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di Tito Lucrezio Lib. III. 155

     D’esser dotato di natura eterna.
935Fama è, che pria nelle battaglie era uso
     L’oprar carri falcati, e che da questi
     Spesso di mista uccision fumanti
     Sì repente solean l’umane membra
     Tronche restar, che già cadute in terra
     940Tremar parean, benchè divise affatto
     Dal restante del corpo, ancorchè l’animo,
     E dell’uom l’energia nulla sentisse
     Per la prestezza di quel male il duolo,
     Sol perchè tutto allor l’animo intento
     945Era in un con le membra al fiero Marte,
     Alle morti, alle stragi, e di null’altro
     Parea, che gli calesse, e non sapea,
     Che le ruote, e le falci aspre, e rapaci
     Gli avean pe ’l campo strascinata a forza
     950Già con lo scudo la sinistra mano:
     Ne s’accorge talun, mentre in battaglia
     Salta a cavallo, e furioso corre,
     D’aver perso la destra. Un altro tenta
     D’ergersi, ancorchè d’uno stinco affatto
     955Privo, mentre nel suolo il piè morendo
     Divincola le dita, e il capo in terra
     Tronco dal caldo, e vivo busto al volto
     Mostra segni vitali, ed apre gli occhi,
     Finchè dell’alma ogni reliquia esali.
     960Anzi se mentre il minaccevol serpe