Memorie storiche di Arona e del suo castello/Libro IX
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LIBRO NONO
SOMMARIO:
Chi legge nelle storie avrà veduto, che il fine ed il principiare dei secoli sono quasi sempre contraddistinti da epoche singolari. Tali sono infatti gli avvenimenti che da noi si vanno narrando, che chiusero il decimottavo, ed aprirono il varco al decimonono secolo, accaduti, sotto di un governo repubblicano, il quale sebbene sia stato di breve durata, abbondò per altro di tante vicende ohe forniscono materia di scrivere e riferire cose, alle quali appena crederanno i posteri. Speranze, timori, gravezze, allegrìe ed ancora timori, è questo il miscuglio ond’ebbe fine il decimottavo, e principio il decimonono secolo.
Dopo l’ingresso de’ francesi in queste provincie nel mese di novembre del 1798 e per l’occupazione da essi fatta sui primi di dicembre successivo della citta di Novara, ora certa conseguenza, che anche Arona non avesse potuto schermirsi dall’incontrare la stessa sorte delle altre piazze forti del regno. Si teneva la Rocca assai gelosamente cu¬ stodita ; il paese non lo era non di meno. Era un andare e venire continuo di milizie, frequenti le requisizioni sugli abitanti pel mantenimento della truppa e per l’approvvisio- namento del forte. Diligenze e sorveglianze erano forse più del dovere praticate; continue pattuglie scorrevano di notte e di giorno le contrade ed i dintorni; la popolazione allo aspetto di questi apparati viveva in grande agitazione, siccome quello che rinchiuso in un’orbata camera sta a tese orecchie ascoltando ogni esterno moto, e per piccolo che sia lo agita e lo fa temere. Alle tre ore d’Italia della notte delli 7 dicembre si presentò alla porta di Novara un distaccamento di cento uomini d’infanteria francese intimando senz’altro la resa del forte e del paese. La forza di soli cento soldati poteva pretendere tanto, quando Renzo da Ceri nel 1523 non potè abbattere questa fortezza con sette mila de’suoi fanti Italiani? La cosa è così. I tempi non erano più quelli, e conveniva seguire la corrente a scanso di maggiori mali. Il governatore, che era don Carlo Bernardo De Rossi di Tonengo, accompagnato dal suo stato maggiore, recossi alla porta ove stava il distaccamento, e dopo un breve colloquio fatto dal muro superiore al corpo di guardia col comandante francese, ordinò che si calassero i ponti levatoi e si aprissero le porte alle armi francesi. La guarnigione a tale ordine non potè che restare sorpresa, non conoscendone ancora la causa; obbedì al superiore, e tosto entrò il distaccamento francese a tamburo battente sotto il comando del capitano Ruzeau, il quale messa nel primo ingresso la mano sulla spada del governatore, gli disse: vous ètes prigonnier, senza però avergliela levata: staccò dal suo corpo sei uomini che pose in guardia a detta porta, e portossi immediatamente al forte, dove riconobbe le munizioni e l’artiglieria, e lasciato colà un distaccamento di guardia, discese prendendo alloggio nel paese col rimanente della sua truppa, sinché venne rimpiazzato da un distaccamento di cavalleria del capitano Rollet. Entrambi questi corpi conservarono la più esatta disciplina militare e la maggiore moderazione, cosa veramente di rimarco per una truppa vincitrice e per natura focosa ed intollerante. Cessò così ogni autorità nel governatore, ed esso col suo maggiore di Piazza il Barone Melchiorre Dichat De Toisinge e l’aiutante Volper vennero chiamati, e si recarono a Milano. La guarnigione del paese e della Rocca, composto di soldati veterani piemontesi, è stata tradotta a Gallarate, lasciando luogo alla truppa francese, e la compagnia dei quaranta soldati locali detti della Rocca prestò il giuramento alla Francia.
Queste mutazioni chiamavano per conseguenza quelle delle civili autorità, e le pubbliche e popolari dimostrazioni solite avvenire al cambiarsi di un nuovo padrone. Giunto alli nove di dicembre in Arona l’ex conte Chatèl, membro dell’amministrazione civica di Novara, in qualità di delegato di governo, e ringraziati gli antichi amministratori del pubblico, ne elesse dei nuovi, ad uno dei quali diede il titolo di commissario del governo. Si portò coi nuovi eletti alla piazza, dove ad imitazione di altri luoghi erasi poc’anzi piantato l’albero, a cui si attribuiva il simbolo della libertà, e si affratellò cogli astanti. Lasciati i titoli signoriali, e quelli cui danno meritamente dritto ne scienze e le facoltà, l’uno all’altro veniva pareggiato, e col solo titolo di cittadino ciascuno veniva contraddistinto. Successe in seguito l’ordinamento di una milizia urbana, e la municipalità col popolo radunato in luogo pubblico elesse a pluralità di voti gli officiali, e fece i ruoli della compagnia. Arona ebbe in questi giorni dei momenti di insolita ilarità, e sembrava quasi che la natura avesse cambiato sistema sugli uomini. Tanto può sul cuore dell’uomo un sentimento di libertà finché non giunge a conoscere se sia guidato più dall’immaginazione che dalla realtà!
Dipendeva in questi tempi Arona e la provincia dal governo provvisorio del Piemonte. Con un proclama di questo1 che aboliva tutti i procedimenti in corso contro i ditenuti, a riserva dei casi più gravi, si chiusero in gennaio del 1799 in Arona le prigioni, e parve che all’apparire della proclamata libertà fosse scomparso il delitto, essendo rimaste chiuse e vuote per lungo tempo. Questa misura quantunque lasci travedere un principio di umanità, non consuona però colle regole di pubblica sicurezza. Forse quei tempi abbisognavano delle eccezioni alle regole generali. Cessò in quest’epoca in virtù di decreti del governo provvisorio2 la giurisdizione del vicario generale di Arona dipendente dal concordato stipulato tra la Corte di Sardegna ed il Pontefice Benedetto XIV, non che quello del vice-conservatore delle gabelle, e vennero soppressi i diritti così detti di stola nera e di stola bianca. Occupavano altronde a questi momenti il governo provvisorio gli inviti che porgeva alle città e paesi del Piemonte per la loro unione alla Francia, e spedì a questa volta un suo delegato ad imitare la popolazione ad emettere il di lei voto a quest’unione. Si radunarono pertanto il popolo e le autorità costituite nel giorno 10 di febbraio sulla pubblica piazza, e fu eretto l'alto solenne adesivo all’unione predetta. Ma, altro che parlare di unioni! Gli affari di Francia in questi momenti sotto le mura di Verona non andavano con quel successo che forse il generale Scherer si era promesso. È stato questo il motivo per cui si chiamarono colà frettolosamente le truppe sparse in varie piazze onde rinforzare quei corpi infievoliti per le troppo frequenti morti di valorosi soldati. Lasciò quindi il forte la compagnia Rollet che lo presiedeva, rimpiazzata venendo dalla fanteria del capitano Davezé, che dimorò in guarnigione sino al 31 di marzo, e forse crescendo i bisogni sotto Verona, evacuata la cassa provinciale di Pallanza, inchiodata l'artiglieria del forte, e dispersa la polvere e le munizioni della piazza, s’avviò essa pure alla volta di Verona. Stette così Arona per tre giorni sprovveduta di guarnigione non sapendo come ed a chi dovesse obbedire, mentre vicini erano i francesi, e non molto lontani stavano i tedeschi e gli ausiliarii loro i russi. Ed infatti il 4 di aprile si vide a comparire il caporale Nimeth austriaco del regggimento Eroody con quattordici soldati che si trattennero poche ore, e ripartirono per Sesto Calende. Alti sei dello stesso mese arrivò da Angera un sottotenente della compagnia Suden con un distaccamento di cacciatori, e portatosi alla municipalità3 chiese alloggio e viveri per la sua truppa che convenne fornirgli; pretese che gli si rimettesse la bandiera della guardia civica, e gli venne rimessa; fece abbattere l’albero della libertà, e questo fu forse il minore dei mali; visitò in seguito e prese possesso del Castello a nome dell’armata austro-russa, e ripartì per Angera. Da questi fatti ha potuto il paese assicurarsi dell’avvenuta invasione della Lombardia e del Piemonte da queste armate; e si confermò maggiormente per l’ordine giunto al giudice dal governatore di Novara barone De Latour di dovere sul campo mutare la municipalità che aveva servito sotto la dominazione francese. Si è mutata, e le cose camminarono come sul piede di prima che giungessero le armi di Francia. Sono bellissimi tali repentini cambiamenti per chi li sente a raccontare, ma non sono però tali per quelli che li provarono in effetto. Lasciano essi gli inevitabili rancori fra chi aveva e fra chi dimette le cariche; attirano la malevolenza verso di chi si mostrò più propenso per un partito che per un altro, e rovesciano il più delle volte la felicità dei paesi. Arona nella sua piccolezza non andò esente da taluno di questi mali. Arrivavano e ripartivano in questo mese a vicenda varr corpi di truppe tedesche di diversi reggimenti, sinchè nel giorno venticinque giunsero cinque compagnie di fanteria del Bannato, che si stabilirono a guarnigione sotto il comando del capitano austriaco Eyler, a cui si aggiunse un tenente d'artiglieria. Quale sensazione abbia fatto negli Aronesi la vista di questa nuova truppa inallora non troppo bene ordinata al confronto della precedente vivace e gaia per istinto, egli è ben facile l’immaginarlo. Attese tosto questo comandante a far riparare e fortificare maggiormente la Rocca sotto la direzione dell'ingegnere provinciale Elia. Si sono levati i pezzi di cannone che erano inservibili, con una quantità di fucili, spingarde, corazze ed armature antiche, speditosi il tutto al deposito in Pavia. Si distrussero i molini a mano ed altre manifatture e macchine interne per dilatare le caserme, e si fortificò la gran torre che ergevasi sulla maggiore elevazione del Castello, essendovisi appostati due pezzi di cannone. Sono state intanto precettate molte comuni dell’alto e basso Novarese a dare un contingente di muratori, falegnami, zappatori e manuali d’ogni sorta, ed ai possidenti furono requisiti i legnami, le travi ed i materiali occorribili per questa ristaurazione, a cui si mise mano anche nell’esterno col maggiore impegno. Si eresse una batterìa al torrione che guarda il paese, altra sul muro verso mezzodì che domina la sottoposta campagna, ed altra sul maggior torrione a tramontana. Gli steccati vennero raddoppiati, si suddivise il forte in tre ritirate con ridotti, e questi posti si munirono di bastante artiglierìa, cosicché in poco di tempo si trovò ridotto a lodevole stato di difesa. Pendente questa riordinazione vennero a stabilirsi in Arona i generali austriaci Laudon e Wukassowich permantenere le comunicazioni coll’armata austro-russa sparsa nel Piemonte, nell’Ossola, e verso la Svizzera. La guarnigione di Arona in quest’epoca era di mille duecento uomini alternativamente cambiata. Si figuri ognuno come stesse il povero municipio costretto ad incessanti forniture, e frastornato dai riclami dei particolari gravati di alloggi e di cotizzi; ma i cotizzi e le altre requisizioni non erano bastanti a provvedere al tutto, si dovette dar mano a vendere parte del patrimonio del pubblico, poiché era anche difficile in quei momenti di trovare denaro a prestito.
Le leggi intanto e gli ordini relativi all’amministrazione pubblica emanavano promiscuamente tanto a nome del Re di Sardegna quanto dell’armata austro-russa; ed il commercio era interamente cessato per l’enorme decadimento della carta monetata del Piemonte, e per la circolazione delle cedole di banco austriache. Nè mancavano in questi tempi motivi di timore oltre i già sofferti, dacché il generale Nobili staccatosi con due mila uomini di truppa austriaca dalla colonna russa stazionata negli svizzeri, si portò in Arona, dove requisì viveri e foraggi pél suo corpo, sotto comminatoria del saccheggio ove non gli fossero forniti entro due ore. Fu forza adattarsi all’imperioso ordine, e soffrire gl’insulti che questa truppa arrecò ad alcuni individui del paese; e per ben due volte un altro corpo forte di tre mila armati, sotto il comando del principe di Roan che guardava le gole dell’Ossola, sulla voce d’arrivo di truppa francese su quella frontiera, si ritirò in fretta da’suoi posti, tradusse l’artiglieria in Arona; la smontò facendo abbruciare sulla piazza i di lei carri, disperdere la polvere del magazzeno di porta Bruna, ed ardere nel porto una barca di foraggi; indi sventatasi la voce per la quale aveva tanto temuto, pensò di rientrare ne’suoi posti.
Alle tristezze di quest’anno concorsero anche gli infortunii della stagione. Le dirotte pioggie che cominciate in marzo continuarono a lunghe tratte quasi tutto l’anno, gonfiarono il lago quasi all’altezza a cui era giunto nell’anno 1755. Appena vi fu ombra di estate, cosicché i grani rimasero alquanto immaturi; si fece poco vino e pochissime minute derrate; non mancava propriamente che il disastro della guerra per portare all’ultimo infortunio questo angustiato paese!
Sulla fama, che la nazione francese avesse riorganizzate le sue armate con intenzione di ritentare l’Italia per mezzo del valoroso Duce che l’aveva non erano ancor due anni conquistata, il generale Bonaparte, avevano gli austriaci prontamente approvvigionato questo forte a tutte spese delle comuni, cui troppo pesavano queste requisizioni per la scarsità dei generi dell’annata. Guardavalo il capitano Eyler con guarnigione di quattrocento uomini tra croatti, e del Bannato. Il paese veniva custodito dal comandante Suden con cinquecento tedeschi. I generali Laudon e Wokassowich, ai quali era stata portata sicura notizia della discesa dell’armata francese dal san Bernardo, partirono per Varese tenendo la strada di Angera, e tutti successivamente i distaccamenti austro- russi stanziati nell’Ossola e nella Svizzera, sfilarono per Como e pel Tirolo, essendosi quelli dell’Ossola con una quantità di cavalleria ussero imbarcati in questo porto per Angera, per guadagnare la via di Como. L’improvvisa occupazione della città di Pavia eseguitasi dall’armata francese, che a gran passi dal san Bernardo percorse il Piemonte, determinò il capitano Eyler ed il comandante Suden a dichiarare Arona in istato d’assedio. Si pubblicò da essi un proclama diretto agli abitanti del paese ingiungente, che chi intendeva di sottrarsi all’assedio, dovesse entro due giorni partire, e chi anelava di rimanere, avesse dovuto provvedersi di viveri. Varie famiglie si assentarono per fuggire il pericolo, e scorsi li due giorni si sono alzati i ponti levatoi e si chiusero le porte, ed alla parte del lago il paese, era guardato da una flottiglia austriaca, composta di otto barche cannoniere espressamente costrutte, con tre pezzi di cannoni da otto per ciascuna. Non istettero guari a comparire le truppe francesi. Un corpo, di cinquecento uomini si fece vedere ora sulle colline di Oleggio Castello, ed ora su quelle di Arona, di Meina, e di Dagnente, tenendo in Mercurago il suo quartiere generale sotto gli ordini del generale Betencourt: hanno tentato di erigere una batterìa sulla cima del colle che resta a tramontana del castello, ma disturbati dall’artiglieria del medesimo abbandonarono l’impresa; intanto trasportando due piccoli cannoni di campagna sopra varie vantaggiose posizioni, inquietavano la flottiglia austriaca, di modo che questa dopo due piccoli fatti d’arme seguiti, nel seno del lago dove dicesi a porta Cantone, in uno dei quali essendo rimasta colpita une delle barche, ed ucciso della palla del cannone un soldato con rottura dell’albero, e rovesciamento della bandiera ad altra barca sull’imboccatura del porto, la flottiglia entrò nel medesimo senza che più sia uscita. Correvano intanto dieciotto giorni dacchè Arona era stretta di assedio, e le truppe francesi poche di numero e mancanti d'artiglierìa grossa, che aspettavano da Pavia, non avevano ancora formate opere tali da indurre gli austro-russi a capitolare; negli abitanti del paese però cresceva il bisogno di varii generi mancanti, e sorgeva un ragionevole timore di maggiori disastri, quando dopo il mezzodì de due luglio entrarono in piccola nave nel porto due ufficiali parlamentarii francesi, che presentati al comando della piazza gli annunciarono la battaglia seguita nei campi di Marengo, colla rotta delle truppe austro-russe, e la capitolazione seguita tra il maresciallo austriaco barone Melas, e l’armata francese, in forza della quale si cedevano alla Francia le fortezze di Cuneo, Ceva, Serravalle, Torino, Fenestrelle, Bard, Ivrea ed Arona non che Alessandria ed altre, e gli fecero l’intimazione della resa della piazza; al che non avendo-voluto il comandante prestar fede, vennero i parlamentarlii licenziati, ed indi a due giorni si presentarono di nuovo alla porta detta di Novara con un corpo di fanterìa muniti delle autentiche credenziali della loro richiesta. Accertatosi il comandante della loro autenticità, non esitò punto a fargli la cessione della piazza e del forte coll’intelligenza, che rapporto all’artiglierìa gli austro-russi non potessero trasportare che quella marcata colle armi dell’impero, e quanto ai magazzeni, si dovessero dividere per metà fra le parli belligeranti le provvigioni che contenevano, come venne eseguito. Sciolto così l’assedio ed in un modo, che quanto inaspettato, altrettanto fu gradito agli assediati, entrò la potenza francese prendendo possesso del forte colle solite formalità. La guarnigione austro-russa prigioniera di guerra è stata dal generale Betencourt rilasciata sulla parola d’onore, e nel terzo giorno successivo, deposte le armi sulla spianata esteriore al paese, partì per Milano. Al comando della piazza rimase il capitano Mollin che dopo pochi giorni lasciò il posto al capitano Quadri svizzero, che militava nella legione italica.
Reggeva a nome del governo provvisorio di Torino la provincia dell’alto e basso Novarese il commissario Benedetto Bono, e per di lui ordine venne creata una nuova amministrazione del pubblico, ponendo in carica quei medesimi soggetti che formavano il corpo municipale all’epoca della venuta degli austro-russi. Quante vicende nel breve corso di diciotto mesi! e quante molestie porta se la guerra, e più ancora l’opinione degli uomini!
Assestate le cose ed assicurata la pace all’Italia uno de’primi ordinamenti della commissione di governo del Piemonte4 fu la demolizione delle fortezze designate atterrarsi dal decreto del primo console della repubblica francese delli 4 messidoro 1800, che erano quelle di Cuneo, Ceva, Seravalle, Torino, Fenestrelle, Bard, Ivrea ed Arona. In conseguenza, di quest’ordine una compagnia di minatori francesi comandata dall’ufficiale del genio Marcellor diede tosto mano alla demolizione. Questa sebbene aiutata da molti manuali requisiti sulle comunità circonvicine durò sino a tutto agosto dell’anno seguente 1804, ed tale circostanza si è fatta aprire la porta verso il lago sin qui denominata Porta Cantone, e che ora prese il nome di Porta Nuova, che era stata chiusa nell’anno 1645 in occasione che la Spagna inallora padrona del ducato di Milano dopo l’assedio, presa, e rilascio del paese e della Rocca fatto dalle armi francesi, aggiunse all’antico muro di cinta le fortificazioni e le fôsse esteriori. Il ricavo della vendita dei materiali non bastò a supplire alla spesa di demolizione ed al mantenimento della compagnia dei minatori, dichiarato a carico del paese; cosicché questo pubblico oltre di essere stato sottoposto quasi all’ignominia di divenire fabbro della propria rovina, ebbe per soprappiù il peso di doverla pagare a caro prezzo, giacché il godimento che gli fu inoltre accordato per un triennio di tutti i beni fortalizi, come la Rocca, gli spalti e le fôsse, non è stato bastante compenso alla spesa di demolizione. Cadde così in pochi mesi, e si ridusse al nulla un forte, che aveva figurato per circa dieci secoli fra le piazze considerevoli, e che fu soggetto a tante vicende: ed apparve chiaramente in questa circostanza, se fosse o no una fortezza importante, dacché se ne sollecitò col maggior rigore la demolizione. Noi vediamo oggidì deserto quell'alto dirupo su di cui tanti valorosi soldati lasciarono la vita a difesa de’ loro signori, e viene appena indicato allo straniero da qualche diroccato avanzo della sua grandezza sorgente fra rovi e spine, e guardato soltanto dai notturni augelli che trovano stanza nel fesso dei muraglioni, cui l’edera ed il caprifoglio rivestono le informi sembianze. Vediamo su quel terreno sudare l’agricoltore a renderlo benigno, quasi sia memore di ciò che fu un giorno, e dell’oltraggioso abbassamento a cui è stato ridotto, quando negli scorsi secoli faceva paventare coll’imponente suo aspetto le sottoposte terre ed i forti nemici. Quest’araba fenice che rinacque dalle sue ceneri ben quattro volte, chi sa che non possa rinascere anche la quinta?
Principia da questo punto per Arona un’era nuova ed un ben diverso aspetto di cose sui rapporti della sua fisica e morale esistenza. Guerriera in prima e guerreggiata, oggetto della cupidigia de'suoi emuli, e domata da chi da vicino la governava, le idee e le abitudini de’suoi abitanti non potevano essere dirette che alle sole marziali azioni o ad una troppo cieca obbedienza e servitù. Distrutto invece l’oggetto produttivo di questi effetti, prese la popolazione a respirare novelle aure di vita. Allontanati i timori cui dà sempre luogo la presenza delle milizie, e cessata la causa dei pericoli, provò ciascuno una maggiore libertà di se medesimo, e si assicurò la possidenza dei propri averi. Chi si animò al commercio, chi all’agricoltura, chi promosse il perfezionamento nei fabbricati; infine preso Arona il vero germe di vita, che pel corso di tanti anni o per timore o per avvilimento non osava dii dimostrare. Venga meco il lettore scorrendo le seguenti pagine e rimarrà appieno convinto di questo fatto.
Riunite alla repubblica cisalpina, per decreto del primo console Buonaparte5, le provincie di Novara, Lomellina e Vigevano, passò Arona a far parte di questa repubblica la quale essendo stata divisa in dipartimenti, questo tratto di paese statogli aggregato venne denominato il dipartimento dell’Agogna dal fiume di tal nome che scorre nel medesimo; così quelle terre che pel trattato di Vorms si sono nel 1744 dall’imperatrice Maria Teresa cedute al Re di Sardegna, ritornarono in unione al corpo d’onde erano state staccate. Per questa aggregazione (che ebbe luogo nel 1801) essendo Arona divenuta luogo centrale, quando in prima restava limitrofo, sentì molto nel suo commercio sia per essersi aggregati i dazii d’introduzione; sia per la separazione dal Piemonte, cosicché la maggior parte dei negozianti cessò dal commerciare, ed alcuni si recarono ad altre piazze; ma se provò detrimento nel ramo commerciale, ne fu indennizzato coll’acquisto di altre prerogative che la resero di un grado superiore a quello che non fu, per lo passato. La semplice di lei giudicatura venne eretta in pretura con un ampio distretto; in essa oltre il pretore, capo dell’ufficio, vi era un cancelliere, un protocolista, un attuaro criminale, e due aggiunti. Da lì a non molto vi si stabilì l’ufficio della cancelleria censuaria del distretto, ed una dogana composta di un ricevitore, di un dispensiere dei generi di privativa, di un controllore, e di due commessi. Collo stabilimento dei quali ufficii cominciò Arona ad avere qualche superiorità sopra molti paesi dipendenti dal di lei distretto, ciò che prima non avrebbe mai potuto ottenere stante l’erezione del forte ed il vincolo del feudo. Riguardo al culto finora nessuna utile novità era stata introdotta, anzi ne provò detrimento e mal contento per essersi in virtù dei decreti del comitato di governo provvisorio6 veduto ad un tratto, soppresso il Capitolo dello collegiata, ed avvocati i suoi beni alla nazione; e trattenne anche le contentezze del primordio del nuovo governo l’operazione del censimento delle case le quali dal 1775 in poi erano state esenti. Questa operazione non poteva essere più malamente eseguita. Si prese per base del censimento la somma di affitto per quelle che erano affittate, e l’annuo canone per quelle che concesse in enfiteusi, per cui queste furono enormemente caricate, e quelle che erano abitate dal proprietario lo furono pochissimo, base la più inesatta, che lasciò un universale malcontento ed un aggravio sproporzionato fra le grandi e le piccole abitazioni.
Passò pertanto quest’anno 1801 fra le contentezze del nuovo ordine di cose, fra i dispiaceri delle narrate privazioni ed aggravii, anno veramente memorabile per tante vicissitudini, e per le eccessive pioggie ed inondazioni che devastarono terreni e strade, e per le scarsità del vino, non essendovi memoria che questo genere di buona qualità siasi pagato in questo paese, in cui per lo più vi abbondi, sino a cento lire di Milano in argento per brenta di boccali 64 da once 52 ciascuno, ordinaria misura del paese; e ciò ad onta che si fosse introdotto dall’estero grande quantità di vino detto di Francia, ma che era in realtà per lo più artefatto, e nocivo alla salute.
I successivi anni 1802 e 1803 camminarono pressoché sull’egual piede del precedente. In ciascuno di questi anni però il municipio ebbe a provare delle considerevoli perdite nel suo patrimonio. Nel mese di aprile 1802 la nazione in virtù della legge 20 fiorile anno sesto, che prescriveva l’avvocazione di tutte le regalie, apprese anche il diritto così detto del terraggio, quello del bollo, dei pesi e delle misure, e della fabbricazione del pane di frumento, che da immemorabile tempo gli competevano. Nel successivo anno 1803 la nazione stessa, in forza di decreto del vice-presidente della repubblica delli 5 di gennaio, prese il possesso degli spalti, fôssi e Rocca malgrado il rescritto emanato a favore del municipio di Arona dal governo Cisalpino delli 9 gennaio 1804, con cui gliene era stata ceduta la proprietà, ed in forza di che il municipio stesso ne aveva eseguite le vendite a pubblici incanti. Questi beni poi per altro decreto del Viceré d’Italia 30 ottobre 1807 vennero dichiarati proprii, e rilasciati alla casa Borromeo, che aveva allegato ragioni di proprietà dei medesimi. Nel 1803 ebbe pure luogo la costruzione del cenotafio nel luogo in cui si vede al presente, opera stata sin qui protratta dopo l’emanazione del manifesto del Piemonte delli 25 novembre 1777. Tumulavansi prima di questo tempo i cadaveri nei sotterranei della parrocchia, divisi a distinti sepolcri secondo le diverse classi e qualità delle persone; dal che venne poi la denominazione di cappella degli Innocenti a quella posta lateralmente all’Altar maggiore verso il campanile, perchè nella sepoltura in essa esistente sepellivansi i fanciulli; ma anteriormente ancora alla costruzione di questi interni sepolcri, tumulavansi i cadavari nel terreno stante fra questa chiesa, e quella de’santi Gratiniano e Felino, che fu cinto soltanto nel 16397. E dopo l’erezione dei sepolcri nella chiesa questo aperto terreno serviva unicamente per depositare le ossa dei defunti soprabbondanti nelle tombe della chiesa. Se questo sistema si deve da un lato riguardare per un sentimento di pietà, onde colla vicinanza, e direi quasi, colla presenza, più viva rimanesse la memoria degli estinti congiunti, è d’altra parte ben riprovevole, e contrario al buon senso il voler calpestare quel terreno che li ricopre, e respirarne le insalubri aure fetenti. Fu perciò con più saggio consiglio in quest’anno prescelto un pezzo di terreno fuori del paese sullo stradale che mette ad Oleggio Castello fra le proprietà di questo ospitale, ed a spesa della fabbrica della chiesa collegiata se ne eresse un quadrato cinto. L’oratorio però è stato costrutto a spesa dell’Aronese Bartolomeo Pertossi, che vi riservò la tomba per se e per la sua famiglia, ed un'altra per il Clero. Levati così i sepolcri nella chiesa collegiata ottenne maggiore salubrità, ed a migliore forma fu quindi ridotto il di lei pavimento. Una sola tomba sotterranea si è lasciata sussistere per la tumulazione degli arcipreti e canonici del paese; ed un'altra indi a qualche tempo si è costrutta per la casa Borromeo, che elesse in questa chiesa la sua sepoltura nella cappella chiamata degli Innocenti. Riporteremo l’epigrafe incisa sulla pietra sepolcrale per onorevole menzione dell’esimio fondatore di questo famigliare deposito:
COMES . RENATVS . II . BORROMEVS
LITTERATO • IN • OTIO • ANIMI • ET • DOMVS • QVIETEM
SPLENDOREM • AC • SVBIECTORVM • FELICITATEM
MODERATIONE • PRVDENTIA • RECTITVDINE
EGREGIE • CONSECVTVS
MEDIOLANI • ANNO • MDCLXXXV
CALEND • MAII • ÆTATIS • LXXII
REBVS • HVMAN1S • EXCEDENS
SVOS • SVORVMQ • CINERES • HIC • DILECTIS • POPVLIS
IMMORTALA • AMORIS • TESTIMONIVM
Verso il finire di quest’anno correva voce che si sarebbero ridotte a minor numero le preture, e che questa sarebbe stata levata. Non era fallace la voce, e si verificò
la cosa nel seguente anno 1804, per essere sui primi di gennaio emanato un decreto di governo col quale vennero soppresse le preture di Arona, Canobbio, Orta, Omegna e Romagnano. Arona più che gli altri di questi paesi ne sentì detrimento attesa la di lei situazione ed i
suoi rapporti. Vi si è sostituita una giudicatura di pace, e tosto apparve dalla limitazione delle facoltà giurisdizionali accordate a questo nuovo ufficio quale perdita si fosse avuta colla soppressione della pretura. Destituita così
Arona di una prerogativa che per secoli, sebbene non collo stesso nome, ma colle medesime facoltà e distretto; aveva posseduto; spogliata contemporaneamente de’suoi municipali diritti, ed avvocati alla nazione senza alcun compenso; deformata dalla rovina del Castello e degli altri inferiori ripari; senza Capitolo della collegiata, senza Confraternite, sopraccarica d’alloggi di truppe e di debiti contratti per le sussistenze militari, si vide ad un tratto decaduta affatto dall’antico suo splendore: cambiamento fatale che lasciolle appena un filo di speranza di qualche benigno riguardo del governo nel tratto successivo per
causa della sua vantaggiosa posizione.
Se non temessi di incontrare una censura, e se fosse lecito l’applicare gli effetti di grandi fenomeni a casi particolari, direi che questa triste metamorfosi è stata preconizzata dal memorando eclisse di sole seguito la mattina del giorno 11 di febbraio del presente anno. Dissi memorando, dacché fu pubblicato e predetto ai popoli per prevenirli che non temessero, e con ciò si accrebbe in loro il timore panico e l’inquieta aspettazione, che si risolse poscia in nulla, mentre il disco solare non si oscurò, ma si appannò appena leggermente, e dove si aspettavano le tenebre si ebbe la luce. Ma per certo più dell’eclisse ha incusso timore l’esecuzione per la prima volta in questo anno della requisizione militare, ordinata colla legge delli 13 agosto 1802, anno primo della repubblica. Vi si diede mano colle più energiche misure, e le comuni del distretto sono state ingiunte ad unire il rispettivo contingente nel deposito di questo paese, da dove poi partiva alla volta del capoluogo del dipartimento. Una legge così coattiva, che, non i titoli nè la sostenta toglieva, ma l’individuo stesso rapiva dal seno delle famiglie, quanto mai fa detestata, e quanta difficile esecuzione non incontrò! Ma l’esecuzione col potere si ottiene facilmente, e colui che cerca sottrarsi per naturale istinto ad un giogo temuto cade in maggiore sventura, e più pesante gli si fa sentire il rigore della legge. Se lo seppero bene queste popolazioni, che non mai avvezze a concorrere a tale contributo duravano fatica a sottomettersi, ad onta che in questi tempi non vi fossero motivi di spavento per guerra od altro. Però nei tempi posteriori, stati sempre più difficili per li continui movimenti d’armi, ahi! quanto travagliò siffatta legge. Famiglie desolate perchè prive di colui che le sosteneva, o di quello in cui era fondata la speranza di futuro aiuto: famiglie sconcertate pei sacrifici onde liberare un individuo colpito dalla legge per mezzo della surrogazione: famiglie rattristate per la fuga di chi cercava di sottrarsi con essa al duro comando: continue sorveglianze e vessazioni alle case dei renitenti, oltre le penali, le cattive parole ed i peggiori fatti. Insomma quel poco di dolce che l’illusione della libertà e della eguaglianza aveva trasfuso negli animi dei cisalpini popoli cambiavasi in generale malcontento.
Sino a tutto il 1804 per mancanza di analoghe leggi erasi dai differenti governi, l’uno all’altro successi, lasciato sussistere in questo dipartimento la vecchia trafila giudiziaria delle leggi e costituzioni del Piemonte pubblicata nel 1770. La legge 18 aprile di quest’anno portò il nuovo metodo giudiziario civile, cioè la norma degli atti del giudizio civile, che prese vigore col primo di gennaio del seguente anno 1805, onde uniformare in questa parte tutta la repubblica, e da giorno in giorno colla emanazione dir. varie leggi e provvedimenti cessò totalmente la forza delle costituzioni del Piemonte, a riserva di quello che rifletteva lo stabilimento dell’ufficio dell’insinuazione degli atti pubblici, che in questo dipartimento si lasciò sussistere sino all’anno 1806, in cui fu sostituita la legge della registrazione. Dall’attivazione del nuovo metodo giudiziario si cominciò dagli Aronesi a provare qual fosse l’incomodo di non avere una pretura in un luogo così frequentato e di esteso circondario. Si rappresentarono al governo le circostanze locali e gli inconvenienti prodotti dal lago intermedio ad Intra, dove era stato aggregata Arona per la pretura, ma tutto ciò troppo tardi e senza effetto. Il governo in questi momenti era occupato da più serii oggetti. Un morbo intitolato da prima la febbre gialla, e poscia qualificato diversamente dalle quasi sempre discordi opinioni dei fisici, e fors’anche dai diversi sintomi prodotti dalla differenza dei climi, delle situazioni e dello stato degli individui, venuto dalla Toscana, e scopertosi sul fine del 1804, eccitò nello stato, ed anche in Arona e contorni, la vigilanza del governo, che prese le più efficaci misure per impedirne i progressi. Posto, un cordone sanitario, e richiamati all’osservanza gli attestati di sanità per i viaggiatori e per le merci provenienti dall’estero, vegliava la commissione di sanità in Arona stabilita all’esatta esecuzione di questi ordinamenti, giacché questo luogo come scala di passaggio per la Francia, Svizzera e Lombardia, aveva maggiore probabilità di temere la contrazione del morbo, che mercè di queste precauzioni non penetrò le nostre contrade, il che ha molto favorito l’avanzamento dei lavori della grand’opera della strada del Sempione. A questa si diede principio sul territorio di Arona sui primi di maggio di quest’anno 1805 sotto gli ordini di una commissione d’ufficiali del genio, che dimoravano a Belgirate, capo della quale era l’ingegnere Gianella milanese. Questa magnifica strada, stata decretata li 20 fruttidoro; anno ottavo (7 settembre 1800) dall’inallora primo console Napoleone Bonaparte, ed intra presa dal comitato di governo di Milano il primo ventoso, anno nono (20 febbraio 1801), presa nella sua estensione e secondo il di lei corso dal monte Sempione8a Milano, conta circa ottanta miglia dì lunghezza, ed è un'opera veramente grande e paragonabile senza all’antica Via Appia ed alla Nomentana; ed attesterà alle età future la potenza e la grandezza di chi reggeva allora il franco e l’italico impero. I paesi pei quali è trascorsa ed Arona principalmente gli devono moltissimo. La parte superiore di questo paese; che era a vero dire di cattivo aspetto, divenne dopo quest’opera ben fabbricata, ben rettilineata, e gli è stato tolto quel continuo pericoolo che presentava l'alveo della roggia dei molini, stato (e pare fino incredibile) sempre sin qui aperto a lato della medesima contrada. La demolizione di alcune case9 giovò all’ingrandimento della contrada e a darle una forma più moderna e regolare. E sebbene per discendere nella parte inferiore del paese sotto il Sasso della Rocca sia stato eseguito un ramo ohe si stacca, dalla medesima strada un po’ scoscesa, si compensò con altrettanta comodità nel tratto che dal Serrone mette sotto al detto Sasso, strada che prima era profonda, incomoda e rovinosa. Con quanta fatica e dispendio i materiali del demolito castello sono stati raccolti e adattati nei trascorsi secoli, con altrettanta facilità si sono impiegati nell’erezione dei grossi muri che sostengono detta strada al bordo del lago : cosi que’massi che in prima servivano a difesa per impedire l’ingresso a questo suolo, ora porgono a chicchesia facile adito di penetrarvi senza disagio e senza ostilità. Rimarcabile cambiamento!
Venivano sollecitati i lavori di questa strada nel modo il più incalzante; non si guardava nè a spesa nè a fatica purché celeremente progredisse. Una buona parte del prezzò dei venduti beni nazionali concorse a sostenere la spesa. Il maresciallo francese Le Brun delegato da Bonaparte si recò il primo giorno di giugno a questa volta onde riconoscere i lavori e lo stato della strada. Da tutte queste premure non solo si poteva supporre, ma si è anche veduto in effetto lo scopo a cui tendeva l’apertura di questa strada, che da lì a pochi giorni cominciarono ad arrivare diversi, corpi di truppa diretti al Sempione per la Francia, e continuarono poi di seguito altri numerosi corpi della guardia imperiale e di diverse armi. In questo modo Arona, che da ben poco tempo cominciava a godere qualche tranquillità, tornò a ricadere nei medesimi guai, ai quali sarà esposta finché avrà sussistenza questo stradale.
L’assunzione al trono di Francia di Bonaparte, e la successiva incoronazione siccome re d’Italia, erano le cause del movimento di truppe testé narrato. Seguì quest’ultima funzione in Milano alli 26 di maggio 1805 con una pompa sì grande, che quella città forse non vedrà più l’eguale. Cessava per tal modo la repubblica cisalpina per fatto di colui che la fece nascere e che l’alimentò più colle parole che coi fatti pei privati suoi disegni; ed il territorio ond’era composta prese il nome di Regno d’Italia. Questo straordinario avvenimento sarà anche per le età future un soggetto di grandi pensieri per rintracciare le cagioni ed i mezzi con cui è stato condotto a fine. Per riescire in tanto impegno non vi volevano che mezzi grandissimi, somma, perspicacia, ed il più pronto ardire.
In seguito a questo repentino cambiamento di Stato si vociferava che dovessero seguire varie riforme nei diversi rami economici e giudiziarii, ed apparì con ciò per Arona un raggio di speranza di riacquistare parte di quelle prerogative che poco prima aveva perduto. Non erano vane le concepite speranze. Sul finire di giugno di quest’anno emanò la legge che portava una nuova divisione dei distretti10; ed Arona venne dichiarata capo di un ampio distretto che abbracciava i cantoni di Canobbio, Intra, Omegna ed Orta, comprendenti centonove paesi ed una popolazione di 61,551 abitanti soggetti a questa vice-prefettura a cui spettavano le ispezioni economiche e di polizia. Coprì pel primo questa onorevole carica l’avvocato Giuseppe Maffioli-Luatti di Borgoticino, che sui primi di settembre assunse colla debita dignità il suo uffizio.
Era da credersi, che siccome allontanati e depressi i nemici, e consolidato in un potente principe il dominio d’Italia si sarebbe per lungo tempo riposato all’ombra della pace; ma gli eventi, che non misurano i loro andamenti dai bisogni delle popolazioni fecero sperimentare un ben diverso calcolo. Non era appena assunto al trono Bonaparte, che si fecero sentire alcuni rumori di guerra; e questi si confermarono coll’incalzante premura che si faceva dal governo per ultimare la strada del Sempione. Venne a visitarla in settembre, passando per Arona, il Consultore di Stato Paradisi, che la trovò già ridotta praticabile ed in buona forma, ed alli nove di ottobre la visitò lo stesso viceré d’Italia Eugenio Beauharnais, che passò per Arona in un perfetto incognito, e tragettato a Laveno, si restituì alla capitale. Emanata la dichiarazione di guerra dalla Francia contro l’Austria si viddero tosto discendere dal Sempione grossi corpi di soldati francesi diretti al milanese. Cento grosse barche sono state requisite per la formazione dei ponti sul Ticino e sul Po, onde servissero di passaggio alle truppe. Arona fornì una grossa barca, la quale munita di cannone, di provvigioni e di armati, percorreva invigilando sul lago, e proteggeva il militare passaggio. Ordinata la guardia nazionale, che comprendeva tutti i maschii dagli anni dieciotto alli cinquanta, marciò sui primi di ottobre unita in corpo a Ferrara per guardare quella città e le adiacenze, attesoché l’armata erasi inoltrata nell’Austria. Ma li prosperi successi ottenuti dalle armi francesi in quell’impero portarono ben presto la pace, e l’aggregazione dei paesi veneti al regno d’Italia. Si sono rese per questo avvenimento grazie all’Altissimo in Arona nel giorno 12 di gennaio 1806 col solito canto dell’inno ambrosiano, e colle pubbliche dimostrazioni di luminarie, e di spari, che in quei tempi erano frequentissimi, e bastava una piccola causa per darvi luogo; tanto che assuefatte le popolazioni a sentirle ad ogni tratto, terminavano per esserli indifferenti.
Qualche poco di tranquillità ottenuta per la pace conchiusa coll’Austria, venne molto propizia per la promulgazione di buone leggi, e migliori regolamenti, de’quali in verità lo Stato molto abbisognava. Alli dieci di marzo si è in Arona pubblicata la celebre legge della registrazione degli atti e contratti11 che veniva in sostituzione di quella dell’insinuazione, stabilita dal re Carlo Emanuele III di Sardegna nel 1770, e non differiva da questa, che per una maggiore tassa sui contratti. Per disposizione di questa legge tutti gli atti notarili vennero raccolti nell’archivio generale stabilito in Intra, misura che poco piacque, che accrebbe il dispendio e l’incomodo nella levata delle copie; ed il fatto posteriore dimostrò quanto si perda nel trasporto di antiche carte, essendosi in tale occasionò smarriti molti originali istromenti, tant’altri guasti, e la maggior parte smembrati, e malconci. Se lo spirito di questo regolamento era quello di provvedere alla conservazione dei pubblici documenti, il modo onde fu eseguito diede a provare il contrario almeno per quello che riflette il particolare di Arona, e del circondario che abbracciava. Venne dietro tantosto l’emanazione del codice Napoleone, che doveva prendere la sua attività al primo del mese di aprile di quest’anno12. Un complesso di provvidenze tali così bene ordinate, così semplici ed intelligibili, forse non è mai in Italia sortito dopo la pubblicazione del codice Giustinianeo. Gli statuti, le leggi municipali, e particolari di ogni luogo dovettero cessare all’apparire della novella legge generale. Ebbe conseguentemente fine ad avere vigore in Arona la pratica di riportarsi per certe contrattazioni allo statuto di Milano, mantenuta sino dall’epoca in cui questa provincia cessò di obbedire ai documenti del ducato di Milano. E molto opportunamente tolsero di mezzo ogni dubbio le estese provvidenze del codice italiano, cosicché durante il suo vigore tacque ogni altra legge e quella qualunque consuetudine che da quelle prendeva origine rimase totalmente annullata.
In questo medesimo anno, e poco dopo la pubblicazione del codice si attivò il regolamento organico delta giustizia civile e punitiva; ed al primo di agosto sortì il regolamento sul notariato. Questi due saggi provvedimenti tendevano a riformare gli abusi, ed a conservare il buon regime della giustizia e lo splendore della professione notarile, che era a questi tempi molto decaduta. E perchè dietro le prescrizioni del nuovo regolamento criminale si ebbe a riconoscere, che le antiche carceri del comune poste sull’imboccatura della contrada denominata di mezzo non erano nè abbastanza ampie, nè sicure, il governo, fatto acquisto della casa di certi Volonteri, in vicinanza della chiesa di san Giuseppe vi fece erigere le attuali comode prigioni, che servono di temporario deposito per il passaggio dei ditenuti, luogo opportunamente prescelto comecché vicino all’ufficio della giudicatura, e sulla principale strada di comunicazione coi luoghi donde vengono, e sono diretti i ditenuti. Le carceri antiche furono in seguito vendute, e si viddero tosto ridotte per una civile abitazione.
Per queste nuove opere, e per quelle divenute dalla riforma della contrada superiore per causa della strada del Sempione, e più per le diligenze della commissione dell’ornato, che vegliava sul buon ordine delle fabbricazioni, questo paese cambiò d’aspetto, e divenne in poco tempo molto più civile di prima. Acquistava in questo medesimo anno dal governo l’antico suo diritto dell’esigenza del Terraggio, che gli era stato tolto nel 1794, è con questo maggiore prodotto potè provvedere alla rifonda delle contrade, ed alla loro giornaliera polizia, appaltandone la scopatura, che gli costituiva altresì un ramo di reddito. Tutte queste cose in verità erano belle, appagavano il pubblico, e gli producevano del vantaggio per la maggiore circolazione del numerario, e l’occupazione di tante persone; ma se da un canto si veniva acquistando nella migliore struttura del fabbricato, nei redditi del municipio e nell’industria, sensibilmente si deteriorava nelle prerogative, e nelle ecclesiastiche particolarmente, che sono quelle che più delle altre toccavano il maggior numero della popolazione.
Abbiamo già in queste pagine notato, come per imperiosi bisogni di stato siano state smunte le chiese, i luoghi pii, e le religiose corporazioni. Vidimo pure per il medesimo titolo avvocati alla nazione in forza dei decreti 24 e 25 febbraio 1801 tutti i loro beni, e soppressi i capitoli delle collegiate; ora avremo luogo a vedere come di seguito il governo pensasse a togliere le altre comunioni ecclesiastiche, ed a farsi sue le loro sostanze. Cominciò col decreto 26 maggio 1807 ad abolire le confraternite, alienando a favore del regno le loro proprietà, le quali in fine erano quelle che la religione, e la liberalità dei cittadini volle loro donare, e che se non se per effetto del sommo comando loro non si potevano togliere, giacché da queste soppressioni non ne veniva allo Stato alcun peso di pensioni vitalizie od altro verso i soppressi. Fece senso, e molto più nel popolo l’effetto di questa legge, che faceva travedere una predisposizione del nascente governo ad immischiarsi nelle faccende ecclesiastiche. Conseguì però la legge il voluto scopo senza ostacoli, e le chiese spogliate dei beni, degli arredi, delle canonicali dignità, e delle confraternite, languivano bisognose, e sarebbero state ancora più depresse, se la pietà dei fedeli più incoraggiata all’aspetto di tanti infortunii non le avesse ancora con decoro sostenute. Per effetto di questo decreto si vide Arona ad un tratto spogliata della confraternita di santa Marta, e della Compagnia del Sufragio e del Rosario, essendosi i confratelli della prima per la più parte uniti a quella del Sacramento, lasciatasi sussistere, sebbene spogliata, come dissi, dei suoi beni , per effetto di un malinteso, o meglio per l’inavvedutezza di chi la regolava. A questa soppressione tenne dietro ben presto un’altra di molto maggiore importanza, e fu quella di tutte le religiose corporazioni, ordinata con decreto 25 aprile 1810. Due cooperazioni per disposizioni di quest’ordine Arona ha perduto, cioè il convento dei frati Cappuccini posti fino dal 1652 sul monto di 6an Carlo, ed il monastero delle Religiose sotto il titolo della Purificazione, stato come si disse fondato nell’anno 1590 entrambi di grande vantaggio al paese, dando il primo un aiuto al parroco nell’amministrazione dei Sacramenti a quasi tutto il territorio, e perchè il secondo, oltre all’istruzione gratuita, che dava alle povere figlie del paese, educava internamente un buoni stuolo di zitelle civili. L’effettivo abbandono però di queste case religiose non ha avuto luogo che in settembre del 1811. Venduti dalla nazione i beni, le suppellettili ed i locali stessi, non andò guari che quel luogo consacrato alle astinenze, ed alle meditazioni dei pazienti Cappuccini divenisse un sito di delizia di un privato. Sussiste tuttora il fabbricato del monastero della Purificazione, ma a tutt’altro uso perchè in parte acquistato dal municipio, lo destinò per case di abitazione private e di ufficii pubblici, avendone venduta la parte rustica; e nell’altra parte che si era per se riservata il governo, vi stabilì l’ufficio della dogana. Non parrà sicuramente strano alle future genti, come è a noi sembrato, se loro avverrà di vedere altri consimili cambiamenti.
È tuttora ignota, od almeno non abbastanza spiegata la ragione della non seguita soppressione dell’altro monastero sotto il titolo della Visitazione. Veniva pure questo compreso nella disposizione dell’imperiale decreto sotto la generica denominazione di religiosa corporazione egualmente che l’altro della Purificazione; e se il fine principale di tali abolizioni era l’appropriamento dei loro beni per provvedere ai bisogni dello Stato, questo monastero essendo più ricco del soppresso, era più in pericolo di cadere sotto la disposizione della legge, e di maggior interesse del governo di sopprimerlo. Non è meno da credersi, che sia stato l’effetto di una tolleranza o di un’eccezione. È noto, che a Parigi si lasciò sussistere un monastero dell’eguale instituto; ed a Milano un altro; e solo sì assoggettarono ad alcune regole sotto l’ispezione di particolari delegati, che di tanto in tanto verificavano gli andamenti, massime in ordine all’educazione ed istruzione delle ragazze alla cura delle monache affidate. A prima giunta dovrebbe credersi che la causa della non seguìta abolizione di questo monastero sia appunto divenuta in riguardo alla istruzione delle fanciulle, una delle eccezioni dell’imperiale decret; ma, e non educava parimenti, ed anzi con maggiore profitto pubblico, anche l’altro monastero stato soppresso? Anzi questo in doppio senso educava ed istruiva, cioè le giovani civili nell’interno del monastero in via di convitto, e le altre del paese in iscuola separata. Questa si può considerare per una di quelle eccezioni alle regole generali procedente da una causa che è più facile a supporsi che non a potersi accertare. Le nuove professioni erano vietate; e se per questo divieto quella colonia non poteva accrescere di numero, non diminuiva neppure, e decorosamente mantenevasi, perchè vi si accostavano le altre professe dei monasterii stati aboliti, che si accomunavano volontieri a quest’altro istituto. Ma è d’altronde noto che il governo voleva assoggettare queste suore a metodi differenti dal loro istituto, e che esse dimostrando della ritrosìa nell’abbracciarli, come era ben naturale; od ambiguamente rispondevano, o rallentavano le risposte, temporeggiando così con pratiche ed ambagi, le quali poi da parte degli agenti del governo non venivano incalzate per effetto delle raccomandazioni dei protettori delle monache; cosicché trascorsi alcuni anni in queste pratiche, e venuto il governo a più serii pensieri di stato, dimenticò per dire così, questo trattato, e col cambiarsi del governo stesso il monastero sussistette nella piena sua integrità.
I tempi di cui ragioniamo non erano por l’Italia meno scevri di timori, e di tribolazioni di quello che lo siano stato gli antecedenti, benché il governo con opere pubbliche e con carezze ai popoli procurasse di mantenersi in riputazione. La guerra colla Prussia poco fa cessata, quella vertente colla Spagna, le rotte colla Santa Sede e coll’Inghilterra, davano di che pensare al governo, e di che temere alle popolazioni. L’Austria depressa dalla precedente guerra stava in continuo agguato per irrompere e rifarsi dei danni sofferti, e credette opportunissimi questi momenti. Irruppe infatti con formidabili forze sino sui limitari dell’Italia; ma il nome, l’opera e l’audacia di chi l’aveva poco prima soggiogata, seppero validamente difenderla. L’Italia per questi moti se non provò le sciagure della guerra che si combatteva lungi da lei, sentì bene per riverbero le solite conseguenze, cioè forzate requisizioni d’uomini, di vettovaglie, e le gravose imposte per sostenerla, essendosi inoltre approvvisionate a tutto ponto le piazze forti del regno. Arona venne quotata per molta quantità di fieno e carbone, che fece trasportare a Mantova. Passarono nel suo seno più di ventimila armati in poco tempo; e non ebbe tregua che al pubblicarsi della pace fatta coll’Austria, in dipendenza della quale fu conchiuso il trattato di matrimonio dell’imperatore Bonaparte colla arciduchessa d’Austria Maria Luigia. Furono ordinate al solito solenni preci in rendimento di grazie; nè fia inutile il riportare l’epigrafe in quell’epoca apposta alla porta del maggior tempio di Arona nel mentre che tutto il popolo e le autorità costituite, colà radunate, il facevano echeggiare di cantici divini :
D • O • M
QVOD • NVPTILI • FOEDERE
MAGNI • NAPOLEONIS
GALLORVM • IMPERATORIS • ITALIÆ • REGIS
CVM
MARIA • ALOYS1A • AVSTRIÆ » ARCIDVCE
EVROPA
SPEM • PAC16 • INCOLVMITATISQVE • PERPETVÆ • FECIT
GRATIARVM • SOLEMNIA
Assicurata con vincoli di sangue l'amicizia delle corti dell’Austria e della Francia, pareva consolidato quest’ultimo trono coi più saldi legami anche in vista del celere
fecondamento dell’imperatrice Maria Luigia, che recò un novello re all’Italia ed a Roma. Alli nove di giugno si solennizzò in Arona il battesimo del neonato colle consuete
dimostrazioni di spari e luminarie dalle autorità comandate. Fregiavano in questa circostanza il tempio di Nostra Signora le seguenti iscrizioni:
D • O • M
GALLICI • IMPERII • ITALICI • REGNI
SPE • HAVD • FRVSTRATA
FELICITATIS • PERPETVA • OB • PROLEM • MASCVLAM
NAPOLEONE • MAGNI
GRATIARVM • SOLEMNIA
D • O • M
REGE . ROMÆ
SALVTIFERO • LAVACRO • RÆMATO
GRATES . ET • VOTA
E fra le esultanze di quest'anno è memorabile quella della venuta alle isole Borromee delle Loro Altezze Reali il Principe Viceré colla sua sposa Principessa Amalia e la Regina Ortensia, avvenuta alli 22 di settembre, passando sì nell’andata che nel ritorno per Arona. Non tralasciò in questa circostanza la casa Borromeo di spiegare la grandezza e magnificenza che a sì grandi ospiti si convenivano; e fra i migliori ornamenti è stata la superba illuminazione di tutta l’Isola Bella, e delle altre, alla quale fecero eco tutti i paesi circostanti al lago, talmente che il Verbano nel luogo della sua maggiore ampiezza arrideva in modo uniforme e delizioso a tanta allegrezza. I comuni poi andarono a gara nel presentare alle Loro Altezze e tempii, e padiglioni, e guglie, e varii altri singolari intrecci natanti sulle barche. Il podestà di Arona con due membri municipali si portarono colà ad inchinarle presentandole un superbo fuoco d’artificio su di una nave vagamente ornata; e su di un’altra grossa nave si eresse e presentossi una gran macchina rappresentante il castello di Arona, che illuminato faceva la più vaga e maestosa mostra, e dava rimbombo alle vicine montagne colle continue salve dell’artiglierìa di cui era munito. La novità della cosa aggradì sommamente ai reali personaggi, e riscosse l’universale applauso. Tutte queste cose congiunte ad una sera pacifica, al cielo sereno, e al lago tranquillo, compirono nel modo più desiderato e soddisfacente un sì fausto avvenimento.
Gli anni di cui dobbiamo ora parlare 1812 e 1813 non offrono sul particolare di Arona eventi tanto interessanti quanto importi la pena di doverli riferire. Le popolazioni allora stavano intente agli alti andamenti delle cose di Stato. Pendevano le vertenze colla Santa Sede. Gli inglesi molestavano la Francia, e l’Italia e la Russia li travagliava in guerra, quindi nascevano le solite conseguenze di passaggio di truppe, di imposte e requisizioni incalzanti, e di premurose leve militari. Il passaggio di truppe nel 1812 a calcoli fatti per Arona fu di ventidue mila. La leva nel 1813 è stata doppia, cioè l’ordinaria e l’anticipata pel 1814, e si ebbe inoltre dietro superiore ordinamento a fare al governo un dono gratuito di cavalieri armati ed equipaggiati, ed Arona col suo cantone ne somministrò quattro, ed avrebbe dovuto soggiacere a maggiore sacrificio per la disposizione del reale decreto 22 ottobre ordinante la vendita dei beni comunali a favore della nazione, se non avesse trovato l’espediente di rappresentare che la situazione del paese, soggetto a continui passaggi di truppe (come lo era in fatto), era in bisogno di tenere dei locali per alloggiarle; ed indugiatosi anche con destrezza a darne la consegna, ha potuto conservare intiero il suo patrimonio; essendosi però dal demanio venduti due molini ed un prato del comune di Paruzzaro, ed alcuni pochi beni di quelle di Dormello, ambedue allora frazioni di Arona, il valore de’quali beni postosi, come veniva ordinato, sul monte dello Stato, pagava questo agli spropriati comuni il reddito alla ragione legale. I passaggi di truppe rappresentati al governo erano pur troppo veri, ed egli stesso li sapeva, e dalli 2 alli 13 di dicembre di questo ultimo anno transitarono per Arona sei mila uomini di truppa italiana, reliquie di diversi reggimenti e divisioni della grande armata che militando per la Francia soffrirono il grande rovescio nella Russia.
Supplisce alla mancanza di singolari eventi degli ultimi scorsi due anni il seguente 1814, die sarà mai sempre memorabile nei fasti d’Italia, e son per dire anche di ciascun paese e luogo del regno. Sulla vociferazione che un corpo delle armate coalizzate contro la Francia tendesse a discendere dalla via del Sempione in Italia, vennero spediti a Domodossola cinquecento soldati di fanterìa e duecento dragoni Napoleone col treno d’artiglierìa sotto la condotta del generale Bertoletti. Questi corpi pernottarono in Arona il giorno 6 di gennaio, e proseguirono, nel giorno successivo la marcia per la loro destinazione; ove dopo dodici giorni di permanenza i dragoni ed il treno sono retrocessi col generale. Iodi a pochi giorni essendosi il capo battaglione Barbavara avanzato colla fanterìa verso il Sempione per sloggiare un distaccamento di tedeschi ivi stazionato, venne fatto prigioniero con otto uffiziali e con parte della di lui fanterìa, il rimanente della quale abbandonò Domodossola, ripiegando sopra Gravellona e Feriolo; ma essendo questo corpo stato rinforzato li 20 e 25 di marzo da cinquanta dragoni e da centocinquanta soldati di altri corpi, si avanzò il giorno susseguente, riprese Domodossola e le sue prime posizioni.
Questi leggieri movimenti erano, per così dire, la ripercussione dei flutti più forti che in altre parti sconvolgevano il mare d’Italia e di Francia; e già altri turbamenti presto si ebbero a sentire, tuttoché la vigilanza del governo cercasse di sopprimerli. Anche in questo distretto regnava da più mesi un sordo fermento nelle popolazioni talmente esauste di mezzi per far fronte ai pagamenti della tassa arti e commercio, personale e reale, che; in vigore di decreto del viceré del 24 gennaio si dovevano sborsare anticipatamente, fuori dell’ordine degli anni precedenti. La leva militare ordinata doversi fare sugli avanzi delle classi dell’anno 1808 a tutto il 1813 aveva indisposti gli animi, ed il numero de’disertori e renitenti si era accresciuto a segno che questa leva non ebbe effetto. Covava intanto un fuoco che si tenne coperto sino a tanto che le operazioni militari delle potenze coalizzate contro la Francia presero un aspetto di decisa superiorità e di sicuro vantaggio, e se ne manifestò l’esplosione in un modo straordinario. Si unirono disertori militari, renitenti alla coscrizione, persone di campagna, operai, e persino delle donne, armati quasi tutti di fucili, di sciabole, e di altre anni da taglio, di bastoni e forche, e piombarono in massa sul borgo di Lesa, ove abbruciarono indistintamente tutte le carte di quell’archivio comunale, sotto pretesto di voler distruggere le carte della coscrizione e della tassa personale. Passarono quindi a fare altrettanto nella comune di Nebbiuno, e nel giorno diecisette di aprile sorpresero in numero di circa quattrocento verso le due ore pomeridiane inaspettatamente Arona, e piombando sulla casa municipale, spogliarono l’archivio di tutte le carte e le abbruciarono. Spezzati quindi gli scaffali, le tavole, le sedie, e quant’altro di mobile vi si trovava, corsero furibondi al locale della vice-prefettura, contro di cui inveirono terribilmente cercando a morte il vice-prefetto, che per buona sorte non rinvennero per essersi a tempo sottratto a tanto furore; onde fecero man bassa sulla maggior parte delle carte di quell’ufficio, sui mobili tanto del medesimo che dell’abitazione del vice-prefetto, cosicché in poco d’ora quel locale venne ridotto ad un deserto. Copriva inallora la vice-prefettura il cittadino di Cesena Paolo Brighi, che aveva alli 16 aprile 1812 rimpiazzato il defunto vice-prefetto Maffioli, uomo affezionato al suo governo, e zelantissimo pel suo ufficio, si era cattivato la malevolenza dei tristi nel servire fedelmente al proprio dovere; ed avrebbe provato ancor di peggio se sgraziatamente fosse in tal frangente caduto nelle mani di quegli insorgenti. Dopo del qual turbine se ne partì per Milano, nè più la vice-prefettura venne rimpiazzata in questi ultimi periodi del governo italiano.
L’orda impaziente dei rivoltosi, la cui mira era più diretta a por mano sulle altrui proprietà, che non di sfogarsi colle carte, non aveva appena cessato il guasto ai suddetti luoghi con derubamento di non pochi oggetti di valore, che volse sulla dogana facendo man bassa sui generi di privativa regia e sul denaro che poterono rinvenire; e forse non sarebbe così presto finita la cosa, se opportunamente la municipalità tenendo una cantina di vino nella casa allora Ferrario sulla piazza di san Graziano per distribuire alle truppe di passaggio, non li avesse offerto da bere ed invitati ad entrare colà, ove la la maggior parte si ubbriacò, tanti si dispersero, nè più pensarono ad altri guasti, solo che lasciaronsi coll’intelligenza di voler ritornare nel giorno di mercato successivo onde far diminuire il prezzo del sale e tabacco; ma all’annunzio che era arrivata della truppa da Novara il giorno di lunedì successivo al fatto, nessuno più ardì di porvi piede. Io non potrò mai più perdonare agli Aronesi la loro acquiescenza quando s’accorsero di dover essere assaliti da questa turba di male intenzionati, poiché sarebbe bastato il numero di venti uomini armati a fargli una valida resistenza nel momento in cui si presentarono per entrare nel paese. Erano molti gl’insorgenti, è vero, ma tutta gente timorosa, inesperta al maneggio dell’armi, male armata e peggio diretta, cui sarebbe bastato il vedere un pericolo della vita coll’avanzarsi, per restare avviliti e darsi a precipitosa fuga. Nessuno sapeva positivamente la loro intenzione, potevano anche non contentarsi soltanto delle carte de’ pubblici uffici, del sale e tabacco della dispensa; potevano metter mano anche alle proprietà dei cittadini. Ed infatti non omisero per riescire di suonare a stormo onde sollevare il paese a loro favore, e vi sarebbero forse riesciti se l’autorità, il credito e le preghiere dell'arciprete non li avesse persuasi a desistere. Nei casi di invasione di tali attruppamenti è sempre buon consiglio il pensare che ne possa avvenire la peggio; se ne avviene di meno è un dono. Meritano qualche scusa gli Aronesi in questo loro fallo per non essere stati assistiti in quel punto da alcun corpo di truppa, che fatalmente in quella giornata non ve n’era davvero; ma l’amor di patria, l’onor proprio, l’interesse delle sostanze dovevano in tale frangente fare uno sforzo, resistere, e difendersi da chi insidiava alla pubblica tranquillità. È non di meno lodabile per altra parte il contegno degli Aronesi per non essersi alcun di loro immischiato nella rapina e nel guasto. Non mancano mai coloro che approffittando dei torbidi, s’immergono nelle scelleratezze e nei tumulti per manomettere le proprietà degli stessi concittadini! Conchiuderò che fu un prodigio l’essere i faziosi sortiti immuni da un tanto scompiglio più per effetto di imprevidenza degli assaliti, che pei loro meriti. Guai se la potenza in odio di cui si sono commesse tali enormità fosse giunta a riprendere le sue forze!
Intanto chi più di tutti ebbe a soffrire per tale evento fu l'archivio della municipalità che si vide in un istante spogliato degli atti più importanti che contavano un’antichità rispettabile. Quante belle memorie sono mai perite! Chi ne rifarà del danno?
Tale smania non si fermò solamente in questi limiti, mentre resisi animosi gli insorgenti dal non avere trovata opposizione, suonarono ne’successivi giorni 18, 19 e 20 a stormo per tutta la montagna, e misero a soqquadro gli archivii municipali di Borgomanero, d’Orta, di Castelletto sopra Ticino, di Borgoticino, e di tanti altri luoghi; e quest’esempio si dilatò in altre provincie, ed avrebbe avuto le più tristi conseguenze, se la saviezza del governo provvisorio, stato nominato dalla città di Milano alli 21 di aprile in dipendenza dell’armistizio stato fìrmato alli 16 di detto mese tra l’esercito d’Italia sotto gli ordini del principe viceré e le truppe tedesche, inglesi e napoletane, e stato confermato dal marchese Annibale Sommariva, commissario imperiale, non vi avesse posto un pronto riparo colle vie della dolcezza, e coll’avere ridotti alla sola metà il prezzo de’sali e tabacchi ed i diritti della posta lettere; abolita la legge della coscrizione; col rinvio dei figli unici e degli ammogliati dall’armata, e coll’avere definitivamente levata la gravosa tassa sulle arti e commercio, pesi tutti che eransi resi insopportabili al popolò già da lungo tempo angariato ed oppresso.
- ↑ In data 31 dicembre 1798.
- ↑ Delli 19 e 20 dicembre 1798.
- ↑ Chiamavasi allora con tal nome il corpo amministrativo del pubblico.
- ↑ Decreto 11 luglio 1800.
- ↑ In data 13 ottobre 1800.
- ↑ Delli 5 e 6 ventoso (24 e 25 febbraio 1861).
- ↑ Convenzione tra le comunità ed i Padri Gesuiti 10 giugno 1639 fra gli atti del Comune.
- ↑ Questo monte, da cui la strada prese il nome, venne così chiamato dopo che il console romano Servilio Cepione vi pose gli accampamenti contro le irruzione dei Cimbri in Italia. Ce lo riferisce il P. Guido Ferrario nelle sue opere in questo modo:
TRIENNIVM . ANTE . CAJUM . MARIUM . CONSVLEM
QVINTVS . SERVILIVS . CÆPIO
EXTRVCTIS . BIC . MVNITIONIBVS
ADVERSVS . CIMBROS
MONTI . NOMEN . TRIBVIT
- ↑ Nell’interno di Arona la demolizione cominciò soltanto nel 1806.
- ↑ In data 8 giugno 1805.
- ↑ In data 12 febbraio 1806.
- ↑ Questo codice era la legge universale del regno d’Italia emanata in forza del decreto imperiale 16 gennaio, ed altro del viceré d’Italia delli 22 marzo 1806.