Della natura delle cose/Libro secondo
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Traduzione dal latino di Alessandro Marchetti (1717)
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DI TITO
LUCREZIO CARO
DELLA NATURA DELLE COSE.
LIBRO SECONDO.
Dolc’è mirar da ben sicuro porto
L’altrui fatiche all’ampio mare in mezzo,
Se turbo il turba, o tempestoso nembo;
Non perchè sia nostro piacer giocondo
5Il travaglio d’alcun, ma perchè dolce
È, se contempli il mal, di cui sei privo.
Nè men dolce è veder schierati in campo
Fanti, e cavalli, e cavalieri armati
Far tra lor sanguinose aspre battaglie.
1OMa nulla mai si può chiamar più dolce,
Che abitar, che tener ben custoditi
De’ Saggi i sacri templi, onde tu possa
Quasi da Rocca eccelsa ad umil piano
Chinar tal volta il guardo, e d’ogn’intorno
15Mirar gli altri inquieti, e vagabondi
Cercar la via della lor vita, e sempre
Contender tutti, o per sublime ingegno,
O per nobile stirpe, e giorno, e notte
Durare intollerabili fatiche
20Sol per salir delle ricchezze al sommo,
E potenza acquistar, scettri, e corone.
Misere umane menti, animi privi
Del più bel lume di ragione: Oh quanta,
Quanta ignoranza è quella, che v’offende!
25Ed oh fra quanti perigliosi affanni
Passate voi questa volante etade,
Ciò ch’ella siasi! Or non vedete aperto,
Che nulla brama la natura, e grida
Altro giammai, se non che sano il corpo
30Sia sempre; e che la mente ognor gioisca
De’ piaceri del senso; e da se lungi
Cacci ogni noja, ed ogni tema in bando?
Chiaro dunque n’è pur, che poco è il nostro
Bisogno, onde la vita si conservi,
35Onde dal corpo ogni dolor si scacci.
Che s’entro a regio albergo intagli aurati
Di vezzosi fanciulli accese faci
Non tengon nelle destre, onde abbian lume
Le notturne vivande, emulo al giorno
40Se non rifulge ampio palagio, e splende
D’argento, e d’or, se di soffitte aurate
Tempio non s’orna, e di canore cetre
Risonar non si sente; ah! che distesi
Non lungi al mormorar d’un picciol rio,
45Che il prato irrighi, i Pastorelli all’ombra
Di selvatiche piante allegri danno
Il dovuto ristoro al proprio corpo:
Massime allor che la stagion novella
Arride, e l’erbe di bei fior cosperge.
50Nè piuttosto giammai l’ardente febbre
Si dilegua da te, se d’oro, e d’ostro,
E d’arazzi superbi orni il tuo letto,
Che se in veste plebea le membra involgi.
Onde poscia che nulla al corpo giova
55Onor, ricchezze, o nobiltade, o regno,
Creder anco si dee, che nulla importi
Il rimanente all’animo; se forse,
Qualor di guerra in simolacro armate
Miri le squadre tue, non fugge allora
60Ogni Religion dalla tua mente
Da tal vista atterrita; e non ti lascia
Il petto allora il rio timor di morte
Libero, e sciolto, d’ogni cura scarco.
Che se tai cose esser veggiam di riso
65Degne, e di scherno, e che i pensier nojosi
Degli uomini seguaci, e le paure
Pallide, e macilenti il suon dell’armi
Temer non sanno, e delle frecce il rombo:
Se fra Regi, e Potenti han sempre albergo
70Audacemente, e non apprezzan punto
Nè dell’oro il fulgor, nè l’orgoglioso
Chiaro splendor delle purpuree vesti,
Qual dubbio avrai, che tutto questo avvenga
Sol per mancanza di ragione? essendo
75Massime tutto quanto il viver nostro
Nell’ombre involto di profonda notte.
Poichè siccome i fanciulletti al bujo
Temon fantasmi insussistenti, e larve;
Sì noi tal volta paventiamo al Sole
80Cose, che nulla più son da temersi
Di quelle, che future i fanciulletti
Soglion fingersi al bujo, e spaventarsi.
Or sì vano terror, sì cieche tenebre
Scuoter bisogna, e via scacciar dall’animo,
85Non co’ be’ rai del Sol, non già co’ lucidi
Dardi del giorno a saettar poc’abili
Fuorchè l’ombre notturne, e i sogni pallidi,
Ma co ’l mirar della Natura, e intendere
L’occulte cause, e la velata immagine.
90Su dunque, io prendo a ragionarti, o Memmio
Come della Materia i primi corpi
Generin varie cose, e generate
Che l’hanno, le dissolvano, e da quale
Violenza a far ciò sforzati sieno;
95E qual abbiano ancor principio innato
Di moversi mai sempre, e correr tutti
Or qua, or là per lo gran Vano a volo.
Tu ciò ch’io parlo attentamente ascolta:
Che certo i primi semi esser non ponno
100Tutti insieme fra lor stivati affatto
Veggendo noi diminuirsi ognora,
E per soverchia età mancar le cose,
E sottrarle vecchiezza a gli occhi nostri,
Mentre che pur salva rimane intanto
105La somma; conciossiachè da qualunque
Cosa il corpo s’involi, ond’ei si parte,
Toglie di mole, e dov’ei viene, aggiunge,
E fa, che questo invecchia, e quel fiorisce;
Nè punto vi si ferma. In cotal guisa
110Il mondo si rinova, ed a vicenda
Vivon sempre tra lor tutti i mortali.
Se un Popol cresce, un all’incontro scema;
E si cangian l’etadi in breve spazio
Degli animali, e della vita accese,
115Quasi Cursori, han le facelle in mano.
Se credi poi, che delle cose i semi
Possan fermarsi, e novi moti dare
In tal guisa alle cose, erri assai lunge
Fuor della dritta via della ragione,
120Poichè vagando per lo spazio vuoto
Tutti i principj, è pur mestiero al certo,
Che sian portati, o dal suo proprio peso,
O forse spinti dall’altrui percosse:
Poichè allor che s’incontrano, e di sopra
125S’urtan veloci l’un con l’altro, avviene,
Che varj in varie parti si riflettono;
Nè meraviglia è ciò, poichè durissimi
Son tutti, e nulla gl’impedisce a tergo.
Ed acciocchè tu meglio ancor comprenda,
130Che tutti son della materia i corpi
Vibrati eternamente, or ti rammenta,
Che non ha centro il mondo, ove i principj
Possan fermarsi, ed è lo spazio vuoto
Senza fin, senza modo intorno sparso
135Profondissimamente in tratto immenso,
Conforme innanzi io t’ho mostrato a lungo
Con vive e gagliardissime ragioni.
Il che pur noto essendo, alcuna quiete
Per lo vano profondo i corpi primi
140Non han giammai; ma più, e più commossi
Da forza interna, e inquieta, e varia
Una parte di lor s’urta, e risalta
Per grande spazio ripercossa, e spinta;
Un’altra ancor per picciol’intervalli
145Vien per tal colpo a raggrupparsi insieme,
E tutti quei, che d’union più densa
Insieme avviluppati, ed impediti
Dall’intricate lor figure ponno
Sol risaltar per breve spazio indietro,
150Formano i cerri, e le robuste querce,
E del ferro feroce i duri corpi,
E i macigni, e i diaspri, e gli adamanti.
Quelli, che vagan poi pe ’l Vuoto immenso,
E saltan lungi assai veloci, e lungi
155Corron per grande spazio in varie parti,
Posson l’aere crearne, e l’aureo lume
Del Sole, e delle stelle erranti, e fisse:
Ne vanno ancor per lo gran Vano errando
Senza unirsi giammai, senza potere
160Accompagnar, non ch’altro, i proprj moti;
Della qual cosa un simolacro vivo
Sempre innanzi a’ nostr’occhi esposto abbiamo:
Posciachè rimirando attento, e fisso
Allor che il Sol co’ raggi suoi penetra
165Per picciol foro in una buja stanza,
Vedrai mischiarsi in luminosa riga
Molti minimi corpi in molti modi,
E quasi a schiere esercitar tra loro
Perpetue guerre: ora aggrupparsi, ed ora
170L’un dall’altro fuggirsi, e non dar sosta;
Onde ben puoi congetturar da questo,
Qual sia l’esser vibrati eternamente
Per lo spazio profondo i primi semi;
Se le piccole cose a noi dar ponno
175Contezza delle grandi, e i lor vestigj
Quasi additarne la perfetta idea.
Tieni a questo, oltre a ciò, l’animo intento:
Cioè che i corpi, che vagar tu miri
Entro a i raggi del Sol confusi, e misti
180Mostrano ancor, che la materia prima
Ha moti impercettibili ed occulti:
Che molti quivi ne vedrai sovente
Cangiar viaggio, e risospinti indietro
Or qua, or là, or su, or giù tornare,
185E finalmente in ogni parte; e questo
È sol, perchè i principj, i quai per se
Movonsi, e quindi poi le cose piccole,
E quasi accosto alla virtù de’ semi,
Dagli occulti lor colpi urtate anch’elle
190Vengon commosse, ed esse stesse poi
Non cessan d’agitar l’altre più grandi.
Così da’ primi corpi il moto nasce,
E chiaro fassi appoco appoco al senso;
Sicchè si movon quelle cose al fine,
195Che noi per entro a’ rai del Sol veggiamo;
Nè per qual causa il fanno, aperto appare.
Or qual principio da Natura i corpi
Della prima materia abbian di moto,
Quind’imparar puoi brevemente, o Memmio.
200Pria quando l’alba di novella luce
Orna la terra, e che per l’aer puro
Varj augelli volando in dolci modi
D’armoniose voci empion le selve;
Come ratto allor soglia il Sol nascente
205Sparger suo lume, e rivestirne il mondo,
Veggiam, ch’è noto, e manifesto a tutti:
Ma quel vapor, quello splendor sereno,
Ch’ei da se vibra, per lo spazio vuoto
Non passa; ond’è costretto a gir più tardo,
210Quasi dell’aere allor l’onde percota.
Non van disgiunti i corpicelli suoi,
Ma stretti ed ammassati; onde fra loro
Insieme si ritirano, e di fuori
Han mille intoppi in guisa tal, che pure
215Vengon sforzati ad allentare il corso.
Non così fanno i genitali corpi
Per lor semplicitade impenetrabili;
Ma quando volan per lo spazio vuoto,
Nè fuor di lor impedimento alcuno
220Trovan, che gli trattenga, e da i lor luoghi
Tosto che mossi son verso una sola,
Verso una sola parte il volo indrizzano,
Debbono allor viepiù veloci, e snelli
De’ rai del Sol molto maggiore spazio
225Passar di luogo, in quel medesmo tempo,
Che i folgori del Sol passano il Cielo;
Posciachè da consiglio, o da sagace
Ragione i primi semi esser non ponno
Impediti giammai, nè ritardati;
230Nè vanno ad una ad una investigando
Le cose, per conoscere in che modo
Nell’Universo si produca il tutto.
Ma sono alcuni, che di questo ignari
Si credon, che non possa la natura
235Della materia per se stessa, e senza
Divin volere in così fatta guisa
Con umane ragioni e moderate
Mutar i tempi, e generar le biade;
Nè far null’altro, a cui di gire incontro
240Persuade i mortali, e gli accompagna
Quel gran piacer, che della vita è guida;
Acciò le cose i secoli propaghino
Con veneree lusinghe, e non perisca
L’umana specie: onde che fosse il tutto
245Per opra degli Dei fatto dal nulla
Fingono. Ma, per quanto a me rassembra,
Essi in tutte le cose han traviato
Molto dal ver; poichè quantunque ignoti
Mi sian della materia i primi corpi,
250Io non per tanto d’affermare ardisco
Per molte, e molte cause, e per gl’istessi
Movimenti del ciel, che l’universo,
Che tanto è difettoso, esser non puote
Da i Dei creato; e quant’io dico, o Memmio,
255Dopo a suo luogo mostrerotti a lungo.
Or del moto vo’ dir ciò che mi resta.
Quì, s’io non erro, di provarti è luogo,
Che per se stesso nessun corpo mai
Non può da terra sormontare in alto.
260Nè già vorrei, che t’ingannasse il fuoco,
Che all’in sù si produce, e cibo prende:
E le nitide biade, e l’erba, e i fiori,
E gli alberi all’in su crescono anch’essi;
Benchè, per quanto s’appartiene a loro;
265Sempre tutti all’in giù caschino i pesi.
Nè creder dei, che la vorace fiamma,
Allor che furiosa in alto ascende,
E dell’umili case, e de’ superbi
Palagj i tetti in un momento atterra,
270Opri ciò da se stessa, e senza esterna
Forza, che l’urti; il che pur anco accade
Al nostro sangue, se dal corpo spiccia
Per piccola ferita, e poggia in alto,
E ’l suolo asperge di vermiglie stille.
275Forse non vedi ancor, con quanta forza
Risospinga all’in su l’umor dell’acqua
Le travi, e gli altri legni? poichè quanto
Più altamente gli attuffiamo in essa,
E con gran violenza appena uniti
280Molti di noi ve gli spingiam pe ’l dritto,
Ella tanto più ratta, e desiosa
Da se gli scaccia, e gli rigetta in alto
In guisa tal, che quasi fuori affatto
Sorgon dall’onde, ed all’in su risaltano;
285Nè per ciò dubitiamo, al parer mio,
Che per se stesse entro allo spazio vuoto
Scendan le travi, e gli altri legni al basso.
Ponno dunque in tal guisa anco le fiamme
Dall’aria, che le cinge, in alto espresse
290Girvi, quantunque per se stessi i pesi
Si sforzin sempre di tirarle al basso.
E non vedi tu forse al caldo estivo
Le notturne del Ciel faci volanti
Correr sublimi, e menar seco un lungo
295Tratto di luce in qualsivoglia parte?
Lor natura apre il varco. Il Sole ancora
Quando al più alto suo meriggio ascende,
L’ardor diffonde d’ogn’intorno, e sparge
Di lume il suol: verso la terra dunque
300Vien per natura anco l’ardor del Sole.
I fulmini volar vedi a traverso
Le grandinose piogge; or quindi, or quinci
Dalle nubi squarciate i lampi strisciano;
E caggion spesso anco le fiamme in terra.
305Bramo oltre a ciò, che tu conosca, o Memmio,
Che mentre a volo i genitali corpi
Drittamente all’in giù vanno pe ’l Vuoto,
D’uopo è, ch’in tempo incerto, in luogo incerto
Sian fermamente da’ lor proprj pesi
310Tutti forzati a declinare alquanto
Dal lor dritto viaggio: onde tu possa
Solo affermar, che sia cangiato il nome.
Poichè se ciò non fosse, il tutto al certo
Per lo Vano profondo in giù cadrebbe,
315Quasi stille di pioggia; e mai non fora
Nato trà i primi semi urto o percossa:
Onde nulla giammai l’alma Natura
Crear potrebbe. Che se pure alcuno
Si pensa forse, che i più gravi corpi
320Scendan giù ratti per lo retto spazio,
E per di sopra ne’ più lievi inciampino,
Generando in tal guisa urti, e percosse,
Che possan darne i genitali moti,
Erra senz’alcun dubbio, e fuor di strada
325Dalla dritta ragion molto si scosta.
Poichè ciò che per entro all’aria, e all’acqua
Cade all’ingiuso, il suo cadere affretta,
E de’ pesi a ragion ratto discende;
Perchè il corpo dell’acqua, e la natura
330Tenue dell’aria trattener non puote
Ogni cosa egualmente, e viepiù presto
Convien, che vinta alle più gravi ceda,
Ma pe ’l contrario in tempo alcun dal vuoto
In parte alcuna alcuna cosa mai
335Impedirsi non puote, ond’ella il corso
Non segua, ove natura la trasporta;
Onde tutte le cose, ancorchè mosse
Da pesi disuguali, aver dovranno
Per lo Vano quieto egual prestezza.
340Non ponno dunque ne’ più lievi corpi
Inciampare i più gravi, e per di sopra
Colpi crear per se medesmi, i quali
Faccian moti diversi, onde Natura
Produca il tutto. Ed è pur forza al certo,
345Che declinino alquanto i primi semi,
Nè più, che quasi nulla, acciò non paja,
Ch’io finga adesso i movimenti obliqui,
E che ciò poi la verità rifiuti;
Posciachè a tutti è manifesto, e noto,
350Che mai non ponno per se stessi i pesi
Far obliquo viaggio allor che d’alto
Veder gli puoi precipitare al basso.
Ma che i principj poi non torcan punto
Dalla lor dritta via chi veder puote?
355Se finalmente ogni lor moto sempre
Insieme si raggruppa, e dall’antico
Sempre con ordin certo il novo nasce;
Nè traviando i primi semi fanno
Di moto un tal principio, il qual poi rompa
360I decreti del Fato, acciò non segua
L’una causa dall’altra in infinito;
Onde han questa (dich’io) dal fato sciolta
Libera volontà, per cui ciascuno
Va, dove più gli aggrada? I moti ancora,
365Si declinan sovente, e non in tempo
Certo, nè certa region; ma solo
Quando, e dove comanda il nostro arbitrio.
Poichè senza alcun dubbio a queste cose
Dà sol principio il voler proprio, e quindi
370Van poi scorrendo per le membra i moti.
Non vedi ancor, che i barbari cavalli,
Allorchè disserrata in un sol punto
È la prigion, non così tosto il corso
Prendon, come la mente avida brama?
375Poichè per tutto il corpo ogni materia
Atta a far ciò dee sollevarsi, e spinta
Scorrer per ogni membro, acciò con essa
Della mente il desio possa seguire.
Onde conoscer puoi, che il moto nasce
380Dal core; e che ciò pria dal voler nostro
Procede; e quindi poi per tutto il corpo,
E per tutte le membra si diffonde.
Nè ciò avvien, come quando a forza siamo
Cacciati innanzi, poichè allora è noto,
385Che rapita è dal corpo ogni materia
Ad onta nostra, in fin che per le membra
Un libero voler possa frenarla.
Già veder puoi come, quantunque molti
Da violenza esterna a lor mal grado
390Sian forzati sovente a gire innanzi,
E sospinti, e rapiti a precipizio,
Noi non pertanto un non so che nel petto
Nostro portiam, che di pugnarle incontro
Ha possanza, e d’ostarle, al cui volere
395Dell’istessa materia anch’è la copia
Talor forzata a scorrer per le membra,
E diffusa si frena, e torna indietro:
Per la qual cosa confessar t’è forza,
Che questo istesso a’ primi semi accaggia,
400E ch’offre a’ pesi, alle percosse, a gli urti
Abbian qualch’altra causa i moti loro;
Onde poscia è con noi questa possanza
Nata, perchè giammai nulla del nulla
Non poter generarsi è manifesto;
405Che vieta il peso, che per gli urti il tutto
Formato sia quasi da forza esterna.
Ma che la mente poi d’uopo non abbia
Di parti interiori, ond’ella possa
Far poi tutte le cose, e vinta sia
410A soffrire, a patir quasi costretta,
Ciò puote cagionar de’ primi corpi
Il picciol deviar dal moto retto.
Nè mica in luogo certo, o in certo tempo,
Nè fu giammai della materia prima
415Più stivata la copia, o da maggiori
Spazj divisa; poichè quindi nulla
S’accresce, o scema, onde in quel moto, in cui
Son ora i primi corpi, in quel medesimo
Furono ancor nella trascorsa etade,
420E fien nella futura; e tutto quello,
Che fin qui s’è prodotto, è da prodursi
Anche per l’avvenire, e con l’istesse
Condizioni, e nell’istessa guisa
Esser, e crescer debbe, e tanta possa
425Avere in se medesmo appunto, quanta
Per naturale invariabil legge
Gli fu sempre concessa; nè la somma
Variar delle cose alcuna forza
Non può giammai; perchè nè dove alcuna
430Spezie di semi a ricovrar sen vada
Lungi dal tutto non si trova al mondo;
Nè meno ond’altra violenza esterna
Crear si possa; e penetrar nel tutto
Impetuosamente, e la Natura
435Mutarne, e volger sottosopra i moti.
Nè creder poi, che meraviglia apporti,
Ch’essendo tutti i primi semi in moto,
La somma non pertanto in somma quiete
Paja di star, se non se forse alcuno
440Mostra del proprio corpo i movimenti;
Posciachè de principj ogni natura
Lungi da’ nostri sensi occulta giace:
Onde se quelli mai veder non puoi,
Ti fien anco nascosti i moti loro;
445Massime perchè spesso accader suole,
Che quelle cose, che veder si ponno,
Celan mirate da lontana parte
Anch’elle i proprj moti a gli occhi nostri.
Poichè sovente in un bel colle aprico
450Le pecore lanute a passi lenti
Van bramose tosando i lieti paschi,
Ciascuna ove la chiama, ove l’invita
La di fresca rugiada erba gemmante;
E vi scherzan lascivi i grassi agnelli
455Vezzosamente saltellando a gara:
E pur tai cose, se da lungi il guardo
Vi s’affissa da noi, sembran confuse,
E ferme, quasi allor s’adorni, e veli
Di bianca sopravveste il verde colle.
460In oltre allor che poderose, e grandi
Schiere di guerra in simolacro armate
Van con rapido corso i campi empiendo,
E su prodi cavalli i cavalieri
Volan lungi dagli altri, e furibondi
465Scuoton con urto impetuoso il campo;
Quivi splende la terra, e l’aria intorno
Arde tutta, e lampeggia, e sotto i piedi
De’ valorosi Eroi s’eccita un suono,
Che misto con le strida, e ripercosso
470Da’ monti in un balen s’erge alle stelle:
E pur luogo è ne’ monti, onde ci sembra
Starsi nel campo un tal fulgore immoto.
Or via da quinci innanzi intendi omai,
Quali fian delle cose i primi semi,
475E quanto l’un dall’altro abbian diverse,
E difformi le forme, e le figure:
Non perchè sian di poco simil forma
Molti di lor; ma perchè tutti eguali
D’ogn’intorno non han tutte le cose.
480Nè meraviglia è ciò, posciachè essendo
Tanta la copia lor, che fine, e somma,
Come già dimostrammo, aver non puote,
Ben creder dessi, che non tutti in tutto
Possan tutte le parti aver dotate
485D’egual profilo, o di simil figura.
Oltre a ciò l’uman germe, e i muti armenti
Degli squamosi pesci, e i lieti arbusti,
E le fiere selvagge, e i vari augelli,
O sian quei, che dell’acque i luoghi ameni
490Amano, e vanno spaziando intorno
Alle rive de’ fiumi, a i fonti, a i laghi,
O quei, che delle selve abitatori
Volan di ramo in ramo, or tu di questi
Segui pure a pigliar qual più t’aggrada
495Generalmente, e troverai, che tutti
Han figure diverse, e forme varie.
Nè potrebbero i figli in altra guisa
Raffigurar le madri, nè le madri
Riconoscere i figli: e pur veggiamo,
500Che ciò far ponno, e senza error, non meno
Che gli uomini fra lor si raffigurano.
Poichè sovente innanzi a’ venerandi
Templi de’ sommi Dei cade il vitello
Presso a fumante Altar d’arabo incenso,
505E dal petto piagato un caldo fiume
Sparge di sangue; ma l’afflitta ed orba
Madre pe’ boschi errando in terra lascia
Del bipartito piede impresse l’orme:
Cerca co’ gli occhi ogni riposto luogo
510S’ella veder pur una volta possa
Il perduto suo parto, e ferma spesso
Di queruli mugiti empie le selve;
E spesso torna dal desio trafitta
Del caro figlio a riveder la stalla;
515Nè rugiadose erbette, o salci teneri,
Mormoranti ruscelli: o fiumi placidi
Non posson dilettarla, o sviar punto
L’animo suo dalla nojosa cura;
Nè degli altri giovenchi altrove trarla
520Le mal note bellezze, o i grassi paschi
Alleviarle il duol, che la tormenta:
Sì va cercando un certo che di proprio,
Ed a lei manifesto. I tenerelli
Capretti in oltre alle lor voci tremule,
525Ed al rauco belar gli agni lascivi
Riconoscono pur l’irsute madri,
E le lanose: in cotal guisa ognuno,
Qual Natura richiede, il dolce latte
Dalle proprie sue mamme a sugger corre.
530Di grano al fin qualunque specie osserva;
E vedrai nondimen, ch’ei non ha tanta
Somiglianza fra se, che ancor non abbia
Qualche difformitade: e per la stessa
Ragion vedrai, che della terra il grembo
535Dipingon le conchiglie in varie guise
Là dove bagna il mar con l’onde molli
Del curvo lido l’assetata arena;
Onde senza alcun dubbio è pur mestiero,
Che per la causa stessa i primi corpi,
540Posciachè son dalla Natura anch’essi,
E non per opra manual formati,
Abbian varie fra lor molte figure.
Già scior possiamo agevolmente il dubbio,
Per qual cagione i fulmini cadenti
545Molto più penetrante abbiano il foco
Di quel, che nasce da terrestre face.
Conciossiachè può dirsi, che il celeste
Ardor del fulmin più sottile essendo
Composto sia di picciole figure;
550Onde penetri agevolmente i fori,
Che non può penetrare il foco nostro
Generato da’ legni. In oltre il lume
Passa pe ’l corno, ma la pioggia indietro
Ne vien respinta: or per qual causa è questo?
555Se non perchè del lume assai minori
Gli atomi son di quelli, onde si forma
L’almo liquor dell’acque. E perchè tosto
Veggiam colarsi il vino, ed il restio
Oglio all’incontro trattenersi un pezzo?
560O perch’egli ha maggiori i primi semi,
O più curvi, o l’un l’altro in varj modi
A foggia d’ami avviluppati insieme;
Onde avvien poi, che non sì presto ponno
L’un dall’altro strigarsi, e penetrare
565I fori ad uno ad uno, e fuori uscirne.
S’arroge a ciò, che con soave, e dolce
Senso gusta la lingua il biondo mele,
E il bianco latte; ed all’incontro il tetro
Amarissimo assenzio, e ’l fier centauro
570Con orribil sapor crucia il palato:
Onde apprender tu possa agevolmente,
Che son composti di rotondi, e lisci
Corpi quei cibi, che da noi gustati
Posson toccar soavemente il senso;
575Ma quelle cose poi, che acerbe, ed aspre
Ci sembrano, i lor semi hanno all’incontro
Viepiù adunchi, e l’un l’altro a foggia d’ami
Strettamente intrigati, onde le vie
Sogliono risecar de’ sensi nostri,
580E con l’entrata lor stracciarne il corpo.
Al fin tutte le cose al senso grate,
E l’ingrate al toccar, pugnan fra loro
Per le varie figure, onde son fatte:
Acciò tu forse non pensassi, o Memmio,
585Che l’aspr’orror della stridente sega
Formato fosse di rotondi, e lisci
Principj anch’egli, in quella guisa stessa
Che la soave melodia si forma
Da Musico gentile, allor che sveglia
590Con dotta man l’armoniose corde
Di canoro strumento; e non pensassi,
Che con la stessa forma i primi corpi
Possano penetrar nelle narici
Dell’uomo, allor che i puzzolenti, e tetri
595Cadaveri s’abbruciano, ed allora
Che tutta è sparsa di Cilicio croco
La nova scena, e di Panchei profumi
Arde di Giove il sacrosanto altare;
E non credessi, che i color leggiadri,
600E le nostre pupille a pascer atti
Abbian simili i proprj semi a quelli,
Che pungon gli occhi a lagrimar forzando,
E pajon brutti, e spaventosi in vista:
Poichè ogni causa, che diletta, e molce
605I sensi, ha lisci i suoi principj al certo:
Ma ciò ch’è pe ’l contrario aspro, e molesto,
Ha la materia sua scabrosa, e rozza.
Son poscia alcuni corpi, i quali affatto
Non debbono a ragion lisci stimarsi,
610Nè con punte ritorte affatto adunchi;
Poichè più tosto han gli angoletti loro
In fuori alquanto, e che più tosto ponno
Solleticar, che lacerare il senso:
Qual può dirsi la feccia, ed i sapori
615Dell’Enula campana: e finalmente
Che la gelida brina, o ’l caldo foco
Tentati in varie guise, in varie guise
Pongono il senso, a l’un, e l’altro tatto
Chiaro ne porge, e manifesto indizio;
620Posciachè il tatto, il tatto, oh Santi Numi!
Senso è del corpo, o quando alcuna cosa
Esterna lo penetra, o quando nuoce
A quel, che gli è nativo, o fuori uscendo
Ne dà Venereo genital diletto;
625O quando offesi entro a lui stesso i semi,
Ed insieme commossi ed agitati
Turbano i nostri sensi, e gli confondono,
Come potrai sperimentar tu stesso,
Se talor con la man percoti a caso
630Del proprio corpo qualsivoglia parte:
Ond’è mestier, che de’ principj primi
Sian pur molto fra lor varie le forme,
Che varj sensi han di produr possanza.
Al fin le cose, che più dure, e dense
635Sembrano a gli occhi nostri, è d’uopo al certo,
Ch’abbiano adunchi i proprj semi, e quasi
Ramosi, e l’un con l’altro uniti, e stretti;
Tra le quai senza dubbio il primo luogo
Hanno i diamanti a disprezzare avvezzi
640Ogni urto esterno, e le robuste selci,
E il duro ferro, e il bronzo, il qual percosso
Suole altamente rimbombar ne’ chiostri.
Ma quel, ch’è poi di liquida sostanza,
Convien che fatto di rotondi, e lisci
645Principj sia; poichè tra lor frenarsi
Non ponno i suoi viluppi, e verso il chino
Han volubile il corso. In somma tutte
Le cose, che fuggirsi in un momento
Vedi, e svanir, come le fiamme, e ’l fumo
650Le nebbie, e le caligini, se tutte
Non hanno i semi lor lisci e rotondi,
D’uop’è almen, che ritorti, e l’un con l’altro
Non gli abbiano intrigati, acciò sian atti
A punger gli occhi, e penetrar ne’ sassi,
655Senza che sieno avviticchiati insieme;
Il che vede ciascuno esser concesso
Di conoscer a’ sensi, onde tu possa
Facilmente imparar, ch’elle non sono
Fatte d’adunchi, ma d’acuti semi.
660Ma che amari tu poi conosca i corpi,
Che son liquidi, e molli, appunto come
È del mare il sudor, non dei per certo
Meraviglia stimar; poichè quantunque
Sia ciò, ch’è molle, di rotondi, e lisci
665Semi composto, nondimen fra loro
Doloriferi corpi anco son misti,
Nè per ciò fa mestier, che siano adunchi,
E l’un l’altro intrigati, ma piuttosto
Debbon, benchè scabrosi, esser rotondi;
670Acciò che insieme agevolmente scorrere
Possano al basso, e lacerarne i sensi.
Ma perchè tu più chiaramente intenda
Esser misti co’ lisci i rozzi, e gli aspri
Principj, ond’ha Nettuno amato il corpo;
675Sappi, che dolce aver da noi si puote
L’acqua del mar, purchè per lungo tratto
Di terra sia colata, e caggia a stille
In qualche pozza, e placida diventi;
Posciacchè a poco a poco ella depone
680Del suo tetto veleno i semi acerbi;
Come quelli, che ponno agevolmente,
Stante l’asprezza lor, fermarsi in terra.
Or ciò mostrato avendo, io vo’ seguire
A congiunger con questo un’altra cosa,
685Che quindi acquista fede; ed è, che i corpi:
Di lor materia variar non ponno
Mai le figure in infinite guise:
Che se questo non fosse, alcuni semi
Già dovrebbon di novo a’ corpi misti
690Apportar infinito accrescimento.
Poichè non in qualunque angusta mole
Si posson molto variare insieme
Le lor figure; conciossiachè fingi,
Che sian pur quanto vuoi minuti, e piccioli
695I primi semi, indi di tre gli accresci,
O di poc’altri, e troverai per certo,
Che se tu piglierai tutte le parti
Di qualche corpo, e variando i luoghi
Sommi co’ gl’imi, e co’ sinistri i destri,
700Dopo che in ogni guisa avrai provato,
Qual dia specie difforme a tutto il corpo
Ciascun ordine lor; nel rimanente
Se tu forse vorrai cangiar figure,
Anche altre parti converratti aggiungere:
705Quindi avverrà, che l’ordine ricerchi
Per la stessa ragion nuove altre parti,
Se tu forme vorrai cangiar di novo.
Dunque co ’l variar delle figure
S’augumentano i corpi, onde non devi
710Creder, che i semi abbian tra lor le forme
Difformi in infinito, acciò non forzi
Ad esser cose smisurate al mondo;
Il che già falso ti provai di sopra.
Già le barbare vesti, e le superbe
715Lane di Melibea tre volte intinte
Nel sangue di Tessaliche conchiglie,
E dell’aureo Pavon l’occhiute piume
Di ridente lepor cosperse intorno,
Da novelli colori oppresse, e vinte
720Giacerebbero omai; nè della mirra
Saria grato l’odor, nè del soave
Mele il sapore; e l’armonia de’ Cigni,
Ed i carmi Febei sposati al suono
Di cetra tocca da Dedalea mano
725Foran già muti; conciossiachè sempre
Nascer potriano alcune cose al mondo
Più dell’antiche preziose e care,
Ed alcun’altre più neglette e vili
Al palato, a gli orecchi, al naso, a gli occhi;
730Il che falso è per certo, ed ha la somma
E dell’une, e dell’altre un fin prescritto:
Ond’è pur forza confessar, che i semi
Forme infinite variar non ponno.
Dal caldo al fine alle pruine algenti
735È finito passaggio; ed all’incontro
Per la stessa ragion dal gelo al foco;
Poichè finisce e l’uno, e l’altro; e posti
Sono il tiepido, e il fresco a loro in mezzo
Adempiendo per ordine la somma.
740Distanti dunque le create cose
Per infinito spazio esser non ponno;
Perchè hanno d’ogni banda acute punte,
Quind’infeste alle fiamme, e quinci al ghiaccio.
Il che mostrato avendo, io vo’ seguire
745A congiunger con questo un’altra cosa,
Che quindi acquista fede; ed è, che i semi,
C’han da Natura una figura stessa,
Son infiniti; conciossiachè essendo
Finita delle forme ogni distanza,
750Forza egli è pur, che simili fra loro
Sian infinite, o sia finita almeno
La somma; il che già falso esser provammo.
Or poichè ciò t’è noto, io vo’ mostrarti
In pochi, ma soavi, e dolci versi,
755Che de’ primi principj i corpicciuoli
Sono infiniti in qualsivoglia specie
Di forme; e sol così posson la somma
Delle cose occupar, continuando
D’ogn’intorno il tenor delle percosse.
760Poichè sebben tu vedi esser più rari
Certi animali, e men feconda in essi
La natura ti par; ben puote un’altra
O terra, o luogo, o region lontana
Esserne più ferace, ed adempirne
765In cotal guisa il numero: siccome
Veggiam, che tra i quadrupedi succede,
Specialmente a gli anguimani Elefanti,
De’ quai l’India è sì fertile, che cinta
Sembra d’eburneo impenetrabil vallo:
770Tal di quei Bruti immani ivi è la copia;
Benchè fra noi se ne rimiri appena
Qualch’esempio rarissimo. Ma posto
Che fosse al mondo per natura un corpo
Cotanto singolar, ch’a lui simile
775Null’altro sia nell’universo intero;
Se non per tanto de’ principj suoi
Non fia la moltitudine infinita,
Ond’ella concepirsi, o generarsi
Possa, non potrà mai nascere al mondo;
780Nè, benchè nata, alimentarsi, e crescere.
Poichè fingi co’ gli occhi, che finiti
Semi d’una sol cosa in varie parti
Vadan pe ’l Vano immenso a volo errando:
Onde, dove, in che guisa, e con qual forza
785In così vasto pelago, e fra tanta
Moltitudine altrui potranno insieme
Accozzarsi giammai? Per quanto io credo,
Ciò non faranno in nessun modo al certo.
Ma qual se nasce in mezzo all’onde insane
790Qualche grave naufragio, il mar cruccioso
Sparger sovente in varie parti suole
Banchi, antenne, timoni, alberi, e sarte,
Poppe, e prore, e trinchetti, e remi a nuoto
In guisa che mirar puote ogni spiaggia
795Delle navi sommerse i fluttuanti
Arredi, che avvertir dovrian ciascuno
Mortale ad ischivar del mare infido
E l’insidie, e le forze, e i tradimenti;
Nè mai fidarsi, ancorchè alletti, e rida
800L’ingannatrice sua calma incostante:
Tal se tu fingi in qualche specie i semi
Da numero compresi, essi dovranno
Per lo Vano profondo esser dispersi
In varie parti, e da diversi flutti
805Della prima materia in guisa tale,
Che non potran congiungersi, o congiunti
Trattenersi un sol punto in un sol gruppo
Nè per novo concorso augumentarsi;
E pur, che l’uno, e l’altro apertamente
810Si faccia, il fatto stesso a noi ben noto
Ne mostra, e che formarsi, e che formate
Posson crescer le cose. È chiaro adunque,
Che sono in ogni specie innumerabili
Semi, onde vien somministrato il tutto.
815Nè superare eternamente ponno
I moti a lor mortiferi, nè meno
Seppellir la salute eternamente;
Ne di sempre servar da morte intatte
Le cose una sol volta al mondo nate
820Gli accrescitivi corpi hanno possanza:
Tal con pari certame insieme fanno
Battaglia i semi infra di lor contratta
Fin da tempo infinito. Or quinci, or quindi
Vince la vita, ed all’incontro è vinta;
825Mista al rogo è la cuna, ed al vagito
De’ nascenti fanciulli il funerale;
Nè mai notte seguìo giorno, nè giorno
Notte, che non sentisse in un confuso
Col vagir di chi nasce il pianto amaro,
830Della morte compagno, e del feretro.
Abbi in oltre per fermo, e tieni a mente,
Che nulla al Mondo ritrovar si puote,
Che d’un genere sol di genitali
Corpi sia generato, e che non abbia
835Misti più semi entro se stesso; e quanto
Più varie forze, e facoltà possiede,
Tanto in se stesso esser più specie insegna
D’atomi differenti, e varie forme.
Pria, la terra contiene i corpi primi,
840Onde con moto assiduo il mare immenso
Si rinova da i fonti, i quai sossopra
Volgono i fiumi: ha, donde nasce il foco,
Perchè acceso in più luoghi il suol terrestre
Arde; ma più d’ogni altro è furibondo
845L’incendio d’Etna: ha poi, donde le biade,
E i lieti arbusti erga per l’uomo, e donde
Porga alle fiere per le selve erranti
E le tenere frondi, e i grassi paschi;
Ond’ella sol fu degli Dei gran Madre
850Detta, e madre de’ bruti, e genitrice
De’ nostri corpi; e ne cantaro a prova
Degli antichi Poeti i più sovrani,
Ch’Argo ne desse; e finser, che sublime
Sovra un carro a seder sempre agitasse
855Due Leon domi, ed accoppiati al giogo;
Affermando oltre a ciò, che pende in aria
La gran macchina sua, nè può la terra
Fermarsi in terra: aggiunsero i Leoni
Sol per mostrar, ch’ogni più crudo germe
860Dee, la natìa sua ferita deposta,
Rendersi a’ Genitori obbediente,
Vinto da’ loro officj: al fin le ornaro
La sacra testa di mural corona,
Perch’ella regge le Città munite
865Di luogh’illustri. Or di sì fatta insegna
Cinta per le gran Terre orrevolmente
Si porta ognor della divina Madre
L’Immagin santa. Ella da genti varie
Per antico costume è nominata
870Ne’ sacrifizj la gran Madre Idea:
Le aggiungon poscia le Trojane turbe
Per sue fide seguaci; essendo fama,
Che pria da’ que’ confini incominciasse
A generarsi, a propagarsi il grano:
875Le danno i Galli, per mostrar, che quelli,
Ch’avranno offeso di lor Madre il Nume,
O fieno ingrati a’ Genitor, non sono
Degni d’esporre a’ dolci rai del giorno
Delle viscere lor prole vivente:
880Dalle palme percossi in suon terribile
Tuonan timpani tesi, e cavi cembali,
E con rauco cantar corni minacciano,
E la concava tibia in frigio numero
Tuona, e le menti altrui risveglia, e stimola;
885E le portano innanzi orrendi fulmini
In segno di furore, acciò bastevoli
Siano a frenar con la paura gli animi
Ingrati della plebe, e i petti perfidi,
Di cotal Dea la maestà mostrando,
890Or tosto ch’ella entro le gran Cittadi
Vien portata, di tacita salute
Muta arricchisce gli uomini mortali:
Lastricando il sentier d’argento, e rame,
Dan larghe offerte, e navigando un nembo
895Di rose, fanno alla gran Madre, ed anco
De’ seguaci alle Turbe ombra cortese.
Qui di Frigj Coreti armata squadra
(Sì li chiamano i Greci) insieme a sorte
Suonan catene, ed a tal suon concordi
900Movon saltando i passi ebri di sangue;
E percotendo, con divina forza
De’ lor elmi i terribili cimieri.
Rappresentan di Creta i Coribanti,
Che sincome la fama al Mondo suona,
905Già di Giove il vagito ivi celaro,
Allorchè intorno ad un fanciullo armato
Menar gli alti fanciulli in cerchio un ballo
Co’ bronzi a tempo percotendo i bronzi,
Acciò dal proprio genitor sentito
910Divorato non fosse, e trafiggesse
Con piaga eterna della Madre il petto.
Quindi accompagnan la gran Madre armati,
O fosse per mostrar, ch’ella ne avverte
A difender co ’l senno, e con la spada
915La patria terra, ed a portar mai sempre
E decoro, e presidio a i Genitori.
Tutte le quali cose, ancorchè dette
Con ordin vago a meraviglia, e bello,
Son però false senza dubbio alcuno;
920Che d’uopo è pur, che in somma eterna pace
Vivan gli Dei per lor natura, e lungi
Sian dal governo delle cose umane,
Scevri d’ogni dolor, d’ogni periglio,
Ricchi sol di se stessi, e di lor fuori
925Di nulla bisognosi, e che nè merto
Nostro gli alletti, o colpa accenda ad ira.
Ma la terra di senso in ogni tempo
Manca senz’alcun dubbio; e perchè tiene
Di molte cose entro il suo grembo i semi,
930Molti ancor ne produce in molti modi.
Qui se alcun vuol chiamar Nettuno il mare,
Cerere il grano, ed abusar più tosto
Di Bacco il nome, che la propria voce
Pronunziar del più salubre umore,
935Concediamogli pur, ch’egli a sua voglia
Dica gran madre degli Dei la Terra;
Purchè ciò sia veracemente falso.
Sovente adunque ancor che pascan l’erba
D’un prato stesso sotto un cielo stesso
94OE pecore lanose, e di cavalli
Prole guerriera, ed aratori armenti,
E bevan l’acqua d’un medesmo fiume.
Vivon però sotto diversa specie,
E de’ lor genitori in se ritengono
945Generalmente la natura, e sanno
Imitarne i costumi. Or tanto varj
I corpi son della materia prima
In ogni specie d’erba, in ogni fiume;
Anzi oltre a questo ogni animal si forma
95ODi tutte queste cose umido sangue,
Ossa, vene, calor, viscere, e nervi,
Le quai son pur fra lor diverse, e nate
Da principj difformi: e similmente
Ciò ch’arde il foco, se null’altro, almeno
955Sol di se stesso somministra i corpi,
Che vibrar il calor, sparger la luce,
Agitar le scintille, e largarnente
Possono intorno seminar le ceneri.
E se tu con la mente in simil guisa
960L’altre cose contempli ad una ad una;
Senz’alcun dubbio troverai, che tutte
Celan nel proprio corpo, e v’han ristretti
Molti semi diversi, e varie forme.
Al fin tu vedi in molte cose unito
965Con l’odore il sapor: dunque è pur d’uopo,
Che queste abbian dissimili figure;
Poichè l’odor penetra in quelle membra,
Ove non entra il succo; e similmente
Penetra i sensi separato il succo
970Dal sapor delle cose, onde s’apprenda,
Ch’ei le prime figure ha differenti.
Dunque forme difformi in un sol gruppo
Certamente s’uniscono, e si forma
Di misto seme il tutto: anzi tu stesso
975Puoi sovente veder ne’ versi nostri;
Esser comuni a molte voci, e molte
Molti elementi; e non per tanto è d’uopo
Dir, che d’altri elementi altre parole
Sian pur composte: non perchè comuni
980Si trovin poche lettere, e non possano
Formarsi mai delle medesme appunto
Due voci varie; ma perchè non tutte
Hann’ogni cosa in ogni parte eguale.
Or similmente all’altre cose accade,
985Che sebben molte hanno comuni i semi;
Possono ancor di molto vario gruppo
Formarsi al certo; onde a ragion si dica,
Che d’atomi diversi ognor si creino
Gli uomini, gli animai, l’erbe, e le piante.
990Nè creder dei, che non per tanto unirsi
Possan tutti i principj in tutti i modi;
Perchè nascer vedresti in ogni parte
Ognor novi portenti: umane forme
Miste a forme di fiere; e rami altissimi
995Spuntar tal volta da vivente corpo;
E molte membra d’animai terrestri
Con quelle degli acquatici congiungersi;
E le Chimere, con l’orribil bocca
Fiamma spirando, partorire al mondo
1000Il tutto, e pascer la natura appieno
Del che nulla esser vero, aperto appare;
Mentre veggiam da genitrice certa
Nascer tutte le cose, e crescer poi
Da certi semi, e conservar la specie.
1005E d’uopo è pur, che tutto questo accaggia
Per non dubbia ragion; poichè a ciascuno
Scendon da tutti i cibi entro alle membra
I proprj corpi, onde congiunti fanno
Convenevoli moti; ed all’incontro
1010Veggiam gli altrui dalla natura in terra
Ributtarsi ben tosto; e molti ancora
Fuggon cacciati da percosse occulte
Per meati insensibili del corpo,
I quai nè unirsi ad alcun membro, o quivi
1015Produr moti vitali, ed animarsi
Non poteron giammai. Ma perchè forse
Tu non credessi a queste leggi astretti
Solo i viventi, una ragione stessa
Decide il tutto: che siccome in tutta
1020L’essenza lor le generate cose
Son tra lor varie; in cotal guisa appunto
Forz’è, che di dissimili figure
Abbiano i semi lor, non perchè molte
Sian di forma fra lor poco simili;
1025Ma sol perchè non tutte in ogni parte
Hanno eguale ogni cosa: o varj essendo
I semi, è di mestier, che differenti
Sian le percosse, l’unioni, i pesi,
I concorsi, le vie, gli spazj, i moti;
1030I quai non pur degli animali i corpi
Disgiungon, ma la terra, e ’l mar profondo,
E ’l Cielo immenso dal terrestre Globo.
Or porgi in oltre a questi versi orecchio
Da me con soavissima fatica
1035Composti, acciò tu non pensassi, o Memmio,
Che nate sian da candidi principj
Le bianche cose, o che di nero seme
Si producan le nere; o pur che quelle,
Che son gialle, e vermiglie, azzurre, o perse,
1040O rancie, o di qualunque altro colore,
Sol tali sian, perchè il color medesmo
Della prima materia abbiano i corpi;
Posciachè i primi semi affatto privi
Son di tutti i colori; e non può dirsi,
1045Che in ciò le cose a lor principj sieno
Simili, nè dissimili: e se forse
Paresse a te, che l’animo non possa
Veder corpi cotali, erri per certo
Lungi dal ver; poichè se i ciechi nati,
1050Che mai del Sol non rimirar la luce,
Conoscon pur sol con toccare i corpi,
Benchè sin da fanciulli alcun colore
Non abbian visto, è da saper, che ponno
Anco le nostre menti aver notizia
1055De’ corpi affatto d’ogni liscio privi.
Al fin ciò che da noi nel bujo oscuro
Si tocca, al senso dimostrar non puote
Colore alcuno. Or perchè io già convinco,
Che ciò succede, io vo’ mostrarlo adesso.
1060Posciachè ogni color del tutto in tutti
Si cangia, il che per certo a patto alcuno
Far mai non ponno i genitali corpi,
Che forza è pur, che invariabil resti
Di chi muor qualche parte, acciò le cose
1065Non tornin tutte finalmente al nulla;
Poichè qualunque corpo il termin passa
Da natura prescritto all’esser suo,
Questo è sua morte, e non è più quel desso:
Per la qual cosa attribuir non devi
1070Colore a i semi, acciò per se non torni
Il tutto in tutto finalmente al nulla.
Se in oltre i primi corpi alcun colore
Non hanno, hanno però forme diverse
Atte a produrli, e variarli tutti;
1075Poichè senz’alcun dubbio importa molto,
Con quai sian misti tutti i semi, e come
Posti, e quai dian fra lor moti, e ricevano;
Acciò tu possa agevolmente addurre
Pronte ragioni: ond’è, che molti corpi,
1080Che poc’anzi eran neri, in un momento
Di marmoreo candor se stessi adornino;
Come il mar, se talvolta irato, il turba
Vento, che spiri dall’arene Maure,
Cangia in bianco alabastro i suoi zaffiri.
1085Posciachè dir potrai, che spesso il nero
Tosto che internamente agita, e mesce
La sua prima materia, e varia alquanto
L’ordine de’ principj, e ch’altri aggiunti
Corpi gli sono, altri da lui sottratti,
1090Puote a gli occhi apparir candido, e bianco.
Che se dell’Ocean l’onde tranquille
Fosser composte di cerulei semi,
Non potrebber giammai cangiarsi in bianche:
Poichè comunque si commova un corpo
1095Di ceruleo color, non puote al certo
Di candidezza alabastrina ornarsi.
Che se dipinti di color diverso
Fossero i semi, onde si forma un solo
Puro, e chiaro nitor nel sen di Teti;
1100Come sovente di diverse forme
Fassi un solo quadrato, era pur d’uopo,
Che siccome da noi veggonsi in questo
Forme difformi, anco del mar tranquillo
Si vedesser nell’onde, ed in qualunque.
1105Altro puro nitor varj colori.
Le figure oltre a ciò, benchè diverse,
Non ponno ostar, che per di fuori il tutto
Quadro non sia; ma posson bene i varj
Colori delle cose oprar, che nulla
1110D’un sol chiaro nitor s’orni e risplenda;
Senzachè ogni ragion, che induce altrui
Ad assegnare alla materia prima
Differenti colori, è vana affatto.
Poichè di bianchi semi i bianchi corpi
1115Non si vedon crear, nè men di neri
I neri; ma di varj, e differenti.
Conciossiach’è più facile a capirsi,
E più agevole a farsi, che da seme
Privo d’ogni color nascan le cose
1120Candide, che da nero, o da qualunque
Altro, che incontro lor combatta ed osti.
Perchè in oltre i colori esser non ponno
Senza luce, e la luce unqua non mostra
La materia svelata a gli occhi nostri;
1125Quindi lice imparar, che i primi semi
Non son velati da nessun colore.
E qual colore esser potrà giammai
Nelle tenebre cieche, il qual si cangi
Nel lume stesso, se percosso splende
1130Con retta luce, o con obliqua, o mista?
Così piuma, che il collo, o la cervice
Di vezzosa colomba orni, e coroni,
Or d’acceso rubin fiammeggia, ed ora
Fra cerulei smeraldi i verdi mesce;
1135E così di pavone occhiuta coda,
Qualor pomposo ei si vagheggia al Sole,
Cangiando va mille colori anch’ella,
I quai, posciachè pur son generati
Solo allor che la luce urta ne’ corpi,
1140Non dei stimar, che senza questo possa
Ciò farsi, e perchè l’occhio in se riceve
Una tal sorta di percosse allora
Ch’ei vede il bianco, e senza dubbio un’altra
Da quella assai diversa, allorch’ei mira
1145Il nero, e qualsivoglia altro colore.
Nè quale abbian color punto rileva
I corpi, che si toccano; ma solo
Qual più atta figura: onde ne lice
Saper, che nulla han di mestieri i semi
1150D’alcun colore, e che producon solo
Con varie forme toccamenti varj.
Perchè incerta, oltre a questo, è del colore
L’essenza, e pende da figure incerte,
E tutte posson de’ principj primi
1155In qualunque chiarezza esser le forme,
Ond’è, che ciò che d’esse è poi formato,
Anch’ei non è nel modo stesso asperso
D’ogni sorte color? poichè sovente
Esser potrà, ch’anco i volanti corvi
1160Vantin con bianche penne il color bianco;
E di nera materia i cigni neri
Sian fatti, o di qualunque altro colore,
O puro e schietto, o fra se vario, e misto.
Anzichè quanto in più minute parti
1165Si stritolan le cose, allor succede,
Che tu meglio veder possa i colori
Svanire appoco appoco, ed annullarsi:
Qual se in piccioli pezzi o l’oro, o l’ostro
Si frange, e il sovra ogni altro illustre, e chiaro
1170Color cartaginese a filo a filo
Si straccia, e tutto si disperde in nulla;
Onde tu possa argumentar, che prima
Spiran le parti sue tutto il colore,
Che scendan delle cose a i primi semi.
1175Perchè al fin non concedi, che ogni corpo
Mandi alle nari odor, voce all’orecchie,
Quindi avvien poi, che non assegni a tutti
Odori, e suono. Or in tal guisa appunto,
Perchè non tutte puoi veder co’ gli occhi
1180Le cose, è da saper, che sono alcune
Tanto d’ogni color spogliate affatto,
Quanto alcune di suon prive, e d’odore;
E che non men può l’animo sagace
Intender ciò, ch’ei l’altre cose intende
1185Prive d’altri accidenti, e note a’ sensi.
Ma perchè forse tu non creda ignudi
Sol di colore i primi semi, avverti,
Che son disgiunti dal colore in tutto,
E dal freddo, e dal tiepido vapore;
1190E sterili di suon, magri di succo
Corron per lo gran Vano, e non esalano
Dalla propria sostanza odore alcuno;
Come suole esalarne alle narici
Il soave liquor dell’Amaraco,
1195Della Mirra l’unguento, è il fior del Nardo.
Che se di questo esperienza brami,
Pria convienti cercar ciò che ti lice;
E ben puoi ritrovar l’interna essenza
Dell’oglio inodorifero, che alcuna
1200Alle nostre narici aura non manda;
Acciò mischiando, e digerendo in esso
Molti odori diversi, egli non possa
Rendergli poi del suo veleno infetti.
Per questo in somma i genitali corpi
1205Nel generar le cose il proprio odore
Lor compartir non denno, o il proprio suono,
Perchè nulla da lor puote esalare.
Nè il sapor finalmente, o il freddo, o il caldo
Per la stessa ragion, nè similmente
1210Il tiepido vapor, nè gli altri corpi,
Che son mortali, e per ciò tutti a questa
Legge soggetti, che di molle i teneri,
Di rozza gli aspri, e i porosi in somma
Sian di rara sostanza, è d’uopo al certo,
1215Che tutti sian da’ lor principj primi
Diversi; se pur brami ad ogni cosa
Assegnar fondamenti incorruttibili,
Ove possa appoggiarsi ogni salute;
Acciò per se tutte le cose al fine
1220Non sian costrette a dissiparsi in nulla.
Or ciò che senti, nondimeno è d’uopo
Che di semi insensibili formato
Si confessi da te; nè pugna il senso
Contro questo, ch’io dico: anzi egli stesso
1225Quasi per mano ad affermar ne guida;
Che vero è pur, che gli animai non ponno,
Se non che d’insensibili principj
Nascer giammai; poichè veder ne lice
Sorger dal tetro sterco i vermi vivi,
1230Allorchè per tempeste intempestive
Umido il suolo imputridisce; ed anco
Tutte le cose trasmutar se stesse:
Si trasmutan le frondi, i paschi, i fiumi
In gregge, il gregge si trasmuta anch’egli
1235In uomini, e degli uomini sovente,
Dell’indomite fiere, e de’ pennuti
Cresce il corpo, e la forza: adunque i cibi
Tutti per lor natura in vivi corpi
Si cangiano, e di qui nasce ogni senso
1240Degli animai, quasi nel modo stesso,
Che spiega il foco un secco legno in fiamma,
E ciò che tocca in cenere rivolta.
Vedi tu dunque omai, di qual momento
Sia l’ordine de’ semi, e la mistura,
1245E i moti, che fra lor danno, e ricevono
In oltre ancor, che cosa esser può quella,
Che percote dell’Uom l’animo, e il move,
E lo sforza a produr sensi diversi;
Se pur non credi i sensitivi corpi
1250Di materia insensibile formarsi?
Certamente la terra, i legni, i sassi,
Ancorchè sian in un confusi, e misti,
Non producon però senso vitale.
Fia dicevole dunque il rammentarsi
1255Di questa lega de’ principj primi;
Cioè che non di tutti in tutto a un tratto
Fassi ’l corpo sensibile, ed il senso;
Ma che molto rileva in primo luogo
Quanto piccoli sian, qual abbian forma,
1260Ordini, moti, e positure al fine
Gli atomi, che crear denno il sensibile;
Delle quai cose tutte alcun non vede
Nulla ne’ rotti legni, e nell’infranto
Terreno: e pur se queste cose sono,
1265Quasi per pioggia putrefatte, e guaste,
Generan vermi; perchè mossi essendo
Della materia i corpi dall’antico
Ordine lor per l’accidente novo,
S’uniscon poscia in tal maniera insieme,
1270Che d’uopo è pur, che gli animai si formino.
In somma allor che di sensibil seme
Dicon crearsi il sensitivo, in vero
Dall’altre cose a giudicare avvezzi
Fanno allor molle la materia prima,
1275Perchè ogni senso è certamente unito
Alle viscere, a i nervi, ed alle vene,
Che pur son molli, e di mortal sostanza
Tutte create. Ma sia vero omai,
Che possan queste cose eternamente
1280Restare in vita; non pertanto è forza,
Ch’elle abbian pure, come parti, il senso,
O sian simili a gli animali interi.
Ma non san per se stesse esser le parti,
Non che sentir; nè può la mano, od altra
1285Parte del corpo esser da lui divisa,
E per se stessa conservare il senso;
Poichè tosto ogni senso ella rifiuta
Dell’altre membra: onde riman, che solo
A gl’interi animali abbian simile
1290L’essenza, acciò che d’ogn’intorno possano
Sentir con vital senso. Or come adunque
Potran chiamarsi genitali corpi,
E la morte fuggir, mentre pur sono
Animali ancor essi, e co’ mortali
1295Viventi una sol cosa: il che se pure
Esser potesse, non farian giammai
Dall’union divisi altro che un volgo,
Ed una turba d’animai nel mondo;
Come certo non ponno alcuna cosa
1300Gli uomini generar, le fiere, i greggi,
Quando uniti fra lor piglian sollazzo
Venereo, altro che fiere, uomini, e greggi.
Che se forse del corpo il proprio senso
Perdendo, altro ne acquistano, a che fine
1305Dessi loro assegnar ciò ch’è lor tolto?
In oltre ancora, il che scansammo avanti,
Perchè veggiam, che de’ crestati augelli
Si cangian l’ova in animati polli,
E di piccioli vermi il suol ribolle,
1310Allorchè per tempeste intempestive
Divien putrido, e marcio, indi ne lice
Saper, che fassi di non senso il senso.
Ma se forse dirai crearsi i sensi
Sol da non senso, purchè pria che nasca,
1315Abbia di moto un tal principio il parto,
Sol basterà, ch’io ti dimostri aperto,
Che mai senza union de’ corpi primi
Non si genera il parto, e non si muta
Nulla senza lor gruppo innanzi fatto.
1320Poichè per certo la materia è sparta
Pe’ fiumi, in aria, in terra, e nelle cose
Già di terra create, e non s’accozza
In convenevol modo, onde comparta
Fra se moto vital, per cui s’accenda
1325Senso, che guardi ’l tutto, e gli animali
Difender possa de’ contrarj insulti.
In oltre ogni animal, se più gran colpo,
Che la natura sua soffrir non puote,
Il fere, in un momento anco l’atterra,
1330E s’avaccia a turbar tutti, e scomporre
E del corpo, e dell’alma i sentimenti;
Poichè si sciolgon de’ principj primi
Le positure, ed impediti affatto
Sono i moti vitali, infino a tanto
1335Che squassata, e scomposta ogni materia
Per ogni membro il vital nodo scioglie
Dell’anima dal corpo, e fuor dispersa
D’ogni proprio ricetto al fin la scaccia.
Poichè qual altra cosa oprar può mai
1340Negli animali un violento colpo,
Se non crollargli, e dissipargli in tutto?
Succede ancor, che per minor percossa
Pon del moto vital gli ultimi avanzi
Vincer sovente; vincere, e del colpo
1345Acquietare i grandissimi tumulti,
E di novo chiamar ne’ proprj alberghi
Ciò che partissi, e nell’afflitto corpo
Moti produr signoreggianti omai
Di morte, e dentro rivocarvi i sensi
1350Quasi smarriti: che per qual cagione
Posson più tosto ripigliar vigore,
E dallo stesso limitar di morte
Tornare in vita, che partirsi, ed ire
Là dove già quasi è finito il corso?
1355Perchè il duolo, oltre a questo, allor si genera,
Che per le membra, e per le vive viscere
Da qualche violenza i primi corpi
Vengono stimolati, e nelle proprie
Lor sedi interamente si conturbano;
1360Ma quando poscia alla lor propria stanza
Tornano, il lusinghevole piacere
Tosto si crea, quindi saper ne lice,
Che mai non posson da dolore alcuno
Essere afflitti i genitali corpi,
1365Nè pigliar per se stessi alcun diletto.
Conciossiachè non son d’altri principj
Fatti, per lo cui moto aver travaglio
Debbano, o pur qualche soave frutto
Di dolcezza gustar. Non ponno adunque
1370Esser dotati d’alcun senso i semi.
Se in somma, acciocchè senta ogni animale,
Senso a’ principj suoi deve assegnarsi,
Dimmi, che ne avverrà? fia d’uopo al certo,
Che i semi, onde si crea l’umano germe,
1375Si sganascin di risa, e di stillanti
Lagrime amare ambe le gote aspergano;
E ne sappian ridir, come sian miste,
Le cose, e possan domandar l’un l’altro
Le qualità de’ lor principj, e l’essere.
1380Posciachè essendo assomigliati a tutti
I corpi corruttibili, dovranno
D’altri Elementi esser formati anch’essi,
E quindi d’altri in infinito gli altri;
E converrà, che ciò che ride, o parla,
1385O sa, creato sia d’altri principj,
Che ridan essi ancor, parlino, e sappiano,
Che se tai cose esser delire, e pazze
Ognun confessa, e rider puote al certo
Chi fatto è pur di non ridenti semi;
1390Ed esser saggio, e nel parlar facondo
Chi nato è pur di non facondi, e saggi,
Dimmi, per qual cagion ciocchè si mira
Aver senso vital, non può formarsi
D’atomi affatto d’ogni senso ignudi?
1395Al fin ciascuno ha da celeste seme
L’origine primiera: a tutti è padre
Quello stesso; onde allor che se riceve
L’alma gran Madre Terra il molle umore
Della pioggia cadente, i lieti arbusti
1400Gravida figlia, il gran, le biade, e gli uomini,
Ed ogni specie d’animai silvestri,
Mentr’ella a tutti somministra i paschi,
Onde nutrirsi, onde menar tranquilla
Possan la vita, e propagar la prole,
1405Onde a ragione ebbe di madre il nome.
Similmente ritorna indietro in terra
Ciocchè di terra fu creato innanzi;
E quel, che fu dalle celesti, e belle
Regioni superne in giù mandato,
1410Di nuovo anch’egli riportato in Cielo
Trova ne’ templi suoi dolce ricetto:
Nè sì la morte uccider può le cose,
Che le annichili affatto. Ella discioglie
Solo il gruppo de’ semi, e quindi un altro
1415D’altri poi ne congiunge, e fa, che tutte
Cangio forma le cose, e acquistin senso
Tal volta, ed anco in un sol punto il perdano:
Onde apprender si può, che molto importa,
Come sian misti i primi semi, e posti,
1420E quai moti fra lor diano, e ricevano;
Poichè forman gl’istessi il Cielo, il Sole;
Gl’istessi ancor la terra, i fiumi, il mare,
Gli uomini, gli animai; l’erbe, e le piante;
E se non tutti, una gran parte almeno
1425Son tai corpi tra lor molto simili,
E solo han vario, e differente il sito:
Tal se dentro alle cose in varie guise
Cangiansi de’ principj i colpi, i pesi,
I concorsi, le vie, gli spazj, i gruppi,
1430Gli ordini, i moti, e le figure, i siti,
Debbon le cose variarsi anch’elle,
Or mentre il vero io ti ragiono, o Memmio,
Sta con l’animo attento a’ detti nostri;
Perchè novi concetti entro all’orecchie
1435Tentan di penetrarti, e nuove forme
Di cose a gli occhi tuoi se stesse svelano,
Ma nulla è di sì facile credenza,
Che di molto difficile non paja
Al primo tratto; e similmente nulla
1440Per sì grande e mirabile s’addita
Mai da principio, che volgare e vile
Appoco appoco non diventi anch’egli:
Come il chiaro, e purissimo colore
Del Cielo, e quel, che le vaganti e fisse
1445Stelle in se stesse d’ogn’intorno accolgono,
E della Luna or mezza, or piena, or scema
L’argenteo lume, e i vivi rai del Sole.
Che s’or primieramente all’improvviso
Rifulgessero a noi quasi ad un tratto
1450Post’innanzi a’ nostr’occhi, e qual potrebbe
Cosa mai più mirabile chiamarsi
Di queste? o che giammai la gente innanzi
Men di credere osasse? A quel, ch’io stimo,
A nessun, più che a te, parsa sarebbe
1455Degna di maraviglia una tal vista.
E pur già sazio, non che stanco, ognuno
Del soverchio mirar, non degna a i templi
Risplendenti del Cielo alzar più gli occhi.
Onde non voler tu, solo atterrito
1460Dalla sua novità, la mia ragione
Correr veloce a disprezzar; ma prendi
Con più fino giudizio a ponderarla;
E se vera ti par, consenti, e taci:
Se no, t’accingi a disputarle incontro,
1465Poichè sol di ragion l’animo è pago.
Essendo fuor di questo nostro mondo
Spazio infinito, l’animo ricerca
Ciò ch’egli sia, fin dove può la mente
Penetrare a veder; dove lo stesso
1470Animo può spiegar libero il volo.
Pria, se ben ti rammenta, in ogni parte,
A destra, ed a sinistra, e sotto, e sopra
Per tutto è sparso un infinito spazio,
Com’io già t’insegnai, come vocifera
1475Per se medesmo il fatto; e del profondo
A ciascun la natura è manifesta.
Dunque pensar già non si dee, ch’essendo
Sparso a noi d’ogn’intorno un infinito
Spazio, nel quale in mille guise, e mille
1480Numero innumerabile di semi
Profondi immensamente, irrequieti
Volan mai sempre, ed a crear bastanti
Fur questa terra, e questo Ciel, che miri,
Nulla fuori di lui faccian quei tanti
1485Principj; essendo massime anche questo
Fatto dalla Natura; e delle cose
Gl’istessi semi in molti modi a caso
Urtandosi l’un l’altro indarno uniti
Avendo pur fatto quei gruppi al fine,
1490Che repentinamente in varie parti
Lanciati, fosser poi sempre principj
E di terra, e di mar, di cieli, e stelle,
D’uomini, d’animai, di piante, e d’erbe.
Onde voglia, o non voglia, è pur mestiero,
1495Che tu confessi esser da noi lontani
Molti altri gruppi di materia prima;
Quale appunto stim’io questo, che stringe
L’Etere con tenace abbracciamento.
In oltre allor che la materia è pronta,
1500Il luogo apparecchiato, e nulla manca,
Debbon le cose generarsi al certo.
Or se dunque de’ semi è tanto grande
La copia, quanto a numerar bastevole
Non è degli animai l’etade intera,
1505E la forza medesma, e la natura
Ritengono i principj atta a lanciarli
In tutti i luoghi nell’istessa guisa
Che fur lanciati; in questo egli è pur d’uopo
Confessar, ch’altre terre in altre parti
1510Trovinsi, ch’altre genti, ed altra specie
D’uomini, e d’animai vivano in esse.
S’arroge a ciò, che non è cosa al Mondo,
Che si generi sola, e sola cresca;
Il che principalmente in ogni specie
1515D’animai può veder chiunque volge
La mente a contemplarle ad una ad una.
Posciachè sempre troverà, che molti
Son simili tra loro, e d’una razza.
Così veder potrai, che son le fere
1520Che van pe’ i monti, e per le selve errando:
Così l’umana, prole; e finalmente
Così de’ pesci gli squamosi greggi,
E tutt’i corpi de’ rostrati augelli.
Ond’è pur forza confessar, che il Cielo,
1525Per la stessa ragion, la terra, il Sole,
La Luna, il mare, e tutte l’altre cose
Non sian nell’universo uniche e sole;
Ma piuttosto di numero infinito.
Poichè tanto altamente è della vita
1530Il termine prefisso a queste cose,
E tanto han queste naturale il corpo,
Quante ogni altra sostanza, ond’esse abbondano
Generalmente; il che, se bene intendi,
Tosto libera e sciolta, e di superbi
1535Tiranni priva, e senza Dei parratti
La natura per se creare il tutto.
Conciossiachè, sia detto pur con pace
De’ sommi Dei, che placida, e tranquilla
Vivon sempre un’età chiara, e serena,
1540Chi dell’Immenso regger può la Somma?
Chi del Profondo moderare il freno?
Chi dare il moto ad ogni Cielo, e tutte
Di fuochi eterei riscaldar le terre,
E pronto in ogni tempo, in ogni luogo
1545Trovarsi? ond’egli tenebrosi renda
D’atre nuvole i giorni, e le serene
Regioni del Ciel con tuono orrendo
Squassi, e vibri talor fulmini ardenti,
E spesso atterri i proprj templi, e spesso
1550Contro i deserti incrudelisca, ed opri
Irato il telo, onde sovente illesi
Restano gli empj, è gl’innocenti oppressi?
In somma allor che fu creato il mondo,
Il mar, la terra, e generato il Sole,
1555Gli furo esternamente intorno aggiunti
Molti altri primi corpi ivi lanciati
Dal tutto immenso; onde la terra, e ’l mare
Crescer potesse, ed adattar lo spazio
Il gran tempio del cielo, e gli alti tetti
1560Erger lungi da terra, e nascer l’aria.
Posciachè tutti i corpi a’ proprj luoghi
Concorron d’ogni banda, e si ritira
Ciascuno alla sua specie: all’acqua l’acqua,
Alla terra la terra, al foco il foco,
1565Il Cielo al Ciel, finchè all’estremo termine
Di sua perfezion giunga ogni cosa:
Ciò Natura operando, appunto come
Suole allora accader, che nulla omai
Più di quel, che spirando ognor se n’esce,
1570Nelle vene vitali entrar non puote.
Che debbe pur di queste cose allora
L’età fermarsi, e con le proprie forze
La natura frenarne ogni augumento:
Poichè ciò che si mira appoco appoco
1575Farsi più grande, e dell’adulta etade
Tutt’i gradi salir, più corpi al certo
Piglia per se, che fuor di se non caccia;
Mentre che per le vene agevolmente
Può tutto il cibo dispensarsi, ed esse
1580Non son diffuse in guisa tal che molto
Ne rimandino indietro, e sia maggiore
Dell’acquisto la perdita. Che certo
Forza è pur confessar, che dalle cose
Spirin corpi, e si partano; ma denno
1585Correrv’in maggior copia, infino a tanto
Ch’elle possan toccar l’ultima, meta
Del crescer loro; indi la forza adulta
Si snerva appocco appoco, e sempre in peggio
L’età declina; conciossiachè quanto
1590Una cosa è più grande, ella per certo,
Toltone l’augumento, ognor discaccia
Da se tanti più corpi; e per le vene
Sparger non puossi in sì gran copia il cibo,
Che quanto è d’uopo somministri al corpo
1595E ciò, che ad or ad or langue, e vien meno,
Sia per natura a rinovar bastante.
Dunque a ragion ciascuna cosa in tutto
Perisce, allor che rarefatta scorre,
E che soggiace alle percosse esterne;
1600Poichè per lunga etade il cibo, al fine
Manca senz’alcun dubbio, e mai non cessano
Di martellar, di tormentar le cose
Esternamente i lor nemici corpi,
Finchè non l’hanno dissipate affatto.
1605Così della gran macchina del mondo
Le mura eccelse al fin crollate e scosse
Cadranno un giorno imputridite e marcie,
Posciachè il cibo dee rinovellando
Reintegrar tutte le cose indarno;
1610Perchè nè sopportar posson le vene
Ciocchè d’uopo saria, nè la natura
Ciocchè d’uopo saria somministrare.
E già manca l’etade, e già la terra
Quasi del tutto isterilita appena
1615Genera alcuni piccioli animali:
Ella, che un tempo generar poteo
Tutte le specie, e smisurati corpi
Dare alle fiere; poichè le mortali
Specie, così cred’io, dal Ciel superno
1620Per qualche fune d’or calate al certo
Non furo in terra, e ’l mar, le fonti, e i fiumi
Non si crear da lagrimanti sassi;
Ma quel terren, che gli nutrica e pasce
Or di se stesso, di se stesso ancora
1625Generogli a principio. Egli a’ Mortali
Fu bastante a produrre il grano, e l’uva:
Egli i frutti soavi, egli i fecondi
Paschi ne diè, che in questa etade appena
Con fatiche, e travagli aver si ponno.
1630E benchè noi degli aratori armenti
Snerviam le forze, e le robuste braccia
Affatichiam de’ contadini industri,
E ferree zappe, e vomeri, e bipenti
Logoriam per la terra, ella ne porge
1635Appena i cibi necessarj al vitto:
Talmente il suolo appoco appoco scema
Di frutto, e sempre le fatiche accresce;
E già l’afflitto agricoltor sospira
D’aver più volte consumati indarno
1640I suoi gravi travagli; e quando insieme
I secoli trascorsi all’età nostra
Piglia a paragonar, loda sovente
Le fortune del padre, e s’ange, e duole;
Che gli uomini primieri agevolmente
1645Fra gli angusti confini, allorchè molto
La misura de’ campi era minore,
Vissero la lor vita; e non sovviengli,
Che appoco appoco s’infiacchisce il tutto,
E stanco al fin per le soverchia etade
1650Va di morte allo scoglio, e vi si spezza.