Memorie storiche di Arona e del suo castello/Libro VIII
Questo testo è completo. |
◄ | Libro VII | Libro IX | ► |
LIBRO OTTAVO
SOMMARIO:
La serie quasi non interrotta dei fatti che vo a narrare in questo libro parrà non già alle genti che vivono, le quali in parte i fatti stessi hanno veduto, ma alle future, straordinaria al segno da mancargli quasi di quella credenza che gli deve essere realmente dovuta. Parrà veramente strano un repentino cambiamento di monarchia, che seco apportò leggi, sistemi ed abitudini differenti da quelle colle quali da’più remoti secoli erano tanto Arona, quanto le cedute provincie abituate; e desterà maggiore maraviglia l’udire come in meno di un mezzo secolo questo paese abbia perduto le principali sue prerogative, per le quali nei tempi addietro aveva sopra gli altri del Verbano tanto figurato. Come quella fortezza che seppe resistere a tanti nemici, a tanti secoli, a tanti rovesci, abbia dovuto vedersi ridotta allo stato suo primiero di nuda rupe, e nulla più ; come le belle opere del sagro Monte, lasciate esposte all’ingiuria dei tempi, siano per la trascuratezza degli uomini miseramente perite ; come vane siansi rese le premure di chi diede vita alle religiose corporazioni, perchè queste abolite, e persino distrutti i loro sacri asili; e come ad onta di tutte queste privazioni abbia per l’indole attiva degli abitanti potuto il paese non sólo acquistare in ragione numerica sulla popolazione, ma anche rimettersi in migliore condizione nel fabbricato, nella salubrità, arricchirsi nel commercio, ed avanzare nella civilizzazione.
Dovendo ragionare di tempi a noi più vicini, le di cui memorie sono più recenti e non meno importanti delle già narrate, ci sarà forse meno difficile di conservare l’ordine cronologico e la concatenazione degli eventi, ciò che non ci fu dato di fare nei precedenti libri per l’oscurità dei tempi, e per l’incuria degli scrittori contemporanei.
Quésto notabile cambiamento nella fisica e morale situazione di Arona era ne’fati riservato all’anno 1744 in virtù del trattato conchiuso in Worms alli 15 di settembre del precedente anno, per disposizione del quale essendo state cedute alla maestà del re di Sardegna Carlo Emanuele III dall’Imperatrice Maria Teresa d’Austria le provincie dell’alto e basso Novarese, Arona dovette da questo punto obbedire alla novella potenza, e vedersi pochi giorni dopo evacuato il Castello di tutte le munizioni di guerra e di bocca, e della numerosa artiglieria di cui era ben fornito.
Appena entrato in possesso il nuovo regnante e sulla nota di ragguardevoli soggetti che gli venne data dal feudatario conte Renato Borromeo, nominò a castellano del forte ed a governatore del paese il conte di Burry Carlo Giuseppe Cacherano Osasco della Rocca, il quale secondo la consuetudine è stato legalmente investito1 previa la cerimonia della prestazione del giuramento di fedeltà a mani del feudatario, che era considerato come governatore perpetuo di Arona e del forte. Si stabilì in quest’anno un presidio di soldati veterani che abitavano nelle due caserme della comunità, l’una esistente in vicinanza della porta detta del Sasso2, dove tuttora esiste; l’altra denominata il Quartiere Pertossi, che sta vicino all’oratorio di Sant’Anna. I posti di guardia della piazza e della porta detta di Novara si guardavano da questa milizia, e quelli del forte e della porta del Sasso erano custoditi dai soldati locali denominati della Rocca sotto l’ispezione del governo, di un maggiore di piazza, e di un ufficiale commissario di guerra, allora chiamato ufficiale del soldo. Così è stato sistemato l’ordine interno di Arona quanto all’ordine militare. La polizia del paese fu applicata al governo, il quale da quest’anno in poi pubblicava il suo particolare proclama relativo alle osterie e ad altri rami di polizia. Le autorità civili sono state dal nuovo regnante confermate sino a nuovo ordine, e ne diede la notizia il governatore di Novara marchese di Rivarolo con suo manifesto del 26 gennaio, che prescrisse altresì la prestazione del giuramento di fedeltà. Restava a sistemarsi quanto era riferibile all’ordine giudiziario ed alle finanze. Questi due rami che bene concordati sono l’anima di un savio governo e della felicità dei popoli, non potevano così presto rendersi uniformi alle prescrizioni del Piemonte sia per l’uso inveterato all’obbedienza delle leggi preesistenti nel ducato, sia perchè essendo Arona e l’alto Novarese, in dipendenza della separazione accennata, rimasti limitrofi al ducato stesso, richiedevano provvidenze analoghe alla nuova loro situazione. La mutazione delle leggi ed il metodo dei giudizii non ha quindi potuto effettuarsi che dopo molto tempo3. Intanto per non apportare repentini cambiamenti nelle usanze dei popoli di nuovo acquisto, stabilì il Regnante4 che il Senato di Piemonte e la Camera dei Conti vi esercitassero quella stessa giurisdizione che apparteneva dinanzi ai supremi Magistrati di Milano, col mandato al Senato ed alla Camera di uniformarsi sì nella formazione e struttura dei processi e nel modo di proferire le sentenze, che nella decisione delle cause ed in ogni altra cosa, agli usi, stili e costituzioni che si osservavano dai Magistrati di Milano. Per disposizione della qual legge Arona continuò ad osservare le costituzioni del ducato come legge universale, e gli statuti come propria legge municipale, perchè già adottati in addietro non so se per causa dell’abbandono dello statuto locale di Arona, o per la consuetudine a poco a poco introdotta dai Gesuiti, dai notai, e dalle persone del foro, le quali per lo più erano milanesi, e recando da colà le abitudini, gli stili e le formole, col volgere d’anni le hanno poi qui dall’uno nell’altro trasfuse ed introdotte nella stipulazione degli atti e nelle formole dei giudizii. Il giudice chiamato coll’antico nome di commissario, ritenne l’antica sua giurisdizione, che comprendeva i comuni di Mercurago, Dormello, Comignago, Gattico, Agrate, Revislate, Bogogno, Suno, Borgoticino, Cressa e Veruno. In seguito, cioè nel 1756 è stato destinato un altro magistrato che eserciva la sua giurisdizione unicamente sul solo ramo gabellario separatamente dal giudice ordinario locale. Si attribuiva a questo magistrato il titolo di vice-conservatore, che era dipendente dal conservatore della provincia, ossia dall’intendente della medesima.
La riforma delle finanze ebbe ad effettuarsi più presto che il sistema giudiziario, onde non frapporre incaglio nel commercio, primaria sorgente della sussistenza di Arona e dell’alto Novarese. La semplicità con cui vennero riformate le finanze, e le esenzioni concesse all’alto Novarese per l’introduzione delle merci provenienti dall’Olanda, dalla Svizzera e dal Genovesato, sì per il transito, che pel consumo nella provincia, e la moderazione dei dritti di dogana imposti, animarono di modo il commercio di questo paese e del circondario, che ben presto risorsero, ed Arona aumentata dal concorso di molte famiglie, che allettate dal vivo traffico che vi fioriva, si stabilirono in questa piazza, divenne in poco tempo un nobile emporeo di ogni sorta di mercanzie estere e dello stato.
Restavano pure a ridursi sul piede del piemonte il censimento delle terree dei caseggiati, e l’ufficio delle poste. In ordine al censo, trattandosi di operazione lenta e che assorbì lungo tempo per la misura, e per il conto di perequazione, fu portato a tard’epoca. Quanto all’ufficio delle poste, toltone alcune variazioni di poco momento comandate dal cambiamento dello stato, dalle circostanze locali; e dall’attività del commercio, non si fece all’istante cambiamento sostanziale, che non poteva farsi con successo sino a tanto che non si fossero prese quelle prudenti misure che avrebbero potuto suggerire il tempo e l’incremento mento delle cose, e specialmente sino a tanto che non fossero riformate le strade principali.
Arona in questo tempo, ed anche nelle anteriori età, non contava altra strada per dar capo ai superiori paesi che la sola via di lago, non potendo io considerare per una strada quell’angusto e tortuoso sentiero, che sortendo al nord del paese, correva le sinuosità del littorale ora sotto a pergolati, ora dentro a valli, ora su dirupi, ed a spesse tratte interrotto da rivi e torrenti non muniti di ponte. L’unica e praticabile via era quella che metteva sulla direzione di Novara da un lato, e di Borgomanero dall’altro, entrambe però assai incomode e male riparate, non conoscendosi ancora a quei tempi il metodo regolare di formarle e mantenerle. Nulladimeno non andò molto che in Arona si stabilisse la posta-cavalli5.
Il mercato di Arona non ostante il distacco del ducato con cui aveva le più forte relazioni, si mantenne tuttavia in buona attività. Soffrì però in parte negli anni 1746 a quasi tutto il 1747 per la forte epidemìa spiegatasi nei contorni, che eccittò la vigilanza del governo, e non cessò che sul finire di settembre malgrado le più energiche precauzioni adottate ; ma non era del tutto cessata l’epidemìa negli uomini, che passò nelle bovine, e ne fece il più orrendo flagello per tutta la primavera e l’estate del 1748, e tanto si diffuse, che alti cinque di dicembre si ebbe a fare un trattato tra la Francia, il re di Sardegna, ed il ducato di Milano, con cui si adottarono le più grandi precauzioni onde impedirne i progressi, ma con poco frutto, dacché nel territorio di Arona e vicini, perirono i due terzi delle bovine. Continuò l’epizoozìa anche gran parte del 1749 che per arrestarla si erano oramai esauriti tutti li possibili mezzi. Ha contribuito anche a qualche disordine del mercato e delle contrattazioni la emanazione in detto anno di una grida monetaria del piemonte, che dichiarava fuori di corso le monete erose del ducato di Milano, e della repubblica di Genova, e diminuiva il valore dell’oro e dell’argento. L’uso inveterato in questo, e nelli adiacenti paesi di valersi di dette monete era non lieve ostacolo all’esecuzione della grida, tanto più che pubblicatasi questa in un giorno di mercato, fece cessare immantinenti ogni contrattazione, si spiantarono li panchi, si chiusero le botteghe, e sarebbero avvenuti più gravi disordini se i rappresentanti del pubblico non avessero tantosto supplicato ed ottenuto dal Sovrano, che fosse ancora tollerato in questa provincia il corso dell’antica moneta di Milano; cosicché cessarono le inquietudini e si rinnovò il commercio6. La separazione dell’alto e basso Novarese dal ducato di Milano se apportò qualche variazione nell’ordine del civile governo, nulla innovò circa il culto, e la ecclesiastica giurisdizione. Arona non meno che le terre tutte che obbedivano al Metropolitano ed alla chiesa milanese, continuarono ad esservi soggette finché posteriori vicende non hanno diversamente disposto. Nè si creda già che il rito romano praticato in Arona ripeta la sua origine da questo cambiamento di stato, o dalle susseguite variazioni della diocesi. Egli è tanto antico (e già nelle superiori pagine il dimostrammo) quanto lo sia quasi il paese; e se col mezzo di documenti non abbiamo una prova della sua origine, io opino averla avuta dalla fondazione del monastero dei padri Benedettini, che lo praticavano per sistema, e che lo trasmisero quando, rinunciata da essi l'amministrazione della chiesa di santa Maria, questa è stata eretta in parrocchia. Abbiamo in conferma di ciò un dato positivo nella visita pastorale che fece in Arona il Cardinale Pozzobonelli arcivescovo di Milano, seguita alli 20 di maggio del 1749. Lo storico Guido Ferrario nelle sue opere riporta le epigrafi che il popolo Aronese espose in tale occasione sull'arco trionfale d’ingresso nel paese, e sulla porta del maggior tempio.
Sul primo arco :
JOSEPHO • PVTEOBONELLO
CARD • ARCHIEP • MEDIOLANENSI
ARONAM • INVISENTE
Sul secondo arco:
JOSEPHO • PVTEOBONELLO
CARD • ARCHIEP • MEDIOLANENSI
A • SVPERO • VERBANO • LACV
AD • INFERVM
DIOECESIM • LVSTRANTE
ARONENSES • ADORNARVNT
Alla porta della chiesa:
VTI • PASTORIS • OPTIMI • CARITATEM
EXPLEAT • BASILICÆ • LVSTRATIO
QVAM • DEO • OPTIMO • MAXIMO • PLACVIT
S • CAROLI • BORROMEI • CONSECRATAM • ESSE
BAPTISMATE • CIVES • VOTA • FACIVNT
Mercè li dimostrati ordinamenti interni, e l’attivazione del commercio animato dalla pace, e dalle premure del generoso Regnante, poteva Arona senza mancare di quella considerazione che meritano alcuni cospicui paesi del Verbano, credersi in qualche maggior grado di superiorità verso li medesimi, e meritarsi di essere segnata onde stabilirvi le autorità ed i principali ufficii della provincia; nè tralasciò dal farsi sentire su tale proposito; ma per la ragione, che tali magistrature non si conferivano ai luoghi soggetti a feudo, come lo era allora questo, non potè conseguire tale prerogativa, e venne trascielta Pallanza come borgo non feudale7. e posto in situazione più concentrica: è stato quindi colà fissato un prefetto, le di cui attribuzioni erano quelle di giudice in prima istanza per Pallanza e di giudice d’appello per tutte le altre comuni dell’alto Novarese. Si univa a questo magistrato la qualità inoltre di vice-intendente, cui spettava di sorvegliare le amministrazioni, e gli interessi dei pubblici, riconoscerne li conti annuali, regolarne le contribuzioni, e provvedere alle petizioni loro in materia amministrativa, esclusivamente però dalle vendite dei beni comunali, che erano sottoposte alla regia sanzione. Coll’installazione di questo magistrato cessò quel pieno potere che avevano i comuni di disporre a loro talento dei proprii redditi, ed in Arona, come in tutte le altre comunità della provincia il consiglio amministrativo del pubblico venne ridotto a minor numero di soggetti, e sono stati vietati i consigli, generali.
La riunione, come si disse, dell’alto e basso Novarese al Piemonte, e le relazioni, che li rispettivi abitanti della sponda lombarda e novarese fra di loro tenevano sì per riguardo al commercio, che relativamente alle proprietà stabili, importavano delle leggi e dei provvedimenti particolari, che da un canto non angustiassero le negoziazioni, e dall’altro assicurassero senza aggravii le importazioni, ed estrazioni dei prodotti aggrarii delle miste proprietà. Per provvedere a siffatto bisogno si devenne sotto li 4 di ottobre del 1751 ad una convenzione, che comunemente si conosce sotto il titolo di trattato fra la Maestà del re di Sardegna, e la regina di Ungheria Maria Teresa, stipulata per mezzo de’loro ministri li conti Cristiani dalla parte austriaca, e Bogini dal lato del Piemonte; oggetto della quale era principalmente la prescrizione di alcune prudenti pratiche, medianti le quali il possessore di una sponda potesse portare al luogo del stio domicilio nell’altra i prodotti de’ suoi poderi posseduti nella periferìa di cinque miglia sino al lago: che sul luogo dei poderi si potessero recare i padroni ed i coltivatori sull’una e l’altra sponda con assoluta libertà: che i sudditi del re avessero facoltà di estrarre dal ducato di Milano una data quantità di granaria distribuibile sulle comuni lacuali dell’alto Novarese. Sia che il territorio di Arona venisse considerato come più ubertoso in granaglie di quello delle altre comuni, sia che avesse maggiori mezzi di sussistenza, non fu messa a parte di quest’ultima concessione: in fine questo trattato assicurò all’una coll’altra sponda le relazioni commerciali che già da prima esistevano, e provvide ai bisogni che l’una dall’altra esigevano. Tale divisamento in ordine massime all’importazione delle granaglie venne molto propizio nel successivo anno in cui l’alto Novarese scarseggiò nei prodotti per le intemperie occorse; vi supplì però ben tosto l’abbondante raccolto del 1755 in tutti li cereali, e molto più nelle uve, talmente che il vino è stato venduto a vilissimo prezzo; ma una terribile epidemìa manifestatasi in Angera, indi diramatasi in Meina, ed in Lesa, per cui moriva un insolito numero di persone per una forte emorragìa di sangue, e ristagno al capo, non lasciò campo a conoscersi il vantaggio degli ubertosi raccolti di quell’annata, e pose in guardia il governo di Arona, che ha fatto sospendere per due volte il mercato, e proibì severamente la comunicazione con dette comuni; ma col finire del mese di agosto cessò il morbo, che venne dai fisici attribuito all’abuso del vino, ed all’eccessivo calore della stagione8. Si suole poi comunemente dire che ben difficilmente accadono due consecutive annate di abbondante raccolto. Sì verificò questa cosa appunto nel 1755 come già si disse, e nel susseguente 1754 per cui i generi e specialmente il prezzo del vino essendo portati a troppo basso livello, ne seguiva l’abuso. Due mali ordinariamente derivano quando il raccolto è sovrabbondante: il primo, che li possessori di terreni non ritraggono quel profitto come allorquando il genere è a modico prezzo, sebbene anche più scarso, e più gravi gli si rendono i pesi inerenti al possesso perchè più scarsi e più esigenti i coltivatori; il secondo male si è, che il consumo venendo portato all’eccesso, diventa vizioso, e ad un tempo nocivo. Si è fatto sentire il primo di questi mali sui possessori di terreni dell’alto Novarese (meno quelli dell’Ossola) in quanto che nel 1753 soggiacquero, oltre all’ordinaria, ad una straordinaria imposta.
Dopo di questi infortunii provarono gli Aronesi nel 1755 altro forse non minore disastro che era accaduto sul princìpio di questo secolo, cioè nel 1705, e fu che nel mese di ottobre9 il lago per le dirotte pioggie crebbe a segno che inondò tutta la piazza, e la contrada inferiore, che non esisteva memoria di una simile escrescenza. Sì vedono ancora al dì d’oggi in due case di quella contrada i segnali in pietra indicanti quella notabile escrescenza ; e può annoverarsi veramente per infortunio Una siffatta elevazione, perché oltre al grave incomodo che arreca per il momento l’acqua inondante agli abitanti ed ai passeggeri, lascia una insalubre umidità nelle case, che non si toglie sino alla state successiva. Dopo però che si tolsero molte peschiere che stavano all’imboccatura del Ticino, questo lago non è più giunto al segno delle prime sue escrescenze. Il paese eziandio acquistò molto coll’elevazione notabile che si operò in questi ultimi anni del piano antico delle inferiori contrade, e della piazza in vicinanza del lago.
Dal punto della riunione di questa provincia al Piemonte sino all’anno 1757 non si era più fatta alcuna riparazione alle cappelle del monte di San Carlo per mancanza di mezzi. In quest’anno, mercè l'introito delle oblazioni di tutto questo tempo di quiete, vennero alcune ristaurate; altre proseguite nell’erezione, e si sono anche riparate le strade e viali conducenti alle medesime. Il paese vedeva bene che la lontananza di chi doveva promovere la perfezione di quest’opera stupenda, era non piccolo ostacolo per trattenerla, e quasi sospenderla, e gli parve che lasciandosi dalla biblioteca ambrosiana di Milano l’ammi¬ nistrazione dei beni e delle rendite del monte con affidarle a chi era sul luogo, che per ragione di vicinanza e di maggior interesse patrio avrebbe sortito un effetto mi¬ gliore. Chiese pertanto il consiglio municipale di Arona dal Re che tale amministrazione fosse affidata ai Padri Cappuccini che stavano sul medesimo monte, e die da essi si promovesse l’opera dell’erezione delle cappelle che pendeva interrotta; ma o che vi ostassero le disposizioni del pio institutore, o che la biblioteca non abbia voluto dimettere questo suo diritto, la domanda non ebbe effetto; ed il pio stabilimento andò sempre decadendo; nè valsero le premure della deputazione dello stesso monte spiegate nel 1776, supplicando al re Vittorio Amedeo III qualche assegno sui beni della soppressa compagnia di Gesù, con cui proseguire la fabbricazione delle cappelle di quel santuario. Intanto e per il difetto di sussidii, e, diciamolo pure, per l’indolenza dei deputati che non si curarono di provvedere ai bisogni, nè si ripararono le cappelle già costrutte, nè si proseguì la loro costruzione; cosicché quel santuario che si era intrapreso con tanto impegno e continuato col massimo calore sino all’anno 1745, cominciò a decadere, a col tratto successivo venne del tutto abbandonato, esposto all’ingiuria del tempo ed al deperimento. Io non posso osservare che con occhio di compassione e di dolore i diroccati avanzi e l’abbandono di un'opera che, portata regolarmente a termine, doveva segnalare in modo più eminente che non è, la patria, le azioni, e le beneficenze dell’incomparabile nostro Santo Concittadino. E qui potrebbesi senza scrupolo rinfacciare a chi fu causa di sì vile ignominia ciò che Cassiodoro a nome di Teodorico re degli Ostrogoti in Italia disse in una lettera ad Aloisio, cioè: «Che se è una bella gloria conservare le opere mirabili dell’antichità, è tanto più dovere di ristaurare quelle opere utili e deliziose che si hanno frequentemente sotto gli occhi».
Per la quiete che regnava in questi tempi a causa delle convenzioni intese tra le potenze dell'Italia superiore, che dava luogo a credere dovesse essere continuata, parve questo il momento propizio per dare cominciamento alle operazioni preparatorie del nuovo censimento delle terre nelle provincie cedute alla reale casa di Savoia, onde eguagliarle a quelle del piemonte. Un’operazione così lenta, e di tanta importanza esigeva alcuni anni per mandarla ad effetto. Generalmente essa cominciò nel 1758; ma in Arona la misura ebbe soltanto principio nel 1760 per opera del geometra Domenico Schiera delegato dal vice-intendente di Pallanza, e non fu compita che nel 1770; questa misura però era seriamente riferibile alle terre non state per l’addietro censite, a quelle che dopo la misura seguita nel 1723 erano state divise dai nuovi possessori, ed a quelle che vennero alterate, e variate in superficie, mentre per quelle su di cui non era stata fatta variazione si ritenne la misura medesima seguita nel 1723. Negli anni intermedii non si rinvengono che le istanze dei possidenti presso i delegati del censimento per ottenere equità nelle stime. Li fondi della soppressa abbazia de’santi Gratinano e Felino, passati nella compagnia di Gesù, quelli dell’arcipretura, e del monte di san Carlo, ed altri che godevano immunità, la conservarono; ma fu applicato anche a questi il numero della mappa, il perticato, ed il censo, salvo il diritto e coll’espressione che si lasciavano intanto esenti senza pregiudizio delle ragioni del fisco e del pubblico; il che non fu una proroga e non una conferma di diritto, giacché nel 1778 e 1795 i detti beni immuni furono come gli altri censiti e collettati come beni allodiali. Dietro poi le consegne dei beni in dipendenza del regio editto del primo di febbraio 1770 e le precedenti misure, ebbe luogo nel medesimo anno in questo paese la riforma delle tavole censuarie e la rinnovazione dei libri d’estimo, essendosi cambiato l’antico computo del censo, che era in lire, soldi e denari, in iscudi, lire ed ottavi. Continuarono però ancora le altre contribuzioni conosciute sotto il nome di annata, di diaria, di mezz’annata, e simili, giusta il metodo del ducato di Milano sino al 15 settembre 1775, in cui vennero tolte dall’editto stesso del censimento. Il censo delle case, chiamato censo di seconda stazione, è stato eseguito più tardi. Nell’interstizio di queste operazioni mancarono ad Arona il capo- ecclesiastico ed il governativo, il primo dei quali era l’arciprete Giacomo Berrini, morto nell’anno 1762, a cui subentrò il dottore Ercole Maria Bonanomi de’consignori di Massino. Il secondo era il conte De Bury, primo governatore di Arona dopo la cessione dell’alto e basso Novarese al Piemonte, mancato in luglio del 1765, entrambi carichi d’anni e di meriti, lasciarono desiderio di loro in Arona. Prese il comando interinalmente il maggiore di Piazza cavaliere Guiberti sino a che il governo venne provveduto colle solite formalità nella persona del conte Milliet de Challes, uomo di probità e di garbo. Tenne questi mano ferma per l’esecuzione della legge proibitiva dei giuochi di azzardo inallora emanata10, e ne fece oggetto di particolare provvidenza nel suo proclama solito pubblicarsi in principio d’anno; fece altresì osservare con rigore la disciplina militare; tenne un corpo di guardia permanente nel suo palazzo, ed un’ordinanza a’ suoi fianchi.
Governava ancora questo zelante soggetto nel 1765, in cui alli 25 di giugno si portò in Arona il marchese d’Ormea delegato regio per la visita del basso ed alto Novarese. Prese alloggio nella casa del governatore, dove le autorità tutte si portarono a complimentarlo. Si trattenne in Arona due giorni, duranti i quali rilevò dal pubblico archivio varie memorie relative al paese, al feudo, alle scuole ed ai luoghi pii, e partì quindi per Pallanza. Oggetto di questa missione fu certamente il desiderio del governo di penetrarsi dello stato, dei bisogni, dei diritti e delle consuetudini di questi paesi di nuovo acquisto, per poterne avere considerazione nelle successive provvidenze, e specialmente per una norma nella compilazione delle leggi e costituzioni del Piemonte state poi pubblicate in Arona alli 15 di maggio del 1770. Questo codice stato compilato per ordine di Carlo Emanuele III inallora regnante, diviso in due volumi, comprende i metodi del procedimento civile e criminale; la materia delle successioni, la norma degli atti di volontaria giurisdizione, i regolamenti delle acque, dei boschi, delle miniere, e quantaltro interessa la giustizia e la civile società ; ed è commendevole per la precisione, per la facilità e brevità a cui sono state ridotte le operazioni di pratica, per le regole dei giudizii, e per lo stile in cui è scritto. Cessò dal giorno della di lui pubblicazione l’antico metodo civile e criminale dello stato di Milano che si usava in Arona ed in tutta la provincia di Novara, e cessò pure il titolo di commissario che davasi dapprima al giudice di Arona per antica costumanza. Emanò indi a pochi giorni il regolamento per li notai, che abolita l’erronea pratica del milanese di ricevere gli atti pubblici in tessera ed in latino, restituì a questa gelosa professione l’antico suo splendore. Per la disposizione appunto di dette nuove leggi venne nell’anno medesimo della loro promulgazione stabilito in Arona l’archivio detto dell’insinuazione degli atti pubblici notarili. La Tappa (che con tal nome si chiama il circondario soggetto a questo nuovo ufficio ) comprese tutte le comuni soggette alla giurisdizione di Arona e di Lesa, cbe concorrevano, come al presente, al pagamento dell’affitto e delle contingenti spese per rimpianto e la manutenzione dell’ufficio e dell’archivio a proporzione dell’allibramento censuario di ciascuna comunità compresa nella Tappa. Un segretario col titolo di insinuatore, riceve e conserva le copie di tutti gli atti pubblici rogati dai notai ; ne applica e riscuote le tasse, custodisce gli atti originali de’notai defunti o dimissionarii, e ne rilascia le copie ai richiedenti. I primi istromenti di questo archivio sono del 1475 del notaio aronese Giovanni Filippo Caccia, e di altri notai successori della medesima famiglia. Non può mai abbastanza essere lodato un così utile stabilimento; se fosse stato instituito qualche secolo prima forse non saremmo così all’oscuro dell’origine di tanti diritti e prerogative, ed i rogiti degli antichi notai avrebbero certamente apportato una maggior luce alla storia, ed una migliore sicurezza sulle proprietà, le quali per mancanza dei documenti soggiacquero in certe epoche alla usurpazione dei prepotenti.
La perdita degli atti notarili anteriori a quelli che esistono noi la riputiamo avvenuta dalla pratica che concedevano i commissari di Arona anche a persone non rivestite della qualità notarile di ritenere le minute dei loro maggiori, ed anche quelle appartenenti a famiglie estranee, con autorità di rilasciarne le copie; e benché tale facoltà non fosse duratura che per un anno, veniva ella prorogata alla richiesta dei detentori, dai quali pare che non si esigessero poi tante garanzie, nè si usassero tante cautele per la restituzione delle minute presso di loro depositate in caso di morte o di non rinnovata licenza. Gli atti del già nominato notaio Giovanni Filippo Caccia ci danno la prova di questa pratica. Nell’anno 1489 alti 42 di gennaio certo Pietro Martire di Castelletto fu autorizzato levare le copie degli atti notarili di Bartolomeo suo padre. Alli 16 febbraio del medesimo anno Giacobino Ponzoni di Arona lo fu per li rogiti di certo Giulio d’Orta che era morto nel 1485. Sotto li 17 marzo 1508 e 5 dicembre 1544 Bernardino di Castelletto lo fu pure per gli atti dei suddetto notàio Giacobino Ponzoni e di cento Mazini di Vallemaggia. E cosi avvenne di tanti altri sino all attivazione degli archivii d’insinuazione; perciò noi ci troviamo privi degli atti de notai Gabriele e Giovanni Giacomo Annoni, dei Bindoni, di Cristoforo Decio e dei Soardi, che tutti hanno per molto tempo rogato in Arona, e che dai loro atti avremmo potuto senza dubbio avere delle maggiori notizie interessanti per la storia.
Sino a questo punto nulla si era innovato in ordine alla giurisdizione ecclesiastica per le terre che in virtù della cessione erano state smembrate dal ducato di Milano; e solo in quest’anno 1770 venne pubblicata in Arona e nell’alto Novarese la costituzione del Sommo Pontefice Benedetto XIV relativa all’immunità delle chiese e ad altri oggetti di culto; ed in quest’anno medesimo è stato stabilito in Arona l'ufficio o curia di vicariato generale dell’arcivescovo di Milano per le terre dell’alto Novarese state come si è detto smembrate dal ducato. Il primo vicario è stato il dottore ed arciprete Ercole Maria Bonanomi che indilatamente aprì la sua curia esercendone la giurisdizione. Questo ottimo soggetto riuniva alla soavità dei costumi l’integrità ed il disinteresse, doti pregievoli che regolarono tutte le di lui operazioni, e lo resero meritevole degli onori ai quali è stato promosso11 Nel periodo di tempo decorso dal momento in cui discorriamo sino a dieci anni avanti il terminare di questo secolo, non conta Arona grandi cose di rilievo, avvegnachè nel 1773 per la morte del sovrano Carlo Emanuele III siavi successo Vittorio Amedeo III, il quale per avere approvato le prerogative medesime di cui il paese godeva anteriormente alla sua assunzione al trono, le cose camminarono sull’egual piede di prima. In quest’intervallo perdette Arona e riacquistò tre governatori eguali per prudenza, per attività nella carica, e per stimabili doti personali. Morto nel 1775 il conte Milliet de Challes, vi successe il cavaliere Giustiniano Maria Due, maggiore di cavalleria e governatore de’paggi di S. M. regnante; ma promosso questi (era l’anno 1781) al grado di governatore della città di Chamberi, venne eletto nello stesso anno il conte Lodovico Amedeo San Martino di Strambino, e destinato poi questo governatore ad altra piazza, fu scelto al governo di Arona nel 1783 il conte Carlo Bernardo De Bossi di Tonengo e Monte Borre. Questo attivissimo personaggio sino dai primi istanti del suo governo curò moltissimo la polizia del paese; ordinò che fossero levate tutte le antiche loggie di legno deformanti la visuale delle contrade, e tutti i gradini e sedili delle case e botteghe che sporgevano fuori della linea perpendicolare dei muri. Proibì che si tenessero fòsse e letamai nell’interno dell’abitato, e ridusse a più comoda forma la casa governativa. Ma queste buone provvidenze hanno per lo più breve durata, perchè mancata la persona che le ha ordinate sogliono trascurarsi, e tutto ritorna al disordine ed alla licenza. Questo periodo, di tempo non turbato dai timori di guerra, nè da altro sconvolgimento politico, è stato propizio per l’interno sistema di Arona e per il compimento di alcune opere tendenti a migliorarne il fabbricato. Cessato il collegio Gesuitico per l’abolizione di quella religione seguita nell’anno 1773, e nel libro quinto di quest’opera riferita, si pensò al riordinamento ed alla continuazione delle pubbliche scuole, sostituendo ai Gesuiti altri valenti soggetti, conestando le classi d’istruzione sino alla rettorica colla riunione delle scuole che già esistevano ordinate da privati, ed incorporate ad alcuni beneficii, cosicché poterono ancora mantenersi in grido, e dare lustro al paese; e quantunque si erigesse in Pallanza il collegio delle scuole per la provincia, quelle di Arona si viddero sempre molto frequentate particolarmente di studenti della riviera d’Orta, della Vallesesia , ed anche del basso Novarese, che forse amavano preferire questo ad un più lontano paese. Abbiamo già veduto come dopo l’abolizione dei Gesuiti sia stato coi loro beni venduto dal demanio anche il locale del loro collegio, che abbracciava una buona parte del paese, il ricco compratore attese tosto a ridurre quel chiostro in forma di civile abitazione fissandovi la sua residenza e quella del suo agente. Dieci anni dopo a spese dell’onorato canonico di questa collegiata Giovanni Francesco Rossoli, patrizio Aronese, venne fatta rischiarare per mezzo di una specola la cappella laterale a sinistra dell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria, dedicata alla Natività del Redentore nel presepio. Rimosse le antiche statue di cotto rappresentanti la Sacra Famiglia, fece dipingere detta cappella dal pennello del Caldelli, di Bissago, e la decorò di una tela dipinta da Andrea Appiani milanese, rappresentante il medesimo titolo. Non so però se la rimozione di dette statue, e l’avere cancellate le antiche pitture che esistevano sul muro, fatte le une e le altre dalla celebre mano di Gaudenzio Ferrari di Valduggia, che a mio credere saranno stato un monumento prezioso, debba lodarsi anzi che no, e se possano equivalere le opere sostituite dal Rossoli.
È legge, di prudenza l’andare ben cauti nel togliere ciò di cui non si conosce il valore (volendo io credere che la prima opera non sia stata conosciuta) o che anche conosciuto non si creda potersi paragonare ad opere nuove, il cui pregio non sia ancora ben stabilito. Il tempo fa poi conoscere l’errore, e non potendosi più riparare rimane sempre vivo il dispiacere di averlo commesso. Fece in seguito questo buon canonico ristaurare a sue spese la cappella della Beata Vergine Addolorata avendone inchiuso il quadro in un’ancona di marmo e fatti indorare a fino li fregi e le cornici: nè contento di avere fatto tante altre elargizioni a questa chiesa, a cui pare avesse avuto una particolare dilezione, la instituì erede della sua sostanza unitamente all’ospitale della Ss. Trinità in eguali parti, e prelegò, alla prima un fondo denominato alla Ferrera ed un bosco a san Carlo in questo territorio acciocché col loro reddito si procurasse il decoro dei sacri arredi della stessa chiesa, specialmente dell’altare maggiore. Legò un capitale di lire duemille di Milano, ed un censo di lire cento cinquanta simili per la celebrazione dell’ultima messa nei giorni festivi con un onorario al sacerdote che celebra la prima messa per tempo. Legò pure un altro capitale ad oggetto che co’ suoi frutti siano dati gli esercizii spirituali ogni quattro anni al clero, ed ogni sei al popolo di Arena. Il comune nell’anno 1787 ha fatto erigere la fabbrica delle macellerie per contro al quartiere detto degli invalidi. Erano varii anni che essa pensava per il buon ordine del mercato, e per la pulizia delle contrade e di concentrare in un sol luogo i pubblici macelli; ma la mancanza dei mezzi gli aveva impedito questo lodevole disegno. Opportunamente dalla Sovrana munificenza gli fu assegnato il sussidio di sei mila lire per soccorso restituibile a tempo migliore, stante la grandine desolatrice caduta sull’alto e quasi tutto il basso Novarese, e pensò di impiegare questa somma per la spesa di detta fabbrica, avendo supplito del proprio per il restante. Prima di quest’epoca i macelli erano sparsi qua e là per il paese, per cui rendevasi difficile la loro sorveglianza, incomodo ed indecente il loro esercizio. La riunione dippoi eseguita nell’eretto locale ottenne lo scopo di una maggiore polizia e sicurezza in questo importante ramo di economica provvidenza. All’erezione dei macelli tenne dietro nello stesso anno l’espurgazione, ed il riordinamento del porto a spese dello Stato, non che l’apertura del così detto Portello a porta del Sasso, onde servisse di sussidio al porto grande. Tutte queste opere pubbliche congiunte a quelle che venivano eseguite dai privati od in miglioramento, od in ampliazione degli abitati, resero in pochi anni il paese di molto migliore condizione che prima, e contribuirono anche all’aumento della popolazione. Prosperò altresì in questo spazio di tempo mirabilmente il commercio assicurato dalla quiete e dalli non pesanti aggravii; ma cominciò a soffrire nel 1790 e successivo anno per la quantità straordinaria di regii biglietti posti in corso, e per il poco valore intrinseco del numerario eroso-misto che correva in quei tempi. Contribuirono anche a questo danno li rumori di guerra universalmente sparsi e confermati poi colla pubblicazione del regolamento per, le milizie dei Regii Stati in data del primo di dicembre 1792, col chiudimento dell’università di Torino e del collegio delle provincie, non che colla formazione delle compagnie di milizie urbane. Si accrebbero ancora di più le voci di guerra e si acquietò il commercio alla promulgazione del regio editto 9 maggio 1793 ordinante l’armamento generale dello Stato, ed all’emanazione del bando delle milizie de’ regi stati 25 aprile dello stesso anno, con cui si ordinava a tutte le persone capaci di portare l’armi di concorrere alla difesa dello Stato per fare argine all’invasione dei francesi; ma questa misura sebbene fortemente inculcata dal governatore non ebbe effetto per la mancanza di provvisioni da guerra, e per la scarsità de’viveri, massimamente che detto bando ingiungeva, che ciascun armato dovesse provvedersi dell’uno e dell’altro a sue spese.
I fatti di Lione e di Tolone assecondati da poco favorevole successo per le armi del piemonte ed ausiliarie contro quella dei repubblicani francesi, dimostrarono inevitabile la invasione di questi ultimi nel piemonte, e non tardarono molto a lasciarsi vedere sulle cime delle alpi. Come più prossimo il pericolo, ed inevitabili le spese per i preparativi di una valida difesa, era di necessità ricorrere a mezzi che potendo da un lato sopperire al già quasi esausto erario, non avessero direttamente gravitato sulla generalità dei sudditi. Sono state quindi ingiunte tutte le chiese a portare alla regia zecca gli ori ed argenti, a riserva de soli arredi necessarii indispensabilmente allo esercizio del culto. Dietro quest’ordine la collegiata di Santa Maria ed ambedue i monasteri ebbero a consegnare i migliori pezzi d’argento, che la lunga pace antecedente e le offerte dei fedeli avevano abbondantemente fornito. I beni ecclesiastici stati sin qui immuni dalle contribuzioni vennero nel 1794 censiti e collettati al pari degli altri. I soli beni dell’arcipretura caddero in Arona sotto di questa disposizione, e qualche piccolo podere della parrocchia di Mercurago situato in questo territorio, perchè quelli della soppressa compagnia Gesuitica comecché venduti sino dal 1778, non cadevano più sotto la categoria di beni ecclesiastici, e vennero perciò anch’essi censiti prima di questa ultima legge. Vistose somme portarono al regio erario in dipendenza dell’ordine 10 luglio 1795 l’ospitale della Ss. Trinità, le due Confraternite, il Monte di Pietà, i due monasteri, la scuola de’Morti e del Rosario, ai quali per abilitarsi a tale contributo era ordinata la vendita di parte dei loro beni. La collegiata inoltre consegnò al regio arsenale una campana che ha poscia sostituita per non disordinare il concerto.
Tali imposte sebbene fossero di rilievo per quelli sui quali erano dirette, non stavano però in proporzione dei bisogni dello stato, e perciò in seguito del regio editto 28 dicembre 1797, ordinante la vendita della sesta parte dei beni del clero secolare e regolare e dei monasteri pel contributo di cinquanta milioni, il Capitolo della collegiata e i due monasteri fecero vendita di tanti de’loro beni pel sesto di essi, ed eseguirono il pagamento della loro quota. Fu in questa circostanza che il Capitolo ha venduto i tre molini situati in Arona, statigli dopo l’abolizione de’Gesuiti dalla liberalità dell’allora regnante Vittorio Amedeo III assegnati. Questa vendita però attesa la prolissità degli atti di pratica non venne a consumarsi che nel seguente anno. Altee governative disposizioni concorsero ad aggiungere fondo al pubblico erario. Si sono abilitati i comuni ad affranchirsi dai cànoni, livelli e decime12. Arona intraprese tosto ad affranchirsi dalla decima parrocchiale, ma la trattativa venne poscia sospesa per le sopraggiunte vicissitudini di stato, ed il parroco si mantenne in diritto di decimare. I feudi, i fidecommissi, le primogeniture, ed i diritti di caccia sono stati aboliti13. Siffatta disposizione, che ebbe per mira di eguagliare in certo qual modo, i diritti dei sudditi, incontrò in allora un universale aggradimento, e sarà mai abbastanza lodata da chi avrà motivo di parlarne nelle storie. Cadde conseguentemente colle altre prerogative anche il diritto della nomina dei giudici, che competeva come prerogativa signoriale al feudatario, e fu perciò confermato dal Re il giudice di Arona, e soppresse ed aggregò a questa giudicatura quelle di Castelletto sopra Ticino e di Invorio Maggiore.
A questi ordinamenti tenevan dietro ben presto quelli risguardanti la sorveglianza sui forestieri, sulle unioni di persone, sulla tranquillità pubblica; mezzi buonissimi, ma non sempre efficaci nei momenti torbidi. Tutto ciò congiunto al decadimento di credito dei biglietti di finanza non ostanti gli sforzi fatti per sostenerlo, lasciavano travedere delle prossime novità. Arona però colle sue adiacenze era tranquilla, ed il suo commercio, sebbene soffrisse per la difficoltà della monetazione coll’estero, ciò nullameno vedeva correre una prodigiosa quantità di moneta erosa e mista, con cui potè fare fronte all’eccessivo prezzo delle granaglie ed altre, derrate, causato anche in parte dalla sterilità dell’annata; e parrà incredibile che uno scudo d’argento da sei lire di Milano valesse lire ventiquattro in eroso-misto, e che su questa proporzione sia asceso il valore dei generi.
Ma suonavano già sulle vette alpine le galiche trombe, ed agli spiegati vessilli calando le audaci legioni per quelle sinora credute quasi inaccessibili balze, presentavano la fronte alle appetite contrade italiane, e le avrebbero rapidamente raggiunte, se la valentìa delle armi piemontesi e dei confederati, favorite dalle naturali posizioni dei monti, non le avessero opposta grande resistenza. I timori però e le inquietudini divenivano sempre maggiori ad onta ché sul principio del 1798 sia stato notificato l’abbrucciamento di tanti regi biglietti per l’ingente somma di ventidue milioni di lire. Questo rimedio però non portò lo sperato successo sulla monetazione, giacché attesa l’occupazione eseguitasi dalle armi francesi del ducato di Savoia e del contado di Nizza, si è concentrata tutta la carta monetata nel Piemonte ed in queste provincie, per modo che si arenò intieramente il commercio, e crebbe più che mai il prezzo dei generi.
L’epizoozìa nelle bovine, che già da due anni infieriva; la scarsezza dei grani, che se non è reale nei tempi di torbidi, si fa nascere da chi pensa a trarre partito dalle occasioni; il rilassamento del commercio, e molto più l’infelice attentato di una banda di gente di varie età, condizioni, e patria, che partita dai contorni di Milano (già stato occupato dalle armi francesi, sino dalli 7 maggio 1796; e proclamato libero con tutto quel ducato li 9 luglio 1797) passò a Laveno, e si portò da Intra al campo sopra Feriolo, col pensiero di rivoluzionare questa provincia, resero celebre e ben disgustoso quest’anno. Riunitasi quest’orda di gente indisciplinata nel giorno 13 di aprile nel suindicato luogo dopo di avere poste a contribuzione i comuni per cui passava, e manomessa la cassa regia di Pallanza, con animo determinato di piombare sul forte di Arona per impadronirsene, eccittò la vigilanza di questo governo, che chiamò tosto un corpo di truppa per farvi fronte; e nella sera del giorno 15 dello stesso mese convocò un consiglio generale di tutti i capi di famiglia per deliberare sul modo di difendersi dall’invasione che era imminente, massime sul dubbio di ritardo della truppa, e venne deliberato, che li cittadini unitamente armati dovessero vegliare: si raddoppiarono intanto le guardie alle porte ed alla Rocca, e si sono accesi varii fuochi ; ma nella notte istessa giunse in Arona il reggimento svizzero Baeman col suo treno d’artiglieria, che stava al soldo del re, e nella mattina seguente arrivò un altro forte distaccamento del reggimento della marina, i quali uniti s’avviarono indilatamente verso il campo dove eransi trincerati i rivoltosi, i quali dopo un gagliardo attacco furono sbaragliati. Parte lasciò la vita sul campo, parte fuggì a precipizio per quei gioghi alpestri, e parte fu fatta prigioniera di guerra, tradotta alle carceri, ed in questo forte, e dopo un consiglio di guerra fucilata in varie comuni. Il terrore ristabilì per qualche tempo la calma, sebbene lo vicinanza del milanese già fatto repubblicano non lasciasse di concitare gli animi della gioventù, solita per lo più a seguire le novità, ed è lasciarsi inconsideratamente trascinare negli eccessi, dei quali poi paga soventi ben caro il fio.
- ↑ Con atto 6 ottobre 1744 ricevuto Borromeo.
- ↑ Abbiamo detto altrove che questa denominazione la prese dall’essere detta porta situata in vicinanza del Sasso su cui sta la fortezza.
- ↑ Cioè nel 1770, epoca della promulgazione delle regie costituzioni del Piemonte.
- ↑ Regie Patenti delli 21 febbraio 1744.
- ↑ Si verificò nel 1754 dopo che per ordine governativo si sono riparate le strade.
- ↑ Atti municipali.
- ↑ Sola autem Palantia ex Verbanicis oppidis meram ditionem invictissimi ducis nostri retinet.' Domenico Macagno nella corografia del lago Maggiore.
- ↑ Simile malattia si è pure manifestata in Arona e contorni nel 1834, annata egualmente abbondante di generosi vini, e caldissima nella state.
- ↑ Ordinaria stagione dell’elevazione di questo lago.
- ↑ Portante la data delli 18 dicembre 1763.
- ↑ Nominato dall’arcivescovo Visconti nel 1783 a vicario generale della metropolitana di Milano e ad abbate di sant’Ambrosio ad nemus, continuò nella stessa carica anche in sede vacante come vicario capitolare. Subentrato nell’arcivescovado suddetto il cardinale Caprara, il nostro Bonanomi venne
- ↑ Regie Patenti 7 marzo 1797.
- ↑ Regio Editto 29 luglio 1797.
confermato da lui nella dignità di vicario generale, che copri sino al 1805, nel qual anno chiesta ed ottenuta la sua dimissione con egregio assegnamento si ritirò nel convento de’Padri di san Barnaba in Milano, dove diede fine all'onorata sua carriera nell’anno 1809.