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di Tito Lucrezio Lib. III. 145

     E’ dagli urti del tempo, e vecchio omai
     665Langue il corpo, e vien meno; e se le membra
     Perdon l’usate posse, anco l’ingegno
     Zoppica, e delirando in un sol punto
     E la lingua, e la mente il tutto manca.
     Dunqu’è mestier, che tutta anco dell’alma
     670La natura si dissipi, qual fumo
     Per l’aure aeree; poichè nasce, e cresce
     Co ’l corpo, e per l’etade al fin diventa,
     Com’io già t’insegnai, debole, e fiacca.
S’arroge a ciò, che se veggiamo il corpo
     675Soggetto a gravi morbi, e a dure ed aspre
     Fatiche, anco la mente alle mordaci
     Cure è soggetta, alle paure, al pianto.
     Per la qual cosa esser del rogo a parte
     Ancor l’è d’uopo; anzi sovente accade,
     680Che mentre il nostro corpo infermo langue,
     L’animo vagabondo esce di strada;
     Poichè spesso vaneggia, e di se fuori
     Parla cose da pazzi; ed è talvolta
     Da letargo durissimo, e mortale
     685Sommerso in alto, e grave sonno eterno:
     Cade il volto su ’l petto, e fissi in terra
     Stan gli occhi, ond’egli o le parole udire,
     O conoscer i volti omai non puote
     Di chi standogl’intorno, e procurando
     690Di richiamarlo in vita, afflitto, e mesto

            di Tito Lucr. Caro T. XXII.    K