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di Tito Lucrezio Lib. III. 157

     Sicchè d’uopo ti fia dir, che perisce
     L’alma di prima, e che all’incontro quella,
     990Ch’or nel corpo dimora, or si creasse.
     Aggiungi, che se in noi l’animo è chiuso
     Poi che ’l corpo è perfetto, allor che nasce
     L’uomo, e che pria ne’ limitari il piede
     Pon della vita, in nessun modo al certo
     995Non converria, ch’egli nel sangue immerso
     Co ’l corpo, e con le membra in simil guisa
     Crescer paresse, anzi dovria per se
     Viver solo a se stesso, e quasi in gabbia.
     Onde voglia, o non voglia, è pur mestiero,
     1000Che si credan da noi l’alme, e le menti
     Natìe non pur, ma sottoposte a morte.
     Posciachè se di fuori insinuate
     Fossero, non potriansi strettamente
     A i corpi unirsi, il che pur mostra aperto
     1005Il senso a noi; mentre connesse in guisa
     Per le vene, pe’ nervi, e per le viscere
     Sono, e per l’ossa, che gli stessi denti
     Son di senso partecipi; siccome
     N’additano i lor mali, e lo stridore
     1010Dell’acqua fredda, e le pietruzze infrante
     Da noi con essi in masticando il pane:
     Nè sì conteste essendo, uscirne intatte
     Potranno, e salve se medesme sciorre
     E da’ nervi, e dall’ossa, e dagli articoli,