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di Tito Lucrezio Lib. III. 175

     Occupi nove jugeri, ma tutto
     1475Il grand’orbe terreno; ei non per tanto
     Non potrà sofferir perpetua doglia,
     Nè porger del suo corpo eterno pasto.
     Ma Tizio è quei, che dal rapace artiglio
     D’amor ghermito, e lacerato, e roso
     1480Dal crudo rostro d’ansiosa angoscia;
     E quei, che per qualunque altro desio
     Stracciano ad or ad or noje, e tormenti.
     Sisifo in oltre io questa vita abbiamo
     Posto innanzi a’ nostri occhi, e quello è desso,
     1485Che dal popolo i fasci, e le crudeli
     Securi aver desidera, e si trova
     Sempre ingannato, onde si crucia ed ange:
     Poichè impero bramar, che affatto è vano,
     Nè mai può conseguirsi, e sempre in esso
     1490Durare intollerabili fatiche,
     Questo è voler lo sdrucciolevol sasso
     Portar sulla più erta eccelsa cima
     Del monte alpestre, ond’egli poi si ruoti
     Di novo, e caggia in precipizio al piano.
1495Pascer sempre oltre a ciò l’animo ingrato
     De’ beni di natura, e mai contento
     Non empier, nè saziar la brama ingorda;
     Qual allor che degli anni in se rivolti
     Tornano i tempi, e ne rimenan seco
     1500Varie, e liete vaghezze, e nuovi parti;