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di Tito Lucrezio Lib. II. 109

     1365Nè pigliar per se stessi alcun diletto.
     Conciossiachè non son d’altri principj
     Fatti, per lo cui moto aver travaglio
     Debbano, o pur qualche soave frutto
     Di dolcezza gustar. Non ponno adunque
     1370Esser dotati d’alcun senso i semi.
Se in somma, acciocchè senta ogni animale,
     Senso a’ principj suoi deve assegnarsi,
     Dimmi, che ne avverrà? fia d’uopo al certo,
     Che i semi, onde si crea l’umano germe,
     1375Si sganascin di risa, e di stillanti
     Lagrime amare ambe le gote aspergano;
     E ne sappian ridir, come sian miste,
     Le cose, e possan domandar l’un l’altro
     Le qualità de’ lor principj, e l’essere.
     1380Posciachè essendo assomigliati a tutti
     I corpi corruttibili, dovranno
     D’altri Elementi esser formati anch’essi,
     E quindi d’altri in infinito gli altri;
     E converrà, che ciò che ride, o parla,
     1385O sa, creato sia d’altri principj,
     Che ridan essi ancor, parlino, e sappiano,
     Che se tai cose esser delire, e pazze
     Ognun confessa, e rider puote al certo
     Chi fatto è pur di non ridenti semi;
     1390Ed esser saggio, e nel parlar facondo
     Chi nato è pur di non facondi, e saggi,