Trattato del piede/Parte prima/Sezione terza/2° Malattie particolari al piede, alcune delle quali estendonsi alla corona ed alla pastoja

2° Malattie particolari al piede, alcune delle quali estendonsi alla corona ed alla pastoja

../1° Malattie della corona e della pastoja ../3° Accidenti cagionati unicamente dalla ferratura IncludiIntestazione 3 gennaio 2017 25% Da definire

2° Malattie particolari al piede, alcune delle quali estendonsi alla corona ed alla pastoja
Sezione terza - 1° Malattie della corona e della pastoja Sezione terza - 3° Accidenti cagionati unicamente dalla ferratura
[p. 158 modifica]

Art. 2.° MALATTIE PARTICOLARI AL PIEDE,

ALCUNE DELLE QUALI ESTENDONSI

ALLA CORONA ED ALLA PASTOJA

§ 1.° chiovardo, gavardo, chiovo, mal d’ugna,

§ 1.° patereccio, panericcio (JAVART).

I chiovardi, affezioni sempre accidentali e molto frequenti soprattutto nelle grandi città, siccome Parigi, attaccano ora il piede, ora la corona, ora la piegatura della pastoja, e presentano diversi caratteri, differenti decorsi, secondo la sede e secondo la natura dei tessuti intaccati: vengono comune mente distinti in chiovardo cutaneo, tendinoso, incoronato od incornato semplice, ed incoronato cartilaginoso.

1° Il chiovardo cutaneo, che chiamasi anche giavardo semplice, venne paragonato al furoncolo dell’uomo, con cui ha maggiore analogia. Questo giavardo, al quale vanno più soggetti i piedi posteriori, risiede, siccome il furoncolo, nel corpo della cute; consiste pure nella formazione di un tumore [p. 159 modifica]scritto, accompagnato da dolore e da calore più o meno forte. Questo tumore che può acquistare un volume considerevole, e la di cui superficie si guarnisce alle volte di tubercoli terminati a punta, prende di verse tinte, finisce col formare ascesso e dà luogo alla formazione di una massa filamentosa, tenace, puri forme, chiamata chiovo, chiodo, marciume, capo morto (bourbillon), la cui caduta non tarda molto a succedere. Il giavardo furoncoloso si sviluppa nella piegatura o sui lati della pastoja, riconosce ordinariamente per causa i fanghi acri, il letame, le urine nelle quali i cavalli camminano o soggiornano troppo a lungo; le contusioni, le punture, il sucidume possono eziandio generare queste sorta d’alterazioni. Alle volte non appare che un solo furoncolo , altre volte se ne mostrano molti nel medesimo tempo; assai di sovente rinnovansi i chiovardi cutanei, ed i primi guariti fanno posto ad altri, che si stabiliscono a diversi intervalli. Queste riproduzioni hanno luogo tutte le volte che la parte ammalata resta esposta all’azione dei corpi irritanti, mentre si prevengono le recidive, tenendo la parte in salvo da queste stesse cause occasionali.

Durante il periodo infiammatorio, il tumore duro e renitente si eleva insensibilmente, diviene rossastro, poi violaceo ; dopo aver acquistato un certo accrescimento, comincia a rammollirsi soltanto alla sommità, poichè la sua base conserva ancora della durezza per lungo tempo. L’epoca del rammollimento è anche quella della formazione di un ascesso, il quale [p. 160 modifica]finisce coll’aprirsi una via al difuori. Il pus che scola è dapprima sanguinolento fino a che il capo morto siasi staccato, dopo di che diviene abbondante e di buona natura. La caduta del chiodo lascia vedere una piaga profonda, che riempiesi di stoppa e trattasi convenientemente. La suppurazione essendo bene mantenuta produce insensibilmente la disparizione del tumore, e la cicatrizzazione effettuasi in poco tempo, a meno non venga contrariata da una irritazione qualunque.

2° Il chiovardo tendinoso così chiamato perchè ha sede attorno ai tendini flessori, all’indentro od al l’infuori della loro guaina, è un vero tumore flemmonoso, più grave, più doloroso del furoncolo cutaneo, ed è, al pari di questo, situato nella piega tura della pastoja. L’intumidimento prodotto dal giavardo tendinoso propagasi con maggiore o mi nore rapidità, abbraccia tutta la corona, la pastoja, il modello ed alle volte una parte dello stinco. Questo chiovardo può essere superficiale o profondo; nel primo caso, non interessa che il tessuto cellulare sotto cutaneo, che unisce la cute ai tendini; vien detto profondo tutte le volte che l’infiammazione intacca la guaina falangea, e che il pus al quale dà luogo, s’insinua e s’accumula nella cavità di questa guaina. In quest’ultimo caso il tumore si fa grave; l’animale risente dolori insoffribili, tiene il piede costantemente levato, ed il più lieve contatto fa provare dolori vivissimi all’ammalato.

Il giavardo tendinoso riconosce le medesime cause [p. 161 modifica]del cutaneo, del quale non è sovente che un esito o degenerazione. Distinguesi per dolori acuti, per la resistenza dei tessuti al gonfiamento infiammatorio, per lo stato stazionario dell’intumidimento flemmonoso, per la febbre di reazione che diventa alle volte generale e determina l’anoressia ed il disordine nel l’esercizio delle funzioni.

Questa malattia è più comune nei cavalli da tiro, soprattutto in quelli che camminano continuamente nel fango o che abitano scuderie umide, nelle quali hanno sempre i piedi negli escrementi. Comincia assai di sovente con piccoli bottoni che s’aprono e sono rimpiazzati da altri, la cute della piegatura della pastoja intumidisce, diviene rossa, ed il dolore non tarda a rendere l’animale claudicante. Alle volte stabilisconsi fistole profonde, dalle quali geme un umore più o meno denso, fetido, puriforme, sanguinolento; alle volte la parte affetta sembra come disseccata; vi ha dolore, calore e tensione estrema; questo stato grave continua finchè il tumore siasi aperto e che il pus abbia trovato uno scolo al difuori. In certi casi la risoluzione s’opera senza suppurazione, allora la diminuzione dei sintomi infiammatori operasi assai lentamente e non si fa rimarcare che molti giorni dopo questa favorevole direzione. Allorchè il cavallo non può prendere alcun appoggio sul membro ammalato, e che tiene il piede costantemente ritratto, havvi luogo a temere la gangrena, come pure la riprensione degli altri piedi. In generale, la tensione ed il dolore persistente annunciano formazione di [p. 162 modifica]chiodi interni, collezione di pus nella guaina falangea e diversi guasti consecutivi, siccome carie delle ossa e delle fibro-cartilagini, ulcerazione di qualche legamento tendinoso od articolare, ec.

3° Il chiovardo incoronato od incornato semplice, così chiamato perchè ha sede sotto il corno, ed in corona, sopraggiunge per l’ordinario all’uno dei quarti, annunciasi dapprima con gonfiore infiammatorio e manifestasi per la materia, che trapela, che fugge dal disotto dell’ugnatura disunita dal cercine. Questa materia, che s’innalza dall’interno dello zoccolo, non presentasi sempre coi medesimi caratteri; alle volte è omogenea, bianca, untuosa, e costituisce un vero pus, avente l’odore di formaggio putrido; altre volte è sanguinolenta o bigia e mista al pus. In tutti i casi, la malattia determina una febbre di reazione tanto più forte quanto più è considerabile la resistenza. Lo zoccolo è caldo, l’animale risente molto dolore, zoppica più o meno, anzi sovente non può appoggiare il piede ammalato; siccome l’ugna produce una pressione costante, questi sintomi sostengonsi durante lo scolo della materia, e non diminuiscono se non sè allor quando i tessuti interni cominciano a non essere più irritati, sia che questi tessuti cedino da loro stessi, o vengano liberati dal corpo comprimente.

Quest’affezione sotto-ongulata può essere esito di lesioni stabilite dapprima nella corona o nella pastoja; risulta spesso da urti esterni sullo zoccolo: la ferratura può parimenti originarla. Tutte le volte che il giavardo incoronato non è che la [p. 163 modifica]complicazione o l’effetto d’una malattia primitiva, è facile stabilirne la diagnosi, come pure le basi del trattamento curativo. Se dipende da sovrapposte o da altri urti violenti, incomincia col calore dell’ugna e col dolore interno, limitati dapprima alla parte dello zoccolo in cui venne impressa l’irritazione. Questi primi sintomi aumentano d’intensità, prendono dell’estensione, e rendono la claudicazione vieppiù forte; sopraggiunge al dissopra dell’ugnatura un tumore molto caldo, il pelo si rabbuffa, ed il trapelare della materia indica il distacco dell’ugna. La malattia è poco grave, ed il suo decorso rapido, se l’ascesso trovasi poco profondo e non occupa, per così dire, che il dissotto dell’ugna. Non è ugual cosa, allorchè il giavardo ha sede nell’interno dello zoccolo. Allora la materia prova molta difficoltà ad uscire, spandesi internamente e produce diversi guasti prima di sortire dal lato del cercine; alle volte guadagna la faccia plantare del piede e disunisce la suola d’ugna, dal tessuto villoso; in altre circostanze propagasi nel quarto e determina l’ulcerazione della fibro-cartilagine laterale. Questi diversi disordini aggravano i dolori e la claudicazione; la febbre locale diventa generale e molto forte, havvi diminuzione o perdita totale d’appetito, l’animale rimane inquieto, dimagra molto, e la gangrena pone alle volte termine a questa serie di disordini.

Il chiovardo incornato cartilaginoso, caratterizzato dalla carie della fibro-cartilagine laterale, tal volta, ma di rado, da quella del legamento laterale [p. 164 modifica]anteriore, cagiona presso a poco i medesimi disordini dell’incornato semplice, situato profondamente.

Questa quarta varietà di giavardo, sempre grave, comincia con un’infiammazione, la quale in ragione della reazione dei tessuti progredisce rapidamente, non tarda a sviluppare una secrezione purulenta, infine la carie della fibro-cartilagine; da ciò consegue che questo chiovardo comincia coll’essere semplicemente incornato, e non diviene veramente cartilaginoso che all’epoca della formazione della carie.

Allora la malattia è complicata; si formano una o più fistole che comunicano all’esterno tanto per la parte superiore al dissopra dell’ugnatura, quanto pel dissotto del piede alla faccia interna del lembo inferiore della muraglia. Ma queste fistole si fanno strada più di sovente al dissopra dello zoccolo, e più di rado al dissotto del piede; quest’ultimo caso avviene allorchè il giavardo è esito d’ammaccatura suppurata, d’inchiodatura o d’ogni altro accidente di simile natura. Queste fistole ponno temere diverse direzioni, essere rette, oblique, od angolari, provano però sempre l’esistenza della carie e lasciano riconoscere il punto in cui questa carie si è stabilita.

La carie della fibro-cartilagine laterale (cartilagine aliforme), in generale più comune al quarto interno non è il più delle volte che un esito o risultato d’una sovrapposta, di giavardi primitivi; può anche essere determinata da distorsioni, da contusioni portate sullo zoccolo, da punture, da inchiodature, da ammaccature, da diverse ulcere e dallo spurgo alle gambe. [p. 165 modifica]La claudicazione che manifestasi dal principio, aumenta in ragione del dolore; alle volte le sofferenze sono tali, che il cavallo è costretto tenere il membro ammalato in una contrazione permanente e non appoggiasi che su tre gambe: questa attitudine forzata può, prolungandosi, portare la riprensione ai piedi sani, e produrre diversi accidenti spiacevoli. Le fistole stabilite al disopra dell’ugnatura lasciano trapelare un umore fetido, puriforme, di sovente bigio, sanioso, icoroso, e danno uscita a particelle verdastre, veri frantumi della fibro-cartilagine intaccata. L’apparizione di questi frammenti è segno certo della cronicità e dei progressi avanzati della malattia.

Il decorso del giavardo cartilaginoso è sempre più o meno lento, secondo il temperamento del soggetto e l’influenza delle cause occasionali. I cavalli di costituzione floscia, che hanno grossi e lunghi peli, la vorano molto tempo con queste sorta d’ulcere, soprattutto se non rendono che leggeri servizi, e se hanno i piedi al coperto d’ogni corpo irritante. Nei cavalli fini e nei quali la sensibilità è sovente molto esaltata, i progressi dell’affezione sono rapidi, ed i dolori divengono acuti. L’intumidimento infiammatorio si stabilisce prontamente nella corona, ed aumenta in pochi giorni, la materia non tarda a soffiare al pelo1; le fistole appariscono ed operasi il distacco [p. 166 modifica]del cercine. In questo caso i soccorsi devono essere pronti e giudiziosamente combinati, senza di che, la gangrena si dichiara ed il piede finisce collo scalzarsi.2

Il giavardo cartilaginoso, tanto facile a distinguersi, disse un antico ippiatro, quanto difficile a guarire, produce, allorchè venga trascurato o mal curato, la completa disorganizzazione del piede, ed inevitabilmente la perdita dell’animale. Tutte le volte che è accompagnato da spurghi cronici alle gambe, può considerarsi incurabile; la guarigione ne è lunga e molto incerta allorchè havvi lesione della capsula sinoviale, o del legamento articolare, laterale anteriore, allorchè la cute è disorganizzata e che lo zoccolo, è disunito in una grande estensione: è eziandio difficile a guarire nei cavalli fini ed irritabili.

Trattamento dei chiovardi. Varia secondo la sede dell’alterazione, secondo le cause occasionali, secondo i guasti interni, secondo la costituzione e l’età del soggetto. Il giavardo cutaneo non reclama, in genenerale, che cure di proprietà , le quali consistono principalmente nel non lasciare soggiornare la parte ammalata nel fimo e preservarla dai fanghi acri, siccome da ogni corpo irritante. Se l’infiammazione presenta una certa intensità, verrà combattuta coi bagni, coi cataplasmi emollienti, o colle unzioni d’un guento populeo, delle quali si continuerà l’uso, [p. 167 modifica]finchè i tessuti intumiditi presentano della tensione, fin chè il dolore è profondo, insomma fintantochè siavi a temere la degenerazione in giavardo tendinoso: nel quale ultimo caso, sarebbe prudente il non far lavorare il cavallo e tenerlo in scuderia, coi piedi asciutti, sopra un buono strame. Persistendo nell’impiego degli emollienti, giungesi sempre ad ottenere la formazione di piccoli ascessi, come pure la loro apertura all’infuori; si ricorre ai mezzi ordinari per favorire la suppurazione e produrre la risoluzione. Alle volte sopraggiungono escrescenze carnose, sorta di cerase, delle quali devesi eseguire l’amputazione, affine di rendere la piaga liscia, uniforme; nelle medicazioni conviene in allora impiegare liquori spiritosi oppure l’unguento basilico.

Giavardo tendinoso. La cura di questo è più complicata, e deve variare secondo i casi particolari che si presentano. Siccome questa sorta di giavardo incomincia sempre con gonfiamento e con dolore, così i primi mezzi da impiegarsi sono i bagni ed i cataplasmi emollienti, dei quali si continuerà l’uso finchè i tessuti sieno sciolti e che la risoluzione sia già avvanzata. Allorchè l’infiammazione è estrema, e che la febbre locale è divenuta generale, i topici calmanti sono insufficienti; è necessario secondare la loro a zione colla dieta, colle sanguigne e cogli antiflogistici. Malgrado tutto ciò, il tumore è alle volte molto ostinato; persiste a lungo senza prendere una direzione ben determinata, e senza che siavi sensibile diminuzione di dolore e di tensione. Qualunque sia [p. 168 modifica]lo stato stazionario della malattia, importa persistere nel trattamento calmante.

Il più delle volte il giavardo tendinoso forma ascesso ed apresi; ma vi sono dei casi in cui la risoluzione si opera senza suppurazione. È sempre assai difficile riconoscere l’esistenza degli ascessi, anche quando risiedono nel tessuto cellulare sottocutaneo, e questa difficoltà è maggiore tutte le volte che il focolare purulento è situato profondamente. Precetto generale si è, prevenire per quanto è possibile, l’accumulazione del pus nell’interno della parte, si soddisferà quest’indicazione praticando nel principio, anche prima della formazione completa dell’ascesso, un’apertura a favore della quale la materia purulenta potrà uscire, a misura che verrà secreta. Quest’apertura che si effettua collo stromento tagliente, con sisterà in una incisione longitudinale di diciotto a ventiquattro linee; comprenderà tutto lo spessore della cute sino vicino ai tendini e sarà fatta nel mezzo della piegatura della pastoja, vicino il più possibile al piede. Quest’operazione, esente da pericoli, è facile ad eseguirsi, dà scolo ad una certa quantità di sangue, e sgorga di molto la parte ammalata.

Secondo alcuni autori, il chiovardo tendinoso non viene mai operato sufficientemente presto: la divisione delle parti collo stromento tagliente, producendo costantemente la distensione dei tessuti infiammati, diviene vantaggiosa anche quando il tumore non ha disposizione ad aprirsi. Non discuterò sino a qual punto questa opinione, abbastanza accreditata, [p. 169 modifica]possa essere fondata; dirò solamente che in molte circostanze, l’incisione troppo precipitata, parve più nociva che utile. Resto convinto essere più prudente operare che quando il tumore non aumenta, quando resta stazionario, benchè abbiasi continuato durante qualche tempo l’uso dei bagni, dei cataplasmi emollienti e le unzioni di corpi grassi. La suppurazione una volta stabilita, verranno le medicazioni rinnovate secondo l’abbondanza o scarsità del pus, e le stoppe continueranno ad essere impiegate secche, se la piaga è di mite natura; nel caso contrario saranno spalmate di sostanze proprie a risvegliare l’azione languente delle parti.

La presenza della materia purulenta nella guaina tendinosa, che si annuncia con dolori eccessivi e con estrema sensibilità, richiede l’apertura di questa guaina, che si effettuerà facendo l’incisione precedente mente indicata. Essendo la guaina aperta alla sua parte inferiore, tra i due rami del tendine perforato, s’introdurrà una grande sonda scanalata, la quale servirà a dirigere il bistori, col quale si spaccherà dal basso in alto. Malgrado questa apertura, il pus potrà ancora accumularsi nella tasca che forma questa guaina dietro il tendine perforante3, ed è estre mamente difficile l’impedire il suo soggiorno in questa cavità profonda, che s’interna fino in vicinanza del sessamoideo minore. Ogni contro-apertura è impraticabile per dar scolo al pus contenuto in questo [p. 170 modifica]luogo; quelli che consigliarono questo mezzo come possibile e vantaggioso, diedero prova evidente di loro ignoranza, relativamente alla disposizione ed allo stato delle parti; le injezioni possono solamente soddisfare, fino ad un certo punto, l’indicazione di cui trattasi; dovranno eseguirsi con tutte le condizioni richieste, affine d’irritare il meno possibile e non aumentare gli accidenti. Queste injezioni detersive, complicheranno vieppiù le medicazioni, alle quali si procederà, come fu detto, e che verranno rinnovate a seconda del bisogno.

Le fistole dilavate reclamano in generale l’impiego del caustico attuale, a punta, riscaldato quasi a bianco, e portato sino nel fondo della cavità. La cauterizzazione col fuoco diviene alle volte necessaria verso il termine della malattia, per produrre la fusione dell’intumidimento; e si secondano gli effetti di questo topico coi vescicanti, o col miscuglio di sublimato corrosivo e trementina, secondo le circostanze e l’ostinazione del tumore.

Giavardo incornato semplice. Questa terza varietà di giavardo, i cui disordini sono sempre crescenti e molto pericolosi, reclama per primo mezzo curativo, un’operazione chirurgica, la quale consiste nel far cessare la compressione, limitare l’estensione del male e facilitare la sortita della materia purulenta.

Quest’operazione, che non viene mai fatta troppo presto, è semplice o complicata, secondo la sede e l’estensione del male. Allorchè il giavardo non consiste che nella formazione d’un piccolo furoncolo [p. 171 modifica]situato sotto il cercine, l’impiego degli emollienti e delle sostanze grasse basta il più di sovente per determinare alquanta suppurazione e produrre una completa guarigione. Tutte le volte che il centro puriforme è profondo e che la materia filtrò sotto l’ugna, bisogna sollecitare l’esportazione della porzione dello zoccolo, che ricuopre la lesione e mantiene una compressione pericolosa. L’esportazione di cui trattasi dovrà però aver maggior estensione di quella del focolare purulento, affinchè tutti i tessuti alterati si trovino allo scoperto, e che l’elaborazione del pus possa farsi in tutta libertà. Questa esportazione subordinata sempre ai guasti interni, si praticherà o in lungo e secondo la direzione delle fibre della muraglia, come nel caso di setola, oppure in traverso, e non comprenderà in allora che una parte di muraglia dal lato di sua unione coll’integumento. Quest’ultimo processo, cagiona in vero, minore disfacimento, ma è seguito da molti inconvenienti assai gravi, e rende spesse volte necessaria una seconda operazione. Nel caso anche in cui giungasi ad impedire la cacciata dei bottoni carnosi ed ottenere una buona rigenerazione d’ugna, lo zoccolo non ricupera la perfetta sua integrità, che per l’effetto della discesa dell’ugna (avalura), sempre molto lenta. In alcune circostanze, l’operazione del giavardo incornato si complica dell’esportazione in parte od in totalità della suola, che trovasi sollevata e staccata dal tessuto villoso.

Il piede sul quale proponesi estirpare una parte [p. 172 modifica]dello zoccolo deve essere dapprima preparato nel modo il più acconcio per facilitare l’operazione.

Incominciasi coll’ammollire l’ugna per mezzo dei bagni e dei cataplasmi emollienti; si opera in seguito coll’incastro, e si pareggia sino alla rugiada, affine conoscere se la materia non siasi propagata sotto la suola. Per mantenere l’apparecchio e facilitarne l’applicazione, si fabbricherà un ferro leggiero e che verrà, secondo i casi, o tronco d’una branca, o in cavato in un punto, o sottile come per la dissuolatura (Tav. III, fig. 17 e 21); si avrà cura di tenere il gambo che resta intiero, sufficientemente lungo e rilevato, pel passaggio e pel sostegno della legatura; per la stessa ragione, si porrà mente a non smussare l’angolo esterno del gambo tronco, e non si perderà di vista che il ferro deve stendersi e guarnire tutta la parte4. Se l’operazione deve essere grave e dolorosa, l’ammalato verrà tenuto a dieta per uno o due giorni.

Terminati tutti questi preparativi, si dispongono gli stromenti, come pure gli oggetti di medicazione, e poscia procedesi a coricare il cavallo su di un buon letto di paglia. L’animale essendo a terra e convenientemente fissato, l’operatore s’arma d’una curasnetta, colla quale pratica il solco necessario per isolare e staccare la porzione d’ugna, la cui esportazione venne giudicata necessaria. In ciò che [p. 173 modifica]concerne l’esecuzione di questa prima manualità, ci limiteremo a rammentare che i brevi colpi di cura snetta sono sempre i più sicuri, i più speditivi, e che importa giungere al vivo dapprima dal lato del cercine, e poscia da questo punto sino all’orlo inferiore della muraglia. L’estirpazione dell’ugna, che si effettua col mezzo dell’elevatore e di un pajo di tanaglie, esige le precauzioni prescritte, in questi casi, all’articolo delle Considerazioni generali sulle malattie del piede. Essendo il male messo allo scoperto, si recidono tutte le carni bavose, livide e di cattiva natura;si cuopre la piaga d’una faldella, si attacca il ferro imbrocciando, per quanto è possibile, i chiodi nei vecchi fori, e si procede all’applicazione dell’apparecchio. Si possono impiegare le stoppe asciutte; è però preferibile inzupparle nel vino tiepido, od in qualunque altro liquore più appropriato allo stato della piaga; queste si adattano molto meglio bagnate che quando sono asciutte. Le stoppe si fissano col mezzo d’una lunga benda od altra fascia di tela, colla quale si eseguiscono molti giri, i quali devono cssere disposti e stretti in modo da stabilire una pressione uniforme, senza la quale l’operazione potrebbe divenire infruttuosa. Si involge questo apparecchio con un pezzo di tela, che si ferma con un’altra legatura, e si fa alzare il cavallo, al quale si prodigano convenevoli attenzioni. A meno di circostanze accidentali, questo primo apparecchio non deve essere levato se non se allorquando la suppurazione sia in piena attività. Durante i calori estivi, [p. 174 modifica]l’intervallo dalla prima alla seconda medicazione non è, in generale, che di tre a cinque giorni; mentre nel verno può prolungarsi sino al sesto ed all’ottavo giorno, ed alle volte anche di più. Per le ulteriori medica zioni, non devono essere rinnovate se non quando il pus, accumulato sotto la stoppa, od altre circostanze particolari, ne prescrivono la necessità. Il veterinario non deve perdere di vista che, se le medicazioni hanno il prezioso vantaggio di detergere le piaghe, presentano anche il grave inconveniente d’irritarle; possono sturbare il travaglio salutare della natura e fargli prendere una direzione spiacevole, soprattutto se questo processo non fa che incominciare a stabilirsi.

Le escrescenze linfatiche (cerises), le produzioni parziali d’una nuova ugna sono le circostanze che contrariano il più di sovente la suppurazione della piaga. Al loro apparire, bisogna dirigere tutte le cure in modo da distruggere le compressioni che hanno fatto nascere e possono mantenere queste vegetazioni; se la superficie della piaga cambia di natura, prende un colore livido, violaceo,si cuopre di bernoccoli, si procurerà ricondurla al suo stato primitivo coll’impiego della tintura d’aloe e d’altre sostanze, e si avrà la massima attenzione acciò l’apparecchio applicato sulla parte eserciti ovunque una forte e regolare pressione. In quanto alle nuove produzioni cornee, importa non lasciare loro prendere troppo spessore, troppa consistenza, poichè determinano compressioni che possono dar luogo a diversi accidenti: si avrà [p. 175 modifica]dunque cura, ad ogni medicazione, d’assottigliarle collo stromentò tagliente; si avrà cura altresì di non andare sino al vivo, e si governerà la piaga in modo che questo nuovo strato s’estenda con uniformità e si riproduca egualmente.

I giavardi, la cui operazione non necessita che l’esportazione d’una piccola porzione d’ugna, sovra tutto allorchè tale esportazione non mette a scoperto la fibro-cartilagine laterale del piede (cartilagine aliforme), possono guarire siccome la setola, colla metodica applicazione d’un solo apparecchio, che si manterrà finchè la superficie della piaga sia ricoperta da un nuovo strato d’ugna. Ogni volta che si trova obbligato mettere allo scoperto una parte della fibro-cartilagine laterale, la malattia si complica tosto o tardi della carie di questo prolungamento dell’osso del piede, e questa funesta complicazione non si appalesa alle volte che all’epoca in cui la guarigione sembrava compiersi. Per evitare questa sorta d’accidenti spiacevoli, il veterinario non deve mai esitare ad amputare la fibro-cartilagine, quando ne dubiterà la carie ulteriore. Trovasi la cute deteriorata dall’operazione male eseguita, dall’applicazione inconsiderata del fuoco o di sostanze caustiche? la cura sarà lunga ed imperfetta. In questi casi l’integumento non si riunisce che incompiutamente all’ugna; formasi sovente un falso quarto, altre volte si stabilisce al dissopra dello zoccolo un tumore, specie di formella, la quale reca pregiudizio considerevole al piede e richiede la cauterizzazione col fuoco. Si [p. 176 modifica]verranno questi esiti funesti, tanto proteggendo la cute nel tempo dell’operazione, come pure medicando con attenzione e metodo, sovrattutto stabilendo una pressione conveniente ed assicurando la parte contro ogni qualunque irritazione.

Giavardo incornato cartilaginoso. La cura di questa ultima varietà di giavardo è alle volte molto semplice e non esige che la cauterizzazione, del punto cariato; ma il più delle volte cagiona scalfiture considerevoli, medicazioni a lungo continuate e le meglio combinate; in certi casi diviene impossibile ed incompleta, non ostante le cure prodigate. Così, la cura dei giavardi cartilaginosi riposa sovra due metodi distinti, il processo per mezzo della cauterizzazione e quello che consiste nell’estirpazione, nel l’ablazione di tutta la fibro-cartilagine intaccata. Quest’ultimo è, al giorno d’oggi, il più generale, quasi il solo usitato nella chirurgia veterinaria; i caustici ed il fuoco non vengono comunemente impiegati che nel principio della malattia, siccome una prova la di cui inconsiderata applicazione non contribuisce che ad aggravarla, a ritardarne la guarigione ed a renderla alle volte impossibile. Queste considerazioni ci determinarono a non parlare della cauterizzazione che in ultimo luogo, e dopo avere descritto il metodo da seguirsi per effettuare l’esportazione della fibro-cartilagine laterale cogli stromenti taglienti.

Modo di procedere per ablazione. Suppone costantemente una doppia amputazione, richiede in primo luogo l’operazione del giavardo incornato semplice, [p. 177 modifica]cioè la separazione del quarto dello zoccolo che cuopre la cartilagine da esportarsi. Effettuata questa, prima operazione siccome venne prescritto, procedesi alla disunione della cute colla parte della fibrocartilagine che ricuopre, e servesi perciò, d’una foglia di salvia a doppio tagliente, la cui convessità sia rivolta all’infuori. S’incomincia ad innoltrare tra queste parti lo stromento, che in seguito portasi ora avanti, ora indietro, fintantochè siasi giunto a scoprire tutta la superficie della fibro-cartilagine. Eseguendo i movimenti all’indietro, bisogna avere la precauzione di dirigere all’indentro il tagliente dello stromento, affine d’evitare la sezione della cute; si avrà egualmente cura di non agire molto colla punta, senza di che corresi rischio introdurla a tra verso gli integumenti. La fibro-cartilagine essendo compiutamente messa a nudo, se ne effettua l’ablazione con le foglie di salvia semplici5 e col soccorso d’una pinzetta a denti di sorcio; servesi anche di uno o due uncini piatti e bottonati, coi quali rilevasi la cute, onde avere maggiore prontezza nel l’operare. S’incomincia ordinariamente coll’esportare tutta la parte posteriore della cartilagine, la quale amputasi in due o tre colpi di stromento e che puossi staccare prima dalla parte anteriore con una [p. 178 modifica]incisione longitudinale, fatta con un bistori retto, seguendo la direzione della faccia posteriore della pastoja, affine d’aver maggior facilità nell’esportarla. Si recide in seguito a strati successivi la rimanente parte anteriore; si introduce dapprima la foglia di salvia al dissotto del suo lembo superiore, e mediante un breve e risoluto movimento, eseguito in semi-cerchio, dall’alto al basso, e dall’indentro all’infuori, si esporta un primo strato; continuasi nell’uguale maniera per gli strati successivi, fintanto che si avvicina al legamento laterale anteriore ed alla capsula sinoviale articolare; bisogna allora operare con molta circospezione ed esportare lamine sottili. Per rendere quest’ultima manualità meno pericolosa, si farà tenere il piede molto disteso e portato dal lato opposto a quello sul quale si opera; mediante questa posizione, la membrana articolare si trova distesa e non forma alcun gonfiamento; il legamento laterale diviene anche più distinto. Tutta l’attenzione che devesi avere, eseguendo quest’ablazione, si è di rispettar la capsula sinoviale, come pure il legamento laterale anteriore: è noto che queste parti aderiscono strettamente alla fibro-cartilagine, laddove questa finisce, trovansi immediatamente tanto il legamento, quanto la capsula. Bisognerebbe adunque limitare l’amputazione al punto di riunione; ma siccome non è molto facile fermarsi precisamente a questo punto, perchè riesce sempre pericoloso oltrepassarlo, così è, molto meglio lasciare alcune particelle o lamine di cartilagine, che si distruggono per l’effetto [p. 179 modifica]della suppurazione, D’altronde, l’esportazione completa della sostanza cartilaginosa esigerebbe molto tempo, e non si compirebbe sempre senza lesione delle parti che importa rispettare. Per giungere coll’amputazione il più vicino possibile al legamento ed alla capsula, servesi di piccole foglie di salvia, le quali devono essere bene assicurate, affine di non sviarle, anche quando l’animale eseguisce mosse violenti, contro le quali fa mestieri essere sempre in attenzione.

Il modo d’operare che abbiamo descritto non è tal mente rigoroso, che non sia suscettibile d’alcune modificazioni. Così si può, siccome fu detto, esportare la parte posteriore della fibro-cartilagine, senza prima separarla dalla parte anteriore, la cui esportazione esige sempre particolari precauzioni. In vece di esportare ad ogni colpo di foglia di salvia uno strato di cartilagine, lo si può fare a molte riprese, servendosi in allora d’una pinzetta a denti di sorcio, per afferrare e tirare all’infuori ogni porzione cartilaginosa che si amputa.

Allorchè non rimangono che alcune particelle di cartilagine, che troppo lungo e pericoloso sarebbe l’esportare, l’operazione è completa: ma se si lasciano sussistere delle porzioni intere di questa sostanza, bisogna aspettarsi allo sviluppo di nuove carie, le quali esigono una nuova operazione. Egli è d’osservazione generale che la suppurazione non distrugge le restanti parti cartilaginose che quando queste presentino poco spessore. [p. 180 modifica]Terminata l’operazione, ricuopresi la piaga con stoppa secca, ed attaccasi con quattro chiodi il ferro, che si preparò dapprima e che venne tronco del gambo corrispondente alla parte ammalata (Tav. III, fig. 17). Fissato il ferro al piede si procede immediatameute alla medicazione, la quale ha luogo nello stesso modo prescritto pel giavardo incornato semplice, ed impiegasi se occorre un uncino posticcio per francare con maggiore sicurezza l’apparecchio.

L’applicazione di questo primo apparecchio non esige che una sola particolare precauzione, di applicare cioè immediatamente la cute sulla superficie della piaga, o non mettere al dissotto che una faldella molto sottile. Il vacuo formato dalla distruzione della fibro-cartilagine sembrerebbe al primo aspetto dover essere riempito dalla stoppa; ma questa maniera di medicare dà sempre luogo a grossi cercini, i quali impediscono il perfetto ristabilimento dello zoccolo e mantengono più o meno pregudicievoli alterazioni. Il primo apparecchio non deve essere levato, siccome si disse, che quando la suppurazione sia in piena attività; le medicazioni verranno fatte e rinnovate, secondo le regole stabilite per la cura del giavardo incornato semplice. Fra gli accidenti che sono più a temersi durante il periodo della suppurazione, citeremo la perforazione della capsula sinoviale; complicazione molto grave e della quale si parlerà più lungi.

La chirurgia veterinaria deve ai Lafosse padre e figlio d’avere pei primi impiegato giudiziosamente il [p. 181 modifica]processo operativo che abbiamo esposto: se non sono gli inventori di questa maniera di procedere, hanno il merito d’averla perfezionata e d’averne dimostrati i vantaggi. Lafosse figlio consiglia di non levare tutto, il quarto dello zoccolo, e di non esportarne che la larghezza di un pollice dal lato dell’ugnatura; Solleysel aveva stabilito lo stesso principio, raccomandando di non mai disunire l’arco formato dalla muraglia. L’ablazione di tutto il quarto aumenta incontrastabilmente le scalfiture; ma questo metodo non ritarda già la cura, presenta anzi il prezioso vantaggio di facilitare l’operazione ed evitare compressioni perniciose.

Lo stesso Lafosse raccomanda espressamente di rispettare il legamento laterale anteriore, e dichiara, con ragione, che l’amputazione più o meno completa di questo legamento rende il cavallo storpio per sempre. Questo abile pratico avrebbe anche dovuto dire che questo legamento acquista, in alcune circostanze, una tessitura fibro-cartilaginosa, e che, giunto a questo punto, è suscettibile della medesima alterazione della fibro-cartilagine laterale.

L’apertura della capsula articolare viene in generale, risguardata siccome accidente grave, il più di sovente funesto. È importante entrare su questo particolare in alcuni dettagli, affine di ben precisare i casi in cui questa sorta di complicazione può avere esiti funesti, e quelli in cui non pregiudica sensibilmente e non diviene che di rado pericolosa. Tutte le volte che la lesione venne prodotta dallo [p. 182 modifica]stromento tagliente, durante l’operazione, si può ottenere la chiusura perfetta della capsula, avendo cura di comprimere convenientemente la membrana offesa, affine d’impedire l’introduzione d’ogni fluido nel l’interno dell’articolazione. Chabert consigliava impiegare in queste circostanze la pasta canforata, e d’applicarla immediatamente sull’apertura. L’esperienza prova che un semplice turaccio di stoppa secca è da preferirsi, e che raggiunge perfettamente lo scopo; questo turaccio, sufficientemente grosso ed abbastanza fermo per produrre una forte pressione parziale, tiene la membrana sinoviale applicata, quasi collocata contro le ossa e favorisce così la sua cicatrizzazione; ma importa che questo genere di compressione sia continuato durante un certo tempo, ed è facile il concepirne la ragione. Così pure devonsi avere le massime precauzioni allorchè si levano gli apparecchi, di non smuovere questo turaccio, rimpiazzarlo immediatamente, se, malgrado tutte le attenzioni avute onde conservarlo al suo posto, viene a levarsi colle altre stoppe. Coi riguardi che vengono prescritti, i lembi dell’apertura si avvicinano insensibilmente, finiscono col riunirsi e col produrre l’occlusione della tasca sinoviale. Questa cicatrizzazione terminasi e consolidasi vieppiù prontamente se l’apertura fatta alla membrana è piccola, e se la piaga principale mantiensi in buon stato. I frequenti movimenti della stoppa, e sovrattutto del tampone, l’impressione viva dell’aria, i colpi portati sulla parte ammalata, sono capaci di ritardare ed impedirne [p. 183 modifica]anzi la chiusura; e queste sorta d’irritazioni non producono che troppo di sovente l’ulcerazione della capsula articolare, la quale si perfora se non lo è di già.

In quest’ultima circostanza l’accidente è dei più gravi; in allora non solo i lembi dell’apertura non si avvicinano, ma si dilatano sempre più. La sinovia s’espande all’infuori, la materia purulenta penetra nell’articolazione, vi soggiorna ed altera le superficie diartrodiali delle ossa. Diviene in allora assai difficile, per non dire impossibile, arrestarne i guasti interni; e questi esiti tanto spiacevoli si fanno rimarcare dall’aspetto stesso che prende la piaga, dalla natura dell’umore che ne cola, dai dolori eccessivi, che obbligano l’ammalato a tenere il piede in una contrazione permanente. Le medicazioni le meglio combinate sono di rado coronate da successo; il più di sovente non fanno che ritardare la morte dell’ammalato, che bisogna sagrificare, o che soccombe in seguito alla gangrena.

La capsula articolare forma alle volte un gonfiamento considerevole, che devesi sempre rispettare, e che rende conseguentemente l’operazione più dilicata. Questi tumori emisferici, che abbiano incontrati molte volte, e dei quali uno poteva avere la grossezza d’un uovo da gallina, spariscono mediante una pressione metodica, e non ritardano la guarigione della piaga. Possono essere ricoperti da una raccolta di pinguedine, e togliersi così alla vista; l’operatore deve dunque diffidare di queste masse adipose, e guardarsi dal portarvi lo stromento [p. 184 modifica]tagliente, prima d’essersi bene assicurato se ricuoprono o no la capsula sinoviale6.

Tutti i precetti esposti da Lafosse per effettuare l’esportazione della fibro-cartilagine laterale sono giudiziosi e generalmente adottati; ma questo autore non disse molto sulle circostanze suscettibili di complicare l’operazione e neccessitare precauzioni particolari. Spiace soprattutto ch’egli abbia nulla prescritto su ciò che convien fare allorchè havvi ossificazione più o meno avanzata della fibro-cartilagine. Questa complicazione è però frequente, ed importa fermare le idee su questo soggetto, affinchè il veterinario non incontra, per la prima volta, questa sorta d’anomalia.

La trasformazione di cui trattasi procede costantemente, siccome fu già detto alla pagina 39, dalla trovisi imbarazzato allorchè metà del lembo inferiore, ove la fibro-cartilagine s’unisce all’osso del piede, ed ha luogo in differenti maniere, il più ordinariamente si effettua con un ordine regolare; ascende, occupando tutto lo spessore della fibro-cartilagine; altre volte sviluppasi ed estendesi con filamenti o lamine ossee, disposte in cellule, gli interstizj delle quali sono riempiuti da una materia cartilaginosa. In alcuni casi, l’ossificazione non fa che occupare la superficie [p. 185 modifica] sterna della fibro-cartilagine, la quale trovasi in al lora composta di due strati, l’uno esterno, osseo, e l’altro interno, cartilaginoso.

Tutte le volte che l’ossificazione non fa che penetrare la cartilagine laterale e che la conversione non si opera che in modo imperfetto, importa estrarre tutta la parte osteo-cartilaginea, senza di che l’operazione diventa infruttuosa. Allorchè la guarigione sembra avanzata, sopraggiungono quasi sempre nuove fistole, e la malattia si riproduce con nuova intensità. L’esportazione di questa produzione osteo-cartilaginosa si eseguisce con diversi stromenti, siccome curasnetta, sgorbia, sega semi-circolare, coltello e pinzetta a becco di corvo. L’ablazione deve eseguirsi sino al punto in cui l’ossificazione si trova perfetta, e si avrà la precauzione di non lasciare sussistere nè resti di sostanza cartilaginosa, nè punte dure sul lembo dell’osso. Se l’ossificazione si effettuò in modo regolare, e che il restante della sostanza cartilaginosa non si trova mescolata alla materia ossea, bisognerà comportarsi secondo le regole ordinarie, e si amputerà tutta la parte della fibro-cartilagine non ossificata7.

Modo di procedere colla cauterizzazione. Gli antichi ippiatri non impiegavano, nei casi di giavardo cartilaginoso, che il fuoco od i caustici, che combinavano e variavano, a seconda della gravezza ed [p. 186 modifica]estensione del male. Questi metodi curativi furono presso a poco i soli seguiti sino ai Lafosse padre e figlio, i quali adottarono e fecero prevalere il trattamento per mezzo dell’ablazione della fibro-cartilagine. In una memoria pubblicata nel 1823 e ristampata nel 1825, abbiamo fatto conoscere in succinto i metodi seguiti dagli ippiatri anteriori ai Lafosse, per giungere a guarire la carie della cartilagine la terale; mezzi che consistono nell’impiego del fuoco e dei caustici. Non richiameremo qui le considerazioni nelle quali siamo entrati a questo proposito, ci limiteremo ad indicare le regole che conviene osservare, trattando il giavardo cartilaginoso colla cauterizzazione, tanto attuale che potenziale.

I caustici ed il fuoco, applicati immediatamente sulla fibro-cartilagine, determinano la sfaldatura, l’esfoliazione della parte che intaccano, o meglio, dei lembi della cavità che praticano; devono conseguentemente distruggere i punti cariati, tutte le volte che sono portati su questi e che vi producono un’azione sufficiente. Ma non agiscono che parzialmente, ed i loro effetti sono sempre limitati, non cambiando la disposizione dell’organo a contrarre nuove carie; si potrebbe anzi asserire che aumentano questa disposizione, eccitando l’afflusso dei liquidi nella parte ammalata, e producendo un’infiammazione intensa. Questo semplice esposto prova che la cauterizzazione non può divenire efficace che in alcune circostanze, e che deve essere impiegata con discernimento. L’esperienza comprovò che riesce molto meglio nei [p. 187 modifica]loni, nei quali la tessitura fibrosa è più sviluppata, mentre di rado succede allorchè è portata alla parte anteriore, ove la fibro-cartilagine è più densa e meno flessibile. È dunque importante, prima di ricorrere alla cauterizzazione, assicurarsi del punto preciso nel quale risiede la carie, impiegando a questo effetto lo specillo. Procedendo a questo esame, devonsi prendere tutte le precauzioni necessarie, affine di irritare il meno possibile, e non perdere di vista che l’introduzione sovente ripetuta dello specillo riesce pericolosa.

Il cauterio a punta è il solo convenevole, tanto per aggrandire le fistole come per portare il fuoco sui punti cariati; servesi anche di questo per operare la risoluzione e limitare i progressi di alcuni tumori che si manifestano in corona in seguito dei giavardi, e che si attaccano col cauterio a coltello (cauterizzazione trascorrente). L’azione del fuoco sulla carie della cartilagine laterale è sempre molto incerta, e Lafosse ha vera mente ragione di dire che non diviene efficace se non se quando l’alterazione risiede alla punta del tallone. È costante che la cauterizzazione potenziale offre maggiori dati favorevoli, e che merita la preferenza sotto tutti i rapporti. Il deutocloruro di mercurio è il caustico il più comunemente impiegato ed il più atto a soddisfare l’indicazione di cui trattasi. Per eseguire questo genere di cauterizzazione, si prepara dapprima un pezzo di sublimato corrosivo, al quale si dà la forma di un cono della lunghezza di cinque a sei linee, e di tre a quattro linee di diametro verso [p. 188 modifica]la sua base (trocisco). Si dilata la fistola, col cauterio a punta, o col bistori, in modo di permettere il passaggio al caustico, che importa inoltrare sino al punto cariato. Il pezzo di sublimato essendo giunto nel fondo della fistola e sulla fibro-cartilagine, si tura l’apertura esterna colle stoppe inzuppate nel vino caldo, affine di contenere in posto il caustico; si spalma di grasso tutto lo zoccolo, come pure la corona; si applicano alcune faldelle al dissopra del tampone, e si eseguisce la fasciatura. La presenza del corpo straniero nell’interno del piede aumenta tosto il dolore primitivo, determina il gonfiamento, la tumefazione in corona, e dà luogo ad una serie di fenomeni più o meno gravi, Così è necessario tenere il cavallo al regime, cavargli anche sangue; se i dolori, che vanno sempre aumentando sino alla formazione dell’escara, divengono considerevoli.

Dopo cinque o sei giorni, si leva il primo apparecchio, e levando le stoppe, bisogna aver cura di non smuovere il tampone che mantiene il caustico. Bisognerà dunque limitarsi a levare le faldelle, lavare la parte col vino caldo, pulire tutto il piede; in seguito, si eseguirà la medicazione, come la prima volta, e si continuerà nell’egual modo sino dopo la caduta dell’escara. Quest’ultima produzione si manifesta dapprima con un cerchio, che circoscrive una superficie scolorita della grandezza di circa una moneta da due franchi; la linea circolare diviene vieppiù apparente, e la parte circoscritta acquista una tinta nera; infine la separazione della parte morta [p. 189 modifica]s’opera insensibilmente da sè stessa, e l’escara finisce col venire espulsa. La caduta di questa sorta di capo morto non ha luogo ordinariamente - che dal decimo al quindicesimo giorno dopo quello dell’applicazione del corrosivo; si può sollecitarla smuovendo la massa colle pinzette a dissezione, ma questa manualità deve eseguirsi colla massima delicatezza; imperocchè ogni forte irritazione ritarda la cura, e può rendere la piaga di cattiva natura.

La parte morta, essendo caduta, lascia allo scoperto una piaga semplice, profonda, vermiglia, e che si cicatrizza prontamente, non esige che medicazioni ordinarie; ma se vi ha tumefazione della cute, si farà uso della tintura d’aloe, colla quale si inzupperanno le prime faldelle. Allorchè si dichiara una nuova fistola, segno certo di nuova carie, bisogna ricominciare la cauterizzazione, ciò che prolunga considerevolmente la cura e determina spesse volte a ricorrere all’ablazione della fibro-cartilagine.

Le cure da prestarsi all’animale operato variano a seconda del temperamento ed a seconda dello stato della parte ammalata. Non si deve perdere di vista che i soggetti irritabili esigono maggiori attenzioni dei cavalli pesanti da tiro, alcuni dei quali risentono appena l’azione del caustico. Questi animali possono anche continuare a lavorare, bisogna solo impiegarli di preferenza all’aratro od all’erpice.

I processi curativi che abbiamo fatto conoscere in succinto, presentano ciascheduno vantaggi ed in convenienti. Ogni volta che l’operazione è fatta a [p. 190 modifica]dovere, e che le medicazioni sono seguite da tutte le attenzioni dovute, l’ablazione produce una guarigione radicale. Ma questo modo di cura cagiona considerevoli disfacimenti, i quali non possono aver luogo senza grandi pericoli; la minima circostanza è suscettibile comunicare una cattiva i direzione alla piaga; la cura è in generale lunga, difficile ad ottenersi; il piede non ricupera la sua integrità primitiva che dopo un tempo molto lungo, anzi spesse fiate resta per sempre debole ed alterato. La cauterizzazione col deuto-cloruro di mercurio è un metodo semplice, facile ad impiegarsi; non esige alcuna scalfitura e non deteriora lo zoccolo che allorquando è inconsideratamente rinnovato; allorchè è seguito da successo, la guarigione è pronta, perfetta, ed il piede trovasi tosto in istato di compiere le sue funzioni. Sgraziatamente l’applicazione dei caustici non presenta risultati molto vantaggiosi che nel caso di fistole aventi sede in tallone; è sempre incerta allorchè l’ulcerazione trovasi nel davanti di questa parte. Siccome abbiamo fatto rimarcare, questa sostanza portata sul punto ammalato fa bensì sparire la carie, ma non cangia la disposizione della fibro-cartilagine a nuove alterazioni d’ugnale natura; tutto sembra provare, al contrario, ch’essa l’aumenta. Da ciò la formazione di nuove fistole, che appariscono durante e poco dopo la guarigione di quelle che furono combattute col deuto-cloruro di mercurio. Una prima cauterizzazione venendo a riescire infruttuosa, ne rende conseguentemente necessaria una seconda, alle volte [p. 191 modifica]una terza, una quarta, ec. La malattia, così protratta, cagiona delle spese, indispone i proprietari, e fa di sovente gettare il biasimo sul veterinario che consigliò questo trattamento. Questi inconvenienti non sono però gli stessi in campagna come nelle grandi città. La cauterizzazione sembrerebbe doversi sempre tentare nei cavalli da tiro, pei quali si ha la facoltà d’impiegarli a leggeri lavori di cultura, siccome all’erpice, all’aratro ec. La sorte è tutta in favore del proprietario, il quale, potendo far lavorare i suoi animali, non ha a sopportare alcuna spesa particolare e può evitare un’operazione grave alla quale si ha sempre tempo a ricorrere. Nulladimeno questo modo di trattamento presenterebbe tutti gli inconvenienti che abbiamo notati nei cavalli, i quali, in ragione della località, della conformazione e del temperamento loro, non saprebbero essere impiegati con utilità, aspettando i risultati della cauterizzazione. In quest’ultima circostanza non bisogna titubare a dar la preferenza all’operazione per ablazione, a meno che la carie non risieda in tallone, ove cede assai di sovente all’azione dei caustici.

§. 2° concussione, intormentimento, scossa dello zoccolo

(étonnement de sabot).

Con questo titolo si esprime una sorta di scossa, di commozione impressa al tessuto reticolare, e determinata da un colpo violento sullo zoccolo, da un urto molto forte contro un corpo duro, e sovente [p. 192 modifica] da colpi di mazzolo portati dal maniscalco per applicare la cresta del ferro, per imbrocciare i chiodi e ribatterli. Quest’ultima manualità diviene soprattutto pericolosa allorchè il piede è debole e dilicato.

Quest’affezione è una varietà, un genere particolare di riprensione; si palesa con un dolore vivo, con calore, dapprima parziale, poi generale del piede, alle volte anche con un suono sordo che manda lo zoccolo percosso col mazzolo, fa fingere o zoppicare più o meno l’animale, secondo il grado in cui trovasi portata.

Le scosse leggeri dello zoccolo cagionano poco dolore, si dissipano prontamente, guariscono da sole, o coi mezzi i più semplici. Quelle che cominciano con sintomi gravi sono pericolose e possono avere esiti fatali, esigono conseguentemente soccorsi pronti ed efficaci. Se l’accidente è recente, si avrà ricorso ai mezzi propri per abbattere l’infiammazione, o dissiparla, se non fa che incominciare, col l’impiego di sostanze fortemente astringenti. Si involgerà il piede ammalato in un cataplasma di fuliggine stemprata coll’aceto ed incorporata al bianco d’uovo; si potrà anche immergere il piede nell’argilla stemprata coll’aceto o col solfato di ferro, siccome verrà indicato all’articolo Riprensione. La sanguigna locale e praticata in punta può, sgorgando i vasi, favorire l’azione degli astringenti, rendere certa la risoluzione e prevenire qualunque esito funesto.

Se il dolore od il calore sono considerevoli, e che si tema la riprensione, è necessario favorire l’azione [p. 193 modifica] di queste sostanze colle frizioni al ginocchio od al garetto del membro malato, l’impiego delle quali verrà ampiamente descritto nell’articolo seguente. La concussione poco intensa, ma stabilita da più di ventiquattro ore, richiede soltanto l’uso dei bagni caldi e dei cataplasmi emollienti, quando è grave e trascurata, non tarda a degenerare in riprensione; produce alle volte il distacco d’una parte più o meno estesa dello zoccolo, oppure dà luogo alla gangrena.

§. 3.° riprensione, rifondimento, podo-flegmatite (fourbure)8.

Consiste in un’infiammazione più o meno intensa del tessuto reticolare, si stabilisce conseguentemente fra due corpi compatti e resistenti, penetra l’uno di questi, l’osso del piede, ed imprime diverse alterazioni, che non tardano a comunicarsi allo zoccolo, Quest’affezione è sempre esito d’una irritazione primitiva da dove risultano dapprima l’accumulamento di fluidi nella parte, poscia cambiamento d’azione, nuova secrezione, e tutti i fenomeni infiammatori. Sino dal principio si stabilisce un dolore profondo, vivo, che aumenta con maggiore o minore rapidità, si propaga alle parti superiori, guadagna insensibilmente tutto il membro e dà ordinariamente luogo ad una [p. 194 modifica]febbre generale. Continuando la malattia a progredire, determina l’intumidimento del tessuto reticolare, l’atonia dei vasi sierosi che penetrano l’ugna, infine la disunione parziale o totale dello zoccolo.

Alcune riprensioni hanno un decorso lento e graduato, sono poco dolorose, e non divengono perniciose che coll’andare del tempo ed allorquando non si applicano i necessari rimedj; mentre altre, tanto rapide nella loro invasione e decorso, quanto pericolose nei loro esiti, giungono in poco tempo al loro più alto grado d’intensità e non divengono che troppo sovente fatali all’animale. Era dunque utile per la pratica distinguere due stati particolari della malattia e riconoscere due sorta di riprensioni, l’una acuta e l’altra cronica. Nel primo caso l’affezione è accompagnata da dolore locale molto forte, da febbre generale, d’anoressia completa, d’abbattimento, e reclama soccorsi pronti ed efficaci. Essendo abbandonata a sè stessa, non tarda a produrre disordini molto spiacevoli, come la caduta dello zoccolo, la mortificazione delle parti, oppure dà luogo alla formazione d’una nuova sostanza fibrosa, lardacea, che si stabilisce immediatamente sotto l’ugna affettando varie forme; alle volte formasi uno spandimento di fluidi siero-sanguigni che s’accumulano tra le fogliuzze di carne e quelle d’ugna, si disseccano col tempo o divengono purulenti e spandonsi sotto la suola. La riprensione cronica, i cui progressi sono sempre lenti e più o meno oscuri, determina coll’andare del tempo la deteriorazione del piede; fa nascere il [p. 195 modifica]formicajo , il crescente, i falsi quarti, i cerchi; dà luogo alla deviazione della suola, alla sua separazione dalla muraglia; tra queste alterazioni molte possono esistere insieme o tutte nel medesimo tempo.

In generale, i piedi grassi, deboli ed ampi, sovrattutto allorchè sono piatti o colmi, trovansi più esposti alla reprensione, e devonsi porre in seconda linea i piedi a zoccolo piccolo, serrati o troppo compatti; ma la malattia è sempre più grave, più acuta in questi ultimi, nei quali la febbre di reazione è sempre più intensa.

Le cause della riprensione debbono riferirsi in tutti i casi ad accidenti esterni, od all’uso inconsiderato di certi alimenti e di certe bevande. Così la malattia può essere determinata da un lungo e forzato cammino, soprattutto su terreni duri, selciati o sassosi; risultare dal soggiorno troppo prolungato nella scuderia; dipendere da un appoggio forzato, troppo a lungo continuato, e occasionato da un piede ammalato che il cavallo tiene levato, mentre appoggia costantemente sui piedi sani, i quali si riscaldano insensibilmente e finiscono col cadere ripresi. I foraggi troppo sostanziosi o troppo riscaldanti, siccome i grani, alcune piante verdi che si somministrano agli animali senza precauzione, danno egualmente luogo alla riprensione; le bevande fredde, somministrate ai cavalli, soprattutto quando hanno caldo, la soppressa traspirazione, la ferratura che serra e comprime il piede, possono anche cagionarla. Attacca ora un solo piede, ora i due anteriori, [p. 196 modifica]od i posteriori, ed alle volte tutti quattro nel medesimo tempo, o successivamente l’uno dopo l’altro.

Vi sono dei casi in cui giunge, in venti o trenta ore, al più alto grado di suo incremento; altre volte non tocca questo punto che dopo quindici, venti ed anche trenta giorni.

Considerato in riposo, il cavallo ripreso si mostra sofferente, ha un’attitudine incerta, i suoi appiombi sono in diverso modo falsati; se è ammalato dei piedi anteriori, i posteriori si troveranno portati in avanti ed avvicinati al centro di gravità. Il contrario avrà luogo se i piedi posteriori saranno intaccati. Per queste diverse posizioni, cerca l’animale sottrarsi al dolore; sopraccarica i membri sani per sollevare gli ammalati. Allorchè il soggetto è ripreso dalle quattro estremità, vacilla, trema, tiene le membra divaricate, e rimane stazionario in questa attitudine. Il movimento del cavallo ripreso è sempre difficile e l’appoggio si eseguisce principalmente sul tallone, ove il dolore è meno forte. Allorchè è preso dai quattro piedi, non osa muoversi dal posto, pel timore di cadere; se può camminare, va barcollando e tremando. Quand’anche la malattia non sia che leggera, e senza calore marcato allo zoccolo, si manifesta pei movimenti del cavallo, il quale sembra camminare sulle spine ed appoggia molto più sui talloni.

La febbre locale che accompagna la riprensione è molto più pericolosa, allorchè lo zoccolo oppone molta resistenza al gonfiamento infiammatorio, resistenza che diviene causa essenziale della deviazione [p. 197 modifica]e deformazione dell’osso del piede. Durante tutto il periodo infiammatorio, i piedi conservano calore e dolori più o meno forti, i quali si fanno rimarcare anche nella pastoja e nella corona, dove sono quasi costantemente accompagnati d’intumidimento. Alle volte i muscoli situati alla faccia rotulea del femore, come pure quelli che occupano lo spazio triangolare formato dalla scapola e dall’omero; provano un tremito il quale non si calma che allorquando i dolori acuti diminuiscono d’intensità.

I segni che annunciano la riprensione, differiscono secondo i gradi ed i progressi del male; è accompagnata da febbre od esiste senza questo sintomo; nell’una e nell’altra di queste circostanze, il camminare del cavallo ne indica l’esistenza in modo non equivoco. Se la riprensione invade le due estremità anteriori, le posteriori sono più impegnate sotto il corpo; sostengono tanto più il treno anteriore, quanto sono più forti ed acuti i dolori dei piedi ammalati; la traslazione dei membri anteriori s’opera lentamente con difficoltà e dolore.

Il movimento delle estremità posteriori è tanto più stentato quanto più sono impegnate sotto il corpo; e la loro promozione sotto il centro di gravità è sempre in ragione del peso che sono obbligate sostenere; questa sopraccarica rende le loro azioni penose ed incerte.

Allorchè la riprensione invade le estremità posteriori, il peso e le forze sono distribuite in modo diametralmente opposto; è il treno anteriore che [p. 198 modifica]sostiene il maggior peso della massa; le gambe anteriori sono inclinate dall’innanzi all’indietro; la groppa è sollevata; il collo e la testa sono portate in basso; la marcia in questa posizione è ancora più penosa e più difficile»9. I membri anteriori sono obbligati sorreggere la maggior parte della massa del corpo; tremano, vacillano, e provano tosto gli effetti della riprensione.

Perciò la malattia è considerata come infinitamente più pericolosa allorchè attacca dapprima i piedi posteriori, poichè gli anteriori non tardano a provare la stessa sorte.

La riprensione, presa a tempo e curata come con viensi, resiste di rado ai mezzi messi in pratica; ma quando tocca certi gradi, diviene impossibile rimediare ai disordini impressi o già avanzati; non si possono che ritardare od attenuare. La sua intensità è alle volte tale, che rende vano ogni qualunque trattamento; l’affezione continua a progredire e finisce nel modo il più fatale. In ogni caso la medicazione deve avere per iscopo di diminuire l’afflusso degli umori verso la parte irritata, di sollecitare lo sgorgamento dei vasi intaccati, di ristabilire l’azione naturale dei tessuti. Gli sforzi devono tendere soprattutto ad abbattere l’incipiente infiammazione, come pure a prevenire l’intumidimento della espansione membraniforme (il tessuto reticolare), posta tra due corpi duri, che si oppongono alla sua dilatazione.

Se la riprensione dipende da altra malattia, bisogna [p. 199 modifica]cominciare col combattere l’affezione primitiva, distruggere la causa che, avendola fatta nascere, può mantenerla, aggravarla e renderla incurabile. Il primo soccorso da prestarsi ad un piede ripreso consiste nel disserrare il ferro e non attaccarlo che con quattro chiodi, si colloca in seguito l’animale su di un buon strame; lo si mette all’uso dell’acqua bianca, e lo si mantiene ad un regime tanto più severo, quanto più gravi sono i sintomi dell’affezione. Appena accortisi dell’invasione della malattia, bisogna tosto ricorrere all’uso dei bagni freddi; a questo scopo, si conduce il cavallo all’abbeveratojo od alla riviera, e tenendolo molto tempo nell’acqua. Nella scuderia si possono impiegare fomenti d’acqua salata, od acidulata, o carica di sostanze ferruginose, su tutta la parte inferiore del membro ammalato, e si ha cura d’involgere tutto il piede con cataplasmi astringenti composti come venne prescritto all’arti colo Concussione dello zoccolo. Se i vasi, benchè zeppi di sangue, non hanno ancora perduta la loro forza di tonicità, bisogna sollecitare l’evacuazione del fluido esuberante che contengono, ed opporsi ad un nuovo accrescimento; da ciò l’indicazione delle sanguigne ripetute alla giugulare, e degli astringenti attorno al piede. Alcuni pratici ottennero vantaggi marcati dal salasso in punta, il quale produce, siccome abbiamo detto nell’articolo precedente, un’evacuazione diretta del fluido accumulato nel sistema vasculare del piede. Alle volte l’infiammazione diviene stazionaria e ribelle; le frizioni spiritose ed irritanti [p. 200 modifica]attorno alla corona, alla pastoja ed al nodello, come pure le scarrificazioni praticate al dissopra del cercine, vennero consigliate da molti pratici per combattere questo stato sempre fatale.

Le derivazioni che si sollecitano colle frizioni irritanti sono al certo i migliori mezzi impiegati per trionfare delle riprensioni intense, esiti di fatiche, di corse o d’altre violenze esterne; ma queste frizioni fatte alla corona ed alla pastoja trovansi troppo vicine alla sede del male; la sperienza prova che riescono maggiormente vantaggiose allorchè vengono praticate al garetto od al ginocchio, e che si limitano a queste articolazioni. A tal uopo ponnosi impiegare tanto l’olio essenziale di trementina o di lavanda, quanto la tintura di cantaridi, a seconda dell’intumidimento che desiderasi ottenere, e che, una volta stabilito, fa cessare l’infiammazione del piede. È ottimo, anzi necessario far precedere questo trattamento da una forte sanguigna alla giugulare, come pure favorirne l’efficacità col rinnovare la sanguigna e coll’uso dei cataplasmi astringenti ai piedi ammalati. Se il cavallo è cattivo in modo che non voglia sopportare nè lasciarsi applicare i cataplasmi, si può praticare, nel luogo ove posa i piedi quando è tenuto in scuderia, un gran foro, che si riempie d’argilla stemprata nell’aceto o nella soluzione di solfato di ferro.

Una tinozza, od una vaschetta di pietra, interrata rasente il suolo, converrebbe al certo meglio per quest’uso; ma è raro il poter disporre d’alcuno di questi oggetti. Si lasciano soggiornare i piedi ammalati [p. 201 modifica]nell’argilla stemprata, e non si leva il cavallo da questa che per lasciarlo riposare durante la notte; se soffre molto e non possa coricarsi, è inutile sturbarlo; rimarrà coi piedi immersi nell’argilla, sintantochè i sintomi abbiano perduto di gravità. Siccome importa mantenere lo stato molle e la temperatura fredda all’argilla, si avrà cura d’aggiungere di tempo in tempo una certa quantità dei liquidi sopra indicati, che si verseranno a giusa di fomenti sulle parti superiori. Questo genere di bagno sarà molto più vantaggioso dei cataplasmi astringenti, i quali seccano prontamente e cessano in allora di togliere il calore alla parte; questo pediluvio basta sovente, per dissipare in poco tempo l’infiammazione e ristabilire lo stato normale.

Per far apprezzare i buoni effetti della cura della riprensione colle frizioni fatte al ginocchio ed al garretto, combinate all’immersione dei piedi ammalati nell’argilla, potrei qui rapportare gran numero di osservazioni che ebbi occasione di raccogliere; mi limiterò a trascrivere quella inserita nella prima edizione di questo Trattato, pag. 149.

Il 18 marzo 1813, un certo Barier, vetturale, ad Antony, vicino a Sceaux, venne consultarmi per un cavallo da tiro che manifestava tutti i sintomi della riprensione ai quattro piedi; era tristo, camminava con difficoltà, mangiava quasi nulla e soffriva sino dai primi giorni del mese. Consigliai al proprietario confidarmi l’animale per la cura e lasciarlo nelle scuderie della Scuola; invece d’arrendersi a’ miei [p. 202 modifica]suggerimenti, condusse a casa il cavallo, che di nuovo rimenò con molta pena il 21. A quest’epoca, l’ammalato non poteva quasi più sostenersi; i suoi piedi, soprattutto gli anteriori, erano estremamente caldi; era preso da febbre generale molto forte, rifiutava gli alimenti e le bevande, ed il suo stato molto grave lasciava poca speranza di guarigione.

Lo stesso giorno di sua ammissione nelle infermerie, fu sferrato dai quattro piedi, poscia fortemente frizionato alle ginocchia ed ai garetti coll’olio essenziale di lavanda. Il 22, nuove frizioni, cataplasmi astringenti ai quattro piedi, clisteri nitrati, ed un elettuario composto di polvere di genziana e liquerizia incorporata col miele. Questi diversi mezzi, continuati sino al giorno 29, non producevano cambiamenti molto marcati, mi decisi in allora cangiare trattamento. Le frizioni d’essenza di trementina furono sostituite a quelle di lavanda; si cessarono i cataplasmi, ed i piedi ammalati vennero immersi nell’argilla stemprata nell’aceto e nella soluzione di solfato di ferro; ma si persistette nell’uso dei clisteri e delle bevande nitrate. Le frizioni rinnovate per tre giorni consecutivi determinarono una considerabile tumefazione. Sino dal 1 aprile, il calore dei piedi sembrò meno intenso ed il cavallo meno sofferente; questo miglioramento si sostenne ed aumentò di giorno in giorno. Il 3 aprile, fu possibile far sortire e passeggiare l’ammalato su di un terreno dolce; la claudicazione diminuì prontamente, poichè era già sparita col giorno 5, e due giorni dopo si potè [p. 203 modifica]riferrare l’animale, il quale fu restituito al proprietario li 8 aprile.

Le riprensioni cagionate dal soggiorno nella scuderia o dall’uso di certi alimenti devono essere combattute, non solo colla sanguigna e coi topici indicati, ma eziandio coll’amministrazione interna di sostanze capaci d’eccitare vivamente il tubo intestinale e produrre una favorevole derivazione. I clisteri ed i purganti, combinati secondo la gravezza del male e secondo il temperamento del soggetto, soddisfano più di sovente l’indicazione di cui trattasi. L’acqua fredda, molto salata, e data tanto in clistere che in bevanda, produce alle volte felici risultati; deve anzi essere preferita ai purganti, tutte le volte che si avrà a temere l’azione di queste ultime sostanze sulla mucosa intestinale.

Le riprensioni croniche sono sempre ribelli, anzi di sovente incurabili. Se ne può tentare la guarigione colle frizioni risolventi e leggermente irritanti al nodello, alla pastoja ed alla corona; con cataplasmi emollienti ed alquanto risolventi attorno al piede; coll’amministrazione interna di medicamenti scielti, combinati e proporzionati allo stato dell’animale anmalato. Se vi ha debolezza, gli amari e la china-china possono riescire vantaggiosi; se esiste febbre e molto calore interno, si ricorrerà ai diluenti ed agli antiflogistici. Tutte le volte che una nuova sostanza, fibrosa o cotennosa si è formata sotto l’ugna, e tende a sollevare il corno e deviare l’osso falangeo (triangolare) diviene urgente sbarazzare il piede da [p. 204 modifica]questa produzione accidentale e praticare, a questo effetto, un’operazione chirurgica. Si diminuisce colla raspa, col la curasnetta obliqua od altri stromenti lo spessore della muraglia, che si assottiglia fintanto sia molto flessibile, e non possa opporre che una debole resistenza. Avendo molta cura di mantenere la flessibilità della parete, si giunge a ristabilire l’osso del piede nella sua posizione naturale; una buona riproduzione d’ugna si effettua dal lato dell’ugnatura; a misura che questa discende, scaccia e distrugge la sostanza accidentale, che formava corpo straniero.Se questa sostanza sotto ongulata era disseccata, ciò che distinguesi dal suo no vuoto che manda lo zoccolo, percosso dal mazzolo, bisognerebbe recidere o raspare tutto lo spessore della parte anteriore della muraglia, esportare in seguito con precauzione la parte. disseccata sino in vicinanza del vivo, che bisogna rispettare e non mettere allo scoperto. Questo processo operatorio è in vero più lungo e più difficile; ma presenta il prezioso vantaggio di sollecitare la guarigione ed assicurarne il successo.

La riprensione cronica che ha prodotti grandi disordini, deve essere classificata nel numero delle affezioni incurabili; può bensì non essere mortale, ma rende il cavallo incapace di qualunque servizio; deteriora vieppiù il piede, fa nascere il formicajo, il crescente ed altri gravi accidenti, [p. 205 modifica]§ 4° formicaio, carie, tarlo (FOURMILIÈRE)10.

Annunciasi con un tumore stabilito all’estremità inferiore della punta, il quale cresce insensibilmente e produce la deformità progressiva dello zoccolo. Dipendente sempre da un’alterazione del tessuto reticolare sottostante, è esito della riprensione, o della suola abbruciata dal ferro caldo, di soverchio tenuto sul piede. Giunto ad un certo grado, il formicajo si complica di cerchioni e d’altre alterazioni dello zoccolo. Il piede depresso in quarti, s’allunga in punta, la cui estremità si rialza, si contorna in alto, mentre dal lato dell’ugnatura offre una solcatura e sembra come ricalcato in dentro. Il tumore del formicajo, più o meno grosso ed esterno, è una specie di necrosi; proviene dallo sviluppo di una sostanza cornea, che si forma accidentalmente sotto l’ugna primitiva, la solleva e caccia in fuori, nello stesso tempo in cui questa devia indietro ed in basso la punta dell’osso del piede. La protuberanza di cui trattasi, suppone conseguentemente due sorta d’ugne sovrapposte: l’una esterna, più o meno arida e molto compatta, forma parte integrante dello zoccolo; la seconda, che è il prodotto della riprensione, isola il primo strato dall’osso del piede, e diviene vero [p. 206 modifica]corpo straniero che è necessario distruggere in un modo qualunque. L’ugna interna non ha organizzazione determinata; è una materia dura, informe, piena di diverse cavità che la rendono come spugnosa o vacuolare, e che rinchiudono una sostanza molle, alle volte disseccata; in quest’ultimo caso, lo zoccolo percosso dal mazzolo rende un suono particolare. Questa produzione morbosa, la quale nel principio non è che un fluido esalato nelle areole del tessuto reticolare, prende un certo accrescimento e passa successivamente dallo stato molle a quello corneo. Respingendo l’osso del piede in basso ed indietro, determina alle volte la disunione in punta della suola colla muraglia, e la malattia si complica del crescente.

I formicaj leggeri e poco estesi guariscono da soli e si dissipano colla discesa dell’ugna; bisogna però favorirne la caduta con ferrature rinnovate di so vente ed eseguite in modo da distribuire l’appoggio in quarti, come pure applicare attorno al piede sostanze grasse suscettibili d’ammollire l’ugna ed attivarne la cresciuta.

Esistendo la malattia con necrosi, richiede l’esportazione di tutte le parti mortificate, affine di favo rire la formazione di un ugna di buona qualità e dare all’osso. del piede la facilità di riprendere la sua posizione naturale. Prima di effettuare l’operazione, si apparecchia un ferro, con un incavo in punta (Tav. III, fig. 26), proporzionato all’estensione di muraglia che proponesi estirpare, si procede [p. 207 modifica]a quest’operazione, siccome venne spiegato nel caso di riprensione cronica, e si sorvegliano le medica zioni in modo da ottenere la guarigione per prima intensione.

§ 5.° CRESCENTE (CROISSANT).

ILO crescente manifestasi alla suola di punta, la quale forma un’esuberanza cagionata tanto dal formicajo, quanto da una produzione accidentale sviluppatasi tra la suola d’ugna e l’osso del piede. Nel primo caso, il più ordinario, l’alterazione è prodotta e mantenuta dall’ultimo falangeo, la cui punta spinta in basso ed indietro, preme la suola, l’obbliga a cedere e la mantiene sollevata. L’accidente, portato ad un alto grado, impedisce prodigiosamente il movimento; l’animale non potendo appoggiare che sul l’estremità dell’osso del piede soffre dolori eccessivi e non può rendere alcun servizio. La seconda varietà di crescente, dovuta ad una sostanza morta situata sotto la suola di punta, non si riscontra che di rado: questa sostanza devia l’osso del piede in senso contrario alla deviazione determinata dal for micajo; lo caccia in avanti ed in alto, lo comprime contro la punta della muraglia, la quale resiste o non cede che poco.

A misura che il crescente progredisce, le altre alterazioni del piede s’aggravano nei medesimi rapporti: così, la parete si dissecca, diviene vieppiù depressa, i cerchi si moltiplicano e la rendono rugosa; ad una [p. 208 modifica]certa epoca le articolazioni falangee, trovansi falsate, e l’animale fuori d’ogni servizio.

Il crescente, esito del formicajo, sparirà dal momento in cui si giungerà a far cessare la causa occasionale; tutte le cure devono dunque tendere a trattare e guarire la malattia primitiva che fu soggetto dell’articolo precedente. La seconda specie di crescente richiede un’operazione chirurgica, la quale consiste nell’esportare tutta l’ugna esuberante; anche una porzione di punta se il caso l’esige, recidendo in seguito tutta la produzione accidentale sotto-ongulata. Prima di praticare questa operazione, si avrà la precauzione di fabbricare un ferro proprio a facilitare le medicazioni, e mantenere l’apparecchio: questo ferro dovrà avere poca borditura, un certo grado di copertura, i gambi sottili, retti, alquanto rilevati, e porterà internamente alla punta un intaglio proporzionato all’estensione della porzione d’ugna che deve essere levata. Pria di mettere le pastoje al cavallo, si pareggerà a fondo il piede ammalato, la cui ugna sarà stata precedentemente ammollita; si potranno anche eseguire tutte le solcature necessarie, che non si compieranno però se non quando il cavallo sarà coricato e fissato convenientemente. L’ugna, essendo esportata coi mezzi ordinari, lascia allo scoperto la sostanza morta, che recidesi colla foglia di salvia, avendo cura di rendere la piaga liscia per quanto è possibile. Siccome l’applicazione dell’apparecchio deve sempre essere preceduta da quella del ferro, si cuoprono le parti vive con [p. 209 modifica]poca stoppa, si attacca il ferro con sei chiodi, tre per ogni gambo, e la medicazione ha luogo immediatamente. La stoppa contenuta mediante tre stecche ed una traversa, non verrà levata che quando la secrezione del pus sarà bene stabilita, e le ulteriori medicazioni avranno luogo secondo le regole prescritte per le altre piaghe del piede.

§ 6.° setole (SEIMES).

L’espressione setola è impiegata per distinguere le fessure o soluzioni di continuità molto strette che si stabiliscono sulla parete secondo la direzione delle sue fibre, e si distinguono, a seconda della loro posizione, in setole a piede di bue, in setole quarte o dei quarti. La prima varietà si fa rimarcare il più di sovente nei piedi posteriori, e divine molto frequente nei cavalli rampini. Le setole dei quarti attaccano più particolarmente il quarto interno dei piedi anteriori, poichè è il più debole e conseguentemente il più esposto a queste sorta d’accidenti. In generale, gli zoccoli aridi, secchi e ghiacciuoli vanno molto soggetti alle fenditure della muraglia, la quale si apre continuamente. Appena fatta sparire una divisione, se ne dichiarono altre, e questo rinnovamento ha luogo principalmente nei cavalli che hanno il piede grasso o poco consistente, e che si conducono in contrade la cui temperatura atmosferica, essendo molto più elevata, produce il disseccamento, il ristringimento del tessuto ungulato, e dispone in tal maniera lo [p. 210 modifica]zoccolo alle fenditure11. Quest’ultima circostanza, confermata dall’esperienza, spiega per quale motivo le setole si manifestano in gran numero nei cavalli da truppa che fanno campagna o lunghi viaggi durante i forti calori della state, ed in regioni molto esposte agli ardori del sole.

Le alterazioni di cui trattasi non riconoscono sempre per causa primitiva la cattiva natura dell’ugna o la conformazione viziosa del piede; possono anche venire determinate da piaghe in corona, o da giavardi mal guariti. La cattiva abitudine che hanno certi maniscalchi di raspare la parete, dispone il piede alle fenditure. Certe setole incomplete e, per così dire, superficiali non producono alcun dolore, nessuna notabile alterazione; altre, profonde, giungono sino al vivo, attaccano persino l’osso del piede, vi imprimono le loro traccie e cagionano più o meno forti claudicazioni.

Per giungere a far sparire queste divisioni accidentali e ristabilire l’integrità della muraglia bisogna ricorrere ad una operazione chirurgica distinta col nome d’operazione della setola, e che viene praticata in due modi: o facendo una semplice breccia verso l’ugnatura, oppure facendo ablazione dei due lembi della fessura, dall’alto in basso. Il primo mezzo, il [p. 211 modifica]più semplice e che distinguesi col termine volgare d’operazione ad imboccatura di flauto (opération en sifflet), consiste nel praticare una solcatura in forma di V, la cui punta inferiore acuta od arrotondata corrisponde alla rimanente fessura. Servesi a questo scopo di curasnette rette ed oblique, ed internasi più o meno secondo la profondità della soluzione di continuità, che trattasi distruggere col mezzo d’una uniforme rigenera zione d’ugna. Per ottenere questa rigenerazione è essenziale levare l’ugna sino all’intera disparizione della fessura, soprattutto verso l’ugnatura, da dove deve procedere la specie d’avalura propria a consolidare lo zoccolo. Operando in questo modo per guarire la setola si può assottigliare l’ugna sino in vicinanza del vivo; ma è necessario non oltrepassare questo punto: altrimenti producesi una piaga suscettibile di compressioni, di cerase ed altri accidenti spiacevoli. Questo metodo operatorio non può per conseguenza convenire che per le fessure incomplete e non aventi che una certa profondità. Allorchè la porzione di zoccolo assottigliata conserva molta resistenza, la medicazione si limita all’impiego d’una sostanza grassa sulla parte ed intorno alla corona: queste unzioni, suscettibili d’impedire l’aridità dell’ugna e favorire l’accrescimento del nuovo corno, devono essere rinnovate tutti i giorni, finchè il piede si trovi molto solido e quasi ristabilito nel suo stato normale. Se la breccia venne fatta sino vicino al vivo, e che lo strato d’ugna sia molto flessibile, bisogna aver cura del piede ed impiegare un piccolo apparecchio per mettere la parte [p. 212 modifica]al sicuro del contatto dei corpi esterni: si riempie la cavità con stoppe, le prime delle quali spalmate di sugna o di tutt’altra sostanza grassa, e si fermano mediante giri di benda passati sotto i gambi del ferro.

Alcuni veterinarii non approfondano la solcatura sino al fondo della fessura: dopo aver levata parte dell’ugna sino ad una certa profondità, applicano una punta di fuoco sull’ugnatura, distruggono così tutta la soluzione di continuità, ed eccitano nello stesso tempo una buona riproduzione cornea. In questo caso, lo zoccolo conserva tutta la sua solidità, e non fa mestieri di alcuna medicazione, basta fare delle un zioni per sollecitare, come già si disse, l’accrescimento del nuovo corno12, e si può far lavorare il cavallo immediatamente, senza timore d’ulteriori accidenti.

Siccome abbiamo fatto rimarcare, l’operazione ad imboccatura di flauto non è vantaggiosa per le setole di punta che quando queste fenditure sono incomplete e quasi superficiali; ma conviene perfettamente per [p. 213 modifica]le setole quarte, anche quando sieno profonde ed arrivino al tessuto reticolare. In quest’ultima circostanza, è necessario applicare una punta di fuoco sull’ugnatura, affine di distruggere l’impronta della divisione che potrebbe esistere al cercine.

L’operazione della setola per esportazione dei due lembi della divisione riesce, in ogni caso, mezzo si curo di guarigione, a meno che il trattamento della malattia non sia affidato a mani inesperte. Questo processo operatorio, più complicato del primo, si eseguisce nell’eguale modo di quello prescritto per l’ablazione del quarto nel caso di giavardo incornato. Si comincia col praticare le necessarie solcature, dopo di che si effettua l’esportazione delle due porzioni d’ugna disunita, che si staccano nel medesimo tempo. Questa parte dello zoccolo, essendo levata, mette allo scoperto una piaga, che si ripulisce dai frammenti d’ugna sucettibili di produrre compressioni, dopo che si procede immediatamente al l’applicazione del primo apparecchio.

Prima d’intraprendere l’operazione della setola, è essenziale ferrare il piede, allo scopo non solo d’assicurare l’apparecchio, ma eziandio per mettere il cavallo in istato di camminare e di continuare il suo servizio dopo l’operazione. Il primo processo operatorio non esige che una ferratura ordinaria; si avrà soltanto attenzione di far guarnire il ferro nei punti corrispondenti alla divisione, come pure tenere i gambi sottili e retti pel passaggio della legatura, se è necessario impiegarla. Se la setola esiste in punta, [p. 214 modifica]si abbatteranno i talloni, affine di portare l’appoggio posteriormente e sollevare la punta. Allorchè trovisi nell’intenzione di esportare i due lembi della fenditura, bisogna apparecchiare ed aggiustare un ferro senza bottoni, incavato sul suo orlo esterno, nel punto corrispondente all’ablazione dell’ugna (Tav. III, fig. 26); sopra ogni lato della incavatura si leva una cresta, utile per sostenere la parte della muraglia che resta fissata al piede. Invece di un ferro incavato, si può impiegare un ferro sottile e prolungato in punta, che sarà più facile ad eseguire ed anche più vantaggioso.

L’operazione a foggia di V si eseguisce senza siavi necessità di sferrare il piede, mentre quella per esportazione dei lembi della divisione richiede dapprima lo sferramento, attaccando il ferro dopo l’esportazione della porzione ongulata. Il ferro essendo rimesso e fissato come conviene, si effettua la medicazione con stoppe dapprima preparate, delle quali le prime sono inzuppate di vino tiepido, d’acquavite diluita. In primo luogo si applicano degli stuelli contro i lembi dell’ugna, e si addattano in modo che producano una pressione forte ed uguale: si continua la medicazione con stuelli e piumacce, e si termina coll’applicazione della fasciatura, incrocicchiando ogni giro, affinchè l’apparecchio venga francato più solidamente. Se il cavallo operato deve lavorare, si consolideranno i giri di benda con uno o due uncini posticci che saranno stati preparati a quest’uso. sendo questo primo apparecchio metodicamente di sposto, può restarvi finchè la piaga sia coperta da [p. 215 modifica]uno strato d’ugna. La formazione di questo strato tanto vantaggioso costituisce una cicatrizzazione per prima intensione; si annuncia colla diminuzione del dolore e del calore che esistevano prima nella parte ammalata; coll’appoggio, che poco a poco diviene più sicuro; infine collo stato dell’apparecchio, che rimane collato sulla piaga.

Le fenditure cagionate e mantenute da ulcere alla corona si riproducono quasi sempre dopo che vennero operate; la guarigione non diviene radicale che quando si faccia cessare la malattia essenziale, la quale bisogna prima combattere.

§ 7° escrescenze cornee internamente allo zoccolo

(excrossances cornées en dedans du sabot).

Queste produzioni non si osservarono sino ad ora che alla parte interna della muraglia, dove formano protuberanze ineguali, più o meno grosse e prolungate, le une delle quali sono irregolarmente arrotondate, mentre le altre s’allungano in colonna; occupano talvolta tutta l’altezza della muraglia ed estendonsi dall’ugnatura sino all’orlo plantare. Queste sorta di tumori, generalmente più frequenti nei piedi anteriori che nei posteriori, si manifestano tanto nella punta quanto quarti; sono rari in mammelle, e non furono ancora rimarcati nei talloni; esistono con o senza alterazione esterna, sono semplici o com plicati da fenditure, da carie dell’osso del piede, ec. presentano cavità interne e possono anche essere fistolose. [p. 216 modifica]

Vatel, già professore nella Scuola reale veterinaria d’Alfort, ha il merito d’avere pel primo chiamata l’attenzione su queste ipertrofie, che distingue sotto il nome di kéraphyllocéles, e sulle quali annunciò nel 1825, una serie d’osservazioni pratiche13. Dieci di queste osservazioni pubblicate nel Recuéil de médecine vétérinaire14, fornirono i principali materiali, coi quali abbiamo compilato questo articolo. Le escrescenze cornee, esiti di setole profonde o di pressioni esercitate da creste troppo forti o troppo serrate, erano conosciute da molto tempo, e si sapeva che il mezzo curativo consisteva unicamente nell’esportazione della porzione di muraglia che portava questi tumori: ma non avevansi nozioni particolari sopra queste produzioni nei quarti ed in mammelle. Facendo conoscere, da fatti esatti, queste produzioni, indicando soprattutto i mezzi da mettersi in opera per giungere alla scoperta di quelle che sono latenti e non s’annunciano con alcuna lesione esterna, Vatel, rese un grande servigio alla medicina veterinaria.

Lo sviluppo delle produzioni di cui trattasi proviene incontrastabilmente da un’irritazione speciale del tessuto reticolare, punto centrale di vitalità e di nutrizione dell’ugna; ma la causa di questa irritazione, dalla quale risulta un cambiamento d’azione nella parte offesa ed in seguito i diversi fenomeni [p. 217 modifica]malaticci, non è sempre apprezzabile. Se le setole profonde, le forti creste, e le cattive ferrature, sono riguardate come suscettibili di produrre tali cambiamenti, molte escrescenze cornee tengono a circostanze assolutamente incognite. Aumentando i tumori deprimono la carne scanalata, l’alterano insensibilmente; penetrano nella sostanza stessa dell’osso, e vi formano delle loggie particolari; cagionano zoppicature più o meno forti, le quali diminuiscono o si dissipano momentaneamente per l’effetto del rammollimento dell’ugna. La regione nella quale risiedono, è sempre più calda, più dolorosa del restante zoccolo. Sovente havvi tumefazione alla corona ed alle volte rovescia mento all’indentro della parte dell’ugnatura che corrisponde all’affezione. In alcuni casi, il quarto affetto si deprime, mentre la punta sembra allungarsi. La maggior parte delle escrescenze sono accompagnate da fessure interne, che s’approfondano nello spessore della muraglia e si estendono secondo la lunghezza di questa.

È alle volte molto difficile anzi impossibile assicurarsi dell’esistenza di quelle ipertrofie, le quali non si manifestano all’esterno, con nessun segno proprio a farle distinguere. Il più di sovente, il dolore ed il calore dello zoccolo, e la tumefazione della corona, non sono nè abbastanza pronunciati, nè limitati sufficientemente perchè sia possibile dedurne una induzione sicura; possono d’altronde annunciare tutt’altra lesione fuorchè quella d’un tumore corneo. Bisogna avere ricorso all’incastro, pareggiare il piede a [p. 218 modifica]fondo e procedervi colla più scrupolosa attenzione. Tutte le volte che il tumore si prolunga al lembo inferiore della muraglia, lo si riscontra ad una certa profondità, il più delle volte si scuopre con una resistenza presentata all’incastro, e contro la quale l’operatore è obbligato impiegare maggior forza. Essendo tagliata al livello delle altri parti, questa colonna cornea forma una piccola superficie circoscritta, radiata e prolungata dalla parete nella suola; altre volte i primordi sono piccole fenditure, le quali lasciano trapelare un umore nero o sono disseccate: questi primi indizi della malattia devono determinare ad esplorare più avanti, fare le breccie necessarie per seguire la traccia dell’escrescenza, e riconoscerne la gravità. Se lo scolo dell’umore nero trasudato dalle prime fenditure scoperte aumenta a misura si abbatte il piede, vi ha certezza dell’esistenza del kerafyllocele fistoloso, e non si tarda a far penetrare la sonda nella sua cavità, la quale rinchiude sempre un umore nero molto fetido. La colonna che non ha cavità interna offre un tessuto denso, molto compatto, e si fa distinguere con una durezza particolare. In quanto ai kerafylloceli incompleti e più o meno distanti dall’orlo plantare della parete, non conosciamo ancora alcun mezzo per constatare la loro esistenza, a meno, non finiscano col produrre alterazioni esterne, capaci di farli scuoprire.

Il trattamento di questa malattia consiste unicamente nell’esportazione od ablazione della porzione dello zoccolo alla quale aderisce l’eminenza che [p. 219 modifica]forma corpo straniero. L’operazione di cui trattasi è assolutamente uguale a quella della setola; consiste nell’ablazione di tutto il kerafyllocele, e richiede le medicazioni secondo gli stessi principj. Dopo l’estir pazione dell’ugna e prima di procedere all’applica zione dell’apparecchio, bisogna avere la precauzione di recidere tutte le parti di carne nera e disorganiz zata, come pure rastiare le carie ossee. Ogni qual volta la piaga diventa pallida, granulata, e che i do lori sieno molto acuti bisogna sospettare lo sviluppo d’una esfoliazione dell’osso o qualche parziale com pressione. Si favorirà il processo esfoliativo coll’im piego della tintura d’aloe, e d’altre sostanze più at tive. Se si vuole sollecitare la caduta dell’esfoliazione, si potrà tentare di smuovere colle pinzette e con altro stromento, la parte ossea mortificata; ma questa nanualità deve eseguirsi con estrema dilicatezza, poi chè riesce sempre assai pericoloso irritare la parte. Si faranno cessare le compressioni parziali coi mezzi usati in simili casi, e che abbiamo indicati in molti articoli precedenti.

§ 8.° falso quarto (faux quartier).

Questo titolo s’applica a qualunque quarto dello zoccolo alterato da fessure o da asperità le quali presentino una certagravità; alle volte al diffetto di spes sore, di consistenza, di siccità dell’ugna, che può essere fragile e comprimere il vivo. Le differenti produzioni cornee che si staccano e formano prominenze [p. 220 modifica]irregolari, costituiscono egualmente il falso quarto. Questo genere d’alterazione è naturale od accidentale; nel primo caso, dipende dalla cattiva qualità del corno, essendone anzi un esito inevitabile ed incurabile. Il falso quarto vien detto accidentale tutte le volte che proviene da una causa indipendente dalla natura dell’ugna: così la riprensione, i giavardi incoronati, le fistole, le ulcere alla corona, e le cattive ferrature possono dare origine a questo accidente e renderlo più grave.

La cura del falso quarto varia secondo il grado in cui si trova portata la deteriorazione; consiste principalmente nell’uso ben ragionato della ferratura, la quale, essendo male combinata o male praticata, produrrebbe risultati molto spiacevoli ed aggraverebbe l’alterazione. Tutte le volte vi ha possibilità di stabilire un punto d’appoggio sulla forchetta, il falso quarto richiede un ferro a tavola, il quale deve, secondo i casi, avere tronco il gambo dal lato del male, od essere intiero; la borditura sarà sempre data in modo di far portare la tavola sulla forchetta e sollevare il quarto alterato, affine lasciargli libertà di rassodarsi (Tav. III, fig. 20 e 22). Il falso quarto scacciato da un avalura lodevole proveneniente dall’ugnatura, richiede frequenti ferrature, come pure l’applicazione di sostanze grasse od altre sostanze capaci di mantenere l’elesticità dell’ugna e favorirne l’accrescimento. Importa eziandio tener l’ugna assottigliata, affine d’impedire le compressioni, suscettibili di ritardare o contrariare la formazione del nuovo [p. 221 modifica]quarto. Tutte le volte che, non ostante le buone ferrature, il falso quarto continua ad essere doloroso ed a far zoppicare il cavallo, bisogna sollecitare la rigenerazione d’una buona ugna con tutti i mezzi possibili. Per giungere a questo scopo, s’incomincia col levare tutta l’ugna alterata e si assottiglia egualmente tutto il quarto; si pratica in seguito verso l’ugnatura un taglio trasversale della lunghezza dell’avalura che desiderasi ottenere, spingendo la curosnetta sino in vicinanza del vivo senza però scoprirlo15, e si mantiene sempre tutta la parte operata unta con sostanze grasse od involta in altre d’uguale natura. Se la riproduzione della nuova ugna, si mostra di buona qualità, basterà favorirla, ed il piede riprenderà in sensibilmente la sua primitiva integrità. Alle volte la malattia è portata ad un grado tale, che le parti sottostanti trovansi pure alterate: bisogna in allora procedere all’esportazione di tutto il quarto, operazione che si eseguisce come nel caso di giavardo incornato, richiede le medesime precauzioni e le stesse attenzioni. Siccome abbiamo detto precedentemente, ogni quarto falso dipendente da cattiva natura dell’ugna non è suscettibile di migliorare; ad onta d’ogni mezzo impiegato, non può acquistare le qualità che gli mancano. [p. 222 modifica]

§ 9.° avalura, discesa d’ugna (avalure)16.

L’avalura è la rigenerazione apparente ed accidentale d’un nuovo corno in una parte soltanto od in tutta l’estensione della muraglia; rigenerazione che prende più comunemente origine dall’ugnatura, spinge, scaccia l’ugna vecchia e si dilata discendendo verso l’orlo inferiore della parete. Questo rinnovamento corneo si fa sempre rimarcare da una proeminenza circolare, e sovente da una depressione che esiste con o senza disunione. Allorchè l’avalura è generale ed abbraccia tutta la muraglia, si dice che il cavallo fa piede nuovo, e fa quarto nuovo allorchè la discesa non si rimarca che nel quarto. Tutte le volte che l’avalura ha luogo in una maniera regolare, e che si annuncia con apparenze favorevoli, bisogna coadiuvarla e sollecitarne il decorso con appropriate e di sovente rinnovate ferrature, come pure coll’uso di sostanze grasse. [p. 223 modifica]

§ 10.° ammaccatura, compressione, contusione dei talloni (foulure des talons).

Questo genere di lesione riconosce per cause, le compressioni ripetute e troppo a lungo continuate su terreni duri, irregolari, pietrosi; e si fa rimarcare principalmente nei cavalli che camminano sui talloni. I gambi del ferro troppo forti, troppo lunghi e male aggiustati, possono parimenti produrre l’ammaccatura dei talloni.

Le contusioni od ammaccature di cui trattasi sono suscettibili siccome le sovrapposte profonde, di cagionare dolore, far fingere o zoppicare l’animale, dar luogo infine a gravi alterazioni, come giavardi incornati. Siccome i talloni esposti ad essere ammaccati sono sempre bassi ed ordinariamente accompagnati da una forchetta grossa, il ferro a tavola (pianella) sarà il mezzo terapeutico il più efficace per guarire e prevenire questa sorta di lesione. Se l’ammaccatura proviene da cattiva ferratura, la prima indicazione consiste nel far cessare la causa; si giunge in seguito a calmare il dolore e determinare la guarigione dell’ammaccatura, avendo ricorso agli emollienti, alle sostanze grasse o ad ogni altro mezzo semplice. [p. 224 modifica]

§ 11.° forchetta riscaldata. (fourchette èchaaufée).

Leggera alterazione, che non è pericolosa se non quando non vi si arrechi niuna attenzione e che si lasci sussistere la causa occasionale. Questo genere di lesione consiste nel trapelamento di un umore puriforme, nerastro, che si accumula, soggiorna nel vuoto della forchetta e può produrre diverse alterazioni.

La forchetta si riscalda allorchè pareggiando il piede non si ha cura di sbarazzarlo dalle sovrabbondanti produzioni cornee, che ritengono la materia irritante nel fondo della sua cavità triangolare; diventa riscaldata particolarmente pel soggiorno prolungato dei piedi in luoghi umidi e mal tenuti, soprattutto nell’urina e nel fimo.

La prima precauzione da aversi nel caso di forchetta riscaldata, consiste nel sottrarre il piede a tutto ciò che può mantenere od aggravare l’alterazione: si porrà conseguentemente il cavallo in luogo secco, e si avrà cura di non lasciar soggiornare i piedi negli scrementi o nel lettame impregnato d’urina. Se l’alterazione è leggiera o non sia che incipiente, basterà sbarazzare dalla esuberante ugna il vuoto della forchetta e tenere la parte pulita. Allorchè vi ha neccessità d’arrestare i guasti già avanzati, bisogna incominciare collo sferrare il cavallo, si pareggia in seguito il piede, e si abbatte sufficientemente l’ugna onde mettere allo scoperto i seni, nei quali [p. 225 modifica]soggiorna la materia, come pure le piccole cavità dalle quali geme; dopo ciò, si può umettare la parte coll’acqua nella quale vi entri molto aceto o carica d’acetato di piombo liquido, e queste lozioni verranno replicate una o due volte al giorno, finchè il trapelamento sia compiutamente soppresso. Questo semplice trattamento basta ordinariamente e produce una pronta guarigione.Se l’affezione ha già fatti progressi e che abbiasi a temere la degenerazione in forchetta imputridita, è necessario raddoppiare d’attenzione e favorire l’efficacità dei mezzi sovraindicati con una appropriata ferratura. Si farà uso di un ferro a lunetta (fig. 10), o semplicemente a gambi raccorciati, e si abbatteranno i talloni, affinchè non partecipino che leggermente all’appoggio.

§ 12.° forchetta imputridita (fourchette pourrie).

La forchetta imputridita, è un esito della forchetta riscaldata, dalla quale non differisce se non in quanto che l’alterazione è portata ad un grado molto più elevato. Siccome lo indica il titolo, questa malattia è caratterizzata da una specie di putredine che si stabilisce alla forchetta; l’ugna di questa parte dello zoccolo diviene molle, filamentosa, poco coerente, si distrugge insensibilmente sino al vivo, lascia gemere un umore nero puriforme, molto fetido, avvicinantesi per l’odore a quello del cacio imputridito. Ad una data epoca si stabilisce nella parte ammalata un prurito considerevole, il quale determina il cavallo a [p. 226 modifica]zampare, a percuotere frequentemente il piede sul suolo.

La forchetta imputridita non essendo che una degenerazione della forchetta riscaldata, riconosce assolutamente le medesime cause, si tratta nell’egual maniera e cogli stessi mezzi, esige solo cure molto più lunghe, più regolari, e l’uso indispensabile d’un ferro a lunetta od a gambi raccorciati: si possono impiegare con utilità polveri essiccanti proprie a far cessare lo scolo dell’umore; conviene alle volte ricorrere all’applicazione d’un piccolo apparecchio, il quale assomiglia a quelle della dissuolatura, e consiste nell’impiego di stoppe e di stecche.

Questo apparecchio presenta il vantaggio di mettere la forchetta in sicuro dell’influenza delle sostanze irritanti, e mantenere in contatto le polveri od altre sostanze messe in uso. Allorchè le cure ed i mezzi suindicati divengono inutili e la malattia continua a far progressi, bisogna prepararsi a veder comparire il cancro, affezione che qui sotto descriveremo.

§ 13.° rospo, porrofico, cancro, fungo e fico da alcuni ippiatr (crapaud et fic par des hippiatres).

Quest’affezione si manifesta nelle lacune della forchetta, la quale incomincia coll’essere riscaldata, di venta in seguito imputridita, e prende quindi l’apparenza d’un’ulcera fetida, alla quale si diede il [p. 227 modifica]nome volgare di rospo17. Una volta stabilita, cangia, snatura il tessuto delle parti, i suoi progressi sono lenti, ma sempre crescenti, a meno si giunga ad arrestarla nel suo decorso e farla sparire; determina la tumefazione della forchetta, la cui ugna, dapprima molle e filamentosa, si carica poco a poco di irregolari vegetazioni, dal fondo delle quali trapela un umore icoroso, nero e fetido. Il fungo offre in generale caratteri particolari, che sarebbe difficile il ben definire; stabilisce, mantiene un processo speciale, trasforma l’ugna del disotto del piede ed i tessuti sottostanti in una sostanza spugnosa, come inorganica; questa sostanza getta radici interne, mentre che all’esterno dà luogo a diverse granulazioni fibrose. Questa anomala produzione si estende insensibilmente, si propaga da ogni lato, s’approfonda di sovente a traverso i tendini flessori, sino all’osso del piede, il quale viene più o meno profondamente alterato. Benchè molli e spugnose in apparenza, queste morbose escrescenze offrono però una certa consistenza e partecipano molto della natura dello scirro.

I segni precursori della malattia di cui si tratta sono i caratteri d’una forchetta imputridita ad un alto grado, e quest’ultima alterazione può essere considerata siccome passata allo stato di cancro, allorchè la sua ugna presenta delle filandre, dei fasci [p. 228 modifica]fibrosi e neri; allorchè l’umore escreto ha acquistato una tinta nerastra e che tramanda un odore fetido che più non assomiglia a quello del cacio vecchio. A misura che l’affezione progredisce, deteriora il piede e gli inuprime sempre maggiore volume. Così i talloni si scostano e deviano; la muraglia si dilata, si rovescia all’infuori e si disunisce in molti punti dalla suola; nel medesimo tempo l’ugna di queste parti si dissecca, si fende e si altera in diverse maniere. L’escrezione dell’umore del fungo aumenta in proporzione di questi morbosi cangiamenti, e giunge un’ epoca in cui il dissotto del piede presenta un aspetto schifoso ed esala un vapore infetto. Il suono sordo che rende lo zoccolo, allorchè viene percosso, dinota l’aridità della parete e la disunione di questa dal tessuto reticolare. Allorchè la suola e la forchetta sembrano confondersi e non formare più che una sola e medesima produzione bavosa, che la cute della pastoja offre delle ulcerazioni, e che la claudicazione è estrema, se ne può inferire che il fungo ha gettate profonde radici, e che intacca le cartilagini laterali, il tendine perforante, l’osso del piede, o tutte queste parti nel medesimo tempo.

In seguito a questi progressi, la malattia può complicarsi da pori, da spurghi alle gambe, da giavardi, dar luogo ad intumidimenti considerevoli, e produrre la perdita dell’animale. In alcune circostanze, l’afezione è consecutiva alla paronichia erpetica, ai giavardi tendinosi, ed a diversi flussi abituali18. [p. 229 modifica]


Da principio il fungo cagiona poco o niun dolore, e non disordina sensibilmente i movimenti di locomozione. Ma la claudicazione ha luogo allorchè le escrescenze abnormi sono giunte al punto di formare delle prominenze che l’appoggio sul suolo spinge indentro, e la zoppicatura è sempre in ragione dell’irritazione prodotta dalle battute del piede.

Lo sviluppo del fungo è sempre effetto o risultato d’una irritazione speciale, che si attribuisce più comunemente al soggiorno dei piedi, nell’urina, nel fimo, nei fanghi acri. La materia purulenta che si lascia accumulare nel vuoto della forchetta può dar luogo eziandio all’ulcera di cui trattasi. Si stabilisce alle volte quest’affezione senza cause conosciute, le quali non si possono attribuire che ad un vizio interno, ad una disposizione delle parti a contrarre questo genere d’alterazione.

In generale gli individui allevati nei pascoli bassi ed acquatici, o che abitano scuderie umide, il suolo delle quali trovisi continuamente bagnato e penetrato dall’urina, sono molto esposti a contrarre il fungo. Queste circostanze possono anzi far nascere in essi la disposizione cancerosa, ed imprimere alla malattia tutti i caratteri di malignità dei quali fu quistione.

Il cancro può invadere un solo piede, manifestarsi in molti od in tutti quattro nel medesimo tempo, come anche non intaccarli che successivamente l’uno dopo l’altro; ma manifestasi sempre in primo luogo ai membri posteriori, e non esiste mai nel medesimo [p. 230 modifica]grado in tutte le membra: un piede è sempre più gravemente affetto degli altri.

La malattia di cui trattasi è una delle più ribelli e delle più spiacevoli. Nelle sue lezioni, Chabert la considerava siccome un obbrobrio per l’esercizio della chirurgia veterinaria era, secondo lui uno scoglio contro il quale riescivano vani tutti gli sforzi dell’arte. Diversi sperimenti, eseguiti con attenzione, pro vano però che il porrofico non inveterato, o mantenuto da una disposizione qualunque, si guarisce radicalmente e senza recidiva. Non è lo stesso allorchè l’affezione è di antica data, complicata da spurgo alle gambe, da giavardi, allorchè è divenuta una specie d’emuntorio naturale; e che ha prodotti disordini considerevoli: in tutti questi casi, la cura è incerta e di rado o quasi mai radicale. Se giungesi a far sparire alcuni di questi funghi, non si guariscono che in apparenza; si palesano di nuovo dopo un certo spazio di tempo, si ristabiliscono con maggiore intensità oppure danno origine a malattie più fatali, sie come al moccio, al farcino, ec.

Prima d’intraprendere la cura di un cancro, e di far subire al cavallo un’operazione inevitabile, è prudente prendere in considerazione tutte le circostenze suscettibili di complicare la malattia ed impedirne la guarigione; importa sovrattutto ben distinguere la natura dell’affezione, assicurarsi se sia curabile, o se fosse nel caso di resistere e riprodursi. Il veterinario non deve perdere di vista che, in questa circostanza, come in molte altre, ogni inconsiderata [p. 231 modifica]intrapresa da parte sua volge a detrimento della propria riputazione e reca di sovente molto danno. Allorchè lo stato dell’ulcera lascia qualche speranza di radicale guarigione, e che si ha deciso tentare tutti i mezzi per giungere a questo scopo, bisogna cominciare col disporre il cavallo a subire l’opera zione detta del porrofico, e che può praticarsi in diverse maniere. L’antica maniera di procedere a quest’operazione, insegnata da Chabert, consiste nel levare tutta la sostanza vegetativa, nel praticare successivamente la dissuolatura, l’estirpazione del cuscinetto plantare, e spingere il disfacimento fino alle ultime radici del male. L’esperienza provò che questo metodo operatorio produce di rado risultati vantaggiosi; la piaga alla quale dà luogo si guarisce tanto più difficilmente quanto maggiore è la sua estensione; assai di sovente passa allo stato d’ulcera ribelle, della quale non si può ottenere la cicatrizzazione; ed allorchè la cura ha luogo, non è quasi mai radicale: la malattia si ristabilisce a capo d’un certo tempo. L’operazione del fungo deve essere semplice, limitarsi all’amputazione delle parti filamentose, fungose e senza vitalità.

Prima di eseguire questa operazione, che può effettuarsi rimanendo l’animale in piedi, è necessario pareggiare il piede molto a piatto ed anzi fino alla rugiada, aggiustarvi un ferro a dissuolatura e disporre le stecche con una traversa propria a mantenere le stoppe. Questo ferro, il di cui modello è rappre sentato nella fig. 21, deve essere molto leggero, [p. 232 modifica]sottile, e non avere che quattro o cinque stampi; bisogna eziandio abbia poca borditura e gambi lunghi, propri a facilitare la medicazione. Allorchè è preparato, si attacca al piede con chiodi a lama dilicata, e lo vi si lascia sino al momento d’operare l’animale. In quanto alle stecche, devono essere flessibili, in numero di due o tre, confezionate in modo da formare una piastra, che si adatti al lembo interno del ferro, ricuopra la suola e la forchetta, e mantenga le stoppe. Per compiere l’apparecchio, bisogna anche disporre delle stoppe in faldelle, in stuelli, procurarsi in un vaso un poco d’acquavite diluita nell’acqua, e confidare ad un assistente gli stromenti necessari.

Tutti i qui sopra indicati oggetti essendo in conveniente modo disposti, ed il cavallo atterrato, oppure se non è molto irritabile solamente fissato al muro, si distacca il ferro, si pone uno strettojo in pastoja, e si procede all’operazione nel modo già indicato. Bisogna esportare in primo luogo la porzione di suola già staccata, e reciderla anzi un poco più in avanti di sua disunione. Questa prima manualità mette allo scoperto tutte le parti fungose e filamento se, che si amputano successivamente con una foglia di salvia molto tagliente, dopo di che procedesi alla medicazione.

Nell’applicazione dell’apparecchio bisogna costantemente incominciare coll’attaccare il ferro; dopo di che, si cuopre tutta la superficie della piaga con faldelle inzuppate nell’acquavite od in altro liquido [p. 233 modifica]spiritoso. Si applicano dapprima due lunghe faldelle sui lati della forchetta, poscia delle piccole sulle parti vive, e si riempiono tutti i vani del piede con altre faldelle secche, sottili, fine, perfettamente unite, ben graduate e disposte in maniera da stabilire una pressione uniforme. Si contengono le stoppe mediante le stecche e la traversa, e si termina così questa prima medicazione la quale non deve essere seguita dalla seconda che dopo tre o quattro giorni. A questa seconda medicazione, la piaga si trova ordinaria mente pallida, alquanto granulata e coperta d’una materia puriforme, che si terge leggiermente con un poco di stoppa, e levasi anche la pellicola biancastra che può essersi formata, ma bisogna farlo con molta circospezione onde evitare ogni effusione di sangue, si cuoprono i punti fungosi con piccole faldelle cariche d’egiziaco, mentre non se ne applicano che delle secche negli altri punti; e comportasi, in quanto al resto, come nell’applicazione del primo apparecchio.

Le susseguenti medicazioni devono rinnovarsi tutti i giorni, finchè l’ugna siasi ben formata e che le parti riprendano una consistenza veramente lodevole: a quest’epoca devono essere meno frequenti e divenire vieppiù rare sino a perfetta guarigione. Esigono costantemente le stesse attenzioni e gli stessi mezzi che furono prescritti pei due primi, e richiedono inoltre alcune precauzioni particolari e subordinate allo stato del male. Ogni volta si scuopre la piaga, bisogna dapprima detergerla, poscia procedesi con una foglia di salvia e con precauzione [p. 234 modifica]all’esportazione delle pellicole, esito delle escare: così pure si levano i piccoli strati d’ugna che sembrano di cattiva natura, si distaccano facilmente, sono poco aderenti, e per così dire, sollevati dalla serosità. Non bisogna lasciar sussistere queste granulazioni cornee fuorchè quando sieno sottili, consistenti: che aderiscano fortemente alle carni e denotino una buona rigenerazione. Siccome già si disse, i punti fungosi devono essere ricoperti da stoppe cariche d’egiziaco. Se queste fungosità sono persistenti, vi si applica una caustica, tanto più forte quanto più queste resistenti, impiegando, in queste circostanze, il sostanza sono solfato di rame (vitriolo bleu), la polvere di Rousseau; oppure aumentando l’azione dell’egiziaco col l’addizione del deuto-cloruro di mercurio (sublimato corrosivo). Bisogna regolarsi nello stesso modo per tutti i punti dai quali geme serosità, e cercare costantemente l’essiccamento di queste sorgenti morbose. È necessario insistere nell’uso ben combinato di queste sostanze, fintanto che abbiansi ottenute lodevoli granulazioni capaci di produrre una felice cicatrizzazione. In quanto alle produzioni linfatiche che sopraggiungono e sono quasi sempre effetto di male eseguite medicazioni, soprattutto di parziali e troppo forti compressioni, devonsi trattare e combattere secondo i principj esposti nelle considerazioni generali sulle malattie.

Allorchè il cavallo trovasi affetto da più funghi, non bisogna operarne che uno alla volta, ed aspettare prima di passare ad un secondo, che la [p. 235 modifica]suppurazione sia lodevole e poco considerabile; bisogna anche tenda la piaga ad una vicina cicatrizzazione, e che l’animale possa cominciare a prendere appoggio sicuro sul piede operato. La malattia, essendo complicata da chiovardi cartilaginosi, rende costantemente necessarie due operazioni; quella del porrofico, in primo luogo, non procedendo all’ablazione della fibro-cartilagine ulcerata che quando la piaga primitiva sia ben disposta alla guarigione.

Il processo operatorio, del quale precede la descrizione, non diviene efficace che quando le medicazioni vengano eseguite con tutte le precauzioni richieste, e che i piedi ammalati sieno costantemente tenuti lungi dall’umidità, soprattutto dall’urina e dal fimo. La pressione, come abbiamo accennato, è la prima indicazione da soddisfare e senza di cui la guarigione si prolunga e diviene impossibile. In quanto alle attenzioni prescritte per pulire la piaga e sbarrazzarla dalle materie straniere o nocive, siccome le pellicole formate dalle escare, e gli strati d’ugna cattiva, esige egualmente grandi precauzioni; deve eseguirsi in modo di evitare l’effusione di sangue e produrre meno irritazione possibile. Conviene anche visitare di frequente il cavallo in scuderia, affine di osservare se il piede ammalato non soggiorna nell’urina o negli escrementi che può aver resi, e che si avrà cura di far levare.

A misura progredisce la guarigione, il piede riprende insensibilmente la sua forma naturale, i talloni rientrano poco a poco, e finiscono col ritornare [p. 236 modifica]nel loro stato primitivo. Questa considerazione non deve sfuggire al pratico, indicando la necessità di ristringere i gambi del ferro, in modo da favorire questa lodevole direzione e permettere l’avvicinamento dei talloni.

Dalle particolarità nelle quali credemmo utile cosa entrare, il trattamento locale del fungo richiede tosto l’operazione chirurgica, la quale consiste nel formare una piaga perfettamente unita ed eguale; reclama in secondo luogo metodiche medicazioni, ditte in modo da conservare questa uniformità della piaga, e condurla così sino a perfetta guarigione. Quest’ultima indicazione, tanto essenziale, si ottiene piuttosto colle ben eseguite applicazioni e colle pressioni ben stabilite, che coll’impiego dei caustici per distruggere le diverse esuberanze, e coll’uso degli stimolanti per sollecitare l’accrescimento di buone granalazioni.

Questo metodo curativo, ottimamente ragionato, e del quale l’esperienza confermò i vantaggi, non è che una modificazione di quello descritto da Solleysel. Gli eccellenti principi di questo autore avrebbero dovuto essere propagati e perfezionati nelle scuole veterinarie. Ma non fu così sino al 1804, epoca in cui Jané maggiore, figlio di un vecchio pratico, ed in allora allievo alla scuola d’Alfort, fece in presenza dei professori ed allievi di questo stabilimento molte successive e felici applicazioni della cura che seguiva suo padre per guarire il fungo, e che poco diferiva da quella descritta nel Parfait [p. 237 modifica]Maréchal di Solleysel. Tali decisivi risultatamenti non potevano che eccitare l’attenzione e provocare nuovi sperimenti, i quali, essendo riesciti felicemente come quelli dell’allievo Jané, ci determinarono a pubblicare questa maniera di procedere all’operazione del porrofico, del quale se ne può sperare la guarigione. Dopo avere indicato il manuale operatorio, raccomandando espressamente di non lasciar sussistere alcuna cavità, Solleysel consiglia l’impiego di due specie d’unguenti, l’uno proprio a rassodare le carni, l’altro suscettibile di corroderle, di cauterizzarle. Crediamo dovere qui trascrivere la composizione di questi medicamenti, affinchè i pratici sieno a portata di farne l’applicazione.

Formola per l’unguento essiccante.

Prendi: Miele style="text-align:right; "|libbre due,
Verderame (acetato di rame) in polvere finissima oncie sei,
Copparosa (proto-solfato di zinco) ben pesto oncie sei,
Litargirio (ossido di piombo fuso) pestato molto fino oncie quattro,
Arsenico in polvere molto fina grossi due,

mescola il tutto, e fa scaldare a lento fuoco, movendo di sovente, finchè la composizione prenda una

certa consistenza. [p. 238 modifica]

Formola per l’ungento caustico.

Prendi la metà della prima composizione, aggiungivi tre oncie di buona acqua forte (acido nitrico), e mescola il tutto a freddo, conservandolo in un vaso di terra, per venire impiegato secondo le indicazioni.

Bisogna persistere nell’uso dell’unguento essiccante, finchè la piaga sia di buona natura, e ricorrere al l’unguento caustico per combattere le escrescenze che potrebbero svilupparsi. Secondo l’autore, l’essenziale è di, stabilire, ad ogni medicazione, una buona compressione, e, per servirmi delle proprie sue e spressioni, bendare (bander) bene il tutto colle stecche.

Solleysel confuta, dietro la propria esperienza, la maniera d’operare col fuoco o coi caustici senza metodiche medicazioni. «Ogni uomo il quale vorrà, dice egli, curare un fico coi cauteri o caustici violenti, ne ritrarrà mai onorenota». Afferma che questi mezzi non procurano una radicale guarigione e rendono la malattia incurabile.

Nei soggetti nei quali rimarcasi disposizione al fungo, è necessario combatterne l’idiosincrasia. Bisogna in allora combinare la cura locale coll’amministra zione interna di polveri diuretiche amare; è anche necessario, in questi casi, stabilire dei punti di 19 [p. 239 modifica]derivazione, affine prevenire ogni funesta rivulsione, in seguito dell’applicazione dei topici sulla parte ammalata.

Per rendere la cura più completa e più sicura, si potrà terminare il trattamento con uno o due purganti, dati a guisa d’oppiati ed a qualche giorno d’intervallo.

Le particolarità nelle quali siamo entrati parvero tanto più utili, in quanto che i veterinari non sono tutti d’accordo sulla preferenza che devono accordare, sia al processo consigliato da Chabert il quale comprende l’ablazione compiuta di tutte le produzioni vegetative del fico, oppure al metodo di Solleysel, consistente nel far minori disfacimenti, stabilire una piaga unita, mantenere questo stato con una forte e metodica pressione. Il primo di questi metodi terapeutici rende necessarie grandi scalfiture, dà luogo a piaghe più o meno estese, profonde, e che molto difficilmente si cicatrizzano. Il trattamento in allora è lungo, dispendioso ed incerto; la guarigione, allorchè si può ottenerla, non è il più di sovente che temporaria, e l’affezione si ristabilisce dopo un certo spazio di tempo. Il processo di Solleysel ringiovanito in qualche modo da Jané padre e figlio, non presenta i gravi inconvenienti del primo, e produce in tutti i casi più sicura la guarigione. Questo processo, che raccomandiamo caldamente e che consiste nel mantenere una pressione metodica, presenta il doppio vantaggio di non cagionare dolori particolari e produrre una cicatrizzazione prontissima. Aggiungeremo, senza timore d’essere smentiti dall’esperienza, che [p. 240 modifica]questo processo non è solo il più semplice, il più sicuro ma eziandio il più razionale ed il meno dispendioso.

Terminando questo articolo, crediamo qui rapportare un processo curativo del fico, pubblicato nel dizionario di medicina e chirurgia veterinaria da Hurtrel d’Arboval, che annuncia siccome vantaggiosissimo e col quale assicura avere ottenuti successi costanti. Per non alterare la descrizione di questo metodo di cura, lasciaremo parlare l’autore. «Operiamo dapprima, dice egli, il fungo con tutte le preparazioni e precauzioni prescritte e secondo il processo in uso nelle nostre Scuole veterinarie; ma una volta terminate le manualità operatorie, il metodo cangia. Cuopriamo tutta la parte operata con un miscuglio di polvere da caccia e di zolfo sublimato, che tocchiamo con un ferro incandescente; la polvere si infiamma ad un tratto ed accende lo zolfo, il quale abbrucia lentamente. Se la combustione è troppo languida, abbiamo cura di attivarla e mantemerla collo stesso mezzo. Allorchè è terminata, la piaga è convertita in un escara nera, la quale non presenta molta solidità. Leviamo con precauzione tutto ciò che si può esportare senza effusione di sangue: aspergiamo di nuovo, e stabiliamo sulla parte una nuova combustione eguale alla prima: ripetiamo lo stesso processo finchè abbiamo luogo a credere i tessuti penetrati da sufficiente quantità di calorico per distruggere interamente tutto ciò che sarebbe suscettibile rigenerare il fico.» Dopo avere [p. 241 modifica]dichiarato essere impossibile stabilire il grado al quale deve essere portata questa cauterizzazione, l’autore continua: «Giunta che sia questa cauterizzazione al punto in cui deve cessare, ed affine mantenere l’eccitamento nella superficie cauterizzata e nei tessuti contigui, riempiamo tutto il vano di pece di Borgogna, o dipece resina, fusa e calda: lasciamo rafreddare, ed applichiamo la stoppa, il ferro, ec. Leviamo l’apparecchio ai primi segni di suppurazione, e procediamo nella stessa maniera, ma senza adustione, nelle seguenti medicazioni, facendovi entrare la pece fino al momento in cui la piaga si mostra viva e bella; il digestivo ed in seguito l’unguento egiziaco bastano per terminare la cura». Non entreremo in nessuna riflessione suquesto processo, poichè non ebbimo occasione di constatarne l’efficacità; invitiamo adunque i veterinari che ne faranno l’applicazione a notare e pubblicare i risultati che ne avranno ottenuti.

§ 14° ammaccature, suggellazioni (bleimes).

Distinguesi con questa denominazione una sorta di contusione, d’ammaccatura del tessuto sotto-ungulato che ha luogo con o senza spandimento di sangue, forma alle volte ascesso ed intacca la suola dei talloni o quella dei quarti, in seguito a corse su terreni sassosi e scabri; questo accidente, che può provenire anche da cattive ferrature o da viziata con formazione dei talloni, manifestasi quasi sempre al piede anteriore ed al tallone interno. Nel caso [p. 242 modifica]d’anmaccatura, stabiliscesi dapprima nel tessuto del piede una leggiera irritazione, la quale aumenta progressivamente finchè rimane la parte esposta all’azione della causa occasionale: questa irritazione, giunta ad un certo grado, determina dolore, ed alle volte un leggiero calore; dà luogo ad echimosi nel tessuto dell’ugna, e finisce di sovente col far nascere un ascesso il quale, essendo trascurato,produce guasti ulteriori, siccome giavardi e la disunione di tutta la suola.

La suggellazione, dice Lafosse, può essere naturale od accidentale: nel primo caso, è compagna ed esito dei talloni forti; mentre può essere prodotta accidentalmente, soprattutto quando i talloni sono bassi, tanto dalla ferratura, quanto da qualunque altro corpo straniero capace di comprimere e schiacciare il vivo di questa parte della suola20.

Ordinariamente riconosconsi tre varietà d’ammaccature, le quali non sono che gradi differenti della medesima malattia, distinte in compresse, secche e suppurate. 1° L’ammaccatura per compressione (foulée), la più lieve, marca il primo grado dell’alterazione; consiste in una semplice compressione, la quale non lascia altra traccia di sua esistenza fuorchè un dolore vivo e sordo. 2° L’ammaccatura secca (sèche), nella quale può manifestarsi lo stesso dolore, si distingue tanto con [p. 243 modifica]strie o filetti di sangue disseccati, quanto con un rossore della medesima natura, che si manifestano nel tessuto dell’ugna. 3° La suppurata (suppurrée), che chiamasi anche ammaccatura umida (humide), perchè dà sempre luogo alla formazione di una certa quantità di materia purulenta, risiede sotto l’ugna nel tessuto reticolare, il quale, essendo contuso, cade in suppurazione: questa suggellazione solleva l’ugna, fa alle volte soffiare la materia al pelo, dà luogo a chiovardi incornati, oppure al distacco d’una parte più o meno grande di suola; necessita in questi casi l’esportazione, a seconda delle lesioni interne.

Le ammaccature, giunte ad un certo grado, fanno fingere e zoppicare più o meno l’animale senza lesione apparente, a meno che l’accidente non sia d’antica data, non abbia prodotta la disunione d’una porzione d’ugna, e che la materia non siasi fatta strada al difuori. In ogni caso, assicurasi dell’esistenza d’una ammaccatura pareggiando a fondo e sino alla rugiada; la lesione diviene visibile, oppure s’annuncia con un dolore vivo nel punto in cui sussiste. Se prima di pareggiare, si esamina il gambo del ferro corrispondente all’ammaccatura, lo si trova sovente come usato; alle volte anzi riscontransi corpi stranieri impegnati tra il ferro e l’ugna, oppure dell’arena incassata nel corno.

Siccome fu detto, l’ammaccatura si limita alle volte ad una contusione con o senza spandimento di sangue, oppure è determinata dalla formazione di un centro purulento; suppone in allora una più o meno [p. 244 modifica]grande disunione d’ugna dal tessuto reticolare. Nel primo caso, il trattamento è semplice; consiste nel l’assottigliare l’ugna, senza giungere al vivo; applicansi in seguito sulla lesione alcune faldelle, la prima delle quali carica di trementina; si fissa il tutto col mezzo d’una benda, e per facilitare le medicazioni, si attacca un ferro tronco d’un solo o dei due gambi a seconda l’ammaccatura risiede in un solo o nei due lati. Bisogna lasciare il cavallo in riposo e medicare il piede tutti i giorni, finchè il dolore sia compiutamente dissipato, non rimanga alcuna traccia d’ammaccatura, ed abbia l’ugna acquistata una certa forza. Prima di far lavorare l’animale, bisogna ferrarlo stabilmente con un ferro coperto in mammelle ed in quarti, oppure con un ferro a tavola, che è molto più convenevole, ma che non deve essere impiegato se non se quando la forchetta somministri un sufficiente punto d’appoggio.

Ogni qualvolta esiste un centro di suppurazione e disunione d’una porzione d’ugna, bisogna tosto far breccia, esportare tutta la porzione di zoccolo disunita, recidere le carni bavose, disorganizzate, ed eseguire un’operazione tanto più complicata, quanto maggiori saranno i progressi del male. Limitasi di sovente a distruggere una parte della suola, altre volte è indispensabile farne l’intera ablazione; può darsi il caso in cui il male richieda nello stesso tempo la dissuolatura, l’ablazione del quarto, ed anche l’esportazione della fibro-cartilagine laterale. In quest’ultima circostanza, il piede sta molto tempo a [p. 245 modifica]guarire: esige cure molto regolari e soprattutto bene intese; la piaga che ne risulta deve essere governata nel modo indicato all’articolo Chiovardo incornato.

§ 15° cerase, produzioni linfatiche (cerises).

Piccole escrescenze carnose, emisferiche, il cui color rosso e forma rotonda fece paragonare al frutto del quale portano il nome. Manifestansi nelle parti in cui è messo allo scoperto la parte viva, aumentano in volume e moltiplicansi più o meno, sono il prodotto d’una elaborazione particolare; e dipendono il più di sovente dalle medicazioni male eseguite e dalle compressioni esercitate dall’ugna al lembo od all’intorno delle piaghe. Siccome queste granulazioni di notano sempre uno stato contrario alla cicatrizzazione, cosìsi devono impiegare tutti i mezzi propri a prevenirle e distruggerle. Allorchè le cerase sono leggeri e situate nel centro delle piaghe di buona natura, si fanno sparire mediante una forte compressione stabilitavi sopra; se presentano dell’estensione ed un certo volume, bisogna reciderle collo stromento tagliente. Quelle che si rimarcano nelle piaghe livide o nerastre, e che sono quasi sempre granulate mal grado le attenzioni avute, possono essere combattute con sostanze caustiche, siccome la polvere del frate Cosimo, l’egiziaco, certi ossidi metallici, ec. Le cerase dipendenti da fistole, da carie, da pressione e sercitata dall’ugna, si rinovano continuamente e non [p. 246 modifica]guariscono radicalmente finchè non venga distrutta la causa occasionale.

§ 16° nocchio (oignon).

Si dà questo nome ad una esuberanza in generale poco sporgente, che si rimarca nella suola dei quarti e non manifestasi che di rado nei piedi posteriori. Questa bossa, dovuta sempre ad uno sporto o tumore della faccia inferiore dell’osso del piede, è sovente determinata dalla cattiva ferratura, la quale rovescia insensibilmente il lembo inferiore dell’ultimo falangeo e rende convessa la sua faccia plantare nel punto in cui esiste il nocchio. L’alterazione può anche provenire da esiti di marcia forzata su terreni duri, scabri e sassosi; circostanza che stabilisce e mantiene una irritazione nel vivo, rende la suola compressa e fa nascere il nocchio.

La ferratura può sola rimediare a questa affezione, prevenire gli ulteriori accidenti, siccome l’ammaccatura suppurata, il chiovardo incoronato o cartilagioso, la riprensione, e mettere il cavallo nel caso di camminare con sicurezza; deve essere combinata in modo che la parte ammalata si trovi al coperto ed al sicuro delle diverse compressioni, esiti di continuate battute sul suolo. Conviene in questo caso pareggiare e ferrare secondo i medesimi principi emessi pel piede colmo; impiegasi un ferro, il cui gambo, alquanto tronco, sia abbastanza largo in dentro, e porti una imborditura sufficiente per coprire il [p. 247 modifica]chio. Sovente quest’alterazione è da altri accidenti complicata, e richiede un ferro coperto a lembo rovesciato (Tav. III, fig. 3, 4, 23 e 24).

§ 17° suola bavosa (soLe baveuse).

Stato di mollezza più o meno grande che offre l’ugna di questa regione del dissotto del piede; alterazione rara, che manifestasi più particolarmente nei piedi deboli, piatti, colmi e sfiancati, presenta lembi separati da solcature irregolari, e dà luogo alle ammaccature ed ai nocchi. La ferratura è il solo mezzo capace di rimediare a questi effetti spiacevoli, preservando la suola bavosa dalle dolorose compressioni, ciò che si ottiene mediante l’applicazione di un ferro leggiero e sufficientemente coperto.

§ 18° suola battuta, sobbattitura (sole battue).21

Chiamasi così un’alterazione perfettamente analoga all’ammaccatura secca, dalla quale non diferisce che per la sua estensione o per la sede. Queste due affezioni, quasi identiche, riconoscono presso a poco le medesime cause e richiedono gli stessi mezzi curativi. La suola può essere battuta, 1° da un ferro il quale, essendo male attaccato, faccia molla, batta il piede, vi imprima, vi mantenga un’irritazione dalla [p. 248 modifica]quale risultano diversi accidenti ulteriori, siccome ammaccature, nocchi, chiovardi incoronati, e perfino la riprensione; 2” da un corpo straniero frapposto tra il ferro e l’ugna; 3° infine, la suola battuta è ordinariamente risultato delle continuate battute su terreni duri, essendo il cavallo a piede nudo. Nella seconda circostanza, il cavallo camminando su di un terreno duro e sassoso, riceve ad ogni battuta sul suolo un’impressione che è trasmessa alla parte viva del piede per mezzo del corpo ritenuto sotto il ferro.

Il primo mezzo curativo da impiegarsi, consiste nel far cessare la causa occasionale; si pareggia in seguito il piede, si calma il dolore con cataplasmi emollienti; e, se esiste molto calore, è più conveniente far uso delle diverse sostanze astringenti, siccome fuliggine, solfato di ferro, aceto, ec., affine pre venire la riprensione

§ 19° suola contusa, compressa, (sole foulée).

La suola compressa è un genere di lesione uguale all’ammaccatura secca, ai talloni contusi ed alla suola battuta; riconosce, come queste alterazioni, una irritazione primitiva, stabilita nel tessuto reticolare in seguito a marce penose e troppo a lungo sostenute sul selciato o su terreni duri e sassosi. Manifestasi quasi sempre nella suola dei quarti, di rado in quella di punta, produce più o meno dolore, e questo genere di lesione ha luogo in seguito di ciò che il cavallo andando a piedi nudi, il lembo della parete si [p. 249 modifica]logora e si distrugge in modo che l’appoggio si fa sulla suola, la quale in allora riceve tutte le impressioni dei corpi duri sui quali cammina l’animale.

La suola compressa può avere i medesimi esiti della suola battuta, esige le stesse cure e la stessa ferratura; consiste questa nel pareggiare come nel caso di piede ghiacciuolo, ed applicare un ferro leggero sufficientemente coperto, suscettibile di guarentire la suola e metterla al coperto delle battute sui corpi duri.

§ 20.° punture (piqures) ed altri accidenti dello stesso genere.

Queste sorta d’accidenti, frequenti e sempre determinati da corpi acuti o taglienti sui quali il cavallo appoggia il piede, stabiliscono lesioni più o meno gravi, le quali variano secondo la forma del corpo vulnerante, la direzione ch’egli tiene, la forza colla quale penetra e la parte della suola che interessa.

Le ferite di cui trattasi sono risultati di chiodi da strada, di scheggie e di rottami diversi. 1.° Chiamasi chiodo da strada (clou de rue) un chiodo qualunque od altro corpo metallico allungato, che il cavallo infiggesi nel piede, e che, giunto al tessuto reticolare, dà luogo ai disordini sovramenzionati. Questo chiodo, introdotto nell’ugna, può sortirne immediatamente o restarvi impiantato in totalità o soltanto in parte; può egualmente giungere subito sino al vivo, o non intaccarlo che dopo un [p. 250 modifica]certo spazio di tempo ed in seguito alle ripetute battute sul suolo, che lo spingono sempre più avanti. Siccome la claudicazione è il solo indizio proprio a palesare l’accidente, e che non ha luogo fuorchè quando il tessuto sotto-ungulato trovasi offeso, certe ferite di chiodi da strada ponno esistere senza avvedersene. Tutti quelli che giungono subitamente al vivo, producono immediatamente la claudicazione, la cui intensità è sempre in ragione dell’impressa irritazione; determinano spesse volte un centro di suppurazione, il quale essendo trascurato od abbandonato alla natura, diviene ulceroso, solleva la suola come pure la forchetta, fa soffiare la materia al pelo, e dà luogo a diversi disordini. Il chiodo da strada può essere leggero o penetrante, semplice o grave; essere situato nei talloni, nella suola, o nella forchetta, oppure occupare una delle lacune del disotto del piede. Vien detto leggero tutte le volte che il chiodo è uguale e non fa che intaccare il vivo; chiamasi penetrante allorchè giunge ad una certa profondità. Qualunque chiodo accuminato e senza asperità produce ordina riamente punture semplici, a meno che pel suo soggiorno non dia luogo a guasti ulteriori: l’affezione diventa grave allorchè il dolore è vivo, o la lesione è profonda ed estesa.

I chiodi da strada a punta smussata, incurvata, guarnita d’asperità, divisa in lamine, sono ordinariamente gravi e tanto più pericolosi, quanto più pe netrano profondamente, e soggiornano lungo tempo nella parte; producono ferite contuse, e sono soprattutto [p. 251 modifica]a temersi allorchè, essendosi introdotti alla punta della forchetta, traversano il cuscinetto plantare, il tendine perforante, e vanno ad impiantarsi nel sessamoideo minore, oppure nell’osso del piede. L’accidente è in allora portato al più alto grado di gravità; cagiona dolore estremo, costringe il cavallo a tenere il piede alzato; e l’apertura della scanalatura sessamoidea dà luogo ad uno spandimento di sinovia.

In generale i chiodi da strada sono molto meno pericolosi nei talloni che nella suola o nella punta della forchetta: attraversano alle volte queste prime regioni e sortono nella piegatura della pastoja senza ne risultino esiti spiacevoli.

2° Intendesi per scheggia (chicot) un pezzo di legno accuminato, che s’insinua nel piede cone il chiodo da strada, agisce presso a poco nella stessa maniera, e può dare origine agli stessi accidenti. I cavalli da caccia sono i più esposti ad essere presi da scheggie, un pezzo delle quali resta di sovente infitto nel piede, ove mantiene un’irritazione persistente che va sempre aumentando. Questi corpi producono sempre, per la loro natura, punture contuse, i cui esiti sono tanto più pericolosi, quanto meno apportasi diligenza a curare il piede ammalato, e che si lasci sussistere a lungo nell’interno qualche pezzo o porzione di questi corpi.

Si possono presso a poco stabilire le medesime varietà di scheggie, come nei chiodi da strada, fare le stesse distinzioni ed osservazioni per le une come per gli altri. [p. 252 modifica]

3° I rottami (tessons) di vetro o d’altre materie di questa sorta, siccome pietre acute e taglienti, producono lesioni, poco differenti da quelle cagionate dalle scheggie e dai chiodi da strada. Secondo la loro forma e la forza colla quale sono introdotti, questi rottami determinano punture, piaghe semplici o contuse, leggieri o penetranti.

Gli accidenti dei quali trattasi, annunciansi tanto colla claudicazione e col dolore che imprimono, quanto coi disordini ai quali danno luogo. Allorchè sono leggeri, fanno fingere o zoppicare il cavallo, il più di sovente senza esterna apparenza di lesione, a meno che il corpo vulnerante non sia ancora impiantato nel piede, o che la ferita prodotta non presenti una certa ampiezza. Allorchè vi ha formazione di ascesso sotto l’ugna, o che la materia purulenta si trovi ritenuta nell’interno, il piede è doloroso e caldo; anzi esiste alle volte intumidimento, tanto della suola, della forchetta, dei talloni, quanto in queste tre regioni nel medesimo tempo. Le punture ed esfoliazioni dei tendini cagionano ordinariamente un considerevole intumidimento, molto dolore, e spesse volte febbre locale; se l’espansione del tendine perforante venne attraversata dal chiodo, vi ha scolo di sinovia la quale mantiene la fistola e la zoppicatura. Tutte le volte che il corpo straniero offese una delle ossa del piede, questo stato di gravità distinguesi pel dolore vivo e permanente, per la contrazione fortissima nella quale l’animale tiene costantemente il piede ammalato, senza prendervi [p. 253 modifica]sopra il minimo appoggio, si riconosce in modo più preciso col mezzo d’uno specillo che si introduce nella puntura, e col soccorso del quale si accerta che il fondo della piaga è formato dall’osso.

Si riconosce l’esistenza e la presenza dei chiodi da strada o delle scheggie, facendo levare il piede e pulendolo con precauzione: se il corpo è nascosto nell’ugna, e poco apparente ne sia la traccia, bisogna sferrare il cavallo e pareggiare il piede a fondo, non solo per rinvenire il corpo straniero ed estrarlo, ma ancora per conoscerne la direzione, giudicare della gravità del male, come dei mezzi da impiegarsi onde guarirlo. In quanto ai rottami, restano di rado confitti nel piede, ma possono lasciarne alcune particelle che è necessario ritirare in un modo qualunque, imperocchè il loro soggiorno è sempre pernicioso.

Il trattamento degli accidenti di cui si parlò varia secondo la sede, la profondità, la natura, l’estensione del male. Allorchè il corpo vulnerante limita la sua azione all’ugna, può intaccare, distruggere più o meno questa sostanza senza cagionare alcun dolore, verun disturbo apparente nella sicurezza dell’appoggio; come pure, allorchè non penetra al di là del tessuto reticolare o che si limita al cuscinetto plantare, e che, a seconda della forma acuta o tagliente, non fa, per così dire, che dividere le fibre senza produrre laceramento e senza soggiornare, l’accidente non ha alcun esito funesto, e si dissipa da sè medesimo. L’esperienza giornaliera prova, che un [p. 254 modifica]chiodo ben accuminato, il quale non penetri, sino all’osso, o sino al tendine, e che venga levato tosto dopo la sua intromissione nel piede, non cagiona alcun guasto, e la piaga formata si cicatrizza per prima intensione o senza suppurazione.

Tutti i chiodi da strada o scheggie che producono ferite lacero-contuse e mantengono la claudicazione; quelli che soggiornano. qualche tempo, in parte od in totalità nel piede; tutti quelli insomma che hanno dato luogo alla formazione di un ascesso interno, reclamano l’operazione detta del chiodo da strada, la quale consiste nell’amputare tutte le parti contuse e lacerate, e stabilire una piaga semplice. Quest’operazione costantemente subordinata all’estensione ed alla natura del male, può essere semplice o grave. Nel primo caso apporta pochi disfacimenti, si limita a praticare un’apertura infundibuliforme più o meno grande, che siegue la direzione della puntura e ne mette il fondo allo scoperto. Questo prino metodo operatorio conviene pei chiodi da strada recenti e poco penetranti, un pezzo dei quali può essere rimasto nel piede, oppure, benchè estratti compiutamente, abbiano dato luogo ad un piccolo focolare purulento e facciano zoppicare l’animale. Può eseguirsi in ogni ora della giornata, senza sia bisogno disporvi il cavallo; basta soltanto pareggiare il piede a fondo, assottigliare l’ugna, sovrattutto all’intorno della ferita; dopochè si procede all’operazione, dapprima coll’incastro o colla curasnetta doppia, ed in seguito colla foglia di salvia, della quale [p. 255 modifica]servesi per recidere le carni; si applica un ferro leggero e sottile; si medica con stoppa inzuppata d’acquavite che si contiene con stecche; se la piaga è nei talloni, si accorciano i gambi del ferro, e si applica un piccolo apparecchio, che si fissa col mezzo d’una benda, e di sovente colle stecche nel medesimo tempo. Allorchè il ferro e le stecche sono convenientemente disposte, il cavallo può lavorare durante il tempo della guarigione, purchè non cammini continuamente su sassi o strade selciate. A capo di alcune medicazioni, che si eseguiscono coll’eguale precauzione della prima, e soltanto colle stoppe secche, la cicatrizzazione si compie e l’ugna riprende tosto la necessaria consistenza.

L’operazione del chiodo da strada diviene grave tutte le volte che vi ha neccessità d’esportare una grande quantita d’ugna, come pure di parti molli, e fare una piaga di una certa estensione. Questi disfacimenti sono costantemente prescritti dalla disunione di una parte o della totalità della suola e della forchetta, o da una disorganizzazione più o meno avanzata dei tessuti interni. I disordini di cui trattasi provengono dalla materia purulenta, che non ha potuto farsi strada; rendono il piede caldo e doloroso, ed i loro progressi sono rapidi, se non si sollecita di far breccia e dar scolo al pus. Allorchè, in seguito di chiodi da strada, di scheggie o rottami, il male sia giunto ad un grado tale d’intensità da esigere un’operazione grave, bisogna procedere a questa con alcune precauzioni preliminari, utili per avanzare la [p. 256 modifica]guarigione, e soprattutto per evitare accidenti spiacevoli. Se il cavallo è giovane, ardente e molto irritabile, è prudenza disporlo per subire l’operazione, tenendolo al regime diluente per due o tre giorni, se ciò è possibile, e facendogli una cacciata di sangue; con vien anche impiegare per la parte ammalata i bagni d’acqua tiepida ed i cataplasmi emollienti. Queste precauzioni sono inutili pei cavalli torpidi, ed in generale per tutti quelli i quali sono poco sensibili e nei quali non si ha a temere una febbre di reazione. Del resto, qualunque sia il temperamento del soggetto, come pure la gravità dell’operazione da praticarsi, bisogna sempre preparare dapprima il piede, pareggiarlo a fondo ed aggiustarvi un ferro detto a dissuolatura. Questo, leggero, molto sottile e non avente che quattro o cinque stampi (Tav. III, fig. 21), deve avere poca imborditura e gambi lunghi propri a favorire le medicazioni. Preparansi eziandio stecche di legno ed una traversa pure di legno o di ferro; si procacciano le sostanze medicamentose, le faldelle, le tente e stuelli dei quali presumesi aver bisogno: prese tutte queste disposizioni, lasciando l’animale in piedi finchè è possibile, si applica uno strettojo in pastoja, si leva via il ferro se era stato attaccato, e si procede all’operazione come siegue. Si comincia ad esportare, colla foglia di salvia o coll’incastro, tutta l’ugna staccata, che si taglia sempre alquanto al di là di sua disunione; questa prima manovra facilita l’amputazione di tutte le carni alterate, che si recidono colla foglia di salvia. [p. 257 modifica]Terminata l’operazione, si cuopre la piaga con un poco di stoppa, e si attacca prontamente il ferro con chiodi a lama dilicata; la medicazione si fa nella stessa maniera come in seguito del primo metodo operatorio; dopo la stoppa, si applicano le stecche come pure la traversa, si leva lo strettojo e si abbandona il piede. Le susseguenti cure sono le stesse come pel chiovardo incornato, le stesse prescritte nelle considerazioni generali sulle malattie del piede.

I chiodi o scheggie situate nella suola di punta o di mammella giungono alle volte sino all’osso del piede, che penetrano e nel quale lasciano di sovente qualche particella impiantata. Questa circostanza esige, oltre l’operazione precedente, di arrivare sino all’osso del piede, mettere a nudo l’intorno della puntura, estrarre le particelle straniere, e rastiare il punto che occuparono; dopo chè procedesi all’applicazione dell’apparecchio, regolandosi come venne detto qui sopra. Questo è il caso di sapere applicare i principi esposti parlando dell’esfoliazione delle ossa; bisogna governare la piaga in modo che la parte dell’osso necrosato non dimori nascosta nelle carni, e perciò bisogna mantenere un’apertura libera sino alla sua caduta ed alla compiuta sua espulsione. Questa porzione d’osso esfoliata è un vero corpo straniero, la cui presenza nell’interno delle carni è sempre perniciosa; cagiona costantemente nuovi disordini, e produce alle volte i più gravi guasti22. [p. 258 modifica]

Allorchè la suola si trova sollevata in maggior parte dalla materia, bisogna disporre il piede alla dissuolatura ed all’esportazione di tutta la parte.

Conviene perciò cominciare, col pareggiare a piatto, assottigliare la suola e la forchetta, avendo la precauzione di non indebolirla di troppo; dopochè si continua ad abbattere l’orlo della parete sino alla rugiada; si termina questa manovra preparatoria col distruggere i due puntelli. Il piede così disposto, si fabbrica un ferro a dissuolatura,) come fu precedentemente descritto (Tav. III, fig. 21), e si attacca con chiodi a lama dilicata. Dopo essersi procurati tutti gli oggetti di medicazione, siccome stecche, traverse, faldelle, ec., come pure dell’acquavite diluita in certa quantità d’acqua, si atterra il cavallo, oppure si fissa convenientemente in piedi, ciò che è da preferirsi; si sferra e si procede alla dissuolatura. L’operatore [p. 259 modifica]s’arma d’una foglia di salvia, colla quale disunisce compiutamente la suola dal lembo inferiore della parete23. Munendosi in seguito d’un elevatore o semplicemente d’una lama, la spinge, l’intromette sotto la suola di punta, che cerca sollevare prendendo un punto d’appoggio sull’orlo della muraglia: allorchè è giunto a disunirla in parte, la solleva il più possibile, affine poterla afferrare colle tanaglie, le quali devono sempre essere confidate ad un assistente abile e capace di usarne convenevolmente. Questo assistente rovescia e tira indietro l’ugna che tiene colle tanaglie; in quest’azione deve agire con una forza sempre sostenuta, tirare alternativamente da un lato all’altro, finchè tutta la piastra siasi esportata. L’operatore facilita questa esportazione della suola e della forchetta coll’elevatore, o con una foglia di salvia doppia, della quale servesi per tagliare i lembi d’ugna che si separano dalla piastra staccata e restano fissi alla carne del piede.Terminata questa manualità si recidono tutti i lembi e le piccole porzioni d’ugna esuberanti, e rendesi la piaga uniforme. La dissuolatura praticata in seguito a chiodi da strada, si eseguisce sempre con facilità, imperocchè l’ugna già disunita dalla materia, staccasi per così dire da sola. Essendo estirpata la suola, si recidono le parti alterate e terminasi così l’operazione, la quale deve essere immediatamente seguita dall’applicazione del [p. 260 modifica]ferro e dell’apparecchio, al che procedesi come fu già spiegato.

I chiodi da strada penetranti persino nel tendine perforante, e quelli che vanno sino al sessamoideo minore, esigono non solo la dissuolatura, ma ancora l’estirpazione totale o parziale del cuscinetto plantare (corpo piramidale). Nel primo caso, questa estirpazione, preceduta sempre dalla dissuolatura, è facile ad eseguire, e procedesi nel modo seguente: l’operatore, tenendo a piena mano una foglia di salvia doppia, l’infigge nella base del cuscinetto plantare, che taglia attraverso, e disunisce dalla cute, che bisogna risparmiare. In questa manovra deve essere sicuro dello stromento, e diffidare dei movimenti che può far l’animale. Operata questa disunione, incide il cuscinetto sul lato che si trova superiore; lo afferra in seguito con un uncino, lo tira in basso ed indietro secondo il punto in cui è impiantato l’uncino; rovesciandolo così, ha facilità d’agire colla foglia di salvia, che serve ad incidere sicchè questo corpo sia intieramente staccato dalle parti colle quali trovasi unito. Terminata quest’ablazione, mette allo scoperto l’espansione del tendine perforante, affine vedere la lesione dalla quale può essere intaccata, e giudicarne la gravità. Se questo tendine non fu che leggermente offeso, basta esportare i lembi bavosi dal punto alterato e fare un intaglio unito. Se fu compiutamente attraversato, si dilata l’apertura, la quale si cura come nel caso precedente, e se il chiodo ha intaccato il sessamoideo minore, si può [p. 261 modifica]praticare allo stesso tendine un’incisione longitudinale affine meglio osservare il punto, penetrato dal chiodo.

Essendo il fondo della puntura messo allo scoperto, si accerta se rimane ancora nell’osso qualche particella del corpo vulnerante, che bisogna estrarre.

Riguardo all’apparecchio ed alle medicazioni, regolasi come nelle circostanze precedenti; ma di più si ha a temere l’esfoliazione del tendine, che può avere gli stessi esiti di quella dell’osso del piede.

L’estirpazione parziale del cuscinetto plantare è la più usitata e devesi preferirla finchè le circostanze lo permettino; è anche sufficiente nel chiodo da strada penetrante fino al sessamoideo minore, e presenta il vantaggio di semplificare l’operazione, rendere la cura meno lunga, e non dar luogo al troppo forte ravvicinamento dei talloni. L’estirpazione completa del cuscinetto plantare, lasciando un grande vuoto, produce ordinariamente quest’ultimo risultato, il quale non può impedirsi, anche, siccome lo pretendono alcuni pratici, imbrocciando i chiodi in talloni. Così è sempre utile risparmiare la base di questo corpo, affine di poter mantenere i talloni discosti e prevenire il loro ristringimento, il quale rende alle volte il piede doloroso e fa zoppicare il cavallo. D’altronde, l’amputazione della sola parte anteriore del cuscinetto plantare è quasi sempre sufficiente per seguire la traccia del chiodo penetrante anche sino al sessamoideo minore. L’estirpazione per intiero di questo corpo non può adunque essere necessaria che allorquando la sua sostanza sia alterata e disorganizzata in gran parte. [p. 262 modifica]

Tutte le varietà di chiodi da strada possono essere operate, secondo l’uno dei quattro processi esposti. Tutte abbisognano, o d’una semplice apertura infundibuliforme prolungata sino al fondo della puntura; o l’esportazione dell’ugna disunita e l’amputazione delle carni contuse e disorganizzate; o la dissuolatura che lascia allo scoperto tutte le parti alterate che si recidono; od infine la dissuolatura seguita dall’estirpazione totale o parziale del cuscinetto plantare. In generale queste operazioni ai piedi esi ono, siccome tant’altre, molta destrezza, conoscenze anatomiche e soprattutto prontezza. Benchè abilmente eseguite, non sono efficaci che quando le piaghe risultanti sieno state richiamate allo stato di piaga semplice, che sieno ben regolate e medicate metodicamente sino a perfetta guarigione.

§ 21° zoppicatura cronica, piu’ generalmente doglia vecchia

(la vieille boiterie, et plus généralement la claudication de vieux mal).

La doglia vecchia dipende quasi sempre da un dolore stabilito nel piede, il quale è continuo, e non si rinnova che a certe epoche, allorchè si esercita il cavallo, oppure dopochè fu esercitato per un dato tempo. Queste claudicazioni croniche, leggeri o forti possono dinotare molte malattie od appartenere a cause apparenti od occulte. Cosi l’incastellatura, il rinserramento dei talloni, i cerchi alla parete, i quarti [p. 263 modifica]depressi, i tumori ossei in corona, sono altrettante alterazioni potenti, suscettibili d’irritare il tessuto reticolare, rendere la marcia penosa ed irregolare. Fra le cause latenti, devonsi annoverare le piccole esostosi poste sotto i tendini, certe escrescenze internamento alla muraglia, le tumefazioni e gangli dei tendini flessori, la debolezza del legamento laterale anteriore del piede, gli stiramenti infine e le fatiche delle parti tendinose o legamentose.

Non è nostra idea dare qui la storia dettagliata delle zoppicature croniche, che hanno sede nel piede o nelle altre parti della regione digitata; d’altronde non possiamo che rapportare ciò che hanno scritto su questo proposito Chabert e Fromage, nel Supplément au Cours d’agriculture di Rozier. Lo scopo principale di questo articolo è d’indicare un’operazione chirurgica, vantata dagli Inglesi come mezzo terapeutico molto efficace in certe claudicazioni. Quest’operazione descritta sotto il nome di nevrotomia, e sulla quale hanno scritto molti veterinari francesi24, consiste nella sezione od esportazione d’una parte dei nervi laterali del piede, tendente a diminuire la [p. 264 modifica]sensibilità delle parti, fiaccare il dolore, rendere conseguentemente la marcia meno imbarazzata, senza distruggere però la causa occasionale.

L’operazione di cui trattasi si eseguisce tanto al dissopra quanto al dissotto del nodello. Faremo osservare non essere d’accordo sul punto nel quale sarebbe preferibile praticarla, come pure nei casi che possono richiederla dai due lati o da un lato solo. Qualunque sia il punto in cui proponesi eseguire là recisione del nervo, il manuale operatorio è sempre lo stesso; consiste nel praticare dapprima alla cute un’incisione di circa un pollice e mezzo di lunghezza, in faccia e secondo la direzione del nervo del quale abbiamo data la descrizione (pag. 55); si stacca in seguito e si leva via con precauzione il tessuto laminoso sottogiacente, in modo di scoprire il vaso ed il nervo accollati insieme;si solleva questo con una pinzetta a dissezione, e si passa per dissotto un ago a sutura o qualunque altro stromento, affine di poterlo più facilmente tirare in fuori, isolarlo dal vaso e reciderlo per una lunghezza di circa mezzo pollice. Effettuata l’operazione, si procede immediatamente alla medicazione della piaga, della quale avvicinansi i lembi mediante l’applicazione di un empiastro adesivo, che si contiene mediante una fasciatura o qualunque altra benda, e si fa alzare il cavallo. Sono anche indicati i punti a sutura per operare l’unione delle labbra della piaga; ma non vedo la necessità di questi mezzi per una semplice incisione non avente più d’un pollice d’estensione. [p. 265 modifica]

L’autore della dissertazione inserita nel Recueil de médecine vétérinaire pour 1824, e compilata su note che io teneva da Sewell, dice espressamente che questo professore risguarda la nevrotomia come più convenevole al dissopra del nodello, e Goodwin siegue quest’opinione. Se bene ho inteso Berger, che vidde operare Sewell, li 17 e 18 luglio 1826, nel Collegio veterinario di Londra, lo stesso professore avrebbe in oggi abbracciato il metodo di operare al dissopra del nodello pel lato esterno, ed al dissotto pel lato interno. L’incisione praticata al dissopra del nodello comprende tutto il grosso cordone, che discende al piede e somministra successivamente molte di visioni collaterali; mentre la nevrotomia praticata al dissotto dell’articolazione del pastorale collo stinco, non produce che la sezione del ramo posteriore che accompagna l’arteria; il ramo anteriore che fornisce le ramificazioni prefalangee, resta intatto, ed il nervo laterale non è reciso in totalità.

Berger ripete, secondo l’autore dell’Analyse des Lecons éleméntaires de M. Percivall sur l’art vétéri naire25, che è essenziale sapere sciegliere i soggetti sui quali la nevrotomia può essere seguita da successo. Ma non indica quali sieno questi soggetti da sciegliersi, si limita ad estrarre, dalla precitata analisi, che l’operazione conviene per ogni specie di zoppicatura cronica del piede o della corona, ad eccezione di quelle provenienti da’ piedi piatti e colmi. Aggiunge [p. 266 modifica]però una riflessione che mi dispenserò dal qui trascrivere, perchè, lungi dal delucidare la quistione, non fa che renderla più incerta. La traduzione del l’opera di Goodwin non rinchiude veruna particolarità sulle circostanze che possono richiedere o fare rigettare la nevrotomia. Se, come asserisce Perciwall, la sezione dei nervi laterali conviene per tutte le claudicazioni croniche del piede, ad eccezione solo di quelle cagionate dalla deviazione della suola, diviene cosa inutile il raccomandare espressamente la scielta dei soggetti. Non è forse affievolire l’asserzione di Perciwall, e prevenire sfavorevolmente sui successi dell’operazione, pubblicando che Sewell ed alcuni altri veterinari inglesi non sottomettono il cavallo alla nevrotomia che all’ultima estremità, ed allorchè sono esaurite tutte le altre risorse della chirurgia? La confessione di Huzard figlio è assolutamente conforme al rapporto fattoci da Bay, veterinario spedito in Inghilterra alla fine del 1827 dall’amministrazione delle razze; tanto l’uno quanto l’altro ebbero luogo fare gli stessi rimarchi nel Collegio veterinario di Londra, e vedervi cavalli ancora claudicanti dopo l’operazione della nevrotomia.

Mi limito a queste considerazioni sopra un’operazione che offre ancora molta incertezza, ma che non doveva ommettere in un’opera specialmente consacrata al piede. Non mi permetterò alcuna rifles sione particolare: tutti i ragionamenti e le più belle teorie devono cadere contro fatti numerosi rapportati in favore della nevrotomia. Toccai la meta, [p. 267 modifica]e 267 3 esponendo lo stato di mie cognizioni su questo mezzo terapeutico, e facendone conoscere l’applicazione.

§ 22.° caduta dello zoccolo (chute du sabot).

Questo accidente, sempre funesto, può essere l’effetto d’una violenza esterna, dalla quale risultano il distacco subitaneo e la separazione completa dell’ugna dalle parti molli, oppure risultare da una malattia grave, come dalla riprensione, ec.; nel primo caso, vi ha svellimento dello zoccolo, in seguito a sforzi risoluti e violenti che fanno gli animali per aggrapparsi al suolo od alle pietre, altre volte per ritirare il piede impegnato fra corpi duri od in una cavità qualunque. Rapporteremo all’appoggio di questa asserzione le seguenti osservazioni.

Il 19 gennajo 1808, un cavallo attaccato ad una carrozza pubblica, facente il tragitto da Parigi a Rouen, sdrucciolando, cadde all’improvviso sul di dietro: nello sforzo fatto per rialzarsi e seguire il movimento della carrozza, i due zoccoli posteriori si staccarono e non rimasero fissati alla corona che con una porzione di cute.

Il 23 marzo 1822, un altro cavallo attaccato ad una carretta, passando in una contrada di Parigi, si lasciò prendere il piede sotto la ruota di una grossa vettura carica di farina. Cercando svincolarsi, lasciò [p. 268 modifica]lo zoccolo sotto la ruota, e ritirò il piede tutto in sanguinato.

Non aggiungerò altro che un fatto, rapportatomi esatto, e che venne osservato nel 1824 in un mulo attaccato ad una bara: salendo una montagna rapida e selciata, l’animale, benchè lungo di finimenti, ricevette un violento colpo di scudiscio, manovra barbara e troppo ordinaria nei carrettieri. Questa inattesa impressione lo eccitò ad uno sforzo tale che aggrappandosi di nuovo perdette lo zoccolo, si scalzò26 dell’uno dei piedi posteriori, e perì vittima della brutalità del suo conduttore.

La separazione completa dello zoccolo in seguito di riprensione, essendo il prodotto d’un processo morboso, non s’effettua mai in modo subitaneo; questo modo di terminazione di un’affezione primitiva è sempre preceduto da molti fenomeni, che si succedono con maggiore o minore rapidità, e che a sufficienza abbiamo spiegati all’articolo riprensione.

La caduta dello zoccolo deve essere considerata, in tutti i casi, siccome accidente molto grave, non solo perchè può cagionare la morte dell’animale, ma perchè diviene il più di sovente impossibile ottenere una rigenerazione d’ugna sufficientemente perfetta, colla quale il cavallo possa rendere nuovi servigi. Se l’accidente è conseguenza dell’infiammazione delle parti contenute, consigliamo non intraprenderne la [p. 269 modifica]cura. Supponendo anche sia possibile evitare lo sviluppo della gangrena, le alterazioni sofferte da tessuti interni si opporranno alla riproduzione d’una buona ugna; lo zoccolo sarà difettoso, manterrà diverse compressioni, e l’animale sarà inabile a qualunque servizio, eccettuato per la riproduzione della specie. Quando al contrario, la caduta dell’ugna è cagionata da uno sforzo violento, e non havvi che svellimento senza lesioni sensibili del tessuto reticolare, non bisogna disperare la guarigione dell’animale; ma il trattamento è sempre molto lungo, per conseguenza dispendioso.

Il primo apparecchio d’applicarsi ad un piede privo dello zoccolo per lo svellimento dell’ugna deve comporsi di stoppe secche; si applica dapprima un forte strato di faldelle disposte metodicamente le une sulle altre, le quali si fissano con alcuni giri di benda o di fasciatura;si applica in seguito un secondo strato di stoppa, sul quale si praticano pure giri di benda, e si involge il tutto in un pezzo di tela, che si contiene fortemente attorno alla pastoja. Questo primo apparecchio, avente per iscopo d’arrestare l’emorragia, dovrà rimanervi un tempo sufficiente perchè i vasi possano chiudersi. Il cavallo, al quale si farà un buon letto, sarà tenuto al regime il più severo, e non gli si somministrerà altro alimento, finchè la febbre di reazione siasi calmata, che acqua bianca paglia minuta. Procedendo alla seconda medicazione, il giorno dopo o due giorni dopo la prima, si servirà d’acqua tiepida per inzuppare e staccare [p. 270 modifica]succesivamente le stoppe che potrebbero essersi accollate col disseccamento del sangue. Se dopo avere levate alcune faldelle, accorgesi non essere l’emorragia compiutamente arrestata, bisogna applicare nuove faldelle sulle vecchie, ristabilire come conviene l’apparecchio, ed aspettare il giorno dopo per provare a levarlo senza effusione di sangue. La parte ammalata essendo sbarazzata dalla stoppa del primo apparecchio, sarà immediatamente medicata di nuovo e nello stesso modo di prima; solamente le prime faldelle saranno spalmate di sostanze grasse, come l’unguento populeo, suscettibili di ammollire i tessuti e sollecitare la cacciata dell’ugna. Questo modo di medicazione sarà rinnovato tutti i giorni, finchè il nuovo strato d’ugna abbia acquistata una certa consistenza; allora le medicazioni saranno meno frequenti e tanto più rare, quanto maggiore sarà la forza che prenderà lo zoccolo. Nei primi tempi, si avrà la precauzione di non lasciare le parti vive allo scoperto ed esposte all’azione dell’aria, capace d’irritarle e contrariare la guarigione. Dopo ogni applicazione di stoppa, si avrà eziandio attenzione di spalmare di grasso tutta la corona, anche la pastoja, affine favorire la rigenerazione dello zoccolo. Se lo stato del polso prescrive un evacuazione sanguigna, la cacciata di sangue sarà praticata alla giugulare e rinnovata a seconda del bisogno. Importa del pari mantenere costantemente la morbidezza delle parti, fino a che lo zoccolo siasi quasi compiutamente stabilito potendo divenire diffettoso per la minima funesta influenza. [p. 271 modifica]

Questi esempi di perfetta rigenerazione dell’ugna, sono in generale molto rari, perchè i proprietari preferiscono sagrificare gli animali in questo stato, e perciò presentansi ai veterinari poche occasioni di seguire il trattamento di queste affezioni. Fra il piccolo numero di cure di questo genere, non ne citeremo che una, ottenuta nel 1818 da Bouley, nostro collega all’Accademia reale di medicina. Un cavallo, appartenente al sig. Renault, coltivatore a Yvry, dipartimento della Senna, ebbe lo zoccolo svelto cercando sbarrazzarsi il piede preso sotto la ruota d’una grossa vettura. Bouley, chiamato lo stesso giorno, impiegò i mezzi sopra indicati, e le sue cure furono coronate da pieno successo. A capo di sei mesi, l’animale si trovò in istato di servire ai lavori campestri; alcuni mesi dopo non zoppicava più, lavorava come gli altri cavalli, non lasciando lo zoccolo travedere alcuna traccia d’alterazione e non presentando alcuna differenza col piede opposto.

§ 23° laceramento dei legamenti articolari e tendinosi

(le déchirement des ligamens articulaires et tendineux).

Queste lesioni, in generale meno gravi della caduta dello zoccolo, possono però avere esiti più funesti, storpiare il cavallo e divenire incurabili. Dipendono alla volte da un corpo vulnerante che penetra nel piede e si configge profondamente; altre [p. 272 modifica]volte sono cagionate da ulcere corrodenti alle quali non si limitano i progressi; possono anche essere esito d’operazioni praticate senza precauzioni o senza conoscenze anatomiche. Così, i chiodi da strada penetranti attaccano di sovente il tendine perforante lo attraversano e l’offendono più o meno. È osservazione costante che in alcuni casi di piaghe ulcerose, la materia attacca e distrugge in totalità, od in parte i legamenti articolari contro i quali soggiorna27. Le scheggie che feriscono i cavalli da caccia, attraversano alle volte i talloni e vanno ferire i tendini flessori. Se il perforante è intaccato profondamente e che il cavallo continui a camminare, la lacerazione del tendine non tarda a compiersi. Questo accidente, notato da La fosse, può guarirsi colla cura e col tempo; ma esige la dissuolatura, da questo autore considerata indispensabile. Il tendine può esfoliarsi, accollarsi all’osso coronale, finisce consolidandosi con esso lui e col contrarvi nuovi punti d’inserzione.

§ 24° fratture dell’osso del piede (fractures de l’os du pied).

Sono rare, sempre molto gravi, e di sovente funeste al cavallo nel quale sopraggiungono e del quale necessitano il sagrificio. Queste soluzioni di continuità non si fanno distinguere nè per la crepitazione dei [p. 273 modifica]pezzi ossei, nè per l’alterazione nella forma della parte, e non danno altro segno patognomonico che la persistenza del dolore e del calore in tutta l’estensione del piede. Si operano sempre dall’alto al basso, dividono il più comunemente l’osso in due parti quasi sempre ineguali, e sono ordinariamente incomplete. Siccome lo zoccolo mantiene queste parti in contatto permanente, finiscono col riunirsi intimamente, e col tempo si ristabilisce l’osso nella sua integrità.

Per favorire la formazione del callo, dargli libertà di estendersi, secondo Lafosse, bisogna dissuolare il piede; si medica e si governa la piaga come nella dissuolatura semplice, praticata in seguito di chiodo da strada. Bisogna anche avere attenzione di mantenere la morbidezza dell’ugna col mezzo di sostanze grasse o mucillagginose; si può anzi prima dell’operazione, raspare ed assottigliare l’ugna della parete, in modo che possa prestarsi al processo che si stabilisce nell’osso fratturato. Dopo avere subito questo genere d’alterazione, la muraglia non deve rimanere esposta all’azione dell’aria, che la diseccherebbe prontamente, la ristringerebbe e complicherebbe di molto la malattia principale. È dunque necessario tenere la parte sempre coperta da sostanze grasse, colle quali si spalmerà anche la corona.

In generale questi accidenti sono di lunga durata, ma con cure ben regolari e ben intese, finiscono col dissiparsi compiutamente, il cavallo guarisce dalla claudicazione e diviene sicuro sul piede come prima [p. 274 modifica]della frattura. Dopo la dissuolatura, si tiene l’animale in riposo su buono strame, durante il tempo necessario perchè la saldatura possa essersi bene consolidata, ed affinchè i movimenti non producano nuova disunione delle parti28. Allorchè si giudicano i pezzi fratturati sufficientemente riuniti, e che non si abbia a temere nuova separazione, si sottomette il cavallo ad una passeggiata, la quale aumentasi ogni giorno, e si termina col metterlo ai lavori della campagna, dai quali si ritira quando la zoppicatura sia leggera. In tutte le ossa la formazione del callo dà sempre luogo ad un calus più o meno ampio, il quale dipende da una materia ossea accumulata attorno ai pezzi fratturati. Questa callosità dell’osso del piede comprime il vivo, l’irrita, vi mantiene un dolore che fa zoppicare il cavallo; produce questo effetto,sintantocchè col processo stablito nella parte, siasi distrutta, e che l’osso abbia ripresa la primitiva integrità.

  1. Soffiare al pelo, espressione molto usitata in mascalcia e nella chirurgia veterinaria; la si impiega per indicare la sorti ta della materia fluida che s’innalza nell’interno dello zoccolo, trapela e sorte dall’ugnatura disunita dalle parti sotto giacenti.
  2. Dicesi che il piede si scalza allorchè havvi caduta dello zoccolo.
  3. Vedi pag. 46.
  4. Per contenere con maggiore sicurezza l’apparecchio, si può impiegare un uncino posticcio, formato con un pezzo di latta, ed obbligato coll’una delle sue estremità, tra il ferro e la muraglia.
  5. È di molto rilievo l’avere due sorta di foglie di salvia semplici: le une, forti, servono ad amputare la maggior parte della cartilagine; le altre, piccole, sottili e strette, sono molto vantaggiose allorchè giungesi contro la capsula sinoviale ed il legamento articolare laterale anteriore.
  6. Il primo gonfiamento di simile natura che ebbi occasione di riscontraremi hasiffattamente ingannato, che ho aperta la capsula articolare: fortunatamente l’accidente non ebbe esiti spiacevoli, ed il cavallo venne restituito, perfettamente guarito, al suo padrone, notajo a Ville-Parisis, sulla strada di Meaux.
  7. La fibro-cartilagine trasformata compiutamente in sostanza ossea non è più suscettibile di carie; sino ad ora non ne conosciamo alcun esempio.
  8. Gli antichi ippiatri scrivevano forbure, forboiture, fourboiture. Non potrebbesi da ciò conchiudere che il termine fourbure venne ammesso perchè la malattia si fa rimarcare con eccessiva claudicazione?
  9. Instructions et observations sur les maladies des animaus, article Fourbure, tomo II, pag. 53.
  10. L’alterazione di cui trattasi venne distinta col nome di formicajo, tarlo ec. in ragione dei fori e cavità moltiplicate che presenta l’ugna interna, e che contiene sempre del sangue disseccato.
  11. Molti fra veterinari, che seguirono, nel 1798, l’armata francese in Egitto mi assicurarono, al loro ritorno in Francia, che i piedi dei cavalli condottivi venivano quasi tutti affetti da setole, delle quali non prendevasi cura se non se quando queste divisioni erano giunte al vivo.
  12. Gli antichi ippiatri cauterizzavano, o piuttosto, secondo la loro propria espressione, sbarravano la setola coll’applicazione di due o tre S di fuoco messe a traverso, ad un pollice di distanza l’una dall’altra. Questo metodo operatorio, suscettibile di produrre l’infiammazione del tessuto reticolare, come pure la deteriorazione dello zoccolo, non poteva riescire efficace, che quando la cauterizzazione superiore si trovasse vicina al cercine e distrugesse la fenditura nel punto di sua origine. Dopo Lafosse, si rinunciò a questa pratica pericolosa, la quale al giorno d’oggi non viene impiegata che da alcuni maniscalchi ignoranti.
  13. Rapport des trovaux scientifiques de l’Ècole royale vétérinaire d’Alfort, 1825.
  14. Nos. de janvier et de février 1828.
  15. Tutte le volte che il vivo è messo allo scoperto, si manife stano delle cerase; le carni si gonfiano, distaccano l’ugna, e dan no luogo a diversi gravi accidenti, siccome al giavardo cartilaginoso.
  16. Espressione derivata dal francese avaler, termine di marina che significa andare discendendo: così si dice l’aval d’una barca che discende e segue il corso della riviera.
  17. La denominazione di rospo (crapaud) proviene indubitatamente da ciò che l’alterazione, giunta ad un certo grado, presenta un aspetto schifoso, ributtante come quello del rettile del quale gli hanno attribuito il nome.
  18. Chabert assicurava che il cancro poteva essere un esito o degenerazione del moccio, come pure del farcino. Non ebbimo mai occasione di fare queste osservazioni.
  19. Le Parfait Maréchal, edizione del 1775, parte prima, p. 237.
  20. Questa distinzione non è esatta; tutte le ammaccature sono costantemente risultato d’un accidente esterno. Lafosse avrebbe dovuto limitarsi a riferire che certi piedi, siccome quelli a talloni forti, sono più degli altri esposti a questa sorta d’alterazione.
  21. ChiaMata in francese, volgarmente, ma di rado, solbature.
  22. Nel 1812, fui chimato a Parigi per dare il mio giudizio su di un male di piede del quale era affetto un cavallo da sella appartenente al S. D. L’animale che era stato operato da un chiodo da strada, era in cura da circa due mesi; la suola con siderabilmente sollevata, presentava all’uno dei quarti una fistola dalla quale sortiva una materia puriforme, densa e sanguinolenta. Consigliai una nuova operazione, il proprietario vi acconsentì e mi pregò eseguirla. Dopo avere estirpata la suola e tutte le carni intumidite, scuopri un’esfoliazione avente il volume e la forma d’un fagiuolo, presentante nel mezzo una piccola cavità nerastra, la quale era evidentemente la traccia della punta del chiodo. Con cure e medicazioni regolari, il cavallo guarì in quindici giorni, e fu, a capo di circa tre settimane, nel caso di riprendere il suo servizio ordinario. Fatti di questa sorta non sono rari; produco questo solo per meglio far sentire l’importanza di non lasciare nell’interno delle carni le esfoliazioni ossee o tendinose.
  23. Per operare questa disunione, alcuni pratici consigliano la curasnetta, la quale forma piaghe contuse ed aggrava i dolori.
  24. N-F. Girard. – Recueil de médecine vétérinaire, 1823, pag. 443 e seg.
    Huzard fils. - Journal de médecine vétérinaire et comparée, 1826, pag. 253 e seg.
    Berger. - Journal pratique de médecine vétérinaire, 1828, pag. 57 e seg.
    Vilatte. - Recueil de médecine vétérinaire; luglio, 1830.
    Dupuy e Prince. – Journal pratique, 1830.
    Renault. - Recueil de médecine vétérinaire, 1831.
  25. Recueil de médecine vétérinaire pour 1824.
  26. Termine volgare, ma che esprime perfettamente l’azione colla quale l’animale si spoglia di tutta l’ugna.
  27. Moreau, già veterinario a Parigi, ebbe occasione di osservare la caduta del sessamoideo minore, staccatosi dalle parti circonvicine, alla terza medicazione di una piaga.
  28. Lafosse dice, doversi tenere il cavallo in camminare riposo e senza farlo durante sei settimane.