Della natura delle cose/Libro terzo
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Traduzione dal latino di Alessandro Marchetti (1717)
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DI TITO
LUCREZIO CARO
DELLA NATURA DELLE COSE.
LIBRO TERZO.
O tu, che in mezzo a così buje e dense
Tenebre d’ignoranza erger potesti
D’alto saver sì luminosa lampa,
Di nostra vita i comodi illustrando,
5Io seguo te: te della Greca Gente
Onore, e de’ piè miei fissi i vestigj
Imprimo, ove tu già l’orme segnasti;
Non per desio di gareggiar, ma solo
Per dolce amore, onde imitarti agogno:
10Che come può la rondinella a prova
Cantar co’ cigni del Caistro? O come
Ponno agguagliar le smisurate forze
De’ Leoni i Capretti? e con le membra
Molli ancor per l’etade e vacillanti
15Vincer nel corso le veloci Damme?
Tu di cose inventor; tu Padre sei;
Tu ne porgi paterni insegnamenti:
E qual succhiar da tutti i fiori il mele
Soglion le pecchie entro le piagge apriche;
20Tal io dalle tue dotte inclite carte
Gli aurei detti delìbo ad uno ad uno,
Aurei, e di vita sempiterna degni.
Che non sì tosto a sparger cominciossi
Il tuo parer, che dagli Dei creata
25Delle cose non sia l’alma natura,
Che dalle menti ogni timor si sgombra:
Fuggon del Mondo le muraglie, e veggio
Pe ’l Vuoto immenso generarsi il tutto;
De’ sommi Dei la maestà contemplo,
30E le sedi quietissime da venti
Non commosse giammai; nè mai coverte
Di fosche nubi, o d’atri nembi asperse,
Nè violate da pruine, o nevi,
O gel; ma sempre d’un sereno e puro
35Etere cinte, e d’un diffuso, e chiaro,
E tranquillo splendor liete, e ridenti.
Natura in oltre somministra all’uomo
Ciocchè gli è d’uopo, e la sua pace interna
Non turba in alcun tempo alcuna cosa;
40Nè più si mira a’ danni nostri aperto
L’Inferno, e scritte di sua porta al sommo
L’acerbe note di colore oscuro:
„Lasciate ogni speranza, o voi, ch’entrate.
Nè può la terra proibir, che tutte
45Non si mirin le cose, che pe’l Vano
Ci si fan sotto i piedi, ond’io rapirmi
A te mi sento da cotal divino
E diletto, e stupor, che la natura
Sol per tuo mezzo in cotal guisa a tutti
50D’ogni parte svelata omai si mostri.
E perchè innanzi abbiam provato a lungo,
Quali sian delle cose i primi semi,
E con che varie forme essi pe ’l Vano
Per se vadano errando, e sian commossi
55Da moto alterno, e come possa il tutto
Di lor crearsi, omai par, che dell’anima
Dichiarar la natura, e della mente
Ne’ versi miei si debba; e il rio timore
Delle squalide rive d’Acheronte
60Cacciarne affatto, il qual dall’imo fondo
Turba l’umana vita, e la contrista,
E sparge il tutto di pallor di morte;
Nè prender lascia alcun diletto intero.
Perchè quantunque gli uomini sovente
65Dican, che più son da temersi i morbi
Del corpo, e della vita il disonore,
Che le tartaree grotte; e che ben sanno,
Che l’essenza dell’anima consiste
Nel sangue, e che non han bisogno alcuno
70Di mie ragioni, a te di quindi è lecito
Dedur che molti per ventosa, e vana
Ambizion di gloria, ed a capriccio
Van di quel millantandosi, che poi
Non approvan per vero: essi medesmi
75Esuli dalla Patria, e dal commercio
Degli uomini cacciati, e sozzi, e laidi
Per falli enormi, a tutte le disgrazie
Finalmente soggetti il viver bramano;
E dovunque infelici il piè rivolgono,
80Fanno esequie dolenti, e nere vittime
A’ Numi inferni del profondo Tartaro
Sol per placargli in sagrificio offriscono;
E sempre in volto paurosi, e pallidi
Ne’ duri casi lor, nelle miserie
85Alla religion l’animo affissano.
Nè dubbiosi perigli è d’uopo dunque
A gli uomini por mente, e nell’avverse
Fortune, chi desia, che i loro interni
Sensi gli sian ben manifesti e conti;
90Poichè allor finalmente escon le vere
Voci dell’imo petto, e via si toglie
La maschera, e scoperto il volto appare.
In somma l’avarizia, e degli onori
L’ingorda brama, è, che i Mortali sciocchi
95Sforza a passar d’ogni giustizia il segno;
E d’ogni empio misfatto anche talvolta
I compagni, i ministri, e notte, e giorno
Durare intollerabili fatiche
Sol per salir delle ricchezze al sommo,
100E potenza acquistar, scettri, e corone.
Or queste piaghe dell’umana vita
Dal timor della morte hanno in gran parte
Cibo, e sostegno, che la fama rea,
E il disprezzo, e lo scherno, e la pungente,
105E sconcia povertà disgiunte affatto
Par, che sian della dolce, e stabil vita,
E che sol della morte avanti all’uscio
Si vadan trattenendo; onde i mortali,
Mentre da van terror sforzati, e spinti
110Tentan lungi fuggirsi, al civil sangue
Corrono, e stragi accumulando a stragi
Raddoppian le ricchezze: empj, e crudeli
De’ fratelli, e del padre i funerali
Miran con lieto ciglio, e de’ congiunti
115Di sangue odian le mense, e n’han sospetto,
Per lo stesso timor nel modo stesso
L’aver Questi possente avanti a gli occhi,
Que’ da tutti stimato, e riverito,
Gli macera d’invidia, e in essi imprime
120Desio di gloria immoderato ardente:
Par lor, che nelle tenebre, e nel fango
Sian convolti i lor nomi. Altri perisce
Di folle aura di fama, o d’insensate
Statue invaghito, e l’odio della vita,
125E del Sole, e del giorno appo i mortali
Co’l timor della morte è misto in guisa,
Che ancidon se medesmi, e dentro al petto
Se ne dolgono intanto; e non rammentansi,
Che sol questa paura è delle noje
130L’origin prima: questa è, che corrompe
Ogni onesto pudor: questa i legami
Spezza dell’amicizia; e questa in somma
Volge sossopra la pietade, e tosto
Dalle radici la divelle e schianta.
135Conciossiacchè già molti hanno tradito
E la Patria, e i parenti, e i genitori
Sol per desio di non veder gli orrendi
Templi sagrati al torvo Re dell’Ombre.
Poichè siccome i fanciulletti al bujo
140Temon fantasmi insussistenti e larve;
Sì noi tal volta paventiamo al Sole
Cose, che nulla più son da temersi
Di quelle, che future i fanciulletti
Soglion fingersi al bujo, e spaventarsi.
145Or sì vano terror, sì cieche tenebre
Scuoter bisogna, e via scacciar dall’animo
Non co’ bei rai del Sol, non già co’ lucidi
Dardi del giorno a saettar poc’abili
Fuorchè l’ombre notturne, e i sogni pallidi;
150Ma co’l mirar della natura, e intendere
L’occulte cause, e la velata immagine.
L’animo adunque, entro del quale è posto
Della vita il consiglio, ed il governo,
E che spesso da noi mente si chiama,
155Prima dich’io, che nulla meno è parte
Dell’uom, che sian le mani, i piedi, e gli occhi
Parti d’ogni animale, ancorchè grande
Schiera di Saggi abbia creduto, e scritto,
Che dell’animo il senso entro una parte
160Certa luogo non abbia, e solamente
Sia del corpo un tal abito vitale,
Detta Armonia da’ Greci, il qual ne faccia
Viver con senso, benchè in parte alcuna
Non si trovi la mente. E quale appunto
165Sovente alcun sano vien detto, e pure
Non è la sanità parte del corpo;
Tal dell’animo nostro il senso interno
Non han locato in una certa parte;
Nel che parmi, che molti abbiano errato
170Troppo altamente; poichè spesso accade,
Che nell’esterno il corpo egro, e dolente
Ne sembra, allor che d’altra parte occulta
Pur la mente festeggia; ed all’incontro
V’ha chi d’animo è afflitto, e in tutto il corpo
175Lieto pur n’apparisce: in quella guisa
Che duol talora a qualche infermo un piede,
Mentre la testa alcun dolor non sente.
In oltre allor che per le membra serpe
La placida quiete, e giace effuso,
180E privo d’ogni senso il grave corpo,
È pure in noi qualche altra cosa intanto,
Che s’agita in più modi, e che in se stessa
Ricever può d’ogni allegrezza i moti,
E le noje del cor vane, e fugaci.
185Or acciocchè tu sappia anco, che l’alma,
Abita nelle membra, e che non puote
Dalla sola Armonia reggersi il corpo,
Pria convienti osservar, che spesso accade,
Che gran parte del corpo altrui vien tolta;
190E pur dentro alle membra ancor dimora
La vita, e l’alma: e pe ’l contrario spesso
Non sì tosto fuggiro alcuni pochi
Corpi di caldo, ed esalò per bocca
Il chiuso spirto, che le vene, e l’ossa
195Lascia prive di se l’alma, e la vita.
Onde tu possa argomentar da questo,
Che non di tutti i corpi in tutto eguali
Son le minime parti, e che non tutte
La salute sostentano egualmente;
200Ma che i semi del tiepido vapore,
E quei dell’aura, a conservar la vita
Viepiù son atti. Entro del corpo adunque
È lo spirto vitale, e il caldo innato,
Che lascia al fin le moribonde membra
205Rigide, e fredde, e si dilegua e sfuma:
Onde poichè dell’animo, e dell’alma
La natura è dell’uom quasi una parte,
Dì pur, che il nome d’Armonia fu tratto
Dal canoro Elicona, o d’altro luogo,
210Ed a cosa applicato, che di propria
Voce avea d’uopo. Or che si sia di questo,
Tu no ’l curar; ma gli altri detti ascolta.
L’anima dunque, e l’animo congiunti
Son fra di loro, ed una sola essenza
215Si forma d’ambedue; ma è del corpo
Quasi capi il consiglio, il qual da noi
Vien detto animo, e mente, e questi in mezzo
Del core è posto, poichè quindi esulta
Il sospetto, il timor; qui l’allegrezza
220Molce: qui dunque ha pur l’animo il seggio.
L’altra parte dell’anima è diffusa
Per tutto il corpo, e della mente al moto
Si muove anch’ella, ed ubbidisce al cenno,
Ma sol per se piace a se stesso, e seco
225Gode l’animo, allor che nulla il corpo
Perturba, e l’alma; e come gli occhi, e ’l capo
Sovente in noi lieve dolore offende,
Mentre che l’altre membra angoscia alcuna
Non sentono; in tal guisa anco alle volte
230Lieta, o mesta è la mente, ancorchè l’altra
Parte dell’alma per le membra sparsa
Non provi novità. Ma se commosso
L’animo è poi da più gagliarda tema,
Veggiam, che tutta per le membra a parte
235L’alma è di ciò: tosto un sudor gelato,
Un esangue pallore occupa il corpo;
Balbutisce la lingua, e fioche e mozze
Dal petto escon le voci, abbacinati
Gli occhi in terra conficcansi; l’orecchie
240Sentonsi zufolar; sotto i ginocchj
Fiacche treman le gambe, e il piè vacilla.
Vedesi al fin, che per terror di mente
Spesso l’uom s’avvilisce; onde ciascuno
Può di quindi imparar, che unita e stretta
245È l’anima con l’animo, e che tosto
Ch’ella è spinta da lui, sferza e commove
Le membra: e ciò senz’alcun dubbio insegna,
Che l’essenza dell’animo, e dell’anima
Incorporea non è: ch’ove tu miri,
250Ch’ella porge alle membra impulso, e moto;
Che nel sonno le immerge, il volto muta,
E l’uom tanto a sua voglia affrena, e volge;
Nè senza tatto di tai cose alcuna
Far si può mai, nè senza corpo il tatto,
255Mestiero è pur, che di corporea essenza
Si confessin da noi l’alma, e la mente.
L’animo in oltre è sottoposto a tutti
Gli accidenti del corpo, e dentro ad esso
Partecipa con noi d’ogni suo danno:
260Dunqu’è mestier, che per natura anch’egli
Corporeo sia mentre nel corpo immerso
Può da corporei dardi esser piagato.
Or, che corpo sia l’animo, e di quali
Semi formato in chiari detti esporti
265Vo’, se attento m’ascolti. Io dico adunque
Pria, ch’egli è sottilissimo, e composto
D’atomi assai minuti; e se tu forse
Come ciò vero sia, d’intender brami,
Quindi intendere il puoi. Nulla più ratto
270Far si vede giammai di quelle cose,
Che la mente propone, e ch’ella stessa
A far comincia: più veloce adunque
Corre per se medesima la mente
D’ogni altra cosa, che veder co’ gli occhi
275Si possa; ma di semi assai rotondi,
E minuti convien, che sia formato
Quel, ch’è mobile tanto, acciocchè spinti
In picciolo momento abbiano il moto.
Che se l’acqua si move, e per tantino
280Di momento si mesce, ondeggia, e scorre,
Ciò fa, perchè il suo corpo è per natura
D’atomi molto piccioli e volubili
Contesto; ma se l’oglio, o ’l visco, o ’l mele
Più tenaci han le parti, e men veloce
285L’umido innato, e viepiù tardo il corso,
Questo avvien lor, perchè la lor materia
Stretta è fra se con più gagliardo laccio;
Nè di tanto sottili, e sì rotondi
Atomi è fatta, e così lisci e mobili.
290Conciossiachè sospesa aura leggiera
Può di molli papaveri un acervo
Sforzar co ’l soffio a dissiparsi affatto;
Ma non può già per lo contrario un mucchio
O di pietre, o di dardi. Adunque quanto
295I corpi son più lievi, e più minuti,
E più lisci, e più tondi, essi altrettanto
Son più facili a moversi; ma quanto
Son più gravi all’incontro, e più scabrosi,
Essi altrettanto han più fermezza in loro.
300Dunque perchè da noi già s’è provato,
Che la mente dell’uomo è mobilissima,
Mestier sarà, che i suoi principj primi
Molto piccioli sian, lisci, e rotondi:
Il che se bene intenderai, saratti
305D’utile non mediocre, ed opportuno
Dar potrà lume a molte cause occulte.
Ma di che tenue, e sottil seme ell’abbia
L’essenza intesta, e da che picciol luogo
Contenersi dovria, se in un sol gruppo
310S’unisse, a te palese anco da questo
Certamente farassi. Osserva l’uomo
Tosto che della morte acquista, e gode
La sicura quiete, e che dell’alma
Si fuggìo la natura, e della mente;
315E nulla dal suo corpo esser limato
Veder potrai nella figura esterna,
Nulla nel peso: ogni altra cosa intatta
Ne conserva la morte, eccetto il senso
Vitale, e ’l vapor caldo. Adunque è forza,
320Che di semi assai piccioli contesta
Sia tutta l’alma per l’interne viscere,
Per le vene, e pe’ muscoli, e pe’ nervi.
Poichè quantunqu’ella s’involi affatto
Dal corpo, non per tanto illesa resta
325D’intorno a lui la superficie esterna;
Nè pur gli manca del suo peso un pelo:
Qual se dal vino, o dal soave unguento
Sfuma lo spirto, e si dissolve in aura;
O d’altro corpo si dilegua il succo,
330Che non sembra però punto minore
O di mole, o di peso; e ciò succede
Sol perchè molti piccioli, e minuti
Semi i succhi compongono, e l’odore
Comparton delle cose a tutto il corpo.
335Dunque voglia, o non voglia, è pur mestiero,
Che l’essenza dell’animo, e dell’alma
Si confessi da te fatta di semi
Piccioli assai; mentre in fuggir dal corpo
Della sua gravità nulla non toglie,
340Nè già creder si dee, che tal natura
Semplice sia; poichè un sottile spirto
Misto con vapor caldo a’ moribondi
Dal petto esala, e il vapor caldo a forza
Trae seco d’aria qualche parte, e mai
345Non si trova calor, che, in se mischiato
Aere non abbia: poichè rara essendo
La sua natura, è necessario al certo,
Che fra gli atomi suoi molti principj
D’aria siano agitati. Or dunque omai
350Della mente, e dell’alma abbiam trovato
Tre varie essenze; e pur tre varie essenze
Non son bastanti a generare il senso.
Conciossiachè capir nostro intelletto
Non può giammai, come di queste alcuna
355Basti a produrre i sensitivi moti,
Che a più cose applicar possan la mente.
D’uopo fia dunque aggiungere una quarta
Natura; e questa totalmente è priva
Di nome, nè di lei si trova al mondo
360Più nobil cosa; o di più tondi semi.
Questa pria per le membra i sensitivi
Moti distribuisce; e perchè fatta
E d’atomi assai piccioli, si move
Pria d’ogni altra natura: il caldo quindi,
365Quindi dell’aura l’invisibil forza
Riceve il moto, e quindi l’aere, e quindi
Si mobilita il tutto, il sangue scorre,
Senton tutte le viscere, e concesso
È finalmente all’ossa, e alle midolle
370Il diletto, il dolor; nè questo, o l’acre
Infermità può penetrarvi mai
Senza che il tutto si perturbi in guisa,
Che luogo al viver manchi, e che dell’alma
Fugga ogni parte pe’ meati occulti
375Del nostro corpo; ancorchè spesso accaggia,
Che restino interrotti i movimenti
Quasi al sommo del corpo, e sia bastante
L’uomo in tal caso a conservarsi in vita.
Or mentre io bramo di narrarti appieno
380Come sian fra di lor queste nature
Mescolate nel corpo, ed in qual modo
Abbian forza e vigor, me ne ritragge
La povertà della Romana lingua.
Ma pur, com’io potrò, sommariamente
385Dirolti: poichè de’ principj i corpi
Trascorron l’un con l’altro uniti in guisa,
Che alcun non se ne separa, nè mai
Crear si può per interposto spazio
Un diverso poter, ma quasi molte
390Potenze sono in un sol gruppo unite;
E qual degli animai l’interne viscere
Han tutte un certo odore, un cerco caldo,
Ed UN certo sapore; e pur veggiamo,
Che di queste tre cose una sol cosa
395Non per tanto si crea; tale il calore,
E l’aere, e la virtù cieca del vento
Fan tra lor misti una natura sola
Con quella per se mobile energia,
Che lor comparte i movimenti, ed onde
400Fin per entro alle viscere si crea,
Prima che altrove, il sensitivo moto.
Posciachè tal natura affatto occulta
È senza dubbio alcuno, e più riposta
Cosa di questa immaginar non puossi
405Da noi; perch’ella stessa alma è dell’alma:
E qual dentro alle membra, e in tutto il corpo
Stassi misto ed occulto, e della mente,
E dell’alma il vigor, perchè di semi
Tenui, e piccioli è fatto; in simil guisa
410Questa tale energia priva di nome
È di corpi assai piccioli, e sottili
Creata anch’ella, e sta nel corpo ascosa
Alma di tutta l’alma, e signoreggia
In tutto il corpo. Or in tal modo è d’uopo,
415Che l’aura, e l’aere, e’l vapor caldo insieme
Misti sian per le membra, e ch’altri ad altri
Stian più sopra, o più sotto; acciochè possa
Farsi di tutti un sol composto, e ’l foco
Distintamente, e l’aura, e l’energia
420Dell’aere non ancida, e sciolga il senso.
E’ nell’animo poi certo altro caldo,
Ch’ei piglia nello sdegno, allor che ferve,
E che per gli occhi torvi incendio spira:
V’è del freddo timor compagna eterna
425Molt’aura sparsa atta a produr nel corpo
L’orror di morte, e concitar le membra:
Ed evvi ancor quel placido e quieto
Stato dell’aria, che dall’uom si gode
Nel cor tranquillo, e nel sereno volto;
430Ma viepiù di calor si trova in quelli,
Che di cor son crudeli, ed iracondi
D’animo, e facilmente ardon di sdegno:
Qual sovra ogni altra cosa è la possanza,
E il furor degl’indomiti Leoni,
435Che gemendo e mugghiando orribilmente
Squarcian tal volta il petto, e più non ponno
In lor capir di sì grand’ira il flutto.
Ma le timide Cerve han più ventosa,
E più fredda la mente, e per le viscere
440Concitan viepiù presto aure gelate,
Che fan sovente irrigidir le membra.
Al fin d’aria più placida, e tranquilla
Vive il Gregge arator, nè mai soverchio
Dell’ira il turba la sfumante face,
445Di caligine cieca ombre spargendo;
Nè mai dal telo del timor trafitto
Gelido torpe; ma nel mezzo è posto
Fra paurosi Cervi, e Leon fieri.
Tale anch’è l’uman Germe; e benchè molti
450Siano egualmente di dottrina adorni,
Restan però nella natura impresse
Di qualunque alma le vestigie prime.
Ne già creder si dee, che la virtude,
Siasi quanto esser voglia eccelsa e grande,
455Sveller possa giammai dalle radici
Dell’uomo i vizj; e proibir, che Questi
Più facilmente non trascorra all’ire;
Quei dal freddo timor più presto alquanto
Assalito non venga; e più del giusto
460Non sia quell’altro placido, e clemente:
Anzi è mestier, che in altre cose cose assai
Degli uomini fra lor sian differenti
Le nature, e diversi anco i costumi;
Che dipendon da quelle. E s’io non posse
465Di tai cose spiegar le cause occulte,
Nè tanti nomi di figure imporre,
Quanti d’uopo sariano a quei principj,
Onde sì gran diversità di cose
Nasce nel mondo, io per me credo almeno
470Di potere affermar, che i naturali
Primi vestigj, che non puote affatto
Discacciar la ragion, sì lievemente
Restino impressi in noi, che nulla possa
Vietare all’uom, che placida, e tranquilla,
475E degna degli Dei vita non viva.
Così fatta natura è sparsa adunque
Pe ’l corpo, e ’l custodisce, e lo conservar
Poichè l’anima, e ’l corpo han le radici
Sì strettamente avviticchiate insieme,
480Che impossibil mi par, che possan l’une
Dall’altre esser divelte, e che il composto
Ratto a morte non corra. E quale appunto
Mal si può dall’incenso estrar l’odore
Senza ch’ei pera, e si corrompa affatto;
485Tal dell’alma, e dell’animo l’essenza
Mal diveller si può dal nostro corpo
Senza ch’ei muoja, e si dissolva il tutto:
Così fin dall’origine primiera
Create son d’avviluppati semi
490Le predette nature, ed han comune
Fra lor la vita; nè capir si puote,
Come nulla sentir possano i corpi
Dalle menti divisi; o pur le menti
Separate da i corpi: ond’è pur d’uopo,
495Che di moti comuni, e quinci, e quindi
Per le viscere a noi s’accenda il senso.
In oltre non si genera, nè cresce
Mai per se stesso il corpo; e d’alma privo
Tosto s’imputridisce e si corrompe.
500Poichè quantunque il molle umor dell’acque
Perda spesso il sapor, che gli fu dato,
Nè per ciò sia distrutto, anzi rimanga
Senz’alcun danno; non per tanto i corpi
Non son bastanti a sofferir, che l’alma
505Si parta, e gli abbandoni; ma convulsi
Muojon del tutto, e fansi esca de’ vermi.
Poichè fin da principio, anco riposti
Nelle membra materne, e dentro all’alvo
Hanno i moti vitali in guisa uniti,
510E scambievoli i morbi il corpo, e l’alma,
Che non può l’un dall’altra esser diviso
Senza peste comun. Tu quindi adunque
Ben conoscer potrai, che se congiunta
La causa è di salute, è d’uopo ancora,
515Che unita sia la lor natura, e l’essere.
Nel rimanente poi, se alcun rifiuta,
Che senta il corpo; e crede pur, che l’alma
Sparsa per ogni membro abbia quel moto,
Che senso ha nome, egli per certo impugna
520Cose veraci, e manifeste al senso,
Che chi mai potrà dire, in che consista
Del corpo il senso, altri che il senso istesso,
Che sol n’addita, e ne fa noto il tutto?
Nè qui fia chi risponda: il corpo privo
525D’anima resta anco di senso ignudo;
Posciach’egli, oltre a ciò, molte altre cose
Perde, senz’alcun dubbio, allor che lunga
Età l’opprime, e lo converte in polve.
Ma l’affermar, che gli occhi oggetto alcuno
530Veder non ponno, e che la mente è quella
Che rimira per lor, come per due
Spalancate finestre, a me per certo
Difficil sembra, e che il contrario appunto
Degli occhi stessi ne dimostri il senso:
535Massime allor che per soverchia luce
Ne vien tolto il veder de’ rai del Sole
L’aureo fulgor; perchè da’ lumi i lumi
Son talvolta oscurati. Or ciò non puote
Alle porte accader, che gli usci aperti,
540D’onde noi riguardiamo, alcun travaglio
Non han giammai. Ma se i nostr’occhi in oltre
Ci servon d’usci, ragionevol parmi,
Che traendogli fuor, debba la mente
Meglio veder senza le stesse imposte.
545Nè qui ricever dei per cosa vera,
Benchè tal la stimasse il gran Democrito,
Che del corpo, e dell’alma i primi semi
Posti l’un presso all’altro alternamente
Varie faccian le membra, e le colleghino.
550Poichè non sol dell’anima i principj
Son di quelli del corpo assai minori;
Ma lor cedon di numero, e più rari
Son dispersi per esso; onde affermare
Questo solo potrai, che tanti spazj
555Denno appunto occupar dell’alma i semi
Quanti bastano a noi per generare
I moti sensitivi entro alle membra:
Poichè talvolta non sentiam la polve,
Nè la creta aderente al nostro corpo,
560Nè la nebbia notturna, nè le tele
De’ ragni, allor che nel gir loro incontro
Vi restiamo irretiti, nè la spoglia
De’ suddetti animai, quando su ’l capo
Ci casca, nè le piume degli uccelli,
565Nè de’ cardi spinosi i fior volanti,
Che per soverchia leggerezza in giuso
Caggion difficilmente: e non sentiamo
Il cheto andar degli animai, che repono,
Nè tutti ad uno ad uno i segni impressi
570In noi dalle zanzare. In cotal guisa
D’uopo è, che molti genitali corpi
Movansi per le membra, ove son misti,
Pria che dell’alma gli acquistati semi
Possan disgiunti per sì grande spazio
575Sentire, e martellando urtarsi, unirsi,
E saltare a vicenda in varie parti.
Ma viepiù della vita i chiostri serra,
E più ne regge, e signoreggia i sensi
L’animo in noi, che l’energia dell’alma.
580Conciossiachè dell’alma alcuna parte
Non può per alcun tempo, ancorchè breve,
Riseder senza mente entro alle membra;
Ma compagna la segue agevolmente,
E fuggendo per l’aure il corpo lascia
585Nel duro freddo della morte involto.
Ma quegli, a cui la mente illesa resta,
Vivo rimane, ancorchè d’ogn’intorno
Abbia lacero il corpo. Il tronco busto,
Benchè tolte gli sian l’alma, e le membra,
590Pur vive, e le vitali aure respira,
E dell’alma in gran parte orbo restando.
Se non in tutto, non per tanto in vita
Trattiensi, e si conserva; appunto come
L’occhio ritien la facoltà visiva,
595Quantunque intorno cincischiato, e lacero,
Finchè gli resta la pupilla intatta;
Purchè tu l’orbe suo tutto non guasti,
Ma tagli intorno al cristallino umore,
E solo il lasci: conciossiachè farlo
600Anco il potrai senza timore alcuno
Dell’esterminio suo. Ma se corrosa
Fia la pupilla, ancorchè sia dell’occhio
Una minima parte, e tutto il resto
Dell’orbe illeso, e splendido rimanga,
605Tosto il lume tramonta, e buja notte
N’ingombra. Or sempre una tal lega appunto
Tien congiunti fra lor l’animo, e l’alma.
Or via, perchè tu, Memmio, intender possa,
Che son degli animai l’alme, e le mensi
610Natìe non pur, ma sottoposte a morte,
Io vo’ seguire ad ordinar condegni
Versi della tua vita, e da me cerchi
Lungo spazio di tempo, e ritrovati
Con soave fatica. Or su fra tanto
615L’un di questi due nomi all’altro accoppia;
E quand’io, verbigrazia, esser mortale
L’alma t’insegno, a creder t’apparecchia,
Che tale anco è la mente, in quanto l’una
Fa congiunta con l’altra un sol composto:
620Pria, perchè già la dimostrammo innanzi
Di corpi sottilissimi e minuti,
E fatta di principj assai minori
Di quelli, onde si forma il chiaro e liquido
Umor dell’acqua, o pur la nebbia, o il fumo;
625Poichè nell’esser mobile d’assai
Vince tai cose, e per cagion più lieve
È sovente agitata; anzi talvolta
Commossa è sol da simulacri ignudi
In lei dall’acqua, o dalla nebbia impressi,
630O pur dal fumo: il che succede allora
Che noi sopiti in placida quiete
Veggiam per l’aere atri vapori, e fumo
D’ogn’intorno esalar sublimi Altari;
Posciachè tali immagini per certo
635Formansi in noi. Or se tu vedi adunque,
Che rotti i vasi in ogni parte scorre
Impetuosa l’acqua, e via sen fugge,
E fumo, e nebbia si dissolve in aura,
Ben creder puoi, che l’anima, e la mente
640Si distrugga, e perisca assai più presto,
E che in tempo minore i suoi principj
Sian dissipati, allor che una sol volta
Rapita dalle membra si diparte.
Conciossiachè se ’l corpo, il qual ad essa
645Serve in vece di vaso, o perchè rotto
Sia da qualche percossa, o rarefatto
Per mancanza di sangue, omai bastante
A frenarla non è, come potrai
Creder, che vaglia a ritenerla alcuno
650Aer, che la circondi? Egli del nostro
Corpo è più raro; e con più forte laccio
Stringer potralla, ed impedirle il corso?
In oltre il senso ne dimostra aperto
Nascer la mente in compagnia del corpo,
655E crescer anco, ed invecchiar con esso.
Poichè siccome i piccioli fanciulli
Han tenere le membra, e vacillante
Il pargoletto piè; così veggiamo,
Che dell’animo lor debole e molle
660È la virtù. Ma se crescendo il corpo
S’augumenta di forze, anco il consiglio
Maggior diviene, e della mente adulta
Più robusto è il vigor. Se al fin crollato
E’ dagli urti del tempo, e vecchio omai
665Langue il corpo, e vien meno; e se le membra
Perdon l’usate posse, anco l’ingegno
Zoppica, e delirando in un sol punto
E la lingua, e la mente il tutto manca.
Dunqu’è mestier, che tutta anco dell’alma
670La natura si dissipi, qual fumo
Per l’aure aeree; poichè nasce, e cresce
Co ’l corpo, e per l’etade al fin diventa,
Com’io già t’insegnai, debole, e fiacca.
S’arroge a ciò, che se veggiamo il corpo
675Soggetto a gravi morbi, e a dure ed aspre
Fatiche, anco la mente alle mordaci
Cure è soggetta, alle paure, al pianto.
Per la qual cosa esser del rogo a parte
Ancor l’è d’uopo; anzi sovente accade,
680Che mentre il nostro corpo infermo langue,
L’animo vagabondo esce di strada;
Poichè spesso vaneggia, e di se fuori
Parla cose da pazzi; ed è talvolta
Da letargo durissimo, e mortale
685Sommerso in alto, e grave sonno eterno:
Cade il volto su ’l petto, e fissi in terra
Stan gli occhi, ond’egli o le parole udire,
O conoscer i volti omai non puote
Di chi standogl’intorno, e procurando
690Di richiamarlo in vita, afflitto, e mesto
Bagna d’amare lagrime le gote.
Ond’è pur d’uopo il confessar, che l’alma
Perisce anch’ella; mentre in lei penètra
Il contagio de’ morbi. E il duolo, e ’l morbo
695Ambi del rogo a noi sono architetti;
Come di molti l’esterminio insegna.
In somma per qual causa allor che l’acre
Violenza del vino ha penetrato
Dell’uomo il corpo, e per le vene interne
700E’ diffuso l’ardor, tosto ne segue
Gravezza nelle membra? Il piè traballa,
Balbutisce la lingua, ebra vaneggia
La mente, nuotan gli occhi, e crescon tosto
E le grida, e i singhiozzi, e le contese
705E tutto ciò che s’appartiene a questo.
O perchè ciò se non perchè la forza
Violenta del vino entro lo stesso
Corpo anco l’alma ha di turbar costume?
Ma tutto quel, che da cagione esterna
710Turbar si puote, ed impedir, ne mostra,
Che s’egli fia da più molesto incontro
Urtato, perirà restando affatto
Della futura età priva in eterno.
Anzi sovente innanzi a gli occhi nostri
715Veggiamo alcun da repentino morbo
Cader, quasi da fulmine percosso:
Lordo ha il volto di bava; e geme, e trema,
Esce fuor di se stesso, i nervi stende,
E si crucia, ed anela, ed incostante
720Dibatte, e stanca in varie guise il corpo;
Poichè del morbo la possanza allora
Per le membra distratta agita e turba
L’alma: e spuma, qual onda in salso mare,
Se Borea il fiede impetuoso, ed Austro,
725Gorgoglia e bolle: il gemito s’esprime
Sol perchè punte dal dolor le membra
Fan, che scacciati dalle voci i semi
Escan per bocca avvilupati insieme:
Nasce il deliro poi, perchè l’interna
730Virtù dell’alma, e della mente allora
Si turba, e com’io dissi, in due divisa
Vien sovente agitata, a quinci e quindi,
Dallo stesso velen sparsa, e distratta.
Ma se il fiero accidente omai si placa,
735E l’altro umor del già corrotto corpo
Ne’ ripostigli suoi fugge e s’asconde;
Prima allor vacillando in piè si rizza,
E quindi in tutti appoco appoco i sensi
Riede, e l’alma ripiglia. Or questa dunque,
740Mentre chiusa è nel corpo, avrà da tanti,
Morbi travaglio, e fia distratta, e sparsa
In così varie, e miserande guise,
E creder vuoi, che la medesma possa.
Priva affatto del corpo all’aer aperto
745Viver fra i venti, e le tempeste, e i nembi?
Perchè in oltre sanar con medic’arte
Si può la mente, come il corpo infermo,
E sedarne i tumulti, anco da questo
Apprender puoi, ch’ella è soggetta a morte;
750Poich’è mestier, che aggiunga parti a parti,
E l’ordin cangi, o dell’interna somma
Qualche cosa detragga ognun, che piglia
A variar la mente, o qualunque altra
Corporea essenza trasmutar procura.
755Ma possibil non è, che l’immortale
Cangi sito di parti, o nulla altronde
Riceva, o perda del suo proprio un pelo;
Poichè qualunque corpo il termin passa
Da natura prescritto all’esser suo,
760Questo è sua morte, e non è più qual era.
L’animo adunque, o sia da morbo oppresso,
O da medica man restituito
Nel primiero vigor, chiaro ne mostra,
Com’io già t’insegnai, d’esser mortale;
765Talmente par, ch’alla ragion fallace
S’opponga il vero, e le interchiuda affatto
Di rifugio e di scampo ogni speranza,
E con doppio argomento il falso atterri.
Spesso in somma veggiam, che appoco appoco
770Perisce l’uomo, e perde il vital senso
A membro a membro. Pria l’ugna, e le dita
Livide fansi, i piè quindi, e le gambe
Muojono, e scorre poi di tratto in tratto
Per l’altre membra il duro gel di morte.
775Or se dell’alma la natura adunque
Si divide in più parti, e nello stesso
Tempo non è sincera, ella si debbe
Creder mortale; e se tu forse stimi,
Ch’ella se stessa in se possa ritrarre,
780E le sue parti in un sol gruppo unire;
E che per questo ad un ad un le membra
Perdano il vital senso, erri, e vaneggi.
Poichè ciò concedendo, il luogo almeno,
In cui s’unisce in sì gran copia l’alma,
785Avria senso maggior. Ma questo luogo
Non si vede giammai; perchè stracciata,
Come già dissi, e lacerata in molte
Parti fuor si disparge, e però muore.
Anzi se pur ne piace omai supporre
790Per vero il falso, e dir, che possa insieme
L’alma aggomitolarsi entro alle membra
Di quei, che moribondi a parte a parte
Perdono il senso; non per tanto è d’uopo,
Che mortal si confessi: e poco monta,
795Ch’ella per l’aere si disperga, o ch’ella
Ritirando in se stessa ogni sua parte
Stupida resti, e d’ogni moto priva;
Mentre già tutto l’uomo il senso perde
Più, e più d’ogn’intorno, e d’ogn’intorno
800Meno, e meno di vita omai gli avanza.
Aggiungi, che dell’uomo una tal parte
Determinata è l’animo, e in un luogo
Certo risiede; in quella guisa appunto,
Che fan gli occhi, e l’orecchie, e gli altri sensi,
805Che governan le membra: onde siccome
E le mani, e l’orecchie, e gli occhi, e il naso
Separati da noi sentir non ponno,
Nè lungo tempo conservarsi in vita;
Così non può per se medesma, e priva
810Del corpo esser la mente, e senza l’uomo
Che le serve di vaso, e di qualunque
Altra natura immaginar tu possa
Più congiunta con lei; perch’ella al corpo
Con forte laccio è saldamente unita.
815Finalmente e dell’animo, e del corpo
Le vivaci energie sane e robuste
Godon congiunte i dolci rai del Sole;
Che priva delle membra, e per se sola
Non può la mente esercitare i moti
820Vitali; ed all’incontro orbe dell’alma
Non pon le membra esercitare i sensi.
Ma qual se tratto dalla testa un occhio
Lungi ’l getti dal corpo, egli non vede
Nulla per se, tal separate ancora
825Dall’uom l’alma, e la mente oprar non ponno
Nulla; poichè mischiate, e per le vene,
E pe’ nervi, e per le ossa, e per le viscere
Trovans’in tutto il corpo, e i primi semi
Non ponno in varie parti a lor talento
830Lungi saltare: onde ristretti insieme
Creano i moti sensiferi, che poscia
Dopo morte a crear non son bastanti,
Poichè più non gli frena il freno stesso;
Che corpo insieme, ed animal sarebbe
835L’aer per certo, se frenar se stessa
L’anima vi potesse, e far quei moti,
Che pria nel corpo esercitar solea
Per opera de’ nervi. Ond’è pur forza,
Che poichè risoluto ogni coperchio
840Fia del corpo dell’uomo, e fuor cacciata
La dolce aura vitale, anco dell’alma,
E della mente si dissolva il senso;
Mentre l’istessa causa a due fa guerra.
Se il corpo in somma tollerar non puote
845Dell’anima il partir senza che tosto
S’imputridisca, e d’ogn’intorno spanda
Alito abominevole ed orrendo,
Perchè dubbiar, che sin dall’imo fondo
Sradicata da lui ratta non fugga
850Sparsa qual fumo l’energia dell’alma?
Onde per così putrida, e sì grande
Ruina il corpo variato, e guasto
Perisca affatto. Conciossiachè mossi
Son da’ proprj lor luoghi i fondamenti
855Dell’alma, e per le membra esalan fuori,
E per tutte le vie curve del corpo,
E per tutti i meati; onde tu possa
Quind’imparar, che per le membra uscìo
Divisa l’alma in varie parti, e prima
860Fu nel corpo medesimo distratta
Essa da se, che fuor di lui sospinta:
Anzi mentre che l’anima si spazia
Ne’ confin della vita, a noi sovente
Par nondimen, ch’ella perisca oppressa
865Per qualche causa, e che dal corpo esangue
Si dissolvan le membra, e quasi giunto
All’estremo suo dì languisca il volto:
Come suole accader, quando svenuti
Cascan gli uomini in terra, allor che ognuno
870Trema insieme, e desia di ritenere
L’ultimo laccio alle mancanti forze.
Poichè allor della mente ogni vigore
Si squassa, e seco ogni virtù dell’alma
Stranamente si crolla, e con lo stesso
875Corpo ambedue s’indeboliscon tanto,
Che dissolverle affatto omai potrebbe
Causa poco più grave. E nondimeno
Dubiterai, che finalmente uscita
L’anima fuor del corpo all’aria aperta,
880Debole e stanca e di ritegno priva
Non sol non duri esternamente intatta,
Ma nè pur si conservi un sol momento?
Conciossiachè non sembra a i moribondi
Di sentire accostar l’anima illesa
885Al petto, indi alla gola, indi alle fauci;
Ma par lor, che perisca in un tal sito
A lei prefisso: in quella guisa appunto
Che sa ciascun di noi, ch’ogni altro senso
Nella propria sua parte si dissolve.
890Che se pure immortal fosse la mente,
Essa giammai non si dorria morendo
D’esser disciolta dal mortal suo laccio;
Anzi con volar via libera e sciolta
Goder dovrebbe di lasciar la veste:
895Qual gode di depor l’antica spoglia
L’angue già vecchio, e le sue corna il cervo.
In somma perchè mai non si produce
Dell’animo il consiglio o nella testa
O nel dorso, o ne’ piedi, o nelle mani?
900Ma sempre sta tenacemente affisso
In quel sito medesmo, in cui natura
Da prima il collocò; se pur non sono
Prescritti i luoghi, ove ogni cosa possa
Nascere, e nata conservarsi in vita?
905Sì tutti i corpi han le lor sedi, e mai
Non suol per entro alle pruine algenti
Nascere il fuoco, e tra le fiamme il ghiaccio
In oltre se dell’anima l’essenza
A morte non soggiace, e può sentire
910Separata dal corpo, a quel, ch’io stimo,
Forza sarà, ch’ella si creda ornata
De’ cinque sentimenti; e noi proporre
Possiam, che l’alme per l’inferno errando
Vadano; onde i Pittori, ed i Poeti
915Ne’ secoli primieri in cotal guisa
L’alme introdusser d’ogni senso ornate.
Ma non posson per se, prive dell’alma,
O le mani, o la lingua, o il naso, o gli occhi,
O l’orecchie goder vita, nè senso,
920Nè per se ponno i sensi, e senza mani,
E senza lingua, e senza orecchi, e senza
Occhi, e naso goder senso, nè vita:
E perchè il senso esser ne mostra il senso
Comune a tutto il corpo, ed ognun vede,
925Che animale è il composto, egli è pur d’uopo,
Che se questo con subita percossa
Vien ferito nel mezzo in guisa tale,
Che restin separate ambe le parti,
E diviso, e stracciato anco dell’alma
930Sia co ’l corpo il vigore, e quinci, e quindi
Senz’alcun dubbio seminato, e sparso.
Ma ciò che si divide, ed in più d’una
Parte si sparge, per se stesso nega
D’esser dotato di natura eterna.
935Fama è, che pria nelle battaglie era uso
L’oprar carri falcati, e che da questi
Spesso di mista uccision fumanti
Sì repente solean l’umane membra
Tronche restar, che già cadute in terra
940Tremar parean, benchè divise affatto
Dal restante del corpo, ancorchè l’animo,
E dell’uom l’energia nulla sentisse
Per la prestezza di quel male il duolo,
Sol perchè tutto allor l’animo intento
945Era in un con le membra al fiero Marte,
Alle morti, alle stragi, e di null’altro
Parea, che gli calesse, e non sapea,
Che le ruote, e le falci aspre, e rapaci
Gli avean pe ’l campo strascinata a forza
950Già con lo scudo la sinistra mano:
Ne s’accorge talun, mentre in battaglia
Salta a cavallo, e furioso corre,
D’aver perso la destra. Un altro tenta
D’ergersi, ancorchè d’uno stinco affatto
955Privo, mentre nel suolo il piè morendo
Divincola le dita, e il capo in terra
Tronco dal caldo, e vivo busto al volto
Mostra segni vitali, ed apre gli occhi,
Finchè dell’alma ogni reliquia esali.
960Anzi se mentre il minaccevol serpe
Sta vibrando, tre lingue, a te piacesse
Di tagliar con la spada in varie parti
La lunga coda sua, veder potresti,
Che ciascuna per se di fresco incisa
965S’attorce, e sparge di veleno il suolo,
E con la bocca egli medesmo indietro
Cerca la prima parte, e ’l dente crudo
Vi ficca in guisa, che pe ’l duolo acerbo
Cruciata l’impiaga, e con l’ardente
970Morso l’opprime. Or direm noi, che in tutte
Quelle minime parti un’Alma intiera
Si trova? Ma da ciò segue, che molte
Anime siano in un sol corpo unite:
Dunque divisa è pur quella, che sola
975Fu prima, onde mortale, e l’alma, e ’l corpo
Stimar si dee, giacchè ugualmente entrambi
Possono in varie parti esser divisi.
Se l’alma in oltre è per natura eterna,
E nel corpo a chi nasce occultamente
980Penetra, e per qual causa altri non puote
Rammemorarsi i secoli trascorsi,
Nè delle cose da lui fatte alcuno
Vestigio ritener? poichè se tanto
La virtù della mente in noi si cangia,
985Che resti affatto ogni memoria estinta
Delle cose operate, al creder mio,
Ciò dalla morte omai lungi non erra,
Sicchè d’uopo ti fia dir, che perisce
L’alma di prima, e che all’incontro quella,
990Ch’or nel corpo dimora, or si creasse.
Aggiungi, che se in noi l’animo è chiuso
Poi che ’l corpo è perfetto, allor che nasce
L’uomo, e che pria ne’ limitari il piede
Pon della vita, in nessun modo al certo
995Non converria, ch’egli nel sangue immerso
Co ’l corpo, e con le membra in simil guisa
Crescer paresse, anzi dovria per se
Viver solo a se stesso, e quasi in gabbia.
Onde voglia, o non voglia, è pur mestiero,
1000Che si credan da noi l’alme, e le menti
Natìe non pur, ma sottoposte a morte.
Posciachè se di fuori insinuate
Fossero, non potriansi strettamente
A i corpi unirsi, il che pur mostra aperto
1005Il senso a noi; mentre connesse in guisa
Per le vene, pe’ nervi, e per le viscere
Sono, e per l’ossa, che gli stessi denti
Son di senso partecipi; siccome
N’additano i lor mali, e lo stridore
1010Dell’acqua fredda, e le pietruzze infrante
Da noi con essi in masticando il pane:
Nè sì conteste essendo, uscirne intatte
Potranno, e salve se medesme sciorre
E da’ nervi, e dall’ossa, e dagli articoli,
1015Che se tu forse penetrar ti credi
L’anima per le membra insinuata
Di fuori in noi, tanto più dee co ’l corpo
Liquefatta perir; poichè disfassi
Tutto ciò che penètra, e però muore.
1020Conciossiachè divisa al fin si spande
Pe’ meati insensibili del corpo:
E’ qual se per le membra è compartito,
Tosto il cibo perisce, e di se stesso
Porge ristoro e nutrimento al corpo;
1025Tal dell’alma, e dell’animo l’essenza,
Benchè novellamente entri nel corpo
Intera, nondimen pur si dissolve,
Mentre il penètra, e che pe’ fori occulti
Vengon distribuite ad ogni membro
1030Le sue minime parti; onde si forma
Quest’altra essenza d’animo, che poscia
Donna è del corpo, e che di novo è nata
Di quella, che perìo distribuita
Già per le membra; onde non par, che l’alma
1035Priva sia di natal, nè di feretro.
In oltre non rimangono i principj
Dell’anima nel corpo, ancorchè morto?
Che se pur vi rimangono, e vi stanno,
Non par, che giustamente ella si possa
1040Giudicare immortal: poichè libata
Fuor se ne gìo parte di se lasciando,
Ma s’ella poi dalle sincere membra
Sen fugge in guisa, che nel corpo alcuna
Parte di se medesima non lasci,
1045Onde spirano i vermi entro alle viscere
Già rance de’ cadaveri, e sì grande
Numero d’animali affatto privi
D’ossa, e di sangue in ogni parte ondeggia
Per le tumide membra, e per gli articoli?
1050Che se tu forse insinuarsi a’ vermi
L’anime credi, e per di fuori entrare
Ignude entro lor corpi; e non consideri,
Come mille, e mill’anime s’adunino
In quel corpo medesmo, onde una sola
1055Già si partìo, ciò nondimeno è tale,
Che sembra pur, che ricercar si debba,
E forte dubitar, se l’alme i semi
Si procaccin de’ vermi ad un ad uno,
E i luoghi, ove abitar denno, esse stesse
1060Si vadan fabbricando, o pur di fuori
Sian ne’ corpi già fatti insinuate.
Ma nè come operar debbano, o come
Affaticarsi l’anime, ridire
Non puossi: conciossiachè senza corpo
1065Inquiete e sollecite non vanno
Qua, e là svolazzando a forza spinte
O dal male, o dal freddo o dalla fame.
Che per questi difetti, ed a tal fine
Par, che più tosto s’affatichi ’l corpo;
1070E ch’entro a lui dal suo contagio infetto
L’animo, a molte infermità soggiaccia.
Ma concedasi pur, che giovi all’alme
Il fabbricarsi i corpi in quello stesso
Tempo, che vi sottentrano; pur, come
1075Debbian ciò fare, immaginar non puossi.
Esse dunque per se le proprie membra
Fabbricar non potranno; e non per tanto
Giudicar non si dee, che insinuate
Sian ne’ corpi già fatti. Imperocchè
1080Non potrian sottilmente esser connesse,
Nè sottoposte per consenso a’ morbi.
Al fine ond’è, che violenta forza
De’ superbi leon sempre accompagna
La semenza crudele, e che de’ padri
1085Han le volpi l’astuzie, e per natura
Fuggonsi i cervi, ove il timor gli caccia?
E l’altre proprietà simili a queste
Ond’è, che tutte per le membra innate
Sembrano in noi, se non perchè una certa
1090Energia della mente in un con tutto
Il corpo cresce del suo seme, e della
Propria semenza? che se fosse immune
Da morte, e corpo variar solesse,
Permiste avrian le qualità fra loro
1095Gli animali; e potrebbe alcuna tigre
Cani produr, che de’ cornuti cervi
Paventasser l’incontro; e lo sparviero
Gli assalti fuggiria della colomba
Per l’aure aeree timido e tremante,
1100Pazzo ogni uomo saria, saggia ogni fiera;
Poichè falso è, che l’anima immortale,
Come alcun dice, in variando il corpo
Si cangi: conciossiachè si dissolve
Tutto ciò che si cangia, e però muore;
1105Giacchè le parti sue l’ordin primiero
Mutano; onde poter debbono ancora
Per le membra dissolversi, e perire
Finalmente co ’l corpo. E se diranno,
Che sempre in corpi umani anime umane
1110Entrin, chiederò loro: ond’è, che possa
Pazza di saggia divenir la mente?
Nè prudente giammai nessun fanciullo
Si trovi, nè puledro adorno in guisa
Di virtù militar, che possa in guerra
1115Far prove di se stesso al par d’ogni altro
Bravo destrier? se non perchè una certa
Energia della mente in un col corpo
Cresce eziandio del proprio seme, e della
Propria semenza. Nè schifar si puote,
1120Che ne’ teneri corpi anco la mente
Tenerella non sia: che se pur vero
Ciò credi, omai che tu confessi è d’uopo,
Che l’anima è mortal, mentre si cangia
Sì fattamente per le membra, e perde
1125La primiera sua vita, e ’l proprio senso.
E come in oltre in compagnia del corpo
Divenuta robusta, al fior bramato
Giunger dell’età sua l’alma porrebbe,
Se della prima origine non fosse
1130Consorte? O come dalle vecchie membra
Desidera d’uscir? forse paventa
Chiusa restar nel puzzolente corpo?
O che l’albergo suo già vacillante
Per la soverchia età caggia, e l’opprima?
1135Ma non può l’immortale esser disfatto.
In somma assai ridicolo mi sembra
Il dir, che siano apparecchiate e pronte
Ne’ Venerei diletti, e delle fiere
Ne’ parti l’alme; e che immortali essendo
1140Sian costrette a guardar membra mortali
Menti infinite, e guerreggiar fra loro
Qual prima, o dopo insinuar si deggia;
Se non se forse han pattuito insieme,
Che quella, che volando arriva prima,
1145Anco prima s’insinui, e che di forze
L’una all’altra giammai lite non mova.
Gli alberi finalmente esser nell’etere
Non ponno, nè le nubi entro all’oceano,
Nè vivo il pesce dimorar ne’ campi,
1150Nè da legno spicciar tepido sangue,
Nè mai succo stillar da pietre alpine:
Certo, ed acconcio è per natura il luogo,
Ove cresca ogni cosa, ove dimori.
Così dunque per se l’alma, e la mente
1155Senza corpo giammai nascer non puote,
Nè dal sangue vagar lungi, o da’ nervi;
Poichè se ciò potesse, ella potrebbe
Molto più facilmente, o nella testa
Vivere, o nelle spalle, o ne’ calcagni,
1160E nascer anco in qualsivoglia parte
Del corpo, e finalmente abitar sempre
Nell’uomo stesso, e nello stesso albergo.
Onde poichè prefisso i corpi nostri
Han per natura, ed ordinato luogo
1165Ove distintamente o nasca, o cresca
La natura dell’animo, e dell’anima;
Tanto men ragionevole stimarsi
Dee, che si possa generare il tutto
Scevro dal corpo, o mantenersi in vita.
1170Onde tosto che il corpo a morte corre,
Mestier sarà, che tu confessi, o Memmio,
Che ancor l’alma perì distratta in esso.
Conciossiachè l’unire all’immortale
Il caduco, e pensar, ch’ei possa insieme
1175Operar, e soffrir cose a vicenda,
È solenne pazzia; poichè qual altra
Cosa mai sì diversa, e sè disgiunta,
E fra se discrepante immaginarsi
Potria, quanto l’unirsi all’immortale
1180E perenne il caduco, e fragil corpo,
E soffrir nel concilio aspre tempeste?
In oltre tutto quel, che dura eterno,
Conviene o che respinga ogni percossa
Per esser d’infrangibile sostanza,
1185Nè soffra mai, che lo penètri alcuna
Cosa, che disunir possa l’interne
Sue parti, qual della materia appunto
Gli atomi son, la cui natura innanzi
Già per noi s’è dimostra, o che immortale
1190Viva, perchè dagli urti affatto esente
Sia, come il vuoto, che non tocco dura,
Nè mai soggiace alle percosse un pelo:
O perchè intorno a lui alcuno spazio
Non sia, dove partirsi, e dissiparsi
1195Possa; come la somma delle somme
Fuor di se non ha luogo, ove si fugga,
Nè corpo, che l’intoppi, e con profonda
Piaga l’ancida, e però vive eterna.
Ma nè, come insegnammo, esser contesta
1200L’alma non può d’impenetrabil corpo:
Che misto è sempre infra le cose il vuoto:
Nè però, come il vuoto, intatta vive;
Poichè corpi non mancano, che sorti
Dall’infinito, ed agitati a caso
1205Possan cozzar con violento turbine
Questa mole di mente, ed atterrarla,
E farne in altri modi orrido scempio:
Nè del luogo l’essenza, e dello spazio
Profondo manca, ove distrarsi, e spargersi
1210L’anima possa, e per lo vano immenso
Spinta da qualunque altra esterna forza
Finalmente perir. Dunque non fia
Chiusa alla mente del morir la porta.
Che se forse immortal credi piuttosto
1215L’anima, perchè sia ben custodita
Dalle cose mortifere; o perchè
Tutto quel, che la incontra in qualche modo,
Pria che le noccia risospinto a forza
Indietro si ritiri; o perchè nulla,
1220Che nemico le sia, possa incontrarla,
Erri lungi dal ver: poich’ella al certo
Oltre al mal, che patisce, allor che inferme
Giaccion le membra, è macerata spesso
Dal pensare al futuro, onde il timore
1225Nasce, che la maltratta, e le nojose
Cure, che la travagliano, e rimorsa
E’ dalle colpe in gioventù commesse,
Aggiungi in oltre il proprio suo furore,
E l’obblío delle cose; aggiungi il nero
1230Torrente di letargo, in cui s’immerge.
Nulla dunque è la morte, e nulla all’uomo
Appartenersi può, poichè mortale
È l’alma: e come ne’ trascorsi tempi
Nulla afflitti sentimmo, allor che il fiero
1235Annibale inondò d’arme, e d’armati
Del Lazio i campi, che squassato il tutto
Da così spaventevole tumulto
Di guerra, sotto l’alte aure dell’etere
Tremò sovente, e fu più volte in dubbio
1240Sotto qual di due popoli dovesse
Cader l’impero universal del mondo;
Tale appunto sentir nulla potremo
Tostochè fra di lor l’anima, e ’l corpo,
Dell’union de’ quai l’uomo è formato,
1245Disuniti saranno. A noi per certo,
Che allor più non saremo, accader nulla
Più non potrà: non se confuso, e misto
Fia con la terra il mar, co ’l mare il cielo.
Senzachè, se distratta omai del nostro
1250Corpo la mente, e l’energia dell’alma
Sentir potesse, non per tanto a noi
Ciò nulla apparterrai perchè formati
Siam d’anima, e di corpo unitamente.
Nè se l’età future avranno i semi
1255Nostri raccolti dopo morte, ed anco
Di novo allo stess’ordine ridotti
C’hanno al presente, onde ne sia concesso
Novo lume di vita, a noi per certo
Nulla questo appartien; poi che interrotta
1260Fu la nostra memoria una sol volta.
Ed or nulla di noi che fummo innanzi,
Nè cal, nè punto ne contrista ed ange
Il pensare a color, che della nostra
Materia in altra età nascer dovranno.
1265Poichè se gli occhi della mente fissi
Del tempo omai trascorse all’infinito
Spazio, e contempli quanto varj, e quanti
I moti sian della materia prima,
Agevolmente crederai, che i semi
1270Fossero in quello stess’ordine e sito,
In cui son or molto sovente; e pure
Non può di questo rammentarsi alcuno,
Poichè interpose fur pause alla vita,
E sparsi i moti errar lungi da’ sensi:
1275Poichè quel, ch’è per essere infelice,
D’uop’è, che vivo sia nel tempo, in cui
Possa a mal soggiacere. Or se la morte
Da questo lo difende, e proibisce,
Che quelli, in cui ponno adunarsi i mali
1280Stessi, che noi fan miseri, vivesse
Ne’ secoli trascorsi, omai ne lice
Senza dubbio affermar, che nella morte
Non è, di che temere, e che non puote
Chi non vive esser mai dolente, e misero;
1285Nè punto differir da quei, che nati
Unqua al mondo non son quegli, a cui tolta
Fu da morte immortal vita mortale.
Onde se vedi alcun, che di se stesso
Abbia compassion, perchè sepolto
1290Dopo morte il suo corpo, imputridirsi
Debba, o da fiamme ardenti esser consunto,
O dilaniato da rapaci augelli,
O da fiere sbranato; indi ti lice
Saper, che non sincero il cor gli punge
1295Qualche stimolo cieco, ancorch’ei neghi
Di creder, che sentir dopo la morte
Si possa alcuna cosa, onde non serba
Ciò che promette largamente altrui,
Ne dalla vita se medesmo affatto
1300Stacca; ma no ’l sapendo, alcuna parte
Fa, che resti di se: che mentre vivo
L’uom pensa, che morendo o degli augelli
Fia pasto il proprio corpo, o delle belve,
Testo di se medesimo gl’incresce,
1305Sol perchè non si libera a bastanza
Dal corpo a gli animai gettato in preda;
Ma quel si finge, e del suo proprio senso
L’infetta; e quindi a lui stando presente
D’esser nato mortal sdegna, e non vede,
1310Che nella vera morte esser non puote
Nessun altro se stesso, il qual vivendo
Pianga sè morto, o lacerato, od arso.
Conciossiachè se mal fosse morendo,
Che dall’avido rostro, o dall’ingorda
1315Bocca degli animai si divorasse
Dell’uomo il corpo, io non intendo il come
Duro non sia l’esser nel foco ardente
Arrostite le membra, o soffocate
Nel mele, o per lo freddo intirizzite
1320Poste a giacer d’una gelata selce
Sull’equabile cima, o per di sopra
Dal grave peso della terra infrante.
Ma nè l’albergo tuo vago, ed adorno,
Nè l’amata consorte omai potranno
1325Accoglierti, nè i dolci e cari figli
Corrert’incontro, e con lusinghe e vezzi
Prevenirti ne’ baci, e ’l core, e l’alma
Di tacita dolcezza inebriarti.
Più non potrai con onorate imprese
1330O di mano, o di senno, o in pace, o in guerra
Esser a te, nè a’ tuoi d’ajuto alcuno.
Povero te, povero te gridando
Vanno! un sol giorno, una sol’ora, un punto
Nemico a’ gusti tuo potrà rapirti
1335Della vita ogni premio; e taccion solo:
Nè desiderio alcuno avrai di queste
Cose, il che se co’ gli occhi della mente
Molto ben guarderanno, e seguitarlo
Vorrian con detti, omai scioglier se stessi
1340Potranno e dall’angoscia, e dal timore,
Venti contrarj alla tranquilla vita.
Tu, qual da morte addormentato sei,
Tale al certo sarai nella futura
Età privo d’affanno, e di cordoglio:
1345Ma noi vicini al tuo sepolcro orrendo
Te piangeremo insaziabilmente
Dal rogo in poca cenere converso;
Nè l’eterno dolor dal cor profondo
Tolto mai ne sarà. Chiedere adunque
1350Deggiamo a questi: che vi sia d’amaro
Cotanto, se una cosa omai ritorna
Al sonno, alla quiete? e qual cagione
Abbia alcun di dolersi, pianger sempre?
Sogliono ancor, mentre sedendo a mensa
1355Tengon gli uomini in man coppe spumanti,
Di ghirlande odorose ornati il crine
Dirsi di cuor l’un l’altro: è breve il frutto
Del bere, e ’l già godemmo, e nel futuro
Forse più no ’l godrem; quasi il maggiore
1360Mal, che la tomba a questi tali apporti,
Sia l’esser dalla sete arsi e consunti;
O dall’arida terra, o da qualunque
Altro desio miseramente afflitti.
Ma nè la vita sua, nè se ricerca
1365Alcun, mentre di par giaccion sopiti
In placida quiete il corpo, e l’alma:
Conciossiachè in tal guisa a noi pur lice
Dormir sonno perpetuo, e non ci punge
Di noi medesmi desiderio alcuno;
1370E pur dell’alma i primi semi allora
Non vanno per le membra errando lungi
Da i sensiferi moti, anzi si desta
L’uom per se stesso. Molto meno adunque
Creder si dee, che appartener si possa
1375La morte a noi, se men del nulla è nulla;
Poichè più dissipata è nel feretro
L’union de’ principj, e mai nessuno
Svegliossi dopo che seguìo la fredda
Pausa della sua vita una sol volta.
1380Al fin se voci la natura istessa
Fuor mandasse repente, ed in tal guisa
Prendesse a rampognare: E qual sì grave
Causa, o sciocco mortal, ti spinge al duolo?
Perchè temi la morte, e perchè piangi?
1385Giacchè se dolce la primiera vita
Ti fu, nè tutti i comodi di quella
Scorser quasi congesti in un forato
Vaso, nè tutti trapassar nojosi;
Perchè di viver sazio omai non parti
1390Dal mio convito, e volentier non pigli
La sicura quiete? e se profuso
Svanì ciò che godesti, e se la vita
T’offende omai, per qual cagione; o stolto
Cerchi d’aggiunger più quel, che di novo
1395Dee malamente dissiparsi, e tutto
Perire a te nojoso? e non piuttosto
Fine alla vita, ed al travaglio imponi?
Conciossiacchè oggimai nulla mi resta,
Che macchinar per te, nè trovar posso
1400Cosa, che più ti piaccia. Il mondo è sempre
Lo stesso, e se per gli anni ancor non langue
Il corpo tuo; se per vecchiezza estrema
Non hai le membra affaticate e stanche,
Sappi, che nondimen ciò che ti resta
1405Sarà sempre il medesmo, ancorchè vivo
Stessi ben mille, e mill’etadi, ed anco
Mai per morir non fossi. E qual risposta
Dar potrem noi, se non che la natura
Giusta lite ne move, e il vero espone?
1410Ma chi più del dover s’ange, e lamenta
D’esser nato mortal, con più ragione
Non fia sgridato o rampognato in voce
Viepiù alta, e severa? Asciuga, o stolto,
Dagli occhi ’l pianto, e le querele affrena;
1415E se per troppa età vecchio e canuto
Altri si duol, tu pur godesti i premj,
Che la vita ne dà, pria che languissi.
Ma perchè sempre avidamente brami
D’aver quel, che ti manca; ed all’incontro
1420Sprezzi, qual cosa vil, ciò che possiedi,
Quindi avvien, che imperfetta, e poco grata
Ti rassembra la vita; e quindi innanzi
Che tu possa partir lieto e satollo
Delle cose del mondo, all’improvviso
1425Ti sovrasta la morte. Or lascia adunque
Ciò che più tuo non è, benchè prodotto
Fosse al tuo tempo, e volentier concedi,
Ch’altri possegga quel, che indarno omai
Tenti di posseder. Giusta per certo
1430Sarebbe al creder mio tal causa, e giusto
Un sì fatto rimprovero: che sempre
Cedon l’antiche alle moderne cose
A viva forza discacciate, e l’una
Si ristaura dall’altra, e nulla cade
1435O nel tartaro cieco, o nel profondo
Baratro. Acciò ne’ secoli futuri
Gli uomini, gli animai, l’erbe, e le piante
Crescano, han d’uopo di materia; e pure
Mestieri è, che ciò segua allor che avrai
1440Compito affatto di tua vita il corso.
Dunque non men di te caddero innanzi
Tai cose, e caderanno. In cotal guisa
Di nascer l’un dall’altro unqua non resta:
E fu dalla natura il viver dato
1445A nessuno in mancipio, a tutti in uso.
Pon mente in oltre, come pria che al mondo
Fussimo generati, alcun trascorso
Secolo antico dell’eterno tempo
A noi nulla appartenne. Or questo adunque
1450Specchio natura innanzi a gli occhi nostri
Pose, acciò quivi un simulacro vero
Rimiran dell’età, che finalmente
Dee seguir dopo morte. Ivi apparisce
Nulla forse o d’orribile, o di mesto?
1455Forse non d’ogni sonno alto, e profondo
È più sicuro il tutto? in vita, in vita
Si patisce da noi ciascun tormento,
Che l’anime cruciar nel basso inferno
Credon gli sciocchi. Tantalo infelice
1460Non teme il grave ed imminente sasso
Come fama di lui parla e ragiona;
Ma ben sono i mortali in vita oppressi
Dal timor degli Dei cieco e bugiardo;
E paventan ognor quella caduta,
1465Che lor la sorte appresta; Erra chi pensa,
Che Tizio giaccia in Acheronte, e sempre
Pasca del proprio cor l’augel vorace;
Nè per cercar lo smisurato petto
Con somma diligenza unqua potrebbe
1470L’avoltojo trovar cibo, che fosse
Bastante a saziar l’avido rostro
Eternamente. E sia quantunque immane
Tizio, e non pur con le distese membra
Occupi nove jugeri, ma tutto
1475Il grand’orbe terreno; ei non per tanto
Non potrà sofferir perpetua doglia,
Nè porger del suo corpo eterno pasto.
Ma Tizio è quei, che dal rapace artiglio
D’amor ghermito, e lacerato, e roso
1480Dal crudo rostro d’ansiosa angoscia;
E quei, che per qualunque altro desio
Stracciano ad or ad or noje, e tormenti.
Sisifo in oltre io questa vita abbiamo
Posto innanzi a’ nostri occhi, e quello è desso,
1485Che dal popolo i fasci, e le crudeli
Securi aver desidera, e si trova
Sempre ingannato, onde si crucia ed ange:
Poichè impero bramar, che affatto è vano,
Nè mai può conseguirsi, e sempre in esso
1490Durare intollerabili fatiche,
Questo è voler lo sdrucciolevol sasso
Portar sulla più erta eccelsa cima
Del monte alpestre, ond’egli poi si ruoti
Di novo, e caggia in precipizio al piano.
1495Pascer sempre oltre a ciò l’animo ingrato
De’ beni di natura, e mai contento
Non empier, nè saziar la brama ingorda;
Qual allor che degli anni in se rivolti
Tornano i tempi, e ne rimenan seco
1500Varie, e liete vaghezze, e nuovi parti;
E pur sazio giammai l’uomo infelice
Non è di tanti, e così dolci frutti,
Che la vita gli porge. A quel, ch’io stimo,
Altro questo non è, che radunare
1505Acqua in vasi forati, i quai non ponno
Empiersi mai; come si dice appunto,
Che a far sian condannate in Acheronte
Dell’empio re le giovinette figlie.
Cerbero fiera orribile e diversa,
1510Che latra con tre gole, e il cieco tartaro,
Che fumo erutta, e spaventosi incendj,
E le furie crinite di serpenti,
Ed Eaco, e Minosse, e Radamanto
Non sono in alcun luogo, e senza dubbio
1515Esser non ponno; ma la tema in vita
Delle pene dovute a’ gran misfatti
Gravemente n’affligge, e la severa
Penitenza del fallo, e ’l carcer tetro,
E del sasso Tarpeo l’orribil cima,
1520I flagelli, i carnefici, e la pece,
E le piastre infocate, e le facelle,
E qual altro supplicio unqua inventasse
Sicilia de’ tiranni antico nido;
I quai, benchè dal corpo assai lontani
1525Forse ne sian, pur di temer non resta
L’animo consapevole a se stesso
De’ malvagi suoi fatti; e ’l core, e l’alma
Sì ne sferza, e ne stimola, e n’affligge,
Che nell’esser crudel Falari avanza:
1530Nè sa veder, qual d’ogni male il fine
Sarebbe, e d’ogni pena; anzi paventa,
Che viepiù dopo morte aspre e nojose
Non sian le sue miserie. Or quindi fassi
La vita degli sciocchi un vivo inferno.
1535Talvolt’ancor puoi fra te stesso dire:
Vide pur anco Marzio eterna notte,
Che di te scellerato assai migliore
Era per molte cause, e tanto avea
Dilatati i confini al proprio regno.
1540Anzi a molt’altri re, duci, signori,
E capi di gran popolo convenne
Pur morir finalmente. E quello stesso,
Che del vasto ocean su ’l molle dorso
Vie lastricando passeggiò per l’alto
1545Con le sue legioni, e sovr’all’onde
Delle salse lagune a piede asciutto
Insegnò cavalcare, e pria d’ogni altro
Sprezzo del mare il murmure tremendo,
Perduto il vital giorno al fin disperse
1550L’anima fuor del moribondo corpo.
Polve è già Scipione, alto spavento
D’Africa, e chiaro fulmine di guerra,
Non altrimente che un vil servo fosse.
Aggiungi poi delle dottrine i primi
1555Inventori, e dell’arti, e delle grazie:
Aggiungi delle nove alme sorelle
I divini compagni. Un solo Omero
Fu principe di tutti, e pur si giace
Sopito anch’ei nella medesma quiete,
1560Che si giacciono gli altri. Al fin Democrito,
Poi che imparò dalla vecchiezza estrema,
Che già languian della sua mente i moti,
Corse incontro alla morte, e ’l proprio capo
Volontario le offerse; anzi lo stesso
1565Epicuro morìo, che il germe umano
Superò nell’ingegno, e d’ogni stella
Gli splendori oscurò, nato fra noi,
Qual sole etereo, ad illustrare il mondo.
E tu temi ’l morire, e te ne sdegni?
1570Tu, che vivo, e veggente hai quasi morta
La vita omai? Tu, che nel sonno involto
La maggior parte dell’età consumi?
Tu, che dormi vegliando, e mai non resti
Di veder sogni, e di paura vana
1575Hai la mente sollecita, e non trovi
Sovente il male, che ti crucia ed ange,
Allorchè d’ogn’intorno egro infelice
Sì gravemente da nojose cure
Travagliato, ed oppresso, e fra pensieri
1580Dubbioso ondeggi in mille errori, e mille?
Ah! che se gl’infelici uomini stolti
Drizzasser gli occhi a rimirar quel peso,
Che sì gli opprime, e manifeste e conte
Fosser lor le cagioni, onde ciò nasca,
1585Ed onde ognor tanta, e sì grave alberghi
Quasi mole di male entro i lor petti,
Non così viverian, come veggiamo
Viver molti di lor senza sapere
Nè pur quel, che si vogliano; nè sempre
1590Vorrian luogo mutar, quasi potessero
Da tal peso sgravarsi. Esce sovente
Un fuor di casa, a cui rincresce omai
Lo starvi, e quasi subito vi torna;
Come quello, che fuori esser non vede
1595Cosa, che più gli aggradi. A tutta briglia
Caccia questi ’l cavallo, e furioso
Quasi ajuto apportar debba all’accese
Mura del suo palagio, in villa corre;
Ma tocco appena il limitar bramato
1600Sbadiglia, e dorme, e d’obliar procura
Ciò che tedio gli reca; e torna in fretta
Di novo alla città. Fugge in tal guisa
Se stesso ognun; ma chi non può fuggirsi
Stassi ingrato a se stesso, e si tormenta,
1605Sol perchè nota la cagion del morbo
All’infermo non è: che se mirarla
Senza velo potesse, ogni altra cura
Posta in non cale, a contemplare omai
Di natura i segreti, e le cagioni
1610Tutto si volgeria: che non d’un’ora,
Ma d’infiniti secoli in contesa
Si pon lo stato, in cui dopo la morte
Staranno in ogni età tutti i mortali.
In somma qual malvagia avida brama
1615Di vita paventar sì fattamente
Ne’ dubbiosi pericoli ti sforza?
Certo è il fin della vita: ogni mortale
D’uopo è, che muoja. In un medesmo luogo
Sempre oltre a ciò dimorasi, e vivendo
1620Mai non si gode alcun piacer, che novo
Si possa nominar. Ma se lontano
Sei da quel, che desideri, ti sembra,
Che questo ecceda ogni altra cosa; e tosto
Che tu l’hai conseguito, altro desio
1625Il cor ti punge. Un’egual sete han sempre
Quei, che temon la morte, e mai non ponno
Saper, che sorte la futura etade
Appresi, o ciò che portar deva il caso,
O qual fin lor sovrasti. Ed allungando
1630La vita, non per tanto alcun non puote
Scemar del tempo della morte un pelo;
Nè punto sminuir la lunga etade,
In cui star gli convien privo di vita.
Onde ancorchè vivendo un uom godesse
1635Ben mille, e mille secoli futuri,
Non fia nulla però men sempiterna
La morte, che l’aspetta; e senza dubbio
Nulla men lungamente avrà perduto
L’esser colui, che terminò la vita
1640Questo giorno medesimo, di quello,
Che già morìo molti, e molt’anni innanzi.