Italiani illustri/Cristoforo Colombo

Cristoforo Colombo

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Marco Polo Alberto Radicati
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Qualvolta un uomo che, per efficacia di volontà congiunta a potenza d’intelletto, eccede le ordinarie proporzioni, mostri avventurarsi oltre i comuni confini, il dotto vulgo, che predilige la mediocrità, nè tollera se non ciò di cui si crede capace, esclama: — Impossibile! egli è un chimerico, un presuntuoso»; forse aggiungerà, — È disennato, o ciurmadore». Dite che nello scabro ciottolo sta il diamante, e vi befferà chi non abbia mani e voglia robusta per ispezzare e scoprirlo.

Un tal uomo, se non regga agli strazj di quella sensibilità che è la debolezza e la potenza, il compenso e l’espiazione del genio, gravato dalla universale riprovazione, dubitando di sè medesimo e di un senno che dagli altri devia, soccomberà. Colui che, sotto Luigi XIV, propose di muovere un battello col fumo, destò le facili celie de’ cortigiani e della Ninon, impazzì e si spense allo spedale; il Dominichino stava per mutare il pennello collo scarpello onde aver tregua dai mordaci; Racine, vedendosi preferito l’inetto Proudon, abbandona il teatro; Newton, stanco delle contraddizioni, esclamava: — Non vo’ più darmi pensiero della filosofia: fu imprudenza l’abbandonare l’inestimabile bene della mia quiete per correr dietro a un’ombra»; Pergolesi muore a trentatre anni sotto l’ostinazione dei fischi di quelli, che, al domani delle esequie, il chiameranno divino.

Ma il genio, se non consiste nella pazienza, l’ha per dote prima; sa che ogni gran lavoro è una lotta, un’educazione, una palestra; anzichè sgomentarsi delle difficoltà, le affronta, si rassegna all’invidia, all’insulto e, ch’è peggio, alla trascuranza de’ contemporanei; sopporta i colpi di freccia e, più tediosi, i colpi di spillo; e migliorando nella contraddizione, come maggior profumo si svolge dal turibolo agitato, [p. 160 modifica]vince una ad una le nimicizie, le gelosie, le emulazioni; sprezza gli sprezzatori; affronta gli odj militanti a servigio de’ forti e de’ pregiudicati; solitario prosegue il sentiero, ove chi a mezzo soccombe è dimenticato o vilipeso.

Che se colla potenza che trasforma le contrarietà in problemi, e degli scogli si fa un porto, vincendo ostacoli nè tampoco sospettati dal vulgo, faticosamente egli riesce, allora alcuno s’affretta a tardiva giustizia per vantarsi d’aver riconosciuto il merito, e perchè è bello il farsi appoggio a chi non si può calpestare; i sedicenti amici gli concedono un’approvazione inattiva, somigliante a compatimento; molti, per comando, per adulazione, per non aver cominciato indarno gli oltraggi, ripetono in voce ostile: — Granchè! Or chi non avrebbe saputo far altrettanto? bastava pensarci e volerlo. Anzi, altri già l’ha fatto prima di lui: nè egli ebbe che ad imitare e profittarne».

Ignorano costoro, o piuttosto dissimulano, che nel saper volere sta l’efficacia del genio; che l’imitazione si deduce, non dal riscontro di particolarità or fortuite ora indeclinabili, ma dal confrontare i principj, il movimento dei metodi, la essenza de’ sistemi; che raggiungere mete nuove per strade antiche, o mete comuni per vie intentate; che conoscere l’importanza d’un proposito, e sagrificarvi compiacenze, onori, vita, è privilegio di grandi. Iram diede i cedri, David preparò il bronzo e l’oro; ma Salomone ebbe l’idea e la perseveranza; onde il tempio porterà il nome di esso.

Sovraggiunge poi un terzo stadio fra i beffardi di prima e i servili di poi; quando l’impresa di quell’eletto, il suo trovato, l’idea sua nuova entrano nel cumulo delle cognizioni generali, e ciascuno ne profitta. Per atrocissime che sieno le pene con cui comprò quegli effetti; per misconosciuti che veda i suoi meriti, egli, che ha servito al progresso senza illusioni, senza attendere riconoscenza, sentesi ampiamente compensato: perocchè, non la stima de’ contemporanei, iniquissima distribuzione; non la gloria, sogno da fanciulli; ma lo mosse il bisogno di scoprire è palesare la verità, e di poter dirizzarla ad utile de’ suoi fratelli.

Questi pensieri mi nascevano meditando su Cristoforo Colombo.

A Genova o nelle vicinanze1 era egli nato da nobile casa, che [p. 161 modifica]impoverita nelle guerre di Lombardia, s’era data alle arti. Gli studj interruppe giovinetto per mettersi nella marina, e subito si segnalò per coraggio e abilità, come per conoscenza di geometria, astronomia, cosmografia. Comandò navi napoletane e genovesi, poi andò nel Portogallo, dove i Lombardi (come colà chiamavano tutti gli Italiani) erano ben accolti, perchè di loro cognizioni giovavano l’ardor ivi suscitatosi delle scoperte. A Lisbona principalmente, dotti, curiosi, avventurieri, missionarj, negozianti, artisti d’ogni dove accorrendo, prendevano parte o interesse alle imprese di quei regnanti. Il principe Enrico nelle spedizioni contro i Mori aveva raccolte preziose notizie intorno all’Africa, quasi fosse alla sua estremità girata dall’Oceano: e si propose di giungere alle Indie per mare. Una famosa consulta di dotti, preseduta da Rodrigo e dall’ebreo Giuseppe, medici del re Giovanni II, volse l’applicazione dell’astrolabio alla navigazione, onde, coll’ajuto delle tavole di declinazione del sole per ciascun giorno, si potè determinare immediatamente quanto si disti dall’equatore. Con questi mezzi spedì alla scoperta, e fu voltato il terribile capo Bogiador: in appresso si spinse la navigazione lungo la costa africana di capo in capo, finchè arrivarono a quello di Buona Speranza, e così ebbero dato volto all’Africa, e trovato la via di giunger per mare a quell’India, da cui i Veneziani ed altri con lungo e disastroso viaggio terrestre traevano le spezierie, che poi difondevano a tutta l’Europa.

Colombo, uom di mare, e sposata colà Filipa Moreo di Perestrello, figlia d’uno de’ meglio segnalati navigatori del regno2, accoglieva nella cupida mente i racconti, le congetture, le fantasie [p. 162 modifica]de’ naviganti; forse viaggiò alcuna volta alla Guinea, e di tutto faceva alimento al desiderio e al calcolo di estendere le scoperte in una sfera assai più ampia di quella ove si erano fin allora trascinate. Gli scopritori della costa africana non aveano fatto che seguire un continente piramidale, la cui costa ad oriente era già nota agli Arabi: ora Cristoforo preparava una conquista di riflessione, ideando di giungere in Asia per via non più tentata.

Ma povero di mezzi, come sperar di ridurre a realtà i suoi sogni? Intanto li covava, e vi cercava appoggio nell’opinione de’ savj antichi e moderni. Perocchè egli non procedette a caso, ma sempre chiedendo la sua via ai calcoli, ai ragionamenti, alle stelle, al mare.

Per quanto scarso ei fosse di letteratura e d’erudizione, conosceva che l’antica scuola italica diceva sferica la terra ed esistere antipodi; insegnamenti che, un tempo fulminati, allora divenivano sempre più comuni3. Se dunque la terra è sferica, uno potrà passare da un [p. 163 modifica]meridiano all’altro sia che si diriga a levante, sia che a ponente; e le due strade saranno complemento una dell’altra; talchè, se l’una oltrepassi i centottanta gradi, l’altra sarà minore, cioè più diretta. Su questa semplicissima argomentazione fondavasi Colombo.

Eratostene pel primo avea valutato che fra l’Iberia e le coste della Cina corressero ducenquaranta gradi, cioè dieci di più del vero. Strabone aveva adottato questo computo4: ma Marino da Tiro li restrinse a gradi centrentacinque; e Tolomeo, pur correggendolo, errò ancora di quarantun grado. In Tolomeo avea letto Colombo che la terra è divisa in ventiquattr’ore da quindici gradi ciascuna; quindici di essi erano già noti agli antichi da Gibilterra a Tina in Asia; d’un’altra s’erano inoltrati i Portoghesi; onde non ne restavano che otto, cioè un terzo della periferia terrestre. Da altri aveva raccolto che i mari fossero un settimo della parte asciutta. Non è dunque la terra così grande come il vulgo presume5; nè converrà gran fatto traversare dell’Atlantico per raggiungere l’altro estremo del continente dell’India, donde per terra si potrà ritornare in Europa. Seneca6, Plinio, Aristotele, Alfargan avevano detto bastar il viaggio di pochi giorni per arrivare dalla Spagna nell’India; e le relazioni di Marco Polo7 e di Mandeville attestavano che questa sporgeasi molto più innanzi che non si fosse ancora reputato. Anzi [p. 164 modifica]precisamente, poichè il grado sotto l’equatore non doveva allungarsi più che quattordici leghe, per arrivare dalle Canarie alle più orientali contrade dell’Asia non resterebbe a navigare che un cinquecento miglia. Questo pure sarebbe stato soverchio per una navigazione che allor allora usciva dalle abitudini del cabotaggio: ma le nozioni precedenti faceano sperare d’incontrarvi dei riposi, e le continue scoperte davano fiducia di nuove. Stavano nel ricordo di tutti l’Atlantide di Platone, l’Antilia de’ Fenici, le isole Fortunate dei poeti; gli abitanti delle Canarie asserivano di vedere ad occidente un’ampia isola montuosa8; taluno anzi mosse a cercarla, e sebben fosse invano, continuossi a crederla, e a quell’ottica illusione fu apposto il nome d’Isola di San Brandano. Non vi prestava fede Colombo; pure anche deboli, anche vani argomenti racimolava per confermare a sè ed insinuare altrui l’idea d’una terra occidentale. Alcun navigante avea sui flutti scontrato alberi, ignoti ai nostri climi; un pezzo di legno intagliato senza ferro; giunchi immensi, quali Tolomeo descrive nell’India; e due cadaveri di fattezze dissimili dalle nostre.

Queste osservazioni ci tramandò Colombo stesso, giacchè prima cura sua, come quella d’ogni ardimentoso, dovett’essere il farsi perdonar l’audacia coll’accumulare piccole circostanze, dalle quali dovesse risultare ad evidenza, potersi giungere per via più breve alla terra delle spezie. Allora furono trovate frivole; dappoi se ne fece argomento per togliergli o scemargli il merito della sua scoperta.

V’aggiungea Colombo il famoso vaticinio di Seneca9, promettente che il mare offrirebbe nuove terre, e un altro Tifi scoprirebbe orbi sconosciuti. Più tardi si appoggiò a motivi soprannaturali e a passi della Scrittura; non mancava che cencinquantacinque anni a finire il mondo10; e poichè Isaia avea vaticinato che la verità [p. 165 modifica]sarebbe predicata in tutta la terra, voler Iddio compiere il gran miracolo di aprire l’India da questa nuova parte11.

Tali speculazioni agitavano la mente di Colombo; per chiarirsi delle quali ricorse al più valente geometra d’allora, Paolo Toscanelli fiorentino12; e questi gli rispose in conformità dei desiderj suoi, [p. 166 modifica]facile esser il tragitto per occidente alle Indie, nè più di quattromila miglia in linea retta poter interporsi da Lisbona alla provincia di Mangi presso il Calai, così splendidamente descritta da Marco Polo; per via doversi incontrare le isole Antilia e Zipango, ducenventicinque leghe discoste una dall’altra.

Che di più si volea per ridurre a convinzione l’ipotesi di Colombo, e crescergli l’entusiasmo della scienza e della fede? Perocchè Colombo era uom divotissimo, e spesso vestiva da frate e coi frati conversava; e all’impresa era mosso dal desiderio di recare a tante anime la luce della verità, ed acquistarvi ricchezze, colle quali ottenere la restituzione de la casa santa, cioè liberar Gerusalemme e distruggere l’islam.

In questo tempo cade un suo viaggio all’Islanda (1477); e sebbene per avventura potesse ivi attingere contezza delle scoperte fatte quattro secoli innanzi, queste non poterono nè suggerirgli, nè tampoco confermargli il suo pensiero, il quale consisteva, non in discoprire un mondo nuovo, ma in giungere dalla parte occidentale a Zipango e all’altre regioni che Marco Polo avea descritte.

Ma dove ottenerne i mezzi? L’Italia era divisa in piccoli Stati e ringhiosi, obbligati a difendere la propria indipendenza da nuovi ambiziosi; le due repubbliche marittime anelavano più a conservarsi il monopolio delle antiche vie, che non arrischiarsi a nuove; tener a tutto loro profitto il commercio nel Mediterraneo, che non vantaggiarne le nazioni situate sull’Oceano13. La Francia, da un [p. 167 modifica]re tutto positivo e gretto che l’aveva allor allora ridotta all’unità, passava ad un re avventuriero e romanzesco, sognante invasioni e conquiste, facili a fare come a perdere. Il Portogallo stava fisso all’Africa, e appena dalla guerra di Castiglia tornò alle scoperte con Giovanni II, e l’applicazione dell’astrolabio rese men temeraria l’idea d’avventurarsi a un mare senza rive, Colombo v’era accorso a proporre i suoi divisamenti a quel re, che li fece esaminare da dotti e da grandi, i quali li giudicarono d’un insano vanaglorioso.

Fra quelli ch’ebbero a librare tal proposizione compare Martino Behaim di Norimberga, da alcuni esaltato come precursore di Colombo, e che noi ci limitiamo a interrogare come testimonio delle idee più avanzate che allora si avessero in geografia. Nato verso il 1430, [p. 168 modifica]e dato ai traffici, tardi s’invaghì di questa scienza, e chiamato in Portogallo, strinse amicizia coi migliori cosmografi, e forse ajutò Rodrigo e Giuseppe nel combinare colla bussola l’astrolabio (1484). Imbarcato poi con Diego Cano, voltò il capo di Buona Speranza, indi fu alle Azzorre, ove sposò una figlia di Giobbe de Hurter, governatore della colonia fiamminga ivi stanziata. Il 1492 tornava in patria, e quella coltissima città non gli lasciò pace finch’ei non n’ebbe appagata la dotta curiosità formando un globo terrestre da serbare negli archivj. È il primo microcosmo che la storia della geografia ci porga, d’un piede e mezzo di diametro, rivestito di carta pecora, su cui sono tracciati i contorni de’ paesi conosciuti, aggiungendo compendiose notizie e figure d’uomini e di costumi. — Sappiasi (v’è [p. 169 modifica]scritto) che questo globo rappresenta la grandezza della terra, tanto in longitudine che in latitudine, geometricamente misurate secondo la Cosmographia Ptolomæi una parte, e il resto secondo il cavalier Marco Polo e il rispettabile dottore e cavaliere Giovanni di Mandeville. L’illustre don Giovanni re di Portogallo fece nel 1485 visitare da suoi vascelli tutto il resto del globo verso meriggio, ignoto a Tolomeo, alla quale scoperta io autore di questo globo mi sono trovato. Verso ponente è il mare detto Oceano, dove pure si navigò più in là di quel che Tolomeo indicasse, ed oltre le colonne d’Ercole fino alle isole Azzorre, Fayal e Pico, che sono abitate dal nobile e pio cavaliere Giobbe de Hurter di Mörchirchen, mio caro suocero, con coloni condotti da Fiandra. Verso le regioni tenebrose del Nord, [p. 170 modifica]di là dai termini indicati da Tolomeo, trovansi l’Islanda, la Norvegia e la Russia, oggi conosciute, e verso cui ogn’anno si spediscono vascelli, benchè il mondo sia così scempio da credere non si possa navigar per tutto, attesa la configurazione del globo».

Ecco le autorità, ecco il sunto delle cognizioni geografiche d’allora. Sul mappamondo di Behaim l’America non è indicata; ma essendo mal calcolate le generali dimensioni della terra, minore riesce il vuoto al posto di essa, in parte occupato dal continente asiatico, giacchè il Giappone sta a dugentottanta gradi, invece d’essere a cencinquanta. Per arrivare dunque dalle Azzorre in Asia per l’occidente non credeasi aver a percorrere che metà della strada vera.

Oltre ciò, in quello spazio son notate due terre, una verso il 330° [p. 171 modifica]di longitudine; nominata Antilia, sotto alla quale Behaim scrisse: — Il 734, quando Spagna fu sottomessa dagli Africani, l’Antilia fu popolata da un arcivescovo di Porto con altri sei vescovi e molti cristiani fuggiti di Spagna colle mandre e i beni». L’altra più grande, a mezza strada fra l’Asia e le Azzorre, porta scritto: — Il 563 dopo Cristo, san Brandano approdò con una nave in quest’isola, ove trovò meraviglie; e rimastovi sette anni, tornò».

Behaim fu tra quelli che disapprovavano il disegno di Colombo, insistendo perchè il Portogallo continuasse le ricerche ad ostro levante; ma alcuni di quei ribaldi che si chiamano politici, proposero al re Giovanni di tener a bada cotesto avventuriero, finchè si mandassero navi a verificare che cosa ne fosse. Colombo, indispettito dell’insidia, segretamente si partì dal Portogallo, rivide la patria [p. 172 modifica]Genova, e forse si esibì a questa, a Venezia, all’Inghilterra, recando attorno la febbre d’un gran pensiero, cui non trovava modo di ridurre ad effetto. E gli anni passavano, logoravasi il suo vigore, e nulla l’avvicinava all’adempimento delle sue speranze. Lo spirito d’associazione avrebbe potuto risparmiare a Colombo l’umiliazione de’ regj rifiuti; come ai dì nostri, ricusando il Governo inglese conceder navi al capitano Ross che aveva demeritato la confidenza nel suo primo viaggio, egli ne ottenne per soscrizioni, e potè sciogliere uno de’ più dibattuti problemi geografici, il passaggio polare al nord-ovest. Ma allora non era possibile effettuare una vasta impresa senza aver ricorso ai re, che oggi basta non la attraversino.

Tornò dunque Colombo in Ispagna (1485) a piedi col figlio Diego, e al convento di Santa Maria della Rabida, mezza lega presso il piccolo porto di Palos nell’Andalusia, chiese un tozzo di pane e un bever d’acqua. Il guardiano l’invitò a riposare, ed il priore Giovanni Perez de la Marchena, tocco dall’aria dignitosa, che contrastava col vestire dimesso dello sconosciuto, entrò in discorso con lui.

Quel frate era versato nella cosmografia di papa Pio, aveva acquistato le prime edizioni di Tolomeo e Strabone, che la stampa cominciava a diffondere pel mondo; e la vicinanza del porto di Palos, nominato in quel tempo per intrepidi marinaj, aveagli ispirato gusto per la navigazione. Colombo ricambiò quelle oneste accoglienze narrandogli le sue avventure.

— Giovanissimo ancora (egli favellò), io lasciai l’Università di Pavia, ove una secreta ispirazione della Provvidenza mi guidò verso lo studio della geografia, dell’astrologia e della nautica. Rapidi progressi avevo fatto nell’aritmetica, nella geometria, nella scrittura e nel disegno, e di quattordici anni servii come mozzo sopra un vascello genovese che incrociava nell’Adriatico. Compivo i ventisei, quando m’accadde d’essere spedito a Tunisi dal re Renato di Provenza per cogliere prigioniera la galera Ferdinandina. Giunto all’isola San Pietro in Sardegna, seppi che colla galera navigavano due vascelli ed una caracca; la qual cosa mise talmente sossopra i miei uomini, che pretendevano non dar più un colpo innanzi, ma tornar a Marsiglia a cercare un altro vascello e maggiori truppe. Non avendo io altro mezzo a frenarli, finsi arrendermi alla voglia loro, voltai la rosa della bussola, e feci forza di vele. Era la sera; all’alba seguente [p. 173 modifica]ci trovavamo all’altura di Cartagena, mentre tutti erano persuasi che veleggiassimo verso Marsiglia14.

«Da guerriero mutato in mercante, scorsi le isole della Grecia, dello Jonio, dell’Asia minore: messomi col famoso corsaro Colombo, lungheggiammo di conserva con sette navi la costa del Portogallo; avuto spia che quattro galere veneziane cariche a dovizia tornavano di Fiandra, le appostammo tra Lisbona e capo San Vincenzo. Qui seria mischia. Il bastimento da me comandato era alle prese con una enorme galea veneziana, e le granate vi misero il fuoco, ed essendo uncinati con catene e ramponi, l’incendio involse entrambi i legni. I marinaj spaventati si gettarono nell’acqua; io afferrai un remo, e guadagnai la riva, lontana due leghe.

«Pesto e lacero mi condussi a Lisbona, dove gli uomini di mare sono in credito; ond’io vi presi stanza. Dal padre di Felipa de Perestrello, madre di questo mio Diego, io ereditai tutte le carte, le mappe, i giornali de’ suoi viaggi. Benchè la guerra colla Spagna raffreddasse l’ardore delle scoperte sotto il regno d’Alfonso V, io sentiva ogni giorno parlar meraviglie della costa d’Africa, e scopo d’ogni mio voto era d’andare alle Indie per via di mare; studiai, meditai gli scritti de’ filosofi e geografi antichi, paragonandoli con quelli de’ gran savj e de’ navigatori odierni; lo Spirito Santo parlommi per bocca dei profeti, e mi saldò nell’idea d’arrivar alle Indie dalla banda d’occidente, per chiamare alla vera religione i popoli idolatri che abitano l’estremo dell’Asia.

«Quest’idea talmente mi prese, che si riproduceva nelle mappe ch’io disegnava per guadagnare il campamento della mia famiglia. Ne’ miei viaggi sulle coste della Guinea e alle Azzorre, quand’io stava a meditar solitario lungo il mare, la voce dell’onde accordavasi alla secreta voce dell’anima mia per parlarmi di questa nuova terra. Nel febbrajo 1477 navigai cento leghe oltre Tule (l’Islanda), la cui punta meridionale dista 73 gradi dall’equatore, e all’ovest dell’occidente di Tolomeo: il qual viaggio fece tentennare la mia fiducia ne’ geografi antichi; e le voci che circolavano d’una terra sconosciuta all’occidente, confermarono la mia idea. [p. 174 modifica]

«Impetrata udienza dal nuovo re Giovanni, gli chiesi vascelli per solcar dritto all’oriente e pervenire nelle Indie; egli rimise l’esame del mio concetto ad una commissione di abilissimi cosmografi, che trattarono le mie idee di stravaganti e chimeriche: e le passioni d’alcuni pochi vincendola sopra la carità cristiana, fu sagrificata la salute di tante migliaja d’anime a sordidi calcoli delle spese che cagionerebbe. I cortigiani avvelenarono la mia esistenza; passai per un impostore, un avventuriero; la perfidia e la viltà s’aggiunsero a queste nequizie; tanto che il re, troppo credulo a’ perversi suoi consiglieri, mi fece domandar le mie mappe e i miei piani, ed un altro fu mandato in vece mia per riscontrare la verità rivelatami da Dio. Ma il Signore non permise che il demonio aprisse così la via al suo santo vangelo, e scatenò i venti ed i marosi contro del messo infedele, che tornò a Lisbona versando beffe sopra di me.

Esacerbato da quella bassa speculazione sul mio segreto e sulla gloria mia, abbandonai Lisbona: e poichè Genova mia patria è troppo povera per tanta spedizione, risolsi rivolgermi alla Corte di Spagna. Que’ monarchi sono caldi della gloria di Dio, e Dio li compenserà dando loro tesori e popoli interi da avviare al cielo».

Il buon priore, iniziato di colpo a questi sublimi concepimenti, credette un fuoco divino lampeggiasse dagli occhi dell’ospite suo, nel mentre venia sviluppando i suoi concepimenti; nè contento d’una inefficace approvazione, volle cooperare alla vasta impresa. Diede a Colombo la sua benedizione e una lettera di vivissima raccomandazione per Fernando de Talavera, confessore della regina ed intimo suo.

Colombo lasciò il piccolo Diego alla Rabida sotto la custodia di Perez, mentre egli, pieno il cuore de’ suoi grandiosi destini, andò a Cordova il primo mese del 1486, quando appunto Fernando ed Isabella vi s’allestivano ad invadere il regno di Granata, ultimo rimasto agli Arabi in Ispagna.

Il momento era meno a proposito per proporre scoperte, e Talavera accolse come un sognatore questo straniero, semplice nel vestire, senz’altra raccomandazione che d’un frate francescano. Colombo ributtato, cercò nell’anima sua il coraggio, e col lavorare e vendere le sue mappe guadagnossi il vitto; qualche amico, quali Alonzo di Quintavilla controllore delle finanze, Luigi di Sant’Angelo ricevitore ecclesiastico nell’Aragona, monsignor Geraldini nunzio del papa, ed [p. 175 modifica]un costui fratello precettore degli infanti di Spagna, applaudirono a’ suoi concetti.

Questi veramente ai teologi davano ombra, quasi implicassero l’esistenza d’altri mondi e d’altri uomini, non designati dalla Genesi; ma il nunzio apostolico mostrò come non contraddicessero nè a sant’Agostino, nè a Nicolò da Lira, i quali non erano nè cosmografi nè navigatori. Superati gli scrupoli religiosi, il gran cardinale del regno Gonzales de Mendoza prestò orecchio volonteroso a Colombo, e il presentò ai re, come intitolavansi Fernando d’Aragona e Isabella di Castiglia.

Re Fernando, per esaminare la proposta, raccolse a Salamanca un consiglio d’astronomi e cosmografi in un convento di Domenicani. Colombo ragionò in un modo che farebbe ridere i moderni sapienti, in nome della santissima Trinità sottomettendo a que’ gran dotti un progetto ispiratogli dallo Spirito Santo. — Dio, per bocca del suo profeta, dichiarò che tutte le nazioni conosceranno il vangelo di Gesù Cristo, e che la sua voce potentissima risonerà agli ultimi confini della terra, Et in fines orbis terræ verba eorum. Pure una vasta regione dell’India, confinante col mar Atlantico, siede ancora nelle tenebre dell’idolatria e nelle ombre della morte. I tempi sono vicini alla loro pienezza. Il profeta Isaia fa intendere chiaramente che dalla Spagna deve partir la luce che splenderà sopra questi popoli, e al trono dell’Altissimo condurrà nazioni fin allora sconosciute. Le isole del mare aspettano il Signore, e tocca ai vascelli della Spagna a presentar innanzi agli altari suoi i figli delle terre australi, e l’oro e l’argento di lor miniere. Me enim insulæ expectant, et naves maris in principio; et adducam filios tuos de longe, argentum et aurum eorum cum eis.

«Da molti anni i re di Portogallo raddoppiano generosi sforzi per penetrare in quelle lontane contrade; e guidati da un’antica tradizione de’ Fenicj, mandarono flotte a tentar per via di mare il giro dell’Africa, e di giungere speditamente nelle Indie. Oggi, che il lusso è giunto al colmo, sicchè fin le donne di semplici artigiani vestono abiti di seta guerniti a oro e pietre fine, i Portoghesi vogliono disputare ai Veneziani il monopolio di quel ricco commercio, trasportare Ormus a Lisbona, e rendere questa città l’emporio di tutti i prodotti d’Oriente. Dio non ha coronato ancora le loro imprese, perchè non sono ispirate del santo suo nome.

«Da quarant’anni io scorro i mari frequentati dagli uomini: oggi [p. 176 modifica]aprendo una nuova strada, mi propongo di scandagliare i misteri dell’Oceano. Gerusalemme e il monte Sion devono essere rifabbricati di man d’un cristiano; l’imperatore del Catai domandò chi lo istruisse nella fede cristiana; chi si offrirà per questa missione? io mi offro a trasportarveli sani e salvi. Io chiedo alla Spagna navigli per andare nelle Indie dalla banda d’occidente»15.

Non mancò alcuno de’ più fervorosi teologanti, che si scandolezzasse perchè ad un’assemblea di prelati alcuno ardisse proporre un disegno, repugnante alle dottrine della Chiesa cattolica, e «Iddio disse, Io posai il cielo siccome una vôlta, io l’ho disteso come una tenda, ed inclinato sovra la terra; come osar proclamare l’esistenza di antipodi? Sant’Agostino, fiaccola della fede nostra, decide che tale esistenza è antipatica colla nostra credenza, poichè il pretendere che v’abbia terre abitate sull’altra faccia del globo, sarebbe un dire che v’ha nazioni non discendenti da Adamo, essendo impossibile che abbiano passato l’oceano frapposto. Havvi cosa più assurda (esclama Firmiano Lattanzio) che il credere v’abbia gente coi piedi opposti ai piedi nostri? gente che va colle gambe in alto e la testa in giù? che v’abbia una parte del mondo ove ogni cosa è al rovescio, ove gli alberi spingono i rami dall’alto al basso, mentre piove, nevica, tempesta dal basso in alto? L’idea della rotondità della terra fu il germe di questa favola degli antipodi. Il santo Cosma, monaco e cosmografo d’Alessandria, appoggiato al testo proprio della Bibbia, dimostra che la terra è quadrata come l’arca del Testamento, che in mezzo all’oceano Iddio sollevò una muraglia immensa d’adamante, dietro della quale il sole, dopo aver percorsa la vòlta de’ cieli, termina la sua carriera all’occidente, e fa il giro del polo per ripigliare al dimani la sua corsa dall’oriente. Alquanto prima di questa muraglia v’ha una terra, ma inaccessibile, nè piede umano può stamparvi orma oggidì: e noi vorremmo tentar Dio col provarci di riconoscerla? La proposizione che ci fu sottomessa, non può riguardarsi se non come ereticale. Major est scripturæ auctoritas, quam omnis immani ingenii capacitas».

Anche alcuni versati nelle scienze, e che ammetteano la sfericità della terra, gli objettarono con Cicerone e Plinio, che «della zona temperata australe e de’ suoi abitanti, e di quelli che si chiamano [p. 177 modifica]antipodi, noi non abbiamo veruna conoscenza nè relazione, e che ignoriamo se sia abitata o no; la linea che percorre il sole fra i due tropici, è la sola che ci lasci congetturare della sua esistenza. Ma gli antipodi sono per noi come non esistessero. Perocchè di cinque zone, le due polari non producono che ghiacci, e perpetue v’abitano nebbie e tenebre, e solo il riflesso delle nevi vi produce un chiarore biancastro; la zona di mezzo è infocata dal sole: onde impossibile il passar da una zona temperata all’altra. Perciò quando i Portoghesi, regnante Alfonso, ebbero varcato il fiume del Senegal, con grande spavento videro la specie umana presentarsi loro sotto forma inusata; pelle nera come ebano, capelli corti e crespi, labbra arrovesciate, naso simo. Colà il calore deforma la natura umana, più lungi la consuma; onde questi arditi navigatori diedero la volta indietro. Che se voi, non facendo che veleggiare a ponente, non discendeste in queste regioni cocenti, la circonferenza della terra è così ampia che non vi basteranno tre anni a girarla; oltrechè ad una certa distanza la figura convessa della terra vi permetterebbe bene di discendere, ma non più mai di risalire. E poi, chi vi garantisce che l’oceano non abbia confini, o che non troviate gli abissi suoi popolati da mostri?»

A tali objezioni tratte dalla natura delle cose, Colombo avrà respirato, potendo opporvi altre ragioni: — Le ultime scoperte de’ Portoghesi hanno abbattuta questa vecchia teorica delle zone; io stesso oltrepassai l’equatore, e sotto alla zona torrida ho trovato una fertile terra, i cui abitanti raccolgono oro a dovizia, gomme, avorio, altre produzioni d’un clima caldo sì ma gradevole. Alcuni anni fa (1486) Bartolomeo Diaz oltrepassò di 33 gradi la linea, e riconobbe l’estremo dell’Africa, quel formidabile Capo Tempestoso, che re Giovanni, confidente nell’avvenire, intitolò di Buona Speranza. E poichè, malgrado la rotondità della terra, si può traversare lo spazio immenso che separa Tule dal capo Nero, e la potenza stessa, la quale fa passeggiare sulla faccia del globo i Britanni e i Negri d’Africa, dà pure agli Indiani l’uso de’ loro piedi, io nutro fiducia che, traversando il mare che ci separa dall’India, Iddio non avrà capovolte le leggi da lui imposte alla natura».

Le nozioni devote rinfrancava dunque con ragioni scientifiche, talchè i radunati compresero ch’egli era qualcosa meglio che un visionario. Ma, oltre che alla boria patriotica e scientifica repugnava che un oscuro [p. 178 modifica]uomo della Liguria potesse scoprire ciò che per tanti secoli e a tanti grandi era rimasto ignoto, gli spiriti non erano maturi a segno da comprenderlo; e d’altra parte la recente memoria dell’inganno di Lisbona rendeva Colombo pauroso che altri non tentasse ancora rapirgli la gloria; laonde nello sviluppare le sue proposizioni le velava ad arte16. Fatto è che al fine il consiglio pronunziò contro di lui.

Ciò null’ostante egli continuò a vivere alla Corte; le spese de’ suoi viaggi erano sovente pagate dal tesoro regio: ma gli anni passavano pieni di strepitosi avvenimenti politici, quali la presa di Malaga, la peste di Córdova, l’assedio di Siviglia, l’ordinamento delle nuove conquiste, per cui la Spagna restava redenta dalla servitù dei Mori.

Oltre le beffe del vulgo, che, quando passava, gli gridavano dietro el loco, el loco, cioè il matto, non mancavano a Colombo i sarcasmi di quegli abjettissimi grandi, che modellano il pensare o il sentire su quello de’ principi. I sussidj che riceveva erano troppo mortificanti per chi sentivasi capace d’arricchire i maggiori monarchi. Nel 88 il re di Portogallo cercò rappattumarsi con Colombo, e per lettera l’incalzò a tornare alla sua Corte; ma l’illustre avventuriero ulcerato ricusò. Bensì nel 1489 spediva in Inghilterra suo fratello Bartolomeo per tentare il re Enrico VII; e n’ebbe buone parole17.

A trattenerlo in Ispagna valeva un’altra ragione; l’amore. Era egli alto di statura e ben formato; portamento noblle ed elevato; naso aquilino, viso lungo, la cui tinta vivace pareva indicare l’ardore del suo cervello; i capelli, di color chiaro in gioventù, s’erano brizzolati prima del tempo fra le inquietudini di un’ambizione troppo spesso delusa; ma il suo sguardo pien di passione, il favellare che agitava tutte le fibre del cuore, aveano colpito la signora Beatrice Enriquez, nobile dama cordovana, e sebbene il matrimonio non avesse [p. 179 modifica]sanzionata la loro unione, diede a Colombo un secondo figliuolo, Fernando.

Intanto Cristoforo combattea tra le file degli Spagnuoli contro i Mori di Granata, dando prove del valor segnalato che accoppiava alla dottrina ed alla vasta intelligenza. (Oviedo).

Queste guerre contro i Mori, e l’avviso da due frati recato di Terrasanta, che il soldano volesse sui Cristiani vendicar i Maomettani di Spagna, infervoravano Colombo a divenire sterminatore dell’islam, attingendo dalla scoperta delle Indie le ricchezze necessarie alla magnanima impresa, e convertire i sudditi del Gran Kan, che dai missionarj erano dipinti come avidissimi di predicazione.

Ed esserne certo! e compir già cinquantacinque anni! e trovarsi nell’intradue di vivere immortale, o morire da scimunito visionario! Che lotta per un’anima robusta! Quante volte dovette diffidar del mondo e di sè stesso, e bestemmiare quest’umana razza, così pronta ad avventarsi al suo peggio, così restìa all’utile e al vero! Che altro potea sostenerlo se non la fede in quel Dio, da cui riconosceva la sua ispirazione, e da cui ne confidava l’adempimento?

Si volse ad un potente feudatario della corona di Castiglia, il nobile e ricco duca di Medina-Sidonia, che abbagliato sulle prime dallo splendor dell’impresa, dappoi la respinse come la frenesia d’un italiano sognatore. Anche il duca di Medina-Cœli, che benevola ospitalità aveagli dato ne’ giorni di sue angustie, trovò quel progetto troppo vasto per un suddito, ma gli promise dargli spalla alla Corte d’Isabella. Colombo s’indispetti di passare così di ripulsa in ripulsa; e deciso di compiere la missione da Dio rivelatagli, risolse di passar in Francia per regalare a Carlo VIII un mondo che i sovrani di Spagna rifiutavano.

Giovanni Perez lo rivide allora al convento della Rabida, ove veniva a ridomandargli il figliuol suo Diego, e ringraziarlo con uno sfogo del suo cuore, unica ricompensa ch’e’ potesse dargli della nobile e generosa amistanza. Il buon priore ne pianse, e lo pregò di non affrettarsi a rapir alla Spagna la più insigne conquista; montato sulla sua mula, comparve alla Corte, ottenne un’udienza dalla regina Isabella, e perorò la causa dell’amico suo con ardore e unzione evangelica. Isabella con elmo e corazza combatteva allora nella Vega; e capace di posporre i calcoli all’entusiasmo, ascoltò nell’improvvisata città di Santa Fede il frate e il Genovese che la supplicavano d’accettar [p. 180 modifica]il dono d’un nuovo mondo. Ivi Cristoforo vide rovinare l’estremo e più splendido ricovero dei Musulmani di Spagna; l’ultimo de’ re Mori deporre la corona ai piedi di Fernando e Isabella; Granata aprire le porte agli Spagnuoli vittoriosi; i colori di Castiglia e d’Aragona sventolare accoppiati dalle torri d’Alhambra.

«Tristo e scoraggiato in mezzo all’allegrezza universale, Colombo osservava con indifferenza e direi dispregio un trionfo che tutti i cuori colmava di gioja»18: ma quel trionfo lasciava campo e dava baldanza di pensare a’ suoi progetti, onde si cominciò a trattar seriamente con esso, e librare i patti che proponeva.

Alla boria spagnuola sapeva di strano che quest’oscuro italiano chiedesse patente di nobiltà e i titoli d’ammiraglio e vicerè de’ paesi a scoprirsi, quasi al genio fosse colpa aspirare ad onori che il caso solo della nascita dee dare; e gliene fecero rifiuto; ond’egli partì per la Francia al cominciar del febbrajo 1492.

A quest’estrema risoluzione tutti gli amici di Colombo si svegliarono; il ministro Luigi Sant’Angelo corse alla regina, e coll’entusiasmo eccitò quello di lei. La marchesa di Moja favorita di essa la esaltò collo stuzzicarne la gelosia, mostrando che, se Carlo VIII accettasse, tanta potenza, tanta gloria, tutti i tesori dell’India sarebbero della Francia. Fernando restava impassibile, ma Isabella vi si decise, e — Io assumo l’impresa per la mia corona di Castiglia».

Chiarita che due navi e trecento mila corone basterebbero, e che Colombo concorrerebbe ad un ottavo della spesa purchè gli si promettesse un ottavo dei vantaggi, la regina offriva le proprie gioje in pegno per raccorre quella somma; se non che gliela anticipò il ministro Sant’Angelo.

Quel desso, che dianzi fin i camerieri svillaneggiavano, ricomparve alla Corte, careggiato, onorato; plebi e cortigiani, razza imbecille o perversa, erano stati tramutati dal sorriso de’ sovrani. Nella cui intimità ammesso, Colombo sovente infiammolli al fuoco di sua immaginazione, trasportandoli a traverso i mari, aggirandoli in mezzo alle città dalle mura d’oro e dalle bastite d’argento, di cui Marco Polo semina il regno di Mangi; infervorando la lor fede col proporre d’usar quelle ricchezze a liberare il gran sepolcro di Cristo. Finalmente il 17 aprile 1492, il secretario di Stato presentò da firmare alle loro maestà la convenzione seguente: [p. 181 modifica]

«Che Colombo vita durante, e i suoi eredi e successori in perpetuo eserciterebbero le funzioni d’ammiraglio in tutte le terre e continenti che avesse scoperti o acquistati nell’Oceano, cogli onori medesimi e le prerogative del grand’almirante di Castiglia nella propria giurisdizione;

«Egli sarebbe vicerè e governatore generale di tutte le suddette terre e continenti, col privilegio di nominare a governo di ciascun’isola o provincia tre candidati, uno dei quali a scelta di Fernando e Isabella;

«Avrebbe diritto a un decimo di tutte le perle, pietre preziose, oro, argento, spezierie, derrate e merci qualunque, rinvenute, comprate, barattate, ovvero ottenute nei limiti della sua giurisdizione, prededotte le spese;

«Colombo, o il suo luogotenente, sarebbe unico giudice di tutte le quistioni o controversie che potessero sorgere in fatto di commercio tra i paesi scoperti e la Spagna, purchè il grand’almirante di Castiglia avesse il medesimo privilegio nella sua giurisdizione;

«Gli sarebbe permesso, allora e in ogni tempo, di concorrere per un’ottava parte nelle spese dell’armamento, e in ricambio aver l’ottavo dei vantaggi;

«Egli e i suoi eredi sono autorizzati a portare il titolo di don».

Appena fu conosciuto a Palos lo scopo della spedizione, i marinaj, genìa permalosa e brontolona, cominciarono a nicchiare; e le donne gli irritavano, e lanciavano sassate agli operaj che allestivano le caravelle. — Come! per saziare un’odiosa vendetta, il re pretende gettare i mariti e fratelli nostri in pascolo ai mostri dell’Oceano? E che cosa pretende cotesto straniero? La vita dei nostri cari non monta a lui, purchè egli s’acquisti un nome».

Invano ogni dì il Governo mandava nuovi ordini alle autorità della provincia; i mercanti ricusavano i viveri e le munizioni; legnajuoli e calafatti scappavano se si pretendeva costringerli a lavorare a queste navi, destinate ad una orribile perdizione. Ma il santo carattere del priore Perez mitigò gli iracondi; determinò un ricco ed intrepido navigante Martino Alonzo Pinzon a gittarsi in quest’impresa; tanto che, presi gli opportuni concerti con Colombo, preparò il terzo legno. Quest’armamento, ottenuto a sì gran pena, costò solo trecentomila franchi; e così si ebbero la Santa Maria, la Pinta, la Nina, navi di costruzione leggera, scoperte e senza ponte fuor che una, [p. 182 modifica]mal attrezzate, mal calafatte, altissime a poppa e prora, con capannoni per l’equipaggio: e ch’è peggio, fra i novanta uomini che lo componeano, forse solo dieci servivano di buon grado, il resto della ciurma non obbediva che per timore, e credevasi condotta a certa morte. Colombo, confessato e comunicato, fra gli scherzi e la compassione de’ cittadini salpava per la più grande impresa il 3 agosto 1492.

Da quell’istante egli cominciò un giornale, mirabile rivelazione de’ patimenti e della grandezza di lui, delle inesprimibili gioje e dei desolanti scoraggiamenti che s’avvicendano negli operatori di magnanime imprese.

Perocchè, come in tutti i grandi, in Colombo era l’uomo del suo secolo che ne assorbì l’idee e gli errori, e una potente individualità che lo eleva a gran pezza sopra i contemporanei. Alle nozioni scarse, disordinate e fallaci della scienza d’allora, accoppia uno spirito d’osservazione minuto, che non ne impaccia i larghissimi divisamenti. Acutissimo nell’avvertire ogni fenomeno della natura, sebbene non addottrinato quanto bastasse per darne la vera spiegazione; alla sua sagacia nessuna sfugge delle apparenze d’un mondo e d’un cielo nuovo, e ravvicina i fatti, cercandone le mutue relazioni. Primo avvertì la deviazione dell’ago magnetico; avanti Pigafetta conobbe il modo di trovare le longitudini mediante la differenza dell’ascensione diritta degli astri; notò la direzione delle correnti, l’aggruppamento delle piante marine che determinano una gran divisione de’ climi dell’Oceano; il cangiarsi di temperature non solo colle distanze dall’equatore, ma colla differenza de’ meridiani; nè trascurò geologici appunti sulla forma delle terre e sulle cause che la producono.

Tali e più altre riflessioni appajono dal giornale e dalle lettere sue, e al fondo di tutto un vivo sentimento religioso, che gli fa credere e rivelazioni e visioni, e porre supremo scopo di sua impiesa l’annichilamento dell’islam, la conversione de’ sudditi del Gran Kan, la riedificazione di Gerusalemme e del monte Sion; pietosi entusiasmi, che contrastano colla semplicità delle relazioni sue, così discoste dall’enfasi affettata del Vespucci e degli altri viaggiatori.

Tale ce lo ha trasmesso Las Casas, e noi ne estrarremo qualche parte che serva a far conoscere il nostro eroe19. [p. 183 modifica]

«In nomine Domini Nostri Jesu Christi.

«Cristianissimi, altissimi, eccellentissimi e potentissimi principi, re e regina delle Spagne e delle isole del mare, nostri sovrani.

«Nel 1492, dopo messo fine alla guerra contro i Mori, in conseguenza de’ ragguagli forniti alle Vostre Altezze sulle terre dell’India e sopra il Gran Kan, che in nostra favella vuol dire re dei re, e come molte volte esso e i suoi predecessori avessero spedito a Roma per dimandare maestri di nostra santa fede, e che il santo Padre non aveva a ciò provveduto, e tanti popoli stavano addormentati nell’idolatria, e professavano dottrine di perdizione; le Vostre Altezze, come principi cattolici, propagatori di nostra santa fede e nemici della sètta di Maometto, hanno deciso d’inviar me, Cristoforo Colombo, nelle contrade dell’India per vedere quei principi, il paese e gli abitanti, esaminarne la natura e il carattere, e trovar modi per convertirli alla nostra santa religione; ed hanno ordinato che io non andassi per terra in Oriente come è uso, ma per mare volgendomi dritto a ponente, strada che, sino ad ora, non sappiamo che alcuno abbia seguita. Le Altezze Vostre, dopo cacciati tutti i Giudei dai loro regni, mi hanno comandato, nello stesso mese di gennajo, di trasferirmi con convenevole armamento nelle suddette parti dell’India, e m’hanno a tale effetto conferiti grandi favori, nobilitandomi sì che per l’avvenire io possa chiamarmi don; nominandomi grand’ammiraglio dell’Oceano, vicerè e governatore di tutte le isole e continenti che io scoprirei, e che poi potessero venire scoperti nell’Oceano, volendo che il mio figlio maggiore a me succedesse, e così di generazione in generazione in perpetuo. Io partii in conseguenza da Granata il sabbato 12 maggio per trasferirmi a Palos, dove armai tre navi capaci per questo ufficio, e il venerdì 3 agosto, mezz’ora innanzi il sorgere del sole, levai l’áncora, avendo a bordo viveri in abbondanza, e buon numero di marinaj, [p. 184 modifica]e mi diressi verso le isole Canarie, per navigare di là a ponente finchè giunga all’India, e possa riferire l’ambasciata di Vostre Altezze ai principi di quelle contrade, e complire secondo mi avete imposto. A tale effetto, io mi propongo scrivere esattissimamente tutto quanto mi accadrà di fare, vedere provare; fare una carta, ove noterò le acque e le terre del Grande Oceano, nelle loro posizioni esatte e relative; e v’aggiungerò una descrizione in iscritto, segnando la latitudine equinoziale, e la longitudine occidentale. Pertanto dovrò dimenticar il dormire, e rimanermi tutt’attento alla navigazione.

«3 agosto 1492. Alle otto di mattina uscimmo dal banco di Saltes, e girammo al sud.

«6 agosto. Il timone della caravella Pinta si ruppe; temono sia fatto apposta da Gomez Rascon per suggestione del proprietario della caravella; prima di partire furono veduti insieme a mulinare. I marinaj ne traggono cattivo presagio e mormorano.

«9 agosto. Fermata a Gomera per riparar le navi. La vampa e il fumo del vulcano delle Teneriffe spaventano l’equipaggio; Colombo lo informa del fenomeno. Molti Spagnuoli dell’isola del Ferro lo assicurano che ogni anno essi discernono una terra all’ovest, di che la ciurma piglia coraggio.

«6 settembre. Partenza da Gomera.

«9 settembre. L’ammiraglio si decide a dire minore del vero il cammino fatto, affinchè i suoi uomini non si scoraggino.

«13 settembre. Egli s’accorge che l’ago devia all’ovest; tiene in sè questo terribile secreto, e raddoppia d’attenzione.

«16 settembre. Al vedere di alghe coperti i mari de’ tropici, la ciurma crede vicina la terra; ma calcolo secondo le mie carte che la terra ferma è più lontana.

«17 settembre. Quest’oggi vogammo sopra un mare tutto coperto d’erbe, e l’acqua mi parve sì densa, che credetti fosse bassa, e temei che i bastimenti dessero in secco. I piloti impallidirono accorgendosi della deviazione della bussola, giacchè l’ago inclinava dodici gradi ad occidente. L’equipaggio cadde in cupo abbattimento, credendo ad ora ad ora veder realizzate le spaventose favole ond’erano stati minacciati. Ma l’incontro d’un branco di tonina lo ravvivò.

«22 settembre. Vento d’ovest. Il vento contrario mi fu opportunissimo, perchè la mia gente era tutta sossopra; mormoravano della [p. 185 modifica]lunghezza del viaggio, pensando che in questi mari non soffiassero mai venti per tornare nella Spagna.

«23 settembre. L’equipaggio torna sui lamenti, teme mancar di vento pel ritorno, ma tutt’a un tratto il mare ingrossa senza che tiri aria, e i lamenti s’acquetano. Così il mar grosso mi fu di grande ajuto; cosa non mai più avvenuta dai Giudei in poi».

Ai 25 settembre, l’ammiraglio ragiona con Alonzo Pinzon a proposito della carta di Toscanelli, che situava la terra, a un bel circa, al posto ov’eglino si trovavano; poi Pinzon salito sulla gabbia, grida: Terra! Terra! Un urlo di gioja risonò; Colombo gettossi ginocchione a ringraziar Dio; ma un raggio di sole dissipò questa terra fantastica, disegnata dalla nebbia all’orizzonte.

A queste profonde persuasioni, alla pertinacia del voler riuscire non partecipavano i naviganti. Tutto ad essi parea nuovo e strano; pericolose le correnti, di sgomento il vulcano e le immense calme tropicali e le isole natanti di verzura (varec): lo stesso propizio vento di est li facea temere non spirasse incessante, in modo da più non consentire il ritorno. Pertanto Colombo dovea con ragioni, con astuzie, con severità vincerne la reluttanza, e principalmente colla risolutezza a filar dritto a ponente, per quanti fenomeni l’allettassero a cercar terre a dritta o a sinistra. Intanto il tempo procedeva; e sebbene Colombo quand’erano a settecentosette leghe dalle Canarie, ne annunziasse solo cinquecensettantotto, sentivano immenso lo spazio: incidenti che tratto tratto prometteano terra, svanivano; l’illusione di nubi credute isole raddoppiava l’amarezza col disinganno; il vagheggiato Cipango non compariva che sulla carta, continuamente additata da Colombo; le settecencinquanta leghe ch’esso calcolava per arrivarvi erano trascorse, eppure il sole tramontava sopra un orizzonte senza riva.

La vulgata storiella della sollevazione contro Colombo, della minaccia di buttarlo in mare, della promessa sua di dar volta se non si scoprisse terra in un dato termine, non sono fondate che su verosimiglianze e sull’asserzione di Oviedo: ma Colombo, nel giornale sotto il 10 ottobre, scrive che a’marinaj rispose: — I vostri lamenti nè fanno nè filano. Io mi son mosso per andare alle Indie, e intendo tirar innanzi finchè, coll’ajuto del Signore, non le abbia trovate».

L’11 ottobre tutto annunzia l’avvicinar della terra, un giunco verde, una canna, un bastone lavorato, un’assicella. Alle dieci di [p. 186 modifica]sera Colombo essendo sul casserore, vide un chiarore, alquanto disotto dell’orizzonte, ma traverso un tal bujo che non osò affermare fosse terra. Distinse poi molte altre volte come una face, che s’alzasse ed abbassasse colle onde. A mezzanotte, quando i marinaj si radunarono per cantare la Salve Regina, l’ammiraglio, persuaso d’esser vicino a terra, raccomandò loro tenessero ben d’occhi, promettendo una giubba di seta a chi prima dicesse Eccola là. Tiravano a ponente; la Pinta procedeva secondo il solito; alle due di mattina Rodrigo Triana alzò il grido convenuto, e una cannonata annunciò la fausta novella alla piccola squadra; onde misero in penna aspettando il giorno: Terra, terra, si gridava di bocca in bocca. La gioja tutta materiale della ciurma per aver salva la vita e trovato il paese delle spezie, che ha mai a fare coll’intenso tripudio di Colombo, il quale sentiva compiuto il disegno di trent’anni, mutati in applauso i sarcasmi, aperto un nuovo mondo, coronata metà della vita, e nuove gloriose fatiche preparate all’altra metà? Sono di quei momenti che il genio solo conosce, e uno basta a compensar un’intera vita di abnegazioni e di patimenti.

Il sole del 12 ottobre scintillò sopra l’isola più bella, da’ cui boschi, lussureggianti d’un verde sconosciuto, ecco sbucar frotte d’uomini nudi e maravigliati. Gittate al mare le scialuppe, in ricco addobbo e collo stendardo reale Colombo sbarca; e beato d’un’aria balsamica, d’una robusta vegetazione, ma più di una contentezza che il vulgo non intende, prostrasi a terra ringraziando Iddio, e prende solennemente possesso del paese.

I natii nulla comprendeano di queste cerimonie, ma semplici e queti s’accostavano a guardare, a toccare; oggetto anch’essi di non minor meraviglia ai nostri. «Affinchè (scrive Colombo nel giornale sotto il 15 ottobre), affinchè ci trattassero amichevolmente, e perchè conobbi ci si darebbero in balìa e convertirebbonsi alla nostra santa fede più per dolcezza e persuasione che per violenza, donai a certuni de’ berretti coloriti e perline di vetro che adattavano al collo, e altri gingilli, che a loro cagionarono una letizia da non dire, e in modo meraviglioso ce li conciliavano. Veniano a nuoto nelle scialuppe nostre, portandoci papagalli, filo di cotone in gomitoli, zagaglie e altre cose, e le cambiavano con chicchi di vetro, sonaglini, insomma con quanto loro offrivasi, dando volentierissimo ciò che possedevano. A tutti i segni mi parver gente molto povera. Uomini e donne vanno [p. 187 modifica]ignudi nati; e di quanti io vidi, nessuno passava i trent’anni. Ben conformati, bel corpo, graziosa fìsonomia; capelli come crini di cavalli, corti e cadenti sulle ciglia; dietro lasciavano una lunga ciocca intonsa. Di tinta erano come gli abitanti delle Canarie, tra il nero e il bianco: ma dipingevansi alcuni di bianco, altri di rosso, o di qualunque colore trovassero; certuni soltanto in faccia, altri tutto il corpo; questi gli occhi, quelli il naso. Non portavano armi nè conoscevanle, e quando mostrai loro delle sciabole, essi, prendendole dal filo, per ignoranza tagliavansi. Non usano ferro: le loro zagaglie sono bastoni, su alcuni dei quali sta infisso un dente di pesce, o un corpo duro qualsiasi. Generalmente hanno bella statura e graziosi movimenti. Ne vidi alcuni, che aveano sul corpo diverse cicatrici, e richiesi col gesto qual ne fosse la cagione: mi fecero comprendere che nella loro isola veniano bande dalle isole vicine per farli prigioni, laonde difendevansi: e credetti, e credo ancora, che siffatti nemici venissero dalla terra ferma. Devono essere eccellenti servi e di buon carattere. Mi accôrsi che ripetevano prontamente tutto ciò che io loro diceva: e credo senza difficoltà si farebbero cristiani, poichè parmi non appartengano ad alcuna setta. Se piace al Signore nostro, al mio ritorno ne condurrò sei alle Vostre Altezze, affinchè imparino a parlare. Non ho veduto in quest’isola altra specie d’animali, che alcuni pappagalli.

«Vennero al mio vascello in piroghe fatte di un sol tronco, come lunghe lancie, e lavorate maravigliosamente per questo paese; alcune contenevano fin quaranta e quarantacinque uomini, altre più piccole, e in alcune non vi capiva che un sol uomo. Il remo è simile a una pala di forno; e se alcuna di esse capovolta, tutti si gettano a nuoto, la rimettano a galla, e con zucche che han seco la vuotano dell’acqua.

«Mi premeva di conoscere se possedessero oro. Alcuni ne portavano un pezzetto infilzato in un foro che si fanno nel naso; e giunsi per segni a sapere che, girando la loro isola e navigando a mezzodì, troverei un paese, il cui re aveva grandi vasi d’oro e quantità di questo metallo. Cercai indurli a guidarmi in quella contrada, ma compresi il loro rifiuto; onde feci proponimento d’aspettare il posdomani, e partir quindi alla bass’ora verso libeccio, ove, secondo i loro indizj, tanto a mezzogiorno che a maestrale esisteva una terra; e gli abitanti della contrada in quest’ultima direzione spesso venivano a combatterli, e andavano essi pure a libeccio in cerca d’oro e gemme preziose. [p. 188 modifica]

«Quest’isola è molto grande e piana, vestita di freschissimi alberi; molta acqua, vastissimo lago in mezzo, nessuna montagna; è si verde, che fa piacere a guardarla, e gli abitanti sono dolcissimi. Avidi degli oggetti che abbiamo, e persuasi di non ottenere da noi alcuna cosa se non hanno da contraccambiarci, rubano se gli vien fatto, e sguizzano via a nuoto. Ma tutto ciò che hanno, per la minima cosa che loro si offra, lo donano; fin per cocci di scodelle e rottami di vetro; ho veduto per tre quattrini dar sedici gomitoli di venticinque o trenta libbre di cotone filato. Proibii i baratti del cotone, e non permisi ad alcuno di prenderne20, riserbandomi d’acquistarlo tutto per le Vostre Altezze, se ve ne fosse in quantità. È questo uno dei prodotti dell’isola; ma il breve tempo che io voglio rimanerci non mi permette di riconoscerli tutti. L’oro che tengono sospeso alle narici, pur ivi si trova; ma non ne fo cercare per non perdere il mio tempo, volendo raggiungere l’isola di Cipango».

Il paese era chiamato Guanahami21, e Colombo l’intitolò San Salvadore; una delle Lucaje, circondata dalle innumerevoli altre del banco di Bahama, che Colombo credea le 7488 isole indicate da Marco Polo. Tra quelle navigò egli, preso sempre da nuove meraviglie, sempre cercando indizj di Cipango, e vive gioje dovettero compensarlo de’ lunghi affanni. Gli Indiani gli parlarono di Cuba-kan, che voleva dire una gente dell’interno; ma egli, pieno il capo di Marco Polo, confonde queste tribù con Cublai-Kan. «Certo quest’è la terra ferma, ed io sono davanti a Zayto e Quinsay, lontano circa cento leghe dall’una o dall’altra di queste metropoli». Las Casas, poco pratico della geografia di Marco Polo, riferendo questa frase, soggiunse: — Io non capisco acca di questo gergo». [p. 189 modifica]

«21 e 26 ottobre. Prima d’andare alla città di Quinsay sulla terra ferma per consegnare al Gran Kan le lettere delle Altezze Vostre, io vado alla grand’isola di Cuba, ove i miei Indiani dicono che si fa commercio sterminato, che v’ha in abbondanza oro, perle, spezie, grandi navi e mercanti. Cose meravigliose contano di Cipango, e sulle mappe da me vedute ella è situata appunto in questi contorni».

E Cipango credette Cuba, anch’essa pomposa di lussuriante vegetazione, di fiori e frutti e uccelli sgargianti di fulgidi colori. — Io non ho visto mai sì magnifiche cose; le rive del fiume sono un paradiso, ch’io non me ne so spiccare. Non so donde m’abbia a cominciare il mio giro; gli occhi miei non si saziano de’ nuovi alberi; i fiori della spiaggia ne tramandano un olezzo così giocondo e soave, che nulla potrebbe meglio deliziare l’olfato» (17 e 19 ottobre). Così dimenticando per un istante i suoi sogni d’oro, s’inebria delle bellezze della natura e incantato esclama come il pastor di Virgilio: «Vi si potrebbe consumar la vita». Allo spettacolo del giorno succedevano le notti, così magnifiche sotto i tropici, ove scintillano senza ingombro le stelle sovra gli olezzanti boschetti in perpetua serenità. E dappertutto Colombo vedeva l’India, e le spezie e l’oro; e i nomi indicati dai selvaggi strascinava a corrispondere a quelli riferiti dai viaggiatori. Lo strano è che nessuna cosa valse a disingannare Colombo, il quale fino alla morte s’ostinò a credere d’esser nelle Indie.

Il 2 novembre manda uomini esperti per consegnare le sue credenziali a questo re immaginario: ma i messaggieri tornando riferiscono non aver nulla incontrato che somigliasse alla capitale d’un vasto impero. Avevano trovato molti abitanti, che tutti usavano certe erbe secche, chiuse entro una foglia pur secca, che accendevano da un’estremità, e dall’altra, messa in bocca, aspiravano il fumo e le chiamavano tabocos. Erano i sigari.

— Io spero, la Dio grazia, che le Vostre Altezze si risolveranno presto a mandar qui persone devote o religiose per riunire alla Chiesa sì vaste popolazioni, e che le convertiranno alla fede al modo stesso onde distrussero quelli che non volevano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

21 novembre. Era opinione de’ fisici che i paesi più caldi generassero i metalli più preziosi; onde dal vivo calore provato alla punta meridionale dell’isola di Cuba egli induce che deva esservi l’oro a pale nel paese da lui percorso. [p. 190 modifica]

11 dicembre. Gli Indiani faceano mostruosi racconti intorno ai Cannibali. — Io dico e ripeto che can-iba altro non vuol dire che popolo del Gran Kan, i cui Stati devono esser vicinissimi di qui. Esso monarca ha senza fallo vascelli in cui i sudditi suoi vanno in corso per caturare gl’Indiani delle isole; e perchè non ritornano, i loro compatrioti s’immaginano che abbianli mangiati».

Le città però e le Corti ch’egli s’era promesso non comparivano, non una civiltà bizzarra e doviziosa, bensì un’ingenuità primitiva, scarsa di bisogni e di capricci. Fra l’altre scoperse Haiti, una delle più belle isole del mondo, e destinata ad essere delle più infelici. Buoni e ospitalissimi, quegli abitanti accolsero cordialmente Colombo, e l’ajutarono a fabbricare una fortezza che chiamò la Spagnuola (Ispaniola). Sventurati! nè tampoco dubitavano che questi uomini di ferro cancellerebbero a poco andare la razza loro di sotto il sole. Allorchè i vecchi stessi in tripudio di gioja chiamavano ad alte grida i loro compatrioti, dicendo, — Venite a vedere uomini discesi dal cielo! portate loro da mangiare e da bere!» il più illustre, il più umano fra questi figli del sole firmava il loro decreto di morte, scrivendo a’ suoi sovrani: — Se le Altezze Vostre ordinassero di prenderli tutti e tenerli prigionieri nella loro isola stessa, nulla di più agevole» (12 e 14 ottobre).

Intanto una nave s’era rotta; Alonzo Pinzon colla sua era disertato, nè se n’avea contezza; onde, lasciativi alcuni, allettati da quel dolce vivere e dalle facili belle, Colombo volse al ritorno.

— Gli uomini ch’io lascio qui, possederanno al mio ritorno una tonnellata d’oro, guadagnato per via di cambj, ed avranno scoperto la miniera e le droghe. Il re e la regina potranno prima di tre anni allestir la conquista di Terrasanta, poichè io ho palesato alle Altezze Vostre il desiderio di veder i frutti della mia impresa impiegati a liberare Gerusalemme. Le Vostre Altezze ne arrisero, e dissero che ciò andava loro a grado, e che anche senza questo n’aveano gran voglia».

Ultimo anelito dello spirito religioso ispirato dalle crociate.

Ridotto a un solo legno, Cristoforo si rimbarcò, e menando seco pochi naturali, si volse al ritorno. Il vento spirò contrario e variato; poi fiera tempesta per quindici giorni minacciò di sommergere la scoperta. Qual ansia per Colombo, allorchè, conseguito lo scopo di tutta la sua vita, sul punto di recare all’Europa un nuovo mondo, [p. 191 modifica]agli emuli la più segnalata confutazione, a’ suoi benevoli la giustificazione della riuscita, vedeasi vicino a soccombere, senza lasciar di sè che la fama d’un temerario, perito in traccia di sogni! Un pensiero religioso lo sosteneva: — Possibil mai che nostro Signore permetta che le grandi notizie ch’io reco periscano con me?» Ma d’altra parte il vivo desiderio ch’egli aveva di provare al mondo che quanto avea promesso s’era adempiuto, gli cresceva la paura di non arrivare: — Ogni moscerino che mi passa davanti, basta per importunarmi e sturbarmi; debolezza cagionata dalla mia poca fede nella Provvidenza divina. Eppure i favori che Dio m’ha compartiti, mi affidano che l’Altissimo mi salverà per coronare l’opera da me cominciata».

L’avvenire de’ suoi figli l’attossicava. — Orfani di padre e di madre in terra straniera, che diverranno? Il re e la regina ignorano quali servigi ha reso il padre loro» . Pieno di tal pensiero, prese una pergamena e vi scrisse tutto quel che potè delle sue scoperte, poi involgendola in un brano di tela cerata, pose l’involto in un barlotto e lo gettò in mare. I marinaj credettero fosse un atto di devozione: era la fede di nascita del nuovo mondo, che Colombo affidava ai fiotti perchè la portassero al mondo vecchio.

Pur alfine approda alle Azzorre; ma qui ribalde accoglienze gli fecero i Portoghesi, e il governatore Castagneda imprigionò metà della ciurma, avendo il re di Portogallo ordinato di cogliere Colombo dovunque fosse trovato, quasi colpevole di usurpargli una scoperta di cui esso non avea saputo profittare, o di turbar possessioni concedutegli dal papa. Quando però arriva a Lisbona, e le meraviglie, cui da mezzo secolo era abitua quella città, eclissa colla presente, il re dissimula il rancore o lo sagrifica all’ammirazione, e accoglie con grandi onorificenze lo scopritore.

Finalmente Colombo drizza all’Andalusia, rientra a Palos il 15 marzo; e chi descriverà il tripudio di tutto un popolo, lo scampanìo, le botteghe chiuse, e la gente che accorre ad abbracciare i suoi che avea pianto perduti, e venerare il creator d’un nuovo mondo in colui che sette mesi fa aveva deriso per ispacciatore di chimere? Il giorno stesso arrivava Pinzon, che, credendo prevenirlo o sperandolo perito s’andava vantando scopritore; ma deluso, guardò i trionfi di quello come proprio strazio, e ne morì fra pochi giorni.

A Barcellona i re procuraronsi l’onore di veder Colombo, e lo [p. 192 modifica]fecero sedere al loro cospetto quasi fosse stato, non un grand’uomo, ma un grande di Spagna; vollero udire dal suo labbro le meraviglie, e parve, dice Las Casas, prelibassero in quell’istante le delizie del paradiso. I musici della cappella reale intonarono il Te Deum. Le arme reali figurarono nello stemma di Colombo col motto

Por Castilla et por Leon
Nuevo mundo hallò Colon.

Quali onori poteansi negare ad un uomo che diceva, — Il mio primo viaggio non fu in certo modo che una scorsa; ma prometto alle Altezze Vostre di dare ad esse tutto l’oro di che avranno bisogno, per deboli soccorsi che mi prestino; e droghe, e cotone, e di quella gomma che non s’è finora trovata che nell’isola di Chio, e che il gran signore vende per quel che vuole; ed aloe, e schiavi, tanti quanti potranno domandarne?»

Quanto a lui, benchè inebriato un istante dall’alta sua fortuna, trionfò modestamente, e l’unica vendetta che prese di coloro che più lo avevano umiliato, fu di proclamare altamente la verità delle sue idee,

— Benedetto sia Dio, che dà la vittoria e buon esito a quei che seguono le sue strade! Esso l’ha meravigliosamente provato coi miracoli che fece in favor mio. Io tentai il viaggio in opposizione e contro l’avviso di tante persone ragguardevoli; tutti levavansi contro di me, trattando il mio progetto di fantasticheria, e l’impresa mia di chimera. Confido nel Signore, che l’esito di essa farà grand’onore alla cristianità.... Quanto ai mostri onde mi minacciavano, nulla io ne ho veduto». Gli splendori, il cui improvviso lampo venne repente ad abbagliarlo, non tolsero che si recasse ad onore di mostrarsi amico del priore della Rabida, e di professarsi obbligato a frà Diego de la Doza che fu poi vescovo di Palencia.

Ben tosto l’Europa fu piena del nome di lui; in Italia, in Francia, in Inghilterra non si parlava d’altro che della sua spedizione; gl’ignoranti gridavano al miracolo; fra i dotti s’operava una grande rivoluzione, poichè le quistioni sulla sfericità della terra, sull’esistenza degli antipodi eran risolte: l’autorità dei Padri in materia di scienza vacillava: la scoperta di Colombo era il preludio del sistema che il polacco Copernico già meditava in Italia.

La fìsica e la geografia non sono già scienze di rivelazione, ma [p. 193 modifica]insegnate dall’esperienza; ed è notabile come alla felice combinazione di due errori, cioè l’eccessiva estensione ad oriente delle rive indiane, e un computo troppo moderato dei gradi di longitudine, siam debitori della scoperta dell’America.

Le crociate aveano messo per dogma che gl’imperi posseduti dagl’infedeli appartenevano al primo cristiano che se ne potesse insignorire. Quando alla febbre di quelle spedizioni militari successe l’ardore delle scoperte, questo dogma ricevette una nuova estensione; si volle che il solo fatto d’aver posto il piede sovra una spiaggia fin allora ignorata, equivalesse al prender possesso di tutto il paese; il clero fece intervenire l’autorità papale nella concessione di questa supremazia, e i sovrani v’acconsentirono, perchè tale formalità dava alle invasioni loro un’apparenza di legittimità.

Papa Martino V aveva concesso al Portogallo tutti i paesi che si scoprissero dal capo Bogiador e dal capo Non fino alle Indie. La Spagna dunque, col far sue le scoperte di Colombo, violava i diritti del Portogallo, e re Giovanni mandò una squadra per occuparle. Ferdinando promise riparazione, e intanto si ricorse a Roma, donde vennero due bolle di Alessandro VI, che alla Spagna accordava le isole e la terraferma scoperte e da scoprire nell’Oceano occidentale, come ai Portoghesi i suoi predecessori aveano assegnato quelle d’Africa e d’Etiopia. Poi, in altra bolla del 4 maggio 1493, il papa segna una linea dal polo artico all’antartico, distante cento leghe dalle isole Azzorre e dal capo Verde, e i paesi di là da quella attribuisce alla Spagna22. [p. 194 modifica]

Sul momento di vedere dimezzata l’autorità pontifizia, è pur maestoso l’osservar il papa, in tutta la grandezza del medioevo, segnare col dito i confini di due grandi potenze, e dire Verrete fin qui, come fossero ancora i giorni che all’arbitrio di esso rimetteansi i principi, invece di correr alla guerra. Ed era già nato Lutero!

Pensavasi intanto a spinger avanti le conquiste; tanto più che le tasse su Giudei e Musulmani, e gli arsenali trovati a questi, abilitavano a nuova spedizione. La cacciata dei Mori lasciava disoccupata tutta quella parte della popolazione che non vive se non d’agitazioni, quando la scoperta del nuovo mondo cascò come un areolita in mezzo [p. 195 modifica]agli hidalgos poveri e prodi, onde rigurgitava la Spagna. L’immaginazione apriva nuovi orizzonti; cavalieri, frati, speculatori accorsero ai brillanti racconti dell’ammiraglio, gli uni per conquistar dominj colle armi, gli altri per rinnovare la santa missione degli Apostoli fra gli idolatri, tutti per pigliarsi quest’oro, che i selvaggi non degnavansi dì raccorre. Nessuna spedizione mai fu più popolare del secondo viaggio che si preparava (settembre): consideravasi onore l’entrarne a parte: diciassette vascelli di varia grandezza furono pronti in un batter d’occhio a spiegare le vele nella rada di Cadice.

Gl’impiegati del Governo aveano ordine di non negare a Colombo cosa ch’egli richiedesse. Egli salpa colmo di gloria e di fiducia, caricando viveri, attrezzi d’arte, semi o barbe, cavalli ed altri animali domestici, che credeansi indispensabili alla fresca colonia. Tra i moltissimi che alla nuova crociata, di cui l’India è la meta, chiedono aver parte, mille sono scelti, e coi volontari venuti a proprie spese, sommarono a millecinquecento; pomposi, invidiati, pieni di gioja e di speranze. Alle Canarie preser semi e piantoni di melaranci, limoni, bergamotti ed altri frutti; vitelli, capre, montoni, majali, che poi sulle nuove terre smisuratamente propagaronsi; e beata l’America e l’Europa se queste sole cose si fossero tra loro ricambiate, se l’assurda scienza economica d’allora, o piuttosto l’insana avidità dei dominanti non avesse fatto credere che ricchezza unica fosse l’oro!

Colombo avea ferma fede nell’autorità dei re; null’ostante, educato nel traffico e nei negozj, considerando il commercio siccome la ricchezza delle nazioni, non intendeva già trasportare nelle Indie la tirannia della spada, sibbene un poter tutelare, che assicurasse ai privati qualunque transazione. Ma fu ben tosto oltrepassato dalla gioventù nobile, che precipitossi sul nuovo mondo come sovra una preda.

Per allora arrivano alla Guadalupa e in mezzo all’arcipelago delle Antille. Avido di nuove scoperte, Colombo erasi sviato dalla sua strada per riconoscere l’arcipelago dei Caraibi; e gli avventurieri che l’accompagnavano sentironsi ben tosto svogliati delle fatiche e delle privazioni d’una lunga navigazione. La speranza delle delizie d’Ispaniola li inebbriava tuttora, quando, arrivando al porto della Natività, trovano i loro compagni trucidati dagli Indiani dell’interno, che avevano sterminati questi insolenti stranieri, i quali ne voleano rapir i beni e le donne. Costoro, di cui forse gli Americani esageravano [p. 196 modifica]la fierezza, erano dalla fanciullezza educati alle armi e a correr il mare, e vi combatteano uomini e donne.

Qui comincia la carriera amministrativa di Colombo, che è una concatenazione di errori, a cui l’ardente sua immaginazione lo fe trascendere; ed è curioso spettacolo il vedere per quali strade un intelletto sì vasto, un cuore sì retto traviò.

Continuò egli i buoni trattamenti che la natura sua e la politica gli suggerivano, finchè lasciando il governo dell’isola ad una Giunta, preseduta da suo fratello, partì il 24 aprile 1494 con tre caravelle, e seguendo le indicazioni de’ selvaggi, veleggiò al sud per riconoscere l’estremità dell’Asia, quell’aureo Chersoneso, di cui egli riteneva che Cuba facesse parte. Costeggiò la parte meridionale di quell’isola, ed approdò alla Giammaica; ma questo viaggio fu per lui un continuo passare da brillanti fantasie a penosi disinganni; pe’ suoi compagni una dura prova di fatiche e di privazioni.

Alla Giammaica trovava stupenda fertilità da farne il più invidiabile stabilimento; vi prosperavano mirabilmente i frutti d’Europa; il grano seminato in gennajo coglievasi maturo in marzo, gli ortaggi in quindici giorni, in un mese cocomeri e meloni. Ma colà, come in ogn’altro luogo, la terra non doveva aprire i suoi tesori che alla fatica; bisognava conquistare il terreno, fabbricarsi una città e cingerla di mura. E questa terra promessa non offriva che un’inospitale riva. Un clima divorante e malsano che diradava le file degli avveniticci; popolazioni irritate ogni istante minacciavano ridurli alla fame; le provvigioni venivano meno, e doveano aspettare che la messe venisse alla falce. L’orgoglio nobiliare indignossi del maneggiare i vili stromenti del lavoro; fremettero d’indignazione contro l’intrigante italiano, che gli aveva così ingannati; i moribondi lo maledicevano; i campati non ambivano che di rimpatriare, e per alcun tempo la nascente città d’Isabella non presentò che disordini e patimenti. Dolcezza d’abitanti, ubertà di terreno non bastava, e chiedeasi oro; d’oro sapeasi rigurgitare le reggie del Catai; oro voleasi per le spese e per l’avidità dei re: eppure non se ne trovava colà, nè sulle isole circostanti, che pur sempre credeansi le descritte da Marco Polo.

Colombo stava già per voltare il capo Sant’Antonio ed entrare nel golfo Messicano; Cuba non sarebbe più stata per lui il continente; forse sarebbe approdato al vasto impero del Messico, allorchè si [p. 197 modifica]vide costretto a ritornare sui proprj passi, giacchè le navi, bucate dai tarli, faceano acqua d’ogni parte, e i marinaj erano spossati dalle fatiche. Tutto inteso all’ingrandimento del futuro suo regno, egli fece constare, con atto solenne firmato da tutto l’equipaggio, che Cuba era il continente, minacciando di pene chi il contrario dicesse23. Due giorni ch’ei si fosse avanzato, bastavano a disingannarlo, e a mutar direzione e intento alle sue scoperte.

Sempre assorto nelle sue illusioni, Colombo non sentiva il ruggito delle avide passioni; credere le istituzioni umane avessero il loro punto d’appoggio nel cielo, stava in contraddizione colla folla che conduceva; egli venendo per fondare, questa per distruggere; l’autorità ottenuta dal suo re parendogli incontestabile, pensò sistemare il suo governo giusta i principj d’una società di antica data; volle che la giustizia, basata sui diritti dell’uomo, incivilisse il nuovo mondo; idea che non era nei costumi nè nelle opinioni del suo secolo.

Nel primo viaggio, Cristoforo non mostra che sentimenti umanissimi, vuole si rispettino la proprietà e la libertà personale degl’Indiani; e quelli trasferiti in Ispagna furono rimandati, appena ottenuto il battesimo. Nel secondo va men riservato; riverente della giustizia e dell’umanità, crede potersi queste metter da banda quando si tratti d’eretici ed idolatri; intollerante, scrisse ai re non lasciassero fissarvisi se non buoni Cristiani, essendo scoperto il paese unicamente per la gloria del cristianesimo; molti Caraibi mandò prigionieri, e suggerì per salute delle anime di portarne il più possibile in Ispagna, cambiandoli con bestiame e viveri, e in una volta [p. 198 modifica]ne mandò cinquecento per esser venduti in Siviglia24. La memoria ch’egli diresse ai sovrani, quando rimandò la sua flotta in Spagna indica certamente estese vedute e intelligenza d’economia sociale, ma rivela un mercatante, che fonda le operazioni sue sovra un potere riconosciuto e sacro, senza riflettere al carattere degli uomini da esso adoperati.

— Direte alle Altezze Loro ch’io desidererei spedire maggior quantità d’oro, ma che la più parte de’ miei uomini caddero malati.... Direte loro che, per il bene delle anime de’ Cannibali ed anche di questi indigeni, ci è venuto in pensiero che, quanto più lontano li manderemo, e meglio sarà. Vedendo quanto qui s’ha bisogno d’armenti e di bestie da soma pel nutrimento e pei lavori delle persone che vi devono abitare, le Loro Altezze potrebbero autorizzare un numero conveniente di caravelle a venir qui ogni anno per trasportarvi armenti, affine di popolare i campi e trar partito dal terreno. Questi armenti sarebbero venduti a prezzi moderati, e si potrebbero pagare con ischiavi presi fra i Cannibali, uomini feroci e buoni a tutto».

Sacrificava così al suo secolo, pel quale l’ebreo o il moro o l’eretico erano fuori delle leggi dell’umanità; e sebbene sugl’indigeni d’America nulla si fosse per anco stabilito. Colombo era ridotto a posporre la carità alla cupidigia per soddisfar le esigenze del tesoro, ed ottenere si continuassero le scoperte col mostrarne a prova immediata il frutto.

Tornato all’Ispaniola, fu fortunato di trovarsi fra le braccia di suo fratello Bartolomeo, ardito navigatore, anima robusta, pieno d’intelligenza e d’ardire, che avea condotto soccorsi alla colonia. Il fiacco [p. 199 modifica]Diego erasi lasciato cascar di mano l’autorità confidatagli: Fedro Margarita, capo militare, erasi reso indipendente dalla Giunta, e d’accordo con un monaco che facea parte del governo provvisorio, erasi abbandonato ad eccessi, scorrendo l’isola come capobanda, e irritando gl’Indiani colle sue ribalderie. Per isfuggire alla punizione, di cui li minacciava il ritorno dell’ammiraglio, s’impadronirono a viva forza delle caravelle che stavano nel porto, e seguiti dai colpevoli e da ogni sorta malcontenti, tornarono in Ispagna, sperando colla calunnia trovare scusa alla Corte.

In Ispagna sopra il dirigere le scoperte era stato deputato Giovan Rodrigo di Fonseca, arcidiacono di Siviglia e di poi patriarca delle Indie; uomo aspro e vendicativo, che impacciò gli affari e amareggiò gli scopritori. Al Consiglio reale delle Indie da lui rappresentato bisognava render conto delle operazioni, e non dare passo senza ottenerne licenza. Isabella principalmente prendeva a cuore la sorte degli Indiani, di cui l’aveva innamorata Colombo, e sperava convertirli alla fede colle umane guise mantenute dall’ammiraglio nella prima spedizione; ma dal Consiglio uscivano editti tirannici e improvidi, che di quella grande scoperta fecero un flagello dell’umanità.

Il Fonseca, ostinato avversario di Colombo, dai ragguagli del padre Boyle tolse pretesto per attraversarne le imprese, e tanto più che i primi frutti si trovavano inferiori alle esagerate speranze. Se non che arrivò in quella Diego, colla notizia dell’ultimo viaggio di suo padre, i cui meravigliosi racconti ravvivarono l’entusiasmo, e si credette che finalmente egli avesse raggiunto le magiche città della costa d’Asia; onde i re s’accontentarono d’inviare un commissario per esaminare lo stato della colonia.

Ad Ispaniola le malattie de’ climi inusati toglieano a molti la vita, agli altri incresceva di vedersi ridotti a lavorare là dove credeano non venire che ad ammassar oro, e poichè Colombo era costretto a mantenere col rigore la troppo negletta subordinazione, gentiluomini, venuti per bizzarria cavalleresca, trovavano indecoroso il dover obbedire a questo uomo nuovo.

Anche i natii si esacerbavano più sempre contro costoro, che prima aveano accolti e venerati come venuti dal cielo; il caraibo Caonabo Dalla Casa d’oro, ch’erasi reso potente fra i cassichi dell’isola, quasi presagisse i disastri che verrebbero dall’occupazione, vi [p. 200 modifica]si oppose a tutt’uomo, e strinse in lega tutti i cassichi. Fu dunque mestieri venir a guerra. Ducento Spagnuoli misero in rotta un esercito di centomila uomini, avendo il vantaggio delle armadure di ferro, delle spade taglienti, dell’arme da fuoco, de’ mastini25, de’ cavalli scalpitanti, più tremendi a gente ignuda che non aveva mai visto animali grossi, e che aspettava i cavalli s’avventassero a sbranarla. Oltrechè l’opinione che i conquistatori fossero discesi dal cielo, li circondava d’una potenza misteriosa, gli Spagnuoli, superiori per disciplina, avvezzi ne’ loro monti alla guerra alla spicciolata, e muniti d’armi da fuoco, facilmente vinceano, e ridussero prigioniero anche Caonabo, che neppur domito dai ceppi, spirò nel tragittarsi in Ispagna. Degli abitanti molti furono spediti in Europa; gli altri ridotti a lavorare, senza più speranza di redimersi da questi stranieri, che avean conversa in desolazione la loro natia contentezza.

È pericolosissima natura dell’uomo d’oltrepassare nel calor delle quistioni i limiti che dapprima ben divisava; e Colombo, trovando ne’ suoi selvaggi resistenza o incapacità alla fatica, si persuase fossero di razza o inferiore o peggiore della nostra. La stessa Isabella, così benevola agli Indiani, fu indotta a permettere fossero forzati al lavoro e mutati di luogo; e pur protestando sempre l’inalienabile libertà degl’indigeni, fu dappoi permessa ogni sorta di barbarie. Diceasi politica; e le necessità di questa sogliono giustificare qualunque iniquità.

I gemiti de’ soffrenti e il mormorare de’ nuovi coloni erano portati in Ispagna da gente avversa all’ammiraglio, onde scemarne il credito; e per quanto i re inclinassero ad usargli riguardi; e per quanto egli ripetesse dover essere giudicato, non come governatore di paese ordinato, ma come conquistatore di gente selvaggia, pure gli furono imputate gravi colpe; e côlta quest’occasione di mozzare le ampie concessioni, promessegli quando il suo reputavasi un sogno, fu data licenza a chiunque volesse stabilirsi alla Ispaniola, e [p. 201 modifica]intraprendere scoperte. Giovanni d’Aguado, inviato (1495) per informarsi delle accuse, abusò de’ suoi poteri per darsi il gusto di tormentare un grand’uomo, e aggravare i mali di Colombo. Infermo e melanconico, questi vedeva dissiparsi i dorati sogni del primo viaggio, e sentì la necessità di tornare; ma inesperto de’ venti e curioso di esplorare altri paraggi, soffrì un tragitto di otto mesi difficilissimo per venti contrarj; e giunto, l’11 giugno 1496, vestito da frate e colla barba, andava umiliato, scaduto da quell’aura popolare che è così mutabile; per quanto cercasse egli ricuperarla col parlar sempre di quest’India e dell’Ofir raggiunto, e far mostra delle rarità portatene, troppo inferiori alle avide speranze.

I re intanto stavano occupati a menar intrighi in Europa; e per disputare un piccolo angolo di Francia o d’Italia profondeano i tesori e le navi, di cui mostravansi tanto avari quando aveano un mondo intero da guadagnare. Mentre Colombo, come tutti gli uomini di progetti, ardente e passionato sagrificava i vantaggi presenti al futuro splendore di sua impresa, Fernando, freddo e positivo, guidavasi coll’istinto dell’interesse; chiedeva oro, avendone bisogno per la sua politica sommovitrice; e trovandone troppo scarsamente alle sue domande, conveniva farne col vendere schiavi i naturali. Il contratto stretto con Colombo era a tutto vantaggio di questo; la Corona faceva le spese, egli ne traeva la gloria, voleva assicurarsi il vicereame di tutte le Indie, dacchè, per un accordo posteriore, egli trovavasi assolto dall’ottavo delle spese, che prima aveano dovuto gravitare sopra di lui. Eppure quando lo spirito pubblico alienossi da esso egli trovò appoggio alla Corte; malgrado le calunnie appostegli, i sovrani gli fecero buon viso, e gli concessero nuovi favori; la regina gli esibì un marchesato, ch’egli ricusò per non eccitar nuove invidie; il decreto che permetteva a chi che fosse di tentar viaggi e scoperte, fu cassato come lesivo dei privilegi di lui. — Nostra intenzione (dicevano quei regnanti) non fu mai di ledere menomamente i diritti di don Cristoforo Colombo».

Finalmente si combinò una terza spedizione; sostenuta da Isabella, che pur sempre conservava rispettoso favore pel grande scopritore. Però l’entusiasmo pubblico era sbollito; davasi ascolto alla maldicenza, e non che in folla accorressero volontarj, si dovè fare autorità agli uffiziali della Corona di levarne da qualunque bastimento mercantile credessero opportuno; Colombo stesso propose di caricarvi [p. 202 modifica]i delinquenti, che, invece della galera, popolassero quelle terre beate! A tanto il riduceva la necessità di trovar sussidj e di lottare coll’operosa malvagità.

Partito pel terzo viaggio il 30 maggio 1498 con sei vascelli, tenne verso la Linea, persuaso, come i suoi contemporanei, che le terre più calde racchiudessero maggiori ricchezze, anche minerali. Dopo avviati tre de’ suoi navigli verso Ispaniola, cadde nelle regioni delle calme all’incontro de’ due venti alisei. Spinto ad occidente sino alle bocche dell’Orenoco, scoprì il litorale del Para, e per tutto il viaggio sostenne crudeli stenti, e frequenti accessi di gotta lo portarono a fil di morte. — Benchè nel precedente viaggio, in cui scopersi la terraferma, io avessi durato trentatre giorni senza chiudere palpebra, gli occhi non m’erano mai doluti sì vivamente». Costretto da questi mali a rientrare in sè stesso, riunì tutte le sue memorie, e cercò l’interpretazione de’ fenomeni che l’avevano colpito. E qui la spedizione prende carattere scientifico, e gli dà occasione d’esporre una nuova dottrina fisica.

— Nel canale che separa l’isola detta della Trinità dal continente, io trovai che l’acqua movea da levante a ponente con tanta impetuosità, quanto il Guadalquivir allorchè trabocca. Io credetti non potrei più tornare indietro in grazia delle correnti, nè andar avanti in grazia de’ bassi fondi. A tarda notte stando a bordo, sentii un terribile fragore venire da mezzogiorno verso di me, e posto mente, vidi che il mare s’alzava da ponente a levante, formando come una collina alta quanto il vascello, e che a poco a poco s’avvicinava. Sovresso questa elevazione del mare, una corrente moveasi con gran fracasso, e con quello spaventoso rumor dei fiotti quando frangono agli scogli. Oggi ancora mi risento del senso di paura onde fui preso, allorchè s’accostò al mio legno. Pure passò via e raggiunse l’imboccatura del canale, ove gran tempo s’arrestò. — Io congetturai che le correnti e quei cumuli d’acqua, che usciano ed entravano nei canali con sì terribile fragore, provenissero dal cozzo dell’acqua dolce contro la salata, e che questa s’opponesse all’uscita di quella. Perocchè, trovandomi sopra una liquida collina, avvertii che l’acqua dell’interno era dolce, e quella della parte esterna, salata».

Oggi che quel fenomeno, dagli Indiani chiamato pororoca, è benissimo conosciuto, nessun’altra miglior ragione ne possiamo assegnare.

Poi continua — Io dico che il mondo non è tanto grande, quanto [p. 203 modifica]il volgo pretende. Un grado dell’equatore non è che di quattordici leghe26. Io osservai benissimo al ponente delle Azzorre un gran cambiamento nel cielo e nelle stelle, nella temperatura e nelle acque del mare. Cento leghe di là di dette isole trovai che la bussola declinava a maestro una quarta di vento intera (12 gradi); il mare v’è denso e tutto coperto d’erbe; e quantunque i venti spirino con violenza, non per questo lo sollevano; nell’interno di questo raggio, mite è la temperatura e costante. Infine al parallelo di Sierra-Leona, la stella polare descriveva un circolo di cinque gradi di diametro27. Io considero ciò come cosa nuova. Ho letto costantemente che il mondo era sferico, lo che si prova cogli eclissi della luna. Ne’ miei viaggi notai tali irregolarità, che mi son fatto della terra un’idea differente, e trovai che non è altrimenti rotonda come scrivono, ma ha la forma d’una pera, cioè rotonda d’ogni banda, eccetto là dove è posta la coda più vicina al cielo, situata sotto la linea ed in quest’Oceano, all’estremità dell’oriente, là dove si trovano tutte le terre e tutte le isole.

«Passando all’occidente delle Azzorre, i navigli s’alzano lentamente verso il polo, e vi si gode dolce temperatura; l’ago, in grazia di tale temperie, cangia posto d’una quarta di vento; e più si procede, più si va in alto, e più l’ago inclina al nord-ovest. L’opinione mia è dimostrata ad evidenza, perchè sulla costa della Guinea ho veduto nazioni negre ed una terra calcinata, mentre sotto la stessa latitudine, dopo passato il raggio ond’io parlo, alla Trinità la temperatura è gioconda, gli alberi verdeggianti, gli abitatori di bella statura. Ciò proviene dall’essere quello il paese più elevato del mondo, e dal non essere sferica la terra. D’altra parte la sacra scrittura attesta che dal paradiso terrestre scaturisce una fontana, donde provengono i quattro fiumi principali. Ammetto che il paradiso è situato in sommo alla gobba della pera, e che la massa d’acqua dolce da me incontrata può ben provenire di là».

Ai lettori le riflessioni su questo passo.

Tornò di nuovo all’Ispaniola, che un inferno gli dovette parere, malgrado la saviezza di Bartolomeo suo fratello. Vi correva una [p. 204 modifica]folla di gentiluomini; e lamenti ne portava ogni legno che tornasse in Ispagna. Fernando era assediato dalle calunnie, e le giustificazioni di Colombo restavano soffogate prima d’arrivare al trono; mille clamori alzavansi per ispegnerne l’ammirazione; tutti gli intriganti, la cui rapacità non era rimasta satolla, l’accusavano di barbarie, di dilapidazioni; gran numero di questi sciagurati vennero fin sotto le mura del palazzo a colmare di loro imprecazioni i figliuoli dell’ammiraglio, annoverati dalla regina fra’ suoi paggi. — Ve’ ve’ (gridavano costoro) i figli di quel villan traditore, che scoprì la terra di disinganno e di vanità, perchè divenga sepolcro di tutta la Castiglia».

Principalmente commovevasi Isabella ai patimenti dei nativi, da €olombo ridotti schiavi quando presi in guerra, e al vedere donne e fanciulle inviate in Ispagna, e Colombo implorare venisse alcun tempo continuata la servitù degli Indiani. — Con che diritto l’ammiraglio dispone de’ miei vassalli?» diss’ella con dolore; firmò la rovina dell’uomo, che le avea destato l’entusiasmo più vivo, e mandò Francesco Bobadilla per esaminare lo stato della colonia, coll’incarico di punire i rei, e destituire l’ammiraglio stesso qualora il trovasse colpevole. A Bobadilla importava troppo di trovare in Colombo un gran reo; e tale lo vide. Prevenuto da alcuni intriganti, che, non appena arrivò, se gli attaccarono all’orecchio, pronunziò scaduti l’ammiraglio ed i suoi fratelli; e senza vederli nè degnar ascoltarli, li fece caricar di catene e imprigionare. — Il nuovo comandante (scrisse Cristoforo alla nutrice del principe Giovanni) si collocò nella casa mia, se l’appropriò tal qual era, con quanto v’avea dentro, nè alcun pirata trattò mai con tanta durezza». La canaglia, onde San Domingo rigurgitava, accorse a far baccano sotto la finestra di sua prigione, ed egli ne potè sentire le atroci imprecazioni; e gli indegni trattamenti cui lo sottoponeano il persuadevano d’esser destinato ad una morte ignominiosa. E Colombo traversò in catene quell’Atlantico, ch’egli primo avea dischiuso all’ingrata Europa.

Scrivendo queste righe, mi rammento le lacrime dirotte che, nell’età delle intatte illusioni, io versai nel leggere in Robertson quest’avventura. Da quell’ora sentii che la storia offre più da attristarsi che da consolarsi; e che l’uomo non è grande se non a costo della felicità.

Quelle catene Colombo serbò qual monumento dell’ingratitudine [p. 205 modifica]degli uomini: — ed io (scrive suo figlio) le vidi sempre sospese al suo gabinetto e volle che con lui fossero sepolte».

Tale indegnità riguadagnò a Colombo il favore del popolo, e l’ingiustizia de’ nemici di lui parve dimostrata. I re gli fecero tosto rendere la libertà; l’accolsero da pari suo; richiamarono Bobadilla, ma non rintegrarono Colombo ne’ suoi onori, e fu mandato in sua vece Ovando con magnifica flotta di 30 navi. Perocchè dominava nella politica della Spagna quella vulgare gelosia di non lasciar che uno ingrandisse, troncare a mezzo le imprese, sottrarre i modi di compirle, abolire e restringere le concessioni, celare le glorie colla smania onde altre genti le avrebbero proclamate.

Per una bizzarra concatenazione di sventure, quando tutte le passioni malevole accordavansi per privarlo delle ricchezze e degli onori sì penosamente acquistati, un fiorentino gli rubava anche il suo maggior titolo di gloria agli occhi della posterità: Americo Vespucci, piloto d’Alonzo d’Ojeda, improntava del suo nome la scoperta delle Indie occidentali28.

Chi voglia conoscere intimamente Colombo, studii nelle sue lettere i movimenti d’anima passionata e subitanea sotto gl’impulsi del genio, della sventura, della devozione. È in viaggio? ogni nuova isola gli par più bella delle precedenti, e duolsi che parole non gli bastino a descriverne la leggiadria e la varietà. È immerso negli affari? questi non lo sviano dagli studj, nè la cura de’ materiali interessi rintuzza in lui l’ammirazione della natura. È perseguitato, derelitto? si lagna, ma senza bassezza, e come uomo che sente i proprj diritti. Qual profonda melanconia spira la sua lettera rarissima29, gemito di anima straziata da lunga serie d’iniquità e [p. 206 modifica]delusa delle più fervorose speranze! Eppure serbò fede all’ingrato suo re quando avria potuto recar ad altri i suoi preziosi servigi. Ne’ guai gli porgea conforti la fede, figurandosi esser inviato dal cielo, e dal cielo avere visioni. Sovente vestiva da frate; tutte le sere sui bastimenti suoi intonavasi la Salve regina; e in testamento raccomandava cappelle e messe di suffragio. Genova sua amò benchè lontano; dispose a pro di quel banco di San Giorgio un’entrata pinguissima, se a lui si fosse mantenuta la parola30, [p. 207 modifica]e fin sul letto di morte fe un codicillo militare a tutto vantaggio di essa31.

Attissimo alle scoperte per l’entusiasmo, non era altrettanto capace di darvi ordinamento; e costretto a soddisfare alle incessanti domande d’oro, non provvide a vantaggi più reali che dalle colonie si poteano ripromettere. Errore di tutti i suoi contemporanei: non pertanto egli non lasciava nulla inesplorato, e pensava a fondare città, regolari governi, fior d’agricoltura. — Siamo ben certi (scriveva ai re nel secondo viaggio) e il fatto lo pruova, che il grano e le viti vegeteranno eccellentemente in questa regione: bisogna però attenderne il frutto, e se questo corrisponde alla prontezza colla quale crescono il grano ed i magliuoli che in piccol numero sono stati piantati, è indubitato che i prodotti di qui non iscapiteranno da quelli dell’Andalusia e della Sicilia. Lo stesso è a dire delle canne di zucchero, delle quali alquante da noi piantate hanno eccellentemente risposto alle nostre speranze. La bellezza del suolo di queste isole, le montagne, le valli, le acque, le campagne irrigate da [p. 208 modifica]considerevoli rivi, tutto infine è tanto meraviglioso, che non v’è paese sotto il sole, che possa insieme offrire un più bello aspetto ed un più fertile terreno». E nella relazione del terzo viaggio: — Costoro fanno uso del mais, ch’è una semenza contenuta in una spica come quella del grano. Io ne ho portato in Castiglia, dove ce n’è di molto: ma pare che gli agricoltori tengano questo per d’assai migliore; tanto a que’ semi annettono pregio».

Coloro che il tacciarono d’avidità per le minuzie economiche cui scende nelle lettere a suo figlio Diego, non rammentano a che strettezze l’avesse ridotto la turpe sconoscenza della Spagna; e come al figlio stesso raccomandi di valersi delle ricchezze sperate per mantenere quattro, poi più professori di teologia ad Haiti, e fabbricarvi uno spedale, una chiesa alla Immacolata con monumento marmoreo, e di deporre nel banco di San Giorgio a Genova fondi che s’accumulino per l’impresa di Terrasanta se mai i re non vi pensassero, o per soccorrere il papa se uno scisma ne minacciasse il grado e i possedimenti. Chi poi vorrà ridere se con quell’oro sperava trar molte anime dal purgatorio? Chi vorrà ridere del creatore di un nuovo mondo, se, col far mostra di ricchezze, sperava inanimare gli Spagnuoli a continuar nella conquista del paese che gliele aveva date? E questo intento era così generoso e disinteressato, che avendogli i re offerto ad Haiti un possesso largo 23 leghe e lungo il doppio, col titolo di marchese o duca, ricusò perchè la cura di questo l’avrebbe distratto dal pensare tutta a l’India.

Vedendo uscirsi di mano il viceregno delle Indie, più si fissava sulla liberazione del Santo Sepolcro. Oltrechè lo spirito, che aveva animato le crociate, mandava ancora qualche scintilla nella Spagna, Cristoforo, nella lettura dei Profeti, di cui era passionato, riscaldava la propria immaginazione; credette che lo Spirito Santo lo chiamasse a rialzare il monte di Sion, e compose un volume di poesie sacre nell’intento di infervorare lo zelo religioso dei re cattolici. Ne’ frammenti che ce ne restano non trovo nulla che riveli il carattere particolare di lui, consistendo solo in passi d’autori sacri, verseggiati da una mente devota.

Allora si divulgò nella Spagna che Vasco de Gama aveva pure trovato la via delle Indie pel capo di Buona Speranza, nè altro si parlava che delle ricchezze onde tale scoperta colmerebbe Lisbona; talchè Fernando ne divenne geloso. Questo accidente rimise lo [p. 209 modifica]spirito di Colombo nella sua prima direzione; credette dell’onor suo il prevenire i Portoghesi in queste Indie, oggetto degli ardenti voti della Corte; e propose un nuovo viaggio, in cui, traverso alle isole ed ai continenti già scoperti, s’aprirebbe una strada per rendersi a Calcutta sulle rive del Gange. Qui nuova lotta colle prevenzioni di Fernando; ma ancora Isabella tolse di mezzo tutte le difficoltà. L’11 maggio 1502 Colombo, avendo 66 anni, partì da Cadice con quattro caravelle, e — Questa volta io farò il giro del mondo!» esclamava. Ma la fortuna serbava tal gloria a Magellano; e il destino volea prima di spingere il glorioso vecchio nella tomba, percuoterlo d’altri colpi. La relazione ch’egli stesso ne diresse ai re Cattolici il 7 luglio 1503, è sublime squarcio di commovente malinconia e di nobile rassegnazione; direbbesi abbia voluto deporvi tutti i dolori ond’era inondata l’anima sua.

— Da Cadice tirai alle Canarie, poi alla Dominica. Quando giunsi innanzi all’Ispaniola, feci domandare per grazia un legno pagandolo a contanti, perchè uno di quelli che io conduceva più non era in grado di navigare. Mi vietarono di scendere a terra. Quella notte, durò spaventosa la procella. Chi mai, fosse Giobbe stesso, non sarìa morto di disperazione al vedere che, sebbene si trattasse della salute mia, di mio figlio, di mio fratello, de’ miei amici, m’interdicevano la terra e i porti scoperti a prezzo del mio sangue?

«Navigai verso la terraferma: per sessanta giorni la tempesta non discontinuò, e torrenti d’acqua e trombe e folgori pareano annunziare la fine del mondo. Quelli del mio equipaggio erano al colmo dell’afflizione, e più volte s’erano confessati l’un con l’altro. Io era caduto infermo, e m’era avvicinato alle porte del sepolcro».

Sulla costa di Veraguas «la mia piaga si riaprì, e per nove giorni mi disperarono. Non s’è mai visto un mare così grosso, così spaventoso, così spumeggiante. Il vento mi tenea in questo mare che pareva di sangue, e bolliva come una caldaja a gran fuoco. Il cielo non si offerse mai più tremendo; un giorno e una notte restò infocato come una fornace, e lanciava raggi così infiammati, così furiosi cascavano i fulmini, che tutti credeano dovessero mandar a picco i vascelli. Gli abitanti di questa costa sono grandi incantatori; e questi turbini che ci perseguono, aveano a molti de’ nostri suggerita l’assurda idea che noi fossimo stregati, e lo credono ancora». [p. 210 modifica]

È impossibile dipingere più fedelmente un temporale sotto i tropici. Su questa riva, ch’egli prendeva pel Chersoneso Aureo, avea messo uno stabilimento per esplorarne le ricche miniere: ma gl’Indiani infuriati lo avevano bruciato, e strozzato molti Spagnuoli; orde innumerevoli scagliavangli contro grida di morte; bisognava fuggire, e intanto il mare flagellava la riva con montagne spumose, e il vento infuriava. Colombo allora parve vie più concentrarsi nella fede, e trovare in visioni superne quella consolazione che il mondo gli negava. — Oppresso (egli scrive) da tanti mali, io m’ero addormentato, allorchè intesi una voce tra di rimprovero e di pietà: «Uomo insensato, lento a credere e a servire il tuo Dio! che fec’egli di più per Mosè o per Davide suo servo? Dal tuo nascimento t’ebbe sempre la maggior cura: giunto a convenevole età, ha fatto maravigliosamente risonare del tuo nome la terra; le Indie, sì ricca parte del mondo, a te ha concedute, lasciandoti arbitro di farne parte a cui ti piacerebbe: le ardue barriere dell’Oceano ti furono aperte: a te sottomessa un’infinità di paesi; reso famoso fra’ Cristiani il tuo nome. Ha forse fatto di più pel gran popolo d’Israele, traendolo dall’Egitto, o per Davide di pastore alzandolo re? Volgiti pertanto a lui, e riconosci il tuo errore; chè infinita è la sua misericordia. Se resta a compiere qualche grande impresa, non fia ostacolo l’età, Abramo non passava cent’anni allorchè generò Isacco? e Sara era forse giovane? Tu ti prostri di cuore, e chiedi a gran voce soccorso. Rispondi: chi ha cagionate le tue afflizioni, le tue sì vive e reiterate pene? Dio o il mondo? Dio non t’ha fallito mai le promesse; nè, dopo accolti i servigi tuoi, disse tale non essere stata la sua intenzione, mal tu averlo compreso. Ciò che promette. Egli mantiene, e più. Quel che adesso t’avviene, è ricompensa delle fatiche da te sostenute per altri padroni. — Io ascoltai tutte queste cose come uomo semi morto, e non ebbi forza di rispondere a sì vero linguaggio. Il solo che ho potuto fare sì fu di piangere i falli miei. Quel che parlato m’avea, chi che fosse, terminò soggiungendo: — Non temer nulla! abbi fiducia! tutte codeste tribolazioni sono scritte sul marmo, nè mancano di ragione».

Poi gettando uno sguardo profetico sul paese da lui scoperto, soggiunge: — Il cassico di Veraguas possedeva molt’oro; io non credetti opportuno il rubarglielo. Fo più caso del commercio di questo scalo e delle miniere di questo paese, che non di tutto quanto fu fatto nelle Indie; ma un tal figlio non conviene affidarlo ad una matrigna. [p. 211 modifica]Io non penso mai senza lagrime all’isola Ispaniola e a Para.... Sebbene non muojano, sono agonizzanti, e la malattia è incurabile».

Poi epiloga i resi servigi e la loro ricompensa: — Le terre che obbediscono alle Altezze Vostre, sono più estese e più ricche di quelle di tutta insieme la cristianità; e dopo che per volontà divina io le aveva sottommesse alla vostra dominazione, quand’io aspettava navi per accorrere al vostro cospetto ed annunziarvi delle conquiste, fui arrestato e cacciato prigione con due miei fratelli, carico di catene, spogliato, maltrattato, senza che io fossi, non che convinto, neppur chiamato in giustizia».

L’eroica amicizia d’uno de’ suoi compagni, Diego Mendez, s’incaricò di far arrivare quella lettera in Ispagna. Mendez, che in tutto questo viaggio più fiate aveva salvato gli Spagnuoli con atti di coraggio inaudito, s’avventurò a traversare, sopra una piroga di selvaggio, uno stretto di quaranta leghe, malgrado le arie e le correnti contrarie, ed arrivò all’Ispaniola dopo aver visto morire di fame e di stenti molti fra gl’Indiani che l’accompagnavano. Senza questo sublime sacrifizio, forse l’Europa avrebbe ignorato gli ultimi casi di Colombo.

Ma il calice dell’umana ingratitudine non l’aveva egli ancora vuotato. Quel pugno di Spagnuoli, perduti al confine del mondo, abbandonati alla discrezione di popoli selvaggi che poteano colla fame sterminarli, non dovea la salute se non all’influenza che sui natii esercitava il suo capo; solo la unione potea proteggerli: eppure una frenesia di rivolta spargesi tra le loro file; alcuni furiosi vogliono scannare quel vecchio, obbligato al letto dall’ansietà e dagli inumani patimenti; ne è scampa dagli assassini se non per la fedeltà d’alcuni coraggiosi servitori. Ben tosto lo stuolo de’ rivoltosi si sparpagliò per l’isola, onde gli Indiani, irritati dalle atrocità che commettevano, ricusarono i viveri; talchè gli Spagnuoli più non poteano che pochi giorni ancora sopravvivere.

In tale estremo, Colombo convoca tutti i cassichi dell’isola, e domanda gli diano dei viveri. Ma essi prorompono in rimproveri: — Che viveri? in qual modo ci compensate della generosa nostra ospitalità?» e molti mostravano le membra mutilate, i pugni recisi dai feroci suoi compagni. — Or bene (esclama Colombo) il Dio ch’io servo, penserà a vendicarmi; e cominciando da sta sera, la luna vi negherà la luce». Sapeva egli che, quel giorno appunto, dovea succedere un eclissi. Al vedere quest’ombra, che lenta lenta [p. 212 modifica]avanzavasi sopra il disco dell’astro notturno, gl’Indiani sgomentati corrono in folla ai bastimenti, pregano, scongiurano l’ammiraglio a far placare ad essi il suo Dio. Egli mostra quetarsi alle loro preghiere, e gli assicura d’aver calmata la divinità.

Questo artifizio rese l’abbondanza agli Spagnuoli rimastigli fedeli: ma i ribellati, ridotti all’estremo, presentansi armatamano, risoluti d’uccider Colombo e suo fratello Bartolomeo per pigliare le munizioni rimaste sui vascelli. Si dovette venire alle mani; gl’Indiani videro con isgomento il cozzo tremendo e sanguigno di questi Bianchi che credevano discesi dal cielo: la fortuna, fedele ancora al grand’uomo, gli diede la vittoria, talchè pose in catene i ribelli più ostinati, riservando il loro castigo alla giustizia dei re.

Per onore della specie umana vorrei poter tacere l’infame comporto del governatore d’Ispaniola, che, saputa da Mendez la desolante situazione de’ suoi compatrioti, li lasciò per nove mesi nella più crudele estremità, nè si decise a soccorrerli se non quando fu assicurato che la crudeltà sua non bastava per uccidere il grand’uomo.

Nel terzo viaggio egli avea toccato il continente americano: in questo approdò ai paesi più opulenti, ma senza avvedersene. Ai re scriveva: — Io compiva i diciott’anni quando venni a servizio delle Altezze Vostre, ed ora non ho più un capello in capo che non sia bianco. Sono malaticcio, ho speso quanto mi restava, e mi hanno tolto e venduto, a me come a’ miei fratelli, tutto, fino alla giubba: onde sono così all’asciutto, che non mi resterebbe una lira da dare per Dio. Isolato ne’ miei patimenti, infermo, aspettando dì per dì la morte, cinto da un milione di selvaggi pieni di crudeltà e nostri nemici, chiunque ha viscere di carità, chiunque ama il vero e la giustizia, pianga sopra di me!»

Sfuggito a un uragano che egli avea pronosticato, e che distrusse le navi cariche delle mal acquistate ricchezze che portavano in Ispagna Bobadilla e Rolando capo de’ ribelli32, toccò a Cuba. Messosi allora in cerca del suo Catai, s’ostinò a credere che lungo l’istmo di [p. 213 modifica]Darien troverebbe uno stretto, pel quale passare ne’ mari orientali; lo che sviollo da visitare il Messico, che avrebbe di nuova gloria irradiato i suoi giorni.

Abbandona alfine quella costa funesta per tornare in Europa. — Io partii in nome della santissima Trinità, la notte di pasqua, con due legni soli, fracidi, tarlati, e più bucherati che non un favo di miele, scarso di provvigioni, per traversare duemila leghe di mare, o morire tra via con mio figlio, mio fratello e tanta brava gente. Coloro che costumano di censurare e far rimproveri, stiano ora a cianciare laggiù ad agio loro, e dire: Perchè non far così e così? Avrei voluto che fossero stati in quel viaggio».

La Spagna lo rivide ancora, povero ed oppresso di malori: violenti accessi di gotta e l’oftalmia erano i soli frutti ch’egli avesse côlti dal suo zelo per la gloria dei re. Lo scopo suo di aprir un passaggio alle Indie era dileguato; e sebbene più che nei precedenti viaggi avesse mostrato abilità di marinaro e forza d’eroe, non acquistò i plausi popolari, nè altro che sconoscenza e miseria. Fraudato dei diritti promessigli, dopo aver anticipato denaro a quelli che l’accompagnarono nel quarto viaggio; obbligato a tenersi in decoro come grand’ammiraglio e vicerè, trovavasi ridotto a viver di prestito.

Isabella sua protettrice era defunta; Fernando, dopo replicate istanze, gli permise di venirlo a trovare a cavallo, giacchè su mulo non poteva, e lo accolse con agghiacciate proteste di stima e benemerenza. Per verità le primitive promesse fatte dalla Corte di Spagna a Colombo attestano che non si credeva alle sue scoperte, giacchè gli si concedeva poco meno che la sovranità; e troppo assurde sono le cariche ereditarie, e massime una sì importante. Ma invece di riflettere prima di promettere, Fernando, sol dopo veduta l’immensità della conquista, ingrato a colui che più non gli era necessario, indugiò sempre a consentirgli il titolo di vicerè. Intanto Colombo giaceva nella miseria, eclissato da nuovi e più fortunati scopritori, quali Vespuccio, Cortes, Pizarro, e dallo aprirsi delle miniere, che fecero di colpo triplicare il prezzo delle granaglie e alterar tutti i valori nominali. S’aggiungeva l’amarezza di veder quanto soffrissero gl’Indiani della Ispaniola, che dovea guardare come sue creature. — Essi sono tuttora la vera ricchezza dell’isola; essi coltivano la terra e preparano il pane ai Cristiani, scavano le miniere dell’oro e soffrono ogni fatica, lavorando come uomini e come bestie da soma. Dacchè [p. 214 modifica]ho lasciata l’isola, sento esser morti cinque sesti dei naturali per barbari trattamenti o per fredda inumanità, alcuni di ferro, altri sotto i colpi, molti di fame, la più parte nei monti e nelle caverne, dov’erano fuggiti, per non poter tollerare le fatiche imposte loro». Così scriveva al re, e soggiungea che, quanto a sè, comunque avesse mandati parecchi Indiani in Ispagna affinchè vi fossero venduti, l’avea fatto sempre coll’idea che venissero istruiti nella cattolica religione e nelle arti e costumanze europee, per ritornare quindi nell’isola ad ajutare il dirozzamento dei loro compatrioti.

E sempre Colombo nutriva e desiderj e divisamenti, ma insieme la certezza di non effettuarli; e miserabile, doglioso di gotta, scriveva ancora al re dei grandi servigi che sentivasi capace di rendere. Altro bene non gli restava che le lettere di suo figlio Diego, il quale vivendo allora alla Corte, ingegnavasi di far valere i diritti di suo padre. — Caro figlio (esso gli scrive), io vorrei vedere tue lettere ad ogni ora del giorno: la ragione deve dirti, che a me più nessun altro piacere ormai rimane». Ed ogni volta che gli scrive, gli rammenta le sue angustie: — Sparagna bene nelle spese; è di necessità.... Dopo vent’anni di servigi e fatiche e pericoli tanti, non possiedo in Castiglia un tegolo ove ricoverare il capo; se voglio mangiare o dormire, mi bisogna andar alla locanda; e più volte neppur questo, perchè non ho di che pagare lo scotto». Costretto dunque ad occuparsi strettamente d’economia, diè ragione ai generosi del mondo di tacciarlo d’avidità italiana.

Ben tosto non gli rimase più speranza che in Dio. — Sua Maestà (scrive egli dal letto di morte a Diego de la Doza) non giudica a proposito di mantener le promesse, da lei e dalla regina fattemi sotto la loro parola e il loro sigillo. Per me ho fatto tutto quel che dovevo; lascio il resto a Dio che mi fu propizio sempre».

E morì a Valladolid il 20 maggio 1506, tra i sessantotto e i sessantanove anni. Tratto distintivo di questo grand’uomo è la fede viva, ardente, onnipossente. Credette a rivelazioni divine, alla dominazione universale del cattolicismo coll’andare de’ secoli; correndo a scoprire il nuovo mondo credette alla futura liberazione di Gerusalemme; credette al diritto divino dei regnanti, e questi nol ricambiarono che di spregi; credette alla gloria, all’avvenire, e la posterità diede al nuovo mondo il nome d’un oscuro avventuriere33. Dio, i re, la gloria, ecco il compendio di Cristoforo Colombo. [p. 215 modifica]

E noi pure torniamo a compendiare i passi dell’uomo di genio.

Che una via opposta alla comune potesse condurre alle Indie, altri l’avevano argomentato; ma Colombo ebbe la forza d’ostinarvisi, e di ridurre il concetto a realtà. Vedetelo costretto a soffrire i rifiuti de’ potenti, l’ignoranza dei dotti, i dileggi dell’orgoglio, la meschinità dell’avarizia, le soperchierie degli emuli, l’accidia di quelli che, inetti ad operare, stanno sempre disposti a condannare chi opera. Colombo scende ad argomentazioni personali con coloro che s’arrogano il privilegio di sanzionare la verità; ricorre al sentimento per muovere un frate e una regina; a questo cita Aristotele, a quello i santi Padri, a chi i calcoli matematici, a chi le smisurate ricchezze, a chi il profitto della religione: mille vie al medesimo intento, battute coll’eroismo della pazienza: la pazienza, secondo valore. Alcuno gli opponeva: — Perchè non contentarsi del già fatto? forse un Genovese arriverà più oltre che i Greci e i Fenici?» Altri lo avran chiamato vile perchè bussava alle porte della reggia o del convento, senza valutare qual coraggio vuolsi ad immolare il proprio orgoglio al trionfo della verità.

Tutto giorno si ripete che al genio non fa bisogno il galvanismo della lode e della popolarità, vivendo egli di sè; e che le contrarietà non ritardano le grandi imprese. Quand’anche fosse, quando non sapessimo che Kant restò ignorato finchè i giornali nol proclamarono, che Vico precorse invano di un secolo la scienza perchè non fu esaltato; la fatica consumata nel rimuovere gli ostacoli impedisce il genio dal tentar nuove imprese, o cavare ogni frutto dalle ben riuscite. Che non avrebbe fatto Colombo ne’ quattordici anni che stentò ad acquistar credenza al suo concetto?

Al fine i re l’ajutano, perchè ripromettonsi guadagno; un privato il fornisce di soccorso, ma coll’idea di dimezzarne la gloria; la ciurma stessa gli obbedisce, solo a patto che faccia com’essa vuole. S’imbarca con mezzi temerarj, se non folli: erra in balìa di venti sconosciuti; deve ingannare i suoi compagni con alterate indicazioni; per un oceano che non ha confini cercando una riva che non sa pure se esiste, tutto sembra combinarsi a scemargli le speranze; eppure la costanza sua si rinvigorisce nel gigantesco divisamento di riunire gli uomini in una fede, in una civiltà.

Ed ecco alfine Terra, terra! I suoi l’adorano come un dio perchè riuscì: egli crede aver afferrato alle Indie; s’inganna; ma tra via ha incontrato un nuovo mondo. [p. 216 modifica]

Riuscire! toccar la meta! veder coronata la fatica di tutta la vita! e ringraziare Dio tanto più, quanto meno gli uomini han fatto per secondarti! Deh chi basterà a rivelare queste ineffabili gioje?

Allora che più resta al mondo da tributare al grande?

L’ingratitudine.

Il piloto che l’accomodò d’una nave, tenta rapirgliene il vanto; i re gli mentono cavillosamente le promesse insanamente prodigategli; gli spiriti forti il celiano perchè cercò nel cielo le speranze che il mondo gli negava; gli emuli studiano rimpicciolirlo ergendogli a fianco un mediocre e d’altrui nome indicando le sue scoperte; chi lo taccia di vanità perchè cerca titoli che tanti diritti recano a chi li sortì dal caso; chi d’avarizia perchè tien conto dell’oro col quale assumere nuove imprese; chi di ferocia perchè i suoi successori trucidano le genti da lui rivelate; Colombo morendo vuole nel sepolcro le catene con cui tornò dal nuovo mondo, perchè nulla insuperbisce tanto, come il martirio in una causa d’indubitabile trionfo.

Quando l’invidia non ha più paura ch’egli trovi un altro mondo, ne confessa la grandezza, vantandosi equa dispensiera di gloria; anzi l’esagera per deprimere chi s’elevi a novelli ardimenti.

Colombo è il primo grande scopritore che appartenga veramente alla storia. L’antichità ne avrebbe fatto un semidio; essa che pose fra gli astri la nave che tentò il tragitto della Colchide e la lira con cui fu cantata; il medioevo v’avrebbe scôrto l’intervenzione del demonio, come nella scoperta della stampa e della polvere. Qui ci sta innanzi lui stesso; lui, colle sue lotte, le esitanze, i momentanei scoraggiamenti, la finale perseveranza, gli errori sublimi: — Colombo è uomo.


Note

  1. Da settant’anni si disputa intorno alla patria di Colombo; e per decoro delle lettere, vorremmo nessuno leggesse parecchie delle dissertazioni in proposito. La sua nascita è da diversi posta al 1430, 30, 41, 45, 46, 47, 49, 55. La data del 36 pare la più probabile. La cuna sua è disputata fra Genova, Cogoleto, Boggiasco, Finale, Quinto, Nervi sulla Riviera, Savona, Cosseria fra Millesimo e Carcare, Palestrella, Albissola vicin di Savona, Oneglia, Cuccaro fra Alessandria e Casale, Pradello in val di Nura, Piacenza, Modena. Nel documento autentico del 22 febbrajo 1498, ove Colombo istituisce un maggiorasco, si professa genovese: «Della qual città di Genova io sono uscito, e nella quale son nato». Il magistrato di San Giorgio, rispondendo l’8 dicembre 1502 a una sua, chiama lui amatissimus concivis, e Genova originaria patria de vostra claritudine.
  2. I Perestrelli derivano dalla famiglia piacentina dei Pollastrelli, trasportatasi in Portogallo sul fine del 300. Bartolomeo (mal nominato Pietro da Fernando Colombo) era uom di mare, e scoperte le isole di Portosanto e Madera, fu mandato a governarle. Sua figlia Filipa era educata in un convento quando Colombo la vide, e sposatala, fu con essa all’isola di Portosanto, ove nacque Diego.
  3. Gli antichi consideravano il mondo diviso in cinque zone: due gelate, due temperate, e fra esse la torrida, sempre ardente e inaccessibile, talchè non era possibile passare da una temperata all’altra.
    Oltre la specificata distinzione che ne fa Cicerone nel sogno di Scipione, Virgilio nelle Georgiche lib. I, canta:

    Quinque tenent cœlum zonæ: quarum una corusco
    Semper sole rubens, et torrida semper ab igni;
    Quam circum extremæ dextra levaque trahuntur
    Cærulea glacie concretæ atque imbribus atris;
    Has inter mediamque duæ mortalibus ægris
    Munere concessæ divum: via secta per ambas
    Obliquus qua se signorum verteret ordo, ecc.

    Ma nel Pulci, Morgante, XXV, così il demonio Astarotte sostiene l’esistenza degli antipodi:

         Sappi che quella opinione è vana;
    Perchè più oltre navigar si puote.
    Però che l’acqua in ogni parte è piana,
    Benchè la terra abbia forma di ruote....
         E puossi andare nell’altro emisperio,
    Però che al centro ogni cosa reprime,
    Sì che la terra per via di misterio
    Sospesa sta fra le stelle sublime:
    E laggiù son città, castella, imperio,
    Ma nol cognobbon quelle genti prime:
    Vedi che il Sol di camminar s’affretta
    Dov’io ti dico che laggiù s’aspetta.

    E già prima il Petrarca avea detto che il sole, partendo da noi, va «A gente che di là forse l’aspetta»; e più maestrevolmente Dante avea compreso la possibilità dell’abitare gli uomini tulio in giro al globo, ammettendo un centro di gravità del mondo, «punto a cui son tratti d’ogni parte i pesi».
  4. Strabone, nel secondo suo libro, parla con evidenza della circumnavigazione. — Avendo i matematici stabilito che il circolo si rivolge sovra sè stesso, se l’estensione del mar Atlantico non ci facesse ostacolo, noi potremmo, stando sotto al medesimo parallelo navigare dalla Spagna fino all’India».
  5. Lettera di Colombo ad Isabella.
  6. «Quantum est quod ab ultimis litoribus Hispaniæ aeque ad Indos jucet? Paucissimorum dierum spatium si navem suus ventus implevit». Quæst. nat.
  7. È singolare che Colombo non nomina mai questo viaggiatore, sebbene si riferisca sempre ai racconti di esso, i quali potea conoscere dalla lettera del Toscanelli, dai ragguagli di Nicola de’ Conti e dalle opere del cardinal Pietro d’Ailly: questo traeva le sue erronee convinzioni da frà Ruggero Bacone, che nell’Opus Majus le espone con gran calore.
    Ramusio ed altri dietro a lui vorrebbero mettere Marco Polo a fianco a Colombo. Ma nel Milione non è vestigio del genio che traspare ad ogni riga di Colombo, delle sue previsioni, delle argute induzioni, soprattutto dell’elevato entusiasmo.
  8. Sotto al cielo de’ tropici, le nubi posate sopra l’orizzonte prendono spesso una forma decisa, simile ad una terra in lontananza. Tale fenomeno è molto notabile alle Canarie, e spesso causò errori strani.
  9.                          Venient annis
    Sæcula seris, quibus Oceanus
    Vincula rerum laxet, et ingens
    Pateat tellus, Typhisque novos
    Delegat orbes, nec sit terra
    Ultima Thule.

    In Medea. 

  10. Sant’Agostino fissò la fine del mondo al settimo millennio. Adamo fu creato 5343 anni e 348 giorni avanti Cristo, secondo i calcoli esatti di re Alfonso: si aggiungano 1501 anni scorsi dopo Cristo, non ne restano più che 155. Veggasi la Lettera Rarissima, da me prodotta nella Storia Universale, e poi le Profecias.
    Agostino Giustiniani, che nel 1516 stampò a Genova un Salterio poliglotto, in commento a quel versetto «In omnem terram exivit unus eorum» racconta la vita di Colombo, che niuno aspetterebbe trovar colà.
  11. Tutti questi ragionamenti accumula Colombo nella lettera, ove descrive ai re il terzo viaggio. — Plinio ha scritto che il mare e la terra costituiscono insieme una sfera, che l’oceano è la maggior massa delle acque, e che questo è voltato verso il cielo, mentre la terra gli rimane al disotto e lo sostiene, e che il cielo e mare sono mescolati fra loro, e si fanno reciprocamente sostegno, come le diverse parti di una noce per mezzo del mallo che le inviluppa.
    «Il Mastro della storia scolastica, discorrendo intorno alla Genesi, dice che le acque sono poco abbondanti; che quando furono create, coprivano tutta terra, perchè vaporose e simili a nebbie; ma che, divenute liquide e riunite, occuparono pochissimo spazio.
    «Nicolao de Lira è dello stesso sentimento.
    «Aristotele dice che il nostro orbe è piccolo, ed ha poca acqua, la quale facilmente puossi tragittare dalla Spagna alle Indie.
    «L’Avenruyz conferma questa opinione, e il cardinale Pietro di Aliaco lo cita riproducendo questa idea, che è conforme a quella di Seneca, dicendo che Aristotele venne in cognizione di molti segreti del mondo per via di Alessandro il Grande, e Seneca a causa di Cesare Nerone, e Plinio mercè dei Romani, avendo sì gli uni che gli altri occupato molto denaro, un’infinità di persone e grandi cure per discoprire gli arcani del mondo e portarli a cognizione di tutti.
    «Il medesimo cardinale accorda a questi scrittori maggior autorità che a Tolomeo e ad altri Greci ed Arabi; e per confermare quello che dicono circa alla scarsità delle acque, e alla piccola quantità di terra da esse coperta, in opposizione a ciò che vien riferito dietro l’autorità di Tolomeo e de’ seguaci suoi, cita il profeta Esdra, dove nel III libro scrive che, di sette parti del mondo, sei sono aride, sull’altra estendonsi le onde; sentenza approvata dai santi Padri, cioè da sant’Agostino e da sant’Ambrogio nel suo Exameron, i quali accreditano il III ed il IV libro d’Esdra, ove questi dice: Qui verrà il mio figlio Gesù, e morirà il mio Cristo. Essi santi dicono che Esdra fu profeta, come Zaccaria padre di san Giovanni.
  12. Paolo del Pozzo Toscanelli, celebre astronomo, nacque in Firenze il 1397. A lui è dovuto il gnomone di Santa Maria Novella in essa città. Di quel tempo i dotti scriveansi lettere sovra i punti più importanti di tutte le cognizioni umane; e le due da lui dirette il 1474 a Colombo, mostrano che meritava il titolo di dotto: — A Cristoforo Colombo Paolo fisico salute. Io veggo il nobile e gran desiderio tuo di voler passar là, dove nascono le specierie.... Ti mando una carta navigatoria.... per la quale resteran soddisfatte le tue domande». Soggiunge che quel paese, cioè l’India, è popolatissimo, regni senza numero sono a dominio d’un principe detto il gran-kan, cioè re dei re. «Da Lisbona andando dritto ad occidente, io segnai sulla carta sedici gradi da dugencinquanta miglia ciascuno fino alla città di Quinsay», sono idee tolte dal viaggio di Marco Polo. In un’altra lettera dice a Colombo: — Ho ricevuto la lettera e le robe da te inviatemi, e ne prendo onore e contentezza. Il tuo disegno parmi nobile e grande, e ti prego quanto so a navigare da oriente ad occidente». Il Toscanelli morì nel 1482, prima di conoscere le magnifiche scoperte, a cui avea dato impulso.
  13. I Veneziani cercarono contrariare i viaggi e le scoperte de’ Portoghesi, ed elessero all’uopo una Giunta delle spezierie. Questa nel 1502, 14 dicembre all’oratore inviato al soldano dava questa commissione:
    «Tra le altre cause, che per la commissione nostra ve imponessemo dovessi comunicar cum el signor Soldam, fo quella del viazo haveva tolto el re de Portogalo verso le parte de Colocut et India, la qual cossa assai generalmente ve commettessemo, sperando dicto viazo dovesse termenar et non proceder più avanti, che cusi era commune opinione. Da poi veramente sapiate che, per molte lettere se hano da Ulisbona de dì XV. Sept., è affirmato el zonzer in dicto loco a salvamento de le 4 nave overo caravelle che l’anno passato andono in India, et hano portato canthera 2200 spetie, et sono stati per tuti queli lochi funo le altre volte et qualche altro de piui: come per lo introcluso capitolo piui particolarmente intenderete: cossa certo inexpectata da nuj: et più affermano esser zunti el forzo deli marinari salvi et incolumi, dicendo el viazo esser manifesto et facile, promettando a certo che le caravelle XXII, che al presente sono al dicto viazo, habiano a ritornar et carge et presto. De le qual azo sapiate el tuto, 8 dieno andar al strecto del mar rosso, tute carge de artigliaria, bastioni fortissimi, et molti valenti homini, per impedir al tuto che alguna de Mori non possi ne intrar ne usci del mar Rosso per intrar nel mar de India, et afferma le altre caravelle discorreranno a suo piacer per tuti queli mari, cargando et contractando al modo suo. Et piui dicto re dice voler al tuto tute spetie nel suo regno, perchè non poteno star in man de do signori. Et za oltre le predicte caravelle, ne fa lavorar cum grande solecitudine altre XXV, per metterle a camino questo tempo novo pur per dicto viazo. Dinotandovi che, zonte le dicte 4 caravelle, lo prefato re ha mandato suoi messi in Engelterra et ad tute le potentie christiane, offerendosi fornir tute le potentie de christiani de tute le spetie li bixogneranno, volendo per tal modo tirar l’oro et l’arzento nel suo reame, parendoli certo haver nele man sue el dominio de la navigation total delIndia, et za da diverse parte se preparano navilij cum merze per condur a Portogal per dicto viazo, le qual tute cosse cum la experientia vista, quanto più le pensemo tanto piui ne pare importantissime et periculose alle cosse del stado nostro, come ben per la prudentia vostra podete considerar.
    Et pero ne ha parso drezarve le presente nostre, comandandove cum el conseglio nostro di X cum la zonta, che quamprimum ve dobiate, se possibel sara, trovarvi secretamenie el signor Soldan, overo quelli auditori chel ve deputasse, ma meglio seria cum esso Signor: exponendoli che, da poi la partita vostra, ve habiamo drezate le presente lettere importantissime, et cum efficatia comandatovi dobiate più secretamente ve sarà possibile farli intender quanto de sopra se contien, affirmandoli che, non provedendo de corto, tuti li trafegi, tuto l’oro et arzento che se portano nel suo paexe serano tuti portadi al reame de Portogalo et deli in India, perche quella provintia è situata in loco che tuti li reami de christiani cum facilita ne pono andar, et poi fano tal mercadi de dicte spetie che tuto el mondo correrà in quelle parte cum l’oro et arzento, et dice comprar quelle a vilissimi pretij et haver poca spexa a condurle. Ve forzerete imprimer a Sua Signoria, cum tuta quella efficacia porete, el periculo et el damno ne è per conseguir el stado suo, cum tutte quelle raxon che alla prudentia vostra pareranno per la grande importantia de la materia, affermandoli etiam el dispiacer et damno ne sentimo esser constrecti abandonar quelli paexi dove i nostri mazori za tanti centenara de anni hanno trafegato, et per la bona amicicia è stata cum i Signori Soldani predecessori soi et cum Sua Signoria, che impossibil seria nè nui nè altre nation cristiane poter navegar, perchè quelli che portavano l’oro et l’arzento, portandolo in le provintie de Portogal, per necessità se convegnirà restar de navegar: persuadendo et istando Sua Signoria se debi excitar a far quelle provision che alla potentia et sapientia sua parerà: che se pur due volte questi Portogalesi havesse resistentia et non cargasse, mai più ne torneria. Et se fossi recercato de ricordo, podete remetervi alla sapientia sua: pur quando ve paresse, potrè dir come da vui questi infrascripti remedij.
    «Et prima, che male è a proposito de quelli Signori de India che loro Mori siano expulsi da i trafegi de quelle parte, perchè i Portogexi comprano solamente le spetie, et Mori lievano non solamente spetie, ma comas ed altre cosse per molto mazor suma che spetie: ed è cossa certa che dicti signori d’India non tolererà admetter Portogexi per expeller Mori per la raxon dicta: perchè è cossa natural che cadauno cerca el suo utile et avantazo, et questo seria suo grande damno: et però è necessario chel signor Soldan mandi suoi ambassadori a quelli Signori de India; et haver bona intelligentia cum loro: narandoli tute le cosse dicte et che per experientia vederano, fazendo ogni instantia cum dicti Signori del India che dicti Portogexi non siano acceptadi, mandoli cum quelli modi et aricordi che alla Signoria Sua pareranno, per operar che siano repulsi, cum prevegnir Portogexi et haver lui signor Soldan et i signori a lui sottoposti tutte le spetie in le mano, perchè, come è dicto, se due volte serano repulsi et che tornano vuodi adrieto, mai più se metteranno a quel viazo, et el Soldan ne serà poi seguro et Signore, come, fin qui l’è stato: et havera l’oro et l’arzento nel suo paese. Et in questo ne farete quelle instantie ad vui parera opportune per tal effecto: che questa fra le altre ne par molto al proposito, et potra sortir bono effecto: ma vol esser subita et presta la expedition de dicti ambassadori. Questa per una provision ne par assai necessaria, et possi produr bon fructo, et porete ampliarla secundo che alla prudentia vostra parera.
    «L’altra provision ne par è, che, come sapete, queli Portogesi se hano molto inanimato a quel viazo per la grande utilità hanno de quello, sì per i pretij comprano le spetie in India, bassissimi; sì etiam perchè le spetie da alcuni anni in qua sono valse grandissimi et excessivi pretij, za molto tempo non solite a tal valuta: però ne par che molto conferiria a tal materia che le spetie se reducesseno alli pretij che solevano valer li anni avanti, che erano molto differenti dalli presenti, che, come ve è noto, tale anno sono stati si bassi, che possendose tornare a quelli, senza neun dubio Portogexi non saranno cusì vigorosi et gajardi alla imprexa: overo facendolo seria cum non molto a guadagno, ed molto più facile seria cum ogni picolo contrario desister dal viazo; et però el Signor Soldan, per quel modo che in quelli tempi operò Sua Signoria in redur le spetie a quelli vil pretij, poria al presente usar o quelli termini o altri paresse a Sua Signoria per la presente importantia, et nuj de qui sempre se forceremo cum ogni modo tenir li consueti mercadanti, essendone el modo come è dicto: e non solum questi remedij, ma deli altri che a Sua Signoria parerà. Ne però ve habiamo dicto questo per dirvi expressamente che li habiate a comunicar cum el signor Soldan o deputati; ma solum ve si ricorda che, parendovi explicarli o tuti o parte o tacer tuti, questo se rimete alla prudentia vostra dobiate tenir quel modo ad vuj pari piui expedientie alla materia, et condur quella al desiderio nostro.
    «Ceterum ve imponemo che debiate comunicar questa causa importantissima cum tutti quelli signor et mercadanti che a vui parerà poter zovar alla materia, et maxime a quelli che ne senteno maleficio, instandoli et solicitandoli alle provision come a loro parerà più a proposito, et maxime faccino lofficio cum el Signor Soldan, per indurlo più facile alli rimedij; et afine questo nostro ricordo habia più efficatia, ve habiamo facta nuova lettera de credenza al Signor Soldan, la porete adoperar come a vui parerà. Ve havemo dicto quelo ne occore. Vui sete sopra el facto; se riportamo alla prudentia vostra operar tuti quelli rimedij che a vui pari esser più facili alla materia.
    «Ve habiamo dicto de sopra et commesso che dobiate comunicar questa materia cum tuti quelli signori et mercadanti, che ve parerà ben a proposito per ben condurla iuxta la intention et desiderio nostro. Niente de manco, perchè la cossa è de grandissima importantia et sopra tutto merita profondissima credenza per i respecti ben noti alla prudentia vostra, però remettemo in vostro arbitrio de parlarne et non parlarne cum quelli, come a vui parerà, advertendo sempre che la proposition et instantia nostra remangi secretissima, ne se intendi da altri per i respecti predicti».
    «Di 23 votanti, 6 pel no».
    Non apparirebbe da qui che i Veneziani avessero proposto al Soldano il taglio dell’istmo; ma si contentavano a consigliargli di suscitare difficoltà ai Portoghesi, e diminuire il prezzo alle spezie. Neppur ottenendo questo, i viaggi marittimi all’India si sarebbero interrotti per sempre. Ben vuolsi ricordare che la vittoria degli Egiziani, nel 1508, poco mancò non rovesciasse la fortuna dei Portoghesi; e se non era la costanza di Almeida, il quale vendicò il figlio e la patria colla vittoria di Diu, il maligno consiglio de’ Veneziani avrebbe probabilmente trionfato. Ma mentre questi pensavano impacciarli, i Portoghesi continuavano i viaggi, allargavano i traffichi, e gettavano le fondamenta della signoria loro nell’India. I Dieci colla giunta delle Spezierie ricevevano consigli opposti da Lisbona e dal Cairo, e agli agenti di Portogallo e di Egitto davano parole egualmente buone; ma la Repubblica aveva richiamato l’ambasciatore dal Portogallo, e nulla otteneva dall’Egitto.
    Bensì nel discutere la Commissione per Francesco Teldi (la quale invece fu data a Bernardino Giove), i Dieci avevano pensato al taglio dell’istmo, e il secretario aveva già scritto che l’oratore dovesse farne la proposta al Soldano: poi nel corso della discussione il Consiglio avea mutato avviso; onde il passo fu cancellato; ma si può leggere con tutta facilità. E dice:
    «Una cosa non volemo pretermetter, recordatane da molti come provision opportunissima a impedir et del tutto interromper la navigation de Portoghesi, videlizet che cum molta facilità et brevità de tempo se potria far una cava dal mar Rosso che metesse a drectura in questo mare de qua, come altre volte etiam fo rasonado de far: la qual cava se potria assegurar a l’una e l’altra bocha cum do forteze per modo che altri non potrian intrar ne ussir, salvo quelli volesse el Sig. Soldan: la qual cava facta, se potria mandar quanti navilij et galie se volesse a chazar li Portogalesi, che per alcuno modo non potrian parer in quelli mari. Questa cava intendemo saria cum grande segurtà del paese del Sig. Soldan, et daria infinita utilitade a quello. Però volemo che, non in la prima audientia che haverai dal Sig. Soldan, ma in un altra audentia, cum grande dexterità et a qualche buon proposito rasonando de le provision necessarie ut supra, tu debi dir che molti de qui recordano essa cava, monstrando più presto de refferir la opinion de homeni periti in simel, cosa che alcuno fermo nostro obiecto et recordo, azio el prefato Sig. Soldan non prendesse alcuna ombra che fassimo tal richiesta a nostra particolar utilità el danno del Sig. Soldan, o pericolo del stado suo. Et però te forzerai proponerla cum tal modo, che tal proposition sia acceptada in bona parte, et sopra tutto li farai intender quanti beni succederiano de la cava predicta».
    Da qui apprire che i Veneziani avevano veramente immaginato il taglio dell’istmo, non appena si vide la necessità di un più celere tragitto marittimo dall’India al Mediterraneo.
  14. Questa storia, da alcuni negata, è riferita da Fernando Colombo figlio di esso, il quale nella Historia dell’Almirante, dichiara non raccontare se non quello, onde fu egli medesimo testimonio, o che trovò nelle carte di suo padre.
  15. Sono press’a poco le ragioni prestategli da Las Casas.
  16. «I cosmografi (dice Fernando Colombo) non lo capivano come sarebbe stato bisogno; e l’ammiraglio, temendo non cercassero di rubargli la sua gloria come il Portogallo, spiegavasi con riserbo». Ed Herrera nelle sue Decadi: — Don Cristoval non isviluppava intero il pensier suo...; lo perchè la relazione della Giunta fu diversa da quel ch’egli sperava».
  17. Egli regalò ad Enrico VII una carta, e lo storico Hackluyt riferisce de’ versi che servivano di dedica:

    Terrarum quicumque cupis feliciter oras
    Noscere, cuncta decens docta pictura docebit ...

  18. Clemencia, Elogio della regina cattolica.
  19. Colombo, nel febbrajo 1502, scriveva al papa supplicandolo di spedire frati mendicanti che predicassero il Vangelo nelle Indie, e soggiunge:
    «Mi duole al vivo di non poter venire in persona a Roma per presentare a V. S. uno scritto, ove raccontai i miei fatti alla maniera dei commentarj di Cesare, continuando dal primo giorno fin al presente». Da qui siam certi che l’ammiraglio scrisse giorno per giorno gli accidenti di tutti i suoi viaggi; il che è pure attestato da Fernando; ma non ci resta che un estratto del primo viaggio, fatto di pugno dell’arcivescovo Bartolomeo Las Casas, il quale però, invece di copiare fedelmente lo scritto di Colombo, lo compendiò, aggiungendo precise parole dell’ammiraglio quando lo trascrive; ma troppo spesso entrando a parlar di Colombo in terza persona.
  20. Della morale di Colombo è rivelazione singolare la cura d’impedir questi baratti perchè gli parevano disonesti ed usurarj. Quasi non fosse l’opinione che dava pregio all’oro, siccome alle perline di vetro.
  21. Francesco Adolfo de Warnhagen, brasiliano, crede aver dimostrato che la prima isola delle Lucaje scoperta da Colombo, e indicata col nome di Guanahami, non poteva essere nè quella di San Salvador, com’è ordinariamente creduto anche da Irving e da Humboldt, nè il Turco Maggiore indicato da Gibbs e da Navarete, nè la Watling sostenuta da B. Becher: bensì quella nominata Mayaguana o Mariguana, (La Verdadera Guanahami. Santiago de Chile, 1864).
    H. Major, bibliotecario del British Museum, appoggia Becher, confrontando la carta di Herrera colle odierne; solo discorda sul punto ove successe lo sbarco, egli supponendolo all’estremità sud-est.
  22. Non era arbitraria, ma era la linea magnetica, avvertita dal Colombo, il quale diceva che, al passar di quella, come al passar d’una collina, l’ago, vôlto fin là a nord-est, piegava a nord-ovest. «Et uti tanti negotii provinciam apostolicæ gratiæ largitate donati liberius et audacius assumatis (la dilatazione della fede tra i Barbari), motu proprio, non ad vestram vel alterius pro vobis super hoc nobis oblatæ petitionis instantiam, sed de nostra mera liberalitate et certa scientia, ac de apostolicæ potestatis plenitudine, omnes insulas et terras firmas, inventas et inveniendas, detectas et detegendas, versus occidentem et meridiem, fabricando et construendo unam lineam a polo arctico, scilicet septentrione, ad polum antarcticum, scilicet meridiem, sive terræ firmæ et insulæ inventæ et inveniendæ sint versus Indiam aut versus aliam quamcumque parlem, quæ linea distet a qualibet insularum quæ vulgariter nuncupantur de los Açores y Cabo-Vierde centum leucis versus occidentem et meridiem, per alium regem aut principem christianum non fuerint actualiter possessæ usque ad diem Nativitatis domini nostri Jesu Christi proxime præteritum, a quo incipit annus præsens millesimus quadringentesimus nonagesimus tertius, quando fuerunt per nuncios et capitaneos vestros inventæ aliquæ prædictarum insularum, auctoritate omnipotentis Dei nobis in beato Petro concessa, ac vicariatus Jesu Christi quo fungimur in terris, cum omnibus illarum dominiis, civitatibus, castris, locis et villis, juribusque et jurisdictionibus et pertinentiis universis, vobis heredibusque et successoribus vestris Castellæ et Leonis regibus in perpetuum tenore præsentium donamus, concedimus et assignamus; vosque et heredes ac successores præfatos, illarum dominos cum plena, libera et omnimoda potestate, auctoritate et jurisdictione facimus, constituimus et depuiamus, decernentes nihilominus per hujusmodi donationem et assignationem nostram nullo Christiano principi, qui actualiter præfatas insulas aut terras firmas possiderit usque ad prædictum diem Nativitatis domini Jesu Christi quæsitum sublatum intelligi posse aut auferri debere. Et insuper mandamus vobis, in virtute sanctæ obedientiæ, ut (sicut pollicemini, et non dubitamus pro vestra maxima devotione et regia magnanimitate vos esse facturos) ad terras firmas et insulas prædictas viros probos et Deum timentes, doctos, peritos et expertos ad instruendum incolas et habitatores præfatos in fide catholica, et in bonis moribus imbuendos, destinare debeatis, omnem debitam diligentiam adhibentes. Ac quibuscumque personis, cujuscumque dignitatis, etsi imperialis et regalis, status, gradus, ordinis vel conditionis, sub excommunicationis latæ sententiæ pœna, quam eo ipso si contrafecerint incurrunt, districtius inhibemus ne ad insulas et terrasfirmas inventas et inveniendas, detectas et detegendas versus occidentem et meridiem fabricando et costruendo lineam a polo arctico ad polum antarcticum, sive terree firmse et insulæ inventæ et inveniendæ, sint versus Indiam aut versus aliam quamcumque partem, quæ linea distet a qualibet insularum quæ vulgariter nuncupatur de los Açores y Cabo-Vierde centum leucis versus occidentem et meridiem, ut præfertur, pro mercibus habendis vel quavis alia de causa accedere præsumant absque heredum et successorum vestrorum prædictorum licentia speciali: non obstantibus constitutionibus ad ordinationibus apostolicis, cæterisque contrariis quibuscumque: in Illo a quo imperia et dominationes ac bona cuncta procedunt confidentes, quod, dirigente Domino actus vestros, si hujusmodi sanctum ac laudabile propositum prosequamini, brevi tempore cum felicitate et gloria totius populi christiani vestri labores et conatus exitum felicissimum consequentur.
  23. Fernando Perez di Luna, pubblico nodaro d’Haiti, il 12 giugno 1494 ricevette ordine dall’ammiraglio di recarsi sulle tre caravelle del secondo viaggio per domandare a ciascun uomo in presenza di testimonj se gli restava il minimo dubbio che questa terra (Cuba) non fosse la terraferma al principio delle Indie, e che da questa parte si potesse giungere in Spagna per terra: che se all’equipaggio restasse alcun dubbio, il notare invitava a deporlo, e a credere veramente che questa è la terraferma. Navarete, doc. n.° 75. Vi si aggiunsero le comminatorie. Nella lettera del luglio 1504, cioè alla fine dell’ultimo suo viaggio. Colombo scrive: — Il 13 maggio arrivai nella provincia di Mangy, limitrofa a quella del Catajo, Da Sigaro nella terra di Veragua non v’ha che dieci giornate per arrivare al Gange». Non conobbe dunque l’importanza della sua scoperta, e picciola parte indovinò della gloria immortale onde il circondò la posterità. Da quest’errore venne il nome d’Indie occidentali dato all’America.
  24. Noi freniamo alle crudeltà commesse dai conquistadori in America, ma pur troppo quel modo de’ civili di trattare i Barbari è comune a tutti i popoli e a tutte le età. Nel 1687 Luigi XIV nelle istruzioni a Denonville governatore del Canada metteva: — Il bene del mio servizio esige che il numero degli Irochesi sia diminuito il più possibile. Son forti e robusti, e possono utilizzarsi come galeotti. Fate il possibile di prenderne molti come prigionieri di guerra e imbarcarli per la Francia».
    Nel proclama 2 ottobre 1749 il governatore Cornwallis di Halifax offriva dieci ghinee per ogni Indiano Micmac ucciso o prigioniero, recandone la cuticagna tagliata.
    Il governatore Amherst, nelle istruzioni del 10 agosto 1763 da Nuova York, dice degli Indiani: — Sono la razza più detestabile, che mai infestasse la terra. Il suo sterminio dovrebbe riguardarsi come un atto meritorio nell’interesse dell’umanità. In conseguenza non farete prigionieri, ma ucciderete quanti ve ne cadran in mano».
  25. «Questi animali erano sì abili alla caccia degli Indiani, che a vedere e non vedere s’erano sbranato un selvaggio». Las Casas. Colombo recò i primi cani mastini in America per inseguire gl’Indiani. Già anticamente i Galli e gli Ircani se ne servivano come ausiliarj in guerra. Viepiù lo fecero i conquistatori, ed anche adesso se ne giovano i piantatori contro i negri fuggiaschi. In Irlanda fin 150 anni fa s’adopravano per pigliare i malfattori. Nelle spedizioni di questi ultimi anni contro i briganti del Napoletano non si rifuggì da questo mezzo.
  26. Conseguenza del credersi erroneamente nell’India.
  27. Altro errore. La rifrazione è grandissima presso l’orizzonte, ed egli non la sapea valutare.
  28. Quel Michele Servato che fu fatto bruciare come eretico da Calvino, ristampando nel 1535 a Lione la geografia di Tolomeo, è forse il solo de’ contemporanei che accusa Americo Vespucci d’aver usurpato la gloria di Colombo. «Colombo (dice) in un nuovo viaggio scoprì il continente e molte isole, di cui son oggi padroni affatto quei che chiamano America questo continente, giacchè Americo non la toccò che molto dopo di Colombo, e vi andò non cogli Spagnuoli, ma coi Portoghesi, per farvi commercio». Humboldt mostrò quanto a torto si accusi il Vespucci di aver soperchiato il gran Genovese; del resto si sa che Americo fece il suo viaggio nel 1499 con Hocheda e per la Spagna, e non come mercante, ma forse come astronomo. Il bello è che l’edizione del Serveto contiene la mappa del 1522, dove al nuovo mondo si dà il titolo d’America.
  29. Io l’ho riprodotta nella Storia Universale.
  30. Un decimo della rendita della sua eredità, a sgravio della gabella sulle vettovaglie.
    Nel 1566 Filippo II re di Spagna donava alla repubblica genovese un codice in pergamena, foglio piccolo, legato in cordovano con mazzette d’argento, e chiuso in una busta di cordovano con serratura pur d’argento. Era la raccolta fatta da Colombo stesso de’ propj titoli a quella scoperta, e de’ privilegi concessigli; di cui fece fare due copie, spedendole a Nicolò Oderico confidente suo, acciocchè le ponesse in luogo sicuro. Nelle ultime vicende di Genova andarono disperse. Una, portata a Parigi, fu ricuperata; l’altra si ritrovò nella biblioteca del conte Michelangelo Cambiaso, e il corpo dei decurioni la comprò, e ne fece eseguire la traduzione dal padre Giovanni Battista Spotorno e la stampa, col titolo di Codice diplomatico Colombo-Americano, ossia Raccolta di documenti originali e inediti, spettanti a Cristoforo Colombo, alla scoperta e al governo dell’America. 1821.
    Il lavoro più importante su Colombo sono le Relazioni dei quattro viaggi intrapresi da Cristoforo Colombo per la scoperta del Nuovo mondo.... pubblicate per ordine di S. M. cattolica da don Martino Fernandez, de Navarrete.
    Il Navarrete, oltre importanti sue dissertazioni, massime sopra i viaggi anteriori e posteriori di spagnuoli, e lettere e documenti e carte, dava la relazione del primo viaggio di Colombo, scritta dal vescovo Bartolomeo Las Casas sopra le note del Colombo: del secondo, descritto dal dottor Chanca, compagno del Colombo: del terzo, dedotta da copia tutta autografa del Las Casas; la descrizione del quarto consta d’una lettera dei re in risposta ad altra del Colombo, con istruzioni e commendatizie: d’un ragguaglio di don Diego di Perras che v’aveva accompagnato il Colombo; d’una lettera di questo partecipando ai re gli eventi della spedizione; del testamenio di Diego Mendez, compagno del Colombo, ove narra quanto gli accadde in questo viaggio. Vi son unite 15 lettere del Colombo: tutti i documenti rilasciatigli per provare i titoli e diritti che aveva acquistati.
    Altre aggiunte vi fecero dotti francesi nella traduzione stampata a Parigi nel 1828. Vi è severamente censurata la Vita di Colombo, del nostro Luigi Bossi.
    Fernando Colombo, Historie. Non s’ha l’originale spagnuolo, ma solo la traduzìone fatta dall’Ulloa. Venezia, 1561.
    G. B. Mugnoz, Storia del Nuovo Mondo. Madrid, 1793.
    Spotorno, Origine e patria di Cristoforo Colombo. Genova, 1819.
    Washington Irving, Vita e viaggi di Cristoforo Colombo (inglese). 1826. Sanguinetti, Vita di Cristoforo Colombo. Genova, 1846.
    Arthur Helps, The Life of Columbus. Londra, 1869.
    Roselly de Lorgoes, in francese stese una Vita del Colombo in tono ascetico, volendo mostrarlo santo di atti e d’intenzioni; domandò a Roma che fosse canonizzato, e ne rinnovò formale istanza al Concilio Vaticano.
  31. Sull’uffizietto di Colombo che si conserva nella biblioteca Corsini, si legge:
    «Codicillus more militari Christophori Columbi. Cum S. S. Alexander papa VI me hoc devotissimo precum libello honorarit, summum mihi præbente solatium in captivitatibus, præliis et adversitatibus meis, volo ut post mortem meam pro memoria tradatur amatissimæ meæ patriæ Reipublicæ Genuensi; et ob beneficia in eadem urbe recepta volo ex stabilibus in Italia redditibus erigi ibidem novum hospitale, ac pro pauperum in patria meliori substentatione; deficienteque linea mea masculina in admiralatu meo Indiarum et annexis, juxta privilegia dicti Regis, in successorem declaro et substituo eamdem Rempublicam S. Georgii.
    «Datum Valledolici, 4 maji 1506

    S

    S. A. S.

    X M. Y

    XPO FERENS

    Pare ch’egli attaccasse un significato mistico alle lettere che precedono il suo nome, e alla relativa loro disposizione.

  32. Colombo avea consigliato il governatore di non lasciar uscir la flotta: non gli diedero ascolto, e furono sobbissati, un sol legno piccolo campando, il quale portava il danaro di Colombo. Gli storici contemporanei videro in quest’evento una manifesta intervenzione della giustizia divina. Suo figlio Fernando accompagnò Colombo in quel viaggio.
  33. Vedi Navarrete, Clausolas de testamento de Christoval Colon.