Manuale di economia politica con una introduzione alla scienza sociale/Capitolo VI

Capitolo VI - L'equilibrio economico

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CAPITOLO VI.

L’equilibrio economico.


1. Esempi di equilibrio. — Principiamo collo studiare alcuni casi particolari, scegliendoli semplici quanto è possibile.

Supponiamo un individuo che trasforma vino in aceto, nella proporzione di uno di vino per uno di Fig. 44.aceto. Trascuriamo tutte le altre spese della produzione. Siano t, t', t''.... le curve di indifferenza dei gusti dell’individuo per il vino e l’aceto; e o m la quantità di vino di cui egli può disporre ogni mese, la quale supporremo essere eguale a 40 litri. Si domanda il punto di equilibrio.

Il problema è semplicissimo e si risolve subito. Da m si tira la retta m n, inclinata di 45° sull’asse o x; il punto c in cui essa è tangente ad una linea di indifferenza è il punto di equilibrio. La quantità di vino trasformata è indicata da a m, che è eguale ad a c, la quale indica la quantità di aceto ottenuto.

Il costo di produzione, espresso in vino, dell’aceto è 1; e, quando tiriamo la retta m p inclinata di 45° sull’asse o x, supponiamo che il prezzo, espresso in vino, dell’aceto è pure 1.

2. Giova vedere cosa divengono le teorie generali nei vari casi particolari che studiamo.

Le linee di indifferenza degli ostacoli sono rette parallele inclinate di 45° sull’asse o x. Infatti, qualunque sia la quantità di vino che si ha, si può [p. 327 modifica]sempre trasformarne una parte, piccola o grande, in aceto nella proporzione di uno di vino per uno di aceto. La linea di indifferenza Fig. 45.o h ha indice zero; è la linea delle trasformazioni complete. Se facciamo o a eguale a 1, la retta a h' parallela a o h sarà la linea di indifferenza con indice positivo uno. Infatti, se si ha la quantità o a', eguale a 2, di vino, e se colla trasformazione ci fermiamo in c, sulla retta, a h', avremo trasformato uno di vino in uno di aceto, ed avremo un residuo positivo di uno di vino. Se k'' b, parallela ad o x, è fatta eguale ad uno, la retta k'' h'', parallela a o h sarà una linea di indifferenza con indice meno uno. Infatti se, avendo 2 di vino, ci fermiamo in d su quella linea, avremo 3 di aceto, e ci manca 1 di vino per ottenere quella quantità.

3. Il caso che esaminiamo è un caso limite. Se la retta o h fosse trasportata un poco a sinistra, avremmo il caso delle merci con costo di produzione crescente (III, 102); se fosse trasportata a destra, avremmo il caso delle merci con costo di produzione decrescente. Così come è, il costo di produzione è costante, nè crescente, nè decrescente. La retta o h non è solo la linea delle trasformazioni complete, è anche la sua propria tangente. Inoltre, se portiamo la fig. 44 sulla fig. 45, facendo coincidere il punto o della fig. 45 col punto m della fig. 44 e gli assi o x, o y della fig. 45 con m o, m p sulla fig. 44, la retta o h della fig. 45 coinciderà colla retta m n della fig. 44, ed indicherà l’unico sentiero percorso nella produzione e nel consumo. [p. 328 modifica]

4. Modifichiamo un poco le condizioni del problema. Supponiamo che il rapporto della quantità di vino alla quantità di aceto ottenuto (prezzo in vino dell’aceto) non sia costante. Per esempio, si tiene conto delle spese di trasformazione, poco anzi trascurate. Ogni settimana si dànno 14 litri di vino ad un uomo che provvede la botte e gli arnesi, e che lavora per compiere quella produzione. In tal modo si possono trasformare sino a 60 litri di vino in aceto. Inoltre, dividiamo il produttore dal consumatore. Ci sarà un uomo che produce l’aceto e che lo vende al consumatore, facendosi pagare in vino.

Graficamente, trasportando subito la figura della Fig. 461.produzione su quella del consumo, prenderemo o m eguale a 40 litri di vino, m h eguale a 14, e tireremo la retta h k inclinata di 45º su m o; essa sarà la linea di indifferenza di indice zero, ossia la linea delle trasformazioni complete. Se la linea dei baratti dell’individuo considerato è a c c' d le sue intersezioni c e c' con la linea delle trasformazioni complete saranno punti di equilibrio.

5. Se il produttore è solo e può operare secondo il tipo (II), procurerà di ottenere il massimo utile, e il punto di equilibrio sarà il punto d ove la linea dei baratti è tangente alla retta h' k' parallela ad h k.

6. Se vi è concorrenza, il produttore non potrà stare in d e sarà ricacciato sulla linea h k. [p. 329 modifica]

7. Se chi consuma è la stessa persona che produce, e, se non ha fissato a priori la via da seguire (App., 33), segue la linea delle trasformazioni complete, senza curarsi d’altro, e si ferma nel punto e, fig. 46, ove detta linea è tangente ad una curva di indifferenza dei gusti t. L’essere diverso il punto e dai punti c e c' dipende dall’essere diversi i generi dei sentieri seguìti.

Nel baratto con prezzi costanti, i sentieri seguiti sono m c, m c'; quando il produttore si confonde col consumatore, il sentiero seguito è la retta spezzata m h e (V, 97).

8. Tale via si potrebbe anche seguire nel baratto. Per esempio, un oste si fa pagare dagli avventori: 1.° una somma fissa per le sue spese generali e il suo utile; 2.° il semplice costo dei generi che somministra loro. In tal caso l’avventore segue una via simile a m h k.

9. Si noti che il punto e è più alto dei punti c, c'; cioè che l’avventore gode maggiore ofelimità in e.

La stessa cosa si vede praticamente, senza avere bisogno di teorie. Un oste si fa pagare 4 lire una bottiglia di vino, di cui 2 lire vanno per le sue spese generali ed il suo utile, e 2 lire sono il prezzo del vino. Un avventore beve una sola di quelle bottiglie, perchè, per una seconda bottiglia, sarebbe disposto a spendere 2 lire, ma non 4 lire. Ora l’oste muta il modo di fare i conti. Si fa pagare da ogni avventore 2 lire; e poi dà loro quante bottiglie vogliono a 2 lire. L’avventore considerato berrà due bottiglie. Quindi egli si procurerà maggior piacere, mentre l’oste guadagnerà come prima.

10. Torniamo al caso del produttore che ha podestà di costringere i consumatori a scendere sino in d. Supponiamo che esista un sindacato il quale [p. 330 modifica]proibisca ai produttori di accettare un prezzo minore di quello che corrisponde al punto d, o ad altro punto posto tra d e c. La concorrenza non può più operare nel modo indicato; essa opera in modo diverso. L’utile che conseguono i produttori in d invoglia altri produttori ad esserne partecipi; cresce dunque il numero dei produttori; e, poichè ognuno di essi deve pure ricavare il proprio sostentamento dalla produzione, cresce necessariamente il costo di produzione. In altri termini la linea h k delle trasformazioni complete si sposta e finisce col passare pel punto ove stavano fermi i produttori. Tale fenomeno è ora diventato frequente in alcuni paesi, ove gran numero di persone, mercè i sindacati, vivono come parassiti della produzione.

11. Il caso ora considerato è il tipo semplificato di fenomeni molto frequenti che hanno luogo quando le spese generali si ripartiscono sul prodotto, in modo che il costo dell’unità del prodotto scema man mano che cresce la produzione; entro certi limiti, s’intende.

12. Vediamo cosa segue per un’altra qualità di merci, per le quali il costo di produzione cresce quando cresce la quantità prodotta.

Per esempio, supponiamo che con 1 di A si ottenga da prima 2 di B; e poi per ciascuna unità di A un’unità di B. I costi saranno i seguenti:

A trasformato B prodotto Costo di B in A
1 2                     0,5
2 3                     0,667
3 4                     0,75
4 5                     0,80
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Graficamente, se facciamo m h eguale a uno, h l eguale a due, e poi tiriamo la retta l k inclinata di 45° su m o; la spezzata Fig. 47.h l k, sarà la linea delle trasformazioni complete; le altre linee di indifferenza saranno date da parallele a h l k. Se arrotondiamo un poco l’angolo in l, avremo nel punto l stesso il punto di tangenza del sentiero m l e di una linea di indifferenza. Unendo quei punti di tangenza, avremo la linea l l'. Poscia se k' l' passa per m, il sentiero rettilineo movente da m e tangente alla curva di indifferenza h' l' k' coinciderà colla stessa retta l' k'. Perciò il luogo dei punti di tangenza, ovvero la linea di massimo utile (III, 105) sarà la spezzata l l' k'. La sua intersezione c colla linea dei baratti m c d darà un punto di equilibrio.

Il produttore desidererebbe naturalmente spingersi anche più dalla parte degli indici positivi. Per esempio nel punto c'' starebbe meglio; ma ne è cacciato dalla concorrenza, come già vedemmo (III, 137).

13. Anche in questo caso la concorrenza può fare diverso effetto, come già vedemmo per le merci con conto di produzione decrescente (§ 10); essa può, cioè, lasciando fermi i prezzi, far crescere il numero di concorrenti, e quindi aumentare il costo di produzione. Per tal modo la linea di massimo utile si sposta e finisce per passare pel punto ove stavano fermi i produttori. L’equilibrio torna ad aver [p. 332 modifica]luogo su quella linea. I produttori si avvicinano ad essa, se la concorrenza opera sui prezzi; essa si avvicina ai produttori, se la concorrenza opera facendo crescere il numero di quei produttori e le spese di produzione.

14. Tutto ciò corrisponde al concreto. Date le condizioni economiche di un paese, vi è un certo prodotto di grano all’ettaro che, per un possesso determinato, corrisponde al massimo utile, ed a quel prodotto si ferma il coltivatore. Il prezzo viene determinato dall’eguaglianza del costo di produzione, incluso quell’utile, e del prezzo che, per la quantità prodotta in tali condizioni, è disposto a pagare il consumatore. Naturalmente il coltivatore vorrebbe godere di un prezzo anche maggiore; ma ne è impedito dalla concorrenza.

15. L’economia usuale aveva avuto qualche sentore della differenza tra i casi che abbiamo esaminati; ma non era mai giunta ad averne un concetto preciso, e neppure sapeva dare ragione de’ modi diversi coi quali opera la concorrenza.

16. Se nel caso ipotetico ora considerato vi è chi opera secondo il tipo (II) di fenomeni, il punto di equilibrio sarà l'' ove la linea dei baratti m c d è tangente ad una curva di indifferenza del produttore, poichè è quello il punto ove c’è il massimo utile. Se un poco diversa fosse la forma di m c d, quel punto potrebbe trovarsi in vicinanza di l'.

17. Se chi consuma è anche chi produce, seguirà la linea delle trasformazioni complete h l k e il punto di equilibrio sarà dato dal punto di tangenza di quella linea e di una linea di indifferenza dei gusti.

18. Potrebbero anche esservi consumatori i quali avendone podestà, imponessero ai produttori di [p. 333 modifica]seguire sentieri rettilinei che, movendo da m, mettono capo alla linea delle trasformazioni complete. In tal caso il punto di equilibrio sarebbe e (§ 43-47).

19. Forme usuali pel baratto e la produzione. — Si possono immaginare forme strane quanto si vuole per le curve di indifferenza dei gusti e degli ostacoli, e sarebbe difficile dimostrare che mai hanno avuto, o che mai avranno luogo. Giova evidentemente restringerci a considerare quelle che più sono usuali.

20. Tra le merci di gran consumo c’è solo il lavoro pel quale si può osservare, nella pratica, che, oltre, ad un certo limite, l’offerta, invece di crescere, scema col prezzo. L’aumento dei salari ha avuto per conseguenza, in tutti i paesi civili, la diminuzione delle ore di lavoro. Per le altre merci, nel concreto, osserviamo quasi sempre che l’offerta cresce ognora col prezzo; ma forse ciò accade perchè osserviamo, non già la legge dell’offerta nel semplice baratto, ma bensì la legge dell’offerta nella produzione.

21. In ogni modo, eccettuato sempre il lavoro, non possiamo asserire di osservare Fig. 48.nella pratica, per le curve del baratto, forme come quelle della fig. 17 (III, 120), ma invece paiono avere forme come quelle della fig. 48. La curva dei baratti riferita agli assi o x, o y è m c d; similmente quella curva per un altro individuo, riferita cioè agli assi ω m, ω n è m c r. Ciò s’intende entro i limiti, per dire il vero ristretti, delle osservazioni. Non sappiamo cosa diventano quelle curve oltre d e r.

22. In tali circostanze vi è un solo punto d’equilibrio, in c, ed è un punto di equilibrio stabile. [p. 334 modifica]

23. Per la produzione si osservano molti esempi di merci con costo decrescente e di altre con costo crescente; ma pare che il costo, prima decrescente, Fig. 49.finisce sempre col crescere, oltre certi limiti. Per tali merci si hanno punti di tangenza dei sentieri rettilinei moventi da m, e quindi una linea l' l l'' di massimo utile. Se l’osservazione dei fenomeni avesse luogo solo nella parte tratteggiata della figura, ove i costi sono sempre decrescenti, col crescere della quantità trasformata, quella linea l' l l'' non esisterebbe.

24. Per le merci con costo decrescente, si osservano, nel concreto, i due punti di equilibrio dati dalla teoria, fig. 46 (§ 4), ma vi sono potenti attriti che concedono all’equilibrio instabile di poter qualche volta durare più o meno a lungo.

Una ferrovia può bilanciare le sue spese, avendo tariffe alte e trasportando poco; oppure, avendo tariffe basse, e trasportando molto. Abbiamo così i due punti c e c' della fig. 46 (§ 4). I piccoli bottegai stavano nel punto c, vendendo poco con prezzi alti; sono comparsi i grandi magazzini ed hanno portato il punto di equilibrio in c', vendendo molto e con prezzi bassi; ed ora i bottegai chiedono l’aiuto della legge per far tornare l’equilibrio al punto c.

25. Della linea di massimo utile per le merci con costo crescente si hanno pure molti esempi. La coltura estensiva nelle vicinanze di Roma non si può spiegare altrimenti. In Inghilterra, tolto il dazio sul grano, e dato luogo alla concorrenza dei grani esteri, mutarono le forme delle curve di indifferenza degli ostacoli per la coltura del grano, [p. 335 modifica]e, entro certi limiti, il costo di produzione del grano scemò, invece di crescere, colla quantità prodotta. Da ciò il mutamento della coltura del grano che divenne ognora più intensiva.

26. L’equilibrio dei gusti e della produzione. — Consideriamo una collettività staccata e supponiamo che le spese dell’individuo siano fatte solo per le merci che egli compra, e le sue entrate abbiano solo origine dalle vendite che fa del suo lavoro, di altri servizi di capitali, o di altre merci.

In tali condizioni, l’equilibrio economico è determinato dalle condizioni che già abbiamo posto (III, 196 e seg.) per i gusti e per gli ostacoli. Abbiamo veduto che i gusti, e la considerazione delle quantità esistenti di certi beni, determinavano le relazioni tra i prezzi e le quantità vendute o comperate. D’altra parte, la teoria della produzione ci ha fatto conoscere che, date quelle relazioni, si determinavano le quantità ed i prezzi. Il problema dell’equilibrio è dunque interamente risoluto.

27. L’equilibrio in generale. — Il caso teorico precedente in una sua parte assai si discosta dalla realtà. Nel concreto, le entrate degli individui sono lungi dall’avere solo per origine i beni che cedono per la produzione. Il debito pubblico degli stati civili è enorme; una parte solo minima dei denari di quel debito ha servito per la produzione e spesso malamente. Gli individui che godono i frutti di quel debito non si possono dunque in alcun modo considerare come persone che abbiano ceduti beni economici per la produzione. Simili considerazioni si debbono fare per gli stipendi della burocrazia, ognora crescente, degli Stati moderni; per le spese per la guerra, la marina, e per molte spese di lavori pubblici. Qui non si ricerca menomamente se e come quelle [p. 336 modifica]spese sono giovevoli alla società, ed in qualche caso ad essa indispensabile; si osserva solo che l’utilità loro è di genere diverso di quella che direttamente segue dalla produzione economica.

28. D’altra parte, le spese degli individui sono lungi dall’essere ristrette ai beni economici che comperano. Le imposte ne sono una parte notevole.

Con calcolo assai grossolano, ma che non si discosta forse molto dal vero, si stima che, in parecchi paesi dell’Europa, circa il 25% dell’entrata degli individui sia preso dall’imposta. La teoria esposta or ora non avrebbe dunque valore che per ¾ al massimo delle somme che costituiscono l’entrata totale di una nazione.

29. È facile modificarla in modo da tener conto dei fenomeni di cui abbiamo fatto cenno. Basta perciò separare nell’entrata degli individui la parte che ha origine da fenomeni economici, da quella che vi è estranea, e così pure per le spese.

30. La parte dell’entrata lasciata agli individui, viene spesa da essi secondo i propri gusti; e, per la sua ripartizione fra le varie spese, vale la teoria già esposta per l’equilibrio riguardo ai gusti. La parte prelevata dall’autorità pubblica viene spesa con altri criteri, che non spetta alla scienza economica di indagare. Questa deve dunque supporre che figurino tra i dati del problema da risolvere. Le leggi della domanda e dell’offerta seguiranno dalla considerazione di quelle due categorie delle spese. Se se ne considerasse una sola, la divergenza col fenomeno concreto potrebbe essere considerevole. Per esempio, pel ferro e per l’acciaio, le domande dei governi investono una parte notevole della produzione. [p. 337 modifica]

31. Riguardo all’equilibrio degli ostacoli, occorre tener conto che la spesa delle imprese non è eguale, come precedentemente, all’entrata totale degli individui, ma ne è solo una parte, poichè il rimanente ha altre origini (debito pubblico, stipendi, ecc.). La ripartizione della parte volta a comperare i beni trasformati dalla produzione è determinata dalla teoria dell’equilibro riguardo agli ostacoli. La ripartizione dell’altra parte delle entrate è determinata da criteri che, come nel caso analogo precedente, sfuggono alle indagini della scienza economica, e che perciò debbono aversi da altre scienze e figurare qui tra i dati del problema.

32. Proprietà dell’equilibrio. — L’equilibrio, secondo le condizioni in cui è ottenuto, gode di certe proprietà che preme assai conoscere.

33. Principieremo col definire un termine di cui è comodo fare uso per scansare lungaggini. Diremo che i componenti di una collettività godono, in una certa posizione, del massimo di ofelimità, quando è impossibile allontanarsi pochissimo da quella posizione giovando, o nuocendo, a tutti i componenti la collettività; ogni piccolissimo spostamento da quella posizione avendo necessariamente per effetto di giovare a parte dei componenti la collettività e di nuocere ad altri.

34. Equilibrio del baratto. — Abbiamo il seguente teorema:

Pei fenomeni del tipo (I), quando l’equilibrio ha luogo in un punto ove sono tangenti le curve di indifferenza dei contraenti, i componenti la collettività considerata ottengono il massimo di ofelimità.

Notisi che a quella posizione di equilibrio si può [p. 338 modifica]giungere tanto per un sentiero rettilineo, ossia con prezzi costanti, come per un sentiero qualsiasi.

35. La dimostrazione rigorosa di questo teorema può darsi solo colla matematica (App., 34); qui ci limiteremo a darne un qualche concetto.

Principiamo col considerare il baratto tra due Fig. 50.individui. Pel primo gli assi siano o x, o y; e pel secondo ω α, ω β; e siano disposti in modo che i sentieri percorsi dai due individui appaiano come una sola linea sulla figura 16 (III, 116). Le linee di indifferenza sono t, t', t''..., pel primo individuo, e s, s', s''..., pel secondo. Pel primo individuo il colle del piacere sale da o verso ω; e pel secondo individuo, sale invece da ω verso o.

Pei fenomeni del tipo (I), si sa che il punto di equilibrio deve trovarsi in un punto di tangenza delle curve di indifferenza dei due individui. Sia c uno di quei punti. Se ce ne allontaniamo secondo la via c c', si sale il colle del piacere del primo individuo, si scende quello del secondo; e viceversa se seguiamo la via c c''. Non è dunque possibile allontanarci da c giovando, o nuocendo, ad entrambi gli individui; ma necessariamente, se si giova all’uno, si nuoce all’altro.

Non così pei punti, come d, ove si intersecano [p. 339 modifica]due curve di indifferenza. Se seguiamo la via d d' gioviamo ad entrambi gli individui; se seguiamo la linea d d'', nuociamo ad entrambi.

36. Pei fenomeni del tipo (I), l’equilibrio ha luogo in un punto come c; pei fenomeni del tipo (II), l’equilibrio ha luogo in un punto come d; da ciò la differenza tra quei due generi di fenomeni, riguardo al massimo di ofelimità.

37. Tornando alla fig. 49, si vede intuitivamente che, prolungando il sentiero c c' verso h, si scende sempre il colle del piacere del 2.° individuo; mentre invece si principia bensì col salire il colle del piacere del 1.° individuo, ma poi si scende, quando si è passato oltre al punto in cui c c' h è tangente ad una linea di indifferenza. Quindi, se ci allontaniamo in linea retta, di una quantità finita, dalla posizione di equilibrio, le ofelimità di cui godono i due individui potranno variare in modo che cresca l’una, mentre scema l’altra, oppure che scemino tutte due; ma non potranno crescere tutte due. Ciò per altro ha luogo solo per le merci di cui le ofelimità sono indipendenti, o nel caso che quelle merci abbiano una dipendenza di primo genere (IV, 42).

La dimostrazione rigorosa, non solo in questo caso, ma in quello generale di più merci e di più individui, si può dare solo colla matematica (App., 39, 40).

38. Se si potessero fare sulla società umana esperimenti come li fa il chimico nel suo laboratorio, il teorema precedente ci darebbe modo di risolvere il seguente problema:

Si considera una data una collettività, non si conoscono gli indici di ofelimità dei componenti; si sa che col baratto di certe quantità esiste l’equilibrio; si domanda se esso è ottenuto nelle stesse condizioni in cui si avrebbe colla libera concorrenza? [p. 340 modifica]

Occorre fare un esperimento per vedere se, fermi rimanendo i baratti come si eseguiscono, si possono ad essi aggiungere (badisi bene, aggiungere, non sostituire) altri baratti, fatti a prezzi costanti, i quali contentino tutti gli individui. Se sì, l’equilibrio non ha luogo come quando esiste la libera concorrenza, se no, esso ha luogo in quelle condizioni.

39. Equilibrio della produzione. — Occorre qui distinguere più casi:

1.° Prezzi di vendita costanti. (α) Coefficienti di produzione variabili colla quantità totale, cioè merci di cui il costo di produzione varia colla quantità. (β) Coefficienti di produzione costanti colla quantità; cioè merci di cui il costo di produzione è costante. 2.° Prezzi di vendita variabili.

40. 1.° (α) Questo caso dà luogo alla fig. 46 (§ 4). I punti c, c' di equilibrio non sono quelli che dànno il massimo di ofelimità nella trasformazione (App., 34). Quindi ci può essere un punto che non sia sulla linea delle trasformazioni complete e tale che in esso abbia un utile l’impresa della trasformazione, mentre i consumatori stanno meglio che in c, c'. Tale caso, in pratica, si verifica qualche volta pei trusts.

41. 1.° (β). Vi si riferisce la fig. 44 (§ 1). Il punto c di equilibrio dà il massimo di ofelimità per le trasformazioni (App., 34).

42. 2.° I prezzi variabili possono essere tali da portarci ad un fenomeno analogo a quello del caso 1.° (α).

Ma, se si può disporre di quei prezzi per ottenere il massimo di ofelimità nelle trasformazioni, si può per tal modo raggiungere il punto c, fig. 51, che dà tale massimo (App., 34).

43. Se si segue la via a m c delle trasformazioni [p. 341 modifica]complete, vi si giunge sicuramente; così pure se si segue un sentiero a v u, che segua solo nella parte v e a quella linea; od infine un Fig. 51.sentiero a l l' c e tangente in e alla linea delle trasformazioni complete ed alla linea di indifferenza t.

Praticamente, quest’ultimo sentiero è ben difficile a seguire, poichè occorre indovinare per l’appunto dove trovasi il punto c; i due primi sentieri invece si possono seguire senza sapere precisamente ove sia e.

44. È probabile che la maggior parte delle produzioni siano del tipo in cui il costo di produzione varia colla quantità prodotta; quindi si può asserire che il sistema dei prezzi costanti, che è largamente usato nella nostra società, non procaccia il massimo di ofelimità; e, tenuto conto del gran numero di prodotti pei quali vale tale conclusione, appare che la perdita di ofelimità deve essere grandissima.

45. Appunto perciò torna conto ai produttori, anche nel nostro ordinamento sociale, di praticare prezzi variabili; il che, non potendo essi fare direttamente, si studiano di fare indirettamente con ripieghi che solo assai grossolanamente possono avvicinare alla soluzione che darebbe il massimo di ofelimità.

Generalmente i prezzi si fanno variabili distinguendo in serie i consumatori; e tale ripiego può valere meglio che nulla, ma è ben lungi dalla soluzione che farebbe variabili i prezzi per tutti i consumatori.

46. L’errore gravissimo che porta a giudicare i [p. 342 modifica]fatti economici secondo norme morali, induce, più o meno consapevolmente, molti a ritenere che l’utile del produttore possa solo essere il danno del consumatore, e viceversa. Quindi, se il produttore nulla guadagna, se è sulla linea delle trasformazioni complete, si ha per fermo che il consumatore non può essere danneggiato.

Lasciando pure stare che, come già vedemmo (§ 10), la linea delle trasformazioni complete può essere ottenuta con un eccesso del costo di produzione, giova porre mente al caso molto frequente illustrato al § 39, 1.° (α).

47. Supponiamo, per esempio, che un paese consumi 100 di una merce X e che quella merce sia prodotta dalle officine nazionali col costo di 5 ogni unità. Il costo totale è 500; e, se il prezzo di vendita totale è pure 500, i produttori nazionali non fanno alcun utile.

Accade ora che producono 200, il che fa cadere il costo di produzione a 3. Vendono 120 in paese al prezzo di 3,50, e 80 all’estero al prezzo di 2,50. In totale ricavano 6,20 della merce che è costata loro 6,00 e quindi fanno un utile. I consumatori nazionali si lamentano perchè pagano la merce più cara di quella che è venduta ai forestieri; ma, in sostanza, la pagano meno di ciò che la pagavano prima, onde veramente hanno un vantaggio, non un danno.

Può darsi, ma non è sicuro, che un fenomeno simile sia accaduto qualche volta in Germania, ove i produttori vendono all’estero ad un prezzo minore di quello praticato in paese, e per tal modo possono aumentare molto la quantità prodotta e ridurre il costo di produzione.

48. I fenomeni ora studiati suggeriscono un [p. 343 modifica]argomento di molto peso, astrattamente e senza tenere conto delle difficoltà pratiche, in favore della produzione collettivista. Questa, meglio assai della produzione mista di concorrenza e di monopoli che abbiamo al presente, potrebbe fissare prezzi variabili che concedessero di seguire la linea delle trasformazioni complete, e quindi di raggiungere il punto e della fig. 46 (§ 4); mentre ora dobbiamo fermarci al punto c', o peggio al punto c. Il vantaggio che ne avrebbe la società potrebbe essere tanto grande da compensare i danni inevitabili di una produzione di tal genere. Ma sarebbe perciò necessario che la produzione collettivista avesse solo di mira di conseguire il massimo di ofelimità nella produzione, e non già di procacciare utili di monopolio agli operai, o di andare dietro ad ideali umanitari2. L’ottenere il maggiore vantaggio per la società è principalmente, come bene avevano veduto gli antichi economisti, un problema di produzione.

Anche le società cooperative potrebbero portarci sulla linea delle trasformazioni complete; ma ciò non accade perchè esse pure si lasciano sviare da immaginazioni etiche, filantropiche, umanitarie.

Se si considera il fenomeno esclusivamente sotto l’aspetto delle teorie economiche, pessimo è il modo di ordinare l’esercizio privato delle ferrovie gravando le società esercenti, come si è fatto in Italia, di una quota fissa del prodotto lordo (o, se vuolsi, anche del prodotto netto), in favore dello Stato; perchè così, nonchè spingerlo a recarsi nella linea [p. 344 modifica]delle trasformazioni complete, si vieta loro di recarvisi.

49. I coefficienti di produzione sono determinati dalla libera concorrenza in modo da assicurare il massimo di ofelimità (App., 31). La libera concorrenza tende a rendere eguali i frutti netti dei capitali che si possono produrre col risparmio; infatti il risparmio è evidentemente trasformato nei capitali che dànno maggior frutto, sinchè l’abbondanza di quei capitali ne faccia cadere il frutto netto al comune livello. Tale eguaglianza dei frutti netti è pure condizione per ottenere il massimo di ofelimità dall’uso di quei capitali. Anche in questo caso la dimostrazione rigorosa si può dare solo colla matematica3; possiamo solo qui indicare come all’incirca segue il fenomeno.

50. Riguardo ai frutti dei capitali, si può osservare che, se il risparmio ottiene in un certo uso un frutto maggiore che in un altro, ciò indica che il primo uso è più «produttivo» del secondo; e perciò vi è vantaggio per la «società» a scemare il primo uso del risparmio per crescere il secondo; col che si giunge all’eguaglianza dei frutti netti nei due casi. Ma tale ragionamento è ben poco preciso e per niente rigoroso, onde, da solo, proverebbe proprio niente.

51. Un poco migliore, ma non molto, è il ragionamento che, escludendo ancora l’uso della matematica, si può fare pei coefficienti di produzione.

Le imprese li determinano per modo di avere il minimo costo; ma dalla concorrenza sono cacciate sulla linea delle trasformazioni complete; onde di tutto il loro lavoro godono coloro che ad esse [p. 345 modifica]vendono merci o servizi di capitali e coloro che queste o quelli comperano.

Il difetto di simili dimostrazioni non è solo la poca precisione, ma anche, e principalmente, il non dare un chiaro concetto delle condizioni necessarie perchè i teoremi siano veri.

52. L’equilibrio nella società collettivista. — È tempo oramai di discorrere dei fenomeni del tipo (III), di cui si è fatto sinora appena cenno (III, 49).

Per dare ad essi una forma concreta, e con astrazione analoga a quella dell’homo oeconomicus, consideriamo una società collettivista, la quale abbia per scopo di procacciare ai suoi componenti il massimo di ofelimità.

53. Il problema si partisce in due altri, i quali sono interamente diversi e che non possono essere risoluti con gli stessi criteri: 1.° Abbiamo un problema di distribuzione: come debbono essere partiti i beni che possiede o produce la società, tra i suoi componenti? (III, 12, 16). Hanno luogo considerazioni etiche, sociali di vario genere, paragoni di ofelimità di diversi individui, ecc. Non è qui il luogo di occuparcene. Supponiamo dunque risoluto quel problema. 2.° Abbiamo un problema di produzione: come produrre i beni economici in modo che, essendo poi distribuiti secondo le norme ottenute dalla soluzione del primo problema, i componenti la società conseguano il massimo di ofelimità?

54. Dopo quanto si è detto, la soluzione di tale problema è facile.

I prezzi, i frutti netti dei capitali, possono sparire, se pure ciò è possibile, come entità reali, ma rimarranno come entità contabili; senza di esse il ministero della produzione andrebbe brancolando [p. 346 modifica]come cieco e non saprebbe come ordinare la produzione. S’intende, che se lo Stato è padrone di tutti i capitali, ad esso vanno tutti i frutti netti.

55. Per ottenere il massimo di ofelimità lo Stato collettivista dovrà ridurre eguali i diversi frutti netti e determinare i coefficienti di produzione come li determina la libera concorrenza. Inoltre, dopo di avere fatto la distribuzione secondo le norme del primo problema, dovrà permettere una nuova distribuzione che potranno fare fra loro i componenti la collettività, o che potrà compiere lo Stato socialista; ma che, in ogni modo, dovrà aver luogo come se fosse eseguita dalla libera concorrenza.

56. La divergenza tra i fenomeni del tipo (I) e quelli del tipo (III) sta dunque principalmente nella ripartizione delle entrate. Nei fenomeni del tipo (I) quella ripartizione è data da tutte le contingenze storiche ed economiche in cui si svolse la società; nei fenomeni del tipo (III) essa è fissata come conseguenza di certi principii etico-sociali.

57. Inoltre conviene investigare se certe forme della produzione sono più facili in concreto coi fenomeni del tipo (I) o con quelli del tipo (III). Teoricamente, nulla vieta di supporre che colla libera concorrenza si segua, ad esempio, la linea delle trasformazioni complete; ma, praticamente, ciò può essere più difficile colla libera concorrenza che colla produzione collettivista (§ 48).

58. Lo Stato collettivista, meglio della libera concorrenza, pare potere portare il punto di equilibrio sulla linea delle trasformazioni complete. Infatti è difficile che una società privata segua precisamente nelle sue vendite la linea delle trasformazioni complete. Perciò dovrebbe farsi pagare [p. 347 modifica]dagli avventori da prima le spese generali; e poi vendere ad essi le merci al prezzo di costo, dedotte quelle spese generali. Eccetto casi particolari, non si vede come ciò si possa fare. Lo Stato socialista invece può imporre, come tributo, sui consumatori di una merce, le spese generali della produzione di detta merce, e poi cederla al prezzo di costo; può, cioè, seguire rigorosamente la linea delle trasformazioni complete.

59. Lo Stato socialista può far godere della rendita (V, 95) prodotta da una merce i consumatori di detta merce. Quando la linea del massimo utile interseca la linea dei baratti, cioè quando la concorrenza è incompleta, e colla semplice concorrenza dei produttori privati, l’equilibrio ha luogo in quel punto di intersezione. Lo Stato socialista può riportare quel punto di equilibrio sulla linea dello trasformazioni complete, come se la concorrenza fosse completa.

60. Nello stato economico della proprietà privata, la produzione è regolata dagli imprenditori e dai proprietari; vi è perciò una certa spesa, che figura tra gli ostacoli. Nello stato collettivista la produzione sarebbe regolata da impiegati di quello Stato; la spesa che per essi si avrebbe potrebbe essere maggiore, e l’opera loro meno efficace; in tal caso, i vantaggi accennati potrebbero essere compensati e mutarsi in perdita.

61. In conclusione, l’economia pura non ci dà criteri veramente decisivi per scegliere tra un ordinamento di proprietà o di concorrenza privata e un ordinamento socialista. Quei criteri si possono solo avere tenendo conto di altri caratteri dei fenomeni.

62. Massimi di ofelimità per colletività parziali. — I fenomeni del tipo (III) possono riferirsi non già [p. 348 modifica]all’intera collettività, bensì ad una parte più o meno ristretta di essa. Se si considera un solo individuo, il tipo (III) si confonde col tipo (II).

Per un certo numero di individui considerati collettivamente, esistono valori dei coefficienti di produzione i quali procacciano, a detta collettività, tali quantità di beni economici, che, ove siano distribuiti secondo le norme fissate dal problema della distribuzione, fanno conseguire il massimo di ofelimità ai componenti quella collettività4.

La dimostrazione di detta proposizione è simile a quella già data quando si considerò la collettività totale.

63. Nel concreto, i sindacati operai, i produttori che godono della protezione doganale, i sindacati di negozianti che sfruttano i consumatori, ci dànno molti esempi in cui si determinano i coefficienti di produzione coll’intento di favorire certe collettività parziali.

64. Giova osservare che, eccetto casi molto eccezionali, quei valori dei coefficienti differiscono, e spesso differiscono molto, dai valori che assicurano all’intera collettività il massimo di ofelimità.

65. Commercio internazionale. — Sinora, eccetto nel caso precedente, abbiamo considerato collettività staccate. Occorre, ora, per avvicinarci maggiormente alla realtà, considerare collettività in relazioni vicendevoli. Tale teoria ha per caso particolare la teoria del commercio internazionale, e perciò può essere distinta con quel nome.

Il caso precedente differisce dal presente. In quello si supponeva di poter imporre certi coefficienti di fabbricazioni a tutta una collettività, costituita da [p. 349 modifica]collettività parziali A, B, C...., e si cercava quali valori di quei coefficienti procacciavano il massimo di ofelimità ai componenti la collettività A. In questo non si suppone che la collettività A possa imporre direttamente coefficienti di produzione alle altre collettività B, C....; ma invece si suppone che ognuna di quelle collettività sia indipendente, onde può bensì regolare la propria produzione, non già quella delle altre.

Anche quando si ragiona di una sola collettività, occorre tener conto delle spese di trasporto; ma tale necessità diventa maggiormente palese quando si ragiona di collettività separate nello spazio. S’intende quindi che i prezzi di una stessa merce sono diversi in due collettività diverse.

66. Dopo quanto si è detto per una sola collettività, le condizioni di equilibrio per più collettività si ottengono facilmente.

Consideriamo una collettività X che è in relazione con altre collettività, che indicheremo con Y, e che, per semplicità, considereremo come una sola collettività. Per ognuna di quelle collettività si hanno le condizioni di equilibrio dei gusti e degli ostacoli già esposte; ma ora non bastano a sciogliere il problema, perchè ci sono altre incognite, cioè le quantità di beni economici barattate tra X e Y. Supponiamo che sieno cento; occorrono altre cento condizioni per determinarle.

67. Avremo da prima il bilancio di X nelle sue relazioni con Y; il quale dovrà essere fatto tenendo conto di ogni entrata e di ogni spesa, come si è esposto al § 27 e seg. Il bilancio di Y è superfluo per i motivi già esposti (III, 204). Nelle relazioni di X con Y, l’entrata di X è l’uscita di Y, e viceversa. Perciò, se l’entrata e l’uscita bilanciano per X, [p. 350 modifica]bilanciano pure per Y. Quindi la considerazione dei bilanci ci dà una sola condizione, che chiameremo (α).

68. Occorre poi che i prezzi, tenuto conto delle spese di trasporto e di altre accessorie (per esempio: assicurazione, spese di cambio, ecc.), sieno eguali per le quantità barattate; poichè sovra uno stesso mercato non si può avere due prezzi. Una delle merci può essere presa come moneta internazionale; rimangono, in tal caso, solo 99 prezzi, e le condizioni di eguaglianza, che diremo (β), sono quindi 99.

Aggiunta la condizione (α) alle 99 (β), si hanno in tutto 100 condizioni; quante bastano per l’appunto per determinare le 100 incognite.

69. Ma, in generale, non si può supporre che vi sia un’unica moneta, identica per X e per Y; occorre supporre che X e Y abbiano monete proprie, anche quando sono materialmente identiche, coniate con uno stesso metallo. In tal caso la moneta di Y ha una certa relazione colla moneta di X, cioè ha un certo prezzo espresso in moneta di X, ed ecco una nuova incognita. Se si aggiunge alle altre 100, si hanno 101 incognite. Ma i prezzi essendo ora 100, le condizioni (β) sono pure 100, ed aggiuntovi la condizione (α) si hanno 101 condizioni, cioè tante condizioni quante incognite.

Rimarrebbe da vedersi come si stabilisce l’equilibrio; ma ciò si potrà fare solo dopo lo studio della moneta (VIII, 35 e seg.).

70. L’equilibrio e i prezzi. — In tutti i ragionamenti fatti sinora abbiamo preso una merce come moneta; le ragioni di baratto di quella merce colle altre, cioè i prezzi, dipendono dai gusti e dagli ostacoli, e sono determinati quando questi e quelli lo sono pure. [p. 351 modifica]

Una prima modificazione a questa teoria si deve fare considerando la quantità di moneta circolante. Bisogna cioè considerare che la merce-moneta è ofelima non solo pel consumo, ma anche perchè serve alla circolazione. Perchè tutti i prezzi potessero, ad esempio, crescere del 10%, sarebbe dunque necessario non solo che accadesse un mutamento corrispondente nell’ofelimità della merce-moneta, paragonata all’ofelimità delle altre merci, ma altresì che si potesse avere la quantità di moneta che basta per la circolazione coi nuovi prezzi.

71. Teoria quantitativa della moneta. — Supponiamo che la quantità di moneta in circolazione debba variare proporzionalmente ai prezzi; il che all’incirca può accadere se, mentre mutano i prezzi, la velocità della circolazione non muta, e se non mutano le proporzioni dei succedanei della moneta. Tale ipotesi è fondamento di ciò che si è detto teoria quantitativa della moneta. Accettandola, sarebbe necessario, perchè i prezzi crescessero del 10%, che la quantità della merce-moneta crescesse non solo in modo tale da poter essere consumata in maggior copia, onde ne scemasse l’ofelimità elementare, ma altresì in modo che la quantità di moneta in circolazione aumentasse del 10%.

I prezzi sarebbero dunque, in fine, determinati dall’ofelimità della merce-moneta e dalla quantità di essa che è in circolazione.

72. Se invece di una merce si avessero per moneta tessere qualsiasi, per esempio carta moneta, tutti i prezzi dipenderebbero solo dalla quantità di quella carta che è in circolazione.

73. Le ipotesi ora fatte non si verificano mai interamente. Non solo tutti i prezzi non mutano insieme nella stessa proporzione, ma inoltre varia [p. 352 modifica]certamente la velocità della circolazione, e variano altresì le proporzioni dei surrogati della moneta. Da ciò quindi segue che la teoria quantitativa della moneta non può mai essere che approssimativamente e grossolanamente vera.

74. Nel caso della carta-moneta è dunque possibile di avere due posizioni di equilibrio in cui sono identiche tutte le circostanze, eccetto le seguenti: 1.° tutti i prezzi sono aumentati, per esempio, del 10%; 2.° la velocità della circolazione è aumentata, e può anche essere cresciuta la proporzione dei surrogati della moneta, in modo che la stessa quantità di moneta basta per la circolazione coi nuovi prezzi.

75. Nel caso di una merce-moneta sarebbe necessario che quella velocità e quella proporzione dei surrogati crescessero in modo da rendere soverchia la quantità in circolazione, onde potesse aumentare il consumo della merce-moneta, affinchè ne scemasse l’ofelimità elementare.

76. L’ipotesi fatta per la carta-moneta può verificarsi approssimativamente; ma quella fatta per la merce-moneta pare difficile ad osservarsi in concreto nelle proporzioni indicate, sebbene in minori proporzioni possa spesso aver luogo. Si conclude che sarebbero possibili posizioni identiche di equilibrio con prezzi diversi nel primo caso; impossibili nel secondo.

77. L’ultima conclusione è forse troppo assoluta. Sarebbe difficilmente oppugnabile, se il consumo della merce-moneta fosse grande quasi come il totale degli altri consumi. Poniamo che in una collettività di agricoltori in cui si consuma grano, vino, olio, lana, e poche altre merci, si tolga il grano per merce-moneta; la conclusione accennata sussisterebbe certamente. Ma sussiste pure se, come [p. 353 modifica]nelle nostre società, la merce-moneta è l’oro, di cui il consumo è pochissimo in paragone degli altri consumi? Si capisce malamente come tutti i prezzi debbano essere regolati precisamente e rigorosamente dal consumo dell’oro per casse di orologi, gioielli, ecc. La corrispondenza tra un fenomeno e l’altro non può essere perfetta.

78. Occorre notare che qui esciamo dal campo dell’economia pura per entrare in quello dell’economia applicata. Similmente la meccanica razionale c’insegna che due forze eguali e direttamente contrarie si fanno sempre equilibrio, qualunque ne sia l’intensità; ma la meccanica applicata ci dice che, se tra quelle forze è interposto un corpo solido, è necessario inoltre tenere conto della resistenza dei materiali.

79. Supponiamo che, ogni altra circostanza rimanendo eguale, tutti i prezzi crescano del 10%; perchè sussistesse l’eguaglianza delle ofelimità ponderate, la quale assicura l’equilibrio, sarebbe necessario che crescesse la quantità d’oro che si può consumare; ed è perchè quella quantità non può crescere, che i prezzi dovrebbero tornare a ciò che erano prima. Ma qui giova osservare i fatti seguenti: 1.° l’eguaglianza delle ofelimità ponderate si stabilisce approssimativamente per le merci di uso esteso e giornaliero, meno bene per le merci di uso ristretto e che si comprano solo ogni tanto. Quindi, in realtà, per l’ofelimità dell’oro vi è un certo margine nell’eguaglianza che deve avere colle altre. 2.° Se tutti i prezzi aumentano, l’estrazione dell’oro dalle miniere dovrebbe diventare meno vantaggiosa, e quindi scemare. Ma quell’estrazione è tanto che aleatoria, che è regolata da ben diverse considerazioni; e, dentro certi limiti, poco o nessun [p. 354 modifica]effetto hanno le variazioni dei prezzi delle altre merci. 3.° Infine un qualche effetto può pure aversi da un mutamento nelle condizioni della circolazione (§ 73). Concludiamo che coll’oro moneta sono possibili, entro certi limiti, posizioni identiche di equilibrio con prezzi diversi. Entro quei limiti non sarebbero dunque più interamente ed esclusivamente determinati dalle formole dell’economia pura (§ 82).

80. Relazioni tra l’equilibrio e i prezzi dei fattori della produzione. — 1.° Supponiamo che mutino tutti i prezzi dei fattori della produzione, ma che non mutino i debiti e i crediti esistenti nella società (debito pubblico, crediti commerciali, ipotecari, ecc.). Per esempio, se crescono del 10% i prezzi di tutti i fattori della produzione, crescono pure del 10% i prezzi dei prodotti; quindi, da quel lato, nulla sarebbe mutato nello stato concreto degli operai e dei capitalisti che concorrono alla produzione. Essi ricevono il 10% di più e, per i loro consumi, spendono il 10% di più. Da un altro lato, muta lo stato loro, perchè, seguitando a pagare la stessa somma nominale ai loro creditori, dànno in realtà il 10% meno di ciò che davano prima, in merci. Perciò il mutamento supposto favorisce coloro che hanno parte nella produzione, e nuoce a coloro che hanno una entrata fissa, indipendente della produzione. Inutile aggiungere che un mutamento opposto avrebbe effetti opposti.

81. Perchè il mutamento dei prezzi sia possibile, è necessario che non sia impedito dalla moneta; onde occorre ripetere le considerazioni accennate ai § 71 e seguenti. Nel caso supposto, e quando l’oro sia moneta, coloro che hanno parte nella produzione consumeranno forse (§ 79) un poco più di oro; coloro che hanno entrate fisse, un poco meno; [p. 355 modifica]nel totale ci sarà forse un poco più di consumo, che facilmente sarà dato dalle miniere. In quanto alla circolazione, provvederanno una maggior velocità e un maggior uso, se occorre, dei surrogati. Oltre certi limiti, per altro, non potrebbero crescere i prezzi, perchè troppo scarsa diventerebbe la quantità d’oro disponibile.

82. Nella realtà gli ostacoli ai mutamenti dei prezzi si trovano nella concorrenza di collettività indipendenti, sia nello stesso paese, sia all’estero (commercio internazionale), e nella difficoltà di far muovere insieme tutti i prezzi; onde quelli che non mutano trattengono il movimento degli altri. Sono questi i fatti che, entro i limiti lasciati dalle forze che nascono pel variare del consumo e della produzione dell’oro (§ 79), determinano i prezzi.

83. Se i prezzi della maggior parte delle merci o di tutte le merci di un paeso salgono, scema l’esportazione, cresce l’importazione, e l’oro esce dal paese per andare all’estero; quindi i prezzi finiscono col dover scemare e tornare allo stato primitivo. Effetti opposti si hanno nel caso di una diminuzione generale dei prezzi.

84. 2.° I prezzi dei fattori della produzione non mutano mai tutti insieme. Poniamo che i salari crescano del 10%; potrà anche crescere del 10% il frutto dei nuovi capitali e di parte degli antichi, ma per parte di questi potrà il frutto non mutare, o non crescere in proporzione dell’aumento dei salari, o anche scemare; e, non potendosi ritirarli dalla produzione, avranno una rendita negativa. Perciò un aumento dei salari gioverà agli operai, potrà essere indifferente pei possessori dei nuovi capitali, pei possessori di parte degli antichi, ma nuocerà ai possessori di altra parte di quei capitali e a tutti coloro che hanno entrate fisse. [p. 356 modifica]

85. Poniamo ora che sieno i prodotti i quali, mercè certi provvedimenti, ad esempio mercè dazii protettori, sono fatti aumentare di prezzo, e vediamo cosa segue. Se, per ipotesi, i prezzi di tutti i prodotti aumentano, potranno i prezzi di tutti i fattori della produzione aumentare nella stessa proporzione, ove si trascurino le entrate fisse, i debiti e i crediti, e l’equilibrio si stabilirà nuovamente come al § 71. Similmente, tenendo conto delle entrate fisse, dei debiti e dei crediti, si otterranno risultamenti come quelli del § 80. Riguardo ai fenomeni del § 84, occorre notare che, quando crescono i prezzi dei prodotti, tutti i capitali, antichi e nuovi, sono favoriti, e che appaiono principalmente rendite positive.

86. L’ipotesi fatta non si verifica mai in pratica. È impossibile che crescano i prezzi di tutti i prodotti; quindi certe produzioni sono beneficate, altre danneggiate. I nuovi capitali possono portarsi verso le produzioni favorite; gli antichi, che non possono ritrarsi da produzioni danneggiate, dànno rendite negative.

87. Sinora abbiamo considerato posizioni successive di equilibrio; giova anche vedere come segue il movimento nel passare dall’una all’altra. Un mutamento recato in una parte dell’organismo economico non si estende istantaneamente alle altre parti; e, nel tempo che pone per propagarsi da un punto ad un altro, i fenomeni sono diversi da quelli che seguono quando l’equilibrio è ristabilito.

88. Se i salari crescono, gli imprenditori possono difficilmente, eccetto in casi particolari, fare crescere in modo corrispondente i prezzi dei prodotti; onde, sinchè quell’aumento sia ottenuto, essi sono danneggiati. Intanto, dall’aumento dei salari, gli [p. 357 modifica]operai ricavano maggiore utile di quello che avranno ad operazione compiuta, perchè le loro entrate sono aumentate, mentre le spese per consumi non sono ancora aumentate in proporzione. Coloro che hanno entrate fisse sono meno danneggiati, mentre dura il movimento che quando sarà compiuto.

89. Inoltre il movimento non può mai essere generale. Se crescono i salari, e anche i prezzi dei prodotti in un ramo della produzione, poco o nulla mutano i prezzi degli altri rami della produzione; e non è che dopo un aumento successivo di salari in molti rami della produzione, che si osservano gli aumenti di prezzi corrispondenti ad un aumento generale di salari; onde quando si vede l’effetto spesso si è dimenticata la causa.

90. La traduzione soggettiva di quei fenomeni è notevole. L’uomo è spinto ad operare più dalle sensazioni del presente che dalle previsioni dell’avvenire, e maggiormente anche dai fatti che operano direttamente su di lui che da quelli che operano solo indirettamente; quindi, nel caso ora considerato, gli operai saranno maggiormente spinti a chiedere un aumento di salario di quello che sarebbero ove sentissero gli effetti di un aumento generale di salari; e similmente gli imprenditori saranno maggiormente spinti a resistere agli operai. In quanto a coloro che hanno entrate fisse, e che devono, in conclusione, fare le spese della contesa tra operai e imprenditori, dimostrano minore buon senso delle pecore che, spinte al macello, resistono, colpite dall’odore del sangue; essi si figurano che gli scioperi sono diretti contro i «capitalisti», che non sanno nemmeno distinguere dagli imprenditori, e non intendono che in ultima analisi, gli scioperi colpiscono coloro che hanno entrate fisse e crediti, molto più che imprenditori e capitalisti. [p. 358 modifica]

91. Gli aumenti dei prezzi delle merci sono sempre ricercati dagli imprenditori che producono quelle merci; e con ciò sanno curare il proprio tornaconto; poichè da quegli aumenti ricevono sicuramente vantaggio pel tempo più o meno lungo che occorre per raggiungere la nuova posizione di equilibrio. Ognuno, per altro, crede conseguire intero il vantaggio dell’aumento di prezzo della propria merce, e non bada al compenso parziale che seguirà per l’aumento di prezzo delle altre merci. Similmente accade pei possidenti che conseguono rendite positive. Agli operai, sono in generale indifferenti quei movimenti dei prezzi, perchè non si ripercuotono subito sui salari; essi credono che solo i «capitalisti» abbiano a darsi pensiero di quelle variazioni di prezzo; quindi non respingono quelle che, in ultima analisi, a loro torneranno di danno, come non favoriscono quelle che, in ultima analisi, a loro saranno vantaggiose. Per altro, contrariamente a tale fatto generale, si sono ora, in Germania, dimostrati avversari dei dazi protettori sulle materie alimentari, e hanno inteso che quei dazi si volgerebbero in fine contro di loro. Può ciò dipendere, in parte, dall’educazione data agli operai, dai socialisti, in quel paese.

92. Circolazione economica. — In conclusione, la produzione ed il consumo costituiscono un circolo. Ogni alterazione sovra un punto del fenomeno si ripercuote, ma non egualmente, sugli altri. Se facciamo crescere i prezzi dei prodotti, faremo pure crescere, come conseguenza, i prezzi dei fattori della produzione. Se invece facciamo crescere questi, faremo, per conseguenza, crescere quelli. Espresse così, le due operazioni paiono identiche, ma non sono tali, perchè la pressione esercitata sui prezzi [p. 359 modifica]dei prodotti non si propaga ai prezzi dei fattori della produzione in modo eguale a quello col quale la pressione esercitata su questi prezzi si propaga a quelli. In sostanza, in un modo o nell’altro, si giunge ad un aumento generale dei prezzi; ma quell’aumento non è lo stesso pei vari beni economici, e quelle variazioni differiscono dal primo al secondo modo. Sono favoriti e danneggiati individui diversi, secondo che si opera col primo o col secondo modo.

93. Erronee interpretazioni della concorrenza degli imprenditori. — La concorrenza degli imprenditori si manifesta colla tendenza che essi hanno di offrire, ad un certo prezzo, più merce di quella richiesta dai consumatori; oppure, ciò che è lo stesso, nella tendenza che essi hanno di offrire una certa quantità ad un prezzo minore di quello pagato dei consumatori (IX, 94).

Dall’osservazione di quei fatti, malamente interpretati, è nato l’errore che vi sia un eccesso permanente di produzione. Se tale eccesso esistesse realmente, si dovrebbe osservare un’accumulazione ognora crescente delle merci; e, per esempio, dovrebbe ognora crescere lo stock esistente nel mondo, di carbon fossile, di ferro, di rame, di cotone, di seta, ecc. Ciò non si osserva; dunque quell’imaginato eccesso di produzione può esistere solo come tendenza, non già come fatto.

94. Ammesso quell’eccesso di produzione, si è asserito che gioverebbe agli imprenditori di crescere il salario degli operai, perchè così, dicesi, crescerebbe il «potere di compra» degli operai e per conseguenza il consumo.

95. In questa proposizione c’è solo di vero che l’imprenditore il quale, ad esempio, paga il doppio [p. 360 modifica]di salari, il doppio dei frutti dei capitali, e vende le merci prodotte ad un prezzo doppio, si ritrova come prima, non sta nè meglio nè peggio. Ma nè quei doppi salari, nè quei frutti doppi dei capitali, faranno crescere il consumo totale delle merci; avranno solo per effetto di ripartire diversamente quel totale: maggior parte andandone a certi fattori della produzione, minor parte, a coloro che hanno entrate fisse; e, inoltre, la produzione di certe merci potrà crescere, mentre scema quella di altre.

96. Da quel fantasticato eccesso di produzione si è voluto altresì dedurre, con un nuovo e più grossolano errore, la cagione delle crisi economiche (IX, 92, 93).

97. Concetti erronei della produzione. — Si soleva e si suole ancora da molti dire che i fattori della produzione sono la natura, il lavoro, il capitale, intendendosi per quest’ultimo termine il risparmio, oppure i capitali mobiliari. Tale proposizione ha poco o nessun senso. Non si capisce perchè la natura sia disgiunta dal lavoro e dal capitale, come se lavoro e capitale non fossero cose naturali. In conclusione, si asserisce semplicemente che per produrre occorre lavoro, capitale, ed altra roba, a cui si dà il nome di natura. Ciò non è falso, ma serve ben poco per intendere cosa sia la produzione.

98. Altri dicono che i fattori della produzione sono la terra, il lavoro, il capitale; altri li riducono alla terra ed al lavoro; altri ancora al lavoro solo. Da ciò sono venute teorie interamente errate, come quella che asserisce che il lavoratore si pone al servizio del capitalista solo quando non ha più terra libera5 da coltivare, o come quella che vuole misurare il valore col lavoro «cristallizzato»6. [p. 361 modifica]

99. Notisi in tutte queste teorie un difetto comune, che è quello di dimenticare che la produzione altro non è se non la trasformazione di certe cose in certe altre, e di lasciar credere che tutti i singoli prodotti si possano ottenere mercè quelle cose astratte e generiche, dette: terra, lavoro, capitale. Non di quelle cose, in genere, abbiamo bisogno per la produzione, ma di certi generi concreti e speciali, specialissimi spesso, di esse, secondo il prodotto che vuolsi ottenere. Per avere vino del Reno, ad esempio, occorre non già una terra qualsiasi, ma una terra in riva al Reno; per avere una statua, non occorre già lavoro qualsiasi, ma bensì il lavoro di uno scultore; per avere una locomotiva, non occorre già avere un capitale mobiliare qualsiasi, bensì quello che ha proprio forma di locomotiva.

100. Gli australiani, prima che la loro terra fosse scoperta dagli europei, non conoscevano i nostri animali domestici; avevano terra libera sinchè ne volevano; ma, per quanto lavoro vi avessero speso sopra, è ben certo che non potevano avere nè una pecora, nè un bue, nè un cavallo. Ora grandissime mandre di animali ovini pascono in Australia, ma hanno tutte origine non dalla terra libera in genere o dal lavoro, e nemmeno dal capitale in genere, bensì da un capitale specialissimo, cioè dalle mandre ovine che esistevano in Europa. Se uomini che sanno lavorare la terra hanno una terra ove può crescere il frumento, se hanno semente di frumento ed inoltre capitali mobiliari come sarebbero aratri, fabbricati, ecc., e infine tanto risparmio da poter aspettare il prossimo raccolto, potranno vivere e produrre frumento. Nulla vieta il dire che tale frumento è prodotto dalla terra, dal lavoro e dal capitale; ma con ciò si nomina il genere per la [p. 362 modifica]specie. Tutta la terra, tutto il lavoro, tutto il capitale esistenti nel globo non ci possono dare un solo chicco di frumento, se non abbiamo quel capitale specialissimo che è la semenza del frumento.

101. Basterebbero tali considerazioni per mostrare l’errore di quelle teorie; ma inoltre sono in più modi inconciliabili coi fatti storici e presenti. Esse sono semplicemente un prodotto del sentimento che insorge contro il «capitalista», e rimangono estranee alla ricerca delle uniformità di cui solo si occupa la scienza.

Note

  1. Per mancanza di spazio, il punto e, è stato segnato, sulla figura tra c e c'; ma in realtà deve trovarsi oltre c', sulla retta h k, movendo da c verso c'.
  2. Tra i socialisti, il sig. G. Sorel ha il merito grande di avere inteso che il problema da risolvere dal collettivismo è principalmente un problema di produzione.
  3. Cours, § 724.
  4. Cours, § 727.
  5. Systèmes, II, p. 285 e seg.
  6. Systèmes, II, p. 312 e seg.