Annali overo Croniche di Trento/Libro XI
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Traduzione dal latino di Agostino Barisella (1648)
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DELLE CRONICHE
DI TRENTO,
DI GIANO PIRRO PINCIO
LIBRO UNDECIMO.
Dedicate all’Illustrissimo Signor Aliprando Clesio.
Occarono anche alli Trentini parte delli incendij rusticali della Germania, sotto la perfetura della Città di Trento, di Christoforo Thunner, e ciò venuto all’orecchie di Bernardo Clesio, Prencipe della sodetta Città, che in quel tempo si ritrovava in Germania, appresso Ferdinando, Arciduca d’Austria, ove con altri Prencipi sosteneva officij Reggij; havendo oltre ciò havuto nova, che vicino al fiume Adice tumultuavano gli Contadini, adunati in buon numero, temendo non s’eccitasse parimente nella sua giurisditione; e Vescovato qualche minacievol seditione, con ogni fretta pensò venir à Trento.
Mentre passava per gli Monti lo insultavano, & sgridavano quelle genti rusticane, caricandolo di milla improperij, lo beffavano, e assieme publicamente maledicevano tutti gli gran Prelati, e Vescovi della Chiesa, non misero però mani alle arme, manco gli fecero alcun nocumento, per la maestà (m’imagino) di quel personaggio. Tumulto de Vilani nel Territorio di Pressanone. Superati gli Monti con grandi difficoltà, & pericoli per le poste, a fine di poter assistere à suoi Cittadini, in pochi giorni giunse à Trento l’anno 1525 il mese d’Aprile.
In questo medemo tempo si sparse fama, che nel Territorio di Pressanone havessero parimente gli Villani congiurato contro gli Prencipi, sin in quei confini era passata la frenesia di quel rusticano convoglio, qual poco avanti in Alemagna erasi tanto incrudelito. Alla voce di cotal tumulto, il restante del popolo, che ne Monti havevano le lor stanze, curiosi di cose nuove, concorscero da lontane parti, & seguirono il furore de Brisinensi Villani.
In breve s’amassò gran numero di villana gente, à danni de buoni, e virtuosi Cittadini, arrabiando di sdegno contro di loro.
Essendo dunque congregati molti di quelli, e havendo fatto consiglio di rovinar, e destrugere le Città, furibondi, è armati, alzate le bandiere, si spinsero avanti, occuparono à forza Castelli, e Rocche, mettendo tutto à sacco, spogliarono le Chiese, rubbarono le cose Sacre, mandando il rimanente à fuoco, e fiama. Il rumore di questo vicino incendio, che dalle Campagne sempre più s’avicinava, commosse quelli di Bolzano, Marano, & altri, che habitano le Ville circonvicine.
Ancor questi d’odio accesi contro le Chiese si collegarono con quelli di Pressanone. D’indi questo morbo contagioso; andò serpendo nelli habitanti i Monti, le Selve, e Campagne, quali con più pendente discesa s’avicinano all’Italia, infetando molti di si velenoso male. Era tanta la pazzia, dalla quale alcuni eran agitati, che ciascuno arrogantemente ribellandosi da proprij Signori, à quali erano suggetti, conspiravano con la maladetta Canaglia, è in questa guisa s’accrescevano giornalmente le lor forze.
E vertiva principalmente la lor rabbia contro gli Ecclesiastici. Questi dunque ammassati da diverse parti in buon numero, furon dal proprio furore, è frenesia portati ne confini di Trento.
Il Prencipe Clesio scorgendo tanti tumulti, e vedendo il grave pericolo, che gli soprastava, prima riparò la Città vacillante, è con dota, ed eloquente oratione confirmò gli animi di ciascuno, poi incontinente, e con gran diligenza fece preparare quanto conosceva necessario per diffesa della Città.
In questi tumulti gionsero à Trento, dirò per Divin voler, non a caso, alcuni Capitani, che dalla guerra di Milano, fatta sotto gli auspicij di Cesare contra Francesi, che in battaglia restarono superati, & il lor Re priggione dell’Imperatore, venivano con pensiero però di continuare il viaggio e passare in Germania, il principale era Giorgio Frunspergo. Giorg. Frunspergo.
Sentendo il Clesio, che in vece di sedarsi, & estinguersi cotali tumultuose seditioni nel Territorio Trentino, più crescevano gli incendij loro, e scorgendo esser necessario un capo esperto, e valoroso per reprimere quella vil turba dalle vituperose, e crudeli uccisioni de buoni Cittadini, e rapine delle Chiese, trattò con Giorgio Frunspergo, soggetto nell’arte militare di non poco grido, che seco prendesse la carica di diffendere la Città, conciosia che in tante commotioni pareva l’havesse à tempo opportuno mandato la providenza Divina, credendolo invitato dall’istesso Cielo à diffesa de Trentini. Lodovico Lodrone. Francesco Castelalto. Quegli in riguardo prima del Clesio, qual grandemente amava, & sopramodo reputava non recusò la carica, s’aggiunse a questo, in tempo, per solevamento delli travagliati animi, Lodovico Conte di Lodrone, e Francesco Castel alto, huomini nella militar disciplina celeberimi, posciache havendo eglino inteso in quanto pericolo si ritrovassero gl’interessi Trentini, senza esser ricercati, andarono dal Vescovo, essibendo le proprie vite per diffesa sua, e della Città.
Gli accolse volontieri il Prencipe, spesandoli sempre del suo, gli lodò della lor prontezza, e virtù d’animo. Mandò in oltre nella Giudicaria per scrivere Soldati; & acciò per negligenza non si tralasciasse cosa veruna, che potesse giovare in materia di sedar tanti tumulti, commandò fossero chiamati gli Capi delle congiure.
Comparvero quelli intrepidamente, l’istesso giorno, & egli con gran piacevolezza, gli richiese perche con tanta temerità havessero havuto ardire prender l’armi contro S. Vigilio, qual eran obligati diffendere da nemici; ma che ciò non ostante havrebbe con la sua clemenza condonata tanta lor malitia mentre havesse veduto pentimento di quella lor insolenza. Ma non potendo quelli sentir il fine del raggionamento del loro Prencipe, esacerbati, e pieni di rusticana arroganza, rotto il silentio proruppero senza verun preludio, ò con poche parole almeno comminciata la loro causa, dissero che non passarebbe molto, che farebbon conoscere à chi li si sij quanto iniquamente sijno tratatti, e aggravati, è sforzati contro ogni raggione far quello, che si tiranicamente gli veniva commandato, mai si sarebbon quietati sino ad esser liberati di tanti aggravij, che tanto volevano conseguire, ò mandare à fuoco, e fiama Città, Castelli, è tutto il paese: parlarono però in guisa, che mostrarono, quanto era possibile in tanta commotione d’animo portar riverenza al Prencipe.
Doppò che hebbero proposto molte lor querelle, protestarono senza simulatione, non esser venuti contro il Vescovo, ma persi gli beni di fortuna, esser stati necessitati ricorrere all’armi, di modo che con torto volto colmi di sdegno e infocati nel parlare, davano ad intendere, che gli lor lamenti erano contra l’iniquità, e tirania de Gentil’huomini, Dottori, Nodari, & gli altri Cittadini come publici, notorij, e crudelli Esatori de poveri Contadini. Ragionamento del Prencipe a i Contadini. Sentì il buon Vescovo con grande suo cordoglio si impertinenti, & arroganti raggionamenti. Giudicò però il sapientissimo Prencipe in tante procellose commotioni, che gli animi della moltitudine maggiormente si sarebbon esacerbati per il castigo di pochi, perilche gli licentiò senza verun castigo con una sola, ma ben aspra e grave riprensione. Ancorche fosse grandemente conturbato dal sdegno di queste maledette commotioni, e poca riverenza di quelli arroganti sollevatori, portava ad ogni modo coteste cose averse per la varia fortuna di quei tempi con tanta costanza d’animo, che non si mutò punto dalla sua gravità.
Sdegnati più che mai gli Contadini, andavano sempre publicamente machinando cose nuove. Imperoche frà l’altre cause, che commossero quelli di Germania, questa principalmente, si dice, che spinse gli Contadini Trentini all’arme.
Cagione del solevamento dei Villani sul Trentino. Volevano, che levati dalli governi gli Vescovi, & altri, che con lungo dominio havevano posseduti Castelli, Terre, Rocche, e Ville, sturbati, e degradati gli Nobili dalla loro dignità, fosse il governo ridotto ad un stato popolare, & quelli, che erano per l’antica, e chiara lor stirpe, ò dalle virtù nobilitati, ò nell’uno, e nell’altro eggregij, fossero ridotti ad un stato privato, e ugualiati alli Villani.
In questo imitarono quelli della Germania, e dotti dal loro esempio, stimavano cosa licita mischiare ogni cosa assieme, le cose Divine, ed humane, confondere l’auttorità spirituale, e temporale. Ma à noi consta havere gli huomini rusticani cominciato à tumultuare nel Territorio Trentino, perche poco avanti contra l’antiche ordinationi, è statuti, scancellato il primo decreto, era stato con gravi pene prohibito, che dal Trentino non si potesse condure Vini nella Germania Superiore. Gli popoli di Bolzano, Marano, Termeno, San Michele, & d’altre Ville, situate alla ripa dell’Adice, tutti in questo interesse gagliardamente in quel tempo erano à Trentini contrarij.
Repugnavano, e contendevano ostinatamente questo essere à loro soli per raggione, & antica consuetudine concesso. Nel qual negotio il Prencipe Clesio favorì non poco gli suoi. Impiegò talmente in quelle contese il suo favore, che ben se gli dichiarò tutto suo, à sua instanza fù annulato il nuovo decreto, con determinatione, che gli Trentini potessero condure, ò mandare liberamente trecento Cari di Vino in Germania. Ma questi se la presero talmente à petto, restarono in tal guisa mal sodisfatti, che non potevano portar in patienza che le lor raggioni, dalla stessa antichità confirmate, fossero dalli Tedeschi tanto ignominiosamente revocate, & destrutte con novi decretti.
Restarono più che mai inviperiti, che gli fosse chiusa la strada, per cui mediante il commercio erano soliti sostentare le lor famiglie, dicevano all’hora essergli levata ogni comodità di potersi mantenere in vita, convenirgli ò miserabilmente morire, ò abbandonate le proprie vigne far di mestieri il cercare & alla moglie, & figlioli altre stanze.
Per queste, ò per altre cause, che sopra dicessimo, irritati gli animi de privati, come se fossero la fecia della terra, poco stimati dalli Alemani, scorgendo la lor propria, & de figlioli disperata salute, abbandonata la cura, e cultura de campi, perturbavano ogni cosa, onde inalzati dalla speranza de più prosperi avenimenti, precipitavano in furori, di Zappe, Badili, & altri rurali instrumenti, fanno corte spade, & altre armi, atte per la guerra, è facendo large scorerie, sempre più infuriavano, havresti creduto essersi scatenati tutti gli Demonij dell’inferno, & usciti dalle caverne dell’abisso, ciascuno si fosse impossessato d’un proprio corpo di quei Villani. Questo si hà chiaro, che tutti minacciavano violenze, e rovine.
Esortation del Vescovo à Cittadini. Crescendo, & ingrassansosi sempre più cotal rustical contaggio, deliberò il Clesio parlar al popolo, e perche la Città, e bipartita, una parte habitata d’Italiani, l’altra da Tedeschi, commandò venissero prima gli Italiani in Castello, poi chiamò gli Thedeschi. Dimostrò prima, che minaciando gli Villani à se, e à tutti gli primati l’esterminio, è rovina era necessario gran coraggio, è valore per diffendere la Chiesa, e Città insieme, che egli mai in qual si voglia pericolo havrebbe abbandonati gli suoi Cittadini, quando anco havesse bisognato espore, e lasciarvi la propria vita, riputando a singolar gloria il morire per l’universal salute, purche anch’essi si portassero fedelmente, Il Vesc. Clesio si parte per Riva. pensava però egli con occasione opportuna trasferirsi à Riva, non come spaventato, ò come che volesse cogliersi in luogo sicuro, ma acciò con maggior comodità, è sicurezza potesse provedere alle cose publiche, e perciò haveva commesso la carica ad huomini saputi quali nell’arte militare non havevano pari, questi in sua absenza gl’havrebbon diffesi, frà tanto s’havessero essi portati conforme il lor debito, & obligo, verso San Vigilio, e conforme il debito richiedeva, nel rimanente stessero di buon animo, che in breve havrebbe liberata la Città da tanti pericoli, è spavento.
Dette queste cose, & confirmati gli animi commanda à Castelalto, qual haveva più volte provato fedele, che facia la scielta ò (come dicono à nostri tempi) le Cernide de Cittadini, che ponga presidij, per ogni parte assicuri la Città con buone guardie armate, che distribuire le sentinelle per le mura, diffendi le Porte, & sopra il tutto stj ben sù l’aviso, che qualche interna conspiratione furtivamente non introducesse l’inimico, havendo datti questi opportuni ordini, che per all’hora parean necessarij, è sufficienti, massime provista la Città de grani, in abbondanza, il buon Prelato, commessa plenaria auttorità a Giorgio Frunspergo, Lodovico Lodrone, Francesco Castel alto, & ad altri Capitani di guerra, assieme con gli suoi Consiglieri, la seguente note andò à Riva, acciò da quella parte parimente non germogliasse qualche materia di guerra, e per aventura altri Contadini, chiamati d’Italia non s’unissero con gli Trentini, & cresciute le forze con maggior insolenza frenesticassero.
Partito il Prencipe, in sua absenza quelli, à cui fù comessa la carica della guerra, andarono in Castello. E primieramente, (il che assai importava,) havutone l’assenso dal Vescovo, procurarono fossero le Reliquie di San Vigilio, Santi martiri, & altre cose pretiose riposte in luogo sicuro. Fù commessa questa carica ad Andrea Reggio, Dottor, è Consigliere.
Frà tanto gli Soldati nella Giudicaria ammassati giunsero, & furon ricevuti nella Città, cento, e cinquanta in circa. Veduti quelli armati, ma all’hora senza guida, à quali constituirono per Capitano Angelo Costeda, che à furia s’accostavano, & sbalzavansi entro le Mura.
Si teme nella Città. Si commosse la Città, non sapendo forse à qual fine fossero venuti, e subito tutti diedero le mani all’arme. Nel qual tempo essendo gli animi populari divisi, & tirati in diverse fationi, ed afflitti, diede la Città miserabile esempio di se stessa.
Seditiosi, e malvagi Cittadini. Non mancavano Cittadini, che desideravano l’esterminio, appoggiati alla fatione rusticana, il che, acciò il tutto più facilmente succedesse, conforme il lor desiderio sollicitarono alcuni dalle Campagne seco alle rapine, quali di nascosto entrati, conspirarono con parte de Cittadini, inescati dalla cupidiggia delle riche e bramate prede, facilmente si scorgeva, che non eran venuti per orare, manco per far offerte, ò sacrificij, ma ben si per rubbare, & fare altre milla impertinenze.
Si ritrovavano chi gli diffendevano, è protegevano, non mancarono chi constantemente dicessero esser espressi nemici, e che come tali dovevano dalla Città esser scacciati. Mentre così il popolo fra se contrastava, travagliato da seditioni, Core rumore, che gli Contadini infiamati all’uccisioni de buoni, presto sarebbon giunti, & havrebbon senza minimo contrasto presa la Città, da civili sollevationi occupata.
Per tutto si temeva, & pareva, che in tanto tumulto non s’havrebbe potuta la Città diffendere dal furioso impeto de Contadini. Mai si sentì tanto spavento frà le Mura di Trento.
Chiamati all’hora gli Cittadini in Castello, ivi consultarono circa gli presenti pericoli, & modi come s’havesse a diffendere la Città. Non dubitavano gli perfetti, che la sdegnata turba sarebbe venuta per occupare la Città, quasta sola impresa gli restava per satiare la loro cupidiggia, non conoscevano altro ostacolo. In questa gran confusione stridendo molti, per paura dell’eccidio, è total rovina del Cittadini, commandarono gli soprastanti, che fosse aquetato quel rumore, è tumulto, e per Angelo Costeda, huomo eggregio e di gran valore, alla cui cura havevano consignate le genti, che dalla Giudicaria nuovamente erano venute, & commessa la publica Custodia, e guardia della Città, operorono acciò scaciasse tutti gli seditiosi da quella. Achetati tutti questi rumori, il Lodrone fece un’oratione al popolo, molto utile al ben publico. Stimando d’haver sedati gli animi, & posta in tranquilità tanti tumulti, poco mancò, che per fraude, e tradimento non si perdese la Città.
Si ritrovarono frà gli Cittadini Trentini di quel tempo molti, che per precipitar se stessi, & perder la Patria, contra il giusto, è raggionevole seguirono gli animi ostinati. Non giova all’Historia far il nome à costoro, Vivono ancora mentre noi coteste revolutioni scrivemo, l’ingordigia de quali tolta, e sbarbata dall’auttorità de Vescovi, pareva loro sarebbe stata più libera, e larga, sperando dal favore de Villani, ciò potere conseguire con l’armi.
Miserabile ma maligno lamento à beneficio de' Villani. Per questo fomentavano, è nascostamente favorivano la congiura di quelli scelerati. Questi per havere colorite cause di travagliar la Città ben spesso si lamentavano, e publicamente prorumpevano in parole seditiose. Dicevano che solo quelli potevano viver alla grande, à quali dal Prencipe fossero concessi magistrati, e gratie, che con troppo orgoglio, e licenza spianate, e distrutte l’altrui raggioni commandavano, che senza riguardo della lor innocenza perseguitavano gli buoni, à tale che ben era manifesto, e chiaro à tutti, che la lor immoderata libertà era à costo dell’altrui servitù. Da questi che nella Città sono più potenti, gli miserabili Contadini, per le cui fatiche sono mantenute le Città, carichi di debbiti, vengono stranamente in preggione strascinati, & quello che trapassa ogni crudeltà, se alcuni buoni Cittadini vogliono prendere la lor diffesa, & patrocinare gli antichi fittalini delli Poderi, ò Masi, son perseguitati al sangue, scacciati come malfattori dal lor cospetto, & privati per sempre di qual si voglia officio:
Gli Avvocati da Dio destinati à continue fatiche, per diffendere gli buoni, & à prò delli miseri, alla giornata favoriscono le sole cause dei ricchi, e stano in quelli giudicij per il solo guadagno, contra quella si giusta antica legge, che niun Avocato ricevesse danaro, ò verun altro per havere orata la causa d’alcuno, e havendone ricevuto lo dovesse restituire. Il danaro accieca ogn’uno. Il solo ricco hà gli supremi dominij nelle Città.
Gli Nodari, che anco agitano le cause, ministri dell’iniquità, feriscono più crudelmente con la lor disarmata penna, che non fano gli Tedeschi con ferate haste. Quelli solo commandano, che hanno potenza, che senza esser tassati puono usarci crudeltadi, e torti, à lor capricio, che pono amministrar giustitia, & ingiustitia alli altri, quali per esser poveri sono scacciati dalli palaggi, è tolta ogni speranza di gratia, non si trova per loro luogo di officio, ò beneficio.
Non si devono più comportare simil razza di gente, si deve destruger, ò con crudi urtoni scacciare fuori della Città.
Havevano in odio il Prencipe, come Vescovo, è huomo Ecclesiastico, lo riverivano come Bernardo Clesio, huomo da bene, che facea od ogn’uno beneficij. Era (dicevano) necessario far ogni sforzo acciò la Città si reggessero col commun consiglio, lodavano sopra modo il stato plebeo, à qual si voglia altra preferivono la popular amministratione. Devonsi (asserivano) in ogni maniera scacciar dalle proprie sedi gli Prencipi, & abbassar l’alti cimieri de primati. Gli Cittadini, hora esclusi da publici officij, & amministrationi della Città, à lor piacere governarono la Republica. Resta tentar gli animi de Contadini, quali ancor non hanno conspirato contra il Vescovo, però (come Vescovo) non lo puono sentire, l’odiano à morte. Sarà cosa facile col lor aiuto scacciar gli primarij huomini, e gli voraci, e mai satij Avuocati.
Gli Villani, poi come inesperti alli governi della Republica, presa la Città, si contentaranno delli ricchi spogli delle Chiese, e di partirsi ricchi, e carichi d’oro, e argento. All’incontro restaranno essi soli al governo della Republica, & con gran lor gloria s’impadroniranno d’ogni cosa. Sarà necessario lasciar la loro libertà al popolo.
Questi pensieri, e legieri determinationi, erano approvate da chi desideravano mutationi; e novità de stati, e governi. Acciò non mancasse à tanta sceleragine solenità alcuna, conspirarono nel lor proprio Prencipe.
Travagliata da si maligna interna febre la Città, sbigotitti, & persi gli animi de buoni Cittadini, per l’absenza massime del loro Prencipe: gli deputati è soprastanti s’accorsero del grave pericolo, in che si ritrovavano, quando havessero permesso, che ciascuno havesse potuto liberamente dire il suo parere, manco spiegare gli perversi lor affetti, à fine di non pervertire, & volgere sosopra conforme il lor pravo, e libidinoso affetto la Città, facilmente commossa dalla maligna volontà d’alcuni; giudicarono per all’hora doversi dissimulare ogni cosa, commandorno anche incontinente fossero chiamati gli Consoli; Discorso del Castelalto per l'amministratione de la Republica. gli parlò il Castelalto con ogni piacevolezza, usando parole à consimili tempi aggiustate, fece, che s’elleggessero alcuni di loro per andar in consiglio, & tutto il volgo totalmente fosse escluso dalli publici governi, acciò trattandosi cosa toccante l’università non si turbassero, e confondessero in quel mentre gli animi de Consiglieri, per la furia, e strepito della tumultuante turba.
Con tal ripiego parve che à quel soprastante male fosse rimediato, stimavasi, che levato fosse ogni incentivo, è fomite di discordia. Sedeci Governatori eletti. Gli Consoli, (cosi chiamano quelli, che hanno il publico governo,) lodando, & piacendoli il novo modo di governare della Città, elessero sedeci huomini, quali giudicavano sarebbon concorsi nella lor fatione, & diffese lor pretensioni.
Dicono, (il ch’io non ardirei scrivere per cosa certa,) che alcuni inverecondi, maligni, & malvaggi, quali havrebbon voluto riversare ogni cosa, chiamassero tiranicamente gli sedeci eletti, come dicessimo Signori, della Città: cioè, (ma con qualche oscurrezza, e coperto parlare) gli trè ordini de tribuni della plebe, à quali fosse commessa ogni auttorità assoluta. Sento in me accuti instinti dir gli costoro nomi, come d’altri intesi, pur non giudico bene manifestare in scrittura l’iniquità di coloro, che ancora vivono.
Finalmente conclusero, che quanto occorreva nella Republica fosse riportato, e riferito alli sedeci deputati, & quello che havessero essi determinato, volsero fosse stabilito, & inviolabilmente ricevuto, & osservato.
Fù tanta la forza delle seditioni di quel tempo, che invassero gli animi de Cittadini, che corse fama, che la precipitosa plebe amatrice de cose nuove approvasse gli tentati de tribuni, di quelli, che havevano per officio diffender le cause della plebe contra Cittadini, quali, ò perche troppo eccessivamente bramassero gli fosse concesso, & admesso la raggione delle podesta tributiva, ò perche, & è più verisimile soverchiamente dividessero il governo nella Città, e come cosa d’animo alto, è generoso si facessero la strada alli honori e gloria, sotto colore di Senato, contendevano per salute è libertà della Republica contra gli altri, anzi combatevano quanto gli permettevano le loro forze, è per coprire gli suoi inganni si vantavano, conforme il lor costume, d’haver frapresa la causa de poveri miserabili. I Cittadini si dividono in fationi. Cosi simulando il ben publico, con honesti colori, travagliavano la Republica mantenendola nelle discordie, & inquietudini.
In quei giorni si vidde più miserabile il stato, e conditione de Trentini, stante che gli congiurati machinavano cose più infausti, trattavano di ricevere nella Città gli Contadini, si spargevano voci nel volgo, che questi dimandassero quantità di denaro dal volgo, quanto volontariamente non l’havessero sborsata, l’haverebbon tolta à forza, & che ben presto gli Cittadini sarebbon stati constretti star soggetti, ed obedire alli rusticani. Narandosi queste cose in publico s’affligevano, & conturbavan gli animi di tutti, di modo che hormai parevagli haver sufficiente causa per rivoltarsi, e separarsi dal Vescovo, come se in breve havesse d’esser deposto dal Principato, e gli cultori de campi, che attendevano alla rovina della Città, doversi, mentre si può, con reciproco accordo, ed amicitia conciliare, e con essi loro confederare, come quelli s’havevan ben presto d’impadronire d’ogni cosa, con patto, che datagli la Città in lor ballia, concessogli il spoglio delle Chiese, andassero poi per gli fatti loro.
Alla Porta di S.Lorenzo si combatte la Cità travagliata. Animati, & accesi da questi lor pensieri gli Congiurati, stabilirono secretamente introdure gli Villani, chiamati d’ogni parte dalli campi per la Porta Bressana, hora detta di San Lorenzo, il giorno determinato, in cui si doveva commettere si vituperoso, è nefando misfatto, che scacciato il presidio della Città tutto restasse sottoposto dall’ingordigia della villana turba, & por ogni cosa à sacco, havendo havuta spia esser di già tutti gionti, & in pronto gli Contadini, subito aviluppano le armi ne saij di maglia, & con le spade sfodrate vano a ricevergli, e contra la volontà delle sentinelle commandano sijno introdotti.
Ma suscitato gagliardo contrasto, e rissa frà gli congiurati, Angelo Costeda, à cui fù commesso la generale cura delle guardie, è diffesa della Città, soccorse con le squadre presidiali à tempo opportuno queste, che stavano in gran pericoli, fece ritirare gli Villani, e mortificò l’orgoglioso impeto de Congiurati, in quel tumulto puoco mancò non restasse morto il soprastante delle Porte, Tedesco di natione. Qual se non si salvava con la fuga, senza dubio trapassato dalle saete de Congiurati, scavalcato, in terra se ne restava estinto.
Lo seguitarono sempre con gridi hostili, quasi sin in Castello, & arrabbiando di sdegno quelli animi popolari, implacabili, acciò il tutto non gli riuscisse vanno andarono precipitosi alle case d’alcuni Sacerdoti, e quelle, sotto la condotta de Conspiratori dall’avida, & ingorda turba furon spoliate, col medemo impeto parimente votarono il Granaio commune delli Canonici, altrimente detto massa Capitolare.
Era un vedere la Città da queste cose commossa, e perturbata, haver variata la sua antica forma, tutti temevano, ogn’uno affretava per salvarsi.
Gli Congiurati vedendo regetato il soccorso loro de Villani, restarono notabilmente confusi, mutarono facia, passarono d’un estrema cupidiggia, all’estrema tristezza, comminciarono à temere, e diffidare delli lor tradimenti, & ingani.
Mentre così vacillava l’inferma Città, intendendo gli Governatori soprastargli maggiori pericoli dalli ingani de proprij Cittadini, che dalli stranieri, commandarono fossero le Porte, è Mura custodite dalli soli Soldati, assignarono per le Contrade più diligenti guardie, quali dijno molta fede à chi si sij. Havrebbon poi à tempo opportuno dato il condegno castigo alli scelerati, e malvagi Cittadini.
Molti però de conspiratori avanti si palesassero gli loro secreti, è perversi consigli andarono per spurgarsi in Castello, ivi con basso volto pregavano gli soprastanti à non credere cosa si sinistra, & malvaggia delle lor persone, che sempre erano stati benemeriti della Republica, manco esser verisimile, anzi diremo impossibile, che potessimo vedere la rovina della propria Patria, tante volte conservata, e diffesa da nostri antenati, che s’haverebbon giustificati, & fatto vedere à tutti, che falsamente erano stati accusati al Prencipe d’esser sospetti della congiura, purche havessero havuta la notitia delli eccessi, e commodità d’espurgarsi.
A queste scuse tutti gli buoni comminciarono à batter de piedi, & impedirono loro il parlare, perche di già havevano cominciata la diffesa di quelle cose, che in niuna maniera potevano haver scusa. Uscirono furibondi, con lamenti al volgo, gridando d’esser da nemici traditi. Rivolgevano frà loro molte cose, fabricavano milla chimere. Vedendo non havergli giovati gli ingani, manco haver, conforme l’accordo, potuto dar la Città in mano de Villani, giudicarono perciò bene attender le squadre delle truppe Contadine, quali sapevano in breve, assai numerose sarebbon venute per oppugnar la Città.
Divolgatosi il successo, come passò nella Città, diedero gli Villani nelli eccessi, è più che mai inaspriti per non essergli riuscito come credevano la sorpresa della Città, che la ferma speranza d’occuparla à tradimento si fosse resa vana, per questo stimorno necessario usar apertamente la forza, comminciarono ad impadronirsi di Monti, e Valli, à pregare gli confinanti non gli abbandonassero, essendogli sempre stati amici, in tanta impresa.
Gli Rustici stimolano gli confinanti contra i Trentini. Concorsero nuovamente in parere di repetere da Cittadini il danaro, tanti anni passati toltogli contra ogni raggione per forza, con lamenti, che per la superba, e scelerata fatione de Cittadini Trentini erano con proprij figlioli scacciati dalle proprie campagne, è poderi, e constretti andar vagando con loro infiniti disagi per il Mondo, e morire senza vendetta, che havevan altrimente determinato perseguitare gl’ingrati Cittadini, & grassi Sacerdoti suplicorno perciò gli confinanti dassero ancor essi soccorso, arrivassero in quella fiata ancor essi à Trento, che non havrebbe potuto lungo sostenere il lor assedio.
Che gli Cittadini però volontariamente (in absenza del lor Prencipe qual era fama se ne fosse per paura fugito) si sarebbon resi, ò che havrebbon, spianate à forza di Canonate le Mura, presa per assalti la Città, certi per le di lei inestimali ricchezze di grossi bottini, non havrebbon perdonato à chi si sij, volendo il tutto dar in ballia alli più sfrenati, & ingordi, sperando in somma risarcirsi delli danni passati. Ne per questo facevano ad alcuno ingiuria, in recuperare il suo, avengache le ricchezze della Città siano sue, per essere parti de sudori de Contadini.
Mossero queste raggioni gli animi di tutti à repetere gli tributi dalli Signori, à precipitare dalli proprij Castelli gli primati, per haver governato con tiranica superbia, à sventrare gli Avvocati, & altra simil gente, carnefici delli huomini honorati, deppore dalli alti gradi, e dignità, gli opulenti Sacerdoti, con sdegnose minaccie à trucidare chiunque havesse havuto ardire diffendergli. Gridavano governarsi meglio le Città per il popolo, che per gli Vescovi, à questi solo appartenendo haver cura delle Chiese. Esser cosa lodevole alli habitatori delle Ville, scacciati l’iniqui usurpatori della libertà, le Città, dalla virtù loro occupare, e vinte, & medemi far giustitia alli proprij.
Mentre gli Villani seminavano questa zizania, & per le campagne attacavano consimili fuochi, fomentandogli fino ad essere cresciuti all’altezze d’incendij irreparabili, s’hebbe nova, che Castel Levego, le Valli di Non e Sole, il regere, fuori che alcuni, s’erano ribellati dal Vescovo: Congrega de Villani in Marano e quasi nel tempo medemo fù intimato, & publicato un Congresso de Villani in Marano, ove si trattò di diverse cose, toccanti il proprio utile, specialmente però si scaldarono nel procurare fossero sminuiti gli intollerabili aggravij, de quali oltre il potere, e contra ogni giustitia si lamentavano esser loro addossati, fù anco agitata la causa circa l’amministrationi popolari.
In tal guisa disputando quelli Rusticani consumavano il tempo, nel machinare, & ordire le querelle loro contro gli Magnati. Battista Spagnolo. Il Prencipe di Trento commandò à Battista Spagnolo, Capitano del Castel d’Avi, acciò facesse la scielta, ò cernida de Soldati, questo sapendo quanto ciò importasse, con ogni prestezza unì assieme cento, e cinquanta Soldati, con quali, così commandato andò à Riva, per ricevere, ed eseguire gli commandi di chi doveva.
Fù à tempo opportuno il suo arivo; posciache all’hora apunto gli Veneti, (havendo intesa la malvagità dell’impetuosa turba de Villani, dubbitando che gli Contadini di tutta la Germania havessero fatto congiura contra la Città di Trento per poi, quasi col medemo impeto, incontamente calare in Italia,) spontaneamente senza esser richiesti, promisero la Prencipe di Trento ogni aiuto, acciò con tal soccorso restasse esso, come amico, aiutato contra tanta moltitudine di gente bestiale, & parimente diffesi gli lor confini, avanti, che il tumulto andasse più avicinandosi, & l’Italia s’infettasse di cotal pestilentiale contaggio della Germania.
Ne medemi giorni Francesco Sforza Duca di Milano, (che dominando, e prevalendo gli Francesi, già era stato constretto, disperati li suoi interessi partirsi dal proprio Ducato, e stantiare profugo per longo tempo in Trento, ove dal Clesio, fù benignamente ricevuto, e liberalissimamente trattato,) non si smenticò del beneficio; e di soccorrere in tanti travagli il bon Vescovo benemerito della sua persona, anzi mandò ad offerirgli tutte le forze del suo Stato, e che mai haverebbe ad amico tale, qual anco teneva in luogo di padre, in turbolenze si inique, in pericoli si dubbiosi, mancato. Queste offerte furon gratissime al Vescovo, scorgendo non essere in tante calamità sprezato da si buoni Prencipi, ancorche mai havesse dubitato, di non poter con le proprie forze ripararsi dalle ingiurie di quelle venenose vipere d’una vil turba.
Con ogni prudenza si provide di ciò, che conosceva necessario per mortificare gli Villani, è absente avisava con lettere, ed esortava gli suoi Cittadini, acciò si mantenessero in fedeltà, che il violarla era cosa da vituperosi, e traditori, la più iniqua d’ogni altra sceleragine, s’arricordassero, che il morire per la Republica era cosa gloriosa. All’incontro esser grande iniquità che buoni, ed eggregij Cittadini servissero alla rusticità de Villani.
Mentre in Riva si facevano questi preparamenti, & si mettevano in ordine questi aiuti dal Vescovo, con commun conseglio de soprastanti, à quali dal Prencipe era dato il governo della Città, furon licentiati i presidiarij, conscritti nella Giudicaria, parevano che gl’animi popolari commossi dalle solevationi, e dall’empito passato de Cittadini, s’andassero mittigando. Convocarono parimente il consiglio, qual fù numeroso, tutti concorsero in parere doversi pregare il Prencipe a compiacersi di far ritorno alla Città, che la sola sua presenza poteva tranquillare, & sedare tante discordie civili, & quietare gli animi proclivi alle seditioni.
Il Vescovo per Ambasciadori vien richiamato alla Città. Dunque con unanimo consenso furon dalla Città mandati Ambasciatori al Prencipe, Andrea da Sintelli, Alessandro Ghelfo, Girolamo Tonero Dottori, e Bonaventura Fazino, Dottor di leggi: huomini da bene, e leali, per supplicarlo si degnasse quanto prima far ritorno alla Città, e sodisfare alli desiderij, e preghi di quella. Che gli Trentini fedelmente l’haverebbon obedito, ne mai haverebbono mancato mostrar la lor fedeltà, tanto verso di lui, quanto verso la Chiesa, in qual si voglia pericolo.
Andando à Riva, nel viaggio intesero come il Prencipe s’era d’indi partito per Castel Stenego, è che compreso il desiderio de Cittadini, per la medessima strada haveva pensiero ritornare à Trento.
Dunque lasciati dal bon Prelato in Riva, chi solecitassero le cose da lui ordinate piegato dalle preghiere se ne tornò alla Città. Visto il lor Prencipe parve, che Trento ricevesse spirito, & respirasse alquanto, & quelli che poco avanti desideravano, e fomentavano novità alla presenza del Prencipe, lasciorno l’armi, e da certa dal riverenza commossi comminciarono con animo hostile haver in odio gli Contadini.
All’hora si trattò delli aggravij delle Ville, providero, e conchiusero conforme il maggior bene, ed utilità di tutti.
In questo mentre s’intese che d’alcuni huomini seditiosi, Nonesi, (à quali, per esser divenuti traditori, e nemici, assai piacea il turbulonete stato delle provisioni, e governi,) s’erano fatti consegli, è congiure contra il lor Prencipe di Trento. Legati di Vale di Non à Ferdinando contro il Vescovo. Conclusero questi per scacciarlo dal Prencipato, con di lui sommo vituperio, non tralasciar qual si voglia malvagità, pensarono mandar chi à nome del publico l’accusassero appresso Ferdinando Arciduca d’Austria, quali doppò infiniti lamenti, e querelle lo pregarono, e scongiurarono volesse esser in aiuto, & soccorrere à se, è a tutti gli popoli della Valle, di cui ordine falsamente dicevano esser ricorsi alla di lui clemenza.
Ferdinando Prencipe sapientissimo, à cui molto bene era nota la natura del volgo, acciò non facesse cosa, dalla quale poi potesse essere stimato inconsiderato, destinò Battista Peloro, all’hora Vicario in Bolgiano, huomo prudente, & altri Commissarij alli Nonesi, acciò dimandassero, & facessero diligenti inquisitioni, come passassero quelli interessi: questi havuta essatissima informatione della mente di quelle genti, scoperta la trama, referirono esser falso, quanto fù supplicato contro gli Trentini, tutto esser inganno, tutto cosa inventata dal consiglio d’huomini malvagi, e perversi. Il che per farlo più apertamente vedere, gli Nonesi mandaro alcuni deputati al Vesc. pregandolo revocare, & anullare le cose supplicate, falsamente à nome di tutta la Valle d’alcuni de loro paesani homini scelerati, e perversi. Molti altri in quei giorni si mostrarno ambitiosi, & desiderosi de nuovi governi. Dominavan influssi bestiali s’eran soli congiunti, senza altro pianetta moderatore Marte, è Saturno. Ciascuno trovavansi occupato da desio di novi governi.
Gli huomini di Levico, molti delle Valli, annulata l’antica consuetudine, ordinarono, & comminciarono nuova maniera di governare, di modo, che giudicarono doversi tutte le cose antiche, è Leggi, e Statuti come di già ranzi, e che spiravano mal odore, rimovere, è distrugere. Desideravano novità, non volevano altro che cose nuove, osservassero pure l’antiche, che le havevano ordinate, perche osservarebbon anch’essi le proprie. Che pazzia (dicevano) habbiamo noi d’osservare ordinationi d’huomini morti? hanno essi vissuto à modo loro, il dover vole viviamo ancor noi al nostro. Si celebra una dieta in Insprugh. Conosciuti questi pericoli da Ferdinando Arciduca, per por rimedio à tanti mali, che giornalmente si facevan maggiori, convocò una Provincial Dieta in Isprugh, alla quale fù presidente il medemo Arciduca; Convenero anco colà tutti gli Vescovi, conforme l’antico costume, & Collegi d’altri Sacerdoti, & Communità, ove subito che furon in Conclave fù disputato sopra le sollevationi de Contadini.
Finalmente fù con ogni prudenza, e sapere (quanto comportava la conditione di quel tempo) provisto alli aggravij delle Città, dignità Ecclesiastice, e stato de Prencipi, & altre persone graduate. Si che restassero questi nelli antichi lor governi, sovrastanti alle publiche cariche delle Republiche, e come padri governassero, conforme la lor prudenza le Città, e Republiche. Mà però obligato ciascuno dar soccorso, & aiuto nelle necessità all’altro. Per tanti disagi, patimenti e penurie de poveri Villani mercè all’iniqua conditione di adverse stagioni, esser meglio remettergli volontariamente qualche cosa de loro aggravij, che con animo ostinato violentemente ressistere all’imprudente, & precipitosa turba delle Ville, il che non può essere senza publico danno, & scorno d’ambi le parti.
Quelli poi facessero con diligenza quanto se gli aspetava, attendessero alla cura delli Campi, e à coltivar la terra; Et ancorche non convenisse il terminare tutte le difficoltà a loro favore, dimandando eglino d’esser per l’avenir liberi d’ogni aggravio. Conclusero però si dovessero sminuire, col pagare minori affitanze, ò pensioni alli padroni. Che se alcuni fossero s’altre angarie della Città ingiustamente adossati, subito restassero scaricati col levar al tutto consimil gabelle. Fù stabilito parimente, non doversi far contra quelli per l’innanzi, alcuna pregiuditial novità. Determinarono in oltre, che quelli che s’erano per la ribellione sciolti dal giuramento pristino, restassero obligati à prestarne nuovo di fedeltà. I Contadini vengon chiamati al giuramento. Per por in essecutione cotesti Statuti, elessero alcuni huomini nobili, quali chamano Commissarij, acciò constringessero tanti capi, quanti membri, all’osservanza di quelli. Non volsero però se la passassero senza castigo quelli, che havevano sollicitati gli animi della moltitudine à seditioni, & ribellioni, contra la vita delli primati, stando che questi tali si devono reputare, & connumerare frà gli traditori, & condannare rei d’eccesso di Maestà lesa.
La pena di quelli che fossero capitati nelle forze della giustitia, la testa, delli altri, fugiti fuori de confini, il bando. E tassarono le pene sudette, acciò gli altri resi più temerarij, è petulanti non s’animassero ad eccessi maggiori. Giudicorno con tal consiglio, è remedio, che gli Contadini, agiustate le controversie, come rinovata l’antica corrispondenza, ed amicitia, si sarebbon quietati per non mai più sollevarsi.
Vedendo gli Villani fuori d’ogni lor espetatione, essersi nella Dieta determinate le sodette cose, non lo potevano portar in patienza. Gli Prencipi di nuovo maggiormente comminciarono à temere. Perche vedendosi quall’insolente plebe sempre procliva alle cose peggiori, negate le inique, e disorbitanti dimande, che havevano con ogni temerità fatte à Ferdinando, via più si commosse, e s’infiamò di rabbia, è però speravano conseguir con l’armi, quanto non havevano potuto ottener con preghiere.
Frà tanto gli Commissarij andarono ciascuno, conforme fù, accordato, alle lor Provincie. Gio: Giovanni Giovanni Gaudentio Madruzzo in Val Sugana, Levego, & Pergine (tutti Castelli à quali, per nuovamente constringere quei popoli al giuramento fù destinato, ancorche s’impiegasse, & ponesse ogni sapere, è forza per indurre gli Contadini al preteso intento.) Se ne ritornò senza alcuna conclusione. Francesco Castel Alto si portò nelle Valli di Non, & Sole, ove haveva la sua commissione. Convocò quelle genti; mà solamente però parte della Pieve d’Ossana, S. Zeno, Sarnonico, tutti quelli della Pieve di Cles, e Deno quali giurarono volontariamente, gli altri del volgo delle sodette Valli repugnarono, anzi sgridavano per cosa iniqua, e contra ogni raggione l’esser nuovamente costretti à giurare.
Gli Trentini quasi tutti s’aquietarono, prometendo ad instanza di Carlo Trapp, con giuramento, fedeltà al lor sapientissimo Prencipe Clesio.
Il rimanente del Territorio Trentino fomentava la conspiratione, vociferavano publicamente esser loro liberi: E ciò con l’armi in mano pretendevano diffendere, poi havrebbon con animo tranquillo abbracciata la morte, avanti la quale era necessario adoprarsi in modo, che tutti gli negotij restassero communi.
Vorei quando queste nostre Historie havessero da pervenire alle mani della posterità, lasciar parimente alla di lei memoria, che Vezano, Padrignon, parte di Vigol Vattar, Riva, Theno, le Giudicarie, la Valle di Fieme, mai si ribellarono, manco volsero acconsentire à maledette conspirationi. Delli Nonesi parimente quelli, che sono di qua dal Fiume Nauno, dalla parte di Clesio tutti, & altri quali sopra dicessimo haver dato il secondo giuramento, stettero sempre in fedeltà, ne fuori che pochi, ancorche gravemente indotti, e sollicitati cascarono nell’infame eccesso della sodetta conspiratione. Cles principalmente per la diligenza di Baldassaro, Clesio huomo prudentissimo, e di gran valore, che non la cedeva in prerogative al Fratello Bernardo, e Prencipe Trentino, ne d’alcuno di lui era giudicato inferiore, si mantene in perpetua divotione, & incontaminata fedeltà, qual se bene per ogni luogo scorgesse tumulti, & gli Villani d’ogni parte contra di lui, & altri Signori arrabbiati lo minacciassero della vita, non furon ad ogni modo sufficienti mai con le loro sbravate, e furibonde minaccie rimoverlo dal Castello, stando sempre intrepido. Furono (e ben vero) alcuni, che non per essere inimici alla Città: ma per fuggire il giuditio, e castigo d’alcuni lor commessi misfatti, si congiunsero con la parte de congiurati.
Pietro Busio homo egregio. In queste contingenza Pietro Busio, nobil Cittadino, non potendo sopportare, (che gli Trentini altre volte tanto valorosi, che niuna straniera forza gli potè mai atterire, hora si mostrassero frà le lor mura si codardi, è pieni di spavento. E sconfitti da quattro Villani, che non sano, fuori che Zappe, maneggiare altre armi,) ne restava scandalizato. Determinò perciò il seguente giorno uscire per Nomi, spinto conforme vogliono alcuni d’eccessivo desiderio d’immortalarsi, era huomo di grande animo, per spiare qual segno di disgratia in tanta confusione, è spavento havesse arrivare l’interesse Trentino, ò come vogliono altri, & era il più commun pensiero, per trattar con suoi Contadini di cose private. Conosciuta da alcuni de suoi amici questa sua precipitosa determinatione, s’affaticarono distorlo da si imminente pericolo, e rimoverlo da si malagevole viaggio; non trascurarono raggioni per disuaderlo da si evidente precipitio, tutto al vento, volle con alcuni suoi domestici, andare ove il fatal destino lo portava, giunse à Nomi, luogo di la dall’Adige, lontano da Trento, circa otto miglia, situato alla riva del medemo Fiume, di sua propria giurisditione, che come feudo della sua famiglia da suoi antenati l’haveva hereditato.
Pietro Busio fà un ragionamento ai Contadini. Subito commandò venissero alla di lui presenza gli soprastanti del luogo, il primo raggionamento piegò nel voler sapere come, & per qual causa si fossero indotti à si infami partiti, si comminciò à trattare, è far mentione di quelli, che havevano ribellato, è conspirato contro il proprio Prencipe, disse doversi costoro con ogni raggione repudiare, e castigare, havendo usato forza, e violenza alla Patria, perseguitata hostilmente con l’armi la Città, & Chiesa Trentina, nella quale più volte ricovrati havevano salvati gli figlioli, le mogli, se stessi, & quanto havevano contro le forze, ed impeto de Venetiani, Svizzeri, & altre hostili nationi, quali in diversi tempi con Esercito nemico invasero il stato di Trento, non saper egli ove sijno dalla lor pazzia transportati, si sarebbon senza dubio à lor costo pentiti, havrebbon al sicuro sostenute le dovute pene di ribellione, quando non si risolvessero quanto prima, abbandonate l’armi, far ricorso, e chieder perdono dal Clementissimo lor Prencipe.
Avisò dunque, & suase gli suoi Contadini, acciò fossero aveduti, & guardassero bene à non lasciarsi subornare, e condure in manifesti pericoli dalli altri congiurati, che ben conosceva gli lor animi essere sempre stati di lui amici, & inclinati alla sua persona, però risolvino hora, & perseverino in modo, che mai si possi dire, che quelli di Nomi sijno stati ribelli alli lor superiori, è contrarij alla Chiesa di Trento.
Si persuadeva, è credeva il Busio poter facilmente ritirare dalle lor pazze deteminationi quelle genti rozze, nate fra le Selve, e Boschi, è placare con civil persuatione quelli animi de civili costumi nemichi. Mentre così parlava s’accorse, che anche essi eran del corpo de congiurati, perilche mutò à bella posta il raggionamento, d’indi comminciò à parlare di cose private, acciò dalla memoria dell’armi maggiormente non s’irritasse quelli à lui vacillanti animi. Dimandò dunque de suoi interessi, quali furon lasciati in controversia, è che cosa finalmente fosse determinato. Risposero eglino con temeraria, e arrogante voce parole brusche, s’havrebbon altra volta trattate quelle cose, non esser tempo opportuno à sforzare gli Contadini portarsi al foro.
Sdegnato non poco il Busio d’una tal risposta, che gli Coloni, ò Masadori proprij gli parlassero più licentiosamente di quanto dovevano, gli s’accese l’animo. Essendo poi da uno di quelli Villani con maggior pertinacia contrastato, offeso da quel abbominevole, e rusticana superbia si lasciò cadere un roverscio, e lo licentiò con un schiaffo.
Si partirono quelli senz’altro dire, ripieni di rabbia, e colmi di veneno. Chiamarono gli altri Villani di Castel nuovo, loro confinanti, concorsero in un volger d’occhio tutti à furia, si disputò questo fatto, e poco poi fra la strepitante, e tumultuante turba à schiere fù data l’oltragiosa, è di impertinenti villanie ripiena sentenza. Sentenza delli Rusticani contro Pietro Busio. Che Pietro Busio, qual si faceva padrone de Contadini di dovesse far morire, per haver tiranicamente col macchiargli l’istesso sangue, trattato quelli di Nomi, per la di lui temerità, & ardire, in uscire de proprij confini, & portarsi alla giurisditione de Villani, senza passaporto, ò haver interpretata tregua, che alli Contadini era prohibito andar alla Città, & alli Cittadini alle Ville, che questi commandavano nelle Città, & quelli nelle Campagne. Diedero di mano alli Restelli, & altri stromenti da Campagna, di consimili armi guerniti corrono al Castello, occupono l’intrata, rompono, e gettano à terra le Porte, dilegiano, è con mille modi beffano il povero Busio, lo chiamano Signore, esclamano d’haver condotte quantità di decime, d’haver pronti obedito à commandi del loro padrone, essersi pentiti della lor ribellione, & ivi ridotti, genuflessi per riverire, e salutare il lor padrone. Stupirsi perche subito, come per avanti, non siano al lor Signore introdotti?
Frà questi loro heroici discorsi, spezzate, & levate à forza le porte, entrarono violentemente con gridi, che arrivavano al Cielo.
I Villani battono la Tore. Accorgendosi il Busio essere da tutte le parti insidiato, & cercato anzi destinato, & sententiato à crudelissimi tormenti, nè solo poter sostenere l’impeto di tanta feroce moltitudine, manco restargli luogo di salute con la fuga, abbandonato da servitori, si ritirò nella Torre, opera fatta à volto, munita à torno di fosse, & argini: ove frà due solari, ò granari fabricati, con mirabil artificio à volto in quella contingenza, se ben oscuri, à lui però molto necessarij, stette nascosto, per dove era solamente un’entrata, con una sol porta, & quella ben stretta, con la bocca ancora maggiormente chiusa, con pretesa d’ivi salvarsi, e diffendersi fin tanto, che gli suoi, quali sperava per causa di tanto tumulto aiutati dalla Città ò da confini potessero uscire à dargli soccorso.
Stava anco in sicura speranza, che gli Contadini non si sarebbon con maggior crudeltà, e furia incoleriti, & che non havendo loro militari machine, non havrebbon havuto ardire d’assalire quel luogo tanto forte, anzi abbandonata l’impresa, ciascuno sarebbe andato à casa sua. Ma quelli Montanari, quanto maggiormente venivano rimossi dalla speranza di prender la Rocca, col padrone, & sacheggiare il tutto, tanto più gagliarda, & ostinatamente s’accesero, è di maggior colera vampanti si prepararono, e scorgendo non potersi in altro modo, ne con altre forze superare quel luogo, determinarono demolirlo col fuoco.
Dunque di sotto stivati di ben spessi, è secchi sermenti, riempirono le fosse, circa la Torre vi ammassarono gran quantità di legne grosse, sottoponendovi poi polvere di solfero, con altre simiglianti materie in quantità, si attacarono il fuoco, che incontinente facendosi sentire, e la fiama con il fumo mischiata, sino alle stelle inalzandosi consumava ogni cosa, abbrugiava gli tetti, e già dal troppo calore arse rovinavano le mura, cadevano, si rilasciarono gli Archi, e volti, gli incendij entrati per le fenestre guastavano le camere; in summa ogni cosa era ripiena di voraci fiame, & caliginoso fumo. Godevano quelle caterve dell’implacabil turba de Villani si starsene con atti, che gli altri instigavano alle crudeltadi spettatori di si inhumano spettacolo.
Pietro Busio vien abbrugiato. Il povero Busio, qual volse intromettersi frà l’irritata turba de Villani, e confidare la di lui salute, e vita à domestici nemici, regietato dal lor cospetto in cotal strana guisa miserabil, e crudellissimamente fù abbruggiato.
Gli Trentini havuta la nuova d’un tanto attroce eccesso, piansero un huomo di quel valore, cotanto eggregio. E molto maggior honore si fece à quella morte con il publico dolore, è mestitia, di quello s’havrebbe potuto fare con sontuose esequie, e superbi apparati. Ma gli superi, ancorche molto si mostrino tardi nel dar à misfatti gli condegni castighi, non lasciarono però passar caso si nefando lungo tempo, senza qualche segno di emendatione. Ad alcuni fù con laccio rotta la gola, altri tagliati in più parti, & altri con varij supplicij, e tormenti pagarono il fio della lor iniquità, di modo, che in breve si fece chiaro à tutt’il Mondo, che gli Contadini, che abbruciarono il Busio, tutti in ultima rovina, sradicati da fundamenti, compensarono, chi con la propria infamia, la vita, & gloriosa morte di quello, chi lontani, e dispersi dalla propria Patria perpetuamente con perpetuo, e capital bando essulati. Fù abbruggiato il Busio l’anno 1525. gli trè Luglio.
I Trentini stano in pericolo. Vedendo il Clesio Vescovo Trentino, che il stato della propria Città sbatutto, e travagliato da domestiche, e famigliari ferite, s’andava con le di lei proprie forze, consumando, giudicò doversi, avanti ogni cosa, usar ogni diligenza, per haver à tempo, d’ogni parte opportuni aiuti, acciò restasse la Città, & Chiesa Trentina illesa dalle presenti minaccie, & pericoli, che gli soprastavano.
Furon dunque mandati Ambasciatori à Ferdinando Marchese di Pescara, all’hora Generalissimo delle squadre Imperiali, contra l re di Francia in Lombardia, acciò gli spiegassero le turbulenze in cui si ritrovavano gli Trentini, gli dimandassero soccorso, & lo pregassero, (se mai fusse possibile) à mandare Conradino Gloro Capitano della Fantaria, qual poco avanti il medemo haveva ammassata nel stato Veneto. Il Vescovo cerca di amassare agiuti. Rincrebbe molto al Marchese non poter in tanta necessità del Prencipe di Trento dargli aiuti, è somministrargli gente per diffesa della di lui Città. Non potendo in modo alcuno in quelle contingenze di guerra sminuire il suo Esercito, havendo egli la pugna con un potentissimo nemico.
In questo mentre gli giunse il VVitembache con cinquecento Soldati armati di Lancie, e Piche: poco poi il Lodrone, con altre tanti, il Spagnolo con trecento pedoni d’Italia. Condotte che furono l’Artiglierie, Balle di ferro, Michie, è o solforate funi, polvere, & altre Monitioni, e subbito mandati gli ordini, pronti si portarono con mirabil prestezza alla Città, & acciò non si transcurasse diligenza fece chiamar alla Città Gerardo Conte d’Arco, e Francesco Preisocharo, Capitanio di Rovereto, huomini di gran fedeltà, è peritissimi nell’arte militare, acciò con gli altri Capitani, anch’esso s’adoprassero, ove havesse portato il bisogno.
Non molto doppoi parimente Andrea Burgo, sentite tante sollevationi del Trentino, subito si portò da Rendena alla Città di Trento.
Stando il buon Vescovo in questi preparamenti, necessarij per diffesa della Città. Gli Contadini di Nomi doppò haver usata ogni crudeltà contra il Busio, & guastati gli beni de Cittadini (se alcuni in quella Communità se ne ritrovavano) alla scoperta si ribellorono dal lor Prencipe, & assieme con quelli di Val Sugana, che ad ogni infame impresa gl’havevano fedeli, e in pronto conspirorono contro la Città.
Gli Valsugani così detti dal Castello del medemo nome, situato frà Feltre, e Trento, mossi dalla medema frenesia, invitati, & indotti altri molti à si nefandi misfatti, nel stesso punto si sollevarono contra gli propri Prencipi. Giorgio Pulhero vien amazzato. Questi doppo hever crudelmente trucidati diversi Signori Nobili, uccisero parimente Giorgio Pullhero Capitano di Castel Ivano, che da questa maledetta Canaglia, calando dal Castello, fù colto all’improviso, e con funesto colpo d’arcobuggiata batutto da Cavallo, & miseramente morto. Non mancando però, chi affermano esser caduto, in zuffa di Moschettata, havendo egli voluto con alcune poche truppe attaccarla con gli Contadini. Sij questo come si voglia, chiaro è che morto il Capitano, s’impadronirono à forza del Castello, qual poi senza alcun riguardo tutto fù messo à sacco, dall’insatiabile furia di quella gente Selvatica.
Gli Valsugani dunque, e quelli da Nomi, ambi imbrattati del sangue de propri Signori: posciache compresero esser giunti à segno d’iniquità, che non proseguendo l’impresa non gli restava luogo, ne minima speranza di perdono, che sarebbero onninamente nel distretto Trentino stati distrutti, ò mandato in oblio il nome famoso di quei valorosi Contadini, ò pure sarebbon stati necessitati per l’avenire con peggior tiranide, e con dupplicati aggravij servire, è nell’opere dell’Agricoltura crepare frà gli sudori, cosa assai più miserabile della prima, indegna della conditione humana, (non e huomo, dicevano ne degno d’esser tale chiamato, chiunque havesse tolta in patienza indignità si vituperosa). Tutti unitamente in universal consiglio conchiusero di gloriosamente morire, ò vivere con perpetua lor lode, ed auttorità. E quando havessero con la medema stragge distrutti, e morti tutti gli Tirani non solamente sarebbon (con simili chimere fabricavano) vissuti da habitatori di Ville, ma con lor perpetua fama havrebbon havuto il governo de Campi, & delle Città insieme.
Da cotal speranza animati, e da coteste furie abbatutti, sollicitarono con messi, & lettere quelli, che sapevano esser nemici capitali de lor Signori, e Città insieme, rappresentavano in quanto pericolo giacessero gli affari, & interessi de poveri Villani, quanto volessero starsene ostinati, & non giudicassero necessario il prender l’armi, contra l’insoportabil giogo de padroni, e Cittadini; però considerassero con qual animo havrebbon gli Signori guardati gli Contadini, ogni qual volta gli fossero cadute in memoria le passate ingiurie, da noi à quelli, e à suoi maggiori, benche con ogni raggione fategli. Sijno constanti, è forti, si portino da valorosi per assicurarsi da si imminente pericolo di morte, & per liberarsi da quella si vituperosa, è già tanti anni ingiustamente sostenuta servitù, che non volendo giornalmente esser tirati à forza per gli Tribunali, facessero ogni sforzo, acciò sturbati, e rimossi gli più potenti, finalmente si facessero le Città soggette à Contadini. E di già tempo (dicevano) si provedi alla commun salute, habbiamo pacientato tanto che basta.
Sono non per ambitione di gloria, ò desiderio di fama spinti gli Contadini à battagliare con Nobili, ma dalla stessa necessità, à cui, la legge ed ogni altra cosa soggiace: Di già con la morte d’alcuni habbiam contro quelli dichiarato il nostro quasi connaturale, e antico odio. Devesi una volta bandir da nostri cuori la codardia, se però più non aggradiste il servire, che il commandare, gli Regni non puon stare con animi codardi, e vili, e primo principio politico.
Sù alle arme, mostrate segni della vostra virtù, imparate, e fatte una volta vedere essere cosa più gloriosa il maneggiar l’armi, che Restelli, complire più fruginite le spade à rovina de Cittadini, che il porre le falci frà le biade: di che temette? Esortatione delli Contadini contra li Prencipi. Gli nobili tremano di spavento, non han cuore d’incontrarci, la sola fama del nostro valore gli han fatti rinserrare in oscure, e cavernose tane.
Quando poi temerariamente, volessero uscire nel primo assalto gli habbiamo tutti disfatti, rovinati gli muri, & presa la Città, piacesse pur à Dio si risolvessero venirci incontro, la guerra sarebbe in un baleno finita; impadroniti poi, che saremo de Castelli, Roche, è Città, quali sappiamo esser il solo ostacolo dell’eterna nostra salvezza, e felicità, non haveremo noi Contadini più oltre, che desiderare, si scorgeremo giunti all’apice d’una vera beatitudine. Commossi, & animati da queste speranze gli Villani; Convenero in grande numero d’ogni parte, da Pergine, Levego, Val Sugana; Ivano, Nomi, Castel nuovo, Valle Lagerina, più delle altre populata d’agricoltori, e diversi altri d’ambe le rippe del Fiume Adice, & diversi altri à schiere in fretta è precipitosamente compariscono: concorono tutti abbandonati gli aratri all’armi.
Congiura de Villani contra gli Trentini. Questi congiurorono di commun parere d’andar assieme à danni de Cittadini Trentini, perseguitandoli con ferro, e fuoco, sino ad havergli ridutti al niente: eran in somma risoluti annullare il nome Trentino.
Chiamarono in lor agiuto quelli di Marano, Bolgiano, Val Venosta, & altri che da vicino riguardavano gli distretti d’Italia: Questi, come che à richi bottini invitati da Villani del Trentino, sotti gli Auspicij, & nome de quali si doveva proseguir la guerra, dichiarandosi di tal iniquità collegati, trasportarono le lor insegne.
Aspetavano anco, conforme la già stabilita confederatione, aiuti dalle Valli di Non, e Sole. Sij stata per stretezza di campagne, ò per speranza de spogli, ò desiderio di dominare certo fù, & à tutti chiaro che gran moltitudine di gente conspirono contra la Città di Trento.
Si congregano truppe di Contadini. Congregati dunque gli Agricoltori, crearono di Villa in Villa il lor Capitano, ciascuna il proprio, quelli poi, che non manco d’ardire, che di forze erano eccellenti, e ricchi, e che in prudenza, e sapere superavano la lor sorte, conditione, e fortuna, che più havevano del Cittadino, che del Villano, conducevano tutta l’armata, eletti à tal carica da tumultuario, ma unanime consenso di quella turba. Erano questi seguiti dalle schiere, con lor capelli, manare, ed in vece di corazze, e petti vestite di sai tessuti di lana bianca, e nera. Occorrendo passar banca, & far la rassegna di quella numerosa moltitudine, convenivano tutti d’accordo in un luogo, chiamato il Cerè, questo è la pianura, che giace frà Castel Pergine, e la Villa di Civizano, ove essendo ammassatte da diversi Monti, tutte le turbe, di modo che rappresentavano un forbito Esercito, tutti convenero, e dierno il lor assenso.
Al lor modo protestarono avanti il Divin cospeto, qual anco invocarono severo vindicatore delle sceleragini, e con giuramento l’un l’altro si prometterono di vendicarsi delle frodi, & inganni de lor nemici. Trattarono poi della guerra, qual si doveva fare sotto nome de Villani, e non tantosto fatta mentione di distrugere, e sfondamentare la Città di Trento, alzarono le voci unitamente d’ogni parte, che dovevano incontanente con Esercito nemico portarsi per quelli quanto prima abbattere, & prenderla: questa sol voce volava da tutte le parti.
Si promulga la guerra contra gli Trentini. Dunque con un confuso consenso di tutte quelle squadre, che gridavano vittoria, fù conchiuso doversi subito intimar à Trentini la guerra.
La Città vien municionata. Gli soprastanti della Città, spiata la venuta de Contadini, che strepitavano non lungi dalle Mura della Città, sapendo anco quanto havevano determinato, providero la Città di più opportuni, & diligenti presidij, commandarono fossero per le Mura deposte le Artigliarie, & duplicarono per ogni luogo le guardie di quella, non trascurarono luogo di pericolo, che non restasse ben provisto, è fortificato, acciò (come havevano inteso) occorrendo fosse la Città assediata, potessero gli Cittadini sostenere l’impeto nemico, & slontanare gli Villani con machine millitari dalle Porte. Ma perche era manifesto pericolo di civil tradimento, (non essendo totalmente placati gli animi de Cittadini mal contenti, l’odio tuttavia nascosamente bollendo posciache quel maledetto verme rodeva l’interriora, acciò la Republica per la malvagità d’huomini scelerati non patisse qualche naufraggio, ed irreparabil danno, giudicarono bene, confirmar gli animi de Cittadini con breve, ma pregnante oratione; Ancorche sapessero non poter la Città pericolare per gli frenetici impeti de Villani, stimarono ad ogni modo cosa ben fatta dar ad intendere che soprastava l’ultimo esterminio della Patria, acciò spaventati, & atteriti dal timore dell’esterno pericolo, deponessero in casa ogni negligenza, e pigritia.
Ragionamento di Gerardo Conte d’Arco à Cittadini. Chiamato dunque in Castello il popolo, Gherardo Conte d’Arco brevemente, e in poche parole dimostrò esser necessaria in si estremo pericolo ogni bravura, valore, è fedeltà, che la Città era assediata da tante schiere de Villani sitibondi del sangue de Cittadini, che à loro soprastava l’ultimo eccidio, non esser tempo di viver nelli aggi, ma rigetatta ogni dappocagine, d’impegnarsi con ogni forza, e constanza: vedevano medemi quella gran moltitudine, e preparato quel numeroso Esercito per satiar il lor antico odio contro gli appidani, che non molto lontano dalle lor Mura minacciava, & vantavasi distrugergli tutti, esser necessario il diffendere un interesse così importante con l’armi in mano: che era hormai necessario il combattere contro gli Villani, non per acquistar gloria, ma per conservarsi nella pristina libertà. Giudicava egli cosa d’animo codardo, è vile temer la morte, quando l’universal bisogno l’havesse richiesto, esser cosa pazza sperare nelle caverne sicurtà di vita, doppò la vittoria dell’inimico, niuna cosa è naturalmente alli huomini timidi sicura, non pose per questi la natura alcun riparo, frà le stesse viscere della terra non si tengon sicuri.
Dunque animo ci bisogna, spirito, ed ardire; E necessario prefigersi la vittoria in pugno, considerare habbi la giornata da succedere con ogni felicità, conforme il nostro desiderio, non si trova ad huomo valoroso, è bravo cosa indomita, sponta qual si voglia difficil impresa; di deve incontrare qual si voglia malagevolezza, ove si tratta la salute de figlioli, moglie, e nella Patria; in simili contingenze non stimano gli huomini d’honore un Neo la propria vita, qual si voglia patimento riesce in gusto: Non dubbitava punto havrebbon di lor volontà fatto più di quello, che egli medemo havrebbe potuto persuadere, certo, haver eglino avanti gli occhi fisso, essere cosa d’animo reggio il non sparmiar à fatiche, è portarsi quando bisogna nel mezzo de pericoli. Non si conosce la virtù se non nelle cose averse, & grandemente pericolose, piene di difficultà, e fatiche. Non dubbitassero sarebbe stata cosa facile rompere quell ristrette turme de ladroni, quelle inesperte, è disarmate schiere, che temerariamente hebber’ardire prender le rusticane armi, & far violenza à Cittadini, manca solamente, proponghino portarsi in modo, sij dichiarata, & à tutti fatta (nel intrepidamente combattere) palese la lor virtù. Confido, siate per fare ogni prodigio mentre vi ridurete à memoria le molte cose, che confirmano gli animi, & intrepidi rendono gli cuori, altrimenti corragiodi, havete un Prencipe non men forte, che sapiente, benigno con tutti, & che à tutti desidera far gratie, e beneficij, che mai sarebbe stato per mancare à suoi Cittadini, che abbondantemente gli veniva somministrata ogni cosa necessaria, per gli viveri, & altre necessità, che per le Mure di già eran disposte Artigliaria, & Soldati di gran fedeltà, la guerra era amministrata, e retta da Capitani esperti, che eran d’Alemagna, ed Italia molti Soldati valorosi condoti à soldo giunti in aiuto, e di già pronti sotto le lor bandiere ad uscir in Campagna, che ben sapevano contro quali inimici havevano la briga, di numero senza alcun dubbio assai superiori, di fortezza, & arte militare, Capitani, instrumenti, & armi da combattere di gran lunga inferiori. Gli Cittadini quando havessero stabilito vincere, già sicuri erano della vittoria. Si proponessero che una volta per lor negligenza, e vituperio persa la riputatione della Città, mai erano per ricuperarla, questa sol consideratione dovendo infiammare ogni codardo alla vittoria.
Quando poi non volessero per dapocaggine, combattere da veri Soldati, sarebbon stati costretti sottomettersi al duro, e superbo giogo de Villani, cosa indegna d’honorato Cittadino. Che anco quando havessero da combattere con ogni equilibrio, e dubiosa fortuna, concorrendo contrarij destini, & influssi de Contadini, e Cittadini, combattino in modo, che si portino si virilmente, che faccino constare à tutti d’haver saputa quella massima, quel primo principio, cioè che gli huomini portano la lor riputatione in capo, & che è stile ordinario d’animi valorosi il morir con gloria, e vivere con honore, e riputatione.
Sopportino dunque ad esempio de suoi maggiori le cose averse, in guisa incontrino l’inimico, combattendo armati, che di loro lascino alli posteri eterna memoria: essere cosa propria de Trentini intraprendere cosa difficile, tolerare, & ridurre à bramato fine cose malaggevoli.
Gli Villani hora tanto orgogliosi, e superbi, dalli successi prenderanno animo più orgoglioso, scorgendovi timidi, humilissimi poi sperimentando il vostro valore. Stà in vostro petto l’abbassare, ò fomentare quella lor alteriggia. Si scorse che l’Oratione di quel sapientissimo, e prudentissimo Conte haveva resi gli animi di ciascuno ardenti, per diffendere la Città.
Consideravano frà di loro di quanto detrimento sarebbe stata la domestica, e civil seditione, quante miserie sarebbon succedute comprando essi medemi l’esterminio della lor Republica, tanto avanti da suoi antenati intrepidamente diffesa. Quindi se alcuni volte si ritrovavano, che prima fomentorno il partito e solevationi de Villani, comminciarono à pensare à casi proprij, e rissolsero prepararsi alla diffesa della Città.
Fù poi radunato consiglio, concorsero molti prima chiamati, furon proposti diversi pareri, e disputato con contrarij affetti: finalmente decisero, esser meglio restassero per mano de Cittadini rovinati, e disfatti quelli Villani ribelli, che permettere si dissipassero dalla crudeltà d’huomini malvaggi la Città, e gli sacri ornamenti delle Chiese.
Frà tanto gli Contadini, quali havevan nella sudetta pianura riconosciuto tutta la lor gente, chiamarono, è unirono gli soldati, ciascun sotto le lor proprie insegne, e con basso mormorio furon messe tutte le squadre in ordinanza, per tanto dunque s’infiamavano alle uccisioni de Cittadini, fino gli animi de più selvatici Montanari, e s’andava fomentando, e crescendo il furore: presero le bandiere già sacrate à Dio nelli Tempij, profanandole all’uso di guerra, servendosi di quelle, spiegate al vento, in luogo d’insegne militari.
Andavano avanti coloro, che teneano la carica di condure l’Esercito, seguivano chi havevano incombenza di tener in ordine, & indrizzare la retroguardia, caminavan guarniti di diverse armi, altri portavano archobugi, scaricavano da quelli, mediante la polvere solfurea, piccole balle di ferro, oscuravano col fumo, e fuoco il Cielo.
Percuotevano con strepitosi rumori come, che fussero stati tuoni le Valli, altri portavano le piche, altri si valevano di spiedi, chi di manare eran armati. I Villani impiega le forze contro la Città. Riusciva cosa degna d’esser vista con quanta diligenza procurassero, & si somministrassero gli viveri, & combatendo ciascuno à proprie spese, col proprio danaro, volsero, che ogn’uno seco portasse tanto cibo, quanto giudicavano esser necessario per suo sostenimento stando in guerra.
Dunque da un lato pendeva il carniero di pane, dall’altro il fiasco di legno, fatto à torno. Con tali armi, & arnesi impediti, & alquanto ritardati si portavano avanti hor à due, hor à cinque, & hor à schiere, non servavano nell’andar il passo militare, ma con dissoluto camino, trasportati per quei sassi, passavano fretolosi verso la Città. Et acciò niuno si potesse scusare di non haver seguito il consiglio, & il punto di quella si heroica speditione, se à caso alcun di loro fosse andato à vedere figlioli, parenti, ò (il che è più verisimile,) ritiratosi all’hosteria, fù commandato che il Cornetta suonasse la marchiata, questo incontinente diede il fiato ad un corno di Bue, è da una ben alta rupe, con rauco, ma strepitoso suono, chiamava dalle valli lontane la rozza, è silvestre gioventù alla morte.
Essendosi le scomposte truppe de Villani di già avicinate alla Città, occuparono le Case, che soprastano alle Mura della Città. I Contadini assediano la Città. S’accamparono à Cognola, è Strada, Ville situate ne scogli sopra Trento: ivi con inauditi strepiti de Tamburi, gridi delle turbe, si provocavano contra gli Cittadini. Non tantosto gli Trentini intesero l’arivo del nemico, che gli Villani levarono alla Città non solo le cose utile, ma anco tutte le necessarie. Altri divertivano altrove l’acque, che cadevano dalli Monti, che al Castello erano incaminate. Altri eran intenti à chiudere il rivo detto la Roza grande, che dal torrente, chiamato Fersina, scorre à commun bisogno per le Mura nella Città; è per maggiormente stringere, e travagliare gli assediati mandarono, chi in un baleno sollicitassero gli Lavisani, & altri della giurisditione di Chinispergh; complici della congiura; Chiamarono parimente molti Nonesi, e Solandri, confinanti, nemici communi contra gli Trentini, acciò le compagnie della lor scielta gioventù gli venissero senza dimora in aiuto. Raguagliarono come trucidati gli loro Signori, s’eran impadroniti per assalto de Castelli, con havergli tutti saccheggiati, & riportatone richi bottini: Che soli con le loro proprie forze havevano assediati gli Cittadini, che tutti si ritrovavano rinchiusi frà le mura, pieni di spavento, se anche essi arrivarono à tempo per proseguire le cose da lor principiate, non dubbitavano gli sarebbe ogni cosa successa, conforme il lor desiderio.
Commossi da queste raggioni gli Nonesi, di già havevano fatta la raccolta della più scielta gioventù, & inviatola verso Trento, s’eran posti hormai in viaggio verso la Città, quando ecco gli giunge nuova, che il Conradino se ne veniva dal Milanese, con buon numero de pedoni nelle Valli, per soggietarle à forza, e rovinate, ridurle poi all’obedienza del Vescovo, rivocati dal comminciato viaggio, si portarono in fretta al Castel d’Ossana, lo occuparono, opponendo al Conradino; che correva fama dovesse passare per quella parte, tutte le lor armate truppe, non solo per impedirlo dall’entrata nelle Valli, ma anco violentarlo à sloggiare, quando havesse voluto far testa, da confini di quelle.
Il che succedendo conforme, che il lor desiderio havevano poscia disposto di raccolgere il lor impeto verso la Città, & soccorrere con ogni prestezza gli confederati, che stavano all’assedio di quella, frà tanto gli Villani, che erano vicino alla Città, accampati, cinsero le Mura, giravano d’intorno, considerando minutamente ogni sito, osservavano principalmente le Torri. Frà tanto alcuni temerarij delli Contadini, che dimoravano vicini alla Città, persuadendosi, che haverebbono lasciato di se fama immortale alli posteri, ardivano dalli Archibuggi, che si portan in spalla, mediante la sulfurea polve, scaricar con gran strepito balle di metallo, entro per le finestre del Castello, e Sede Episcopal, sino alle interne stanze, quali poi vedendo fumar gli coperti, presti per scozzesi sassi si ricovravano nelle lor truppe, gridando, è vantandosi publicamente d’haver colpito il Vescovo, & che in breve dalle ferite sarebbe morto. Altri molti, quali altrimente ne luoghi di tre vie havevan per costume piegare, e volgere alla buona le bestie, & accarezzare gli Bue d’aratro con Ziffoli, svegliavano le notturne guardie, stimando, che gli Cittadini della lor fatione havrebbero sentito; dicevano esser eglino in pronto, e preparati per entrare, li assicuravano, che havrebbon pontualmente mantenuto quanto nella collegatione gli havevan promesso, che nunciassero putre alli Cittadini confederati, qualmente essi perseverano tuttavia nella contratta amicitia.
Le guardie, a cui era manifesta la malvagità de Villani, risposero à bel studio, che havrebbon senza dimora fedelmente riferito tutto alli Sedeci, che ben sapevano in tanta opportunità, & buona occasione, non havrebbon recusato d’uscir fuori, & quando volessero aspettare un poco, più che volontieri con essi loro sarebbon convenuti del modo di dargli la Città nelle mani.
I Villani inganati da quelli che guardano la Città. Mentre così sotto le mura si ne stavano aspettando la risposta gli goffi Contadini; Le guardie che stavano quella notte in scintinella, non furon pigre alla vendetta. Gli volsero contra una grande Artigliaria, che con bocca ben aperta stava in procinto per sbadagliare verso quella malvaggia canaglia. La balla di ferro con indicibil impetto uscì dalla lunga, è rotonda concavità del proprio tronco, percoteva, fracassava, minuzzava l’armature, benche di finissimo metallo, uccidendo in un balleno chiunque havesse incontrato, questa è la risposta (soggiunsero) qual vi mandano gli vostri Ambasciatori, e Consoli: Quelli dal impetuoso colpo feriti, sviscerati, alzando come disperati le grida, cadendo à terra, pestando quelle pietre, è rivolgendosi nel proprio sangue, sotto le Mura, essalarono l’infelici lor anime.
Gli Montanari più che mai accesi di rabbia, & odio, essendogli quell’inganno riuscito male, cercano in chi possin sfogar il lor sdegno, precipitosi trattano ogni lor interesse, non sono più retti d’alcuna scintilla di raggione. Et ancorche non habbino militari instromenti, per battere, e rovinar le Mura, minacciano però alla Città sino dalle cime de Monti l’incendio, di modo che posero in quella gran spavento, tanto all’hora si fecero forti quelli malvaggi, e tanto terribile si rese il lor nome in quella commotione. Ne solo era temuti gli nemici, ma gli medemi Cittadini non si fidavano molto delli compagni, ciascuno sospettava l’altro confederato con la gente Villana. E se ben pareva, che tutta la Città havesse consentito nel ben publico, era però frà loro grandissimo timore, che la plebe spaventata dalle fiere minaccie de nemici, ò mossa dall’odio ne Cittadini, con inique capitolationi, furtivamente introducendo l’inimico, s’aggiustasse con esso. Per ciò avanti ogni cosa si fece provisione de viveri, & in questo tempo si concessero alla plebe insolite agevolezze. Con questa indulgenza unì il buon Prencipe la Città, prima frà se d’affetti divisa, e in tal guisa la conservò parimente concorde, non ostante fusse da se assai sicura, essendo dall’una dalle Mura, dal Fiume Adice, dall’altra parte, ben diffesa, la cinse ad ogni modo de forti, & fedeli presidij. Il più fermo, e sodo riparo però in quelle travagliose contingenze, per gratia concessa alla Città, fù l’haver un Prencipe prudente, e savio. Il Castel Alto, uno de Capitani assai valoroso, e destro nell’arte militare, mai cessava di convenire, hor questi, hor quelli, tutti esortando ponessero ogni forza, e sapere nel diffendersi dalli impeti nemici, acciò restassero animati per incontrare, & sostenere gli assalti della pertinace, ed ostinata turba de Contadini, & con animo pronto, portando l’occasione, seguissero ciascuno il proprio Capitano, in battaglia. S’animarono all’unione di questo Capitano tutti gli Cittadini, à tale che maledivano il temerario orgoglio de Contadini, quali s’erano à tal segno d’arroganza inoltratti, che si persuadevano richiedere il giusto andassero gli Cittadini à volger con gl’aratri la terra, ed essi à governare, & reggere la Città. Confirmati l’animi di tutta la Città da quel constante, e valoroso Prencipe, qual mai si perse d’animo, ancorche havesse conosciuto di poter col primo assalto disfare tutta quella sciocha, e scomposta turba, e scompigliata fugarla sparsa per le cavernose ruppi, volse ad’ogni modo fino che si mittigasse quel primo ardore, e motto di colera) consumassero frà montani scogli il tempo, & gli soldati stassero frà le Mura pronti alla guardia della Città, più tosto, che impetuosamente sortire, & assalire quella povera gente, priva di giuditio, col machiare la Chiesa del sangue de poveri mal condotti.
Il Spagnuolo entra con empito nella ciurma de Contadini. Ma non temendo quelli, temerariamente avanzarsi sino sotto le Mura, dilegiando, & con aspri gridi provocando gli travagliati Cittadini, Gio: Giovanni Giovanni Battista Spagnolo (come havrebbe fatto qual si voglia feroce animo, e nelle guerre nudrito) non stimò cotali oltragi, & calunniosi gridi della vil turba de Villani, doversi d’un animo generoso sopportar in patienza, uscì dalla Porta dell’Auila con puochi: Scoperto da nemici con l’armi calate, e pronto al combattere, restarono tutti pieni di spavento, non gradirono molto la presentatagli giornata, gli incusse con la sola sua presenza, e improperij tanto terrore, che poco mancò tutti non si dassero da una honorata fuga. Hor villaneggiava tutti assieme, hor dicea à questo, & à quello milla, ma condegni improperij. Diceva esser venuto per usurparsi l’altrui libertà, e farsi, che loro perdessero la propria. Presero quelli dalla vergogna qualche corraggio, si fecero animo, ed accettarono la battaglia.
Lanciavano da tutte le parti armi, contra il Spagnolo, tutti s’affaticavano d’opprimerlo, e respingerlo frà le Mura, ma quello constante, non rimosse pur un piede il passo, anzi con ostinato animo, sempre s’avanzava, sino ad essersi impadronito del campo.
All’hora gli soldati, quali medemo haveva con grave raggionamento rincorati al publico decoro, alzate le grida, tutti assieme pronti, e coraggiosi guerregiavano contra la malvaggia turba, misero in fuga quello nell’arte militare imperito volgo, & scaricando da Moschetti, & Archibuggi le balle di piombo nella ristretta turba di lontano, gli precipitano, à guisa di fiere selvatiche d’alte, e strabochevoli cime de sassi. Doppò haver quel giorno combatutto prospera, & felicemente, lieti se ne ritornarono nella Città.
Girardo Conte d'Arco. Lodovico Lodrone. Francesco Castel'Alto. Non furono nelle medeme contingenze di fortuna, e bravura inferiori Girardo Conte d’Arco, Lodovico Conte di Lodrone, è Francesco Castel’Alto, Capitani, che non conoscevano nell’arte militare superiori: Havevano gli Villani volsuto parimente attacare la Città, dalla parte, ove essi havevano gli suoi quartieri, per dove il Fiume Adice scorre le Mura della Città. Et di già havevano per la lor moltitudine occupate le bocche delle rupi, per quali s’ha stretto additto alla Città, chiamano questo luogo volgarmente bus di Vella, cui in questo luogo si angusta, è stretta entrata perentro gli monti interrotti, e stacati, che à pena può un sol Carro per quella passare: Strage de Villani. Quindi gli sodetti Capitani, arrabbiati della tanta temerità de Montanari, non potendola in alcun modo portar in pace, col fiore de soldati, fatta sortita, assalirono quella insolente moltitudine nel luogo detto la Scala (cosi vien detta quella strada, per essere precipitosa, sasossa rovinossa, è pendente, per cui si discende alla Città, di là dalla ripa del Fiume) gli disfecero e metendoli in fuga nel primo assalto, è sparsi per quei luoghi alpestri, ed inacessibili gli perseguitavano, quali uccidevano, & quali spingevano e precipitavano nel fondo del Torrente, che furibondo e spumoso scorre alle radici de Monti: si rese più gloriosa quella vittoria, havendo il Prencipe alle fenestre del Castello spettatore, testimonio, è giudice del lor valore, e virtù.
Si feniva in quel giorno la guerra, in quella battaglia davan gli Contadini l’ultimo, & inreparabil crollo, è quanti Villani si ritrovavano di là dal Fiume andavano tutti à fil di spada, se gli Capitani à caso, o per Divina dispositione non havessero commandata la raccolta.
Fù dal Castello sbarrata per atterrire quella vil turba una Artigliaria, dubbitarono gli Capitani di qualche tumultuosa novità nella Città, ò che la plebe havesse sentito male l’essito infelice de Rurali, e che fusse uscita per dar alla schena de Clesiani, & coglierli in mezo, ò che dall’altra parte, ove il rimanente de Montanari, stringevano la Città, col favore da ribelli Cittadini fossero entrati nella Città, ò finalmente fosse occorso qualche altro strano accidente, giudicarono con tal segno d’essere richiamati in Castello.
Ritornarono dunque, menando seco gli prigioni, quali commandò il Vescovo fossero benignamente custoditi, fuori che Filippo taglia pietra, qual senza esser constretto, s’obligò con giuramento, & pena di perder ambi gli occhi, quando in spatio di trè giorni non havesse spianato il Castello.
Questo temerario solo stando in piedi in Castello, fù condotto al supplicio, è con la perdita d’ambi li lumi, posti in scomessa pagò il fio del perfido suo giuramento. Nella medema strage, ed infelicità sopravener alla sbatuta moltitudine avisi, che per ordine del Vescovo (qual essi credevano, & n’havevano sparsa fama da principio per spavento, abbandonata la Città, essersi ritirato à Riva, poi temerariamente, tratto dal destino, ritornato alla Città) s’eran preocupati in tutti gli confini d’Italia gli passi, per quali speranzati attendevano grossi aiuti.
Che quelli da Riva spontaneamente, adunato grosso numero di gente valorosa d’accordo venivano per assalirgli, e dargli alla schena, e di già le squadre s’avicinavano alla Città, che la ritornata del Prencipe alla Città haveva datto corragio alli Cittadini, che tutti unitamente havevan conchiuso d’uscir con l’armi in mano à danni de Contadini, bramosi frà le ferite prodigere le proprie vite in difesa della Republica, che essi eran da tutte le parti circondati, è maggior pericolo gli soprastava dal nuovo Esercito, che dalla stessa Città.
Queste cose, ancorche fossero divolgate senza sapersi l’auttore, le temevano ad ogni modo vere, il spavento gli rappresentava ancor maggiori cose di quante si dicevano, fantasticavano sempre successi più accerbi, eran dalla paura constretti gli loro animi far sempre più infauste considerationi, & pensar (come meritavano) infiniti danni, si tenevano certi dover incontrare quanto andavano inanimandosi. L’interesse de Rustici perduto. Finalmente ridotto il discorso à segno, s’accorsero, che quelli, che poco avanti si vantavano Signori, e padroni d’ogni cosa, non sarebbe passato molto, che gli havrebbe convenuto sostener la penuria, e mancanza di tutto il necessario.
Frà queste male novelle, hebbero avisi, che molti altri lor confederati, e principalmente gli Nonesi, quali aspettavano gli dassero soccorso, non potevano uscir da suoi confini, il che fù l’ultimo crollo, inasperì la novella piaga, e sommamente conturbò gli animi, già commossi, di quella miserabil turba.
Hor comminciano à riprender se stessi, biasimar la lor temeraria prosontione, ed ardire, cognoscono esser à si infelice termine stati dalla propria pazzia condotti, rivolti dall’impresa maledicevano il Castello, che per spianarlo, havevan speso, e consumato ogni lor havere, si ramaricano d’haversi con tante lor ingiurie, e malvagità irritato contro si buon Prencipe. Si lagnano, e maledicono la sorte, che habbi rivolte in loro medemi le rovine, che pria minacciavano alli Cittadini, che più habbi potuto la fortuna, vera padrona di tutte le cose, che gli perversi sforzi de Contadini, d’haver perduti con pazzi consegli se stessi, moglie, figlioli, ed ogni havere. Siamo gionti (dicevano) per la temerità nostra à termini di disperatione. Non ci sarà manco concesso il far ritorno alle proprie case, non che il recuperare la libertà, & governare gli Cittadini, poveri noi, à che miseria siamo
Si lamentavano gli meschinelli, e così deplorando la lor vita, quella rendevano più miserabile: doppò essersi di cotai lamenti, e querelle empiute quelle Villane schiere, finalmente convenero tutti unitamente, esser il lor meglio abbandonar quell’impresa, partirsi mentre puono dalla Città.
Chiamaro dunque dalle cime, & alte rupi attorniate gli presidij, disfatto è licentiato il campo, abbandonano malinconici, e sconsolati la Città.
Questa lor partenza non minuì ponto le diligenze delli primati, anzi gli diede non minor occasione di far preparationi di quello, che gli haveva poco avanti occasionato la stessa lor venuta. sospettavano gli Cittadini non ritornassero quelle truppe più forti di prima. Se ne ritrovavano molti ancor in arnese, che pertinacemente volevano combattere.
Quindi giudicarono necessario far maggiori apparati, e amassare più poderosi aiuti di gente, tanto per ridur gli Nonesi, è Solandri, & altre nationi congiurate in potere, & obedienza del Prencipe, come anco non era da fidarsi della turba rusticana, poco avanti da Cittadini fugata, è dispersa, è sempre ne suoi propositi incostante, è vana. Quali se per aventura fossero stati di nuovo con qualche colore, benche salso rincorrati, sempre piegarebbono là, ove dal favore della lusingante fortuna fossero invitati. Gli huomini Rusticani, che dall’impeto, non dalla raggione si lasciano condure à maneggiare gli loro interessi, resi dalli successi men prosperi più crudeli, ben spesso arabbiati, & più dell’ordinario vampanti di sdegno, con cui alle volte maggiormente s’accrescono gl’intelletti, s’invigoriscono le forze: prendono maggior corraggio, è lena.
Era parimente da dubitare, che quelli dalla cose passate à lor costo instrutti, proseguissero l’impresa con più maturo consiglio. Soministrano le cose ingegno anco alle stesse bestie. Si sarebbe in cotal guisa maggiormente essacerbata la publica piaga, gl’interessi della Città havrebbon pericolato. Non si partirebbono avanti havessero presa à forza la Città, atterrati, è destrutti gli Tempij, non abbandonarebbono l’impresa, manco deponerebbono l’armi, sin ad haver recuperata la perduta reputatione, & conseguito il lor intento. E massime vedendosi privi d’ogni aiuto, mancanti d’ogni ricovero, si sarebbon portati come disperati. La miseria non conosce pericoli, non riconosce gl’Imperij humani, sprezza gli stessi Dij. Non resta à miseri, che la sol vita da perdere, & per non viver, mentre ancor questa poco stimano, non poco in lungo la potrebbono sfortuna condurre. Non si può da questi tali aspettar, che cose crudeli è disperate. Più si devono temere, chi da ogni speranza son abbatutti, che quelli, che hanno gli supremi dominij de potentissimi, e superbi Imperij.
Pedoni Alemani. Per tanto, per ordine di Ferdinando Arciduca d’Austria, fatte le cernide, furon conscritti mille, è cinquecento pedoni Alemani, de quali fece Capitano Tomaso Frunspergo, à cui aggiunse Commissario Sigismondo Bandesero.
Frà tanto Gerardo Conte d’Arco, Lodovico di Lodrone, Francesco Castel’Alto, Carlo Trapp, e Francesco Preisacharo, Capitano di Roveredo, specialmente à questo negotio destinati) con trè compagnie de Fanteria, andarono à Nomi, Castel nuovo, Castel Corno, & molti altri luoghi di là del Fiume Adice, constrinsero molti Contadini, colti all’improviso à nuovo giuramento di fedeltà, sforzandogli in oltre ad abbracciare, & osservare quanto fù determinato nell’ultima Dieta, tenuta in Insprugh.
A questi tutti, ridotti all’obedienza, pochi eccettuati, quali come capi havevano sollicitati gli populi alla conspiratione, e somministrata materia à fomentar quei pestelentiali incendij, volse il buon Prencipe fosse clementemente perdonato.
D’indi inaspetatamente si portarono à Levego, Pergine, Val Sugana, Ivano, & altri popoli circonvicini di quelle Valli, & condotto quanto pretendano à bramato fine ritornorono alla Città.
Tomaso Frunspergo. Nel stesso punto, giunse con la sodetta Fanteria Tomaso Frunspurgh, per reprimere quel maledetto, è periglioso tumulto, & finalmente che restasse tranquilla, ed in pace la controversia Trentina. All’hora fù dal Vescovo commesso alli Capitani, convocassero tutti gli Contadini d’ambi le rippe dell’Adice, facendo quanto havessero giudicato meglio convenire al publico.
Questi, senza punto tardare, per Trombetti commandarono, incontinente comparissero dalli campi tutti quei popoli, & si unissero assieme quelli di là dal Fiume alla Porta di Santa Croce, quei di qua dalla rippa nel Prato dell’Abbatia di Sant’Appollinaro. Convenero tutti in arnesi con le spade alla cintola, e lancie in mano, deposero, commandati, subito l’armi. Furon, conforme l’ordine, datto in un baleno circondati da Soldati. Non temea quella turba, già confusa dalla memoria delle commesse sceleragini, tanto l’armi de circostanti soldati, quanto la presenza di quelli Eccellenti Capitani.
Se ne stavano quelli heroi in mezzo, tutti in superbi Cavalli, con magnificenza reale. Era stata à questi commessa la cura, assieme con Andrea Regio di componer, è decidere quelle cause criminali, ed auttorità di castigare gli rei. I Villani vengono costreti à rinfrescare novo giuramento. Avanti ogni cosa fù commandato alli Villani, con nuovo giuramento confirmassero le antiche concordate, e patti, quali essi temerariamente hebbero ardire rompere, è violare, & annullare quanto in contrario prosontuosamente volsero di propria auttorità ordinare. Obedirono senza replica. All’hora commandato silentio, così comminciò il Castel’Alto.
Discorso del Castel’Alto contro i Contadini. Valorosi Soldati se mai, per guerrre questa Città fù all’ultimo pericolo vicina, ciò occorse in queste presenti sollevationi, e tumulti. E stato necessario venir de fuori à giornate con l’inimiche squadre de proprij nostri Contadini. Medemi gli vedesti andar in ronde, d’ogni intorno circondati, occupati dalli lor presidij gli Monti, tutte le forze de campi contra di noi ardentemente conspirate, e in rassegna a nostri danni la lor moltitudine.
Frà le mura manco fummo sicuri, non ci mancò che fare, havessimo guerra dalli vacillanti animi de Cittadini, più volte ritardavano, anzi rimovevano gli animi de soldati dalla pugna, che uscendo in bataglia temevano d’esser assaliti alla schena da domestici nemici, d’alcuni malvaggi Cittadini. Di questo mancamento non incolpo tutti gli Trentini, ma quelli solo, che havevano conchiuso essere della fattione vittoriosa, di dar il lor soccorso, ove la fortuna havesse piegato.
Il negotio finalmente per Divina providenza, e diligente solicitudine del nostro Prencipe, e mediante anco il vostro valore, è riuscito al roverscio, il spavento, e fuga con cui sbraveggiavano farci gelare l’anime nel corpo, ecco come venne sopra di loro, pagarono il fio di tanta sua temerità, tante sceleraggini non le passaranno senza castigo. Parlo solo di quelli temerari, quali pensarono con Contadineschi arnesi, poter distruggere le Mura con tante spese da passati Re fabricate; E sciocamente si diedero ad intendere, che il Vescovo dalle minacie de suoi Contadini spaventato si sarebbe vituperosamente messo in fuga, lasciando a loro il Castello, Chiesa, e Città vote, acciò liberamente potessero commandare, ed à lor modo disporre gli governi.
Stavano gli armati soldati d’intorno alli Contadini. Questi meschinelli, senza arme vedendosi dalli armati attorniati, & di loro alcuni con la michia accesa, e archibbuggio a ruota in procinto per attaccare la solfurea polve, & essi quasi in atto di scaricargli in petto le plumbee balle, pensate con qual’animo se ne stassero quelli miserelli, tremavano da capo à piedi, se gli chiuse la bocca, gli levarono con questi accenti il parlare, e raggirando le labra ammuttite, havendo di già dato congiedo alli orgogliosi capritij, non rispondevano parola.
All’hora il Valoroso Capitano soggiunse. A voi che dalli campi, non di proprio capritio, ma d’altri, con larghe promesse di bottini, sollicitati seguiste gli malvagi consigli d’huomini iniqui, confederandovi con essi loro nella congiura, commando stiate lontani dalla Città, qual voleste, (& per tal effetto faceste à Dio imprecatorij voti) da fondamenti distruggere, e senza tardare ritorniate alle Zappe, & Aratri nelle proprie Ville, il che sij in buon’hora, & in felice successo al nostro Prencipe, popolo di Trento, à me, & voi insieme. Andate senza altro castigo per gratia, è sola clemenza di Bernardo Clesio, Prencipe nostro, e ritornate abandonate l’armi alli aratri, vostro proprio officio, ne mai, se però non occorresse, che la Città havesse bisogno dell’opera vostra, potrete far à quella ritorno, entro le Mura, maneggiate gli vostri Restelli, Badili, Forche, Aratri, e con ogni diligenza coltivate la terra. E perche, conforme il vostro stato, non sapeste reggere nelle Campagne, imparate hora ad obedire alli commandi di gente esperta, e di buoni costumi.
Finalmente tenete sempre fisso nell’animo, che voi da Dio fosti creati in servitio, e utilità della Città. Voi, gli cui spiriti, e genij, nati alle discordie, non puon d’alcuna medicinal disciplina esser resanati, che instigasti, e spingesti l’imperita turba à danni della Republica, bramasti usurparvi il stato de Cittadini, hostilmente sacheggiasti gli Castelli, che imbratasti le vostre destre del sangue d’alcuni Nobili, infiamasti con voce infami d’odio, e sdegno tanta gente armata contro gli Prencipi di modo, che non solo nel stato di Trento, ma in oltre molti altri popoli fuori di questa giurisditione restarono dal vostro incendio attacati, arsi, & del vostro pestifero contaggio infetti, insegnarete hoggi con l’infame vostra vituperosa morte alli posteri ad osservar la santa fedeltà verso gli Prencipi, da voi così iniquamente violata.
Questi, che con loro consegli, suassioni, instigationi, condota la turba à si infami partiti di spingersi arrabbiati contro la Città, per commando del medemo furon consegnati alli Carnefici, per esser conforme gli lor demeriti castigati. Diversi supplicij dati alli Villani. Alcuni furon in diverse parti strapati, e divisi, ad altri furon troncate le mani, ad altri gli detti, & ad alcuni tagliarono le orecchie, altri furon privati della più pretiosa gioia corporale, che possedessero, perche gli furon ambi gli occhi cavati, altri finirono la lor vita apesi alla forca. Molti condotti prima per tutta la Città, poi messi in berlina à ludibrio di tutti, con diverse batiture pagarono, benche inadequatamente la lor perfidia. Alcuni, poi che non havevano tanta colpa, benche degni d’ogni morte, confiscati gli loro beni, furon banditi dal Territorio Trentino. Alcuni pochi furon condannati nella sol borsa, oltre gli sudetti commandò, che fussero in gran numero con mani dietro legate condotti in prigione: ne di questi lasciò partir alcuno pria, che con segno di fuoco, nel fronte impressogli, non se n’andasse, reso diforme à vista di tutti, con la macchia, e caratere della lor perpetua infamia; in questa guisa licentiandogli, diversamente segnati.
Questi castighi furon dati contra il voler del pietoso Prencipe, perche haveva, conforme la sua clemenza, perdonato à tutti, fù tanto, ad esempio de posteri, & per reprimer la temerità della plebe esequito, per ordine espresso di Ferdinando.
Molti però, che dovevano esser decapitati, o con altra più cruda sorte di morte estinti, furon à gratia, e contemplatione del buon Prelato lasciati liberi. Pose anco con suoi sani consegli, e persuasioni ripiego, e ritengo à molte invasioni, & altri mali, che sarebbono occorsi, che per esser stati provisti scaricarono altrove, ò almeno non apportarono tanto danno.
Speditione contro i Nonesi. Spediti questi negotij si prepararono, contradicendo il Vescovo, per la marchiata nelle Valle di Non, con cui haveva confederato, e conspirato la Val di Sole. Determinarono assalirla da due parti, andarono per una il Lodrone, Castel’Alto, è Britempoch, con le loro truppe, presero questi la strada per Terlago, Traversaro, Faro, Colorno (tali son gli nomi delle Ville di quei Monti) penetrando sino à Spor, Castel primiero della Valle, il lor intento era, da quel lato mettere in terrore quei populi.
Dall’altra parte furon spediti con 1500. pedoni Tomaso Frunspergo, Gerardo Conte d’Arco, Sigismondo Brandeser, è Francesco Preisacharo, Capitanio di Roveretto, questi, passato l’Adice, alla Nave, di quà di Castel Mezzo, s’inviorno verso la Valle.
Gli Nonesi consosciuti gli lor fini, e quanto pretendevano quelli Capitani Clesiani, mandarono incotamente gente, che preocupasse il Castel della Rocchetta, e chiudesse quel passo, per impedirgli dal primo ingresso nella Valle; e haverebbon ciò conseguito, quando fossero stati uniti, il lor intento, perche non così facilmente i detti Capitani havrebbon potuto superar quel passo; mà erano i Nonesi frà di loro divisi, e seguivano diversi affetti, havevano alcuni, conforme il lor dovuto, giurato à favore del lor Prencipe di mantenersegli fedeli, gli altri stavan ostinati di combattere, & vederne un fine.
Mentre così consumavano il tempo in contese. Gli Clesiani, superato quel stretto passo, entrarono à furia, è con impeto nella Valle, nel primo assalto sorpresi gli primi, poi s’impadronirono del Castel Revò, ivi ferno publici editti, che tutti gli Seditiosi, che presero l’armi contra la Chiesa Trentina, comparissero nel detto luogo, il giorno medemo. Frà tanto il Lodrone, Castel’Alto, e Bretempoch, che dall’altro lato stringevano gli Nonesi, sforzarono gli Villani di Spor, & Castel Ruina in mano loro giurare.
Essendo comparsi, conforme fù proclamato, il determinato giorno gli Nonesi, e Solandri, nel Castel Revò, deposero, secondo gli fù imposto, l’armi, e furon constretti à nuovi giuramenti.
Alcuni fatti prigioni, ne condussero à Trento. Altri temendo quanto gli soprastava per esser stati auttori di tumulti, è sollevationi di quei popoli, che presero l’armi contro il proprio Pastore, e Chiesa di San Vigilio, bel bello se la colsero fuori de confini.
Fornita la carica, ridutti gli Nonesi, & altre genti, sottoposte al nome Trentino, già ribellati, alla pristina obedienza, in somma condotti tutti gli negotij, che più gli premevano felicemente à desiato fine, ritornarono alla Città. Poco poi Tomaso Franspergo si partì alla volta di Bolgiano.
La gente Italiana, che si portò con somma sua gloria, e valore, già resa sicura la Città, ottenuta licenza, e salvo condotto, fece ritorno in Italia.
Soli cinquecento pedoni, che furon sotto la condotta del Britempoch ritene, per terrore d’alcuni residui delli passati tumulti, quali non parevan ancora ben sedati: quietato il Trentino, ed estinto l’incendio, di cui avampava quel distretto, rese gratie à Dio, è à San Vigilio, padrone della Città. Commandò poscia fosse conosciuta, e ventilatta la causa di quelli, che eran arrestati, & posti prigioni: fù commessa la cognitione al Castel’Alto, & ad altri di quelli medemi Capitani, che poco avanti condanarono gli capi de congiurati, con ordine, che facessero quello, che fosse stato meglio, conforme la giustitia, e ben publico.
Questi subito chiamaron in tribunale quelli meschini, venuti in chiara cognitione delle lor sceleragini: scorsero non potersi trovare convenevoli castighi, over pena, in riguardo à suoi misfatti; il tutto riusciva in misericordia de loro, in crudeltà non potevano peccare, superava l’enormità de loro falli ogni ingegno, qualsivoglia cruciato reputavasi manchevole, l’esser dilacerati, sbranati, arostiti, abbrugiati, non eran martori condegni, meritando esser tormentati dalli medemi spiriti infernali. Havevano commesso delitto di lesa Maestà, in persona di Prencipe tanto benigno, minacciate le medeme Chiese, primieramente quella di S. Vigilio: non puote però soffrire la clemenza di quel buon Prelato, che fossero, conforme il lor demerito puniti. Commandò si procedesse con ogni misericordia, mentre non si havesse distrutta la giustitia.
Perilche quelli, che havevano più gravemente mancato, è delinquito, furon sententiati ad esser decapitati, quelli che non havevano con tanta enormità pecato riceverono castighi più dolci.
La Città da ogni timore liberata. Liberata la Città dalli passati spaventi, e ridotta la Republica Trentina (per l’Iddio gratia) à stato tranquillo, il Clesio doppò haver largamente, in riguardo della lor virtù, e conforme il merito di ciascuno, con gran doni premiati molti, con un’elegante, è publica oratione (come si costuma) in maestoso tribunale lodò, è ringratiò tutti. Cosi espresse il valore di ciascuno, che indusse non solo gli spiriti delli Heroi più magnanimi, ma anche gli animi più bassi à fatti Heroici.
Gli Contadini, che contra la lor Città mossero l’armi, rasserenati gli occhi, & levatasegli davanti quella densa caligine, sempre più ravedendosi delli lor passati errori, ben spesso maledicevano qualla lor frenesia. Desideravano in ogni modo scolparsi, & ritornar nella gratia del lor Prencipe. Destinarono per tal effetto saputi Ambasciatori, nel trattar negotij esperti, e sopra la loro conditione, è stato instrutti. Questi con vestito, compositione, è volto à quella presente fortuna agiustato, doppò essersi à piedi del Prencipe prostrati, ottenuta prima facoltà di parlare, proruppero (come habbiamo inteso) nelli seguenti accenti.
Parole di suplicatione dei Villani al Vescovo La tua heroica, in tante nostre occorenze, è pericoli conosciuta, ed in effetto sperimentata pietà (Clementissimo Prencipe) ci porse animo, e somministrò in tante nostre sciagure, e miserie gran fiducia. Siamo venuti alla tua presenza, mandati dalli tuoi Villani, da queli stessi, che poco avanti assediarono la Città, per dimandarti à nome di tutti genuflessi perdono. Non pensar già haver noi tessute de passati nostri eccessi congerie di scuse, ò diffese. Una sol cosa da Te desideriamo, cioè che resti informato de nostri motivi, questo giudichiamo necessario sia da Te saputo, che habbiamo dato, precipitose, le mani all’armi, che habbiamo assalito furiosi la Città, non ad instanza d’alcuno, manco con tali tumultuose sollevationi intendendo gratificar Luthero, o haver la di lui gratia, ne per ambitione de Regni, ò di gloria; non ci cadè manco in pensiero con tali cimentosi pericoli cercar Regni, ne con honori procacciar aiuti: ma ben si provocati (Generosissimo Prencipe) da mille ingiurie, e stenti, ci lasciassimo condure à tali precipitij. Dio, è San Vigilio sijno testimonio del nostro animo, che mai fù il nostro intento prender l’armi contra Te, ne contra la Chiesa tua, vivi pur con essa in eterna pace tranquillo, e felice, tanto di cuore ti preghiamo dal Cielo noi non sfodrassimo, pur una volta, la spada in danno d’un innocente. Ma vedendosi tanto tiranicamente trattati dalla crudeltà d’alcuni Cittadini, che doppò haver à noi meschini, e d’ogni cosa bisognosi involate le sostanze giornalmente, ci facevano condur legati in oscure prigioni. Fussimo perciò costretti ricorrere all’estremo ripiego, per diffendere queste nostre stancate vite, da tanti lor insulti: acciò usurpatoci il rimanente de beni di fortuna, restassimo almeno sicuri, e liberi ne campi. Ne perciò mai fù persa, ne sminuita la riverentia dovuta alla tua grandezza, fossimo sempre obedientissimi sudditi, & reverentissimi servitori.
Non havessimo già noi pensiero (guardaci Iddio) mover guerra alla bontà: Non può petto humano arrivar à tanta sceleratezza, se in se non andassero tutti gli demonij infernali, sei troppo benigno. Contra la benignità non han forza l’armi, le fiere medeme rendonsi mansuete con la piacevolezza: prendessimo (credilo sapientissimo Prencipe) l’armi contro chi solo ci perseguitavano, è lecito rintuzzar forza con forza, le stesse vostre leggi lo concedono, non dovrai dunque tenerci ribelli. O in quanto diverso stato siamo dalli nostri Avoli, Sian pur sempre benedetti quelli antichi Cittadini, horsù han seco condotto la bontà in Cielo, restò il scetro in mano della crudeltà. Eran soliti quelli dar ogni soccorso alli Villani, che lavoravano gli lor campi, mettevano ogni diligenza, non sparmavano à fatiche per diffendere gli loro Coloni, e Fittalini.
Questi ci trattano con severità, ci conculcano, ci opprimono con la lor impietà, è pur han da suoi maggiori havuti esempi d’aiutarci. Ne di ciò è da maravigliarsi essendo eglino huomini perversi, gionti all’apice dell’iniquità, più crudeli delle stesse Tigri ne capaci di moral bontà. Aiutarci loro? anzi ci vedrebbon volontieri nel profondo delle miserie: poveri Contadini.
Quindi comminciorno le rovine de nostri Villani, quella volta principiarono andar sotto i piedi, à sminuirsi le lor mercedi, inalzarsi gli affetti, se vedevano che le Campagne rendessero qualche fiata, per buona fortuna, l’abbondanza, riusciva in nostro danno, in nostra rovina s’alteravano subito gli aggravij, quell’abbondanza era una penuria. Gli Campi se una sol volta erano, per ultimo sforzo, concorendo opportuni influssi, stati fertili, le gabelle sempre duravano, mai si sminuivano, vendevano per poco, ò nulla gli carri, l’angarie eran sempre il suo rigore, di qui nacque la nostra calamità, perdessimo tutti gli beni di fortuna, cadendo in mano de Cittadini: con tutto ciò lo sopportavamo in pacienza, attendevamo alli Campi, à coltivar la terra in santa pace, ancor vivevamo contenti della nostra sorte. Non si contentarono gli Cittadini, che non havendo più in che perseguitarci ne beni stabili, e nella borsa, si diedero a perseguitarci nelle proprie vite, facendoci di quando, in quando torre dalli arratri alle priggioni: Considera, giustissimo Prencipe, le nostre cause, sarà possibile, che quella tua innata pietà non compassioni tante nostre sciagure.
Da tante violenze, ed oltraggi provocati, fussimo sforzati riccorrer all’armi, ci restava questo solo refuggio per aiutarci, non già acciò, scacciato, e sbandito Te, nostro amato Prencipe, è padrone dalla Città, volessimo dominare. Il che ben sovente fecero congiurati contro gli lor Prencipi molti Cittadini, alla scoperta si ribellarono questi dalli Vescovi, se poi si siano mossi dal duro giogo, e tiranide de magistrati, o pure d’estrema, è precipitosa ambitione di regnare, non ci è palese, ne à noi toca indagare quello, che non s’aspetta alli presenti nostri affarri, ben sappiamo, che gli fecero inauditi oltraggi, misero alcuni con ogni vituperio in ceppi, in oscure priggioni, altri sforzarono starsene lontani, sbanditi dal lor Vescovato, & essi con ogni temerità s’impadronirono della Città, e distretto.
Non habbiamo noi tentate cose si infami, mai desiderassimo fosse scacciato il nostro Pontefice, ne meno bramassimo Magistrati, ne Principati, meno richezze, ma ben si habbiamo procurata l’involataci nostra libertà. Animi generosi non puon senza di quella vivere, se perderla son constretti, anco la vita con quella prodigono volontieri; Non rovina l’una senza l’altra. Meno desiderassimo esser tanto liberi, che non volessimo riconoscere Te, e le tue leggi, fussimo sempre ambitiosi d’obedirti, & star alle tue ordinationi soggetti.
Ci parve però strano, e cosa iniqua, che nati liberi, in paese libero, sotto Città libera, fossimo costretti servire all’ingordigia, e rapacità de crudeli Cittadini, è cosa pazza il persuadersi, che noi habbiamo voluto mover guerra alla Città, e Chiesa di Trento, qual tante volte diffendessimo con l’arme in mano da suoi nemici, anzi deve ciascuno giudicare, che essendo noi stati senza ogni raggione esclusi dalle porte della Chiesa, e scommunicati, niun’altra cosa più ci provocasse à sdegno, che l’esser privati de beni, è ceremonie della Religion nostra Christiana, e quello che ci era prohibito per mal affetto, e malignità d’alcuni malvaggi Cittadini, determinassimo ottenere al lor dispetto: è restituire à San Vigilio, padron del nostro Vescovato, e protettore in Cielo, dator, è diffensore delli nostri raccolti, gli tralasciati sacrificij. Niun’altra fatica, niuna afflitione più di questa ci tormentava, che era il vederci per la sceleratezza d’houmeni superbi separati da quelli Altari, à quali siamo soliti dar gli incensi, & fare le nostre orationi, questa ramenbranza ci trapassava le viscere dell’anime nostre, era impossibile passarla senza risentimento. Per il che havevamo irrevocabilmente determinato esporci à qual si voglia pericolo, patire ogni pena, che restar privi delle antiche cerimonie Vigiliane: questo fù il principal mottivo, che ci indusse all’armi.
Credilo, sapientissimo Prencipe, più ci mosse, ed infiamò la superbia contra di noi d’alcuni tuoi Cittadini, che quelli tuoi decreti di non potere condurre gli nostri Vini nella Germania. Cosa di gratia povevamo fare, non potendo in altro modo resistere alla tirania; e fatione de nostri capitali nemici, vedendoci ad ongi passo con mille false imposture d’ogni parte insidiati? Ci convenne dal luogo alla fortuna, lo dassimo, anzi che molti de nostri senza lor colpa sono andati in essilio, senza lor minimo peccato sotto colore che la Republica vivesse quieta, per la lor lontananza, furon banditi, & mentre gli buoni Cittadini, desiderosi del giusto, è di diffendere gli oppressi innocenti, volendo contra gli malvaggi protegere la nostra causa, furono isforzati desistere affine che non nascesse per tali contese, à nostro pro intraprese, maggiori disconcij. Era poi la crudeltà de Cittadini gionta à segno, che non gli dava il core ci affligessimo tanto nelli estivi, è cocenti ardori delle campagne, compassionavano tanti nostri patimenti, e però ci facevano à forza condure in fresche, è ben oscure priggioni; Inaudita malvagità! pareva loro havessimo troppo bene nelle continue nostre fatiche, frà quelli gran caldi, e scorgendoci contenti della nostra miserabil sorte, ci facevano por alle strette, frà duri ceppi.
Si che fù necessario per liberarci da tanti oltraggi, ricorrere all’armi. Questa fù la causa di tante commotioni, e solevamenti, non solo contra la nostra Città, ma anche contra tutta l’Alemagna, & Italia. Ma dimmi per tua fè, che danni hà patitti per questi nostri tumulti la Città, è Chiesa di Trento. Mai gettassimo fuochi artificiati sopra i tetti, non habbiamo, come in molti altri luoghi si è fatto, distrutte Chiese, ne Altari: solo uscimmo e vero armati in campagna, si facessimo vedere pronti, non già per invadere, ne offendere in minimo neo la dignità Ecclesiastica, qual noi, e i nostri maggiori sempre l’habbiamo havuta in grande veneratione, e l’habbiamo portata in cima di queste teste, ma per raquistarci la perduta nostra libertà, per porre in terrore huomini perversi, è fargli una volta dessistessero della lor, contra di noi, spietata crudeltà, ti sarà da queste cause, ottimo Prencipe chiaro, più della luce di mezzo giorno, esser noi stati provocati, anzi necessitati dalla perfidia, e superbia de tuoi malvaggi Cittadini, ricorrere all’armi, modo il più glorioso di cercar la morte, qual sommamente bramavamo, ci pareva duro morir senza vendetta, in cotal guisa stimando haver conseguito l’un, & l’altro, la morte ci riusciva non tormento, ma requie, e fine di tante oppressioni, e travagli, la vendetta, è il sangue sparso de nostri tirani haverebbe soppitto ogni dolore, è cruciato di morte.
Ti preghiamo, Sapientissimo Prencipe, consideri, & resti chiarito, che noi fussimo spinti al consaputo periodo di pazzia, per haverci da per noi persuaso il meglio, e più opportuno ripiego, anche levataci ogni speranza di vita, da nostri mali uscir. Nel modo medemo, che voi, quali tenete gli scetri, è governi, giudicate frà ogni altra la più bella cosa il sapere, così noi (& incalza pollito, à contrario senso) mancandoci non solo gli governi, ma ogni cosa necessaria, giudicassimo più ispediente l’infuriare. La stessa stima, e riverenza che si porta alle ricchezze, leva l’inevitabil povertà. Frà le sozzure non hà luogo sani, e buoni consigli.
Ma perche tentassimo tener da noi lontana ogni ingiuria, & tiranica oppressione restassimo con si grande stragge disfatti, è pesti, e ritornassimo, sij dalla nostra disgratia, ò tua buona sorte scacciati, è sbatutti alle nostre povere case. Mà quanto minor utile conseguissimo dalla nostra frenesia, tanto maggior lode s’aggiunse al tuo alto sapere: teniamo di certo doversi annoverare frà le tue fortune, che gli tumulti di tante genti sijno stati permessi, e promossi à maggior accrescimento delle tue glorie, acciò più famoso, è chiaro si rendesse per le presenti nostre sciagure & ultima destrutione il tuo nome, nelli presenti tempi, tanto à Te non sarebbe avenuto per qual si voglia pace. Non sareste mai gionto à quel grado d’auttorità, senza mezzo nostro, intendessimo rovinar gli nostri nemici, gli malvaggi Cittadini, inalzassimo Te, con la nostra rovina t’habbiamo collocato in si alta stima. Confessiamo questo non esser stato nostro scopo, meno d’offenderti, t’habbiamo però giovato. Sei Prencipe generoso, riconoscerai il beneficio.
Per questo prendiamo animo, & con ogni sommissione ti scongiuriamo, che frà tante miserie de tuoi benche nel profondo delle miserie, però sviscerati sudditi, (dalla cui industria, è sudori viene puranche sostenuta la Città) vogli con opportuni consigli provedere, acciò le genti barbare non facino incursioni, e invadino il Territorio Trentino, dessolato, & essausto de Agricoltori. Accrescerai maggiormente la tua fama, se per tua benignità, e gratia ci sarà restituito, quanto da iniqui, e malvaggi huomini ci fù involato. Mà dirai, e stata cosa troppo vituperosa l’haver prese l’armi contra la Republica.
Già dicessimo che non prendessimo l’armi contra la Patria, fù solo nostro pensiero rimovere dalla Città, e precipitar quelli, che ci impediscono l’istesso naturale vivere, & il coltivare con rusticani stromenti la terra. Sù hai raggione, habbiamo, tratti da frenesia, pecato, fatti tutti gli mali che ci impongono gli nostri nemici, ad ogni modo non hà havuto la Republica dalla nostra pazzia tanto danno, quanto commodo, e honore altre volte, quando gli nemici mossero guerra al Trentino, perche quando, assediata la Città, se ne stavano gli Cittadini frà le mura rachiusi, tutti tremanti, all’hora noi prendessimo l’armi, e per liberar la Città facessimo cose degne d’eterna memoria.
Dunque acciò non resti più radicato nella tua memoria questo nostro ultimo, per ignoranza, comesso mancamento, che quanto, che altre volte con piena determinatione, e scienza facessimo à prò della Città, considera quello che più è conforme alla tua dignità, animi alti son più inclinati al beneficare, che alle vendete, più ramentano gli beneficij, che l’ingiurie. Fà ti preghiamo, che non habbi in Te più radice la temerità de Villani, che la conditione della tua dignità, non lasciar macchia alla tua reputatione, non permettere mai si possi dire, che habbi havuto più riguardo alla colera, che alla tua fama, habbi più condonato allo sdegno, che alla tua gloria.
Gli Prencipi grandi cercan immortalarsi col remettere l’ingiurie. Quindi tù, che vivi in alto seggio, quanto maggiormente gli Dei t’han inalzato, tanto con maggior dolcezza, e piacevolezza ci deve trattare. Si da alla fortuna, ciò che si da à poveri meschini, e proverbio volgare; Habbiam deposte l’armi, siamo venuti genuflessi. Non cercamo Castelli, Vescovati, ne commandi, come falsamente siamo imposturati, & accusati da chi malamente intende, & non vuol ricevere alcuna sodisfatione: non pretendiamo sijno da noi governate le Città, come credevano gli Trentini, non venissimo con tali pensieri al tuo conspetto, habbiamo imparato obedire, non commandare à Prencipi, pur che ci sij concesso il poter in pace far l’officio nostro: tenghinsi pur loro liberamente la Città, & noi lascino quieti frà campi. Godino eglino gli sontuosi Palazzi, e non molestino noi, sotto neri coperti di paglia, si tenghino gli lor governi, stijno nelli mai interroti aggi, che gli desideriamo ogni bene. Ci lascino solamente indisturbati frà le nostre povere Capanne, questo e non altro da noi vien bramato: viviamo come in essilio nelle nostre vil casuppe, con la povera nostra sostanza, acciò con essa potiamo allevare, è nudrire gli piccioli nostri fanciuli, che ancor vezzosi ricorrono alli abbraciamenti, e baci paterni, per rendergli habili poi; à somministrare con loro molti incommodi, è fatiche le delicatezze alli personaggi grandi.
Stiamo con certa speranza di ciò aspetare dalla tua Clemenza. Ti scorgessimo sempre di tal bontà, piacevolezza, e clemenza, che niun mai si partì da Te sconsolato, mai alcun frustatoriamente ti dimandò soccorso, è misericordia. Qui tacquero li Ambasciatori de Contadini.
Risposta del Prencipe alli Contadini. Sentita il Clesio l’ambasciaria di quei Villani, che s’affaticarono, e posero ogni studio per spurgarsi, & adossare ad altri il lor peccato, ancorche benissimo fusse informato delle lor sceleragini, (sapendo però che quella canaglia era l’istessa instabilità, pronta alla ricadutta, e ad ogni minimo soffio di contrario vento per lor natura lubrica ad impertinenti novità, e che era cosa humana dar aiuto all’huomo portato nelli tempestori naufragij,) havuta compassione del miserabil stato di quella vil turba, rispose non ritrovarsi, per quanto atroce fosse ogni sorte di tormento, che di gran lunga non sia inferiore al lor demerito. Ma havendogli scoperti pentiti de lor falli, accetava con buon animo le lor sodisfationi, sol smenticavasi di tutte l’offese, & oltraggi ricevuti, compensando con somma pietà, l’indignità di Maestà lesa; promettendogli in parola di Prencipe, che mai havrebbe permesso, fossero stati d’alcuno molestati.
In somma voleva far vedergli, quanto sijno frà di loro differenti gli costumi dei Prencipi, & i genij delli huomini di Villa. Ritornassero pure alli lor ritti, ne per l’avenire con minor diligenza conservassero la fede a loro Prencipi, di quella, che impiegarono nel coltivar gli loro Campi: assicurandogli, che le loro opere havrebbono reso il Prencipe, quale lo desideravano. Con questa risposta gli licentiò, si che più tosto gli liberò dalla paura, che dall’infamia.
Tale fù in questi tempi il tumulto nel distretto Trentino; & la guerra de Contadini sortì un tal fine. Ci compatirà il Lettore della brevità, habbiamo di molte cose raccolte queste poche, & poste alla memoria de posteri, non è dubbio alcuno, che haveressimo potuto dir molto di più, n’habbiamo molte per degni rispetti, passato in silentio, mai ci ha piacciuto prolisse Historie. Il nostro natural genio sempre si dilettò della brevità. Dirò bene, che la Chiesa Trentina pati assai minor danno, ed incommodo della Germania.
Furon in quella prese molte Città Ecclesiastiche; de quali molte, uccisi gli lor Vescovi, ò deposti furon spianate, ò abbruggiate. Perloche gli Trentini rendino pure gratie al loro Vescovo, se in Città libera, & esente Republica vivon liberi; Esso con la sua prudenza ruppe la temerità, & il mal nato ardire de Contadini: conservò la Città dalli incendij illesa, con la sua prudenza operò, che gli Villani habitanti nel Territorio Trentino, unite le forze con quelli della Germania, quali abbandonati gli arratri tumultuosi strepitavano, non passassero numerosi, armati, & arrabbiati in Italia; qual di già havevan posta in confusione, e paura, è, come havevan determinato, e conchiuso: violentemente non entrassero, è fracassassero quanto di buono in quella si trovava, si che infetti molti Christiani Catolici, restassero destrutti, ò almeno profanati i Tempij, ed Altari.
Il Fine dell’Undecimo Libro.