Manuale di economia politica con una introduzione alla scienza sociale/Capitolo IV
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CAPITOLO IV.
I gusti
1. Nel capitolo precedente abbiamo procurato di avere un concetto molto generale, e quindi anche un poco superficiale, del fenomeno economico; e per ciò fare abbiamo scansate, invece di risolverle, molte difficoltà che si paravano dinanzi. Ora conviene darcene pensiero, studiare più da vicino i particolari sui quali non ci siamo fermati, e completare le teorie appena accennate.
2. I gusti e l’ofelimità. — Abbiamo procurato di ridurre il fenomeno dei gusti al piacere che prova l’uomo consumando certe cose o comunque usandone.
Qui subito appare una difficoltà. Dobbiamo considerare l’uso, il consumo, solamente come facoltativi, oppure anche come obbligatori? In altri termini: le quantità di merci che figurano nelle formole dell’economia pura si debbono intendere come consumate solo sin quando piace all’individuo, oppure come necessariamente consumate, anche se invece di piacere recano disagio? Nel primo caso le ofelimità sono sempre positive, non possono andare sotto zero; poichè, quando l’individuo è sazio di consumare o di usare cosa alcuna, si ferma; nel secondo caso le ofelimità possono diventare negative e figurare un dolore invece di un piacere.
I due casi sono teoricamente possibili; per risolvere il quesito che ci siamo posti, bisogna badare al concreto e vedere quale è il caso di cui ha da darsi pensiero l’economia politica.
3. Non è difficile vedere che è il caso della prima categoria di cui ci occorre la teoria. Se un uomo ha acqua più di quanto ad esso occorre per dissetarsi, non è davvero costretto di berla tutta; ne beve quanto vuole, e lascia perdere il resto. Se una signora ha dieci vesti, non deve mettersele tutte indosso; e per ora non usa che uno vada in giro avendo su di sè tutte le camicie che possiede. Infine, ognuno adopera i beni che possiede solo sin quando ad esso piace.
4. Ma, concedendo ciò, muta un poco il significato delle quantità che, per le merci, figurano nelle formole dell’economia pura. Esse non sono più le quantità consumate, bensì le quantità a disposizione dell’individuo. Perciò diverge pure un poco il fenomeno concreto dal teorico. Alla sensazione del consumo presente, sostituiamo, come causa delle azioni dell’individuo, la sensazione presente del consumo futuro dei beni a disposizione.
5. Inoltre, nel caso in cui l’individuo possiede tali quantità di certi beni da esserne sazio, trascuriamo il disagio che egli può avere per sbarazzarsi delle quantità superflue; per solito, è vero, esso è insignificante, ed è ciò che esprime il proverbio francese: abondance de biens ne nuit jamais; ma vi sono casi eccezionali in cui può essere notevole e se ne debba tenere conto.
6. In quanto alla sensazione del possibile consumo, che sostituisce quella dell’effettivo consumo; se si considerano azioni ripetute, come appunto fa l’economia politica, quelle due sensazioni, alla fin fine, si trovano in un rapporto costante e tale che, senza grave errore, la prima può sostituire la seconda. In casi eccezionali, per individui molto imprevidenti e sbadati, può essere utile tenere conto della differenza di quelle due sensazioni, ma, per ora, su ciò non ci fermeremo.
7. Il considerare le quantità a disposizione dell’individuo ha anche un altro vantaggio, ed è quello di concederci di non tener conto dell’ordine dei consumi, supponendo che tale ordine è quello che meglio piace all’individuo. È evidente che mangiare la minestra in principio del pranzo e il dolce alla fine, oppure il dolce in principio e la minestra alla fine, non reca lo stesso piacere; onde si dovrebbe considerare quell’ordine, il che farebbe crescere a dismisura le difficoltà della teoria, ed è buono di cavarci questa spina.
8. Non è sola. Il consumo delle merci può essere indipendente; ossia l’ofelimità che reca il consumo di una merce può essere la stessa qualunque siano i consumi delle altre, cioè può esserne indipendente. Ma ciò non segue in generale; e spesso accade che i consumi sono dipendenti, cioè che l’ofelimità recata dal consumo di una merce dipende dai consumi di altre merci.
Giova distinguere due generi di dipendenza, cioè: 1.° Quella che nasce dall’essere il piacere di un consumo in relazione coi piaceri degli altri consumi; 2.° Quella che si manifesta nel poter sostituire una cosa ad un’altra per produrre in un uomo sensazioni, se non identiche, almeno prossimamente eguali.
9. Discorriamo del 1.° genere di dipendenza. In realtà il piacere che ci reca un consumo dipende dagli altri nostri consumi; ed inoltre certe cose, per recarci piacere, debbono essere unite ad altre; per esempio una minestra senza sale ha poco gusto, e un abito senza bottoni non è di uso molto gradevole. In sostanza i casi ora considerati non differiscono che quantitativamente; il primo, dimostrando più lievi i caratteri che il secondo ha più spiccati; ed è per gradi insensibili che si passa dall’uno all’altro. Può per altro giovare di distinguere i casi estremi, che sarebbero i seguenti: (α) La dipendenza dei consumi può avere origine da ciò che pregiamo più o meno l’uso o il consumo di una cosa secondo lo stato in cui ci troviamo. (β) Tale dipendenza può nascere da ciò che certe cose hanno bisogno, per recarci piacere, di essere unite, e perciò si dicono beni complementari.
10. (α) Il primo genere di dipendenza è molto generale e non si può trascurare ove si considerino variazioni estese delle quantità delle merci; solo quando le variazioni siano poco estese, si possono supporre approssimativamente certi consumi indipendenti. È certo che chi soffre crudelmente il freddo gusta poco una delicata vivanda; chi è affamato non prova molto piacere a guardare un bel quadro, ad udire un ben ordito racconto; e, se gli si dessero vivande, gli premerebbe poco che fossero servite in terraglie volgari o in porcellane splendide. D’altra parte, in questo genere di dipendenza, per piccole variazioni di quantità, la parte principale della variazione dell’ofelimità di una merce è data dalla variazione della quantità di quella merce. È meglio mangiare un pollo in un bel piatto; ma infine, se il piatto è solo più o meno bello, il piacere non varia molto. Viceversa il piacere che si ha ad usar di un bel piatto, dipende principalmente da quel piatto, e non varia molto se il pollo è più o meno grosso, o di qualità più o meno squisita.
11. Parecchi degli autori che costituirono l’economia pura furono tratti, per rendere più trattabili i problemi che volevano studiare, ad ammettere che l’ofelimità di una merce dipendesse solo dalla quantità di quella merce a disposizione dell’individuo. In ciò non sono da biasimare, perchè i nodi occorre scioglierli uno alla volta; e, per andare sano, occorre andare piano. Ma ora è venuto tempo di fare un altro passo e di considerare anche l’ofelimità di una merce come dipendente dai consumi di tutte le altre.
Per quanto spetta al genere di dipendenza che ora studiamo, si potrà, sempre per altro approssimativamente e purchè sia per piccole variazioni, considerare l’ofelimità di una merce come dipendente esclusivamente dalle quantità di quella merce. Ma rimane da tenere conto degli altri generi di dipendenza.
12. (β) Il concetto dei beni complementari si può estendere più o meno. Per avere lume è indispensabile, oltre alla lampada, avere il petrolio; ma non è indispensabile avere un bicchiere per bere vino: si può anche bere alla bottiglia.
Estendendo il concetto di beni complementari, si potrebbe tener conto di quella dipendenza considerando come merci distinte tutte le combinazioni di merci che l’individuo direttamente usa o consuma. Per esempio, non si terrebbe conto separatamente del caffè, dello zucchero, della tazza, del cucchiaino, e si considererebbe una merce composta di quelle tre che occorrono per prendere una tazza di caffè. Ma si scansa così una difficoltà per cadere in altre maggiori. Da prima, perchè nel costituire quella merce ideale, fermarci al cucchiaino? Ci sarebbe anche da tenere conto del tavolino, della seggiola, del tappeto, della casa dove stanno tutte quelle belle cose, e via di seguito sino all’infinito. Poscia, moltiplichiamo così fuori di misura il numero delle merci; poichè ogni possibile combinazione delle merci reali ci dà una di tali merci ideali.
Giova dunque di due mali scegliere il minore, e limitare la considerazione di quelle merci composte ai casi in cui sono così strettamente dipendenti l’una dall’altra, che riescirebbe assai malagevole di considerarle disgiunte. Negli altri casi val meglio considerarle separatamente, col che si torna al caso precedente. Ma, facendo ciò, non si deve mai dimenticare che l’ofelimità di una di quelle merci dipende non solo dalle quantità di quella merce, bensì anche dalle quantità delle altre colle quali si accompagna per l’uso o il consumo, per cui si fa certamente un errore considerandola come dipendente solo dalla quantità di detta merce. Tale errore può diventare trascurabile ove siano solo concesse piccole variazioni delle quantità delle merci; poichè in tal caso si può approssimativamente ritenere che il consumo della merce considerata avvenga in certe condizioni medie riguardo alle merci accessorie.
Tornando all’esempio precedente, se si dovesse considerare il caso estremo in cui manca la tazza per prendere il caffè, non si potrebbe senza grave errore supporre l’ofelimità del caffè indipendente dalla tazza; ma, se invece si considera uno stato scostandosi poco da uno stato esistente, in cui cioè le variazioni sono solamente di avere una tazza un poco migliore o un poco peggiore, si può, senza grave errore, considerare l’ofelimità del caffè come indipendente dalla tazza. A stretto rigore, l’ofelimità del caffè per un uomo varia secondo lo zucchero, la tazza, il cucchiaio, ecc., che quell’uomo ha a sua disposizione: ma, se supponiamo un certo stato medio riguardo a tutte quelle cose, potremo, con grossolana approssimazione, ritenere che l’ofelimità del caffè dipende solo dalla quantità del caffè di cui un dato uomo dispone. Similmente l’ofelimità dello zucchero dipenderà dalla sola quantità di zucchero, ecc. Ciò più non sarebbe vero, ove si volessero considerare variazioni notevoli delle quantità o dei prezzi. Che lo zucchero costi 40 o 50 centesimi al chilogrammo ciò poco modifica l’ofelimità del caffè; ma, se non si potesse più avere zucchero, questo molto muterebbe l’ofelimità del caffè ed anche solo il crescere di prezzo dello zucchero da 50 centesimi a 2 lire il chilogrammo darebbe una variazione dell’ofelimità del caffè che non sarebbe da trascurare.
13. Concluderemo dunque che, se si vogliono ammettere variazioni molto estese, è necessario, almeno pel maggior numero delle merci, di considerare l’ofelimità di una merce come dipendente, non solo dalla quantità usata o consumata di detta merce, ma bensì anche dalle quantità di molte altre merci che contemporaneamente a quella si usano o si consumano; e che, ove non si voglia ciò fare e si intenda di considerare l’ofelimità di una merce come dipendente dalla sola quantità di detta merce, diviene necessario di ragionare solo di variazioni assai piccole, e quindi di studiare il fenomeno solo nelle vicinanze di una data posizione di equilibrio.
14. Passiamo ora al secondo genere di dipendenza. Un uomo può sfamarsi con pane o con patate, può bere vino oppure birra, può vestirsi di lana o di cotone, può, per avere un lume, usare il petrolio o candele steariche. Si concepisce che una certa equivalenza si possa stabilire tra i consumi corrispondenti ad un dato bisogno. Ma qui occorre distinguere accuratamente se l’equivalenza è relativa ai gusti dell’individuo, oppure ai suoi bisogni.
15. Se la relazione di equivalenza si riferisce rigorosamente ai gusti dell’individuo, essa altro non è se non la relazione che dà la curva di indifferenza per le merci equivalenti; onde veramente è inutile discorrerne a parte. Dire che un uomo ritiene equivalente pei suoi gusti di sostituire, nella sua alimentazione, ad un chilogrammo di fagiuoli, due chilogrammi di patate, è esprimere che la curva di indifferenza tra i fagiuoli e le patate passa pel punto 1 chilogrammo di fagiuoli e 0 di patate, e pel punto 2 chilogrammi di patate e 0 chilogrammi di fagiuoli.
16. Talvolta, per altro, l’equivalenza non si riferisce ai gusti, bensì ai bisogni. In tal caso non ci sarebbe più identità tra la relazione di equivalenza e quella della curva di indifferenza. Per es., un uomo può sfamarsi mangiando due chilogrammi di polenta ovvero un chilogrammo di pane; una signora può per ornamento adoperare una collana di perle false o una collana di perle fini. Riguardo ai gusti, l’equivalenza tra quelle cose non esiste menomamente: l’uomo preferisce il pane, la signora le perle fini, e soltanto perchè costretti dalla necessità vi sostituiscono la polenta e le perle false.
17. Quando l’uomo usa insieme polenta e pane, la signora perle false e perle fini, non si possono più supporre indipendenti la ofelimità della polenta da quella del pane, la ofelimità delle perle false da quella delle perle fini; ma occorre considerare l’ofelimità di una certa combinazione di polenta e di pane, di perle false e di perle fini, od in altro modo qualsiasi tener conto della dipendenza dei consumi.
18. Il fenomeno di quella dipendenza è molto esteso. Moltissime merci sono di diverse qualità e si sostituiscono vicendevolmente, man mano che cresce l’entrata dell’individuo. Sotto il nome di camicia comprendiamo molti e diversi oggetti; dalla grossolana camicia del contadino, alla finissima camicia di una elegante signora. Ci sono molte qualità di vino, di cacio, di carne, ecc. Chi non ha altro, mangia molta polenta; se ha pane in abbondanza, lascia stare la polenta, ne mangia poca e mangia molto pane; se poi gli capita di avere carne, ne usa e restringe il suo consumo di pane. Non si può dire che piacere reca ad un uomo una certa quantità di polenta, se non si sa quali altri alimenti ha a sua disposizione. Che piacere reca ad un uomo un mantello di lana grossolano? Per rispondere, occorre sapere quali altri vestiti ha a sua disposizione.
19. Questi fenomeni ci fanno conoscere una certa gerarchia delle merci. Se, per esempio, le merci A, B, C, D, .... sono atte a soddisfare un certo bisogno, un uomo userà la merce A perchè non può usare le altre, che per lui sono troppo care. Crescendo la sua agiatezza, userà insieme A e B; crescendo ancora l’agiatezza, userà solo B; poi userà B e C, poi C solo; poi C e D; e via di seguito. È inteso che abbiamo solo così la parte principale del fenomeno, e che chi usa D, può ancora occasionalmente usare pure piccole quantità di A, di B, ecc.
Per intenderci, diremo che una qualsiasi delle merci di una simile serie è superiore alle precedenti, ed inferiore alle seguenti. Abbiasi per esempio la serie: polenta — pane — carne di 2.ª qualità — carne di 1.ª qualità. Chi è molto misero mangia molta polenta, poco pane, pochissima carne. Crescendo in agiatezza, mangia più pane e meno polenta; seguitando a crescere l’agiatezza, mangia pane e carne di 2.ª qualità, e solo ogni tanto un poco di polenta, crescendo ancora l’agiatezza mangia carne di 1.ª qualità ed altri alimenti di buona qualità, pochissima polenta, poco pane, e quel poco di qualità superiore a quella che usava prima.
Si vede quanto sia esteso il genere di dipendenza di cui ragioniamo, e come non si possa fare a meno di tenerne conto. Per far ciò, due vie si parano a noi dinanzi, come precedentemente.
20. Si può restringere la considerazione di quel genere di dipendenza ai casi in cui essa maggiormente spicca, in cui notevole è la dipendenza del consumo delle merci, ed in cui non è lieve nè trascurabile la preferenza dell’individuo; e considerare gli altri consumi come indipendenti.
21. Ma, sempre nel campo delle approssimazioni, si potrebbe seguire un’altra via, ed allargare, invece di restringere, la considerazione di quel genere di dipendenza. Si potrebbe, per esempio, considerare un numero più o meno grande di gusti o di bisogni dell’uomo, e per essi supporre equivalenti certe quantità di merci che si possono sostituire l’una all’altra. Per esempio, per l’alimentazione, porre certo equivalenze tra le quantità di pane, di patate, di fagiuoli, di carne, ecc. In tal caso, non ci sarebbe più da tener conto che dell’ofelimità complessiva di quelle quantità equivalenti.
22. Tali equivalenze di sostituzione, essendo solo approssimative, dobbiamo, anche per il secondo genere di dipendenze, non allontanarci troppo da un certo stato medio, pel quale quelle equivalenze sono state approssimativamente stabilite.
23. Le difficoltà che qui incontriamo non sono speciali a questo questito. Abbiamo già veduto (§ 18) che s’incontrano generalmente nei fenomeni molto complessi. Vi è presso ai popoli civili una enorme quantità di merci varie atte a soddisfare innumerevoli gusti. Per avere un concetto generale del fenomeno, occorre necessariamente trascurare molti particolari, il che si può fare in più modi.
24. Abbiamo considerato i principali generi di dipendenza; ve ne sono altri, ed il fenomeno è assai vario e complesso. In sostanza, l’ofelimità di un consumo dipende da tutte le circostanze in cui ha luogo quel consumo. Ma, se vogliamo considerare il fenomeno in tutta la sua estensione, ogni teoria diventa impossibile, per i motivi già tante volte detti e ripetuti, onde è assolutamente necessario di separarne le parti principali, e dal fenomeno concreto e complesso ricavare elementi ideali e semplici che possono essere oggetto di teorie.
A tale meta, per varie vie si può giungere; ne abbiamo accennate due; ma altre sono pure possibili. Ognuna di quelle vie ha certi pregi e, secondo i casi, può essere preferita ad altre.
25. Come in tutte le scienze concrete in cui si sostituisce approssimativamente un fenomeno ad un altro, la teoria non deve essere estesa oltre ai limiti pei quali è stata ordinata; e, qualunque delle vie ora accennate sia seguìta, le nostre conclusioni non debbono trarsi, almeno senza che si facciano nuove indagini, oltre i confini di una piccola regione intorno al punto di equilibrio praticamente osservato.
26. Vi sono del resto altri fatti di gran momento che ci costringono a seguire tale via. Pongasi mente invero che, quando mutano le condizioni, mutano pure i gusti degli uomini. Ad una signora, che già usa brillanti, possiamo, con speranza di avere una risposta ragionevole, chiedere «se i brillanti costassero un poco di più, quanto meno ne comprereste?». Ma, se ad una contadina che non ha mai veduto brillanti, noi chiediamo: «se foste milionaria quanti brillanti a un dato prezzo comprereste?» avremo una risposta proprio data a caso e senza alcun valore. Marziale ha un epigramma in cui dice: «spesso suoli chiedere, Prisco, cosa sarei se diventassi ricco o potente. Supponi che si possa conoscere i sentimenti futuri? Dimmi, se tu fossi leone, come saresti?»1.
Se vogliamo essere rigorosi, non occorre neppure che le condizioni del fenomeno mutino radicalmente perchè mutino i gusti; ma questi possono pure mutare in altro modo e per lievi variazioni delle condizioni esterne. Aggiungasi che lo stesso uomo, oggi e domani, non è perfettamente simile a sè stesso.
27. Tale osservazione ci pone sulla via di una proposizione che non è di piccolo momento. Principiamo col recare un esempio. In Italia, il popolo usa caffè, e non usa thè. Se il caffè cresce molto di prezzo, e il thè scema molto di prezzo, l’effetto immediato sarà di restringere il consumo di caffè, mentre non aumenterà punto, o aumenterà insensibilmente, il consumo del thè. Ma, poco alla volta, dopo un tempo che sarà certo assai lungo, poichè i gusti degli uomini sono assai tenaci, il popolo italiano potrà sostituire il thè al caffè; onde l’effetto ultimo della considerevole diminuzione del prezzo del thè sarà di aumentarne molto il consumo.
In generale dobbiamo dunque sempre distinguere tra i mutamenti per brevi periodi e quelli per lunghi periodi. Nella statica economica giova, eccetto casi eccezionali, studiare esclusivamente i primi. Supponiamo che le curve di indifferenza tra una merce B e un’altra merce A (che potrebbe essere la moneta) siano, oggi, quelle indicate dalle linee piene s della fig. 28, e che, dopo un secolo, divengano quelle indicate dalle linee punteggiate t. Supponiamo ancora che l’individuo abbia la quantità o a di moneta. Oggi, qualunque sia il prezzo di B (entro certi limiti), quell’individuo spenderà quasi la stessa quantità a h di A; fra un secolo spenderà pure una quantità a k, che sarà quasi la stessa mentre varia il prezzo, ma che sarà diversa da a h.
28. Poichè ci vuole molto tempo perchè le curve di indifferenza s si mutino nelle curve di indifferenza t, potremo supporre, senza errore sensibile, che per breve spazio di tempo, per esempio uno o due o anche quattro o cinque anni, rimangano eguali alle s.
29. Abbiamo supposto che un uomo possa paragonare due sensazioni; ma quando non sono simultanee, ed invero non pare possibile che lo siano, egli può paragonare solo una sensazione col concetto che ha di un’altra. Perciò di nuovo diverge, dal fenomeno teorico, il fenomeno reale, e può essere utile, in qualche caso, tenere conto di tale divergenza, per un’ulteriore approssimazione. Spesso invece si può concedere che il concetto di una sensazione futura non troppo c’inganna, specialmente perchè occupandosi l’economia soltanto di fenomeni medii e ripetuti, se quel concetto, alle prime prove, troppo si discosta dalla sensazione futura, viene rettificato in altre prove che alle prime fanno seguito.
30. Si vede dunque che, se il fenomeno teorico che studiamo, in qualche caso si discosta assai dal fenomeno concreto, nel maggior numero dei casi usuali lo figura con più o meno grossolana approssimazione, purchè sempre si verifichino le condizioni seguenti: 1.° Possiamo investigare solo ciò che accade in una piccola regione di cui il centro è il fenomeno concreto dal quale ricaviamo i dati di fatto che servono per stabilire la teoria. Nel concreto, noi abbiamo all’incirca una posizione d’equilibrio del sistema economico; possiamo conoscere come si comporta il sistema in vicinanza di quella posizione, ma manchiamo di notizie per sapere cosa accadrebbe se le condizioni di fatto in cui si trova il sistema mutassero considerevolmente. 2.° Consideriamo solo fenomeni medii e che si ripetono, in modo da eliminare il maggior numero di variazioni accidentali.
Chi stimasse che ciò è troppo poco, non ha che da procurare di fare più e meglio. La via è aperta e il progredire della scienza è continuo. Ma, intanto, meglio poco che niente; tanto più che l’esperienza ci insegna che in tutte le scienze il poco è sempre stato necessario per giungere al più.
31. Qualcuno ha potuto credere che, pel solo fatto di usare la matematica, l’economia politica avrebbe acquistato nelle sue deduzioni il rigore e la certezza delle deduzioni della meccanica celeste. Ciò è gravissimo errore. Nella meccanica celeste, tutte le conseguenze che si sono tratte da una ipotesi sono state verificate dai fatti; onde pare probabilissimo che quell’ipotesi basti per darci un concetto preciso del fenomeno concreto. Nell’economia politica, non possiamo avere speranza di simile prospero successo, poichè sappiamo, senza alcun dubbio, che le nostre ipotesi in parte divergono dalla realtà, onde solo entro certi limiti le conseguenze che da esse si ricavano potranno corrispondere coi fatti. Del resto è ciò che accade nella maggior parte delle arti o scienze concrete, per esempio nell’arte dell’ingegnere. La teoria, per tale modo, è dunque più spesso un modo di ricerca che di dimostrazione, e non si deve mai trascurare di verificare se le sue deduzioni trovano corrispondenza nella realtà.
32. L’ofelimità e i suoi indici. — Nel ragionare dell’ofelimità occorre tenere presente di distinguere l’ofelimità totale (o il suo indice) dall’ofelimità elementare (o dall’indice di questa). La prima è il piacere (o l’indice del piacere) che reca la quantità totale della merce A posseduta; la seconda è il quoziente del piacere (o dell’indice del piacere) di una nuova piccolissima quantità di A, diviso per detta quantità (III, 33).
Un individuo che si suppone stare in un punto del colle del piacere (III, 58) gode di un’ofelimità totale figurata dall’altezza di quel punto su un piano orizzontale. Se si taglia il colle del piacere con un piano verticale parallelo all’asse o A sul quale si portano le quantità della merce A, si ha una certa curva; l’inclinazione, su una retta orizzontale, della tangente a quella curva nel punto ove sta l’individuo è eguale all’ofelimità elementare (§ 60, 69).
L’uomo può conoscere se il piacere che a lui reca una certa combinazione I di merci, è eguale al piacere che ricava da altra combinazione II, oppure maggiore o minore. Di tale fatto ci siamo valsi (III, 55) per determinare gli indici dell’ofelimità, cioè gli indici che indicano se il piacere che reca una data combinazione è eguale al piacere che reca altra combinazione qualsiasi, oppure ne è maggiore o minore.
Inoltre, l’uomo può sapere, all’incirca se, passando dalla combinazione I alla combinazione II, egli prova maggiore piacere che passando dalla combinazione II ad altra combinazione III. Se tale giudizio potesse essere dato con sufficiente precisione, potremmo, al limite, conoscere come passando da I a II quell’uomo provi eguale piacere come passando da II a III; e quindi, passando da I a III, egli proverebbe un piacere doppio di quello che prova passando da I a II. Basterebbe ciò per potere considerare il piacere o l’ofelimità come una quantità.
Ma quella precisione non si può conseguire. Un uomo può sapere che dal terzo bicchiere di vino ha meno piacere che dal secondo; ma egli non può in nessun modo conoscere quanto vino precisamente a lui conviene bere dopo il secondo bicchiere, per avere un piacere equale a quello che a lui ha procurato quel secondo bicchiere. Da ciò nasce la difficoltà di considerare l’ofelimità come una quantità, se non in via di semplice ipotesi.
Tra gli infiniti sistemi di indici che si possono avere, giova ritenere solo quelli che godono della proprietà che, se passando da I a II, l’uomo prova maggiore piacere che passando da II a III, la differenza degli indici di I e II è maggiore della differenza degli indici di II e III. Per tal modo gli indici figurano sempre meglio l’ofelimità.
33. Caratteri dell’ofelimità. — In quanto segue, supporremo che l’ofelimità sia una quantità; sarebbe del resto facile di modificare il ragionamento onde valesse semplicemente per gli indici dell’ofelimità.
In forza dell’ipotesi fatta sul significato delle quantità di merci, le quali quantità s’intendono solo a disposizione dell’individuo (§ 3), l’ofelimità è sempre positiva; ed è questo un primo suo carattere.
Un secondo carattere, che fu riconosciuto dai primi economisti che studiarono l’argomento, sarebbe quello che, se l’ofelimità di una merce è considerata come dipendente unicamente dalla quantità di detta merce, l’ofelimità elementare (III, 33) decresce quando cresce la quantità consumata. Si volle fare dipendere tale proprietà dalla legge del Fechner2 ma con ciò si suppone necessariamente il consumo, e già abbiamo veduto (§ 3) che ciò ci traeva in molte difficoltà; inoltre, nella gran varietà di usi economici, se ne trovano vari che troppo si discostano dai fenomeni pei quali vale la legge del Fechner.
Occorre ricorrere direttamente all’esperienza, e questa ci fa vedere che effettivamente per molti usi o consumi vale la legge che scema l’ofelimità elementare col crescere della quantità consumata.
34. Infine è un fatto molto generale che, quanto più abbiamo di una cosa, tanto meno preziosa ci diventa ogni unità di quella cosa. Vi sono eccezioni. Per esempio, chi fa una raccolta di oggetti vi suole prendere più gusto, man mano che quella raccolta diventa più completa; è ben noto che certi contadini possidenti, man mano che cresce il loro possesso, divengono sempre più avidi di nuovi acquisti; infine tutti sanno che l’avaro suole desiderare tanto più di accrescere il suo patrimonio quanto più possiede. In generale, il risparmio ha una certa ofelimità propria, indipendente dall’utile che procura il risparmio per il frutto che se ne cava, e quell’ofelimità cresce colla quantità del risparmio sino ad un certo limite, e poi, eccetto per l’avaro, scema.
35. Ci sono poi le merci di cui le ofelimità non sono indipendenti (§ 9). Per la dipendenza del caso (α), si può ritenere, almeno in generale, che l’ofelimità elementare scema col crescere della quantità; anzi spesso scema più presto che se l’ofelimità fosse indipendente. Per la dipendenza del caso (β), l’ofelimità elementare può crescere, e poi scemare mentre cresce la quantità. Per esempio, se si ha una camicia a cui manca un sol bottone, l’ofelimità di quel bottone è maggiore di quella degli altri; e quella di un altro bottone ancora è molto piccola. Ma questo fenomeno è analogo, in parte, a quelli già studiati delle variazioni discontinue (III, 65). Bisogna ricordarsi che non studiamo fenomeni individuali, ma fenomeni collettivi e medii. Le camicie non si vendono mancanti di un bottone: quindi il caso astratto, ora notato, non si verifica in pratica. Occorre considerare il consumo di migliaia di camicie e di migliaia di bottoni, ed in tal caso si può ammettere senza grave errore che l’ofelimità elementare scema col crescere della quantità.
36. Riguardo alla dipendenza del secondo genere, (§ 8), si può osservare, in generale, che l’ofelimità elementare di una merce scema sino a diventare zero, mentre cresce la quantità della merce. Quell’ofelimità elementare rimane zero, sinchè la merce a cui si riferisce sia eliminata dal consumo, o vi rimanga solo per una quantità insignificante, e sia sostituita da altra merce superiore.
37. In conclusione, eccetto una parte del fenomeno nel caso dei beni complementari, per la maggior parte delle merci, l’ofelimità elementare decresce mentre cresce la quantità consumata. A chi è assetato, il primo bicchiere d’acqua procura maggior piacere del secondo, a chi è affamato la prima porzione di alimenti dà maggiore piacere della seconda, e via di seguito.
38. In questa via ci possiamo spingere più oltre e trovare un terzo carattere dell’ofelimità di moltissime merci. Non solo il secondo bicchiere di vino procura minore piacere del primo, e il terzo procura minore piacere del secondo: ma la differenza tra il piacere che procura il terzo e quello che procura il secondo è minore della differenza tra il piacere che procura il primo e quello che procura il secondo. In altri termini, man mano che cresce la quantità consumata, non solo scema il piacere che procurano nuove piccole quantità eguali aggiunto al consumo, ma inoltre i piaceri che recano quelle piccole quantità tendono a diventare eguali. Per chi ha già 100 fazzoletti, non solo il piacere che reca il 101.° fazzoletto è assai piccolo, ma è anche sensibilmente eguale al piacere che reca il 102.° fazzoletto.
39. Occorre ora anche vedere cosa accade quando varia, non più la quantità della merce di cui si considera l’ofelimità elementare, ma la quantità di altre merci colle quali vi è dipendenza.
Nel caso della dipendenza (α) (§ 9) il piacere che ci reca una piccola quantità di merce A, aggiunta alla quantità consumata, suole essere maggiore quando meno soffriamo della mancanza di altre merci; e quindi l’ofelimità elementare di A cresce quando crescono le quantità di B, C..... Ciò pure accade pel caso della dipendenza (β), almeno entro certi limiti. Il piacere che reca una lampada, aggiunta ad altre, è maggiore se si ha molto olio, in modo da potere adoperare anche la nuova lampada; e, viceversa, a che giova avere molto olio, se mancano le lampade per bruciarlo? Concludiamo dunque che, in generale, pel primo genere di dipendenza l’ofelimità elementare di A cresce quando crescono le quantità di certe altre merci B, C.....
40. Segue l’opposto pel secondo genere di dipendenza. Invero, se una merce A può sostituire una merce B, l’ofelimità elementare di A sarà tanto minore, quanto più si avrà in abbondanza il suo succedaneo B.
41. Per meglio vedere come tutto ciò segue, componiamo uno specchio, con numeri, del resto, scelti a caso, e che non hanno altro scopo che di dare forma tangibile alle considerazioni precedenti.
Quantità di | Piacere recato da |
Quantità di | Piacere recato da | ||
A | B | A B | A | B | A B |
Dipendenza del primo genere (α) (§ 9). | |||||
10 | 10 | 5,0 | 10 | 11 | 5,2 |
11 | 10 | 5,4 | 11 | 11 | 6,1 |
Piacere recato da 1 di A..... |
0,4 | 0,9 | |||
Differenza di quei piaceri | +0,5 | ||||
Dipendenza del primo genere (β) (§ 9). | |||||
10 | 10 | 5,0 | 10 | 11 | 5,15 |
11 | 10 | 5,1 | 11 | 11 | 7 |
Piacere recato da 1 di A..... |
0,1 | 1,85 | |||
Differenza di quei piaceri | + 1,75 | ||||
Dipendenza del secondo genere (§ 14). | |||||
10 | 10 | 5,0 | 10 | 11 | 6,0 |
11 | 10 | 5,9 | 11 | 11 | 6,1 |
Piacere recato da 1 di A..... |
0,9 | 0,1 | |||
Differenza di quei piaceri | -0,8 |
Osservisi che la differenza dei piaceri recati da 1 di A è positiva per la dipendenza del primo genere; negativa, per la dipendenza del secondo genere. Tale differenza è sempre eguale a quella che si troverebbe paragonando i piaceri recati da 1 di B. Ciò accade perchè abbiamo implicitamente supposto che il piacere della combinazione A B è indipendente dall’ordine dei consumi.
42. Componiamo una merce A con parti proporzionali di altre due merci B e C, per esempio con uno di pane e due di vino. Se B e C sono indipendenti, od hanno la dipendenza di primo genere, potremo ripetere il ragionamento già fatto e vedere che, in generale, l’ofelimità di A scema col crescere della quantità di A. Le eccezioni si lasciano da parte, per le considerazioni già fatte al § 35.
43. I caratteri delle linee di indifferenza — Gli economisti hanno principiato col chiedere all’esperienza i caratteri dell’ofelimità, e ne hanno poi dedotte le proprietà delle linee d’indifferenza.
Si può seguire la via inversa. Nel caso in cui l’ofelimità elementare di una merce dipende solo dalla quantità di quella merce, le due vie sono equivalenti. Ma è notevole che, nel caso generale, cioè in quello in cui i consumi appaiono dipendenti, lo studio delle linee di indifferenza ci dà risultamenti ai quali meno facilmente, per ora almeno, si potrebbe giungere ricorrendo soltanto all’esperienza per avere i caratteri dell’ofelimità.
44. Un primo carattere delle linee di indifferenza si ottiene osservando che occorre aumentare la quantità di una merce per compensare lo scemare della quantità di un’altra. Da ciò segue che l’angolo α è sempre acuto. Tale proprietà corrisponde esattamente alla proprietà delle ofelimità elementari, di essere sempre positive.
45. Inoltre, se si eccettuano i pochi fatti notati al § 34, si può osservare che per compensare la mancanza di una piccola quantità, sempre la stessa, di una data merce, ne occorre tanto meno di un’altra, quanto più si possiede della prima. Da ciò segue che le linee di indifferenza sono sempre convesse dalla parte degli assi, e hanno forme come t, e che non hanno mai forme come s, s' (fig. 29). Perchè avessero tali forme, sarebbe necessario che si riferissero ad una merce di cui ogni unità diventa più preziosa quanto maggiore è la quantità di detta merce a disposizione dell’individuo. È manifesto che tale caso è molto eccezionale.
46. Quando si considerano più merci A, B, C.... non si può più propriamente discorrere di linee di indifferenza; ma esistono proprietà analoghe a quelle ora accennate, e che sono molto utili per la teoria.
Una qualsiasi di quelle merci, A per esempio, si può scegliere come moneta. Delle altre, parte saranno vendute, parte comprate; si possono considerare separatamente le quantità di moneta che occorrono per quelle compre, o che si ricavano da quelle vendite; togliendo dalla somma del ricavato dalle vendite la somma delle spese, si avrà la quantità di A che ha fruttato quell’operazione complessiva, o viceversa.
Se si paragona A successivamente a ciascuna delle merci B, C...., si avranno linee di indifferenza, godenti di proprietà identiche a quelle già dichiarate.
47. Inoltre: 1.° Se nel totale si ha una certa spesa, vuol dire che le compre hanno fatto più che compensare le vendite; cioè lo scemare di A è stato compensato dal crescere di alcune delle merci B, C....; 2.° Qualunque sia la dipendenza dei consumi, supponiamo che, per compensare la spesa di una lira, occorra una certa frazione di una certa combinazione di B, C, D.....; man mano che scemerà l’entrata dell’individuo, andrà crescendo quella frazione; e viceversa.
Se un individuo fa una certa spesa per procurarsi una lampada, la calza, l’olio (primo genere (β) di dipendenza), e inoltre per alloggiarsi, vestirsi, nutrirsi (primo genere (α) di dipendenza colla lampada); e se vi è, per lui, compenso preciso tra la spesa fatta e i godimenti procurati; è manifesto che non vi sarebbe più quel compenso ove si raddoppiassero precisamente tutte quelle spese; poichè, da un lato la moneta gli diventa più preziosa perchè ne ha meno, e le lampade, ecc., lo divengono meno, perchè ne ha più.
Al solito, considerando molti individui, le variazioni discontinue si mutano, con lieve errore, in variazioni continue.
48. Relazione tra l’ofelimità o le linee di indifferenza e l’offerta e la domanda. — Le proprietà dell’ofelimità e delle linee di indifferenza sono strettamente congiunte a certi caratteri delle leggi dell’offerta o della domanda. Esporremo qui alcune di tali relazioni; ma, per la dimostrazione, dobbiamo rimandare all’appendice.
49. Consideriamo l’offerta e la domanda per un individuo che ha due o più merci a sua disposizione. Se i consumi di quelle merci sono indipendenti, od hanno una dipendenza del primo genere, la domanda di una merce scema sempre col crescere del prezzo di detta merce; l’offerta, da prima cresce, poi può scemare, mentre cresce il prezzo.
Per le merci che hanno una dipendenza del secondo genere, quando cresce il prezzo, la domanda può crescere e poi scemare; l’offerta può scemare e poi crescere.
La differenza esiste specialmente, nel concreto, per la domanda. Essa spicca maggiormente in altre circostanze. Supponiamo un individuo che abbia una certa entrata, che ripartisce nella compra di diverse merci. Se i consumi di quelle merci sono indipendenti, od hanno una dipendenza del primo genere, la domanda di ciascuna merce cresce sempre quando cresce l’entrata. Se invece la dipendenza è del secondo genere, la domanda può crescere, e poi scemare, quando cresce l’entrata.
50. Basta tale proposizione per scorgere la necessità di considerare la dipendenza del secondo genere. Infatti, osserviamo quale è la corrispondenza fra le deduzioni teoriche ed i fatti concreti. Se facciamo l’ipotesi che l’ofelimità di una merce dipende solo dalla quantità di detta merce che l’individuo consuma od ha a sua disposizione, la conclusione teorica è che, per simili merci, il consumo cresce quando cresce l’entrata; oppure, al limite, finisce coll’essere costante al di sopra di una certa entrata. Quindi, se un contadino si ciba solo di polenta e se egli arricchisce, dovrà mangiare più polenta, o almeno tanto quanto ne mangiava quando era povero. Chi usa un paio di zoccoli all’anno e punto scarpe, perchè troppo care, potrà, quando sarà ricco, usare anche cento paia di zoccoli all’anno, ma in ogni modo non dovrà usarne meno di un paio. Tutto ciò è in contradizione palese coi fatti dunque la nostra ipotesi deve essere rigettata, eccettochè si possa riconoscere che quelli sono fatti insignificanti.
51. Non è così; anzi, come già abbiamo notato (§ 19), abbiamo qui un fenomeno estesissimo, poichè per moltissime merci vi sono più qualità; e, man mano che l’entrata cresce, la qualità superiore toglie il luogo della qualità inferiore, quindi, per questa la domanda prima cresce col crescere dell’entrata, e poi scema sino a diventare insignificante, od anche zero.
52. Tale conclusione non sussisterebbe ove considerassimo, invece delle merci reali, grandi categorie di merci ideali (§ 21); per esempio se si considerasse l’alimentazione, l’alloggio, le vestimenta, l’ornamento e i divertimenti. In tal caso non è punto assurdo il dire che, col crescere dell’entrata, cresce la spesa per ognuna di quelle categorie di merci, e si potrebbe quindi, senza gravi errori, supporre che abbiamo ofelimità indipendenti, o meglio ofelimità aventi tra di esse il primo genere di dipendenza.
53. Nel concreto, un individuo generalmente domanda molte qualità di merci e ne offre una o poche. Moltissimi offrono semplicemente lavoro; altri, l’uso del risparmio; altri, certe merci che producono. Il caso di semplice baratto tra due merci aventi una dipendenza del secondo genere è assolutamente eccezionale; un manovale vende il suo lavoro e compera polenta e pane, ma non osserviamo il baratto di pane per polenta. Quindi le deduzioni della teoria non si potevano verificare direttamente in quel caso, ed occorreva avere un altro modo di verificazione, il che appunto si ottiene considerando la ripartizione dell’entrata.
54. Varie forme delle linee di indifferenza e delle linee dei baratti. — Giova vedere con figure grafiche le proprietà dell’ofelimità. Supponiamo che un individuo abbia due merci A e B; di cui una sola, cioè A, è per lui ofelima. In tal caso le linee di indifferenza sono rette parallele all’asse o B. Il colle dell’ofelimità è una superfice cilindrica, di cui una sezione qualsiasi, fatta parallelamente a o A, è indicata da o g h. Se la quantità o a di A produce sazietà, la superfice cilindrica finisce in un altipiano G indicato in g h, sulla sezione. La proprietà dell’ofelimità elementare di decrescere quando cresce la quantità di A è cagione che la pendenza del colle va scemando da o B in G; ossia, sulla sezione, da o in f e in g (§ 32).
L’individuo non domanda mai B, poichè, per lui, quella merce non è l’ofelima, ma può bensì offrirla, se ne ha una certa quantità, per esempio o b. Siamo qui nel caso notato (III, 98). Nessun sentiero rettilineo che muova da b può essere tangente ad una linea di indifferenza, ed abbiamo tanti punti termini a, a', a''...., cioè l’asse o A fa parte della linea dei contratti. È evidende che anche b o ne fa parte; onde quella linea è b o A. Se la linea dei contratti di un altro individuo taglia b o in c, la quantità di B che viene ceduta è b c, ed il prezzo zero. Se quella curva dei contratti taglia o A in a', od in altro punto analogo, la quantità ceduta è sempre l’intera quantità b o; il prezzo varia secondo la posizione del punto a, essendo eguale all’inclinazione della retta b a su o B. Nel caso della fig. 30, si suol dire che si offre tutta la quantità esistente di B.
55. Se A e B sono due beni complementari, che per essere goduti hanno bisogno di combinarsi in proporzioni Fig. 31 rigorosamente definite, le linee di indifferenza sono rette β c α, β' c' α', che si tagliano ad angolo retto. Il colle dell’ofelimità è costituito da due superficie cilindriche, e ci può essere in G un altipiano, che indica la sazietà. Il piacere che ha l’individuo in c è lo stesso di quello che ha in d o in e, perchè i beni, dovendosi combinare in proporzioni rigorosamente definite, le quantità c d di A, o c e di B, sono superflue.
56. Quando il colle dell’ofelimità ha una superfice continua, una sezione fatta, secondo u v (fig. 32), ha Fig. 32forma analoga a quella (I). In realtà per molti beni complementari, si ha, invece, una scalinata, come in (II). Per esempio il manico di un coltello ha per complemento una lama, e non è possibile adoperare un manico e un decimo di lama, quindi si hanno tanti scalini larghi precisamente un’unità. Come già tante volte abbiamo ripetuto, si può, per grandi numeri, sostituire, con lieve errore, a quella gradinata la superfice continua di cui la sezione somiglierà alla sezione (I) e sarà limitata da una curva continua (III, 65).
57. Se i beni sono solo approssimativamente complementari, gli angoli a a'.... sono più o meno arrotondati. Consideriamo un individuo che abbia solo pane A ed acqua B, o, se vuolsi, un cibo e una bevanda. Senza pane, muore di fame, qualsiasi quantità di acqua abbia, e perciò lungo o B l’ofelimità totale è zero, e l’ofelimità elementare di una piccola porzione è infinita, cioè il colle si alza a perpendicolo. Senza acqua, muore di sete, qualsiasi quantità di pane abbia, e perciò lungo o A, l’ofelimità totale o il piacere goduto è pure zero, e l’ofelimità elementare è ancora infinita. Sia o a la minima quantità di pane di cui ha bisogno per non morire di fame, e o b la minima quantità di acqua di cui ha bisogno per non morire di sete. È manifesto che non farebbe a meno di un poco di pane per avere anche molta acqua, o viceversa; quindi le linee di indifferenza saranno c α, c β, con un angolo pochissimo arrotondato in c. Per maggiori quantità di pane ed acqua l’angolo potrà essere più arrotondato, ma poi potrà tornare ad esserlo poco o niente in c1, quando l’individuo avrà la quantità o a1, di pane e ob1, di acqua che producono la sazietà. Al di là stendesi l’altipiano G.
58. Il lettore non deve mai dimenticare che l’economia politica, come ogni altra scienza concreta, usa solo approssimazioni. La teoria considera, per semplicità, casi estremi; ma i casi concreti sono solo a questi approssimati. Così, quando un architetto per sapere quanti metri cubi di muratura deve pagare all’accollatario, considera un muro come un parallelepipedo rettangolare, sarebbe proprio ridicolo osservargli che il muro non è un perfetto parallelepipedo geometrico, e scioccamente pavoneggiarsi discorrendo a proposito del rigore delle matematiche. Eppure di tali messeri ne capitano, quando si ragiona della scienza economica.
59. La linea dei baratti si ha unendo i punti c, c', della fig. 31, oppure i punti c, c......... della fig. 33, in cui i sentieri rettilinei moventi da un punto analogo al punto a della fig. 28 sono tangenti alle piccole curve che sostituiscono gli angoli; oppure i punti analoghi che si avrebbero se i sentieri movessero da un punto situato sull’asse o B.
60. Supponiamo che le ofelimità elementari di A o di B sono indipendenti, cioè che l’ofelimità elementare di A dipende solo dalla quantità di A, e l’ofelimità elementare di B dipende solo dalla quantità di B. Tale proprietà si traduce graficamente nel modo seguente. Seguiamo una retta qualsiasi u v parallela ad o B, e facciamo tante sezioni b h, b' h',....., parallele ad o A. Il colle dell’ofelimità sarà sezionato secondo tante curve b c, b' c'...; l’inclinazione sulle linee orizzontali bh, b'h'.., delle tangenti b t, b' t'...., a quelle curve, nei punti b, b'....., è eguale all’ofelimità elementare di A corrispondente alla quantità ou di A (§32). Poichè quell’ofelimità elementare non varia colla quantità di B, le inclinazioni delle tangenti b t, b' t'....., sono tutte eguali. Analoga proprietà si avrebbe per una retta parallela ad o A.
61. Segue da ciò che le linee della fig. 31 non possono rappresentare le linee d’indifferenza di due merci di cui le ofelimità sono indipendenti; poichè le inclinazioni ora accennate sono, è vero, costanti da β in c; ma poi diminuiscono ad un tratto, o rapidamente, in c, e divengono zero da c in a. Si ha così una conferma della necessità di considerare come dipendenti i consumi di certe merci.
62. Per avere un’idea delle curve di indifferenza nel caso del secondo genere di dipendenza, consideriamo due merci A e B, tali che A è inferiore a B (§ 19) e che si possono sostituire vicendevolmente. Saranno, per esempio, polenta e pane. Un individuo può sfamarsi colla sola polenta, o col solo pane, o usare di questo e di quel cibo; preferisce, almeno in certe proporzioni, il pane alla polenta.
Supponiamo, per semplificare, che 3 di A possano sostituire 2 di B; il ragionamento, del resto, vale anche quando quella sostituzione si fa secondo una legge qualsiasi. Prendiamo o m eguale a 3, e o n eguale a 2, e tiriamo la retta m n. Su quella retta il bisogno materiale dell’individuo è soddisfatto. Egli, per esempio, si sfama, in m, con 3 di polenta; in n, con 2 di pane; in a, con b a di pane e o b di polenta, ma non è egualmente soddisfatto. Quando è in a, ogni nuova quantità di A gli è superflua; quindi a α, parallela ad o m, è una linea di indifferenza. Questa linea seguita poi da a in β. In n, l’individuo avrebbe a sazietà della B, in β ne ha un poco meno; quella differenza di piacere tra l’uso di o n e l’uso di o β, è quella stessa che prova l’individuo tra il potere usare solo B e il doversi contentare di usare solo a b di B e o b di A.
Se l’individuo ha o h di B, che baratta per A, col prezzo di A in B dato dall’inclinazione di h c su o A, egli domanda o k di A; e con un prezzo minore, dato dall’inclinazione di h c', domanda una quantità maggiore o k'.
63. Nel caso estremo di due merci A, B, di cui l’una può sostituire l’altra in una proporzione sempre la stessa, per esempio se 4 di A equivalgono sempre a 3 di B, le linee di indifferenza sono rette inclinate in modo che o a sta ad o b come 3 a 4. Movendo da a, la linea dei contratti è la stessa linea retta a b.
64. Se abbiamo un certo numero di merci A, B, C,..., possiamo supporre, per un momento, fissare i prezzi di B, C,..., e ripartire tra quelle merci una certa somma di moneta. Quella somma di moneta diventa, in tal caso, una merce che possiamo paragonare ad A; e così possiamo estendere a molte merci l’uso delle figure grafiche.
65. Le curve di indifferenza tra quella somma di moneta e la merce A avranno spessissimo figura analoga a quella della fig. 37. Su o Q si portano la quantità di moneta; su o A le quantità della merce A. Dai punti q', q, q'' si tirino le tangenti q' m', q m, q'' m'' alle curve di indifferenze. Queste sono tali che le inclinazioni di quelle tangenti su o A vanno crescendo quando ci allontaniamo da o Fig. 347 movendo verso Q.
L’inclinazione di q m su o A ci dà il prezzo della merce A. Si noti che, per chi si trova in q, l’equilibrio non è possibile con una retta maggiormente inclinata su o A, ossia con un prezzo maggiore. Se dunque il prezzo minimo di A è dato dalla inclinazione della q m su o A, chi ha o q di entrata può appena principiare a comperare della A; chi avesse solo o q' di entrata non ne potrebbe comperare punto, poichè la tangente q' m' è meno inclinata su o A di q m. Chi invece si trova in q' può comprare una certa quantità della merce A, perchè q'' m'' è maggiormente inclinata di q m su o A. Quindi allorchè una merce ha un prezzo minimo, al disotto del quale non si può avere, solo chi ha un’entrata maggiore di un certo limite ne compra. Ciò, come ben si sa, corrisponde alla realtà.
66. Così, e tenuto conto della gerarchia delle merci (§ 19), abbiamo una discreta rappresentazione del fenomeno concreto. Supponiamo di avere diverse serie A, B,.... di quelle merci che si sostituiscono vicendevolmente.
Quando l’individuo ha una certa entrata, usa le merci chiuse nel rettangolo segnato con linee piene: se cresce la sua entrata, usa le merci chiuse nel rettangolo segnato con linee punteggiate; col crescere dell’entrata, lascia stare certe merci di minor prezzo e di minor qualità, e ne usa altre di maggior prezzo e di migliore qualità.
67. Le curve di indifferenza aventi forme come nella fig. 38 non corrispondono alla maggior parte delle merci usuali; poichè con quelle curve, chi ha un entrata piccolissima comprerebbe merci di prezzo elevatissimo, sebbene in piccola quantità.
Per altro, quando si volessero considerare le curve di indifferenza in un piccolo spazio G, si possono adoperare queste, come altre, secondo meglio consiglia la convenienza. Le curve reali sono certo complicatissime, basta che le curve teoriche combacino approssimativamente colle reali pel piccolo tratto che si vuole considerare. Anzi, può accadere che curve le quali meglio di altre si avvicinano alle reali per quel piccolo tratto, divergano poi grandemente, e viceversa.
68. Il caso in cui si hanno molte merci è assai complesso, onde giova avere diversi modi per semplificarlo. Per passare da una certa combinazione di merci A, B, C...., ad un’altra A', B', C',..., si può dividere l’operazione in due: 1.º Si mantengono ferme le proporzioni della combinazione, e si fauno crescere (o scemare) proporzionalmente tutte le quantità; 2.º Si mutano le proporzioni, e così si giunge definitivamente alla combinazione A,' B'.... Nel concreto, supponiamo, per esempio, un individuo che ha 1200 lire all’anno; quell’entrata cresce e diventa 2400 lire. La ripartizione sarà la seguente:
SPESE pel | Primo stato reale | Stato teorico intermedio | Secondo stato reale | |||
lire | % dell’entrata | lire | % dell’entrata | lire | % dell’entrata | |
Vitto | 720 | 60 | 1440 | 60 | 1200 | 50 |
Alloggio | 360 | 30 | 720 | 30 | 600 | 25 |
Vestiario, ec. | 120 | 10 | 240 | 10 | 600 | 25 |
Entrata | 1200 | 100 | 2400 | 100 | 2400 | 100 |
Bisogna osservare che la prima operazione è generalmente di molto maggior momento che la seconda, specialmente per aumenti dell’entrata non troppo grandi. Quando cresce l’entrata, le spese per grandi capitoli cioè pel vitto, per l’alloggio, pel vestiario, pei divertimenti, mutano, è vero, di proporzione, ma è un fenomeno secondario di fronte al fenomeno principale, che sta nel crescere di tutte quelle spese.
69. Il colle dell’ofelimità. — Dalla proprietà dell’ofelimità elementare di una merce di decrescere quando cresce la quantità di quella merce a disposizione dell’individuo, segue che il colle dell’ofelimità ha pendenza più aspra alla base, più lieve in alto (§ 32); somiglia al monte del purgatorio di Dante
Questa montagna è tale, |
Per le merci di prima necessità l’analogia è completa
E la costa superba più assai, |
70. Una proprietà di gran momento per la teoria è la seguente. Quando, percorrendo per un certo verso un sentiero rettilineo si principia a scendere, si scende poi sempre seguitando a percorrerlo per lo stesso verso. Invece, se si principia a salire, si può poi scendere.
La dimostrazione si darà nell’Appendice; qui si mostrerà solo la cosa intuitivamente.
Pei sentieri del genere di a b è evidente che si sale sempre nel senso della freccia, si discende pel verso opposto. Pei sentieri come m c si sale, pel verso della freccia, sino in c, e poi si cala. Da c in m, procedendo pel verso contrario a quello della freccia, si cala sempre. Perchè si potesse salire, sarebbe necessario che, in qualche punto come c'', invece di passare dal di sopra al di sotto della linea di indifferenza, come in c', si passasse dal di sopra al di sotto. Ma se ciò accade, la curva che passa in c'', dovendo sempre avere la sua tangente che fa un angolo acuto α, come è indicato sulla fig. 29, non può scappare da c'' in c, ma deve di necessità inflettersi per andare verso f. Ma quella concavità in h è contraria alla proprietà delle linee di indifferenza notata al § 45; dunque l’ipotesi fatta non può sussistere.