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di Tito Lucrezio Lib. III. 169

     Pianga sè morto, o lacerato, od arso.
     Conciossiachè se mal fosse morendo,
     Che dall’avido rostro, o dall’ingorda
     1315Bocca degli animai si divorasse
     Dell’uomo il corpo, io non intendo il come
     Duro non sia l’esser nel foco ardente
     Arrostite le membra, o soffocate
     Nel mele, o per lo freddo intirizzite
     1320Poste a giacer d’una gelata selce
     Sull’equabile cima, o per di sopra
     Dal grave peso della terra infrante.
     Ma nè l’albergo tuo vago, ed adorno,
     Nè l’amata consorte omai potranno
     1325Accoglierti, nè i dolci e cari figli
     Corrert’incontro, e con lusinghe e vezzi
     Prevenirti ne’ baci, e ’l core, e l’alma
     Di tacita dolcezza inebriarti.
     Più non potrai con onorate imprese
     1330O di mano, o di senno, o in pace, o in guerra
     Esser a te, nè a’ tuoi d’ajuto alcuno.
     Povero te, povero te gridando
     Vanno! un sol giorno, una sol’ora, un punto
     Nemico a’ gusti tuo potrà rapirti
     1335Della vita ogni premio; e taccion solo:
     Nè desiderio alcuno avrai di queste
     Cose, il che se co’ gli occhi della mente
     Molto ben guarderanno, e seguitarlo