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310 | Delle Croniche di Trento |
deltà d’alcuni Cittadini, che doppò haver à noi meschini, e d’ogni cosa bisognosi involate le sostanze giornalmente, ci facevano condur legati in oscure prigioni. Fussimo perciò costretti ricorrere all’estremo ripiego, per diffendere queste nostre stancate vite, da tanti lor insulti: acciò usurpatoci il rimanente de beni di fortuna, restassimo almeno sicuri, e liberi ne campi. Ne perciò mai fù persa, ne sminuita la riverentia dovuta alla tua grandezza, fossimo sempre obedientissimi sudditi, & reverentissimi servitori.
Non havessimo già noi pensiero (guardaci Iddio) mover guerra alla bontà: Non può petto humano arrivar à tanta sceleratezza, se in se non andassero tutti gli demonij infernali, sei troppo benigno. Contra la benignità non han forza l’armi, le fiere medeme rendonsi mansuete con la piacevolezza: prendessimo (credilo sapientissimo Prencipe) l’armi contro chi solo ci perseguitavano, è lecito rintuzzar forza con forza, le stesse vostre leggi lo concedono, non dovrai dunque tenerci ribelli. O in quanto diverso stato siamo dalli nostri Avoli, Sian pur sempre benedetti quelli antichi Cittadini, horsù han seco condotto la bontà in Cielo, restò il scetro in mano della crudeltà. Eran soliti quelli dar ogni soccorso alli Villani, che lavoravano gli lor campi, mettevano ogni diligenza, non sparmavano à fatiche per diffendere gli loro Coloni, e Fittalini.
Questi ci trattano con severità, ci conculcano, ci opprimono con la lor impietà, è pur han da suoi maggiori havuti esempi d’aiutarci. Ne di ciò è da maravigliarsi essendo eglino huomini perversi, gionti all’apice dell’iniquità, più crudeli delle stesse Tigri ne capaci di moral bontà. Aiutarci loro? anzi ci vedrebbon volontieri nel profondo delle miserie: poveri Contadini.
Quindi comminciorno le rovine de nostri Villani, quella volta principiarono andar sotto i piedi, à sminuirsi le lor mercedi, inalzarsi gli affetti, se vedevano che le Campagne rendessero qualche fiata, per buona fortuna, l’abbondanza, riusciva in nostro danno, in nostra rovina s’alteravano subito gli aggravij, quell’abbondanza era una penuria. Gli Campi se una sol volta erano, per ultimo sforzo, concorendo opportuni influssi, stati fertili, le gabelle sempre duravano, mai si sminuivano, vendevano per poco, ò nulla gli carri, l’angarie eran sempre il suo rigore, di qui nacque la nostra calamità, perdessimo tutti gli beni di fortuna, cadendo in mano de Cittadini: con tutto ciò lo sopportavamo in pacienza, attendevamo alli Campi, à coltivar la terra in santa pace, ancor