’Aprile e i contadini delle valli vicine traducono sul liscio piano del lago i legnami, che tagliano nelle selve sovrastanti. Non furono fatte osservazioni sulle condizioni fisiche delle sue acque. E ricco di pesci, specialmente di salmarini.
B. Bacino della Fersina. Lago delle Piazze. Giace a 1013 m. sul mare (lat. 46°9, long. 28°56' E. F.) nella stretta incassatura formata dal M. Chiara (1517 m.) a maestro e dalle pendici estreme del M. Costalta (1957 m.) a scirocco. A pochissima distanza da esso verso oriente corre la linea di displuvio tra la Fersina e l’Avisio. La forma, che superficialmente mostra il lago, è abbastanza regolare e slanciata: un rettangolo schiacciato leggermente al mezzo e allargato all’estremità. Il circuito del lago è di circa m. 2500, la massima lunghezza di m. 1000; la massima larghezza di m. 300. Ha una superficie di 0.22 Kmq. Il punto di maggior profondità trovasi a m. 19 nella parte centrale del lago. Le rive subacquee scendono ripide in ambedue le spiaggie, maggiormente però nell’occidentale. Il volume del lago è di 2,198.900 mc. Sulla sponda occidentale — sparsa di casolari — si ha una serie di sorgenti allineate, specialmente nella parte meridionale, in mezzo ai prati declinanti verso lo specchio del lago. Esteriormente il lago riceve pochi e non perenni rigagnoletti. L’emissario si trova a S.; esso sfocia dopo un breve tratto nel lago della Seraia. Il lago deve la sua origine allo sbarramento della valle prodotto da alcuni conoidi, di deiezione portati dai torrenti die scendono dal M. Costalta: la Val dei Cialini, la Val Molinara e la Val Coste.
Le acque di questo lago hanno un colore celeste verde corrispondente al N.° VI-VII della scala Forel48; hanno una trasparenza che può in certi tempi raggiungere i 4 m.49. Gelano annualmente per un periodo abbastanza lungo50.
Lago della Seraia. La valle, in cui si trova questo lago (a m. 974 sul mare; lat. 46°8’; long. 28°55’ E. F.), non è che la continuazione della depressione, in cui si trova il lago delle Piazze. In questo punto però la valle si allarga alquanto, mentre i dossi che la limitano arrivano ad altezze inferiori.
A maestro la catena del Serra non ha punte superiori ai 1250 m.; le terrazze da cui essa è costituita sono squarciate da forti talus, formati dai torrentelli alluvionali, che qua e là vanno lentamente modificando il bacino lacustre. Dalla montagna di Costalta, che limita il lago a scirocco, scendono pure dei corsi alluvionali, ma meno estesi e ripidi, grazie al manto boscoso che la ricopre. A NE. v’è il conoide che lo divide inciso per breve tratto dall’alta valle del Sila, emissario del L. della Seraia.
Le due rive del lago sono costeggiate, come quelle del precedente, da vie. La forma è quella di un sacco, che va allargandosi da NE. a SW. Esso ha diametro longitudinale massimo di m. 1250; la larghezza massima è di m. 525; lo sviluppo circumlacuale di m. 3000 circa, e la superficie di 0.45 Kmq.
La massima sua profondità è di m. 14.60 e si trova nella parte NE. del lago, non molto lungi dalla sponda.
Tale profondità si limita a una zona strettissima, contornata da un plafond abbastanza esteso e profondo in media da 9 a 10 m. Il volume risulta di mc. 2.982.000 e la media profondità di 6.5 m. Il lago è alimentato da pochi torrentelli, dei quali però sono perenni solo quelli che scendono dalla montagna di Costalta, il Tof, il Graun e il Palustel. A NE., come abbiamo già visto, sfocia nel lago l’emissario — detto Fosso — del bacino superiore. L’origine del lago è analoga a quello del L. delle Piazze. Le acque, che scendono dal M. Serra e da Costalta, aveano probabilmente il loro canale di scolo ai piedi di Costalta, dove si hanno le maggiori profondità subacquee, e intersecavano l’altopiano di Pinè non già nella parte SW., ma nella parte SE., percorrendo poi la valle del Rio Nero.
Se non che i depositi alluvionali del rio delle Palustele determinarono un po’ alla volta la formazione di un esteso conoide, che formò diga alle acque della valle e costrusse un bacino, che mano a mano si ristrinse e si plasmò in modo da costringer le acque a cercarsi uno sfogo nella parte SW. La prova di queste asserzioni si trova nello studio dei terreni della piccola conca asciutta a SE. del lago limitata a E. dal conoide del rio delle Palustele. In questa conca — dalla quale i contadini estraggono la torba — si può vedere la sovrapposizione di quattro strati: il primo e più profondo di marne compatte, un secondo di sabbia e ghiaia finissima, alto circa un metro; un terzo di torba alto 4 m. e in certe località anche 5 m. e più; un quarto strato di sabbia e ciottoli depositato dal conoide. Tutti questi strati corrispondono ai vari periodi, prelacustre, lacustre, paludoso e alluvionale, ai quali anelò soggetta l’estremità NE. del lago. Siamo dunque in presenza di un lago vallivo alpino.
Il colore delle acque è meno intenso che nel lago antecedente, ed è verde chiaro (N.° IX scala Forel). Il limite di visibilità (trasparenza) può superare i quattro metri. Il lago gela ogni inverno.
Laghi di Madrano, Camolino e Costa. Si trovano allineati in una valle tagliata da continui sbarramenti alluvionali — detta di Costa — che sfocia nella Fersina parallelamente al Rio Nero.
Il lago di Madrano (m. 548) si trova al principio d’essa. Ha una periferia di m. 350, una superficie di Kmq. 0.006; la sua profondità massima è di m. 7.90. la media di 4.0.
E alimentato da una sorgente, che sgorga vicino al lago e il suo emissario, dopo un percorso di circa 300 m., sfocia nel L. Canzolino. Il torrente, che colle sue ghiaie chiuse in questo punto la valle, è il Rio del Bus.
Il lago di Canzolino è più esteso e più profondo. Giace a circa cinque metri sotto il livello del precedente fiat. 4G°4; long. 28"53 E. F.); lo sviluppo circumlacuale delle sponde è di m. 1300, la lunghezza di m. 540, la larghezza di 520, la superficie di 0.062. la profondità massima di m. 15, la media di 11.8. Il lago ha un fondo regolare e scende con uguale pendio da tutte le parti. Il suo volume è di 733.600 mc.
L’emissario del lago non funziona se non nei tempi di piena e si trova all’estremità meridionale del lago, in un punto dove la valle è strettissima per sua natura e per di più è ostruita dai materiali d’alluvione che porta il torrente Pizol. Il terzo lago — quello di Costa — più che lago può dirsi un minuscolo stagno in via di prosciugamento, tutto coperto di folta vegetazione palustre. Non arriva alla profondità di 2 m.
Lago della Valle di Fornace o Lago di S. Mauro. Si trova a m. 625 (lat. 46.7; long. 28°52 E. F.) incassato in una stretta, valle, formata dalla ripida parete che limita l’altopiano di Pine e dalle pendici del M. Calisio. A S. la valle è sbarrata dalla congerie alluvionale trasportata dal Sila. La forma del lago è a sacco; il suo circuito misura circa 850 m; esso ha un diametro longitudinale di m. 375, una larghezza massima di m. 62. una superficie di 0.023 Kmq. È profondo m. 8.90. E alimentato perennemente dal R. di S. Stefano, che scende dal Calisio ed entra nel lago attraverso una palude; l’emissario sorte dall’estremità meridionale del lago, pur essa paludosa. E tradizione divulgata fra i contadini, che il lago di S. Mauro sia alimentato sotterraneamente dal lago soprastante di Lases; indubbiamente poi esso viene alimentato per via superficiale nei tempi di piena straordinaria. La possibilità della comunicazione sotterranea è determinata dal fatto che la valle è piena dei detriti, dei rottami di porfido, dei quali è cosparso il monte. Vi sia ad ogni modo, o no, la comunicazione sotterranea, non possiamo considerare estraneo al bacino della Fersina il Lago di Lases, che rientra in quella serie abbastanza numerosa di paludi e di laghi, che dànno origine a vere biforcazioni nei corsi d’acqua. Esso si trova all’altezza di m. 609, ha una forma oblunga, un circuito di m. 1800 circa, una superficie che si ragguaglia in Kmq. 0.16.
Da una piccola serie di scandagli, che ho in esso eseguiti, risulterebbe una profondità di m. 19.40, che, data l’incompletezza delle osservazioni, non posso dare per massima. E per questo non posso fare il calcolo del volume.
È anch’esso un lago vallivo alpino.
Fenomeno analogo a quello del lago di Lases presenta il lago Santo o lago di S. Colomba. Esso si trova a m. 925 sul mare (lat. 46°7; long. 28°50 E. F.) fuori della linea di displuvio della Fersina, da me tracciata, ed occupa la parte centrale di un pianoro, che raggiunge la massima altezza in in. 989 al Doss delle Greve.
Giace in un bacino di porfido; e, qualche diecina di metri sotto il suo livello, si hanno sorgenti tanto sul versante dell’Avisio che su quello della Fersina. È da notarsi il fatto delle sorgenti verso la Fersina, perchè esse — in ripetute misurazioni — presentarono dei dati termici corrispondenti a quelli delle acque del fondo del lago.
Il perimetro suo è di m. 800, la lunghezza di 310, la larghezza massima di 150, la superfìcie di 0.024 Kmq., la profondità massima di m. 8.70; il volume di 99.130 mc.
E un lago di origine tettonica. Il suo bacino, a forma di truogolo incassato e con le sponde ripide, rappresenta una spaccatura secondali a della massa di porfido quarzifero, la quale fu chiusa a S. da depositi di arenaria. Tale spaccatura, è parallela a quella occupata dai laghi di Lases & di S. Mauro.
c. Bacini degli affluenti minori dell’Adige. Lago di Terlago: giace dietro al Passo di Cadine in un bacino petroso all’altezza di 416 m.
Il bacino è composto di due parti, che unite dànno l’aspetto di un 8. Nel punto centrale la sua larghezza è inferiore ai 100 m. e tende a restringersi ancor più per l’effetto di un torrente (la roggia di Terlago) che spinge sempre più addentro nel lago i suoi depositi di ghiaia e dì sabbia. E un lago soggetto a forti oscillazioni. Nell’anno 1887 e nel ’90 tu studiato dal prof. Damian, il quale vi constatò una profondità di m. 13.80, mentre la massima, che a me e al mio compagno di studio G. B. Trener fu dato trovare nel 1897. fu di m. 9.30.
Cosi il suo circuito era nel 1890 di Km. 4.50 e solo di 3.50 nel ’97; la larghezza massima diminuì in questi 7 anni da Km. 1.60 ad 1.45, la superficie da Kmq. 0.38 a Kmq. 0.29. Tutte le sponde scendono a piccola distanza dalla riva a cinque metri; la massima profondità è nel bacino settentrionale; il meridionale non ha in nessun luogo profondità superiori ai 5 m. (9 m. secondo il Damian). Il volume del lago è, secondo i nostri dati, di 532.334 mc.; secondo quelli del Damian di 759.602 mc.
Il lago è alimentato da due torrenti; il fosso e la roggia di Terlago. Apparentemente il lago non ha alcun emissario nel vero senso della parola; ma l’acqua scompare in alcune fessure della sponda orientale, artificialmente allargate. La principale di queste fessure è situata nel bacino meridionale ed è congiunta al lago mediante un canale; in essa scompariva — il 16 Settembre 1897 — una massa d’acqua di 35 litri al m. s. Nell’ultimo ventennio vi furono dei periodi di tempo in cui, non trovando l’acqua uno scolo attraverso le fessure, il livello del lago si alzava e arrecava gravi danni alle campagne.
Uno di questi casi avvenne nel 1878 e allora gli interessati si misero all’opera per procurare uno sfogo alle acque, scavando due trincee, delle quali si vedono ancora i resti Lago di Toblino. sommersi sotto lo specchio del lago. Una così notevole quantità d’acqua che si inabissa deve necessariamente avere uno sfogo in qualche parte; e a me ed al mio collega Gr. B. Trener riuscì di constatare in modo positivo, con ripetute esperienza, la comunicazione delle acque del lago con una serie di sorgenti, che scaturiscono ai piedi dei Dossi del Ghirlo e del Ronco, incombenti a picco sulla V. d’Adige, in una località detta l’Ischia Podetti. Queste sorgenti sono assai copiose e defluiscono in un largo canale, che sbocca nell’Adige dopo un percorso di un Km. circa; sono situate a NE. del lago, dal quale distano in linea retta poco più di 3 Km.; il loro livello, all’altezza di 192 m. sul mare, è di 224 m. sotto il pelo dell’acqua del lago di Terlago (416 m.) (V. fig 2). Una riprova della comunicazione sotterranea è data dall’alternarsi della temperatura di queste sorgenti secondo alcuni periodi di massima e di minima di 29 e 24 ore, corrispondenti probabilmente ai periodi di oscillazione della temperatura del lago, dipendente dal calore solare e dall’irradiazione notturna.
L’origine del lago è legata intimamente alla conformazione tectonica ed orografica della valle, di cui esso occupa la parte più bassa; questa valle non è che una delle molte ripiegature, che corrono a occidente del Val d’Adige nella direzione della linea delle Giudicane. Per quanto riguarda il tipo, questo lago deve chiamarsi carsico, avuto riguardo all’emissario sotterraneo, alle notevoli oscillazioni di livello, alla conformazione tectonica della valle e alla sua relazione con estesi campi di Karre.n, che si stendono sulla sponda settentrionale.
Colore delle acque: bruno-olivastro (N. 15 scala Ule); trasparenza massima constatata: m. 1.63.
Sul monte che s’eleva a NE. del lago descritto vi sono due laghetti, il lago Santo e il lago della Mar, a 707 m. Distano l’uno dall’altro in tempi normali circa 200 passi. La lunghezza complessiva dei due laghi, compreso l’interno terreno alluvionale; è di Km. 1.5 (Lago Santo 0.78 Km.; Lago Mar 0.43 Km.). In tutti e due la massima larghezza è di m. 1.50. Sono di forma oblunga, con un piccolo schiacciamento nel mezzo e misurano una superfìcie il primo di 0.11, il secondo di 0.045 Kmq. La massima profondità del lago Santo è di 13 m., del lago della Mar di 16 m. (secondo il Damian). L’acqua del Lago Santo esce per un breve canale e si sprofonda gorgogliando fra i massi di detrito, per ricomparire alla luce probabilmente dietro il castello del paese di Terlago.
Appartengono tutti e due ai laghi di tipo carsico.
Proseguendo sui pendii della sponda destra dell’Adige troviamo il minuscolo lago di Cei a m. 900 circa (sup. Kmq. 0.039; profond. 6.55; colore IX Forel; trasparenza m. 3) tratteirato da una diga di materiali franati; e più a S. il Lago di Loppio.
Quest’ultimo (lat. 45°52’ long. 28°35 E. F.) si trova a 220 m. sul livello del mare e a 155 sul livello del Garda, dal quale è diviso per mezzo delle alture di Nago. E rinserrato da ripidi dossi, che riflettono nelle sue acque un color verde cupo.
La sua superficie è di Kmq. 0.60 e la sua profondità non arriva ai 5 m. (m. 4.10), ha una lunghezza di m. 1830, una larghezza di 400. Suo emissario è il Rio Cameras, che va a sfociare nell’Adige. E un lago vallivo alpino, sbarrato ad E. da un rilievo formato da alluvioni torrenziali e ad W. da due frane gigantesche che si incrociano. — Non credo, scrive lo Stoppani51, che fra i laghetti alpini ve ne sia uno più pittoresco del lago di Loppio. Le frane, mentre gli composero un lido tutto penisole, seni e frastagli, gli eressero nel mezzo isole scogliose, convertite in boschetti a cui fanno vaga cintura alla base i giunchi lacustri.
Quest’alpestre laghetto, che un tempo chiamavasi Lago di S. Andrea, ha un’importanza storica: sulle sue acque passò un tempo una flotta. Sotto il doge Francesco Foscari, durante la guerra contro Filippo Maria Visconti di Milano, Venezia — signora della valle Lagarina — collo scopo di vettovagliare Brescia, escogitò il temerario progetto di far passare pei monti una flottiglia dall’Adige nel Benaco. Questa venne rimorchiata dalla foce dell’Adige fino a Ravazzone. Quivi si trovava un immenso numero di operai, di ingegneri, che costruirono ponti e strade e con 2000 buoi poterono trascinare l’armatella nel Lago di Loppio. Dal quale alla sua volta venne levata e trasportata fino alla sella, fra Loppio e Nago,
donde venne lanciata sana e salva nel Garda. Lo scopo di
vettovagliare Brescia non fu che in piccola parte raggiunto:
ma ai 10 Aprile 1440 la flottiglia della Repubblica riusciva
a sbaragliare del tutto quella dei Visconti.
Fig. 2 — Il lago di Terlago e le sorgenti all’Ischia Podetti
(Scala 1: 75.000).
Il colore di questo lago varia in diversi punti. In mezzo e
nella punta meridionale corrisponde al N. IX Forel, nella insenatura
settentrionale al 15 Ule. In certi luoghi poi appare
tutto chiazzato di macchie rosse per effetto della sua flora.
Trasparenza, m. 2.60. Gela ogni inverno e del suo ghiaccio
si fa esteso commercio.
2- Al bacino della Brenta spettano due fra i più importanti laghi del Trentino, il Lago di Caldonazzo e quello di Levico, le «fontane di Brenta» ricordate da Dante 52. Quello di Caldonazzo è situato a 449 m. sul livello del mare ( tudine 46°1 long. 28°55 E. F.). Ha una forma rettangolare coll’asse longitudinale nella direzione di NNW. verso SSE. Alla fine del secolo scorso esso si estendeva fin presso Pergine ed era circondato da vaste paludi. Un generoso filantropo, Tommaso Maier, comprendendo il danno enorme che quei terreni cagionavano all’igiene, propugnò e riuscì ad ottenere — malgrado l’opposizione feroce dei contadini, che si credevano derubati, senza speranza di compenso, del magro raccolto dei carici — l’abbassamento del letto della Brenta allo sbocco (e per conseguenza del pelo dell’acqua del lago) e iL prosciugamento delle paludi ridotte ora a fertilissime campagne irrigate da canali53. Al tempo della sua più grande estensione — come si può constatare tuttora — la sua lunghezza massima era di Km. 5.9 mentre ora è appena di 4.2 Km. La sua maggior larghezza è di Km. 1.7. Misura un’estensione di Kmq. 5.38. Il Pavesi attribuisce al lago una profondità di 48 m., dato confermato dal Damian, che la trovò di 49 m., e dalle mie misurazioni concordanti con quest’ultima. Mentre a N. e a S. si stendono attorno al lago colte pianure strappate dall’industria dell’uomo alle acque, ad E. esso è chiuso da una collina, che lo separa da L. di Levico e s’alza appena 200 m. sopra il pelo dell’acqua, e ad W. dalle estreme pendici della Terrarossa e della Marzola.
Il declivo delle sue sponde è dolcissimo, e l’angolo medio di pendenza corrispondente a 3°59 è uno dei più leggieri che si incontrino nei laghi alpini.
Il suo volume è di Kmc. 0.1404 e la sua media profondità di m. 15.7.
Esso riceve le acque di un canale erogato dal torrente Fersina e di parecchi torrentelli e rigagnoletti; fra i più importanti: il Centa, il Merdaro e il Manetola. Suo emissario è la Brenta.
Il colore delle sue acque è celeste-verde corrispondente al N. V° della scala Forel. La sua trasparenza — in ripetute osservazioni — apparve superiore ai 6 m.
Il Lago di Caldonazzo ha comune l’origine col Lago di Levico. Ambedue sono dovuti allo sbarramento di valli per trasporti alluvionali.
Il Lago di Levico (lat. 46°1’; long. 28°57’ E. F.) si trova nove metri sotto il livello del lago di Caldonazzo e distante da esso appena un chilometro in linea retta. L’asse principale ha la stessa direzione NNW-SSE. di quello del lago di Caldonazzo e presenta una lunghezza di Km. 2.7, mentre la massima larghezza arriva appena a 100 metri. La sua forma, è allungata; a settentrione si insinua nei monti a guisa di fiord, a mezzogiorno si allarga a foggia di sacco. Le sue rive sono ripide e poco praticabili. La pendenza subacquea è notevole e forma, un angolo medio di 7°34’. Riceve le acque di due torrenti: a N. il Vignola — un torrente deviato dal corso primitivo, che anticamente dovea appartenere al sistema della Fersina — a S. il Rio maggiore, che, scendendo per terre friabili, ha trasportato nelle piene tutta quella massa di materiali, che forma il conoide su cui giace Levico. Anche il lago di Levico dovea presentare anticamente un’area maggiore. La sua superficie attuale è di Kmq. 1.06. La sua profondità massima, secondo il Pavesi, è di 35 m.. secondo il Damian di 36 m. La colorazione del Lago è verde in differenti scale: verde scuro presso le pareti ripide, verde chiaro dove c’è poca profondità.
All’entrata del Rio Maggiore presenta invece una colorazione giallo-aurea, che si estende fino verso la metà del lago, indebolendosi colla lontananza e sciogliendosi in strette striscie. Questo prova che le materie contenute nell’acqua di quel torrente, restando a lungo sospese, ne determinano la colorazione.
In mezzo al lago constatai in differenti stagioni un colore quasi identico a quello del lago di Caldonazzo (V-VI Forel).
La sua trasparenza è di m. 6 a 7. I laghi di Levico e di Caldonazzo gelano quasi sempre incompletamente nelle invernate fredde; per il secondo, però occorre, un freddo più forte ed intenso che pel primo.
Sull’altopiano di Lavarone, le cui acque per mezzo del Centa e d’altri torrentelli confluiscono nel bacino della Brenta, si stende il laghetto di Lavarone a 1100 m. circa (lat. 45°56’, long. 28°55’, E. F.). Esso si trova in una depressione che fa seguito a una serie di doline a piatto ed è esso pure una dolina alle falde del M. Horst (1282 m.).
Il lago ha un diametro longitudinale massimo, nella direzione da maestro a scirocco, di m. 350; la larghezza varia da» un minimum di 80 m. a un maximum di 225 nella parte centrale; lo sviluppo circumlacuale è di Km. 0.930. La sua superficie è di Kmq. 0.054.
Il punto più profondo è a m. 15.80 e si trova a un terzo circa dell’asse longitudinale partendo da N. verso S., più vicino, naturalmente, alla sponda occidentale, che è ripida e nascosta da un fitto bosco di conifere, mentre la sponda orientale è più dolce e coperta di prati sparsi di conifere e latifoglia.
Il volume del lago è di 355.400 mc.
Sul fondo del laghetto si scorgono per un certo tratto dalle sponde i rami e i tronchi d’albero, che lo coprono compietamente.
Questi tronchi hanno tutti la direzione di raggi tendenti allo stesso centro. I contadini del luogo ne estraggono ogni inverno una gran quantità, che serve come legna da ardere.
Il fenomeno deve dipendere, come vedremo, dal modo in cui il lago si è formato e si presenta pure in un altro laghetto di piccole dimensioni, il lago Santo (1172 m.) nel bacino dell’Avisio. La maggior parte delle piante, viste dalla, riva o dalla barca, sembrano abeti; sul vicino M. Horst e sui pendii erbosi a N. del lago vi sono alcune sorgenti, che scolano nel lago. L’acqua, che sì raccoglie nel bacino lacustre, esce dalla parte NE. dello stesso, per mezzo di un emissario artificiale, che alla distanza di un centinaio di metri dall’uscita si sprofonda in una voragine. Proprio nel punto dove si inabissa, è utilizzato come forza motrice per un molino a sega. La voragine fu artificialmente allargata e le pareti difese con muri, perchè il loro materiale non potesse, franando, otturare lo sfogo. Appartiene al tipo delle voragini (Schlote, avens) comunicanti con corsi d’acqua sotterranei.
L’acqua, che si inabissa in maggior o minor quantità a seconda del livello del lago o anche della volontà dei possessori del molino, i quali hanno costruito una, cateratta per moderarne il deflusso, scaturisce, secondo le supposizioni abbastanza, fondate dei contadini, nella Valle del Centa, alla base d' un ripido canalone (che solo in tempi piovosi è percorso dall’acqua e si chiama Vallenpach), alla distanza dal lago di Km. 2.6 in linea retta. Il corso del Vallenpach, dalle sorgenti disposte sulla roccia quasi a piceo sino allo sbocco nel Centa, è brevissimo ed è utilizzato come forza motrice presso il casolare denominato Valle.
Il lago di Lavarone ha tutte le caratteristiche di un lago carsico. La sua temperatura — misurata nell’Ottobre 1897 — offriva la strana caratteristica degli strati abissali (a 15 m.) più caldi di quelli immediatamente soprastanti; tale anomalia nell’andamento termico è da attribuirsi probabilmente alla decomposizione delle materie vegetali (rami, tronchi, ecc.), che si trovano sul fondo e forse anche a polle sotterranee con temperatura fra i 6° e i 7°. Il suo colore corrisponde al Vili Forel; la sua trasparenza era, il 28 Luglio 1897, di m. 2.80.
Una leggenda che si riferisce al laghetto, abbastanza nota fra i contadini del luogo, appartiene a quel ciclo di leggende lacustri, che spiega l’origine dei laghi colla sommersione, per opera, della potenza divina, di un paese, di un bosco ecc., in causa dell’iniquità dei loro abitanti o proprietari. Di questo tipo è la leggenda del lago di Cavazzo in Friuli; quella del lago di Santa Colomba nel Trentino. La leggenda di Lavarone narra di «due fratelli, che avevano una fiera lite per il possesso di un bosco. Dio per punirli una bella notte fece precipitare l’oggetto delle loro aspre contese in una voragine, che subito si riempì d’acqua, formando così il lago, il quale porta ancora sul fondo, quasi ad ammonire i malvagi, gli alberi che causarono la rovina.»
Nella Valsugana propriamente detta, fra Borgo e Levico, esistevano due laghi, il lago dei Masi e il lago Morto. Attualmente ci sono dei campi e prati leggermente paludosi. A NE. di questi, nel bacino del Cismone, giaceva il Lago di Rebrut o Lago Nuovo, svuotato quasi completamente durante le innondazioni del 1882 e del 1888.
La storia di questo lago merita d’esser brevemente ricordata54. Verso la fine del secolo scorso, in quel luogo dove ora esiste la Valle del Rio Brutto (o Rebrut), v’erano delle vere boscaglie che, improvvisamente atterrate, lasciarono il posto a fertili praterie, sparse di casette. Nel 1793 ebbe luogo in questa valle un primo franamento, dovuto probabilmente al diboscamento ed alla natura stessa del sottosuolo composto di schisti argillo-micacei. Un’altra frana ebbe luogo nel 1823; e questa valse ad arrestare temporaneamente l’acqua del Vanoi, producendo un laghetto che in breve scomparve. Finalmente nel 1825 avvenne un franamento più terribile e l’ acqua, che scorreva sul fondo della valle, arrestata di subito diè origine al Lago, che si chiamò lago nuovo (o Lago di Caoria o di Rebrut) distruggendo praterie, campi, casali isolati, villaggie uccidendo bestiami e uomini. «Da quel momento — così scrive il Fratini55 — si impegnò una lotta terribile tra il lago e la diga che ne era l’origine. Ad ogni nuova pioggia una nuova quantità di materiale franato veniva a sovrapporsi a quello antecedente; il lago si alzava, e per la cresciuta pressione, l’acqua, rotta la parte più alta, più recente, più tenera della diga, furiosamente irrompeva nella sottoposta valle, arrecando lo spavento e la strage.»
L’anno seguente, 1826, le due frazioni di Ponte e Remissore venivano sepolte sotto alle ghiaie, in seguito ad uno di tali svuotamenti parziali del lago, ed il villaggio di Canal S. Bovo, che si credeva sicuro, perchè posto sopra un’altura, si vide a poco a poco mancar sotto i piedi il terreno, che, composto di materiale alluvionale-morenico, cedeva all’urto dell’acqua del Vanoi, proveniente con tanto impeto dal lago; così che si dovettero abbandonare le singole abitazioni e trasportare il villaggio più in alto, in luogo più sicuro.
L’estensione dei luoghi distrutti dalla frana e dai fenomeni che ne conseguirono, venne allora calcolata in metri quadrati 3624.00. Pareva dopo il 1877 che questa lotta fra il lago e la diga avesse almeno una tregua, quando sopraggiunse la terribile piena del Settembre-Ottobre 1882.
Nella parte superiore della valle, sempre per opera di frane, si formò un nuovo laghetto, che, rotta in breve la diga, lasciava libero sfogo ad una colonna di acqua, che, trascinando con sè ciclopici massi di granito e di porfido, distrusse tutto quello che trovò sul suo passaggio e, riversandosi nel lago Nuovo, lo riempì e riuscì a infrangere la diga. L’acqua allora, fuggendo precipitosamente, si riversò nella sottoposta valle, producendo enormi disastri, e il fondo del lago rimase quasi totalmente asciutto. Una piccola pozza, rimasta nel fondo a 15 m. sotto il livello solito del lago, fu completamente spazzata dall’inondazione del 1888. Di quel lago famoso ora non resta che una lugubre e funesta memoria e, in mezzo a quel campo di squallore, si trovano ancora i residui di piante che, rimaste per 57 anni sotto acqua, avevano cessato di vivere e cominciavano a fossilizzarsi. La superficie del lago era di 0,96 Kmq.; la sua profondità massima di 18-20 m.; la sua altezza sul livello del mare di 772 m. Nessuna notizia esatta, però, fu raccolta sul luogo al tempo delle prime catastrofi, a ricordo delle quali non ci restano che quattro brutti canti di un certo Negrelli Nicola56.
Un altro lago esiste tuttora nel bacino del Cismone. È il laghetto di Calaita, in fondo alla valle del Lozen, alle falde occidentali del Col Santo. E situato a 1622 m. ed ha — secondo il Fratini — un diametro massimo di circa 500 m. Le sue sponde sono molto torbose.
3. Bacino del Sarca. Come potremo vedere in seguito, questo bacino contiene, oltre ad un numero abbondante di laghi notevoli per estensione, una serie grandissima di piccoli laghi di circo sopra i 2000 m. Allo spartiacque tra il Noce e il Sarca (Adige e Po), nei dintorni di Molveno, verso Spor-Maggiore nella valle inferiore di Non, giace a 974 m. il lago di Andalo (lat. 46° 10; long. 28° 40 E. F.). Esso appartiene ai bacini d’acqua periodici. È di forma oblunga. Ha una lunghezza massima di 1 Km. da N. verso S. e una larghezza di 0.5 Km. La sua massima profondità può essere di 10-12 m. Non ha affluenti esterni e neppur emissario. A poca distanza da esso passa una tenue vena d’acqua, che, piegandosi con un angolo acuto, si versa nel vicino lago di Molveno. In questa direzione deve avvenire anche lo scaricamento sotterraneo del lago quando è in piena. Un proverbio di montanari, che abitano nel paesello omonimo, esprime il fenomeno della periodicità del lago e della sua infiltrazione sotterranea:
«Quando el lac d’Andal el va ’n Lombardia
«Sete ani de’ Carestia»
«Il lago va in Lombardia» significa che esso si scarica, per mezzo del lago di Molveno, nel Sarca, il quale col nome di Mincio bagna la Lombardia. I sette anni di carestia significano i gravi danni che le già scarse raccolte ricevono dalle eccessive pioggie che fanno gonfiare il lago. Il bacino di questo lago conserva molte impronte di azione glaciale; il che non impedisce che il lago debba ritenersi di tipo carsico.
Il suo colore è abbastanza intenso; fra il N.° IV e il V della scala Forel (osservazione del 26 Giugno 1898).
A SE. del Lago di Andalo giace, in mezzo ad un grandioso paesaggio alpino, il Lago di Molveno in un abbassamento profondo (821 m.) (lat. 46°7, long. 28’ 38 E. F.), tra i ripidi scaglioni della Tosa e del Brenta, da una parte, e il selvoso pendio della catena uniforme della Paganella dall’altra. E il più profondo dei laghi alpini del Trentino. Il Damian, che fece in questo lago una serie notevole di scandagli, trovò, in tempo di notevole magra, una massima profondità di 118 m. E di forma oblunga. L’asse longitudinale è di circa 4 Km. Ha una superficie di Kmq. 3.27.
Le rive scendono ripide da tutte le parti, talché l’angolo medio di pendenza raggiunge i 13° 10. Il volume suo è di Kmc. 0.1612 e la sua media pendenza di m. 49.3. La riva occidentale presenta un’insenatura profonda, nella quale si ammira la pittoresca cascata di un torrentello. Oltre a questo affluente, ne riceve un altro, che vien dalla valle delle Seghe (una valle che si intaglia profondamente fra le guglie altissime delle Dolomiti) e un terzo, il rio di Lambin, che ha le sue sorgenti sul pendio occidentale della Paganella. Nel Lago di Molveno si incontrano, come in molti laghi alpini, non solo diverse colorazioni, ma gradazioni numerose delle stesse. E però uno dei laghi più azzurri delle Alpi. Nel giorno 26 luglio 1898 constatai in esso un colore azzurro rispondente al II-III Forel. La sua trasparenza può raggiungere i 10 m. Il suo emissario è poco visibile superficialmente; anche quando l’acqua del lago è alta, non si vedono che per brevi tratti delle vene d’acqua scorrenti fra i massi, vene, che vanno a stagnare nel laghetto di Nembia (778 m.), per scaturire 100 metri circa sotto il livello di quest’ultimo in tante piccole polle, che danno origine al torrente Bondai.
Il lago di Molveno deve la sua origine alla caduta di una frana sul margine meridionale verso la valle del Bondai e va perciò classificato fra i laghi vallivi alpini. È caso raro che il lago di Molveno si copra completamente di ghiaccio durante l’inverno. La pesca vi è praticata attivamente, malgrado la grande distanza dai mercati.
Dall’alpestre Molveno, seguendo il corso delle acque, si può scendere in poche ore nella valle del Sarca, ai laghi di S. Massenza e di Toblino. Giacciono ambedue all’altezza di 250 m. (il primo a 46° 4’ di lat. e 28°38’ di long. E. F.; il secondo a 46" 3’ di lat. e 28° 38’ di long. E. F.) e formavano ancora al principio del nostro secolo un solo lago. Un breve canale congiunge i due laghi. Sovr’esso passa la strada, che congiunge la Val d’Adige colle Giudicane e che un tempo, quando il lago non era ancora, sdoppiato, passava sulla sua spiaggia occidentale.
Il lago di S. Massenza presenta una forma oblunga, coll’asse longitudinale di 1.2 Km. da N. a S., con una larghezza massima di 0.4 Km. e con una superfìcie di 0.35 Kmq. Ad E. e ad W. le pareti del bacino sono ripide; a N. e a S. il terreno si spiana. Ha due piccoli affluenti, uno a S., le cui sorgenti giacciono presso Covelo, ed uno a N., che nasce presso Fraveggio. Il punto di maggior profondità è a 13 m. Il volume del lago è di 0.0021 Kmc. e la media profondità di m. 6.2. Il lago di Toblino ha una forma bizzarramente increspata. La sua lunghezza da NE. verso S. è di 1.6 Km.; la sua larghezza massima di 0.8 Km., la superficie di 0.76 Kmq. Su di una pittoresca penisoletta, che in tempi di piena diventa un’isola, sorge un romantico castello, che specchia le sue torri e le mura merlate nelle limpide acque del lago, cinto da colline ammantate di olivi e di elci sempreverdi (V. illustr. a pag. 155). Altri isolotti sembrano galleggiare in mezzo all’azzurro specchio del lago e danno a questa gemma, incastonata m- un diadema di colli, un fascino meraviglioso. Il fondo del bacino non è molto regolare; lo scandaglio scende nei punti di maggior profondità fino a 14 m. Il suo volume è di Kmc. 0.0059 e la sua media profondità di m. 7.7. Ha anch’esso due affluenti, uno a N., che traversa un suolo coperto di avanzi detritici e conduce molto materiale; un altro a S. sbocca presso il Castello; è pur esso ricco di materiali e tende a rannodar maggiormente alla terraferma la penisoletta. I due laghi presentano lo stesso colore verde (N.° IX scala Forel); la trasparenza è maggiore in quello di Toblino (m. 3.50) che in quello di S. Massenza (m. 3).
Questa plaga è mirabilmente difesa dai venti e gode di una invidiata fertilità. Frequentemente nelle campagne, che fiancheggiano questi laghi e che vennero prosciugate nella seconda metà del nostro secolo, si rinvengono fìbule, monete, iscrizioni e costruzioni romane. Un canale — il Rimon — ultimato nel 1879, della lunghezza di circa 4 Km. con una pendenza, che appena si può scorgere ad occhio, comunica le acque di questi due laghetti a quello di Cavedine. I due laghi non agghiacciano l’inverno.
Il lago di Cavedine (lat. 46°, long. 28° 37’ E. F.) giace a 242 m. vicino a Pietramurata, mentre il paese di Cavedine si trova a 460 m. e non si scorge dal lago. Ha una forma di sacco, come il lago di Levico; il suo asse longitudinale di 2.5 Km. va in direzione da N. a S.; la sua larghezza massima è di 0.6 Km. La sua superficie è di 1.01 Kmq.
Secondo le osservazioni del Prof. Damian — confermate dalle mie — la profondità massima raggiunge 50 m. I torni del lago presentano un aspetto brullo, che contrasta colla deliziosa vegetazione dei laghi precedenti, e sono piuttosto ripidi. L’angolo medio di pendenza delle rive subacqueo è di 11° 22; il volume del lago è di Kmc. 0.0245 e la media profondità di m. 24.3. Il suo colore è celeste verde (VI Forel). La sua trasparenza — misurata parecchie volte — risultò di m. 2.85. Esso ebbe costantemente nell’anno 1897 una temperatura abissale di 4° sotto i 45 m. Gela raramente.
Il lago di Cavedine deve — come i due precedenti — la sua origine a un enorme sbarramento di valle. La diga, che trattiene tutti e tre questi laghi, è costituita da un potente mucchio di rovine, lungo 7 Km. e largo 2.5, che si stende fra i paesi di Drò e Pietramurata. Sono le Marocche, delle quali abbiamo già fatto cenno. Dicemmo essere dubbio se esse siano delle morene, rivestite da frane, o se rappresentino invece qualche grande scoscendimento avvenuto dopo l’epoca glaciale. La mancanza di fauna pelagica, constatata nel lago di Toblino dal Maggi e dal Pavesi, deporrebbe in favore dell’ultima ipotesi57. Il Taramelii espresse recentemente l’idea che sieno frane preglaciali trasportate da ghiacciai.
Lago di Tenno. Sopra la piantina di Riva, dove il Sarca sfocia nel Garda, all’ altezza di 562 m. si trova il piccolo lago di Tenno (lat. 45° 56’, long. 28° 28’ E. F.) Ha una superficie di 0,24 Kmq.; è di forma oblunga; il suo asse longitudinale misura 600 m., la sua massima larghezza è di 450 m. La sua massima profondità, secondo il Damian, è di 28 m. È un lago vallivo alpino di sbarramento. Non ha affluenti esterni; i due torrenti, che gli portano tributo d’acqua, trapelano alla superficie delle alluvioni solo in tempi di grandi pioggie. Manca anche di emissario, perchè la diga, nella sua parte inferiore, ha un’altezza di 30 m. sopra il livello dell’acqua. Secondo il Lepsius questa diga è composta di massi sciolti precipitati dall’alto58. Cinquanta metri circa al disotto del livello del lago scaturiscono molte polle, le quali ingrossano il torrente ohe clà luogo alla cascata del Varrone. Il lago di Tenno agghiaccia raramente. Nel freddissimo febbraio dell’inverno 1890-91 presentava alla superficie una temperatura di 5°30, tanto da far pensare all’esistenza di sorgenti calde sotterranee.
Un modello di lago vallivo costrutto, da sbarramento morenico ci è dato dal Lago di Ledro. Si trova a 655 m. sul mare e a 590 sul Garda, dal quale dista pochi chilometri in linea retta. (Lat. 45° 53’; long. 28° 25’ E. F.). Ha una forma molto articolata; il suo asse longitudinale misura 2.8 Km.; la sua massima larghezza è di 1.5 Km.; la superficie di 2.18 Kmq. La profondità massima, che secondo il Pavesi doveva essere di solo 6 m., risultò al Damian, che fece nel lago una numerosa serie di scandagli, di m. 47.6. Il suo volume è di Kmc. 0.0712, la media profondità di m. 32.6; l’angolo medio di pendenza di 9° 14.
Esso deve la sua origine ad una serie di terrazze di alluvione glaciale, sovrastanti alla dolomia, terrazze che anticamente dovevano estendersi su per tutta la valle e che l’erosione deve aver successivamente distrutte, portandole giù ed ammucchiandone il materiale davanti alla stretta gola nella parte inferiore della valle. Così il lago ci si presenta fiancheggiato da montagne dolomitiche a picco, mentre ad E. non è chiuso che dalla diga costituita dalla morena alluvionale. L’argine, che, trattenendo l’acqua, diede origine al lago di Ledro, venne a poco a poco rotto dall’efflusso dell’acque e la spaccatura andò lentamente approfondendosi fino a raggiungere 60 m.
Parecchi sono gli affluenti di questo lago: a N. il torrente che scende dalla valle di Concei, ad E. il torrente Marangla, a S. il torrente Sut e parecchi altri ruscelli. L’emissario del lago, che ha inciso nel mezzo, a gradinate, la diga che lo trattiene, è il Ponale, che si versa nel Garda da un’altezza di circa 100 m. Il lago di Ledro gela completamente l’inverno. Negli ultimi anni si fecero in esso numerose seminagioni di pesci.
Finalmente appartiene per una piccola parte al Trentino, e precisamente al bacino del Sarca, il lago di Garda (lat. 45° 40 long. 28° 2l’ E.), il più grande dei laghi prealpini italiani. Esso riempie la profonda valle, che si spinge da S. a N., fra i monti bresciani ad W., i veronesi ad E., i trentini a N. Da Riva di Trento a Peschiera è lungo Km. 52; nel punto della sua maggior larghezza fra Garda e Salò misura Km. 16.5. Il suo perimetro è di Km. 125. La sua altezza sul livello del mare è di 65 m. Riguardo all’area di questo lago sono parecchie le misurazioni e i dati, che si conoscono. La più recente è quella di O. Marinelli, che gli attribuisce un’area di 369,98 Kmq. Delle anteriori misurazioni, quella del Cattaneo si ragguaglia a 300 Kmq. e quella dello Strelbitscky a 366.10 Kmq. La parte austriaca del lago (secondo le mie misurazioni) risulta di Kmq. 14.46, vale a dire di 1/25 dell’intero bacino. La massima profondità, secondo le misurazioni eseguite dall’ufficio idrografico della R. Marina negli anni 1882-1887, venne constatata a 346 m. Nella parte austriaca il professor Richter eseguì un numero notevole di scandagli. Al confine austro-italiano egli trovò in mezzo al lago una profondità di 311 m., corrispondente press’a poco a quella constatata dalla R. Marina. Dalla linea di confine verso Torbole il fondo del lago si eleva gradatamente: dinanzi alla cascata del Ponale la profondità raggiunge i 250 m. Alla distanza di un chilometro dalla foce del Sarca, quella di 200 m.
Il volume del Garda è di Kmc. 49.7560; la media profondità di 134.5, l’angolo medio di pendenza è piuttosto leggiero e si ragguaglia in 5°.41.
Il Benaco presenta la tinta azzurra più carica di tutti i laghi italiani. Il Garbini, che fece sulle condizioni fisiche delle acque del Garda numerose osservazioni, ne trovò il colore assai più carico del n. 1 della scala Forel, alla quale dovette premettere un’aggiunta59.
Il colore azzurro del Benaco, appare meno carico se guardato dall’alto; il suo colore medio si ritiene corrispondente al N.° 0 della scala del Garbini.
Il limite di visibilità (trasparenza) del Garda — in base a osservazioni di 3 anni — è di m. 14.99. Nel gennaio del '94 tale limite fu trovato alla profondità di 21 m. Le varie oscillazioni della trasparenza nelle diverse stazioni sono espresse da queste cifre:
Limite medio di visibilità delle acque del Benaco in....... inverno m. 18.80 estate m. 11.08 autunno m. 13.90 primavera m. 16.20
Sulla temperatura delle acque del Garda riassumiamo alcune notizie, togliendole dall’importante lavoro del Garbini più volte citato. La temperatura dell’acqua alla superficie oscilla in generale:
da Dicembre a Febbraio. .fra 6° 25 e 10° 0 C. da Marzo ad Aprile. . fra 8“ 75 e 15° 25 C. da Giugno ad Agosto. . fra 17° 50 e 27° 50 C. in Settembre. . . . fra 22° 50 e 17° 50 C. da Ottobre a Novembre. . fra 15° e 10° C.
Il Benaco nei tempi storici gelò solo una volta nel 1709, anno di freddo intensissimo. Il decrescimento della temperatura delle acque dalla superficie verso il fondo è lento ed irregolare; la zona di salto si trova fra i 20 e 30 m. con notevoli oscillazioni a seconda della stagione estiva od invernale.
I piani isotermici non sono paralleli. La temperatura costante abissale, comincia fra m. 175 e 250 di profondità, ed è di 7°8, vale a dire è la. più alta che sia stata constatata fino ad ora nei laghi profondi.
Il regime dei venti, a cui va soggetto il lago di Garda, è di interesse speciale, giacche esso ci offre spiccatissimo il fenomeno delle brezze di monte e di piano. L’ora del Garda (brezza ascendente nelle ore diurne, alla quale corrisponde il sover, brezza discendente nelle ore notturne) della quale parleremo a suo luogo, fa sentire la sua influenza in tutta o quasi tutta la regione trentina e mette in movimento le acque di tutti i bacini lacustri, di cui abbiamo parlato.
Sull’origine del Garda, come in genere sull’origine dei laghi prealpini si è molto discusso dai geologi senza arrivare ad un accordo. Le teorie attualmente prevalenti sono due: una del Taramelli, che attribuisce questi bacini ad escavatone glaciale, un’altra, non meno validamente sostenuta, li attribuisce a spostamenti di massa fra le regioni periferiche e le centrali delle Alpi.
4. Ed ora, terminato questo breve cenno riassuntivo sui più importanti laghi del Trentino, vediamo la distribuzione verticale di tutti i bacini lacustri nei singoli plessi montuosi, che appartengono, o in parte o per intero, alla regione trentina.
I laghi appartenenti al territorio trentino (come appare dallo specchietto60a pag. 174-75) sono 349 (un lago ogni 18 Kmq. di superficie); la somma totale dei laghi appartenenti ai plessi, alpini, che almeno in parte spettano alla regione trentina, è di 531; di essi 339 stanno fra i 2000 e i 2900 m. (e di questi 120 sono superiori ai 2500 m.); 142 fra i 1000 e i 2000 m.; 50 fra i 0 e i 1000 m. Nei vari bacini imbriferi, che spettano al Trentino, il numero maggiore di laghi è dato dal bacino del Noce; a questo seguono i bacini del Sarca, dell’Avisio, della Brenta e della Fersina. Questi laghetti alpini, specie quelli sopra i 1500 m., debbono essere in massima classificati fra i laghi di circo, le cui caratteristiche sono la piccola dimensione, la forma rotondeggiante, e l’esser di solito scavati o parzialmente o totalmente nella roccia in posto; questi laghi sono di profondità talvolta notevoli, talvolta minime; e predominano nelle roccie costituite da graniti o gneiss; spesso sono l’origine di fiumi o torrenti e sono gelati per gran parte dell’anno.
Dei laghi trentini fu studiata con molta cura la fauna pelagica dal Pavesi e dal Maggi61. Si constatò che manca assolutamente di forme pelagiche il lago di Toblino, mentre ne albergano i laghi di Ledro, Loppio, Caldonazzo, Levico e Garda.
Recentemente si iniziarono anche gli studi sulle diatomee dei laghi trentini per opera dei proff. De Toni, Corti. Garbini e Largaiolli62. Non esistono invece, che io mi sappia, studi sulle piante delle acque paludose e di quelle che vivono sul margine dei laghi.
6. Ho voluto infine aggiungere un breve cenno sulle paludi non tanto per parlare delle poche e piccolissime plaghe palustri, che attualmente si hanno nel Trentino, quanto per ricordare le estese paludi che fino alla metà del secolo recavano tanto danno al nostro paese. Esse furono prosciugate coll’opera artificiale dell’uomo, e in parte anche coll’opera stessa della natura, che favorì questo processo di prosciugamento col deporre sopra i terreni inquinati forti strati d’alluvione, trasportati dalle piene.
Lungo l’Adige le paludi e gli stagni più estesi si avevano nel tratto da Salorno a Cadino, dove anche presentemente vi sono campi e prati paludosi, a oriente dei quali passa il fosso di Caldaro, che ne riceve gli scoli per mezzo di canali secondari; poi fra S. Michele e la Zambana, tra le foci del Noce e dell’Avisio, dove, al dire del Leporini, si aveano dei laghetti, e in non pochi punti la radente stessa inferiore del letto dell’Adige era più alta di circa 3 piedi della superficie delle paludi63. Una terza palude si aveva fra Mattarello e Calliano e anch’essa scomparve coi lavori di arginazione del fiumi. Anche le acque del lago di Loppio scolavano nell’Adige traverso malsane paludi, che si prosciugarono non appena fu fatto un canale artificiale, di scolo. Nella Valsugana si aveanoDistribuzione verticale
ALTEZZE | Gruppo | dell'Ortler | Alpi | di Val di Non | Gruppo Adamello |
Presanella | Alpi di | Val di Ledro | Gruppo | di Brenta |
---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|---|
t. | e. | t. | e. | t. | e. | t. | e. | t. | e. | |
3000 | — | — | — | — | — | — | — | — | — | — |
900 | 5 | 3 | — | — | — | — | — | — | — | — |
800 | — | 6 | — | — | — | — | — | — | — | — |
700 | 7 | 13 | — | — | 4 | 2 | — | — | — | — |
600 | 15 | 11 | — | — | 1 | 1 | — | — | — | — |
500 | 24 | 17 | — | — | 8 | 6 | — | — | — | — |
400 | 8 | 13 | — | — | 8 | — | — | — | — | — |
300 | 3 | 11 | — | 1 | 7 | 7 | — | — | — | — |
200 | 2 | 3 | 1 | 1 | 6 | 1 | — | — | 1 | — |
100 | — | 4 | 1 | — | 7 | 4 | — | — | — | — |
2000 | 2 | 2 | — | 1 | 11 | 4 | — | — | 3 | — |
900 | 1 | 2 | — | — | 10 | 6 | 2 | — | 1 | — |
800 | 1 | 3 | — | — | 7 | 7 | — | — | 2 | — |
700 | — | 3 | 1 | — | 6 | 1 | 1 | — | — | — |
600 | — | — | — | — | 2 | — | 1 | — | 1 | — |
500 | — | — | — | — | — | — | 1 | — | 1 | — |
400 | — | — | — | — | — | — | 1 | — | — | — |
300 | — | — | — | — | 2 | — | — | — | — | — |
200 | — | — | 1 | — | — | — | — | — | — | — |
100 | — | — | — | — | — | — | — | — | 1 | — |
1000 | — | — | — | 1 | — | — | — | — | — | — |
900 | — | — | — | — | — | — | — | — | 1 | — |
800 | — | — | — | — | — | — | — | — | 1 | — |
700 | — | — | 2 | 1 | — | — | 2 | — | 3 | — |
600 | — | — | — | 1 | — | — | 1 | — | — | — |
500 | — | — | — | — | — | — | — | — | — | — |
400 | — | — | — | — | — | — | — | — | 1 | — |
300 | — | — | — | — | — | 1 | — | — | — | — |
200 | — | — | — | 1 | — | — | — | 3 | 1 | — |
a 100 | — | — | — | — | — | 1 | — | 1 | — | — |
Da 0 | — | — | — | — | — | — | — | 2 | — | — |
68 | 91 | 6 | 7 | 79 | 41 | 9 | 6 | 17 | — |
Un po' acquitrinosa era la plaga di Torbole, dove il Sarca si getta nel Benaco; e assai deleteria la spianata, che intercede fra il lago di Toblino e quello di Cavedine; l’opera intelligente di un cittadino di Trento, T. Bassetti, e dei terrazzani del luogo trasformò quel territorio in ubertose campagne; paludosa era la breve spiaggia, che circonda a settentrione il lago d’Idro. Si potè però effettuare un abbassamento del livello di questo lago e gran parte delle paludi scomparvero.
Col prosciugamento di queste paludi migliorarono le condizioni dell’igiene pubblica ed oggi si deplorano ben raramente le febbri malariche. Una plaga ancora infestata dai miasmi sembra quella di Fiavè (Giudicarie) dove, al dire del Zaniboni65, una torbiera fa sentire gli effetti delle arie maremmane.
Gli stagni e le paludi esistenti attualmente nel Trentino sono di piccola dimensione e di solito lontani dagli abitati. La regione, che ne conta maggior numero, è l’altopiano di Pinè.
D. Pesca e pesci. Le acque dei Trentino66 si prestano bene alla piscicoltura; e, per la loro varietà sotto l’aspetto del volume e dell’altimetria, offrono ospitalità a specie diverse. Tav. V.Lago di Molveno. Da qualche anno la pescicoltura è oggetto di cure speciali da parte del governo, di associazioni e di privati e non solo nei bacini lacustri, ma anche nelle acque correnti. In queste però la rendita è assai inferiore: anzitutto perchè le inondazioni, distruggono talvolta tutta la fauna; in secondo luogo perchè le frequenti cascate impediscono ai pesci la monta e quindi la possibilità di propagarsi lungo l’intero corso del fiume. Bisogna infine tener conto del sistema della fluitazione del legname in uso presso i contadini del Trentino, sistema dannosissimo ai pesci.
In generale poi la pescicoltura, tanto nei laghi che nei fiumi, è ostacolata dal poco rispetto che si ha per le leggi riguardanti la pesca: dall’abuso della tirlindana, dalla pesca di avanotti appena immersi, o in epoche non opportune, dall’uso di reti proibite, dalla presa dei pesci colla dinamite o col prosciugamento repentino dell’alveo, ottenuto col deviare la corrente dei fiumi. L’inizio della pescicoltura razionale nel Trentino risale al 1879, anno in cui fu fondato a Torbole lo stabilimento sociale di pescicoltura artificiale per opera di un prete, Don Francesco Canevari. Altri piccoli stabilimenti furono istituiti in seguito sulle rive del Garda: uno a Peschiera nel 1887 (come succursale dello stabilimento ittiologico di Brescia) e un altro a Garda per iniziativa del Comizio agrario di Bardolino.
Infine per opera della sezione italiana del consiglio provinciale d’agricoltura furono recentemente erette stazioni d’incubazione a Borgo, Daone, Storo, Vigo Lomaso, Bersone, Taio, Giustino e Predazzo.
Questi istituti hanno lo scopo precipuo di seminare annualmente centinaia di migliaia di avanotti e di studiare l’adattabilità delle acque alle varie colture. L’istituto di Torbole servì di modello a molti consimili in Austria e in Italia. La pesca è raramente esercitata, come professione unica, dagli abitanti dei paesi vicini ai laghi (fatta eccezione pel Garda ) e non è molto rimunerativa, data la distanza dei laghi dai mercati dei grossi centri e delle città. Dopo il Garda, i laghi che maggiormente rendono sono quelli di Caldonazzo, Levico, Molveno, Ledro e Cavedine. Dati statistici sulla rendita di questi laghi — escluso il Benaco del quale parleremo più sotto — non esistono. Quasi tutti i laghi del Trentino sono di proprietà comunale e vengono affittati ai pescatori. Anticamente la pesca dei laghi situati entro i confini del principato di Trento era in potere dei principi vescovi e loro ne spettava l’investitura67. Da un documento del 1257 si rileva che i patti fra la curia vescovile e il pescatore, che prendeva in appalto le acque del principato, consistevano nell’obbligo, da parte del vescovo, di tutelare i diritti del pescatore e di fornirgli vitto e vestito e da parte del pescatore in quello di dare al vescovo tutti i pesci di un valore maggiore di 12 denari68.
Le acque correnti del Trentino sono in prevalenza abitate dalla trota fario e dalla trota lacustris, che vi risale dai laghi. Ne sono ricchi il Sarca, il Chiese fino alla serra di Condino (che ne impedisce la monta), il Noce con tutti i suoi affluenti principali, l’Avisio e i due Leni dalla cascata di S. Colombano fino ad alcune altre cascate superiori. La Fersina ne è totalmente priva, perchè troppo ripida nella parte superiore e troppo interrotta da cascate nel corso inferiore. Il ramo superiore della Brenta è pure privo di pesci perchè mediante bertovelli è impedita l’uscita dei pesci dal lago di Caldonazzo; nell’Adige allignano bene le trote, le tinche, i barbi, i cavedoni ecc.; però la immissione di avanotti si è mostrata inutile, pei lavori di arginazione che si stanno facendo al corso del fiume e perchè i pesci amano risalire nel tratto superiore appartenente al Tirolo.
La zona dei laghi alpini — specialmente di quelli di circo — è caratterizzata dalla prevalenza dei salmarini (Salmo V. S. Salvenilus L.). Acque ben popolate sono soltanto quelle pochissime, che per motivi speciali sono inaccessibili ai pescatori o quasi: p. e. il lago di Lases, che è circondato all’intorno da roccie; il lago della Mar e il lago di Lavarone, nei quali la pesca è resa pressoché impossibile dai tronchi e rami d’alberi, che giacciono sul fondo.
Degli strumenti da pesca più in uso nella nostra regione ricordiamo quelli, che più di frequente si adoperano dai pescatori, specie sulla riviera trentina del Garda69. Essi sono: il ludrion e l’antana, (due diversi tipi di rezzuola, l’una più lunga, l’altra più breve, ambedue di forma rettangolare senza sacco); il bartavel, l’arcone, la dindana e gli ami. Il bartavel e l’arcone sono bertovelli formati da una serie di imbuti, nei quali il pesce entra facilmente ma non esce più; la dindana (tirlindana) e gli ami sono fili di differenti sostanze, ai quali stanno attaccati gli ami.
Il capitale degli strumenti da pesca sulla riviera trentina del Garda venne valutato in lire 20.370 e l’annua passività degli stessi (manutenzione e deperimento) a lire 3515.
Nella porzione trentina del Garda si pescano in media 223 quintali di pesce all’anno (media 1886-1896), mentre in tutto il lago il reddito annuale ammonta a 4738 quintali. Per ciò che riguarda la proporzione del reddito colla superficie (quintali 12.74 per Kmq. all’anno), il Garda va classificato fra i meno pescosi dei laghi italiani (lago Maggiore 18.95 quintali per Kmq.; lago d’Iseo 19.66 quintali per Kmq.) e sta a un’enorme distanza dalla media rendita dei laghi stranieri (45 quintali per Kmq.). Nella porzione trentina tale rendita si eleva a 14.94 quintali per Kmq.
Si ritiene che il numero dei pescatori sul lago di Garda sia di 817, dei quali 400 appartengono alla zona veronese, 373 alla bresciana, 42 alla trentina. Il reddito medio annuale per ogni pescatore è di 5.71 quintali; tenendo invece distinte le tre regioni, si ha per la zona trentina una pesca media di quintali 5.27. Sulla riviera trentina il prezzo medio di un quintale di pesce si può fissare in lire 100; ed a questo corrisponde — tenendo conto delle passività dovute al materiale e ai diritti di pesca — un guadagno giornaliero per ogni singolo pescatore di lire 0.98. Sulla riva bresciana il guadagno giornaliero è valutato in lire 0.72 e sulla veronese in lire 1.32.
Il reddito netto di tutto il lago si valuta in lire 304,656.50 annue70.
2. Le diverse specie della fauna ittiologica trentina furono studiate dall’Heller71, dal Cobelli72, dal Canestrini73 e dal Garbini74. Io non potrei aggiungere nulla a quanto essi scrissero e mi limito quindi a dare un elenco riassuntivo — completando a vicenda i diversi autori — dei pesci, coi nomi in volgare e in italiano, che si trovano nelle acque trentine.
Essi sono:
1. Perca L. fluviatilis L. Italiano Pesce persico, Perca; Volgare Pesce pérsego. — Ubicazione. Adige, Lago di Garda.
2. Cottus L. Gobio L. It. Ghiozzo, Volg. Magnaron, magneron, Marson, Cavedon. — Ubic. Laghi: Garda, Caldonazzo; nell’Adige ed in molti torrenti.
3. Gasterosteus L. aculeatus L. It. Spinarello, Volg. Spinarel, Roncon, Pesce spin. — Ubic. Laghi: Garda, Caldonazzo; Adige.
4. Blennius L. vulgaris Poll. It. Cagnotta, Volg. Cagnetta, Cabazza. — Ubic. Lago di Garda; Adige.
5. Gobius L. fluviatilis B. It. Ghiozzo, Volg. Bottola, Bottasoi, Boza, Bóssola, Magneron. — Ubic. Lago di Garda, Adige.
6. Gobius fluviatilis var. panizzae Verga. It. Ghiozzo, Volg. Bóttola. — Ubic. Lago di Garda.
7. Cyprinus L., Carpio L. It. Carpa, Volg. Bulbero, Gobbe, Raina. Ubic. — Laghi: Garda, Terlago, Molveno, Caldonazzo, Levico, Seraia, Piazze; Adige.
8. Tinca Cuv. vulgaris Cuv. It. Tinca, Volg. Tenca, Tencone. — Ubic. Laghi: Garda, Ledro, Loppio, Cavedine, Toblino, Molveno, Terlago, Caldonazzo, Levico, Seraia, Piazze; Adige.
9. Barbus C. plebeius C. It. Barbo, Barbio ; Volg. Barbo, Barbi. — Ubic. Laghi: Garda, Ledro, Loppio, Cavedine, Toblino, Molveno, Terlago, Caldonazzo, Levico, Seraia, Piazze; Adige, Sarca.
10. Gobio Cuv. fluviatilis Cuv. It. Gobione, Volg. Témalo, Témelo. — Ubic. Lago di Garda.
11. Alburnus R. alborella De Fil. It. Aspio, Alborella; Volg. Aola, Avola. — Ubic. Laghi: Garda, Loppio, Caldonazzo; Adige.
12. Scardinius B. erythrophtalmus L. It. Scardola, Volg. Scardola, Sgardola, Scardova, Coerosse. — Ubic. Laghi: Garda, Loppio, Cavedine, Toblino, Molveno, Terlago, Levico, Caldonazzo, Lavarone; Adige.
13. Leuciscus R. aula Bp. It. Triotto, Volg. Pessata, Pes zentil. — Ubic. Laghi: Garda, Ledro, Loppio, Caldonazzo, Levico, Seraia, Piazze; Adige.
14. L. pigus De Fil. It. Pigo, Volg. Orada dell’Adese. — Ubic. Adige.
15. Squalius B. cavedanus B. It. Cavedano, Volg. Squàl. — Ubic. Laghi: Garda, Ledro, Loppio, Toblino, Cavedine, Terlago, Caldonazzo, Levico, Seraia, Piazze; Adige, Sarca.
16. Telestes B. Savignyi B. It. Mozzette, Volg. Varone, Vairone. — Ubic. Adige e suoi confluenti, Brenta.
17. Phoxinus Ag. laevis Ag. It. Sanguinerola, Pardela; Volg. Bressanella, Varon. — Ubic. In quasi tutti i fiumi, torrenti e laghi (anche alpini); ed in particolare, laghi: Garda, Caldonazzo; Adige, Sarca, Andalo.
18. Chondrostoma Ag. Genei Bon. It. Savetta, Volg. Strigio dell’Adese. — Ubic. Finora solamente nell’Adige.
19. Ch. Soëtta Bp. It. Savetta, Volg. Saétta, Savetta. — Ubic. Laghi: Garda, Ledro, Loppio, Levico, Caldonazzo, Seraia, Piazze; Adige, Sarca, Brenta.
20. Cobitis L. barbatula L. It. Cobite barbatello, Volg. Strega. — Ubic. Lago di Garda; Adige, ed in molte altre acque.
21. C. taenia L. It. Cobite fluviale, Volg. Cagnole. — Ubicazione. Lago di Garda; Adige.
22. Thymallus C. vulgaris N. It. Temolo, Volg. Tèmolo. — Ubic. Adige, Sarca.
23. Salmo V. S. salvelinus L. Volg. Salmarino, Salmarin. — Ubic. Laghi: Molveno, Tovelo, ecc. ecc.75.
24. Salmo lacustris L.; Salmo fario; Salmo lacustris var. carpio. — It. Trota, Carpione; Volg. Truta, Carpion. Questi tre, secondo il Garbini, formano l’unica specie S. lacustris L. del quale il S. fario non è che una forma giovane o fluviale, e il S. carpio una variazione locale. — Ubic. Pei due primi il Sarca; pel primo e pel terzo il Benaco.
25. Trutta v. Lieb. lacustris L. It. Trota, Volg. Truta, Trota, Carpione (Salmo carpio L.). — Ubic. Laghi: Garda, Ledro, Loppio, Toblino, Levico.
26. T. fario L. It. Trota, Volg. Truta, Trutella. — Ubic. Lago di Garda; Adige, Sarca, ed in molte altre acque.
27. Esox L. lucius L. It. Luccio, Volg. Luzzo, Luz. — Ubic. Laghi: Garda, Ledro, Loppio, Cavedine, Toblino, Terlago, Molveno, Caldonazzo, Levico, Seraia, Piazze; Adige, Sarca.
28. Alosa C. vulgaris C. It. Alosa, Cheppia ; Volg. Agone, Sardena, Scarabina, Ceppa. Ubic. Lago di Garda.
29. Alosa finta Cuv. (forma migratoria). It. Alosa, Volg. Sardèna. — Ubic. Lago di Garda.
30. Alosa finta var. lacustris Fatio, (forma stazionaria). It. Alosa. — Ubic. Lago di Garda.
31. Anguilla T. vulgaris C. It. Anguilla, Volg. Anguilla, Bisato. — Ubic. Laghi: Garda, Loppio, Cavedine, Terlago, Caldonazzo, Levico; Adige, Sarca.
32. Petromyzon L., fluviatilis L. It. Lampreda di fiume, Volg. Lampreda, Lampredone. — Ubic. Lago di Garda, Adige.
33. Petromyzon Planeri Bl. It. Lampreda piccola, Volg. Lampreda, Bisato flauto. — Ubic. Lago di Garda; Adige.
Dei pesci, che abbiamo nominato, quelli che hanno una discreta importanza commerciale sono : il barbo comune, la tinca, la trota, il carpione, la carpa, il temolo, il salmerino, il luccio, la sardella; il prezzo medio di questi oscilla da lire 40 a lire 100 al quintale. Sono invece meno apprezzati lo scazzone, il cagnetto, la scardola, l’avola, il cavedano, il vairone, il triotto, la savetta, la lasca ecc.
Note
- ↑ Malfatti B. I disastri del Trentino. Roma, 1883. In «Charitas» Strenna per gli innondati.
- ↑ Brentari. Guida di M. Baldo. Bassano, 1893. pag. 112.
- ↑ Appollonio. Sulla dilamazione di Brentonico. Trento, 1885.
- ↑ Morizzo. Cenno su Lavarone. Borgo. 1889.
- ↑ Delle moltissime opere e monografie sull’Adige, cito solamente l’opera grandiosa del Weber von Ebenhoff. Der Gebirgswasserbau in Alpinen Etsch-becken u. seine Beziehungen zum Flussbau des Oberitalienischen Schwemmlandes. Mit 81 text illustrationen u. einem Atlas von 61 Tafeln. Wien. Spielhagen, 1892. In essa vi è un’esauriente bibliografia dell’argomento fino all’anno 1892. Degli studi posteriori ricordo l’ottima memoria di A. Penck. Die Etsch. «Zeitsch. d. D. vi. Oe. Alp. Ver.». Graz, 1895, e l’opera del Ponti La sistemazione del fiume Adige. Roma, 1896.
- ↑ Tutti i dati areometrici sul bacino dell’Adige, dei quali non accenno specificatamente la provenienza, sono tolti dall’op. cit. del Penck.
- ↑ Del bacino dell’Eisack non appartiene al territorio trentino che un’esigua parte posta al N. di una linea che va nella direzione di E., ad W. dal Reiterjoch per la Pala di Santa (2493 m.) alla C. di Rocca (2440) dove c’è il paese di Trodena.
- ↑ Ottenni questo elemento mediante misurazione diretta col planimetro; il Penck attribuisce a questo bacino una superficie di 1396 Kmq.; il Weber von Ebenhoff di 1570 Kmq., constatando la media altezza del bacino a 1526 m. Tutti i dati sulla lunghezza del Noce e affluenti, come pure quelli sulla lunghezza di tutti gli altri corsi d’acqua del Trentino furono da me dedotti mediante un curvimetro, sulle carte all’1: 75.000 dell’Istit. geogr. militare austriaco.
- ↑ Damian. Seestudien. « Mitth. d. K. K. Geogr. Gesellschaft in Wien » vol. XXXV. 1892.
- ↑ I dati altimetrici furono desunti dalla carta austriaca al 1:75.000 e dove mancavano indicazioni per l’altitudine delle sorgenti e delle foci, la dedussi dalle curve di livello dando la cifra approssimativa, tenendo conto per le foci anche del calcolo delle pendenze medie.
- ↑ Debbo alla cortesia dell’ingegner Parolari, la maggior parte dei seguenti dati sui principali ponti del Noce e di alcuni suoi affluenti.
- ↑ Così secondo la mia misurazione: secondo il Penck sarebbe di 956 Kmq.; secondo il "Weber von Ebenlioff tale cifra salirebbe a 1127 Kmq.; quest’ultimo poi calcolò la media altezza del bacino in m. 1540.
- ↑ Dal Ri. Notizie intorno all’industria ed al commercio del principato di Trento nei quattro secoli precedenti al Concilio. Trento, 1887.
- ↑ Col nome Ischia (Is’cia) nel Trentino si intende significare un renaio, che sia stato messo a coltura e sia quindi coperto di vegetazione, sulle sponde o anche nel pieno letto di un fiume o torrente. Tale denominazione ricorre assai frequentemente nella Val d’Adige. Cfr. Trener e Battisti. Il lago di Terlago ecc. In «Tridentum» fasc. II, e Battisti Cesare. Intorno ad una raccolta di termini locali attinenti ai fenomeni fisici ed antropogeografici da iniziarsi nelle singole regioni d’Italia. In « Atti del Terzo Congresso Geografico italiano. » Firenze, 1898.
- ↑ V. Marinelli Olinto. Fenomeni carsici, grotte e sorgenti nei dintorni di Tarcento in Friuli. «In Alto» anno III. Udine, 1897, pag. 39.
- ↑ Grammatica G. Escursioni nella valle del Fersina. Rovereto, 1886.
- ↑ Ranzi. Pianta antica della città di Trento. Trento. 1869.
- ↑ Che la Fersina sfociasse un tempo nella Brenta si può arguire, oltre che dallo studio delle condizioni geo-fisiche del pianoro di Pergine, da un documento dell’anno 1215. (Cfr. Biblos. Due timide parale sulla toponimia del Trentino. In « Raccoglitore » Anno XXIII. N." 66. Giugno 1890). Certo, se non tutta, parte almeno dell’acqua della Fersina correva nella Brenta.
- ↑
- ↑ Blass I. Ueber die geologische Position einiger trinkwasserquellen in den Alpen. G Rovereto. « Zeitsch. f. praktische Geologie ». Iahrg, 1898. 4 Heft.
- ↑
- ↑ Dal Ri. Op. cit.
- ↑ Questa cifra è data dal Penck; secondo i Cenni Monografici (Roma, 1878-79 ecc.) il bacino dell’Adige è esteso 12.200 Kmq.; secondo l’Italia economica (Firenze, 1869) 15,530: secondo lo Strelbitsky (Superficie d’Europe. St. Petersbourg. 1882.) 13.896 Kmq.
- ↑ Sec. il Penck; sec. i Cenni Monogr. di 410: sec. lo Strelb. di 230.
- ↑ Dati dell’Ing. Appollonio di Trento citati dal Weber V. Ebenhoff.
- ↑ Bruckner E. Klima-Svhwankungen seit 1700 nebst Bemerkungen über die Klima-Schwankungen der Diluvialzeit. « Geogr. Abhandlungen v. D. Penck ». B. IV, Heft. II. Wien.
- ↑ Weber v. Ebenhoff. Op. cit.
- ↑ Forster Adolf. Die Temperatur fliessender Gevasser Mitteleuropa. «Geogr. Abhandl. v. Prof. Penck» B. V. Heft. 4. Wien 1894.
- ↑ Dal Sie. Determinazioni fisico-chimiche eseguite sull’acqua dell’Adige dal 24 Novembre al 31 Dicembre 1877 e dal 1.° Gennaio al 23 Novembre 1878. — Recentemente fu presentato al R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed arti uno studio litologico, mineralogico e chimico sull’Adige. Vedi G. Marinelli, Omboni e Spica. Relazione intorno al lavoro presentato per il concorso della fondazione Querini-Slcimpalia per Vanno 1896. In « Atti R. Ist. Ven. di Se., Lett. ed Arti » T. Vili, Ser. VII, 1896-97. È da questa relazione che io estraggo buona parte delle notizie sulle sabbie e sull’acqua dell’Adige.
- ↑ Vedi nel Weber von Ebenhoff (op. cit.) una ricchissima bibliografia del soggetto.
- ↑ L’Arno passa vicino al paese di Bondo. Per aumentare l’acqua del Chiese, che irriga la pianura bresciana, si fece il progetto di un canale per tradurre le acque dell’Arno (portata da 4 ad 8 me. al m. s.) nell’Adanà, confluente del Chiese. L’effettuazione del progetto fu impedita da parecchi comuni per paura dell’alzamento del lago d’Idro. (Cfr. Bresciani e Bertazzoli. Relazione sopra il progetto di un canale per tradurre le acque dell’Arno scorrente nel comune di Bondo nella Adanà confluente del Chiese ecc.) Brescia, 1887.
- ↑ Secondo lo Strelbitsky; secondo il Marinelli 194.
- ↑ Dal Ri. Op. cit.
- ↑ Cfr. Mai. Specilegium. Vol. VIII, p. 89. — 1842.
- ↑ Tributari del Chiese.
- ↑ Cfr. B. Frescura. La Brenta. In « Riv. Geogr. ital. » 1896, n, 8 e 9. — F. Molon. I nostri fiumi. « Atti R. Ist. Ven. » 1883. I. n. 2. — Tessari. Idrografia della provincia di Vicenza. Vicenza 18S4.
- ↑ Cfr. Damian e Frescura. Op. cit. — Ambrosi. La Valsugana descritta al viaggiatore. Borgo, 1882.
- ↑ Tributari della Brenta:
- ↑ Frescura op. cit.
- ↑ Cfr. Zaniboni Silvio. Idrologia minerale del Trentino. «In Ann. Alp. Trid.» 1878-79. Borgo, 1878. e Brentari. 0. Stazioni balneari e climatiche del Trentino. Bassano. 1895,
- ↑ Damian Joseph. Der Caldonazzo und Levico See. Pet. Mitth. 1892, pag. 103 e seg.
- ↑ Supan Alexander. « Grundzüge der phisischen Erdkunde.» Zweite Atiflage. Leipzig, 1896, pag. 538.
- ↑ Essi sono: i laghi di Caldonazzo (Kmq, 5.38). Levico (kmq. 1.06), Cei (Kmq. 0.089), Agol (Kmq. 0.033), Cavedine (Kmq. 1.01), Toblino (Kmq. 0.76), S. Massenza (Kmq. 0.35), Terlago (Kmq. 0.2&). il lago Mar (Kmq. 0.045), il Lago Santo (presso Terlago. kmq. 0.11), i laghi di Nembia (Kmq, 0.039), di Molveno (Kmq. 3.27), di Andalo (Kmq. 0.178), il lago Santo (bacino d: Avisio, Kmq. 0.030), i laghi delle Piazze, (Kmq. 0.22), della Seraia (Kmq. 0,45), di Lases (Kmq. 0.148), di S. Mauro (o della Valle di Fornace, Kmq. 0,02), di S. Colomba (o lago Santo, Kmq. 0.024), di Madrano (Kmq. 0.006), di Canzolino (Kmq. 0.06), di Costa (Kmq. 0.012), il Lagostel (Kmq. 0.013), e sei altri di minuscole dimensioni.
- ↑ Pare che — stando alle Designationes communiun civitatis Tridenti del 1339 — vi fossero dei laghetti a settentrione di Piedicastello; che un altro ve ne fosse a Marzaniga sopra Civezzano (cfr. Investitura hieronimi de Bretiophisici de feudis Q. Odoricy de Sevignano. 26 Agosto 1816. «Cod. Clesiano», Voi. XI, pag. 40) e si avesse uno stagno lacustre presso Romagnano.
- ↑ Böhm. Die Hochseen der Ostalpen. « Mitth. d. K. K. geogr. Gesellsch ». Wien, 1880
- ↑ Messa a paragone con quella d’altri paesi la limnologia trentina possiede una letteratura che può dirsi copiosa. Citiamo i lavori più importanti: O. Masotti. Carta dei laghi del Trentino secondo i singoli bacini idrografici (Scala 1: 25.000) edita dalla Soc. Alp. Trid. VII. Ann. 1880-81. — Pavesi. Altra serie di ricerche e studi sulla fauna pelagica dei laghi italiani. « Atti Soc. Ven-Trent. S. Nat. » Vol. VIII, 1888. — Fratini. Sull’origine e sullo svuotamento del lago nuovo in relazione col disastro di Agana. Feltre, 1883. — Id. Le valli di Primiero e Canal S. Bovo. XI Ann. Alp. Trid. Rovereto, 1885. — A. Böhm. Die Hochseen der Ostalpen. In « Mitth. d. K. K. g. Gesellsch. » Wien, 1886. — Damian I. Der Molveno See. « Pet. Mittli. » 1890. — Id. Caldonazzo u. Levico See. Ivi. 1892. — Id. Seestudien « Mitth d. K. K. geogr. Gesellsch. » in Wien, Vol. XXXV, N.° 9 e 10. 1892. — Richter. Corrispondenza scientifica (studi sulla parte austriaca del Lago di Garda). « Riv. geogr. ital. s » 1894. — A. Gavazzi La deformità limnica. Ivi. 1S94. — O. Marinelli. Aggruppamenti dei principali laghi italiani. In « Boll. Soc. Geogr. it. » Ottobre, 1894. — Id. Area, profondità ed altri elementi dei principali loghi italiani « Riv. Geogr. Ital. » 1894-95. — Taramelli. Considerazioni geologiche sul Lago di Garda. « Rend. Ist. Lonb. » Serie I. XVII. fasc. 3. 1894. — Id. Della Storia geologica del L. di Garda. « Atti Acc. Agiati » Rovereto, 1893. — Dott. A. Garbini. Alcune notizie fisiche sulle acque del Benaco. « Riv. geogr. it. » 1897. — Trener e Battisti. Il lago di Terlago ecc. (già citato.) — Battisti Cesare. Scandagli e ricerche fisiche sui laghi del bacino della Fersina nel Trentino. Studio preliminare. « Tridentum » Trento, 1898. — Battisti Cesare e Leonardo Ricci. Escursione e studi preliminari sul laghetto di Lavarone nell’altopiano dei Sette Comuni vicentini, « Ann. Stud. Trent. » Firenze, 1898. Non sono prive di valore scientifico alcune pubblicazioni antiquate: Bassetti. Dei laghi di Toblino e di Cavedine. Trento, 1864. — Moroni. Cenni topografici sul lago di Caldonazzo. Padova, 1836, ecc. ecc. Da tutti questi lavori ho preso notizie per il mio studio e vi ho aggiunto molti miei dati e molte osservazioni personali ancora inedite. Dove non cito gli autori, vuol dire che i dati sono miei.
- ↑ Perini, Statistica ecc. v. 2, p. 562.
- ↑ Ho osservato il colore delle acque, mediante l’apparato del professor Forel, apparato elio consiste in una gamma di colori che si ricava dalla mescolanza in diverse proporzioni di una soluzione azzurra con una gialla. Il colore azzurro si ottiene sciogliendo 0.5 gr. di solfato di rame in 100 cmc. d’acqua fortemente ammoniacale, ed il color giallo sciogliendo 0.5 gr. di cromato neutro di potassio in 100 cmc. d’acqua. Cfr. Forel. Programme d’etudes limnologiques pour les lacs subalpins. « Archives des sciences physiques et naturelles » 1886. Genève. Pei colori bruno-giallastri, si adopra la scala di Ule. Un riassunto delle più importanti notizie su queste scale vedilo in Trener e Battisti. Il lago di Terlago (già cit.).
- ↑ Studiai la trasparenza col metodo del padre Secchi, facendo scendere lentamente nell’acqua un disco bianco di latta del diam. di 30 cm. sospeso ad una cordicella graduata di metro in metro e misurando la profondità al limite di visibilità. Questo limite è dato dal valore medio tra la profondità alla quale il disco scompare durante la discesa e quella alla quale ricompare ritirandolo.
- ↑ Per quello che concerne le condizioni termiche tutti i laghi del Trentino — dei quali parlo distesamente — presentano il solito tipo di lago temperato con stratificazione termica ora diretta, ora inversa. Nel presente lavoro non tengo conto che delle notizie più caratteristiche, per non addentrarmi in questioni troppo particolari.
- ↑ Stoppani. L’era neozoica, Milano, pag. 99.
- ↑ Paradiso. Canto IX.
- ↑ Perini. Statist. cit.
- ↑ Cfr. oltre le opere già ricordate: Damian. Der Alleghe See in « Mitth. der Section für Natur Kunde des Oe. Th. Clubs.» III Jahre, 1891. N. 1 e 2. — Fratini. Da Castel Tesino a Canal S. Bovo sul Monte Broccone; in «Ann. Alp. Trent.» Anno 1877, pag. 45. — Id. Le valli di Primiero e Canal S. Bovo. Ivi. Anno 1884-85, pag. 37.
- ↑ Cfr. Fratini. Le valli di Primiero ecc. pag. 38.
- ↑ Negrelli. Il Rebrut, e le rovine delle alpi canalesi in Tirolo. Canti quattro. Trento, 1830.
- ↑ Maggi L. Esame protistologico dell’acqua del lago di Loppio. In « Boll. Scient. ». Pavia, 1882. N. 2. — Pavesi. A proposito di ricerche pelagiche sul lago di Toblino. « Atti Soc. Se. Nat. » 1882.
- ↑ Lepsius. Das westliche Süd-Tirol, Berlin, 1878, pag. 21
- ↑ Tale aggiunta consiste in tre diverse proporzioni della soluzione azzurra, adoperata da sola, che ci presentano tre gradazioni molto chiare del colore azzurro. Cfr. Garbini. Alcune notizie ecc. già cit.
- ↑ Nello specchietto ho tenuto conto per ogni plesso montuoso dei laghi entro i confini del Trentino e di quelli fuori del confine. Ho elencato quelli sotto la lettera T, questi sotto la lettera E.
- ↑ Pavesi. Altra serie ecc. già cit. — Id. Escursione zoologica al lago di Toblino. « Atti Soc. Se. Nat. » Milano, 1862. — Id. A proposito di ricerche pelagiche nel lago di Toblino. Ivi, 1882. — Maggi. Primo esame protistologico dell’acqua del lago di Loppio. «Boll. Scient.» Pavia, 1881. — Id. Esame protistologico dell’acqua del lago di Toblino. Ivi, 1882.
- ↑ De Tosi. Appunti diatomologici sul lago dì Fedaia. « Atti Acc. pont. dei Nuovi Lincei. » Roma, 1893. — Corti. Appunti diatomologici sopra alcuni laghi del Trentino. « XIX Ann. Alp. Trid. » 18913. — Garbini. Diatomee bentoniche del Garda. « Atti Acc. di Verona. » Vol. LXXIII, I, e LXXIV, II. — Dott. Largaiolli Vittorio. Le diatomee del Trentino. I. Lago di Terlago. « Atti Soc. Ven. Trent. Se. N. 1898 »; II. Lago di Madrano, e XX Ann. Alp. Trid. 1898»; III. Lago della Valle di Fornace. « Tridentum » Anno I. Fase. III; IV. Lago di S. Massenza. « Ann. Stud. Trent. » Anno IV, 1898; V. Lago della Seraia. « Riv. It. di Se. Nat. » Siena, 1898.
- ↑ Leporini. Saggio sopra le dannose esalazioni delle paludi del tronca dell’Adige dalla confluenza dell’Eisack a quella del Lavis. S. L. 1784.
- ↑ Staffler. Tirol u. Vorarlberg statistich ecc. Innsbruck, 1898.
- ↑ Zaniboni. Clima e Trentino. Bassano, 1881.
- ↑ Cfr. N. N. La pratica della pescicoltura agricolo-domestica. Riva, 1S81. — Budden. La pescicoltura in montagna. In «Bollett. C.A.I.» 1882. — Bettoni L. La pesca sul Benaco. «Italia agricola». Milano, 1887. — Zotti, Biaisoni ecc. Relazione della Commissione piscicola sulla visita fatta nei mesi di Agosto e Settembre 1887 ai corsi d'acqua. «Almanacco agrario pel 1888.» Trento, 1888. — Id. Relaz. ecc. sulla visita fatta nel 1888 ecc. Ivi. Trento, 1889. — Pavesi. La distribuzione dei pesci in Lombardia. Pavia, 1896. — Garbini A. Osservazioni e dati statistico economici sui pesci e sulla pesca del Benaco. Verona, 1897.
- ↑ Dal Ri. Op. cit.
- ↑ Cfr. Josef v. Hormayr. Sämmtliche Werke. Stuttgart, 1821. 2, B. pag. 85.
- ↑ Garbini. Op. cit.
- ↑ Garbini. Op. cit.
- ↑ Heller (von) E. Die Seen Tirol's u. ihre Fisch-fauna. «Festschrift. zu Ehren d. 43 Versammlung Deutscher Naturforscher u. Aertzten Innsbruck 1869». Innsbruck, 1869.
- ↑ De Cobelli Giovanni. Prospetto sistematico dei rettili anfibi e pesci del Trentino finora studiati. «Programma della scuola reale». Rovereto, 1882.
- ↑ Riccardo Canestrini. I pesci del Trentino e la pesca. Parte I. I pesci. «XI Ann. Alp. Trid., 1884-85».
- ↑ Garbini. Osservazioni e dati ecc. già cit.
- ↑ In molte opere antiche si trova fatto parola di questo pesce come indigeno del Trentino. Per es. nell’opera «Johannes Jonstonus. Historiae naturalis de piscibus et Cetis. Libri V., Amstelodani. MDCLVII», p. 106: «Tridentini piscem sibi peculiarem, salmerinum vel nomine a Salmone detorto, quo cum carnis rubedine convenit, vel quasi Salmonem lacustrem, nuncupant. Aldovrandus a Cardinale Madrucio acceptum ita descripsit:» (segue la descrizione). E più sotto: «Locum si attendas, in lacubus tridentinorum montium capi inuit».
Nelle Cronache di Trento di G. P. Pingio (Trento 1647), è scritto: «in questo (lago di Tovello) prendono pesci salomoni delicatissimi al gusto e vengono per la loro delicatezza a richiesta de’ gran principi transportati in diverse parti e preferiti a quelli del lago di Garda» (L. VIII, p. 173).