Risonar non si sente; ah! che distesi
Non lungi al mormorar d’un picciol rio, 45Che il prato irrighi, i Pastorelli all’ombra
Di selvatiche piante allegri danno
Il dovuto ristoro al proprio corpo:
Massime allor che la stagion novella
Arride, e l’erbe di bei fior cosperge. 50Nè piuttosto giammai l’ardente febbre
Si dilegua da te, se d’oro, e d’ostro,
E d’arazzi superbi orni il tuo letto,
Che se in veste plebea le membra involgi.
Onde poscia che nulla al corpo giova 55Onor, ricchezze, o nobiltade, o regno,
Creder anco si dee, che nulla importi
Il rimanente all’animo; se forse,
Qualor di guerra in simolacro armate
Miri le squadre tue, non fugge allora 60Ogni Religion dalla tua mente
Da tal vista atterrita; e non ti lascia
Il petto allora il rio timor di morte
Libero, e sciolto, d’ogni cura scarco.
Che se tai cose esser veggiam di riso 65Degne, e di scherno, e che i pensier nojosi
Degli uomini seguaci, e le paure
Pallide, e macilenti il suon dell’armi
Temer non sanno, e delle frecce il rombo:
Se fra Regi, e Potenti han sempre albergo